parita` di genere e antidiscriminazioni

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parita` di genere e antidiscriminazioni
PARITA' DI GENERE E ANTIDISCRIMINAZIONI
(Seminario dell'Accademia del diritto europeo, Trier 23-24 febbraio 2015)
di Silvana Paruolo - CGIL Segretariato Europa
Per promuovere la parità e la non discriminazione sul lavoro, la Commissione europea dell'Ue tende
a porre l'accento sul gendermainstreaming e sull'equilibrio tra vita professionale e vita privata quale
questione genitoriale e di realizzazione personale.
La strategia europea (2000-2015) - attualmente in corso - ha evidenziato cinque campi prioritari:
 Uguale indipendenza economica
 Parità di retribuzione per uno stesso lavoro o lavoro di stesso valore
 Parità nel processo decisionale e in posti di responsabilità
 dignità, integrità e fine delle violenze
 parità tra uomini e donne nelle politiche estere
Il principio di parità fra uomini e donne, e il principio di non discriminazione, sono principi
profondamente ancorati nel diritto europeo e nei Trattati (v. articoli 21 e 23 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Ue). Ed hanno generato una costruzione molto solida di giurisprudenza europea e
di diritto interno negli Stati membri.
La parità è una condizione di legalità di tutti gli strumenti UE e di ogni azione delle istituzioni e
organismi Ue; gli stati membri vi si devono conformare; e non discriminazione e molestie
richiedono parità di trattamento. Il principio, di parità e di non discriminazione, viene applicato
anche in materia di occupazione e di impiego. In materia resta tuttora importante anche la Direttiva
(2006/54/CE).
Il Seminario “EU gender Equality Law” (Trier 23-24 febbraio 2015) dell'Accademia di diritto
europeo (come si può vedere dalla documentazione ERA ivi allegata) è stato occasione di
approfondimento del diritto Ue in materia di parità di genere. Tra l'altro, informo chi fosse
interessato che le relazioni presentate a Trier (da Marie Mercat-Bruns, Anna Sledzinska-Simon,
Jason Galbraith-Marten, François Moyse, Erica Howard, Susanne Burri. Slimane Laoufi, Rossen
Grozev, e Erica Howard) sono leggibili nel sito dell'ERA : www.era.int/gender/documentation
Si è dinanzi a una discriminazione diretta quando – in una situazione comparabile - una persona è
trattata in modo meno favorevole di un'altra.
Invece, si è dinanzi a una discriminazione indiretta quando - almeno che questi non siano
oggettivamente giustificati - una disposizione un criterio o una pratica apparentemente neutra
svantaggerebbe persone di un sesso rispetto a persone di un altro sesso.
Sono eccezioni alla discriminazione ai sensi della direttiva 2006:
 esigenze professionali vere e determinanti
 azioni positive (quali politiche che perseguono un esplicito obiettivo di inclusione-parità di
trattamento, misure di solidarietà-pari opportunità, trattamento preferenziale-reale parità)
 maternità e congedi parentali (in questi casi la giurisprudenza si concentra sulla retribuzione
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sufficiente durante la gravidanza)
Casi di Sentenze - Quando si parla di discriminazioni e molestie, di particolare importanza è
l'onere di prova. Tra altro - circa la giurisprudenza europea - a Trier sono stati rievocate questi
casi per:
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discriminazioni per la la parità di genere, Defrenne I II e III (1971,1976, 1977)
discriminazioni per la genitorialità e la maternità, casi Sari Kiiski . Danosa, Parvanien,
Meerts, Roca Alvarez, Chatzi, Napoli, Lyreco ecc Alcuni casi hanno riguardato i congedi di
maternità per madri portatrici.
discriminazioni fondate sull'orientamento sessuale, i casi Maruko, Romer, Hay, ecc
discriminazioni per la parità salariale (la direttiva 2006/54 comprende la discriminazione
salariale sistemica), la sentenza Enderby
discriminazioni dirette, le sentenza AFPA, Wendy Smith, Thibault, Feryn ecc.
discriminazioni indirette, i casi Ursula Voss, Brachner, Leone ecc.
