Il bracconiere «Così si guadagna con il business di polenta e osei»
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Il bracconiere «Così si guadagna con il business di polenta e osei»
24 Focus L’ECO DI BERGAMO DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 La caccia fuorilegge Nella foto grande, le diverse attrezzature per la cattura di uccelletti sequestrate ad un bracconiere; a fianco, un cacciatore mostra le sue prede; sotto, la caccia da capanno con richiami vivi a Il bracconiere «Così si guadagna con il business di polenta e osei» Viaggio nella «base» di un cacciatore di frodo «In due mesi congelo 10 mila esemplari di specie protette. Spennati costano 2,50 euro l’uno» GIOVANNI MERLA a Dalla Valseriana ai boschi di Valbondione, dai Colli di San Fermo alle verdi pianure della Bassa. Ma anche battute lampo in Trentino a caccia di camosci o settimane al Sud Italia e nell’Est Europa, per riempire i carnieri di cardellini e pettirossi. Non si fermano mai i bracconieri, però tra ottobre e novembre la loro attività illegale è più frenetica, perché gli uccelli migratori sorvolano la Lombardia soltanto in quel periodo. E quando la migrazione è finita fanno razzia di camosci, cervi, lepri e animali da imbalsamare con incursioni in riserve naturali e parchi protetti. Sono riuscito a incontrarne uno, a farmi raccontare da vicino una realtà inquietante e illegale che ogni anno, solo per facili e consistenti guadagni, mette a rischio ecosistema e ambiente naturale. Mi presento all’appuntamento all’alba e parcheggio l’auto. Per arrivare al posto occorre una jeep e il bracconiere mi fa accomodare sul suo pickup. La strada è sterrata e in salita, dopo diversi chilometri si apre una radura e appare una cascina mezza diroccata. I cani abbaiano nervosi. Sono tre setter magrissimi, rinchiusi in un minuscolo e maleodorante recinto fatto di lamiere arrugginite e reti metalliche. Quattro assi come cuccia, pane secco e qualche osso per terra. In un angolo una ciotola d’acqua torbida. In casa c’è una vecchia signora che spenna uccelli meccanicamente, con una velocità incredibile. Sul tavolo un mucchio enorme e colorato di volatili. Per terra un paio di sacchi neri per l’immondizia, stracolmi di piume. Gli uccelli saranno almeno 300. La donna saluta e continua a lavorare. «Questi li hanno portati poco Fruttuoso anche il mercato di ungulati, lepri e rapaci da imbalsamare fa – spiega il bracconiere – sono fringuelli, pettirossi, peppole e qualche cinciallegra. Quest’anno sono passati in ritardo per il caldo, meglio così. Lavoreremo un po’ più a lungo». Mi accompagna in una specie di legnaia dove c’è un disordine pazzesco. Tra attrezzi agricoli, motoseghe e sacchi di cemento sento dei muggiti: dietro l’angolo c’è una stalla in pietra. Due mucche e un vitello sono legati accanto alla mangiatoia. Il bracconiere sposta un mucchio enorme di fieno e compaiono tre grossi congelatori. «Ne ho ancora quattro – dice mentre ne apre uno – in un’altra casa. È difficile che resti senza uccelli. Riesco a venderli fino a maggio, poi le scorte finiscono». Dentro ci sono sacchetti sigillati con scritto 10, 20, 50. Ognuno contiene una numero diverso di uccellini. In due congelatori ci sono quelli già spennati, nell’altro invece quelli con le penne. Il mercato nero è un vero e proprio business: «Se li vuoi spennati costano 2,50 euro l’uno, con le piume invece 1,50. Per una cena a base di polenta e osei servono almeno 15-20 uccellini a testa. I miei clienti sono privati e ristoratori. Con i ristoranti si fanno affari, ne comprano anche 400 in un colpo solo. Invece i privati un po’ meno. Magari vengono 3-4 volte all’anno, quando fanno una cena tra amici: una compagnia di 15 persone può mangiarsi anche 300 uccellini. È importante non rimanere senza la