A PROPOSITO DELLA SOLUZIONE FINALE

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A PROPOSITO DELLA SOLUZIONE FINALE
A PROPOSITO DELLA SOLUZIONE FINALE
L’OLOCAUSTO FU PREMEDITATO?
UN MITO DURO A MORIRE, NONOSTANTE GAZA...
DINO ERBA
Ciò che il borghese molto cristiano
del ventesimo secolo non perdona a Hitler,
non è il crimine in sé, è il crimine contro l’uomo bianco.
Di avere applicato all’Europa metodi colonialisti
fino ad ora subiti solo dagli arabi,
dai lavoratori indiani e dai negri d’Africa.
Aimé Césaire
Poeta della Martinica
Nato a Basse-Pointe il 26 giugno 1913
Morto a Forte-de-France il 17 aprile 2008
L’ultimo eccidio di Gaza ha riproposto con cinica puntualità il genocidio subito dagli ebrei nel
corso della Seconda guerra mondiale, quasi fosse un’attenuante per i crimini dello Stato di Israele.
Così proposto, l’Olocausto è un argomento in cui un’emotività, più che giustificata, stravolge i termini assai intricati della tragedia, confondendo uno Stato con un’etnia, un’etnia con una religione e
infine la classe dirigente dello Stato di Israele con sua la popolazione, fatta di borghesi e proletari1.
Si dimentica poi che sono stati molti i popoli che hanno subito genocidi: dai nativi d’America e
d’Africa, agli armeni e ai rom, per citare qualche esempio. Ma quelli sono finiti nel dimenticatoio.
Ben diverso è il destino degli ebrei. Gli ebrei sono diventati la coscienza infelice della borghesia
e la memoria del «torto» che fu a loro inflitto non accenna a sedarsi, se non al prezzo di una distorsione mistificante dei fatti, in cui il pilastro portante è la folle premeditazione hitleriana
dell’Olocausto.
Più volte è stato osservato che lo sterminio degli ebrei era contemplato nel Mein Kampf di Adolf
Hitler. Ma, tra il dire e il fare, c’è di mezzo il mare. Soprattutto quando si parla di fascismo, movimento politico quanto mai ondivago.
Con una felice metafora, Trotsky paragonò il fascismo a quelle botteghe ebree, sparse nelle plaghe più sperdute della vecchia Russia, dove si vendevano le merci più disparate, ma tutte di poco
valore. E con la furbizia di quei mercanti ebrei, il fascismo seppe trasformare rapidamente il proprio
programma, seguendo quella tradizione italiana, che Mussolini a parole tanto deprecava. Il trasformismo fascista è ben rappresentato dal film La Marcia su Roma di Dino Risi, del 1962, in cui si
1
Un altro mito del Ventesimo secolo sono le presunte origini «socialiste» di Israele. In realtà: «Il sionismo, che tentava di assicurare al popolo ebreo un territorio in Palestina e che aveva costituito un Fondo Nazionale per acquistare le
terre, in occasione del 7° Congresso sionista di Basilea [1905], si divise in una corrente tradizionalista, che restava fedele alla costituzione dello Stato ebreo in Palestina, e in una corrente territorialista, che era per la colonizzazione anche
altrove, e nello specifico nell’Uganda, offerta dall’Inghilterra. Solo una minoranza di socialisti ebrei, i Poalé-Sion di
Ber Borochov, restarono fedeli ai tradizionalisti, tutti gli altri partiti socialisti ebrei di quegli anni, come il partito dei so
cialisti sionisti (S.S.) ed i Serpisti - una sorta di riproduzione negli ambienti ebrei dei Socialisti Rivoluzionari russi - si
dichiararono per il territorialismo. La più vecchia e la più forte organizzazione ebrea del mondo dell’epoca, il Bund, era,
come è noto, assolutamente contraria alla questione nazionale, per lo meno in quel periodo». Gatto Mammone [Virgilio
Verdaro], Le conflit arabo-juif en Palestine, «Bilan», a. IV, n. 31, maggio-giugno 1936, p. 1029. Durante la rivoluzione
d’Ottobre, i «territorialisti» e il Partito Operaio Ebreo Socialista aderirono alla sezione ebraica del Partito Comunista,
cfr Nathan Weinstock, Storia del sionismo. Dalle origini al movimento di liberazione palestinese, Massari Editore, Bolsena (Viterbo), 2006, p. 47.
