Relatore: Prof. Gabriella Binfarè Studente: Massimo
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Relatore: Prof. Gabriella Binfarè Studente: Massimo
COMUNE DI MILANO SCUOLA REGIONALE PER OPERATORI SOCIALI Via G.D’Annunzio,15/17 – MILANO IL CAMBIAMENTO DELL’ASSOCIAZIONE LE PATRIARCHE “DA COMUNITA’ DI VITA A COMUNITA’ TERAPEUTICA” Relatore: Prof. Gabriella Binfarè Studente: Massimo Bagnaschi Corso per Educatori Professionali per le tossicodipendenze Anno scolastico: 2000/2001 Sessione Invernale Le mele marce. Nella cassetta ordinata di mele belle e lucenti, le mele marce si notano subito. Sono diverse. Si buttano via prima che guastino le altre. Anche nella vita, per qualcuno, ci sono le mele marce. Sono le persone che si “etichettano” come anormali, diverse. Hanno problemi, difficoltà. Sono scomode, dure, provocatorie. Ci chiediamo a volte cose incomprensibili. Insomma, disturbano. Quando entriamo in contatto con loro, scatta la nostra difesa. Via, fuori, se ne vadano, come se fossero, appunto “mele marce”. Pochissimi tentano di incontrare quella persona che ha la sua vita, la sua storia, le sue necessità. Da sempre la diversità non è accettata. Io ho imparato a conoscerla, ad accoglierla e a condividere le “diversità” degli altri con le mie. Ci siamo sentiti, tutti, più “normali”. Dal libro “Chi ha paura delle mele marce” di Luigi Ciotti. 2 INTRODUZIONE pag. 4 CAPITOLO I - QUALI SONO LE SOSTANZE PSICOATTIVE E I LORO EFFETTI. 1.1 Allucinogeni, L.S.D., 8 1.2 Popper 9 1.3 Ecstasy 10 1.4. Polvere d’angelo o del diavolo? 13 1.5 La Cocaina 14 1.6 Il Crack 18 1.7 Hashish, marijuana 19 1.8 Eroina 22 CAPITOLO II - COME NASCONO LE COMUNITA’TERAPEUTICHE 2.1 Origine e sviluppo. Synanon 2.2 Daytop-Village 2.3 Le altre comunità terapeutiche americane 2.4 Il modello americano e il modello europeo 2.5 Nascita delle comunità terapeutiche in Italia 2.6 Il “Progetto Uomo “di Don Mario Picchi” 27 29 30 31 34 35 CAPITOLO III - NASCITA DELLA COMUNITA’ LE PATRIARCHE 3.1 Il fondatore Lucien J. Engelmajer 3.2 La nascita dell’Associazione Le Patriarche 3.3 L’Aids e la costruzione dell’ospedale di La Mothe 3.4 L’espansione e la diffusione in tutto il mondo 3.5 Azione sociale e aiuti umanitari 38 40 42 45 48 CAPITOLO QUARTO - IL CAMBIAMENTO 4.1 Crisi del Leader e dimissioni 4.2 Comitato di transizione 4.3 Nuovo progetto terapeutico 4.4 Fine del comitato di transizione e nuova struttura giuridica 4.5 Il processo di valutazione e inquadramento del personale 4.5.1 Valutazione 4.5.2 Costruzione dell’organigramma 4.5.3 Definizione del posto di lavoro, Job description e obiettivi 4.5.4 Incorporazione definitiva 54 56 59 64 66 67 68 68 69 CONCLUSIONI 71 ALLEGATI Questionario Scheda di autovalutazione 79 88 BIBLIOGRAFIA 112 3 INTRODUZIONE 4 La storia dell’associazione Le Patriarche e del suo fondatore Lucien J.Engelmajer è l’argomento di questa tesi. Partendo da una breve presentazione delle sostanze stupefacenti attualmente in consumo, attraverso la nascita delle prime comunità terapeutiche per arrivare all’associazione Le Patriarche: la nascita, lo sviluppo e il cambiamento. La parte finale e le conclusioni sono riservate allo stato attuale della comunità e ai progetti futuri. La scelta di questa tesi parte dalla mia particolare “storia di vita” prima come tossicodipendente, poi come utente e operatore di questa comunità che da quasi 15 anni rappresenta quasi totalmente la mia vita. Sono stato molto coinvolto emotivamente da questa tesi, in particolar modo quando ho dovuto ricercare nei vecchi libri la nascita e soprattutto i sentimenti, le illusioni, i sogni, le utopie che aleggiavano nei primi anni di vita della comunità. Molte di queste illusioni nel corso degli anni sono naufragate, l’utopia di una società migliore all’interno delle stessa società è caduta proprio su quegli ideali materiali come il potere, il denaro, il successo. Lo stesso fondatore Lucien J: Engelmajer che aveva ideato e fondato tutto questo ha dovuto dimettersi sulle richieste dei responsabili che lui stesso aveva aiutato ad uscire dalla droga. Ma come la fenice che rinasce dalle sue stesse ceneri, così l’associazione Le Patriarche nel suo momento peggiore ha saputo riprendersi, mettersi in 5 gioco e cominciare un cammino verso una metodologia di lavoro, non più orientata verso la permanenza degli ospiti all’interno della struttura come comunità di vita, ma verso il reinserimento sociale. Volutamente ho cercato di effettuare un’analisi storica senza farmi prendere totalmente dalle emozioni, spero di essere riuscito a fare una fotografia reale del processo di cambiamento che negli ultimi anni caratterizza questa struttura che negli anni novanta era la più grande associazione di recupero tossicodipendenti nel mondo. Il passaggio da una gestione totalitaria a una gestione collegiale è l’altro punto che ho voluto evidenziare perché è attraverso questo cambiamento che si gioca il futuro di questa associazione. Noi responsabili, che siamo rimasti a gestire questa struttura, siamo convinti di essere sulla strada giusta, sicuramente il cammino da compiere per portare l’associazione Le Patriarche a far parte di un contesto che lavora in rete è ancora lungo e faticoso, ma di una cosa siamo certi, che nel tragitto non commetteremo più gli errori del passato. 6 CAPITOLO I Quali sono le sostanze psicoattive e i loro effetti 7 1.1 ALLUCINOGENI, L.S.D. Che cos’è? L’Lsd è un allucinogeno, sostanza che si trova in alcuni funghi o si ottiene per sintesi. L’Lsd (dietilammide dell’acido lisergico) è l’allucinogeno di laboratorio più potente, scoperto nel 1943 dal chimico svizzero Albert Hoffman. Oggi l’Lsd viene prodotto principalmente nei paesi dell’Est europeo. E’ venduto soprattutto sotto forma di gocce cosparse su pezzetti di carta dalle dimensioni di un francobollo (i cartoni), che vengono fatti sciogliere in bocca. Con 20-25 mila lire è possibile averne una quantità sufficiente per un trip, cioè un viaggio di circa due ore in un mondo di allucinazioni. Dove agisce. Agisce sul sistema nervoso simpatico (cioè autonomo dal controllo cosciente). Gli effetti ricercati Il principale effetto ricercato è quello allucinogeno: poco dopo l’assunzione si vedono gnomi, elfi, pacchetti di sigarette che camminano. I volti delle persone si deformano. Chi consuma acido ha la sensazione di poter pilotare l’allucinazione, di poter entrare e uscire a piacimento e di gestire così lo sballo. Cosa che in realtà non avviene. 8 I rischi Gli effetti spiacevoli si presentano quando l’allucinazione si trasforma in un incubo che sembra reale, dando luogo a comportamenti rischiosi: la persona può anche arrivare a ferirsi da sola, nel momento in cui cerca di uscire dal brutto viaggio. A lungo termine, i danni si manifestano con forme di ansia, depressione, forte senso di infelicità. Altro effetto molto sgradevole è il flashback, cioè il ripresentarsi dell’allucinazione anche molto tempo dopo la prima esperienza. L’allucinazione può riattivarsi in ogni momento, anche nelle situazioni più inopportune, alla fermata della metropolitana o a scuola. In questi casi la persona si spaventa e teme improvvisamente di essere diventata pazza. 1.2 IL POPPER Che cos’è? Spesso per potenziarne l’effetto, l’Lsd è associato ad alcolici e al popper, un composto liquido semisintetico a base di un idrocarburo presente nella benzina e nell’etere. Si vende in fiale da cui se ne aspirano i vapori. Una fiala costa circa 30 mila lire. L’effetto è immediato e dura una trentina di secondi, provocando stordimento, perdita di equilibrio, voglia di ridere e blande allucinazioni. I danni alla salute sono costituiti da cefalee (mal di testa), accelerazione del battito cardiaco, convulsioni e alterazioni a livello cellulare che possono portare alla formazione di tumori. 9 1.3 ECSTASY Che cos’è L’ecstasy è un preparato semisintetico nato nel 1912 in Germania. Durante la seconda guerra mondiale è stato utilizzato dai soldati tedeschi e giapponesi per eliminare il senso della fame e della fatica. Il nome scientifico del composto è Mdma (3,4-Metildiossi-N-Metilanfetamina), ma in gergo viene chiamato ecstasy, evocando presunte capacità di dare sensazioni paradisiache. Viene chiamata anche pasta o caramellina, quasi per esorcizzarne la pericolosità, in realtà provata a livello scientifico. Costa da 30 a 50 mila lire: viene ingerita con superalcolici per potenziarne gli effetti, con esiti devastanti per la salute. Dove agisce Agisce sulla regolazione della serotonina, neurotrasmettitore (molecola che serve alle cellule nervose per comunicare tra loro) responsabile del tono dell’umore. Gli effetti ricercati Chi assume ecstasy o, in gergo, mangia una pasta ha la sensazione di entrare più in armonia con la musica che sta ballando. Il suo ritmo cardiaco si sintonizza con essa. Techno, hard core, tribal e progressive sono le musiche che meglio si adattano allo scopo. L’ecstasy aumenta la resistenza alla fatica, un effetto necessario per reggere a una festa rave, che dura almeno 24 ore. Per la 10 variazione dei livelli di serotonina nel cervello, la timidezza sembra sparire per incanto e ci si sente momentaneamente più disinibiti con l’altro sesso. Sotto l’effetto della sostanza, si è spinti ad avere rapporti sessuali non protetti, anche con sconosciuti. Negli anni Settanta il principio attivo è stato sperimentato come farmaco coadiuvante per il trattamento dei pazienti depressi, ma senza successo, vista la illusorietà degli stati psichici provocati e i gravi effetti collaterali. Rischi Nell’immediato il maggior rischio per chi consuma ecstasy è l’ipertemia, cioè l’aumento della temperatura del corpo anche fino a 42-43 gradi. L’aumento, associato all’eccesso di sudorazione (dovuta al caldo delle luci e al ballo scatenato), può provocare la disidratazione, quindi il collasso e addirittura la morte. L’ecstasy provoca anche tachicardia, cioè un aumento della frequenza cardiaca, e quindi il rischio di un infarto. Il composto chimico della pastiglia è spesso difficile da metabolizzare e comporta danni a carico del fegato e dei reni. A lungo termine l’abuso di Mdma provoca conseguenze a livello neurologico: riduzione della memoria, difficoltà di concentrazione, nervosismo, ansia e insonnia. La sostanza dà dipendenza psicologica. Una persona timida che usa ecstasy scopre che con una caramellina può sentirsi subito spigliata. Questa 11 persona ogni volta che si sentirà a disagio farà ricorso alla sostanza, senza attivare mai un vero e spontaneo processo di crescita e cambiamento. L’ecstasy aumenta il rischio di incidenti stradali al ritorno dalle discoteche. Dopo aver ballato tutta la notte, aver assunto stupefacenti e aver esagerato con l’alcol, è inevitabile avere riflessi meno pronti o colpi di sonno. Tutto ciò, se si è alla guida di un auto, magari lanciata a 180 chilometri all’ora, può avere esiti tragici. La sostanza non crea una vera dipendenza fisica e questo comporta un pericolo più sottile, perché il consumatore pensa di poter controllare lo sballo. In questa idea è rafforzato dal fatto che usa l’ecstasy solo in determinate circostanze: si tratta di un consumo limitato al fine settimana, in discoteca, senza incidere sulla vita “normale” di lavoro o di studio. A un certo punto, però, ci si rende conto che, ogni volta che ci si trova in determinate situazioni, non si può fare a meno di ricorrere alla droga. Generalmente si chiede aiuto solo quando cominciano a manifestarsi in modo evidente danni neurologici. 1.4 POLVERE D’ANGELO O DEL DIAVOLO? Che cos’è? La ketamina (detta anche special K o polvere d’angelo) è un farmaco noto in veterinaria e usato come anestetico e antidolorifico per cavalli. Si trova in polvere o compresse e costa circa 20-30 mila lire a dose. La ketamina può 12 essere ingerita, sniffata o fumata, mischiata con marijuana, tabacco e prezzemolo. Dove agisce La ketamina agisce sul sistema nervoso, in particolare sui meccanismi che regolano la noradrenalina e la dopamina, molecole responsabili rispettivamente della sensazione di eccitazione e del desiderio di ripetere un’esperienza che dà piacere. Gli effetti ricercati La ketamina produce uno stato di eccitazione e blande allucinazioni. Viene utilizzata in alternativa alle anfetamine (sostanze eccitanti) o agli allucinogeni, soprattutto dagli adolescenti che non dispongono di soldi per comprare droghe più costose. I rischi Di solito la special K si abbina ad altre droghe, quindi la sua pericolosità cresce in funzione del mix utilizzato. Può provocare amnesie, difficoltà a pronunciare le parole e un deterioramento delle capacità intellettive, che può persistere anche per un anno dopo che si è cessato di farne uso. 13 In rari casi, l’abuso di questa sostanza può provocare psicosi (disturbi mentali gravi). Non sappiamo se la sostanza sviluppi tolleranza (bisogno di assumerne sempre di più perché faccia effetto) e sintomi di astinenza. Sicuramente provoca una dipendenza psicologica, dovuta al fatto che la si usa in situazioni che tendono a riproporsi con una certa regolarità, come il gruppo di amici o la serata in discoteca. 