merce, altrimenti perdi i clienti e l’anno dopo lavori di meno». Pratiche illegali e crudeli Chiude la stalla e mi porta in cantina. Qualche formaggella sui ripiani, salami appesi e un sacco di juta. Ci rovista dentro e sfila un aggeggio di ferro: «Queste sono le trappoline che usiamo. Si chiamano "sepp", ma in dialetto tutti le conoscono come i "süpì". So- no tagliole con scatto a molla. Le vendono nei consorzi o nei negozi per la caccia. Costano circa due euro l’una e durano una vita. Ufficialmente sono trappole per topi, ma tutti le usano come archetti. Quelli tradizionali in legno sono superati, una volta che scattano bisogna sistemarli e si perde tempo. Queste invece basta ricaricarle e in un attimo sono pronte. Si mette l’esca, una camola viva o una bacca di sorbo. L’uccello è attirato e si posa per beccar- la, a quel punto la trappola scatta e resta imprigionato con le gambe spezzate a testa in giù. Alcuni muoiono subito, altri restano vivi per qualche ora». Mentre racconta, dal suo sguardo non traspare nessun tipo di emozione. Mentre parla afferra un altro sacco e sfila una rete: «Questa è una rete a tremaglio. Le trappole si nascondono nei boschi e nelle vallate tra l’erba alta o sui cespugli, mentre la rete è piazzata in un boschetto fitto. Bisogna preparare una "tagliata", una zona priva di vegetazione. Una volta pulita l’area da arbusti e rami si tende la rete. Molti uccelli muoiono tentando di liberarsi, alcuni resistono e li vendiamo al mercato nero come esemplari da richiamo. Possono valere anche 100 euro l’uno». A ottobre e novembre il bracconaggio lavora full time, non ci sono pause. È una corsa contro il tempo per catturare il numero più alto possibile di uccelli. Esi- a Polizia provinciale, pochi uomini mentre i reati sono in aumento a «Dobbiamo fare la guerra con i soldati che abbiamo». È questo l’inciso più significativo di Walter Serpellini, ufficiale della Polizia provinciale di Bergamo a capo del Nucleo ittico venatorio. Una sorta di 007 antibracconaggio che da anni setaccia la Bergamasca per arginare un fenomeno davvero pericoloso per l’ambiente. «Siamo in 17 – dice –, divisi in cinque nuclei operativi. Purtroppo siamo in pochi. Qualche anno fa eravamo in 24, poi abbiamo subìto i tagli. Non è facile perché il territorio è vasto, ma i nuclei sono esperti e affiatati. Pattugliamo tutta la provincia, dalle zone montuose, alle pianure. Dai boschi alle colline. Ci muoviamo seguendo piste ben precise dettate dai nostri appostamenti quotidiani, ma anche raccogliendo segnalazioni dei cittadini, in aumento negli ultimi anni. Ne approfitto per promuovere il nostro numero verde: 800350035, attivo 24 ore su 24». I reati venatori della stagione in corso non sono in diminuzione, anzi le proiezioni sembrano disegnare un possibile aumento rispetto al 2011. «Da gennaio a ottobre – spiega Serpellini – abbiamo rilevato 73 violazioni penali e 182 amministrative. Nello stesso periodo del 2011 i reati penali sono stati 65, mentre quelli amministrativi 195. Il fatto più grave è successo ad agosto. Quando la stagione era chiusa abbiamo sorpreso un cacciatore che di notte ha abbattuto un cinghiale con un fucile detenuto illegalmente, con la matricola abrasa. Il mese scorso invece un’altra persona senza licenza di caccia aveva catturato 31 uccelli protetti utilizzando i richiami acustici elettromagnetici, che sono proibiti dalla legge». Per contrastare il bracconaggio occorre tempo e pazienza, è un fenomeno radicato da generazioni e difficile da estirpare. «La nostra sala operativa – con- clude – è attiva dalle 6,30 alle 19,. Gli uomini sul territorio comunicano tra loro e con la centrale attraverso le radio. I posti più a rischio sono ovviamente le zone montuose. I bracconieri di ungulati agiscono soprattutto di notte e non è