A Trier, il rappresentante di “Le défenseur des droits”(Autorità costituzionale francese indipendente,
incaricata di vegliare sulla protezione dei diritti e delle libertà e di promuovere la parità) – dopo
aver illustrato un caso di discriminazioni al rientro da congedo parentale (il caso è costato un
grosso risarcimento danni alla BNP di Parigi) – ha sottolineato che una volta constatata una politica
di discriminazione salariale sistemica nei confronti delle donne, si sta riflettendo anche sull'ipotesi
di ricorsi collettivi (presentabili anche da sindacati).
In generale, i ricorsi vanno dalla conciliazione alla mediazione (negoziale o giudiziaria). E possono
coinvolgere Organismi per la parità di trattamento, e Ombudsman /Mediatori di stato.
Le sanzioni possono effettive (con conseguenze legali), proporzionate, e dissuasive.
La Direttiva 2006/54/CE – E il dibattito su congedo di maternità e paternità in Europa – La
Direttiva (2006/54/CE) - che ha modificato e unificato in un solo provvedimento il principio di
parità di trattamento fra uomini e donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e
alla promozione professionale, oltre che ai meccanismi di accesso a regimi professionali di
sicurezza sociale asserito da più direttive europee (76/207/CEE, 86/378/CEE, 75/117/CEE) dall'Italia è stata recepita con il il Decreto Legislativo n. 5 del 2010.
Non sarà inutile ricordarne alcuni punti essenziali, con un rapido aggiornamento qui limitato alla
questione dei congedi di maternità e paternità in Europa.
- I governi nazionali devono considerare il principio di parità nel legiferare
Tutte le discriminazioni basate sul sesso devono essere rigorosamente bandite da ogni ordinamento
giuridico nazionale e tutti i Paesi Membri sono tenuti a scoraggiarle e punirle con adeguate
sanzioni, efficaci e dissuasive, la cui entità massima non può essere stabilita a priori, ma valutata di
caso in caso e proporzionale al danno subito (Art. 18).
Il principio di parità
Ogni disposizione normativa o regolatoria contraria al principio di parità di trattamento deve essere
abrogata o dichiarata nulla sia per quanto attiene la legislazione nazionale che i contratti di
categoria. Le eccezioni alla parità nella selezione di accesso a determinate professioni devono
essere ridotte al minimo e giustificate da motivazioni legate ad un particolare contesto o alla reale
natura della professione.
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– La parità di trattamento nella professione significa anche parità di trattamento
retributivo fra uomini e donne per posizioni lavorative di valore equivalente (da garantire non solo
all'interno di una stessa organizzazione ma anche tra soggetti impiegati presso diversi datori di
lavoro). A tal fine sia gli Stati Membri che l'Unione si impegnano a favorire, attraverso l'istituzione
di organismi competenti e il dialogo tra le parti sociali, il processo di sensibilizzazione che conduca
ad un'evoluzione culturale al riguardo (Art. 20 e 21).
Parità retributiva
- Rafforzare il principio di parità non significa però indebolire le
misure a tutela della maternità o del congedo parentale che alcuni Stati concedono anche ai padri o
ai genitori adottanti, né sminuire il valore di un'efficace e flessibile organizzazione degli orari di
lavoro che consentano ai lavoratori di conciliare meglio la propria attività con l'assistenza alla
famiglia.
Parità, maternità e congedi parentali
I diritti delle lavoratrici in congedo di maternità devono essere garantiti, primo fra tutti quello di
riprendere la propria attività senza subire conseguenze negative in termini di qualità e di condizioni
di lavoro una volta rientrate dal congedo.