1
narra la vicenda di due povere camicie nere, Gassman e Tognazzi, che, avvicinandosi alla Capitale,
via via depennano i punti del Programma di piazza San Sepolcro, in base al quale era avvenuta la
loro adesione al fascio.
L’eterogeneità di intenti e il trasformismo del fascismo erano dettati dalla necessità di conciliare,
o meglio di subordinare, gli interessi della propria base di massa piccolo borghese a quelli del grande capitale nazionale, che teneva i cordoni della borsa2.
In apparenza, il nazismo tedesco fu più coerente del fascismo italiano. Ma solo in apparenza.
Nel suo assalto al potere, il nazismo si scagliò ferocemente contro le organizzazioni politiche e
sindacali del movimento operaio. Nel gennaio 1933, quando Hitler divenne cancelliere, che, ricordiamo, avvenne per via democratica, i nazisti internarono e uccisero nei lager decine di migliaia di
comunisti, socialisti, anarchici, lavoratori combattivi e intellettuali non conformisti3. Solo dopo aver
stroncato l’opposizione sociale, passarono all’aperta aggressione degli ebrei, che ebbe il suo momento clou nel novembre 1938, - cinque anni dalla presa del potere -, quando scatenarono la cosiddetta «Notte dei cristalli».
Malgrado le leggi razziali di Norimberga fossero state approvate nel 1935 (Congresso del Partito
Nazionalsocialista Tedesco del Lavoro - Nsdap -, 15 settembre 1935), sino al novembre 1938, gli
ebrei più che persecuzioni avevano subito discriminazioni, spesso anche violente, ma saltuarie, che
avevano colpito soprattutto commercianti e professionisti benestanti, determinandone l’emigrazione
verso Francia, Inghilterra, USA e, solo in parte, verso la Palestina, allora sotto mandato britannico.
Tra gli emigrati, c’erano molti intellettuali e scienziati, tra i tanti Albert Einstein, il cui esodo indebolì la struttura tecnico-scientifica del Reich4. Questa fu una delle prime conseguenze negative
dell’antisemitismo nazista, ma si vide poi.
Di fronte all’emigrazione e soprattutto di fronte al pogrom del novembre 1938, la «potente lobby
ebraica internazionale» levò proteste di circostanza, con scarse conseguenze apprezzabili. E non poteva avvenire diversamente, dato che la «potenza» della lobby ebraica è uno dei miti del Ventesimo
secolo, nato sulla sciagurata influenza dei Protocolli dei Savi di Sion. La cosiddetta lobby ebraica
non è altro che un componente del mondo degli affari, il cosiddetto «grande capitale», che, occasionalmente, cerca di far valere propri interessi particolari. Nulla di più. Marx mette in luce come il
capitale sia un’entità del tutto anonima, che cancella ogni legame particolare, non solo etnico, ma
anche familiare, come ben ricorda un altro ebreo, Saul Bellow, in un suo brillante racconto5. Inoltre,
anche il famoso rapporto dell’ebreo con il denaro non è altro che una reminiscenza di un remoto
passato pre-capitalista, come spiega Abram Léon6. E poi, esiste veramente una «razza» ebrea?
La stragrande maggioranza degli ebrei tedeschi era costituita da piccolo borghesi - commercianti,
artigiani e professionisti -, che i processi di razionalizzazione capitalista, allora in atto, soprattutto
nel commercio7, non potevano assorbire, anzi avrebbero accresciuto. Nel suo insieme, la piccola
borghesia tedesca, ebrea o meno, era un lascito non risolto della fase nascente del modo di produzione capitalista, che in Germania si era imposto in ritardo, rispetto a Inghilterra, Olanda e Francia,
Paesi dove quello strato sociale aveva trovato sbocco nelle colonie d’oltre mare, sia in attività autonome sia nell’amministrazione statale.
2
Cfr. Daniel Guérin, Fascismo e gran capitale, Schwarz, Milano, 1957 [Nuova edizione, Erre Emme, Roma, 1994].
3. Cfr. Marco Rossi, Asociali e renitenti al lavoro nella Germania nazista, in Martine-Lina Riesenfeld, Marco
Rossi, Augustin Souchy, Rolf Theissen, Peter Walter, Johanna Wilhelms, Piegarsi vuol dire mentire. Germania: la Resistenza al nazismo nella Ruhr e in Renania (1933-1945), Zero in Condotta, Milano, 2005. Durante il regime hitleriano,
i tribunali penali civili condannarono a morte 16.000 tedeschi. Complessivamente i tedeschi uccisi dalla violenza nazista furono 130.000, di cui 5.000 dopo l’attentato a Hitler del 20 luglio 1944.