facile stanarli. Anche i boschi e le colline sono battute dai bracconieri. Calano gli archetti, ma aumentano richiami acustici e trappole a molla. Chiaramente le tecniche si evolvono, il problema esiste e va combattuto. La fauna nella nostra provincia è in buona salute, non ci sono particolari rischi di estinzione a parte la fauna tipica di monte. Gallo forcello e coturnice in primis. Vanno protetti e tutelati». ■ G. M. Un agente della Polizia provinciale ©RIPRODUZIONE RISERVATA 25 L’ECO DI BERGAMO DOMENICA 18 NOVEMBRE 2012 a Forestale in prima linea «Siamo in emergenza» Personale insufficiente nella nostra provincia Nell’ultimo maxi blitz denunciati 2 bergamaschi stono anche vere e proprie squadre: «Da solo non riuscirei mai a raggiungere questi numeri – spiega il bracconiere – in un paio di mesi congelo circa 10.000 uccellini –. Ho alcune persone che mi aiutano. Gli fornisco trappole e reti, per una giornata di lavoro li pago 80 euro. Sono ragazzi o pensionati. In 4-5 ore portano a casa anche 300 esemplari. Alcuni vanno in Sicilia a caccia di cardellini, in quel caso il guadagno aumenta perché il rischio è mag- giore. Ho degli amici che organizzano settimane in Romania, al rientro hanno i furgoni stracolmi». Finita la migrazione, i bracconieri non si fermano. D’inverno tocca ai camosci, alle lepri, ai cervi e agli uccelli rapaci. «Andiamo nelle riserve con le carabine silenziate – conclude – oppure nei parchi regionali. Capita che si sconfini. I camosci li trovi in Trentino, possiamo venderli anche a 50 euro al chilo. Le lepri e i cervi vengono pagati meno, però ci rifacciamo con le corna da imbalsamare oppure con i rapaci e i predatori: gufi, falchetti, poiane, civette, persino ermellini. Il mercato degli animali imbalsamati è ancora fiorente. Per me è un divertimento. Le battute di caccia mi danno adrenalina, quando torno con il carniere stracolmo è una soddisfazione. In più, a conti fatti, metto in tasca un secondo stipendio». ■ ©RIPRODUZIONE RISERVATA a Stavolta a finire in trappola sono stati loro, i bracconieri. Con le due operazioni «Pettirosso» e «Volo sicuro» – concluse nei giorni scorsi tra le valli lombarde dal Corpo forestale dello Stato, in collaborazione con il Comando provinciale dei carabinieri di Brescia e del Nucleo Lombardia guardie giurate Wwf Italia – il bracconaggio ha subito un duro colpo. Tra i 110 denunciati ci sono anche due bergamaschi: dovranno rispondere di maltrattamento di animali, furto venatorio, omessa custodia, porto abusivo di armi, caccia di specie protette attraverso l’uso di mezzi non consentiti e ricettazione. Nel blitz oltre ad archetti, richiami acustici elettromagnetici, trappole e reti sono stati sequestrati circa 700 uccelli di specie protette: pettirossi, capinere, lucherini, cince. Un elenco lunghissimo di migratori che dai cieli lombardi, invece di arrivare nelle tiepide terre nordafricane, finisce sulle tavole di ristoranti e case private. La polenta e osei, uno dei piatti più ricercati del nostro territorio, è diventato un business per i bracconieri che dai primi di ottobre a metà novembre (ma quest’anno, per il caldo anomalo e prolungato, anche più in là) catturano illegalmente gli uccellini e si infilano nelle tasche svariate migliaia di euro. Il Corpo forestale è sempre all’erta, anche se, come sottolinea il comandante provinciale Aldo Valenti, la situazione bracconaggio nella Bergamasca non è così drammatica come in provincia di Brescia: «Sul nostro territorio – spiega – il problema esiste, non deve essere sottovalutato, ma non è così dilagante come nel Bresciano. Il nostro Comando è attivo con una quarantina di uomini, divisi in 12 comandi stazio- La centrale operativa bergamasca del Corpo forestale Aldo Valenti ne. Le zone più battute dai bracconieri sono la Val