1.5 LA COCAINA Che cos’è La cocaina è una sostanza ricavata dalla pianta della Erythroxylon coca, un arbusto sempreverde che si coltiva prevalentemente in America Centrale e del Sud. Le sue proprietà stimolanti e anti-fatica sono note da centinaia di anni alle popolazioni indigene dell’America Latina, che sono abituate a masticarne le foglie per sopportare la fatica del lavoro alle alte quote delle zone andine e i crampi della fame. La cocaina si ottiene dall’estratto naturale della foglia di coca, mescolato con solventi organici combinati con acido solforico, in modo da potenziare gli effetti psicoattivi. Nel mercato illegale è presente in forma di polvere bianca, chiamata in gergo bamba, che costa oltre 180 mila lire al grammo. Si dice che i narcotrafficanti stabiliscano il prezzo di un grammo di cocaina in base a quello dell’oro pubblicato sui giornali finanziari. Generalmente viene inalata attraverso le narici o, più raramente, iniettata. In quest’ultimo caso, spesso la polvere di cocaina è mescolata con 14 l’eroina, ottenendo un composto, detto speedball, molto pericoloso, con gravi rischi di overdose e blocco respiratorio. Dove agisce La cocaina agisce sulla dopamina, un neurotrasmettitore (molecola che serve alle cellule nervose per comunicare tra loro). La dopamina è responsabile del desiderio di ripetere un’esperienza che ha dato piacere. La cocaina blocca il riassorbimento di questa molecola, in modo che il sistema nervoso continui a essere stimolato con una sensazione chiamata craving, che è appunto l’impulso irresistibile ad assumere continuamente nuove dosi della sostanza. Gli effetti ricercati Visto il costo, l’uso della cocaina è inevitabilmente connesso alla possibilità di disporre di notevoli somme di denaro. Sotto l’effetto del craving, ci sono persone che arrivano a consumare, in una notte, 4 o 5 grammi di cocaina, spendendo circa un milione. Generalmente i consumatori hanno un’età tra i 20 e i 40 anni e possono contare su una fonte di reddito stabile. Chi assume cocaina o, in gergo, sniffa la neve, ha la sensazione di avere un improvviso aumento di energia fisica. Crede erroneamente di riuscire a lavorare con miglior efficienza e di essere più produttivo. In realtà l’iperattività del cocainomane si rivela sempre farraginosa e lo porta a iniziare mille lavori, senza concluderne neppure uno. La sensazione di una amplificata percezione sensoriale fa sì che molti usino cocaina prima di un 15 rapporto sessuale, come afrodisiaco: nei maschi in effetti facilita l’erezione, tuttavia il rapporto sessuale si rivela insoddisfacente per entrambi i partner. Ancora, c’è chi la consuma durante interminabili partite a carte con gli amici (dove il gioco è solo un pretesto), chi per illudersi di essere brillante ed estroverso in società. Le motivazioni all’uso sono dunque tutte legate a scopi ricreativi. Tuttavia, per qualcuno la sostanza ha un effetto opposto: la persona, dopo aver sniffato, si chiude in se stessa, si fissa su un pensiero o un’emozione particolare, quasi sempre spiacevole o angosciante. Alcuni salgono alla guida dell’automobile e viaggiano per ore, percorrendo centinaia di chilometri, con lo sguardo fisso sull’asfalto, con grave pericolo di incidenti stradali. Altri passano giornate intere a rimettere in ordine la cassetta degli attrezzi, contando e ricontando all’infinito chiodi e viti. Altri ancora si siedono davanti al televisore guardando le immagini che scorrono finché il sonno non li stronca. Questa particolare condizione psichica successiva all’uso, nella quale il pensiero è come congelato, viene detta imbarellamento o ingessamento. Sigmund Freud nei primi del Novecento sperimentò la cocaina su se stesso e sui propri pazienti come farmaco antidepressivo. Ne abbandonò poi l’uso, accortosi dei gravissimi effetti collaterali che provocava e dell’inutilità a scopo terapeutico. 16 I rischi A breve termine l’utilizzo comporta il rischio di intossicazione acuta, segnalata dalla dilatazione della pupilla, che può provocare un innalzamento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa, esponendo al rischio di infarto. Nei casi più gravi, l’overdose di cocaina provoca il blocco delle funzioni respiratorie e la morte per soffocamento. Dopo l’uso possono perdurare, anche per parecchi giorni, alcuni disturbi al sistema nervoso come mal di testa, tremori, ansia e insonnia. Spesso il consumatore di cocaina soffre di deliri, con la sensazione di sentire sulla propria pelle il brulicare di insetti, da cui si difende grattandosi fino a provocarsi escoriazioni. In altri casi sviluppa pensieri paranoici ed è convinto di nemici che tramano contro di lui o progettano azioni aggressive. Questo delirio può assumere forme così gravi da impedire a chi ne soffre persino di uscire di casa, spingendolo al suicidio. La cocaina dà dipendenza psicologica e fisica. La crisi di astinenza si manifesta già poche ore dopo l’assunzione. Per circa una settimana il sintomo si presenta sotto forma di umore depresso, irritabilità e forte desiderio di assumere ancora la sostanza; compaiono tic caratteristici come toccarsi il naso o tirar su. Superata questa settimana, i sintomi astinenziali tendono lentamente a diminuire, tranne in alcune particolari situazioni, nelle quali tornano a riproporsi con la stessa intensità. 17 Queste situazioni possono essere provocate da stimoli ambientali, come incontrarsi con gli amici con i quali si consuma cocaina, oppure passare nei locali dove la si può acquistare. Superati due mesi senza ricorrere alla sostanza, si può considerare risolta la dipendenza fisica, ma non quella psicologica. È proprio in questo momento che sono più frequenti le ricadute. La persona si sente forte e capace di controllarsi, così ricomincia a frequentare ambienti a rischio, esponendosi alla proposta di fare un tiro. Alla quale difficilmente sarà in grado di opporsi e resistere. 1.6 Il CRACK Che cos’è? Il crack è una modalità alternativa di consumare cocaina. L’abuso di quest’ultima (vedi paragrafo precedente) porta a un aumento della tolleranza dell’organismo, che significa che si devono aumentare le dosi per ottenere gli stessi effetti. Il cocainomane cerca di evitare il fenomeno modificando non solo la quantità di sostanza assunta, ma anche la modalità. È in quest’ottica che negli ultimi anni si è sempre più diffuso l’uso di fumare la cocaina. La sostanza così com’è, però, ha una struttura chimica tale da non poter essere fumata, perché ad alte temperature si decompone il suo principio attivo. La sostanza deve allora essere modificata: viene cotta, cioè scaldata in un pentolino, in una miscela di soda e acqua, a volte anche con ammoniaca. In questo modo si ottiene il cosiddetto crack. La sostanza si presenta sotto forma 18 di cristalli, in gergo chiamati rock (pietre). Questi vengono fumati con speciali pipe ad acqua o artigianali, ricavate dalle bottiglie in plastica. Il nome crack sembra derivi dal suono che fanno i cristalli quando si rompono per effetto del calore. Per altri il termine deriva dal “rumore” delle cellule del cervello, che si distruggono dopo ogni fumata. Una definizione che la dice lunga sui danni provocati dalla sostanza. I rischi della cocaina assunta sottoforma di crack sono amplificati rispetto alla tradizionale sniffata. Il senso di onnipotenza e di forza provati dal consumatore raggiunge livelli estremi. Sotto l’effetto della sostanza, i giovani si espongono a comportamenti estremamente pericolosi, come sfidarsi ad imboccare l’autostrada contromano. In molti casi diventano aggressivi e crudeli. Infatti i giovani criminali delle grandi città americane fumano crack prima di compiere rapine oppure omicidi. Con il tempo l’impulso ad assumere quantità sempre maggiori diventa incontrollabile, con effetti devastanti sul sistema nervoso centrale. 1.7 HASHISH E MARIJUANA Che cosa sono. Hashish e marijuana derivano dalla pianta della canapa indiana (Cannabis indica). La marijuana, ricavata dalle foglie della pianta, si presenta come un trito di spezie ed erbe essiccate, mentre l’hashish, derivato dalla resina che trasuda dal gambo e dall’infiorescenza, ha un aspetto simile al dado da cucina. Il principio attivo è il Thc (delta-9-trans-tetraidrocannabinolo). È presente in concentrazione del 29 per cento nell’hashish e del 9 per cento nella 19 marijuana. In gergo questa droga è chiamata canna, fumo, cioccolato e di solito viene fumata, mischiata con il tabacco, utilizzando pipe o cartine da sigaretta. Più raramente viene utilizzata per preparare torte o infusi. Il costo della sostanza varia in funzione della sua purezza, ma tendenzialmente è abbordabile per ogni ragazzo: per procurarsi la quantità necessaria per uno spinello bastano 10-20 mila lire. Dove agiscono Il meccanismo d’azione sul sistema nervoso centrale del principio attivo Thc non è ancora chiaro: ne è stato individuato uno specifico recettore nel cervello dei mammiferi, ma non nell’uomo. Questo recettore, ammesso che esista anche nel cervello umano, sarebbe responsabile della sensazione di vaga euforia sperimentata dai consumatori di cannabis. Sembra anche che il principio attivo aumenti la concentrazione di dopamina e noradrenalina, due molecole responsabili rispettivamente del desiderio di ripetere un’esperienza piacevole e del senso di eccitazione. Gli effetti ricercati Dopo aver fumato, la persona prova una diminuzione dell’ansia, un senso di rilassamento e uno stato di euforia, con una modesta alterazione delle 20 percezioni. Aumenta la loquacità e la voglia di esprimere il proprio pensiero, spesso però a vanvera. Fumare spinelli per gli adolescenti è un modo per sentirsi uniti e condividere un’esperienza, contrapponendosi alle regole del mondo degli adulti. I rischi Negli Stati Uniti e in alcuni paesi del Nord Europa si stanno facendo studi sulla possibilità di utilizzare come farmaco il principio attivo della cannabis, in particolare come antidolorifico per pazienti affetti da tumore. Questa osservazione non deve tuttavia far credere che si tratti di una sostanza innocua o addirittura benefica. L’uso prolungato potrebbe esporre a danni al sistema nervoso centrale, in particolare alle strutture che controllano la lucidità e la memoria. La cannabis, come qualsiasi sostanza fumata, provoca danni all’apparato respiratorio: probabilmente più di 4 o 5 sigarette, perché la boccata di fumo è trattenuta a lungo nei polmoni, facilitando l’assorbimento delle sostanze nocive. Inoltre sul mercato illegale la sostanza è tagliata con prodotti chimici per aumentarne il peso. Solitamente viene mischiata con paraffina, carta da macero, fango, gomma di copertoni o sostanze chimiche anche più pericolose, come l’ammoniaca, il cui assorbimento può provocare gravi danni. La momentanea sensazione di benessere procurata dal fumo può spingere una personalità già fragile a concentrare tutta la propria vita attorno al 21 rito dello spinello. Ciò può provocare un senso di apatia e di disinteresse per la vita. L’uso della cannabis può diventare pericoloso nel momento in cui, sotto l’effetto della sostanza, il consumatore si mette alla guida di un’auto o di una moto, perché gli effetti della sostanza rallentano i riflessi. L’uso può far emergere gravi disturbi psichici, ma solo se essi sono già presenti in una struttura di personalità fragile. Non esistono dati certi sullo sviluppo di una dipendenza fisica (resta però quella psicologica) e numerose ricerche scientifiche hanno negato l’ipotesi che l’uso della cannabis fosse inevitabilmente il primo passo verso droghe pesanti. Resta comunque in discussione il fatto che i contatti con gli spacciatori, la curiosità di sperimentare sensazioni sempre più intense e la pressione del gruppo possano rendere più forte la voglia di rischiare altre esperienze. 1.8 EROINA Cos’è? Si prepara per via sintetica, trattando la morfina estratta dall’oppio con anidride acetica. In generale si presenta come una polvere finissima di colore bianco, bruno o rossastro, a seconda della purezza. Può avere odore di acido acetico. 