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UNIVERSITY OF CHICAGO LIBRARY CySALOMONE GESNERO TRADOTTE DALLA SIGNORA 3..ELISABETTA CAM1NER TXJRRA CON LE DUE \ >•*• w NOVELLE MORALI DEL SIGNOR i3*** » ài YOL.IL r VICENZA MDCCLXXXI NELLA STAMPERIA TURRA I I D I L L J. J LA FERMA RISOLUZIONE. O' ; : ve, infelice, ove ne vo traendo Il lacerato pie fra bronchi, e fpine, E intralciati cefpugli? ahi! quanto orrore Occupa P alma mia ! D e ' Pini alteri I tronchi roffeggianti, delle Querce I nudi ceppi forgono dal fitto Della macchia romita, e opaca volta Formano fui mio capo. 0 annofe piante, Da' voftri fofchi rami, orror, triftezza Scendon fui capo m i o . Seder io voglio Di quella Quercia fu 1' antico tronco A 2 I D I L L J. Rofo dagli anni, e tutto intorno cinto D ' edera verdeggiante. In quefto loco, D o v e u m a n pie non ancor 1' orma impreffe, Reftar vogl' io; qui a m e d'incontro certo Neffun verrà, fé qualche augel non folfe, 0 1' api induftri, che fuggendo il mele V a n dalle piante, o un venticel felvaggio, Che in queft' orror nodrito, ancor fui feno N o n volteggiò d' amabile donzella. — Rufcelletto fpumante, ah ! dove porti Il mormorio foave e le chiare onde, Fra corrofe.radici, e fra cefpugli Squallidi ferpeggiando ? 0 rufcelletto, Seguirti io voglio: a più deferta piaggia Forfè m i farai guida.... 0 ! quale ampiezza M i s' apre innanzi! dall' alpeftre vetta Dell' ermo faflb il guardo mio fi perde Nella foggetta valle. Or fu la punta Del ciglione fediam che qui s' avanza C o m e in aria fofpefo ; il rufcelletto Quindi caderfilafcia dalla rupe Giù nel burron felvofo, ove divifo I D I L L J . 3 Piomba in umida polve, e raffomiglia Nella caduta a fragorofo tuono, Che di lontan rimbomba. Meftamente Pendono dalle falde a cafo fparfe Sterili macchie, come in fu la fronte Dell' infocial T i m o n e il crine incolto Senz' ordin erra, di T i m o n , che il dolce N o n mai conobbe d' amorofo bacio Colto fui labbro di gentil donzella. Nella valle fcendiam: là i trilli, erranti Palli miei porterò lungo la fponda Del fiumicel eh' ivi ferpeggia. 0 cupa Valle romita, o fiumicel gentile, O negra felva, io vi faluto. O fponda, Orrida fponda, quello piede errante Trafcorrerà le tue infeconde arene. Romito bofeo di triftezza albergo, Solitario novello a ripofarmi All' ombra tua ne vengo. Addio per fempre, Crudele A m o r ; qui da' tuoi lindi illefo Finalmente fon io ; faggi penfieri Fra' bofehi nodrirò ; più amar non voglio « • A 2, 4 I D I L L J. / Addio, bruna leggiadra ; addio, begli occhi, Che lampeggiando m i fcaglialle in feno Ardente foco, addio ; pur jeri, o bella, Cinta di bianca velie, a m e d' intorno T ' aggiravi ridente, alla beli' onda Simil, che fcherza incontro a' rai del Sole. Addio, bionda gentile; ancor prefente M ' è il tuo languido fguardo... Ah! quello core Abbailanza reggerli. O h Dio ! mi fembra Veder quel bianco feno ! io tremo, io tremo C h e la tua dolce imago a turbar venga Quella mia folitudine, e i fofpiri A fvellermi dal petto. Addio, Melinda, Maellofa beltà, che '1 paflò grave, L a nobil fronte e '1 portamento altero Fanno a Pallade egual. Cloe vezzofetta, C h e ne' leggiadri giochi a m e dapprelfa D ' elfer cercavi, e il labbro mio talora Tentavi di baciar, per fempre addio, Io fra' bofchi m e n fuggo, io degli Abeti Poferò all' ombra cheta, e tutto immerfo In profondi penfieri, a fcherno, a gioco I D I L L J . * [f. Amore prenderò. Fronzute volte, Tetri viali, a voi ne vengo... oh Dio ! Che veggo mai là fu 1' arena !... io tremo... D' una Ninfa fon 1' orme... o ! che leggiadro, Che amabil pie ! com' è gentile!... o voi Gravi peniieri, orribile triilezza, Or dovefiete?...o come giurie 1' orme Segna quel piede! io raffrenar non polfo... A h ! sì, la feguirò. — Vaga donzella, D i te in cerca ne vengo... 