Sono trascorsi 22 anni da quando la Direttiva sul congedo di maternità è entrata in vigore in tutta
l’Ue, stabilendo per le lavoratrici in gravidanza il diritto a 14 settimane di congedo a salario pieno.
Una norma insufficiente, applicata peraltro in modo disomogeneo dagli stati membri e che oggi
appare anacronistica in un mondo profondamente mutato. L’Italia non è tra i paesi più arretrati
nell’applicazione delle direttiva: le donne infatti possono usufruire di 22 settimane all’80% della
retribuzione. Ma l’applicazione, ad oggi, è molto diversificata nell'Unione europea, da qui la
necessità di trovare un punto di mediazione.
Da un lato, per esempio, la Spagna e la Francia stabiliscono 16 settimane al 100% del salario e la
Svezia 16 mesi al 77%. Una proposta della Commissione europea di revisione della direttiva sul
congedo di maternità chiedeva una riforma che raggiungesse le 18 settimane, mentre il Parlamento
ha rilanciato l’obiettivo di 20 settimane e due di paternità.
Il Governo italiano ha preso l'impegno di portare avanti, durante il semestre di Presidenza, il
dibattito su questo dossier e di favorire un accordo nell'ambito del Consiglio europeo. Ma –
considerandola “incagliata” (da quattro anni) a causa del mancato accordo tra i Paesi membri – la
Commissione vuole fare tabula rasa e presentarne una nuova.
Associazioni e sindacati in allarme hanno fatto un appello a Juncker: “Diritti delle lavoratrici a
rischio. Conservatori ed estremisti religiosi minacciano i diritti delle donne”. “Se non è stato
raggiunto un accordo, la Commissione dovrebbe lavorare per trovare in accordo” sosteneva anche la
CES (Confederazione europea dei sindacati). .
- La parità va garantita anche nei meccanismi di accesso agli albi
e alle associazioni professionali, oltre che ai regimi professionali di sicurezza sociale. Non sono
consentiti diversi livelli contributivi a carico del lavoratore o del datore di lavoro sulla base del
sesso del lavoratore (Art. 9). L'età pensionabile può restare flessibile per entrambi i sessi ma con
l'obiettivo di una parità anche in questo ambito, pur con tempi differiti per l'applicazione di una
Previdenza sociale ed età pensionabile
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soglia di età unica per la concessione di pensioni di vecchiaia (Art. 11).
- Ogni Nazione dovrebbe inoltre studiare misure volte ad incentivare e
promuovere la cultura della parità tra i sessi, anche attraverso provvedimenti che facilitino
l'esercizio di determinate attività da parte del sesso sotto-rappresentato (restano lecite tutte le forme
di associazionismo che si prefiggono come obiettivo la tutela di una particolare categoria).
Cultura della parità
In base alla direttiva 2006/54/CE, tra le forme di discriminazione fondate sul sesso rientrano anche
le molestie e le molestie sessuali sul posto di lavoro e nella selezione di accesso.
– In merito devono essere stabilite chiare procedure
dagli Stati Membri per permettere a chi subisca discriminazione di segnalare alle autorità
competenti la mancata osservanza di tale direttiva. Il diritto del lavoratore al reclamo per mancato
rispetto del principio di parità deve essere tutelato da eventuali licenziamenti o atteggiamenti
negativi da parte del datore di lavoro (Art. 23). In base al principio di sussidiarietà sancito nell'Art.
5 del Trattato, alcuni obiettivi possono essere meglio realizzati da normative e interventi a livello
comunitario pur restando il diritto dei singoli Stati di adottare misure più forti (Art. 27).
Reclami per mancato rispetto del principio di parità
Ogni 4 anni il testo delle misure adottate dai singoli Stati Membri viene sottoposto all'Unione (Art.
31) corredato di ricerche, statistiche e buone pratiche scambiate sulla base delle quali l'Unione
pubblica una relazione di valutazione comparativa della loro efficacia.
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