22 Effetti prodotti Gli oppioidi, oltre a svolgere un’azione analgesica, inibiscono le funzioni della respirazione e della tosse, deprimono la ventilazione polmonare, tanto che gran parte dei decessi da overdose di eroina è determinata da insufficienza respiratoria. L’assunzione di oppioidi inibisce la liberazione di sostanze prodotte dall’ipotalamo, attraverso le quali il cervello controlla e dirige le funzioni dell’ipofisi, provocando uno scompenso degli equilibri ormonali, in special modo dell’apparato riproduttivo. Notevole è anche l’azione a livello gastro intestinale: le sostanze oppiacee ritardano i processi digestivi e deprimono la motilità intestinale. L’assunzione endovenosa di eroina provoca una sensazione di benessere e di estraneazione dall’ambiente, dalle relazioni e dai problemi connessi ed è accompagnata da prurito, restringimento delle pupille, riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. Segue un rallentamento dei processi ideomotori ed uno stato di sonnolenza. In dosi elevate o in condizioni di ipersensibilità si giunge alla depressione del sistema nervoso centrale Effetti prodotti sulla psiche. Gli oppiacei-narcotici modificano le percezioni sensoriali del soggetto assuntore il quale, effettivamente distaccato dal mondo circostante, ha la sensazione di essere “altrove”, e provocano interferenze sulla memoria e nel campo 23 dell’immaginazione e la perdita del normale ritmo veglia-sonno e delle sensazione di fame, freddo, caldo. Dopo l’interruzione della sostanza sopravviene una serie di sensazioni sgradevoli e dolorose che, nell’assuntore abituale si esaltano in manifestazioni clamorose, riassunte sotto il nome di astinenza. Dipendenza L’uso cronico degli oppioidi porta i neuroni dei sistemi regolati dalle endorfine a delegare le funzioni di controllo. Essi divengono di fatto incapaci di agire senza la presenza di sostanza tossica. Ciò comporta una progressiva riduzione di risposta alla droga e una necessità di continuo apporto esterno di oppioidi per permettere il normale funzionamento dei sistemi endorfinici, cioè la dipendenza fisica. Per tale ragione la brusca interruzione dell’uso prolungato di sostanze oppiacee provoca l’insorgere della crisi di astinenza. Con il termine “sindrome di astinenza” possono intendersi due distinti momenti, l’uno che costituisce essenza fisica dell’astinenza e l’altro che legato alla dipendenza psicologica dalla pratica tossicomanica, costituisce il periodo più sensibile alla ricaduta. La fase dell’astinenza è caratterizzata dalla comparsa in successione di sintomi soggettivi (ansia, irrequietezza, insonnia, brividi, artromialgie, nausea, dolori addominali, vampate di calore) ed oggettivi (vomito, diarrea, lacrimazione, tremore, sudorazione, sbadigli incontrollati, tachicardia, aumento dei valori pressori sistolici, febbre, midriasi evidente). 24 Negli ultimi 30 anni la risposta più efficace di fronte al problema dell’eroina è stata senza dubbio quella delle comunità terapeutiche. Le comunità terapeutiche sono strutture di tipo residenziale o semiresidenziale che offrono la presa in carico integrale del tossicodipendente ed un percorso di recupero che termina allorché il soggetto dimostri a se stesso e agli altri la sua capacità di autonomia e di “rientro”nella società. 25 CAPITOLO II COME NASCONO LE COMUNITA’ TERAPEUTICHE 26 2.1 ORIGINE E SVILUPPO. SYNANON In California (USA), nel 1958, un gruppo di persone dipendenti da eroina, sotto la guida di Charles Diederich, si organizza (seguendo il modello degli alcolisti anonimi) in una comunità denominata SYNANON. L’obiettivo era creare una società ideale; l’esperienza era rivoluzionaria, in quanto la stessa era organizzata e diretta da ex – tossicodipendenti. In questa comunità vengono accolti tutti i tipi di tossicodipendenti. Si costituiscono come gruppo di auto-aiuto con la collaborazione di professionisti della psichiatria. La comunità SYNANON vuole essere una specie di famiglia sostitutiva e si conforma come una comunità di vita alternativa che si autolimita e che, partendo da una supposta incompatibilità tra il tossicodipendente e la società, esige dai suoi membri la permanenza indefinita nell’organizzazione per assicurare il mantenimento di una vita senza droga. Infatti l’abbandono o l’espulsione dalla comunità suppone l’impossibilità del ritorno. (1) Questa comunità adotta una struttura interna rigidamente gerarchizzata in cui il residente occupa posti differenti a seconda dei suoi cambiamenti di atteggiamento e/o di condotta. (1) (1) (Roig- Traver 88, 1986; Comas 89,1978). 27 Intendendo conseguire ciò che viene chiamato “autoidentificazione” o “ritrovamento di sé stessi” e utilizzano per questo scopo quelli che vengono chiamati “Giochi di SYNANON”, una particolare dinamica di gruppo di “Attacco e Confronto” diretta dai residenti più anziani, in cui si denunciano davanti al gruppo le condotte o gli atteggiamenti negativi dei suoi membri. In SYNANON il nuovo arrivato è considerato “come un bambino” che in comunità entra in un processo di apprendimento per raggiungere la maturità. Quest’organizzazione si diffuse considerevolmente arrivando a più di mille membri, fino ad arrivare ad una profonda crisi di deterioramento dovuta al fatto di essere arrivata ad essere una setta fondamentalista e autoritaria, diretta in modo tirannico e delirante da Charles Diederich, che giunse ad inserire nella casella postale di un dissidente un serpente velenoso, nel 1987. SYNANON finì, poi, totalmente isolata e chiusa in se stessa, senza nessuna progettazione o proiezione assistenziale reale. (2) (OTTENBERG 90, 1982; MANN 91, 1987) Ma, come sottolinea O’Brien 92, nel 1985:”E’ fuor di dubbio l’influenza e l’impatto di SYNANON sulle attuali Comunità terapeutiche per tossicodipendenti. (2) (OTTENBERG 90, 1982; MANN 91, 1987) 28 2.2 DAYTOP-VILLAGE Nel 1964 alcuni membri fuoriusciti da SYNANON in collaborazione con un gruppo di professionisti dell’area Salute Mentale (psichiatria) stipula un contratto con un organismo pubblico nordamericano per l’apertura di un centro di trattamento per tossicodipendenti. Nasce così DAYTOP-VILLAGE, la prima comunità terapeutica gestita da un equipe mista composta da ex-tossicodipendenti e da professionisti. DAYTOP è ideata come una risorsa assistenziale per la disintossicazione e il successivo reinserimento del tossicodipendente. Propone un tempo limitato di permanenza in comunità dai 16 ai 18 mesi e un ritorno alla società attraverso un programma intermedio, che include l’utilizzo di appartamenti urbani e la psicoterapia di sostegno. Mantiene da SYNANON la pretesa di raggiungere, mediante la disciplina e l’aiuto reciproco, un grado di maturità necessario per il reinserimento nella società. Sostiene che la vita in comunità e le attività che in essa si realizzano hanno un effetto positivo sul tossicodipendente e riproduce una struttura interna molto gerarchizzata, simile a quella di SYNANON. Le tecniche d’intervento, per lo più di gruppo, sono qui formalizzate come “Gruppi d’incontro”, “Dinamico”, “di Controllo “, “Speciali” sono formalizzati e definiti. 29 L’intervento sulla famiglia, mediante i “Gruppi d’Incontro famigliari” si inserisce progressivamente come elemento importante nella terapia della comunità. Tutti gli studi successivi concordano nel fatto che DAYTOP sarà la matrice e il modello seguito dalla maggioranza delle comunità terapeutiche per tossicodipendenti che cominciano a proliferare nei distinti paesi, nel momento in cui la tossicodipendenza comincia ad estendersi come fenomeno sociale. (3) 2.3. LE ALTRE COMUNITA’ AMERICANE DELANCEY tossicodipendenti, STREET, è comunità specializzata completamente nell’accoglienza dei gestita da delinquenti ex(70% provengono dagli organi di giustizia) e dei senza tetto (30%). Questa comunità rifiuta ogni sovvenzione e si autogestisce attraverso le attività economiche che ha creato: ristoranti, imprese di sgombero, ecc. Hanno appena aperto una delle più grandi strutture degli Stati Uniti con oltre 300 persone in California. Ospitano un migliaio di persone. SATORI, comunità californiana creata nel 1970 da uno psichiatra, Dr Zarcone, con figure professionali specializzate (psichiatri, psicologi, infermieri) e con un programma la cui durata varia dai 18 mesi ai 2 anni. PHOENIX HOUSE, aperta nel 1967 a New York ed impiantata anche in tutto il resto del Paese, offre una gamma di servizi completa (residenziali, giornalieri, (3) (Ottenberg, 1985, Comas, 1987) 30 educativi, ecc.). I residenti preparano il loro reinserimento imparando un lavoro, attraverso il quale ritorneranno alla vita attiva. Le permanenze durano generalmente 2 anni. PORTAGE, situata nel Quebec e fondata nel 1973 da un anziano membro di Daytop (J. J. Devlin), è il punto di riferimento in Canada. Il personale è misto, diviso fra ex-tossicodipendenti e professionisti. Questo centro è controllato da un consiglio d’amministrazione che assicura il buon funzionamento del programma terapeutico. 2.3 LA COMUNITA’ TERAPEUTICA DI ORIGINE ANGLOSASSONE. SVILUPPO E CARATTERISTICHE DI BASE, MAXWELL JONES Alla fine degli anni quaranta, dopo la seconda guerra mondiale, sorge in Inghilterra un movimento di riforma nell’ambito della psichiatria. Le istituzioni manicomiali sono messe in discussione e viene denunciato il vero carattere della funzione che svolgono: asilo, controllo e custodia sociale invece che di assistenza e riabilitazione. Con l’apporto di altre scienze teoriche: la psicanalisi, la psichiatria sociale, la psicologia sociale si cercano alternative riformatrici al trattamento in Istituti residenziali per l’infermità mentale. 31 Così T.F. Maine nel 1946 pubblica un articolo “l’ospedale come Istituzione Terapeutica” dedicato ai lavori degli psichiatri del gruppo di Northfield, tra i quali Bion e Richkman. Maxwell Jones, basandosi sul suo lavoro in una serie di ospedali per più di vent’anni, pubblica vari testi che sviluppano il concetto riformatore di comunità terapeutica. Maxwell è dunque il promotore di comunità terapeutiche organizzate all’interno di istituzioni psichiatriche come soluzione alternativa al ricovero in manicomio dei malati mentali. Queste comunità permettevano di applicare procedure funzionali basate sulla partecipazione attiva e sulla terapia di gruppo. Si trattava di aprire spazi democratici nell’ambiente chiuso e gerarchizzato dell’ospedale psichiatrico. Maxwell parte dall’ipotesi che il paziente possiede un potenziale terapeutico positivo per se stesso e per gli altri malati. Anche se resta sempre un “oggetto di cure” la comunità terapeutica lo trasforma in “soggetto curante”. Maggior responsabilità così ricadono sui pazienti che decidono, insieme all’equipe degli operatori l’applicazione del progetto terapeutico e il rispetto delle regole di funzionamento dell’istituzione. L’obiettivo di Maxwell è quello di trasformare l’organizzazione dell’ospedale affinché ogni individuo, sia curato che curante, abbia maggior responsabilità e goda dell’autonomia necessaria per impegnarsi nell’azione terapeutica comune. 32 2.4 IL MODELLO AMERICANO E IL MODELLO EUROPEO I due modelli, quello europeo e quello americano, nonostante gli essenziali punti in comune, quali l’apprendimento dell’autonomia attraverso il self-help e la vita di gruppo hanno diverse caratteristiche. La cultura americana e la tipologia della popolazione tossicodipendente statunitense hanno forgiato il modello di comunità gerarchica. Qui il residente ha l’obbligo di indossare la tuta, di avere i capelli rasati, di sottoporsi a un sistema di punizioni/privilegi e a una disciplina quasi carceraria. Negli anni ’70 gli operatori terapeutici europei, cercando nuove forme di cura, si sono orientati verso la formula delle Comunità Terapeutiche. Recatisi negli Stati Uniti rimasero impressionati dagli aspetti coercitivi del modello americano. Avendo ancora vive nel ricordo le immagini delle follie autoritarie naziste, si preoccuparono del “rispetto della persona”, degli aspetti negativi “dell’obbedienza cieca” e della tendenza alla “coercizione”. Preferirono, quindi, adottare il modello democratico europeo anche se, con il passare degli anni e alla luce dell’esperienza, alcune comunità inizialmente democratiche hanno finito con l’adottare il modello gerarchico di Daytop, depurandolo dagli aspetti più coercitivi, da alcuni obblighi e adattandolo al contesto culturale del vecchio continente. Le comunità europee, inoltre, hanno introdotto i gruppi di espressione emozionale, le psicoterapie individuali e le terapie familiari. Inoltre hanno cominciato ad impiegare i residenti in fine programma come modello per gli 33 altri, e gli ex tossicodipendenti hanno cominciato a lavorare come membri delle équipe curanti. 2.5 LA NASCITA DELLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE IN ITALIA Sino al 1978 le Comunità Terapeutiche sembravano essere prerogativa dei paesi anglosassoni e scandinavi. L’Europa del Nord, infatti, sembrava più recettiva allo sviluppo di questo modello terapeutico. In seguito alla 3a Conferenza mondiale delle Comunità Terapeutiche svoltasi a Roma nel 1978, un’équipe romana ha visitato diverse Comunità Terapeutiche in Europa e negli Stati Uniti allo scopo di ricercare un modello terapeutico efficace che fosse adattabile al contesto italiano. È stato ritenuto valido il modello Daytop perché poteva funzionare con mezzi limitati, senza richiedere personale numeroso e molto istruito. Essendo i fondatori animati da valori missionari cristiani, istituirono un’opera caritativa senza l’aiuto dello Stato. Le Comunità Terapeutiche italiane si sono progressivamente trasformate ed hanno, ormai, una fisionomia ben precisa. Se da una parte si basano sul self help e su staff operativi composti in massima parte da ex-tossicodipendenti, come nelle comunità americane, si distinguono da queste ultime per diversi aspetti: si basano su un modello ampiamente compenetrato da una dimensione religiosa; devono il loro sviluppo al sostegno del Vaticano che ha ceduto delle proprietà per le loro sedi e contribuisce al loro finanziamento; gli operatori non 34 sono solamente ex-tossicodipendenti, ma anche membri del clero e fedeli formati nella comunità religiosa; la collaborazione delle famiglie è essenziale per il programma terapeutico. A partire dagli anni ’80, le Comunità Terapeutiche si sono diffuse in tutti i paesi europei. La maggior parte delle C.T. sono in contatto tra loro e, in Europa, sono coordinate da due organismi: la Federazione Europea delle Comunità Terapeutiche (EFTC) nel movimento di WFTC e di Daytop, e la Federazione degli Aiuti ai Tossicodipendenti in Europa (FATE). Le comunità differiscono le une dalle altre per la loro natura (pubblica o privata), per gli statuti e per i fondamenti (religiosi o laici) che stanno alla base della loro creazione. Differiscono, inoltre, per la loro organizzazione più o meno efficiente e soprattutto per il modello adottato. 