0 fé poterli Raggiugnerti, vederti!... a quello feno Ti llrignerei, di mille baci ardenti Vorrei '1 volto coprirti. A h ! non fuggirmi, Ti direi, bella Ninfa, o fuggi almeno C o m e la tofa all' aleggiar foave Fugge del venticel che la vezzeggia'; Eifa altrovefivolge, e ritrofetta Schiva ilfiatogentil, m a il fa foltanto ,. Per offrirli più bella e più ridente D o p o u n breve m o m e n t o a' baci fuoi. 6 l D I h L J. i • • • •.'"•• PALEMONE. V>^ Ipettacol beato ! Alba vezzofa Pe' Corili fuor fuora e le felvagge Rofe a Iplender comincia ; in fu la trave Che '1 tetto mio foilien la rondinella Scioglie 1' amabil voce, e '1 dolce canto Della gentile e gaja allodoletta V a fuonando perT aere. Ornai dal fonno Si rifcuote Natura. U n frefco umore Vita infonde alle piante : e'fidirebbe C h e fon ringiovanite... A h ! sì, m i credo Anch' io ringiovanir. — Dell' età mia Cadente ilfidoappoggio, il bailoncello Che regge i palfi miei, della capanna S u la foglia mi fcorti; al Sol nafcente L à di contro porrommi, e i verdi prati Contemplerò più davvicino. A h ! tutto Quel che rimiro è bello. A h ! quanto afcolto, Tutto felicità, tutto rifuona I D I l L J. 7 Dolce riconofcenza. Il Pailorello Per le campagne, 1' augellin per V aere Cantan del cor la gioja ; e fu gli aprichi Ameni colli, e in le vergate valli D a rufcelletti, l'innocente armento - Col foave muggir la gioja efprime. 0 eterni Dei, per quanto tempo ancora Della voilra bontà, de' voilri doni Tellimonio effer dQggio ? Ornai s' affretta Il fecolo a compir da che queft' occhi Veggono gli anni rinnovarli; addietro Volgo il penfìero, e dello fcorfo tempo Nella ridente lontananza io veggo Sol di delizie fparfi i giorni miei. Rimoto è affai di così lunga vita Il primo illante, e lo difcerno appena D ' aer fereno oltre allo fpazio immenfo. D e h come l'alma io n'ho commofla, e come I fenfì del mio cor lludiafì invano D ' articolar la lingua mia ! N o n balla N o , benefici N u m i , il dolce pianto Che dagli occhi m i trae pura allegrezza A4 / 8 I D I L L J. A ringraziarvi... 0! sì, fcorrete ornai, Lagrime del mio cor, fu le mie gote Scorrete a rivi. AUor eh' io mi rivolgo Al tempo che pafsò, la vita mia Panni una lunga, amabil Primavera, E ne' brevi fuoi mali io veggo folo Paffeggiere procelle, onde alle piante E alle nielli ne vien forza e frefehezza. N o n mai funeilo morbo alla mia greggia Recò morte crudel, né infauilo evento L e mie piante diliruffe, o fu di quella Felice fogliafiposò 1' orrore. O con quanto trafporto i dì futuri In mente io m i volgea quando fcherzofi Sorrideanmi d'intorno i cari figli, 0 quando i palli lor deboli, incerti Io guidava e reggea ! Quei giovanetti Rampolli germogliar vedendo, u n lieto Avvenir prefagiva, e gli occhi miei Nuotavano nel pianto. Io fargli illelì Saprò, dicea, dalle fventure ; io fempre Veglierò fu di lor ; benediranno I D I L L J . 9 Le mie cure gli Dei ; di frutta onulle Vedrò le belle piante, alberi alteri Diverran finalmente, amabil ombra Spargendo andranno, ed al beato orezzo Ripoferà la mia canuta etade. Così parlando, allo mio fen paterno Io li ilrigneva : ed or che fatti adulti Son degli Dei fotto la m a n pietofa, Spargon V ombra gentile, e afilo, e pace Offron della mia vita a' giorni ellremi. Così crefcer vid' io quegli alti Meli, E Noci, e Peri, che ne' miei prim' anni Piantai quappreffo, ed or gli antichi rami Stendono a mantener denfa verdura, E frefche aurette al mio tugurio intorno. A h ! il più funello de' miei dì fu quando, Mirta, mia dolce fpofa, in fui mio petto Palpitante di duo! pofando il capo, Perdelli in quelle braccia, oimè! la vita. Dodici volte il tuo fepolcro, o cara Amica del mio cor, difiorifparfe L a ridente flagion : m a s' avvicina IO I D 1 L L J. 11 defìato punto in cui queil' offa Preffo alle tue ripoferanno ; e forfè In ritornando il condurrà la notte Quello lungo e canuto onor del mento, Verace teilimon della felice Paffata età, che fui mio petto ondeggia, C o n diletto io contemplo. 