4
Salvo diversa indicazione, i riferimenti sono tratti da William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, Einaudi, Torino, 1963.
5
Saul Bellow, Quello col piede in bocca e altri racconti, Mondadori, Milano, 2000, p. 40.
6
Abram Léon, Il marxismo e la questione ebraica, Prefazione di Nathan Weinstock, La Nuova Sinistra - Samonà e
Savelli, Roma, 1972 [Reprint Giovane Talpa 2005].
7
La NSDAP aveva sostenuto un demagogico programma avverso alla grande distribuzione organizzata e favorevole
al piccolo dettagliante; giunta al potere, fece il contrario.
3
2
Negli anni Trenta, gli ebrei tedeschi erano circa 520.000, meno dell’1%, rispetto a una popolazione di oltre 60 milioni8. Ciò nonostante, la cosiddetta questione ebraica divenne la pretestuosa
versione razzista del problema della popolazione eccedente che la crisi del 1929 aveva aggravato.
Le soluzioni proposte dai nazisti oscillarono tra l’esodo (o meglio espulsione) e la proletarizzazione
forzata, o meglio schiavizzazione degli ebrei. In quegli anni, leggi antisemite furono adottate in Polonia, Ungheria, Lituania9, Paesi che avevano una notevole percentuale di popolazione ebrea.
Dal momento che l’esodo diventava sempre più improbabile - poiché nessun Paese più o meno
democratico voleva gli ebrei -, mentre la Germania, da una condizione di disoccupazione dilagante,
sulla spinta dell’economia di guerra, passava alla carenza di forza lavoro10; la proletarizzazione forzata degli ebrei prendeva così il sopravvento.
Il passaggio dalla disoccupazione alla carenza di forza lavoro avvenne in modo molto repentino
e inizialmente ne ebbero chiara percezione solo gli ambienti più legati all’economia e alla produzione. Con la guerra, la caccia alla forza lavoro a basso costo divenne spasmodica e, alla fine del
1944, circa sette milioni e mezzo di civili stranieri - ai quali si aggiungevano due milioni di prigionieri di guerra - lavoravano nelle fabbriche, nei cantieri e nei campi del Terzo Reich.
Sull’altro versante, le correnti razziste politico-ideologiche, rappresentate soprattutto da Alfred
Rosenberg, Julius Streicher, Heinrich Himmler e Joseph Göbbels, vedendo venir meno le possibilità
di esodo (in cinque anni gli ebrei «emigrati» erano stati 170.000), cercarono di far prevalere
l’ipotesi del genocidio. Ma come? Fu in queste circostanze che il 9-10 novembre 1938 avvenne la
«Notte dei cristalli», organizzata nell’intento di suscitare nella popolazione tedesca l’odio e le conseguenti azioni contro gli ebrei. Nonostante fossero martellanti, le campagne antisemite del regime
non ottennero il risultato auspicato.
Il pogrom vide come protagonisti quasi esclusivamente i militanti della Nsdap, e con numerose
defezioni; contrariamente ai desideri di Göbbels e dei suoi amici, la partecipazione popolare fu scarsissima, anzi ci furono alcune, seppur rare, proteste. Non solo, il pogrom provocò dissidi all’interno
dello stesso partito nazista, da parte di alcuni componenti che disapprovarono la «distruzione di
beni patrimoniali priva di senso ai fini economici». Dopo qualche mese, i 30.000 ebrei internati –
circa 700 morirono durante la prigionia -, furono liberati con la promessa di espatriare e molti
furono espropriati dei loro beni11. Il regime dovette comunque attenuare le misure antiebraiche,
diluendole nel tempo. Tanto che, fino al 1943, quando fu raggiunto il punto di non ritorno e la
«questione ebraica» aveva superato i confini del Reich, numerosi esponenti delle élite ebraiche tedesche coltivarono l’illusione che l’antisemitismo nazista si sarebbe addolcito con il passare degli
anni e che si sarebbe trovata una dimensione di vivibilità per gli ebrei in Germania. Illusione criminale, sicuramente, secondo Hanna Arendt, ma che nasceva da situazioni molto contraddittorie.
La «questione ebraica» era affidata alle SS, tra le quali agivano sia le spinte «economiche» sia le
spinte «ideologiche» genocide tout court di un Rosenberg. Le due facce della «soluzione finale»
possono essere identificate nelle indicazioni date dalla conferenza di Wannsee e nell’attività delle
Einsatzgruppen.