2.6 IL “PROGETTO UOMO DI DON MARIO PICCHI” Una delle prime comunità italiane è senza dubbio Il “Progetto Uomo” di Don Mario Picchi. Nel 1979, Don Picchi che già si occupava di giovani tossicodipendenti dal 1968, fondò il primo centro di accoglienza e la prima comunità terapeutica “Progetto Uomo” a Roma con la collaborazione di operatori di Daytop (Progetto Uomo negli U.S.A.) avviando un corso sperimentale con alcuni operatori volontari, per arrivare nei primi anni 80, all’avvio dell’esperienza FICT – Federazione Italiana Comunita’ Terapeutiche. 35 Il programma classico del “Progetto Uomo” è impostato su tre fasi: La prima fase di accoglienza prevede che i ragazzi, insieme alle loro famiglie, inizino a frequentare il Centro con colloqui preliminari di conoscenza, dove formulare un contratto terapeutico fatto di regole, piccole responsabilità ed impegni che i ragazzi e le famiglie devono accettare per iniziare il cammino da fare insieme. Questa fase è necessaria per una prima conoscenza delle problematiche che la famiglia e il ragazzo vivono, per poi prepararli e motivarli al cambiamento vero e proprio. Successivamente i ragazzi passano alla fase comunità terapeutica che è solo una parte di un programma più ampio; all’interno di essa avviene il vero e proprio cambiamento dei comportamenti. Le famiglie e i ragazzi, in tempi e momenti diversi, diventano protagonisti di questo cambiamento a vantaggio di una migliore qualità della vita. Ultima fase del programma è il reinserimento, fase delicata ed importante, di verifica per alcuni aspetti, ma anche occasione per affrontare la realtà con modalità diversa. Tutto il lavoro di cambiamento è finalizzato di fatto a non rimanere chiusi in un contenitore protettivo, ma a reinserirsi nella stessa realtà, nella stessa società dalla quale si era rimasti fuori, per riappropriarsi del proprio posto e contribuire al miglioramento di questa realtà e di questa società. 36 CAPITOLO TERZO LA NASCITA DELLA COMUNITA’ LE PATRIARCHE 37 3.1 IL FONDATORE LUCIEN J. ENGELMAJER Lucien J. Engelmajer nasce il 27 novembre 1920 a Francoforte sul Mare. Membro di una numerosa famiglia d’origine ebrea residente in Polonia e trasferitasi nei primi anni venti in Francia a Metz, a causa dei gravi problemi economici in cui si trovava la Polonia. Nel 1940 si arruola volontario nell’esercito francese per combattere contro il nazismo e per ottenere la cittadinanza francese come tutti gli stranieri che combattono per la Francia, ma fugge più volte dall’esercito regolare per raggiungere e combattere nella resistenza francese. E’ ferito, catturato dai tedeschi e rinchiuso in un campo di concentramento. Dopo varie peripezie riesce a fuggire e a raggiungere i partigiani della resistenza francese. Alla fine della guerra richiede la cittadinanza francese per aver combattuto nell’esercito ma gli è negata per aver disertato. Dopo la guerra si occupa dell’organizzazione dei campi di lavoro e di vacanza per i figli dei deportati della guerra. Seguendo l’esempio del padre che era stato commerciante di mobili antichi comincia l’attività di restauratore di mobili a Tolosa. Allo stesso tempo frequenta dei corsi di psicopatologia all’università di Tolosa. 38 Ottiene con quest’attività un buon successo economico e sociale, ma si rende conto che quel tipo di vita non lo soddisfa e quindi decide di cambiare completamente, vende il negozio e l’attività e si ritira in campagna con la moglie e i tre figli. Siamo a metà degli anni sessanta e già si sente nell’aria il profumo del 68, del cambiamento, delle idee rivoluzionarie, Lucien Engelmajer acquista una cascina abbandonata chiamata La Boere nei pressi di Tolosa ed accoglie giovani provenienti da tutto il mondo, poeti, musicisti, emarginati di ogni tipo. Ben presto si rende conto che parecchi di questi giovani fanno uso di droghe: dalla marijuana all’eroina, dagli psicofarmaci all’alcool. Da “Per i drogati la Speranza” di Lucien J.Engelmajer: “Gennaio 1972. Da cinque anni io e mia moglie Renà cerchiamo di aiutare i giovani emarginati e ci troviamo di fronte al problema della droga. Accogliamo a casa nostra i resti delle “comuni” sfasciate che avevano abbandonato le loro famiglie e che adesso si trovano senza casa e senza mezzi economici”. Verso la fine del 72 cerchiamo nei pressi di Thil un luogo dove poter vivere e per accogliere coloro che verranno da noi per tentare di rivivere. In quei giorni un vicino ci ha parlato di una vecchia cascina nel comune di Saint-Paul Sur Save denominata la Boere……..” S’interroga sulle motivazioni, sul bisogno di usare droga, cerca di aiutarli ma non essendo un professionista, un esperto, prova, inventa, sbaglia, ricomincia mettendoci soprattutto il cuore. Poco a poco insieme a questo misto di passione, di comprensione, di dinamismo, sperimenta un metodo che diventerà fondamentale per il futuro dell’Associazione Le Patriarche. 39 3.2 LA NASCITA DELL’ASSOCIAZIONE LE PATRIARCHE. Nasce cosi un metodo di disintossicazione naturale chiamato “sevrage bloc” o arresto immediato di qualsiasi sostanza stupefacente con l’accompagnamento psico- affettivo al nuovo arrivato 24 ore su 24. A questo si aggiunge l’utilizzo di una fitoterapia specializzata che prevede la somministrazione giornaliera di tisane calmanti e diuretiche, di massaggi e bagni rilassanti di erbe, accompagnata da passeggiate distensive in campagna. Rimane fondamentale la presa in carico dei nuovi arrivati da parte degli stessi ex-tossicodipendenti. E’ questo il concetto fondamentale del metodo di Lucien Engelmajer. La nozione dell’auto-aiuto. La presa in carico psicoaffettiva del tossicodipendente inizia al suo arrivo con l’immediata partecipazione e inserimento nella vita del gruppo, è una presenza costante, 24 ore su 24, di uno o due ex-tossicodipendenti, una vicinanza basata su criteri di fiducia e attendibilità. Questo calore umano dà al nuovo arrivato un supporto psicologico notevole. L’ultimo arrivato, a volte anche giovanissimo, dal passato giuridicosociale generalmente pesante (fallimento scolastico, prostituzione, 40 incarcerazioni, fallimenti terapeutici, demotivazione e disinteresse progressivo, carenze affettive, asocialità palese) ha bisogno di essere confortato. Si tratta quindi di offrirgli un contesto motivazionale potente, efficace, solido, che lo metta al riparo, nei primi momenti difficili, dal pericolo di ricadute. I più “vecchi” gli parlano, lo tranquillizzano, spesso raccontando la loro storia così simile alla sua. Cosi si apre la terapia relazionale, basata sul dialogo, sull’ascolto, sulla speranza, sul rispecchiamento… Quando l’ex-tossicodipendente è disintossicato ritrova la forza fisica, la lucidità mentale e una certa capacità di riflessione. Libero dai prodotti artificiali, impara ad aiutare gli altri, ad essere solidale, a ritrovare lo spirito critico, a mettersi in discussione e poco alla volta gli ritorna la voglia di vivere. L’uso di droghe (sostanze) è un piacere immediato, superficiale; il tossicodipendente è un promotore di piaceri che si degradano continuamente e totalmente. La grande intuizione di Lucien J. Engelmajer è di trasformare questa forza distruttrice in forza costruttrice. Da “Il dovere di fermare Droga e Aids di Lucien J.Engelmajer” “Io do i mezzi per essere promotori del piacere di vivere, della gioia di esistere, di partecipare, di creare; un piacere naturale significante e che dà significato alla propria esistenza, un senso all’assoluto, amare per essere amato, vivere per aiutare a vivere, partecipare per coinvolgere gli altri nella partecipazione, comunicare ed imparare ad essere responsabili”. 41 L’ergoterapia. La riabilitazione si ottiene anche attraverso il lavoro (ergoterapia). La crescita, la maturità, la presa di coscienza di una nuova responsabilità all’interno di un gruppo in relazione ad un’attività in un centro. In questo periodo sono disponibili svariate attività che permettono l’apprendimento di un lavoro. La formazione professionale e la formazione umana permettono a questi giovani di ritrovare la loro dignità, di dare un senso alla loro esistenza a ritrovare quindi la loro identità. Diventano partecipi di un nuovo modo di vivere, costruendo una base di partenza per riprendersi il tempo perduto negli anni della loro tossicodipendenza. 3.3 L’AIDS E LA COSTRUZIONE DELL’OSPEDALE DI LA MOTHE Alla fine degli anni 70 Lucien Engelmajer ha già accolto nelle sue strutture migliaia di tossicodipendenti provenienti da tutto il mondo. Le innumerevoli complicazioni mediche dovute all’uso di sostanze stupefacenti, soprattutto inerenti al modo di somministrazione delle droghe (per via endovenosa) e al disastroso tipo di vita (prostituzione, carcere, vita 42 disordinata) dei tossicodipendenti convince Lucien Engelmajer della necessità di dare un maggior impulso medico all’associazione Le Patriarche. Nasce cosi nel 1983 l’ IDRET (istituto di documentazione e ricerca sulla tossicomania) il cui scopo è di documentare, registrare ed indagare sulle malattia correlate alla tossicodipendenza. Le prime malattie di cui l’Idret si occupa sono le endocarditi, le malattie sessualmente trasmissibili e l’epatite b. I primi risultati sono la nascita e la strutturazione in ogni centro di una farmacia, la pubblicazione di studi effettuati su un numero elevato d’ospiti di Le Patriarche e l’istituzione di un follow up sistematico (cartella medica individuale) per ogni ospite. Gli anni 80 e l’apparizione dell’ Hiv moltiplicano questo sforzo e gli studi, i seminari si moltiplicano, viene ideato un follow up standardizzato per ogni sieropositivo all’Hiv. Una rete internazionale di medici e paramedici contribuisce ad uno screening permanente degli ospiti dell’associazione. Nel 1987 nasce una struttura specifica di sostegno e aiuto ai sieropositivi all’Hiv. Si tratta dell’Associazione ADDEPOS (associazione dei diritti e dei doveri dei sieropositivi e dei portatori del virus dell’Aids) caratterizzata da una responsabilizzazione dei sieropositivi e dei malati nel quadro della vita sociale ma anche in quello della loro malattia e addirittura della ricerca medica. 43 La piena responsabilizzazione avviene in termini di lotta contro la discriminazione, di mutuo sostegno, di aiuto reciproco e di partecipazione di ciascuno all’evoluzione dei concetti sociali e allo sforzo scientifico. La chiave di volta è la rinuncia all’anonimato, attitudine all’avanguardia ma poco raccomandata in una società fredda che preferisce non sapere, tenere nascosto e usare l’ aids solo per motivi scandalistici e quasi colpevolizza chi ha condotto una vita diversa (omosessuali, tossicodipendenti etc ). Nello stesso periodo vengono studiate, progettate e costruite le prime strutture d’accoglienza per malati d’Aids. Gli “Spazi di salute ” sono dei luoghi di residenza privilegiati, adattati ad ospiti fragili, con un deficit immunitario importante, esposti ad infezioni ricorrenti, hanno norme igieniche specifiche, un’assistenza medica privilegiata in un ambiente psicoaffettivo favorevole. In pochi anni più di 30 Spazi di salute nascono nelle strutture comunitarie e ne costituiscono parte integrante, accolgono i malati ad esclusione dei malati gravi che vengono ricoverati negli ospedali. All’inizio degli anni novanta più del 40 % degli ospiti risulta positivo al virus dell’Hiv e questo aumento unito all’esperienza accumulata dalle varie equipes del personale curante sempre in collaborazione con gli ospedali di malattie infettive portano alla tappa seguente: l’apertura degli “Spazi di Cura”. Questi si differenziano dagli spazi di salute per una pratica soprattutto medica che permette l’assistenza completa dei malati in caso di episodi acuti. In pratica non 44 si sostituiscono al ricovero ma diventano una alternativa, un supporto ai reparti di malattia infettiva degli ospedali. Da sottolineare che spesso il personale paramedico è costituito dagli stessi ospiti dell’associazione consentendo un continuo interscambio di assistenza, di relazioni e di affetti che rendono l’ambiente molto più dinamico rispetto ai reparti ospedalieri cosi grigi e asettici. Una di questi Spazi di Cura viene costruito a La Mothe (Touluse). Da: “Il dovere di fermare Droga e Aids” di Lucien J. Engelmajer. La struttura. L’edificio, di grandi dimensione, è stato interamente ideato e realizzato dall’equipes dell’associazione Le Patriarche; una quarantina di muratori, falegnami, molti dei quali sieropositivi. L’edificio comprende tre piani e un sottosuolo. Ogni piano ha una superficie di 300 mq, l’ultimo piano è a soppalco per rispettare lo stile architettonico del centro dove è inserito. Lo spazio di cura di La Mothe può accogliere 45 persone. L’equipe è formato da due medici, tre infermieri più un numero elevato di volontari che attraverso una turnazione garantiscono la permanenza costante nell’arco delle 24 ore. 3.4 L’ESPANSIONE E LA DIFFUSIONE IN TUTTO IL MONDO. Di pari passo con l’aumento degli ospiti sieropositivi e con l’adattamento delle strutture alla malattia l’associazione Le Patriarche si espande in tutto il mondo. Dopo la Francia, comincia l’espansione in tutta Europa (Spagna, Portogallo, Italia, Svizzera, Germania, Irlanda). 