0 Zeffiretti, C h e P ale mobiliifìme agitate Soavi intorno, nelle argentee pieghe D i quello mento non abbiate a vile D ' errar fcherzofi: egli n' è degno al paro Dell' aurea chioma di garzon gentile, E del corvino crin che in belle ciocche Scende fui collo a candida donzella. Lieto rendiam quello bel giorno. I cari Figli radunerò, coli' innocente M i o nipotin, che a balbettar comincia, E un fagrifizio offrirò al Ciel. S u P ufcio L' ara ergerò della capanna umile ; Bella ghirlanda alla canuta fronte Farà corona, e a ritentar la lira Stenderò la mia delira ; inni di lode I D I L L J . Tutti a gara fciorrem ; d' eletti fiori Spargeremo la menfa, e in gajo cerchio Fra innocenti coljòquj il noilro cibo L a vittima farà. — Diffe il buon vecchio, Vacillando s' alzò, fui bailoncello Pofofli, intorno a fé raccolfe i figli, E lietamente una divota fella In onor celebrò de' fornirli Dei* I 13 I D I L L J. M A T T I N A T A . • B, >ella aurora, io ti fallito ; T i faluto, amabil dì. T u rinafci, e '1 tuo fplendore Già rifchiara il cupo orrore D i quel bofco, che crefcendo, L a montagna a noi coprì. L a tua luce fcherzofetta Già comincia a tremolar S u '1 torrente che ingiù cade, S u le vivide rugiade, E d infiem co' raggi fuoi Dolce gioja al m o n d o appar. Il leggiadro Venticello, Che dormia flefo fu' fior, Abbandona il gentil letto, V a a baciar ogni fioretto, I D I L L J . E rifveglia fufurrando Quei che dormono tuttor. Già de' Sogni s' allontana D a ' mortali il vario iluol ; E volteggia in aria errante, Qual di Cloe fuole al fembiante Degli A m o r la vaga fchiera Difpiegar intorno il voi. D a 'fiorettii grati odori Affrettatevi a rapir, Venticelli, e a Cloe vezzofa, C h e ancor placida ripofa, D e h recateli veloci, Ch' ella gli occhi è per aprir. Alle molli piume intorno D e h correte a refpirar ; E fui feno, e fui bel ciglio, E fui labbro fuo vermiglio Aggirandovi fcherzofi, D e h la fate rifvegliar. C o n fommeffo mormorio Poi parlatele così: 14 I D I L L J. Dove P acqua fcaturendo Viea dal monte a noi fremendo , Ti chiamava il tuo fedele Su P albor primo del dì. I D I L L J. If ASPETTANDO DAFNE AL PASSEGGIO. 1A1 è giugne ancor la bella Dafne ! llefo Su quella molle erbetta al fonte in riva L' afpetterò ; contemplerò frattanto Delle campagne il grato afpetto, e forfè M e n gravefiala fua t a r d a n z a — Ofcura Selva d' Abeti, i cui rofligni rami Folti, intrecciati, fcaglianfi quai dardi Nelle cupe ombre ; romorofo fiume, Che da valli montane ai verdi prati Porti rapidamente onde d' argento, Voi non curo veder : la frefca erbetta Tutto è '1 m o n d o per m e . Vago rufcello. / Che veloce ten fuggi attraverfando Il Nailurzio gentil, la Beccabunga, I cuifiorettida e tue beli' acque Si veggono fpuntar, quanto è foave 16 1 D I L L J. Per me '1 tuo mormorio ! Di quelle piante Al tremolante ilelo intorno accolta L' onda tua pura, lupicanti annelli F o r m a fcherzando ; tenerella erbetta L e tue Iponde ricopre, e co' leggiadri Fior diverfi le adorna ; il capo inchina Ciafcun d' elfi ver P altro > il tuo bel corfó Quali per ricoprir d' ombra gentile, E P onda tua fotto P amabil tetto Placida trafcorrendo, e i color vaghi Riflettendo de'fior,fifa più bella. Quella d' erba gentil frefca felvetta Cogli occhi trafcorriam. D e h come ricca D i varie tinte è mai quella verzura Abbellita dal Sol ! Degli agitati Steli volteggia fcherzofetta P ombra Su' vicin tronchi. Teneri cefpugli Stendon giovani rami e varie fronde, In gentile difordine fpuntando Dall' amabile fen della verdura, E fcuotono a piacer de' zeffiretti L efioritelor cime. 0 tu, vezzofà, Porporina I D I L L J . 