Al Processo di Norimberga, fu indicata come prova ufficiale del progetto di «soluzione finale» la
conferenza di Wannsee, che si svolse il 20 gennaio 1942 e alla quale parteciparono funzionari del
8
Cfr. http://www.olokaustos.org/guida/. Fin dall’inizio del secolo, in Germania era in corso un processo di «secolarizzazione», confermato dal numero crescente di matrimoni misti, che nelle grandi città sfiorarono il 50% della popolazione ebrea, cfr. Abram Léon, Il marxismo e la questione ebraica, cit., p. 183-184.
9
Ibid., p. 192. Inoltre, nelle colonie africane e asiatiche, nonché negli Stati Uniti d’America dilagava l’apartheid.
10
Dal 1933 al 1939, la Germania passò da circa 6 milioni di disoccupati a poche decine di migliaia, quantità fisiologica. Il 12 aprile 1937, la Germania avanzò all’Italia la prima richiesta ufficiale di mano d’opera. In questo modo, anche l’Italia poteva risolvere il proprio problema della popolazione eccedente, cfr. Cesare Bermani, Al lavoro nella Germania di Hitler. Racconti e memorie dell’emigrazione italiana 1937-1945, Bollati Boringhieri, Torino, 1998, pp. 8 e 9.
Per la politica economica nazista, è sempre valido Charles Bettelheim, L’economia della Germania nazista, Mazzotta,
Milano, 1973.
11
La rapina fruttò al regime circa un miliardo di marchi. In precedenza, il 2 maggio 1933, un altro esproprio aveva
colpito le organizzazioni sindacali libere, fruttando 184 milioni di marchi, che finirono nelle casse del Fronte tedesco
del lavoro, il sindacato di Stato. Cfr. Marco Rossi, Asociali e renitenti al lavoro nella Germania nazista, cit ,. p. 91.
3
governo, del partito e ufficiali delle SS. Alla conferenza fu stilato un protocollo che, tra l’altro, precisava:
«Adesso, nell’ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con una direzione adeguata. In grandi squadre di lavoro, con
separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale»12.
La linea guida era il «lavoro», ovvero l’obiettivo di disporre di una forza lavoro a costi minimi,
tendenzialmente zero. Il sogno di ogni buon capitalista.
Quasi un anno prima della Conferenza di Wannsee, nel marzo 1941, in previsione dell’invasione
dell’Unione Sovietica (che sarebbe avvenuta nel giugno 1941), Hitler e Himmler stabilirono che i
reparti speciali delle SS (le Einsatzgruppen, letteralmente Unità Operative, costituite da Reinhard
Heydrich nel 1938 in occasione dell’Anschluss) avrebbero provveduto a eliminare ebrei e comunisti
(o meglio, nella logica hitleriana, i giudeobolscevichi). Nel corso della guerra, le Einsatzgruppen
uccisero da 1.300.000 a 1.500.000 ebrei, comunisti, zingari, prigionieri di guerra, nonché gli oppositori della «liberazione» tedesca. Inizialmente, le Einsatzgruppen si astennero dall’uccidere donne
e bambini, ma presto dovettero ubbidire agli ordini di Himmler13. Anche in questa macabra occasione, si manifestò il contrasto tra le esigenze militari e l’ideologia genocida. Militarmente, le Einsatzgruppen avrebbero dovuto svolgere operazioni di «pacificazione» delle retrovie appena conquistate. E a questo scopo, le fucilazioni sarebbero state più che sufficienti. Ma non più, quando subentrò la logica genocida. I tecnici della morte cominciarono allora a studiare sistemi più efficienti, tra
cui l’utilizzo del gas. Il gas, lo Zyklon B, venne fornito da aziende del gruppo chimico IG Farben
(dove tra gli altri fu distaccato, e salvato, il chimico ebreo Primo Levi), che sicuramente era interessato a questo promettente mercato, e non certo per motivi «patriottici», ma altresì era interessato a
disporre di mano d’opera a costo «zero»14. Basterebbe questa semplice constatazione per farci capire come la «soluzione finale» si dibattesse nel letto di Procuste della logica del modo di produzione
capitalista, logica acefala, dove prevale il demenziale mors tua vita mea, anche se poi il tutto va in
malora. Non per nulla, anche un fermo sostenitore della premeditazione genocida, Daniel Jonah
Goldhagen, descrivendo le tecniche naziste di sterminio degli ebrei, usa l’espressione «autolesionismo economico»15.