45 Lo slogan di Le Patriarche è che tutti i tossicodipendenti devono avere una possibilità di vita, le porte sono aperte a tutti: uomini, donne, minori coppie con bambini, sieropositivi e malati d’aids, omosessuali, persone con problemi giuridici e soprattutto in tempi brevissimi (una settimana ) nei primi anni novanta sono più di 5000 gli ospiti dell’associazione. I primi tossicodipendenti entrati a La Boere nei primi 70 sono al fianco di Lucien, fanno parte del direttorio internazionale che guida e dirige tutta la struttura. Ogni nazione ha la sua direzione nazionale alla quale fanno capo tutti i centri del paese. Questa è a sua volta è direttamente collegata con la direzione internazionale. Sono gli stessi ex-tossicodipendenti riabilitati che fungono da responsabili di ogni struttura. Fin dai primi anni infatti la comunità terapeutica diventa un Luogo di vita per tutti coloro che vogliono vivere all’interno dell’associazione che diventa in breve un’organizzazione mondiale di lotta contro la droga e l’Aids. Far parte della struttura vuol dire sentirsi parte integrante di un’azione mondiale contro la droga, avere quindi un senso di appartenenza elevato. Il tutto comunque è sempre spinto dalla volontà d’espansione del fondatore Lucien Engelmajer che dirige, vigila, interviene e funge da promotore, motivatore costante di tutto il movimento. E’ sempre lui a decidere se e dove aprire nuovi centri, chi nominare quale responsabile, dove stabilire la direzione, ecc. 46 I Governi di molti paesi, in crisi per l’espansione del “fenomeno” droga richiedono l’intervento di Le Patriarche. Dopo tutto è sufficiente una vecchia struttura e un minimo d’appoggio da parte delle istituzione locali e l’associazione Le Patriarche mette a disposizione le risorse umane per aprire una comunità terapeutica. Si aprono così strutture in Polonia, in Russia destinate però a fallire proprio per la mancanza di analisi preventiva e di conoscenza della situazione politica e sociale in materia di tossicodipendenza. Prima si fanno i lavori e poi si chiedono i permessi… La droga non può aspettare i tempi della burocrazia, della legge, questo è il motto dell’associazione Le Patriarche e del suo fondatore Lucien J.Engelmajer. Quando arrivano i momenti in cui le ammissioni sono poche basta inviare degli autobus nelle più importanti piazze d’Europa e raccogliere decine di tossicodipendenti disperati e portarli nei centri dell’associazione. La sopravvivenza economica è garantita dalle rette delle famiglie, dai servizi pubblici, dalla raccolta fondi capillare e continua e dalla raccolta di generi alimentari, mobili e materiali effettuata dagli stessi utenti. Queste enormi quantità di alimentari e materiali vengono stoccati in grandi magazzini e settimanalmente distribuiti in tutti i centri. Credo che questa sia stata una delle iniziative economiche più interessanti del fondatore: grazie a questa raccolta praticamente l’associazione 47 non ha spese per quanto riguarda gli alimentari e i materiali da costruzione: tutto è gratuito. Anche le strutture spesso sono donazioni o comodati gratuiti. Tutto questo avviene nonostante l’associazione e il suo fondatore non siano ben visti in gran parte del mondo, sono infatti accusati di avvalersi solo della buona volontà degli operatori ex-tossicodipendenti senza alcuna professionalità, lo stesso Lucien viene accusato di essere un specie di guru e di aver creato una setta. Incurante delle critiche, alle quali risponde spesso dalle pagine del giornale “Antitox” vero e proprio portavoce dell’associazione, il fondatore cerca paesi nuovi dove i governi si dichiarano disponibili ad accoglierlo. Decide di aprire nuove strutture in America (Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, Belize, Uruguay e Nicaragua). 3.5 AZIONE SOCIALE E AIUTI UMANITARI. A differenza dei paesi europei, in America, ma soprattutto nell’America del sud, l’associazione differenzia il suo tipo di lavoro spostandosi sempre di più verso un’azione di tipo sociale. Il Nicaragua è l’esempio, un paese distrutto dalle guerre, dalle catastrofi naturali, dalla controrivoluzione e dalla rivoluzione, un paese di bambini senza padri e senza casa. 48 L’associazione Le Patriarche acquista delle strutture malridotte in Nicaragua e poco alla volta con i suoi volontari le rimette in ordine, in modo da poter accogliere i primi tossicodipendenti. Ben presto però ci si rende conto che il problema del Nicaragua è ben più ampio della droga: è vero che esistono centinaia di bambini che annusano colla ma forse lo fanno per lenire la fame e lo stato di denutrimento. Si decide quindi di allargare il campo d’azione in tutti i settori sociali, grazie al materiale che le strutture in Europa inviano per container, si ristrutturano decine di villaggi, si distribuiscono viveri, materiali di ogni genere, giocattoli. Il progetto diventa poi più ampio e cioè far partecipare a quest’azione i giovani nicaraguensi in modo che un giorno possano diventare i responsabili di queste strutture e possano essere in grado di progettare la propria vita. In ogni centro si costruisce un asilo, una scuola, si acquistano barche e battelli per la pesca, si creano cooperative di pesca, di allevamento che possano in futuro essere autogestite dagli stessi giovani. In pochi anni, l’associazione in Nicaragua diventa un’organizzazione umanitaria conosciuta e rispettata in tutto il paese, tanto che la Signora Violeta Chamorra Presidente del Nicaragua visita più volte le strutture ed incontra il fondatore Lucien J. Engelmajer. Tutto ciò si riflette anche sulle strutture in Europa, con l’esperienza positiva effettuata in Nicaragua si decide che l’azione sociale, gli aiuti umanitari diventino parte integrante dell’associazione. 49 Il primo “clamoroso” passo è l’acquisto di una vecchia nave traghetto della marina spagnola con una grossa stiva predisposta al carico di alimentari, materiali. Per far conoscere anche questo lato umanitario dell’associazione viene deciso che il primo viaggio deve essere qualcosa di speciale: l’invio di generi alimentari a Sarajevo nel bel mezzo della guerra tra Bosniaci, Croati e Serbi. Tutti i centri d’europa si mobilitano per questo scopo: raccolgono il maggior quantitativo di generi alimentari possibili che viene stoccato nei magazzini e poi trasferito nel porto di Barcellona da dove salperà la nave. In un mese tutto è pronto, la nave è carica e pronta a partire. L’ultimo ostacolo è la ricerca del capitano che la condurrà visto che il resto dell’equipaggio è formato da ex-tossicodipendenti con esperienze navali, ricerca difficile perché ovviamente il salario è basso considerato lo scopo del viaggio. Alla fine un vecchio lupo di mare forse per amore dell’avventura accetta questo incarico e la nave parte. Malgrado il blocco navale della Nato la nave dopo un lungo viaggio arriva a Split e rilascia il carico alla Croce Rossa che poi lo distribuirà alle popolazioni colpite dalla guerra. Dopo questo viaggio cominciano le donazioni umanitarie, alcune delle quali ai limiti veramente della “follia”. Viene inviato un carico di medicinali in Senegal, dove il Governo locale stava concordando con l’associazione l’apertura di un centro per i tossicodipendenti, che al momento dello sbarco non viene fatto sdoganare per 50 la mancanza dei permessi adeguati e questo, ovviamente, fa saltare tutto il progetto. Vengono inoltre effettuati diversi viaggi in America latina (Nicaragua, Cile) con una nave obsoleta, progettata in realtà come nave traghetto per il Mediterraneo. Tre camion carichi di arance da Valencia a Sarajevo attraverso una strada dissestata dalla guerra e a rischio di mine anticarro. Ogni paese ha l’obbligo di inviare almeno un container al mese in Nicaragua e in Cile, dove all’inizio l’associazione è molto ben vista, al punto da dedicare una piazza della capitale a Lucien j. Engelmajer. Questi, inorgoglito da tale riconoscimento, decide di istallare nella stessa piazza un’enorme cupola (diametro 200 mt.) che potrà in futuro accogliere spettacoli, concerti, rappresentazioni teatrali oltre ad essere un costante punto di riferimento contro la droga. Il rapporto con la Croce rossa diventa costante: dove c’è una catastrofe, un’alluvione Le Patriarche è presente, dopo l’alluvione in Polonia un intero castello francese viene messo a disposizione di 150 bambini polacchi rimasti senza casa. L’azione sociale è diventata talmente parte integrante dell’associazione da diventarne quasi prioritaria e questo incide molto sul bilancio economico della stessa. E’ per questo motivo che poco alla volta diventa necessario pensare a qualcosa per il mantenimento della stessa, ed ecco che cominciano a nascere in 51 tutta l’associazione ristoranti “Paella store”, società di trasporti, gestione di pompe di benzina, vendita di mobili e di materiali attraverso le braderie, cooperative di costruzione edile, cooperative di pesca. Di pari passo viene incrementata la raccolta fondi, la stampa dei libri e dei giornali, un centro in Francia diventa una vera e propria casa editrice, si incrementano le accoglienze di giovani svizzeri ai quali il Governo garantisce una presa in carico molto elevata. Tutto ciò crea però confusione, i vecchi responsabili sempre al fianco di Lucien cominciano a metà degli anni 90 a chiedersi quale sarà il loro futuro e il futuro dell’associazione Le Patriarche. 52 CAPITOLO IV IL CAMBIAMENTO 53 4.1 CRISI DEL LEADER E DIMISSIONI. Alla fine degli anni 80 l’Associazione Le Patriarche contava 5.200 ospiti in 210 centri, suddivisi in 17 paesi. Nel 1993, le diverse associazioni e fondazioni si uniscono in una associazione di diritto, in Svizzera con il nome di “Organizzazione Internazionale Lucien J. Engelmajer” con sede a Losanna. Questa creazione legale avrebbe potuto in apparenza rappresentare una chiarificazione e un consolidamento delle strutture. Al contrario, a causa dell’età del fondatore, della sua gestione autoritaria e paternalistica e della sua crescente megalomania, l’associazione Le Patriarche si isola progressivamente dal suo contesto e perde il senso della realtà. In effetti durante i primi decenni del suo funzionamento, il modello di gestione dei centri riabilitativi, è stato di tipo patriarcale, fondato cioè, quasi esclusivamente, sulle intuizioni del fondatore e leader carismatico dell’Associazione, Lucien Engelmajer che si proponeva quale punto di riferimento sia per gli utenti che per gli operatori. Per oltre due decenni, l’Associazione ha tratto la sua forza dalla spinta emotiva e vocazionale di quanti accolti in qualità di utenti, divenissero col tempo operatori. Il rapporto tra utenti e operatori era personalizzato e diretto al punto che l’intervento terapeutico era incentrato sull’idea che quanti accolti dovessero aderire anche idealmente allo stile di vita presentato dall’associazione, 54 adeguando e confermando i propri atteggiamenti e comportamenti a quelli proposti dagli operatori e ovviamente dal fondatore. E’ ovvio che nel momento in cui la figura del leader comincia a perdere di credibilità, le decisioni vengono prese in funzione della sua visione megalomane e viene perso di vista l’obiettivo principale e cioè la riabilitazione del tossicodipendente, tra i dirigenti comincia a prevalere uno stato di confusione ed instabilità. Nei corridoi si comincia a mormorare che Lucien ha perso l’obiettività e che continuando di questo passo porterà allo sfacelo la struttura. Nel 1997 i responsabili della struttura organizzano una riunione straordinaria senza la presenza del fondatore e per la prima volta in pubblico si parla apertamente della situazione che sta diventando catastrofica e soprattutto dello stato d’animo di ognuno. Uno stato d’animo a cavallo tra la paura di perdere la figura di riferimento e la preoccupazione per lo strano comportamento della stessa. Si decide di scrivere tutto quanto è stato discusso e di inviarlo direttamente a Lucien. Il quale dalla sua villa di Miami (Usa) dove nel frattempo si è ritirato, risponde rifiutando in blocco le critiche che gli sono state poste e attuando un comportamento ancora peggiore e cioè cercando di dividere e di mettere in contrapposizione tra di loro i responsabili, allo scopo di mantenere il potere e di emarginare i dissidenti. 