17 Porporina Viola, o dell' uom faggio Immagin vera, tu ten reili umile Fra le piante volgari, invano fpargi Soave olezzo ; ed orgogliofi intanto Fiori fcevri d' odor ergono il capo, E a fé chiaman gli fguardi. •-- Alati infetti Fra le fogliuzze di minuta erbetta S'infeguono P un P altro ; ora gli perde L ' occhio fra P ombre verdeggianti, ed ora Li rivede agitarli ai rai del Sole, 0 fciorre il volo a torme immenfe, e mille Far movimenti gaj dell' aere in feno. M a qualfiorettoè quel, che tutto adorno D i bei color, fatto de' venti è gioco Al fonte in riva? o qual frefchezza! o quanto Amabile fplendor !... N o ; m'ingannai ; Soave error ! la farfalletta al volo Difcioglie P ali, e il gambo ove pofava Lafcia pel fuo partir tremulo ancora. L' altro infetto qual è, che ricoperto D ' un nero usbergo, il breve corpo libra Sopr' ali porporine, e fufurrando B 18 I D I L L J. Scorre veloce ? ecco eh' ei ferma il volo Su la vicina Campanella : forfè Pofa colà la fua compagna? 0 ! allenta, Rufcelletto, il tuo corfo ! o ! affai più dolce M o r m o r a tra le fponde! E voi, leggieri Zeffiretti vezzofi, ah! sì, temete L' erbetta d' agitar !... Sogno, oppur fento Soave inefprimibile armonìa, Che P anima m i fcuote ? ah ! non m'inganno: Cantano amabilmente ; m a non puote Sentir il noilr' orecchio ottufo troppo Sì delicato fuon, come non giugne Il corto occhio a veder delle lor m e m b r a L a gentil teflìtura. — Or qual mi fento Piacevole ronzìo fuonar d'intorno? Chi tutti ifiorifcuote? ali! d' api induilri Gli è un folto fluolo, che il lontano albergo Lafciando, lietamente ha fciolto il volo Per venirne a occupar prati e giardini. L à fagaci, avvedute, trafeegliendo, E radunando van la ricca preda O n d e accrefeon tornando il lor teforo. I D I L t J. 19 Della gentil repubblichetta un folo M e m b r o non v' è che al ben c o m m i non penfi, C h e inoperofo viva. Volteggiando Vanno difioreinfior,quando il velluto Picciol capo nel calice immergendo D'uno che aperto ha il fen, quando fra ichiufì Petali penetrando a grave (lento, E chiudendoli in elfi ; il fiorellino A /inferrarli torna, e agli occhi afeonde 11 ladroncel, che quei tefor gli fura C h e , un dì più tardi forfè, ei da fé (leffo Al Sole avrebbe e alla rugiada efpoilo * L à di trifoglio fu quelfiorfipofa Leggiadretta farfalla, e P ali fpiega Vario-dipinte ; il fondo lor d' argento Sparfo è di rofee macchie, e le contorna Dorata ilrifcia, che intrecciata gira C o n varie tinte d' u n bel verde. Or fiede Fallofamente ; il vezzofetto capo Adorna un pennoncel d' argentee piume • Amabil farfalletta, ilfioreinchina, C h e ti foflien, verfo il rufcello, e in effo B 2 20 I D I L L J. L a tua beltà contempla : allor fìmìle A Belinda farai, che affifa innante A lucido criilal, pone in obblio Ch' altro pur che farfalla effer dovrebbe. I fregi ond' ella s' orna m e n o vaghi Sono dell' ali tue, m a di te al paro Poco ella penfa, è al par di te leggiera. Qual cominciate romorofo gioco, Zeffiri fcherzofetti ? Ecco, in fui prato Trefcano vagamente, e fra P erbetta Vanfi ravvoltolando ; ellafipiega Innanzi ad elfi, e mormorando cede A 'fiatilor, qual d' uno (lagno P onda, C h e un leggier foffio innanzi a fé difcaccia. Il vario-pinto popolo d'infetti C h e aveavi alilo fpiega il volo e fugge, E dagli aerei campi lo fcompiglio Atterrito contempla ; i Venticelli S' acchetali finalmente, e P erba e i fiori A' lievi abitator fan dolci inviti, Perchè loro a polar tornino in feno. D a lunge, o! che vegg'io? perchè non poffo I t) I L L J . Invifibile farmi ? ah ! m' afcondete, Nafcondetemi, ofiori! ecco Giaciuto, Che di ricche coperto aurate fpoglie, Scorre fu P erba vile e la calpeila ; Alla Natura accanto ei paffa, efifchia; Ella invan gli forride : è antica troppo Per lui la fua beltà. Dalla vezzofa Enrichetta ei fen va, dov' è raccolto Scelto drappello a u n tavoliere intorno, E ove le belle fue velli fallofe Oggetto fìen di meraviglia agli occhi D e ' buon conofcitor, più che non fora D i ferena il chiaror placida notte. 