Guardando la questione da un punto di vista più generale, si può arguire che le spinte economiche traessero dall’ideologia razzista una comoda giustificazione allo sfruttamento estremo della forza lavoro. E che, contemporaneamente, l’eliminazione dei «deboli» traesse spunto da ideologie eugenetiche allora di «moda» in Paesi non sospetti, come la Svezia, e in persone altrettanto non sospette, come il giovane Salvador Allende16. I cattolici consideravano il nazismo un’ideologia neo
pagana e si opposero alle sue pratiche eugenetiche; e, trovando largo consenso in ambienti laici,
12
Il testo completo in lingua italiana del verbale della conferenza di Wannsee è disponibile in: Il verbale della conferenza di Wannsee, sito web http://www.olokaustos.org/guida/.
13
Già alla fine del 1942, quando il bisogno di operai-schiavi cominciò a farsi acuto, Himmler stesso ordinò che il
numero delle uccisioni nei campi di concentramento «venisse ridotto», cfr. Nazi Conspiracy and Aggression (parte degli
Atti del processo di Norimberga), IV, pp. 823-835, cit. in William L. Shirer, Storia del Terzo Reich, cit., p. 1239.
14
La stessa tipologia dei campi di concentramento e di sterminio era assai composita, di modo che è difficile trarre
delle conclusioni univoche, da cui desumere uniformità di intenti. Oltre ai ventitre campi principali sviluppatisi durante
la Seconda guerra mondiale, i nazisti istituirono migliaia di sottocampi d’ogni genere: campi per lavoratori stranieri,
campi di educazione al lavoro (Arbeitserziehungslager), campi per criminali, campi per prigionieri di guerra, campi per
civili, campi per adulti e bambini. Vi erano anche campi di transito (Durchgangslager), campi di raccolta (Sammellager), cinquecento ghetti forzati e novecento campi.
15
Daniel Jonah Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’olocausto, Mondadori, Milano,
1998, p. 327. Per inciso, agli argomenti usati da Goldhagen per sostenere l’antisemitismo «congenito» dei tedeschi, se
ne possono opporre molti altri di segno contrario, come fecero allora molti intellettuali tedeschi, tra cui Thomas Mann
(nonostante la discutibile asserzione di Goldhagen). Per la tesi opposta a quella di Goldhagen, è sempre valido: Hans
Rothfels, L’opposizione tedesca al nazismo, Introduzione di Leo Valiani, Cappelli, Bologna, 1963.
16
Cfr. Jacopo Iacoboni, Allende odiava ebrei e rivoluzionari “Sono psicopatici”, «La Stampa», 4 maggio 2005.
4
dettero vita a un argine, e spesso non solo etico, contro i provvedimenti del regime. Ma, al tempo
stesso, i cattolici, fino al Concilio Vaticano Secondo (1962), nelle liturgie del Venerdì Santo, pregavano per i «perfidi giudei», ovvero per la redenzione del popolo «deicida». Auspicandone la conversione alla «vera fede». Pur non avendo tutte le carte in regola, anche i cattolici tedeschi contribuirono a ostacolare la politica antisemita del nazismo.
Questo brevissimo excursus merita sicuramente ampi approfondimenti. Pur nella sua estrema essenzialità, l’excursus tratteggia tuttavia uno scenario molto variegato e contraddittorio. Di conseguenza, ci sembra aleatorio voler ipotizzare che il regime nazista avesse architettato un piano preordinato di sterminio degli ebrei, anche se rilevanti ambienti nazisti ne sostenevano con protervia la
necessità e fecero di tutto per attuare enormi massacri. La stessa attuazione dei massacri presenta
aspetti comunque contraddittori, che dovrebbero servire per abbozzare un’interpretazione alternativa alla mitologia antifascista democratica, che ha il suo pilastro portante nella tesi della premeditazione dell’Olocausto. Questa mitologia è stata costruita per trovare un facile capro espiatorio, il tedesco!, che eludesse le vere cause di un orrore, che scaturiva dalle viscere stesse del modo di produzione capitalista17.
Nel dopoguerra furono poche le voci che, nella sinistra rivoluzionaria, si levarono contro tale
mitologia, tra queste ci fu quella dei comunisti internazionalisti,che, nell’articolo Auschwitz ovvero
il Grande Alibi, sviluppavano su solide fondamenta una critica orientata a criteri di classe18. Ma, fu
una voce fuori dal coro, che si attirò, dai soliti zelanti democratici, l’accusa di antisemitismo.