55 E’ il periodo peggiore dell’associazione. Non si capisce più chi detti legge né quale sia la linea politica da seguire. I tempi sono maturi per reagire, così dopo varie riunioni si elegge un comitato (20 persone) che si dovrà recare a Miami per spiegare la situazione direttamente al fondatore e chiedere le sue dimissioni. Il 23 febbraio 1998, 22 rappresentanti delle varie associazioni si recano a Miami, consegnano la lettera di richiesta dimissioni al fondatore, che dopo vari tentativi di reazione, accetta e si dimette dalla carica di presidente dell’organizzazione Internazionale Lucien J. Engelmajer. Questa è una data storica perché in questo momento comincia il processo di rinnovamento che nel breve volgere di qualche anno stravolgerà completamente il funzionamento dell’associazione Le Patriarche. 4.2 Comitato di transizione. Per far fronte alle dimissioni del fondatore e alla crisi di identità in cui versa la struttura i rappresentanti della associazioni dei diversi paesi riuniti in assemblea plenaria a Santa Lucia (Spagna) eleggono democraticamente attraverso votazioni ( è la prima volta che un organo direttivo viene votato democraticamente, prima i responsabili erano scelti direttamente da Lucien) un organo che traghetti l’associazione verso gli obiettivi della missione istituzionale. 56 Questo organo viene denominato Comitato di transizione e accoglie 10 rappresentanti delle varie associazioni mondiali. L’obiettivo primario del Comitato di Transizione è quello di consentire un passaggio da un sistema di funzionamento ad un altro, e cioè da una associazione di natura piramidale ad un’altra più collegiale. La prima tappa di questo lavoro è quella di rendere l’associazione più dinamica, più giusta e dedita ad uno scopo principale: dare ai tossicodipendenti la miglior qualità di assistenza possibile. E’ in effetti questo che tutti i responsabili vogliono; ritornare a quello che da sempre doveva essere l’obiettivo principale: il recupero e la riabilitazione del tossicodipendente, senza disperdere energia in altre azioni che la possano distogliere dalla sua missione. Il primo processo rivoluzionario elaborato dal comitato di Transizione è la differenziazione tra residenti ed utenti e di conseguenza l’inserimento di un concetto basilare e cioè il reinserimento degli utenti alla fine del progetto terapeutico. Come già evidenziato prima, fino ad allora l’utente che veniva ammesso nella struttura entrava fin da subito a far parte di un sistema di vita tanto condizionante che molto difficilmente riusciva a spezzare e se lo faceva era attraverso una brusca rottura che interrompeva, spesso definitivamente, i rapporti con l’associazione. 57 Sino ad allora, l’associazione aveva considerato le persone che abbandonavano la struttura come traditori, mentre chi rimaneva era investito di un carico di responsabilità molto elevato e gratificante a livello personale. Da qui la nascita di centri che si proponevano quali luoghi di vita piuttosto che semplicemente luoghi di cura e l’inserimento lavorativo effettuato direttamente all’interno dell’associazione, senza un confronto diretto con la realtà esterna. Ovviamente questo comportava l’assoluta uguaglianza di comportamento con gli utenti, i responsabili dovevano altresì essere il più possibile esemplari; i primi ad alzarsi la mattina, gli ultimi ad andare a letto la sera, i più dinamici durante le attività e soprattutto dovevano rinunciare al proprio tempo libero, alla propria privacy, ai propri interessi. Non c’erano orari di lavoro, né giorni festivi e soprattutto a parte un minimo di rimborso spese non esisteva lo stipendio. Per regolarizzare tutto ciò era necessario un mansionario, che raccogliesse tutto ciò e che servisse come base di partenza per il futuro. Dopo sei mesi di lavoro e con la collaborazione di diverse commissioni di studio che per la prima volta vedono la presenza di professionisti esterni all’associazione viene editato un mansionario definito ”libro bianco” proprio perché non vuole essere qualcosa di definitivo ma che raccolga tutto il lavoro positivo che l’associazione aveva costruito, lo renda moderno e che soprattutto definisca la missione e la carta magna della struttura. Il “libro bianco “ contiene tutti i regolamenti, gli statuti delle strutture e delle persone, le modalità di funzionamento, la descrizione dei posti di lavoro e 58 deve essere accessibile e noto a tutti coloro che hanno delle responsabilità in seno all’associazione. Il lavoro realizzato con questo mansionario è indispensabile affinché ciascun possa progredire, in modo personale, verso una nuova concezione del lavoro. In generale, il libro bianco risponde ai grandi interrogativi che si sono immediatamente imposti all’inizio di questo difficile periodo, pone le basi per una struttura di lavoro futura e definisce gli obiettivi a lungo termine. E’ comunque solo uno strumento pratico e riflette, solo in parte, le aspirazioni della maggioranza dei residenti 4.3 Il nuovo progetto terapeutico Il concetto più rivoluzionario del libro bianco è l’articolazione e la stesura del nuovo progetto terapeutico. Un progetto terapeutico che suddivide in fasi il percorso dell’utente e per la prima volta definisce il concetto di reinserimento sociale. “Breve sintesi del progetto terapeutico dell’associazione Le Patriarche” Il progetto si sviluppa nelle strutture dell’associazione definite di prima, seconda e terza fase o reinserimento. 59 Nelle stesse strutture viene applicato un programma socio-riabilitativo dell'Associazione della durata indicativa di anni due: questo periodo naturalmente può variare a secondo delle peculiarità dei singoli utenti ed è costituito da tre fasi evolutive: - Prima fase - Adattamento: Si tratta di un periodo variabile che, a seconda delle condizioni generali dell’utente e delle sue capacità di adattamento alle regole di comunità, ha la durata minima di tre mesi. L’obiettivo prioritario è quello di interrompere totalmente il consumo di droghe e recuperare progressivamente ritmi e abitudini di vita equilibrati. In questa fase gli operatori sono particolarmente impegnati nel creare un clima accogliente e familiare. Obiettivo generale: Disassuefazione Obiettivi specifici: 1. Recupero fisico: 2. Adattamento alle regole 3. Integrazione al gruppo 4. Approfondimento della valutazione iniziale sull’utente 5. Orientamento 60 - Seconda fase – Assestamento – Apprendimento - Riabilitazione: Si tratta di un periodo variabile che, a seconda dell’evoluzione individuale di ciascun utente, ha la durata media di 12 mesi. Per il raggiungimento degli obiettivi viene applicata l’ergoterapia. Il lavoro infatti implica e racchiude in sé una molteplicità di altri aspetti, necessari alla ristrutturazione della personalità e alla determinazione di un'identità matura ed autonoma. Tra questi aspetti: la valorizzazione, l’implicazione, la responsabilità, l’autocontrollo, l’ autostima, la formazione. I momenti di gruppo assolvono invece funzioni fondamentali quali il rispetto altrui, la relazione, la condivisione, il contenimento, l’elaborazione e il cambiamento. Riassumendo, si può affermare che la relazione d'aiuto é centrata sul gruppo attraverso: - la partecipazione e il coinvolgimento delle persone nella vita quotidiana, nella condivisione e nell’adesione alle regole di convivenza e di solidarietà, nell'attivazione e nella corresponsabilità della gestione e dell’organizzazione delle attività e del tempo libero; - il reciproco scambio di pareri, l'espressione dei problemi, delle difficoltà, delle tendenze e delle motivazioni. - l'adesione ai gruppi di aiuto aiuto. Obiettivi generali: 1. Stabilizzazione 2. Ristrutturazione della personalità 61 3. Maturità personale e autonomia Obiettivi specifici: 1.Valorizzazione 2. Implicazione 3. Responsabilizzazione 4. Autocontrollo 5. Autostima 6. Formazione professionale 7. Ripristino relazione utente/familiari 8. Approccio alla vita sociale 9. Orientamento -Terza fase – Preparazione al reinserimento sociale: Questa fase prevede una durata media di 6 mesi, l’obiettivo è quello di integrare l’individuo nella società con il sostegno, la supervisione e il controllo degli operatori. La fase di pre-reinserimento è avviata solo dopo un’opportuna verifica sul livello di evoluzione raggiunto dal singolo individuo e verrà coinvolta in modo significativo la famiglia. Il reinserimento é l’ultima tappa della riabilitazione ed è preparato nel corso di tutto il soggiorno presso l’Associazione. 62 Reinserirsi significa tornare ad una vita regolare senza droga, dopo aver imparato a controllare le proprie emozioni di fronte allo stress, alla gioia, alle difficoltà della vita quotidiana, alle esigenze familiari e/o di coppia, alle pressioni esterne, all’ambiente di lavoro, alle esigenze sociali ecc..... La conclusione del programma viene siglata con uno o più colloqui finali con l'utente e la famiglia e, trattandosi di una tappa cruciale nel percorso dell’assistito, oltre che un avvenimento importante nella vita del centro, è oggetto di festività. Obiettivo generale: Reinserimento sociale Obiettivo specifico: Consolidamento delle acquisizioni Articolazione del programma terapeutico Il programma terapeutico personalizzato in base alla nostra esperienza definisce i criteri generali del percorso di recupero dalla tossicodipendenza; il concetto di personalizzazione del progetto riabilitativo si riferisce chiaramente alle eventuali e specifiche variazioni del programma di recupero sociale in relazione al dissimile coefficiente di adattabilità del soggetto utente, difficilmente ipotizzabile in sede propedeutica e, di conseguenza, determinabile soltanto nel corso delle verifiche, che periodicamente vengono precisate al servizio pubblico competente. 63 I passaggi di fase (dalla prima alla seconda e alla fase di reinserimento) sono supportati dalle schede di auto-valutazione, di valutazione del gruppo dei pari, e di valutazione definitiva da parte dell’equipe. (scheda di valutazione in allegato) 4.4. Fine del comitato di transizione e nuova strutturazione giuridica. L’aver definito il percorso degli utenti, attraverso il nuovo progetto terapeutico, ha inevitabilmente obbligato a una rinnovata definizione del ruolo degli operatori all’interno della struttura. Questo è avvenuto al fine di poter incorporare a livello lavorativo, e dunque salariale, ciascun operatore a seconda delle sue competenze e delle necessità dell’associazione. Compito arduo visto che fino a quel momento l’unica cosa ad aver definito il ruolo di ciascuno era stato un criterio di tipo temporale, basato cioè sull’anzianità maturata all’interno della struttura. Per fare ciò il comitato di transizione incaricò una commissione di esperti mista, interni e professionisti esterni esperti in risorse umane per compilare una prima bozza di organigramma funzionale della struttura, l’identificazione dei posti di lavoro e un metodo di taglio psico-sociale sulle organizzazioni per effettuare delle valutazioni sulle risorse umane. A questo punto il lavoro del comitato di transizione era terminato; il suo scopo di traghettatore era stato portato a termine. Molti tra gli anziani dell’associazione rimasti fedeli a Lucien se ne erano andati, la quasi totalità dell’assemblea era d’accordo sulla linea del 64 cambiamento, le basi per l’incorporazione futura erano tracciate, il percorso terapeutico degli utenti definito, quello che mancava era l’applicazione nei singoli paesi delle linee guida dettate dal comitato di transizione. Nell’assemblea plenaria dell’ex-organizzazione Internazionale Lucien Engelmajer ora diventata Dianova con il cambio del nome, veniva ratificato la fine del Comitato di Transizione e l’elezione di un Comitato Esecutivo di durata annuale, con il compito di verificare la corretta applicazione a livello internazionale di quanto ideato fino a quel momento dal comitato di transizione. La stessa forma giuridica veniva assunta anche nei vari paesi, un’organizzazione collegiale con l’elezione da parte dei soci di un comitato esecutivo formato da quattro membri dalla durata annuale. I quattro membri rappresentavano i quattro settori operanti all’interno dell’associazione e cioè: - terapeutico (il funzionamento dei centri) - amministrativo (il funzionamento economico) - servizi d’appoggio (cantieri, approvvigionamento alimentari, logistica veicoli leggeri e mezzi pesanti) - immagine (ufficio marketing e redazione del giornale). Ai quattro veniva affiancato l’Ufficio risorse umane con la consulenza di un professionista di consolidata esperienza con il compito di valutazione e assunzione del personale. 