Cavallina, la media Valle Seriana, le colline attorno a Sarnico e alcuni tratti dell’Alto Sebino. Per quanto riguarda invece il bracconaggio di ungulati (camosci, cervi, stambecchi, caprioli) e lepri, i luoghi a rischio sono le montagne. Da Vilminore di Scalve a Gromo, fino a Piazza Brembana». Per cogliere in flagrante i bracconieri però servono tempo, pazienza e soprattutto disponibilità di uomini. E il Corpo forestale in provincia di Bergamo è decisamente in emergenza: «Abbiamo una carenza di personale troppo pesante – continua Aldo Valenti –: per contrastare il bracconaggio occorre fare appostamenti, soprattutto notturni, e per gli appostamenti sono necessari più uomini. Il nostro organico dovrebbe essere raddoppiato per riuscire a garantire interventi efficaci. Rispetto agli anni scorsi siamo più scoperti per quanto riguarda il bracconaggio. Le direttive nazionali, oltre al lavoro di routine, ci impongono altre mille attività. Dalla sicurezza alimentare ai controlli nel biologico, negli allevamenti, nelle discariche. Per contrastare in maniera efficace anche il bracconaggio ci servono più risorse, altrimenti è una missione impossibile». ■ Gi. Me. ©RIPRODUZIONE RISERVATA a Mauri (Wwf): «Troppi interessi Servono pene severe e leggi moderne» a All’interno dell’Oasi Wwf di Valpredina a Cenate Sopra vengono curati uccelli e animali selvatici feriti da incidenti o dai cacciatori. Ogni anno durante la stagione venatoria il numero di interventi aumenta. «Da metà settembre – racconta Enzo Mauri, rappresentante Wwf per la Consulta faunistica regionale – sono arrivati nell’oasi una trentina di rapaci con lesioni più o meno gravi di armi da fuoco. In più un centinaio di uccelli morti, recuperati dalle reti illegali, e altrettanti volativi vivi, che abbiamo liberato. Erano destinati al mercato nero degli uccelli da richiamo. Il dato più allarmante è che nel periodo di caccia su 100 incidenti capitati ai rapaci 70 sono causati da fucili. Rispetto all’anno scorso ci aspettavamo una riduzione: ma alla fine purtroppo credo che saranno in aumento». Il bracconaggio è diffuso, ma secondo gli ambientalisti il problema maggiore sono i cacciato- ri regolari che non rispettano le norme. «Oltre il 90% delle violazioni – aggiunge Mauri – le commette chi ha una licenza di caccia. Questo deve far riflettere, per proteggere ambiente e fauna servono leggi più severe e pene più pesanti. Negli anni scorsi la Regionale ha ridotto la sanzione generica di base per le violazioni venatorie da 200 mila lire a 30 euro. Inoltre la legge statale sulla caccia, la 157, risale al 1992 e dev’essere rivista, perché le pene sono irrisorie. Se un bracconiere viene sorpreso a cacciare uccelli protetti nelle riserve o con trappole illegali rischia soltanto una multa dai 465 euro a un massimo di 2.066. Nel 1800 i bracconieri venivano puniti con multe salatissime, oggi hanno vita facile. In più la maggior parte dei reati venatori finisce prescritta. Ho l’impressione che siano considerati reati di serie B...». La caccia è considerata un hobby o uno sport, ma per qual- Enzo Mauri cuno diventa un business che frutta parecchi soldi. «I bracconieri – dice Mauri – cacciando di frodo guadagnano illegalmente e vanno puniti, ma i problemi più grandi sono altri. Intorno alla caccia gravitano interessi e poteri. I cacciatori tra Bergamo e Brescia sono moltissimi e pure loro sono potenziali elettori. Per i politici è sconveniente dare un giro di vite alle vecchie normative. Un esempio è il Piano faunistico venatorio, sospeso dal Tar nel 2010. Da quasi tre anni andrebbe riformulato, invece tutto è fermo. Per tutelare davvero fauna e specie protette occorre intervenire presto e concretamente con una legislazione seria e moderna, al servizio della natura e non degli interessi personali». ■