0 coni' ei rideria fé m i fcopriffe Dal bel m o n d o lontano in fra gì' infetti Su P erba brancolar ! D e h mi perdona, Giacinto illuffcre, fé il propizio incontro\ Coglier non fo di contemplar il vago T u o portamento e le tue velli d' oro ! Picciolo infetto ad offervar intento S o n , che a pofar ne vien fopra lo (telo ; L e cangianti ali fue d' un verde aurato B 3 22 I D I L L J, Sopra un lucido fondo altera morirà Fan di quanti color P Iride aduna. Giacinto illullre, alla natura cieca D e h tu perdona fé a u n méfchino infetto Die u n veilito sì bel, che la più fina Arte a te dar noi puote, a te che tanto Sublime fei, che difdegnofo lafci Allo (lupido volgo i penfìer vili, Religione, cofcienza, e onore, M a giugne alfin la bella Dafne ; io volo Alfiancofiio; vezzofifiori,addio ; E voi, leggiadri abitator de' prati, Io v' abbandono, m a novei trafporti Verrò a cercar fra voi, fra voi la gioja Cullerò d' ammirar fin di natura Nelle più picciol' opre la felice, Dolce armonia dell' utile e del bello D'indiffolubil nodo infieme avvinti, E (Iretti fra foavi amplelfi eterni. L a vaga Dafne ecco m ' è preffo. 0 come D e ' Zeffiri a piacer va fluttuando L a fua vede gentil ! quanto foave I D I L L J . È quel forrifo, e quanto belli fono I fereni occhi fuoi ! M a invano, invano Foran belli per m e , fé un' alma pura N o n li moveffe, e un illibato core. B4 21 *4 I D I L L J. : ' ' A CLOE. • . • JL/immi, Cloe leggiadretta, hai tu prefente Quella foglia di rofa, che volava Jeri fcherzo dell' aure, e a noi d'intorno Spargea foave odor ? Io vo narrarti Ciò che vidi in quel punto, e che i tuoi lumi N o n poteano veder. Ben fai, che alfifo Al tuofiancoio mi (lava, e ti flrigneva Dolcemente al mio fen : quelli occhi miei Ebbri di tenerezza, i miei fofpiri Dicevanti aliai più, che balbettando N o n potea dirti il labbro. In quel momento ( Che ai feguaci d' Apollo è ognor conceffo D i veder ciò eh' altri non vede ) ritto Vidi in pie '1 Dio d' A m o r fu quella foglia, Qual {ì Ha fu la conca il Dio del mare. Guidavano per P aere il gentil carro Frefchi, leggiadri Zeffiretti? affai I D I L L J . 2f Più piccioli d' un' ape. Scintillante C o m ' uno de' tuoi fguardi, e al par vezzofo Del tuo forrifo era P amabil Dio. Verfo il tuo feno ei volfe, e fermò '1 corfo D o v e il cignea la velie. I Venticelli Ricovraronfi intanto in tra i fioretti Che ombreggiavanti '1 petto. A m o r difcefe Dal rofeo carro, e volteggiando intorno Al tuo fen palpitante, in fui bel mezzo Colcoflì, e riposò, N u m i ! con quanto Soave voluttà! Poffente-Dio, C o n baffa voce e con fofpiri fpeffi Gli difs' io allora, A m o r , fra gli Dei tutti E più forte, e maggior, deh i preghi afcolta D i queil' alma fedel ! Neffuno ancora Quanto il mio core il tuo poter conobbe. Al fuo lungo penar, agi' inquieti Palpiti fuoi porgi mercede, A m o r e , Porgila ad un che col fuo canto ognora Efalta il tuo poter. D e h fa che fempre Della vezzofa Cloe nel core alberghi L a tenerezza, che or ne' lumi fuoi *6 I D I L L J. Vivamente è fcolpita! Ahi che pur troppo ( Orribile penfiero ! ) agevolmente Può di fede mancar chi mille cori Volarfivede incontro al mirar folo Il fuo gentil fembiante. Odi i miei preghi, N u m e d' ogni altro più poffente affai. Sollevò il capo A m o r ; il manco braccio Appoggiò fui tuo feno ; alzò coli' altro L' arco fempre invincibile, e con voce Ch' io folo udir potea così m i diffe : L a Ninfa tua gentilfinda' prim' anni Educaro le Grazie, e quanti N u m i Prefedono alP amor vollero a gara L a fua beltà render perfetta. Invano A quel forrifo, a5 fuoi lumi refiile Chi non refiile a' dardi miei. Se fcherza, Ferifce al par di m e ; fé alcun la mira, A d amarla è collretto, e ognun che P ode È fuor di fé rapito. Ella ti adora, E te fra tutti eleffe : ognor fedele A te farà, fu P arco