65 4.5 Il processo di valutazione e inquadramento del personale in Italia. Sicuramente questo è stato e continua ad essere il passaggio più arduo da compiere e quello emotivamente più difficile. E’ bene ricordare che nel passato con la gestione di Engelmajer i ruoli e le responsabilità non modificavano lo status sociale, anche se i grossi responsabili, coloro che facevano parte del “direttorio” insieme a Engelmajer, avevano senza dubbio la possibilità di condurre una vita dal tenore più alto, a livello di appartamenti personali, di veicoli personali e di rimborsi spese sicuramente superiori a quelli di tutti gli altri operatori. In questo momento e con il cambiamento in corso per essere il più obiettivi possibili veniva dato il mandato relativo alla valutazione del personale ad un professionista con un grosso bagaglio d’esperienza in varie ditte sulla gestione delle risorse umane. Il processo da lui svolto in collaborazione con il Comitato esecutivo si può dividere nelle seguenti fasi: 1) valutazione 2) costruzione dell’organigramma funzionale 3) definizione del posto di lavoro, job descrition e obiettivi 4) incorporazione definitiva. 66 4.5.1 Valutazione. Fu il processo più lungo, infatti all’epoca erano più di duecento le persone che vivevano all’interno dell’associazione a tutti gli effetti, molti con ruoli ben specifici, altri invece di meno, altri non avevano scelto se rimanere a lavorare nella struttura o andare da un’altra parte. Venne scelto un metodo per valutare le caratteristiche, le potenzialità, le attitudini alla gestione dei gruppi, le difficoltà di ognuno e lo strumento usato fu un questionario (compreso negli allegati) con item strutturati secondo un metodo di psicologia- sociale delle organizzazioni. Attraverso i risultati del questionario e un colloquio personale con tutti i residenti venne stilata una classificazione di quattro livelli: Direttori: persone in grado di gestire centri terapeutici o servizi a livello nazionale Monitor: persone dalle capacità di svolgere il ruolo di direttori ma che necessitavano ancora di formazione. Operatori: persone dalle attitudini alla gestione di piccoli gruppi Tecnici: persone con capacità tecniche ma non atte alla gestione di risorse umane. Nel colloquio di rimando molte persone non accettarono l’inserimento in categorie più basse rispetto alle loro aspettative e lasciarono l’associazione. 67 4.5.2 Costruzione dell’organigramma Con i suggerimenti emessi dal comitato a livello internazionale, con i risultati delle prime valutazioni si cominciò a delineare l’organigramma di funzione dell’associazione Le Patriarche in Italia. L’organigramma era legato alle esigenze reali di risorse umane necessarie per la gestione dei centri e dei servizi che ruotavano intorno e che permettevano il corretto sviluppo del programma terapeutico degli utenti. A questo organigramma e alle classificazioni effettuate corrispondeva poi un salario che ovviamente era diversificato in funzione dei livelli. 4.5.3 Definizione del posto di lavoro, job descrition e obiettivi Con l’organigramma stabilito di tutto il personale, rimaneva l’esatta definizione del posto di lavoro e la conseguente job-descrition. Se sulla carta tutto ciò sembra estremamente facile, all’atto pratico ha causato molti cambiamenti con le relative problematiche personali. In effetti molti responsabili che fino a quel momento si erano dedicati ad attività o servizi solo di supporto al terapeutico erano risultati dal processo di valutazione in grado di gestire una comunità terapeutica; questo significava un cambiamento radicale alle loro abitudini, spesso anche del luogo in cui vivevano. Altri che fino a quel momento avevano ricoperto ruoli anche dirigenziali si vedevano retrocessi a ruoli tecnici o operativi. 68 Per definire il posto di lavoro e la spiegazione della job descrition si adottò ancora una volta il colloquio con il responsabile delle risorse umane insieme al responsabile della linea nazionale. In questo colloquio venivano assegnati gli obiettivi da raggiungere e veniva comunicato la data del prossimo colloquio o feed-back per la valutazione degli obiettivi. Anche in questa fase ci fu una selezione ulteriore, molti non accettarono il nuovo incarico e preferirono lasciare la struttura, ma alla fine dei colloqui la struttura appariva finalmente definita e con un organigramma completo, ma non rigido e con la possibilità di modifiche. 4.5.4 Incorporazione definitiva. Ultima fase del processo che prevedeva la firma del contratto, la spiegazione delle regole da rispettare e del regolamento interno. In questa fase venivano sostituite le definizioni delle quattro classificazioni che si differenziavano solamente in IV livelli. Ad ogni persona prima di far firmare il contratto venivano spiegate le regole di comportamento e del regolamento interno e gli veniva comunicato che in caso di scelta di lavorare e vivere in comunità gli sarebbero stati detratti i benefit (veicoli e alimentari) e gli affitti (anche questo veniva fatto in funzione di una maggior autonomia personale degli operatori). 69 CONCLUSIONI 70 Per poter riflettere su ciò che è stata l’associazione Le Patriarche nel corso dei suo trent’anni di vita bisogna prima di tutto analizzare il contesto storico culturale in cui è nata e si è sviluppata. Un contesto impreparato di fronte alla crescente diffusione del problema della droga. Le Patriarche, insieme ad altre strutture dello stesso tipo (Ceis, Comunità Incontro, San Patrignano etc.) nate più sulla buona volontà dei vari fondatori, che da progetti studiati ed elaborati, hanno trovato fin dall’inizio un terreno fertile su cui diffondersi ed espandersi. Questo, se da un lato gli ha permesso di ingrandirsi, di autogestirsi e di autofinanziarsi, dall’altro visto il continuo rifiuto di confrontarsi con il mondo sociale ha fatto sì che Le Patriarche tendesse a chiudersi sempre più in sé stessa. E’ riconosciuto dalla teoria sistemica che un sistema chiuso (come quello di una comunità di vita) col passare degli anni tende a sclerotizzarsi, se non cambia, se non riconosce almeno il cambiamento del contesto sociale in cui opera, andando sempre di più verso la distruzione del sistema stesso. E’ quello che stava succedendo all’associazione Le Patriarche chiusa nelle teorie del suo fondatore Lucien J. Engelmajer, convinto di poter riabilitare e salvare il mondo senza affrontare il confronto con l’esterno. La sua era un’analisi che partiva da una visione socialista del mondo, ma, che vedeva un’applicazione, all’interno della struttura, decisamente patriarcale e gerarchica. Solo inizialmente il fondatore aveva deciso di dividere l’esperienza con il noto psichiatra francese Olivestein. Tentativo fallito miseramente, che ha portato Olivestein a diventare il suo peggior critico. Da allora in poi tutti coloro 71 che si avvicinavano a Lucien si dovevano sottomettere alle sue idee senza possibilità di discussione o di confronto. Col passare degli anni l’associazione si è chiusa totalmente nei confronti dell’esterno. Lucien era convinto che tutto il mondo cospirasse contro di lui: dai socialisti, ai massoni agli psichiatri. Nessuno voleva fare qualcosa per salvare il mondo dalla droga e dall’Aids mentre lui, nonostante tutto, continuava la sua crociata senza rendersi conto di isolare sempre di più la sua ‘creazione’ dal resto del contesto sociale. Questo isolamento ha fatto sì che in Francia, paese noto per la sua guerra alle sette, l’associazione Le Patriarche venisse spesso considerata come tale e Lucièn Engelmajer fosse indicato come il suo guru. Nel momento del cambiamento e della dimissione del fondatore (vedi capitolo IV) i paesi che avevano visto una sua costante e assidua presenza sono quelli che più ne hanno pagato le conseguenze. Infatti in Francia, luogo di nascita di Le Patriarche che nei primi anni novanta ospitava più di 2000 utenti, l’associazione dopo lunghe traversie non è riuscita a rimanere in vita. Schiacciata in mezzo alla pesante eredità di Lucien e alle critiche di tutto l’ambiente sociale che non ha creduto nel cambiamento ed ha spinto per la chiusura totale della struttura. Diversa è la situazione nei paesi che hanno vissuto sempre ai margini degli interessi di Lucien. Infatti in Italia, visto che il fondatore non ha mai approvato la situazione politica e sociale italiana e di conseguenza le visite ai centri sono state sporadiche. Quindi non è riuscito ad influenzare la gestione 72 delle strutture che hanno acquisito, nel corso degli anni, una gestione più collegiale ed autonoma. Nel momento in cui è arrivato il cambiamento è apparso come la normale evoluzione di un sistema impostato per lavorare in rete con le altre istituzioni. Anche se bisogna sottolineare quanto il cambiamento sia stato difficile soprattutto per il background culturale che l’associazione e i suoi membri si portano dentro, una trasformazione che implica lasciare alle spalle una storia di conflitti con le istituzioni per cominciare a cercare accordi, scambi e possibili collaborazioni nell’ottica di offrire i migliori servizi socio-pedagogici. Una comunità terapeutica rinnovata e aperta alle esigenze e alle necessità che il ventunesimo secolo sta pianificando per questo tipo di istituzioni. Un’evoluzione che, all’interno di Le Patriarche, non si riferisce solo alla sua filosofia, alla sua missione globale, bensì ad ognuno dei piccoli aspetti su cui si regge la quotidianità della comunità terapeutica. In un tale contesto riuscirà l’associazione a tenere il passo con i nuovi bisogni degli utenti, con la nascita di nuove forme di ‘dipendenza’ nonché con un numero sempre più crescente di tossicodipendenti extracomunitari? Riuscirà ad entrare in un’ottica di qualità di servizio necessaria per poter essere competitiva in un sistema sanitario sempre più spinto verso la privatizzazione e l’accreditamento? Questi sono gli interrogativi più importanti a cui abbiamo il dovere di dare, non una semplice risposta, bensì di riuscire a garantire una valida alternativa in una realtà in continua evoluzione. Infatti Le Patriarche, mettendo da parte l’autoreferenzialità che l’ha caratterizzata per anni, sta 73 cercando di aprire i suoi orizzonti educativi per rientrare nel nuovo contesto sociale. Dopo quindici anni di esperienza nel mondo delle tossicodipendenze sono sempre più convinto che non esista l’intervento ad ‘hoc’ per superare il problema, ma siano necessari una serie variegata di interventi che si integrino e che vadano sempre di più verso i bisogni dell’utente e non verso il mantenimento delle strutture. Purtroppo siamo in un paese dove la politica sulle tossicodipendenze varia continuamente a seconda di chi governa, passando da leggi repressive e punitive (come la 309/90) a politiche di riduzione del danno per tornare, poi, con il Governo Berlusconi verso posizioni repressive nei confronti dei meri consumatori. Nel corso degli anni sono stati attribuiti diversi significati ai servizi pubblici e alle comunità. Le comunità sono state giudicate quali luoghi miracolosi nei primi anni novanta, sono state demonizzate con lo scandalo di San Patrignano durante il governo di centrosinistra, per tornare oggi prepotentemente di moda con l’ultimo governo. Mentre i servizi pubblici, considerati all’inizio completamente assenti, sono diventati predominanti con il Ministro Livia Turco per tornare, in seguito, sotto accusa dopo le “picconate” dei vari politici di destra: Fini, Gasparri e Giovanardi. Muoversi in questo panorama politico e mantenere la propria identità non è cosa facile per una struttura come la nostra, che per scelta non si è mai schierata politicamente e che non riceve, ovviamente, neanche l’appoggio della 74 Chiesa come molte altre strutture comunitarie di chiara matrice cattolica. Se da un lato l’associazione viene accusata di essere di destra perché contro la legalizzazione, dall’altro lavorando in rete con i servizi pubblici e con i vari coordinamenti del privato-sociale, è accusata di non prendere posizioni radicali contro le politiche della “riduzione del danno”. Ebbene secondo me è proprio in questo che l’idea del cambiamento viene rafforzata: una struttura lontana da prese di posizioni puramente ideologiche, politiche, economiche, ma che esista solamente in funzione dei bisogni del tossicodipendente, non più l’unica struttura in grado di aiutare, ma semplicemente una delle strutture, con i suoi limiti e le sue competenze ben delimitate, da inserire in un sistema di rete pubblico e privato. Il futuro dell’associazione Le Patriarche dipenderà molto da come saprà far fronte alle richieste economiche e sindacali all’interno e a come reggerà il confronto esterno con le altre istituzioni pubbliche e private. Lavorare in rete vuol dire aprire le strutture alle visite, al confronto con i servizi invianti, alla valutazione da parte dei servizi competenti, all’approvazione e applicazione di progetti terapeutici individuali preparati da altri servizi, accettare, quindi, di