Infine, scusate, la macabra contabilità (peraltro ufficiale19), solo nell’area europea nei sette anni
di guerra ci furono oltre 41 milioni di morti! Più della metà erano civili. E questo fu un genocidio
contro i proletari, di cui nessun democratico vuole parlare! Iniziando con la guerra di Spagna, che di
morti ne produsse più di un milione.
Poco e male sappiamo di quanto avvenne nei Paesi extra europei dell’Africa e dell’Oriente,
«colonizzati». Alla vigilia della guerra mondiale, in Etiopia, le vittime dell’aggressione italiana
furono oltre 700.000. E, inoltre, per l’Aoi i colonialisti italiani predisposero un feroce programma di
apartheid, che per la caducità dell’Impero non ebbe possibilità di attuazione, ma servì da modello al
Terzo Reich, per la Polonia occupata.
In Cina, le perdite militari e civili ammontarono a circa 7,5 milioni, escludendo le immani stragi
tra la popolazione civile causate dall’aggressione giapponese e dalla guerra tra i «nazionalisti» di
Chiang Kai-shek e i populisti di Mao.
In questa macabra contabilità è difficile distinguere chi, suo malgrado, morì combattendo e chi
invece morì sotto le bombe o di inedia, per le conseguenze della guerra.
17
A questo proposito, ricordiamo: Arturo Peregalli, Tragicamente soli! La questione ebraica nella Seconda guerra
mondiale, Colibrì, Paderno Dugnano (Milano), 2000.
18
Auschwitz ou le grand alibi, «programme comuniste», n. 11, aprile-giugno 1960, p. 415, ora in:
http://mondosenzagalere.blogspot.com/2009/01/auschwitz-ovvero-il-grande-alibi.html/. Nello stesso periodo, «il programma comunista», a. IX, n. 11, 11-24 giugno 1960, pubblicò un articolo, poi attribuito ad Amadeo Bordiga, dal titolo:
“Vae Victis” Germania, che denunciava la «criminalizzazione» dei tedeschi, dettata solo dalle esigenze di Usa e Urss,
contro le quali affermava: «Vi è ancora un’altra ardua splendida prospettiva. Non una guerra nazionale di tedeschi di
nuovo patrioti e razzisti, contro tutti. Ma una guerra civile nelle due Germanie contro i governi manutengoli
dell’America e della Russia, ossia una rinascita di classe del proletariato tedesco, il ritorno della parola della dittatura
proletaria, e della grandiosa tradizione di Marx». Splendida prospettiva, che vivamente auspichiamo.
19
Fonte: Robert Goralsky, World War Almanac 1931-1945, Putnam’s Sons, New York, 1981.
5
PERCHÉ QUESTO PAMPHLET?
Sovversivo è chiunque si oppone
al Popolo, al Partito e allo Stato,
ai loro principi ideologici
e alle loro azioni politiche.
Reinhard Heydrich, discorso alle SS.
L’eccidio di Gaza di fine 2008 potrebbe offrire una ragione sufficiente per affrontare la ricorrente
questione dell’Olocausto, dietro alla quale assassini e mandanti, i borghesi, hanno cercato di eludere
le loro responsabilità nel grande massacro del Ventesimo secolo, la guerra mondiale.
Per giunta, come affermava Aimé Césaire, la borghesia, d’Europa e d’America, con le sue filiazioni asiatiche e africane, di massacri ne aveva commessi molti, ancor prima della data fatidica del
1° settembre 1939. E altri ne commise dopo il 1945
Malgrado gli sforzi contrari, da oltre sessant’anni la condizione dei proletari di Palestina ha tragicamente stracciato il sipario di criminali ipocrisie, dietro le quali la borghesia cerca di nascondere
i propri delitti.
Oggi, in seguito al crash economico, la condizione dei proletari di Palestina si estende a crescenti
strati proletari, coinvolgendo via via tutti i senza risorse, del Sud e del Nord del mondo. Come i proletari di Palestina, tutti i senza risorse costituiscono una forza lavoro «in esubero», il cui unico destino dovrebbe essere l’estinzione. In un modo o nell’altro.
Intanto, in Italia, il «Pacchetto sicurezza» stabilisce provvedimenti che evocano le leggi «securitarie» del Terzo Reich, leggi rivolte contro i «diversi»: ebrei, omosessuali e, soprattutto, sovversivi.
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