mio lo giuro. Colei che tutti dell' A m o r e i doni I D I L L J. 27 Raccolti ha in fé, que' doni, che divifì Di Citerea fra le compagne, ancora Fan la delizia d' ogni cor, colei Fida faratti ognora, o il più felice Di quanti amanti fon felici in terra. Così A m o r favellò; quindi fcendendo Giù pel tuo fen, le bianche ali difciolfe, E tornò fui fuo carro. A Gnido io volo, Difs' ei, fenza tardar ; là vo che s' erga D i Cloe la (latua a Venere dappreffo, Scolpita in terfo m a r m o ; ognun che in petto Nutra un amabil foco, al facro altare Offrirà vaghifioriin puro omaggio •• L a fogliuzza di rofa allor pel vano Dell' aere rivolò. L' ellafi muta Che ni' occupò ben tu vederli. Il labbro Volle fpiegarti il mio trafporto invano. tti Altro io far non potea : ti (Irinfi al feno, Colle braccia t' avvinfi, e forpirai. i :' 38 I D I L L J. i IL DESIDERIO. S, e di quello mio cor P unico voto Accoglieffe il dellin, ( che i voti miei Sempre fon vani fogni ; io m i rifveglio, N é li rammento più, fé pur taluno Render felice non bramai ) fé tanto M ' accordaffe il dellin, né ricco (lato, N é impero chiederei, né che fuonaffe Fra eilranie genti e fu rimoti lidi Della F a m a fu P ali il n o m e m i o . Perchè non poffo incognito, tranquillo Dal tumulto lontan condur la vita Di Città romorofa, ove a un cor retto Fatali infìdie ognor fon tefe, e dove Ufanze iirane e barbari collumi Error, colpe, e follie mettono in pregio ? Perchè non poffo fra folinghi campi Trar lieti giorni, dall' invidia nera I D I L L J . 29 Lungi, e dal vano onor d'inutil fama ? Sul mio femplice albergo un' ombra amena Spargerieno alte Noci, e un pergolato Vi formerien ; fotto le verdi foglie Abiterieno i Zeffiri foavi, Il placidofilenzioe il dolce orezzo. Dinanzi all' ufcio in picciolo ricinto Mormoreria limpida fonte, chiufa D a viva fìepe, fotto un arco ombrofo D i pampinofì tralci. In la beli' onda L' anitra diguazzarli e i cari figli Vedrei talor ; le amabili colombe, Lafciando il tetto amico, a diffetarfi Vernano a gara, e fu la frefca erbetta Vedrianli palleggiar, vezzofamente Ergendo il còllo a bei color dipinto. Il maellofo gallo a fé d'intorno Raccoglieria le ilridule compagne, E tutti infiem della mia voce al fuono Lieti accorrendo, il defiato cibo A chiedermi vernano. Gli augelletti D a infidie illefi avrian gradito albergo 30 I D I L L J . Su le piante vicine, e dolcemente Chiameranfi cantando in traile fronde. Gli alveari dell' api, induilre e faggia Repubblichetta, che fpettacol forma Utile e vago, delia corticella Si vedriano in u n canto : ad effe grato Fora dell' orto mio P albergo amico, Se vero è ciò che da' pallori intefi Speffo narrar, che là s' arreilan folo D o v e foglion regnar ripofo e pace. Dietro alla mia capanna ampio giardino Formar vorrei ; colà femplice P arte D i natura gli amabili capricci Seconderia, fenza ribelle farfì Alle fue leggi, o averne P opre a vile, 0 mafcherarle in (lolte foggie e lirane. Chiufo fora il giardin da una muraglia D i bei Nocciuoli; di felvaggie Viti D'ambi i lati ergeriafi un pergolato, D o v e fuggendo il caldo Sol, talora Contemplerei P Agricoltor, che il fuolo Preparando Ilaria per feminarvi I D I L L J . |I Saporiti legumi; e dall'efempio Animato talora, a lui di m a n o Torrei la vanga, il fuo lavor tentando: Ei guateriami, e rider lo vedrei Del mio poco vigor. Sovente ajuto Gli prederei quando le curve piante Annodaffe a' vincallri, o coltivando Garofani n' andaffe, e gigli, e rofe. Fuor del giardino un limpido rufcello A irrigar ne verria gli ameni prati D ' erba frefca coperti ; indi ferpendo All' ombra andrebbe d' un gentil bofchetto' D i fruttifere piante, i cui germogli Io di mia m a n coltiverei. Nel mezzo L' acque raccoglierei del rufcelletto In un picciolo ilagno ; un' ifoletta Sorgeriagli dal fen, che avria di fopra U n ombrel dt verdura. 