diventare un semplice anello della rete con compiti specifici e delimitati, ma soprattutto vuole anche dire farsi conoscere, uscire dall’anonimato, partecipare. Mettersi in relazione con le altre istituzioni significa mettersi in gioco, confrontarsi sulle tematiche attuali relative alla riduzione del danno, alla sperimentazione della distribuzione controllata dell’eroina, alla legalizzazione delle droghe leggere e al mantenimento a metadone dei tossicodipendenti nei 75 servizi pubblici. Tematiche che fino a questo momento, per motivi ideologici, sono sempre state escluse dalla visione e missione della struttura e che solo in questo momento sono diventati motivo di grosse discussioni interne nei vari organi dirigenziali. Sono ottimista, credo che con un po’ di buona volontà e di buon senso riusciremo ad entrare in questo sistema di lavoro in rete. Già da qualche anno abbiamo cominciato questa collaborazione con risultati molto soddisfacenti, tenendo presente che le risorse umane necessarie per continuare questo lavoro prendano coscienza che il cambiamento è una situazione che richiede il suo tempo naturale e che non si può passare da una struttura basata esclusivamente sul volontariato ad un’impresa. L’equilibrio tra il vecchio volontariato e la professionalità attuale, insieme all’integrazione tra i vecchi responsabili e le figure professionali esterne può essere la giusta miscela per il presente e per il futuro più prossimo. Lo scambio tra una cultura basata sull’esperienza diretta sul campo e una cultura fatta di professionalità teorica, non chiusa nei paradigmi intellettuali ma che indaga, osserva, partecipa e fa tesoro delle esperienze altrui può portare alla nascita di una nuova cultura interna a Le Patriarche. Una cultura che si adatta ai bisogni degli utenti, che non propone schemi rigidi da applicare o modelli antichi da seguire, ma che accompagni l’utente non più verso la presunta riabilitazione totale ma verso una degna autonomia. La stessa autonomia che spero raggiungano anche i collaboratori interni della struttura, non più condizionati nelle loro scelte da un pesante ricatto morale ma neanche protetti da un 76 sistema di vita che, comunque, non li mette alla prova di fronte alla quotidianità della vita. Le esperienze verificate fino a questo momento sono abbastanza positive, anche se non bisogna dimenticare alcuni fallimenti dovuti, probabilmente, alla mancanza di esperienza (investimenti sbagliati, acquisto di case e veicoli non adatti allo status sociale equivalente). Comunque credo si tratti del normale prezzo da pagare inizialmente; indubbiamente è ben più importante il passaggio da una vita programmata 24 ore su 24 ad una vita che richieda un’organizzazione giornaliera sia dal punto di vista lavorativo, sia dal punto di vista del tempo libero e degli impegni quotidiani. In questo senso i messaggi sono più positivi, gli ‘apripista’ di questa nuova condizione sociale hanno imparato in breve tempo che l’organizzazione della propria vita passa attraverso una buona organizzazione lavorativa, fatta sui turni di lavoro e centrata su obiettivi da raggiungere per poter ottenere degli spazi propri. Siamo alle porte del 2002 e io credo che nel futuro ci sia ancora spazio per una comunità terapeutica come l’associazione Le Patriarche Italia Onlus a patto che i dipendenti, i collaboratori, i soci tengano sempre presenti gli errori del passato e lavorino uniti verso la realizzazione di un progetto educativo nuovo. Un progetto che parte dai bisogni degli utenti e, attraverso un programma metodologico orientato all’autonomia, li accompagni verso il reinserimento sociale. 77 ALLEGATI: Questionario Scheda di valutazione 78 QUESTIONARIO I. DATI PERSONALI COGNOME: _____________________________________ NOME: ________________________ LUOGO DI NASCITA: _____________________________ DATA DI NASCITA: ____________ STATO CIVILE: celibe/nubile sposato/a separato/a divorziato/a vedovo/a A. SITUAZIONE FAMIGLIARE: 1) Bambini (specificare per ciascuno, nome, data di nascita, nazionalità, luogo di residenza, chi è il tutore, con chi vive, se è in affidamento e a quali condizioni, altro): ________________________________________________________________ ________________________________________________________________ ________________________________________________________________ ________________________________________________________________ ________________________________________________________________ ________________________________________________________________ ________________________________________________________________ ___________________ 2) Partner: All’interno dell’Associazione: SI SI NO NO Cognome e Nome: _____________________________________________________________ Data di Nascita ___________________________ Luogo di Nascita_______________________ 79 Nazionalità: __________________________________________________________________ Occupazione: _______________________________________________________________ Altri dati rilevanti (problemi legali e/o sanitari, per stranieri comunitari o extra comunitari situazione e scadenze vari permessi): ___________________________________________________________ ________________________________________________________________ ________________________________________________________________ ________________________________________________________________ ________________________________________________________________ _____________________________________________________ 2) Genitori: Professione della madre: _____________________________ Data di nascita: ______________ Stato civile: __________________________________________________________________ Professione del padre: _______________________________ Data di nascita: ______________ Stato civile: ___________________________________________________________________ Altri dati rilevanti (stato di salute, necessità di assistenza, ecc): _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ _______________________ B. SITUAZIONE MILITARE: Servizio militare: assolto renitente alla leva militesente obiettore 80 C. PATENTI: Tipo (segnalare eventuali patentini escavatore, elevatore, altro): _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ ______________________ D. SITUAZIONE ECONOMICA: Benefici di una pensione?: SI NO Di che tipo?: _____________________________________________________________________ Di che ammontare?: _______________________________________________________________ Data scadenza pensione_____________________________________________________ E. DISPONIBILITA’ A VIAGGIARE (Per motivi di lavoro): SI NO EVENTUALMENTE Motivi: _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ _________________________________________________________________________________ ___________________________________________ II. FORMAZIONE (dimostrabile) Scuola elementare: Completata Non completata Scuola media: Completata Non completata Formazione professionale: Tipo: _____________________________________________ Completata Non completata 81 Scuole Superiori: Tipo: _____________________________________________ Completata Non completata Università: Facoltà: ___________________________________________ Laureato Non laureato Ultimo anno di corso: ________________________________ Altro (corsi di specializzazione, informatica, lingue straniere, master, dottorati, qualsiasi diploma, certificato o attestato): _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ _____________________________________________________________________________________ _________________________________ III. LINGUE STRANIERE (specificare livello:M = male, E = elementare, B = bene, MB = molto bene) Spagnolo Francese Inglese Italiano Portoghese Tedesco IV. Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________ Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________ Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________ Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________ Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________ Capito: __________ Parlato: ___________ Scritto: __________ ATTIVITA’ LAVORATIVA: FUORI DALL’ORGANIZZAZIONE (Specificare: attività svolta, cronologia dei posti di lavoro, durata e luogo) 82 dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ ALL’INTERNO DELL’ORGANIZZAZIONE (Specificare: cronologia di attività, posti di lavoro, responsabilità, durata, centro e paese) dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ 83 dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ dal ______ al ______ _____________________________________________________ INCARICO ATTUALE E LUOGO DELLA PRESTAZIONE _____________________________________________________________________________________ ________________________________________________________________________ ______ V. CURRICULUM ALL’INTERNO DELL’ASSOCIAZIONE A. Numero di ammissioni: Data 1.a ammissione: __________________ Data 2.a ammissione: __________________ Data 3.a ammissione: __________________ Data uscita: __________________ Data uscita: __________________ Data uscita: __________________ A. Hai avuto qualche ricaduta? NO SI Data e commenti: ____________________________________________________________ ____________________________________________________________ ____________________________________________________________ ____________________________________________________________ ____________________________________________________________ ____________________________________________________________ ____________________________________________________________ 84 _______________________________________________________________ ___________________________________________________________ VI. OBIETTIVI In quale linea ti piacerebbe lavorare?: Terapeutica Appoggio Amministrazione Immagine Commenti: ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ________________________________________ Nel caso in cui desideri un posto nella linea terapeutica, specifica: Prima fase Seconda fase Terza fase Commenti: ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________ B. _ Indica i settori nei quali ti senti particolarmente competente: ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________ Responsabilità desiderata: __________________________________________________________ 85 Luogo di lavoro desiderato: _________________________________________________________ Nel caso in cui desideri cambiare, specifica: in che periodo desideri cambiare posto/paese e i motivi del cambiamento: ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ _____________________________________________________________________ Formazione desiderata (formazione professionale ufficiale e/o formazione all’interno dell’Organizzazione, fornire quanti più dati possibili relativi alla formazione richiesta): ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ VII INFORMAZIONI PARTICOLARI Vedi il tuo futuro: nell’Organizzazione fuori dell’Organizzazione non sai Se vedi il tuo futuro nell’Organizzazione, spiega il perché e quale potrebbe essere il tuo compito: ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ___________________________________________________________________ 86 Se vedi il tuo futuro nell’Organizzazione, la tua permanenza sarà condizionata da: ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ____________________________________________________________ Se non vedi il tuo futuro nell’Organizzazione, spiega quali sono i tuoi piani di reiserimento: ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ ______________________________________________________________________ _________ 87 BIBLIOGRAFIA 88 COMAS, D.” Los estudios de seguimento” Ed. G.I.D. Madrid COMAS, D.” criterios y normas para la Homologation de comunidades terapeutica Profesionales para Toxicomanos” APCTT, 1994 COMAS, D.” El tratamiento de la drogodipendencia y las Comunidades Terapeuticas” Ed. Ministerio de Sanidad y Consumo. PNSD. Madrid, 1988 ENGELMAJER, L.”Per i drogati la speranza”.Le Patre, 1976 ENGELMAJER, L.”Droghe, sintomatologia,riflessioni, cure”.Le Patre, 1982 ENGELMAJER, L. “La speranza in azione”. Le Patre, 1986 ENGELMAJER, L. “Il dovere di fermare droghe e Aids”.Le Patre, 1990 ENGELMAJER, L. “Ecco chi siamo”. Le Patre, 1991 ENGELMAJER, L. “Grafia Auto Bio ecc…Lucien J. Engelmajer”.Le Patre, 1994 ENGELMAJER, L. “Ecco quello che facciamo”.Le Patre, 1996 FLORENT, F.”Le comunità terapeutiche Europee”Parigi 89 MANCIN,R. “Serate troppo stupefacenti”, Focus 1999, 5 MANN, RD.; wingard, S. “A cross-cultural study of drug rehabilitation methodogies in Sweden and the Unides States. En: Eisman, S. Drug Abuse. Baywood, 1987. OTTEMBERG,D. “Le comunità terapeutiche oggi” C.I.S. Roma, 1974 ROIG-TRAVER, A. “Il modello americano di comunità terapeutica e la sua diffusione in Europa” XIII Giornata nazionale della droga. Palma di Maiorca, 1986 SETREUS, A. “Le comunità terapeutiche sono fondamentali” E.C.A.D. 1997 CIOTTI, L. “Chi ha paura delle mele marce” Edizione Gruppo Abele.1992 90 91