0 ! poche vigne Sopra facil collina, e un campicello Se poffedelfi ancor degli aurei doni D i Cerere coperto, o ! qual Monarca Stimar potrei di m e più ricco in terra ? 3Z I D I L L J. « Ma la capanna mia lungi fia polia Dal loco ove Dorante a ritirarli Viene talor per meditar in pace Col fuo crocchio fublime alti foggetti. Colà s' apprende, che a promover guerra N o n penfa il R e de' Franchi; colà tutto Saper fi può quel che farebbe M o p f o , Se fu P Anglia regnaffe; e mentre intorno A lauta menfa un folto fciame accolto Arti, Scienze, del Governo i vizj Efamina, condanna, in fu la vuota Fronte ognun porta alta importanza impreda.Dal foggiorno d' Oronte il mio foggiorno Sia lunge ancora : di rimoti climi Scelti licori radunar, per lui Forma il folo penfier ; fé in la natura Trova qualche beltà, gli è perchè folo Volan per P aere, o nuotano fra P onde, 0 fcorron per le felve eletti cibi. Ei fra' campi ne vien fol per poterli Liberamente a diffoluti eccedi Abbandonar : nella Cittade è pefo Curiofo I I) I L L J. 31 Curiofo vicin, che offerva i padì Di chi predo gli alberga. 0 fventurato, N o n venga mai quel giorno in cui tu redi Solo con te medefmo ! ei ti farebbe Infopportabii troppo. Avverrìa forfè, C h e , non volendo, fu di te gettaflì U n fuggitivo fguardo, e oh qual fpavento, Quale n' avredi orror! M a ti conforta: Anelanti i corfier de' tuoi più cari S' affrettano a depor nelle tue foglie I pefi indegni. Fra bedemmie e giuri Scendono già; tumultuofa gioja, Follia sfrenata, dolti eccedi e drani Gli accompagnano a menfa, ove cedendo A una brutale alfin fchifola ebbrezza, Metton fine agli orrori in braccio al fonno .Più che da tuttifiada te lontano Il folitario mio felice albergo, Famelico Arpagon, le di cui foglie Son cudodite da fcarnati cani, Che per fame rabbiofa inferociti, Svelgono al mefchinel da te fcacciato C 34 I D I L L J. Il poco pan eh' egli ha di pianto afperfo. QuegP infelici che malvagia forte Refe tuoi debitor gemono oppreffi Pel tuo crudo rigor. Dal freddo e m e d o T u o focolar fumo di rado s' alza, E giudo è ben che te la fame opprima, Se le ricchezze tue del poverello Che piagne e prega invai! fono empia fpoglia. M a ove mitragge un tetro umor? Tornate, Immagini ridenti, all' alma mia L a letizia rendete, e al caro afilo Guidatemi d'intorno — Al mio vicino, Dell' onedo Cultor P affumicato Albergo forgerà; d' un mutuo affetto Gli fcambievoli ajuti, i buon configli, D ' amichevol candor fpontanei frutti, N o n fallace letizia al primo fguardo C ifpireranno : ah ! qual dolcezza è al mondo Più che P edere amato, e che mirarfi Contento avvicinar quello che a noi Parte debbe de' beni ond' egli è lieto ? Qiiando un romor tumultuofa fveglia I D t L L J. 3f L' abitator delle Cittadi, quando Imprigionato fra muraglie, i raggi Benefici del Sol mirar non puote, N é P Aurora che forge, io rifvegliato Dalle foavi aurette mattutine E da' canori augelli j o fui pendìo Della collina, o negli erboii prati A incontrar volerei P Alba vezzofa. D e ' colli fu le vette il mio trafportO Col canto efprinlerei ; deh ! qual diletto V ha maggior del veder in u n mifcuglio Pien d' armonia confonderli le tanto Varie bellezze di natura ? Audace Mortale infimo, e tu fperar ardifci D ' accrefcerle beltà colfiaccoajuto D ' arti imperfette, che imitarla ponno D a lungi appena ? Labirinti forma Cinti di verdi mura ; imponi al Taffo, Che piramide fembra, a quale altezza Giugner debbe e non più ; difinafabbia Spargi i viali, perchè ilerpo o bronco N o n rechi oltraggio a chi vi porta i palli : C % 36 I D I L L J. Io per me, rozzi prati amo, e felvaggi Bofchi foltanto. Nella lor confufa Amabil varietà faggia Natura Spiega un ordine occulto appien conforme Dell' armonia, del bello alle fegrete Regole eterne, e il cui poffente effetto L' anima dolcemente occupa e drigne. D ' amica Luna al tacito fplendore Paffeggiarei talor,finche la notte Foffe a mezzo il fuo corfo, meditando S u P union felice onde ogni parte Dell' univerfo è all' altre parti unita; E mille mondi intanto e mille foli Mirerei balenar fui capo m i o . L o danco Agricoltor, che lieto canta Dietro P aratro, onde con grave dento Forma un folco penofo, io fpeffe volte N e ' campi feguirei. Fra i Mietitori M i troverei talor, che in lunga fila Uniti danno, e prederei P orecchio Alle rozze canzoni ed alle gaje Lor novellette. Quando a noi tornaffe / I D I L L j. Fecondo Autunno gli alberi tignendo D i variati color, quando gli allegri Vendemmiatori di giulivi canti Federo i colli rifuonar, tra loro Frammifchiarmi vorrei : vaghe fanciulle, Garzoncelli leggiadri unitamente Scherzar veggonfi allor, da pampinofi Tralci i pendenti grappoli cogliendo Dolci e maturi. Quando fon raccolti Gli autunnali tefori, a torme a torme, Empiendo P aere di fedofe grida, S' avvian tutti colà dove il romore S' ode dello drettojo, e ove gli afpetta U n allegro convito. Della fame Sazio il primiero impulfo, ivi comincia A comparir la rudica gajezza, E P alto, allegro rifo. Ifiafchivuoti Il buon ode ricolma, e alla letizia Invita ognuno. A raccontar s' accigne Guglielmo allor, come ne' fuoi be' giorni Fé un gran viaggio, ed arrivò perfino Della Svevia nel centro ; e c o m e vide C 3 37 38 I D I L L J. Molti alberghi colà più vadi e adorni Che '1 Tempio del villaggio, e un gran Signore Chiufo in un cocchio di crillalli e d' oro, Tratto da fei corfieri ognun più bello D i quei che fpeffo pafcolar fi mira Del Mugnajo fui prato ; e come porta In quel paefe ogni padore un verde Cappello a punta ditto. Tante cofe Egli racconta alfin, che a bocca aperta R e d a il famiglio, colla delira m a n o Sodenendofi '1 capo, e così attento, Che poneva in obblio d' effer vicino Alla fua bella, fé ghignando queda Noi pizzicava in una guancia. Giorgio Prende allora a narrar, come un folletto Infeguì '1 fuo vicin; c o m e quel trido S' appollajò fopra u n canedro, e certo Fin fotto alla grondaja ito farebbe Dietro al mefchin, fé a fcongiurarlo in fretta Ei non poneafi, L e novelle han fine, E di Cintia al chiaror la turba lieta Scioglie il piede alle danze ; intìn che giugne I D I L L J . 39 L a notte a mezzo il corfo, e ognuno invita A cercar la quiete in braccio al Tonno. M a allor quando piovofi e tetri giorni, Quando i rigor del Verno, o della State I vivi ardori de' palleggi miei Vietaffermi '1 diletto, allor rinchiufo In folitaria danza, io dolcemente L' ore trarrei fra i Genj illudri e chiari, Gloria dell' età lor, che in dotte carte D i fcienza verfaro ampj tefori ; Eletto ftuol, che P alma pafce, e torna. Alla primiera dignità. I codumi D'ignote Nazion, le meraviglie Onde fparfe Natura edranj lidi Q u e d o m ' additeria ; quegli trarrebbe A' fuoi miderj il velo, e nel fegreto Loco ni' introdurrla dov' ella forma L' opre fue prodigiofe ; e riti, e leggi, E la doria de' popoli, vergogna E gloria infiem di nodra dirpe, P uno M ' apprenderla ; P alto dedin dell' alme, L a lor natura ecceda, e di virtude C 4 40 I D I L L J. L' amabil pregio udrei da un altro. Intorno Vedreimi i Saggi e gP immortali Vati D e ' tempi che paflaro. Il lor fentiero È del bello il fentier, m a pochi fono Qiie' che calcarlo ardifcono ; la turba D e 'fiacchis' avvilifce, e indietro volge G P incerti pafii per fallaci vie D'inodorofi fior fparfe e d' orpello. D e ' pochi il n o m e or farò noto ? o genio Creator, Klopdochio, e tu B o m m e r o , Che a Bretingero unito alto appendedi Della Critica il lume, per opporlo A que' fuochi ingannevoli, che folo A fmarrirfì conducono tra bofchi Aridi e tra paludi ; o Vielando, L a di cui Mufa a vifìtar fovente N e va Filofofia fua illudre fuora, E a rintracciar nel fuo rimoto afilo Argomenti fublimi, onde vedirli D i grazie feducenti : o quante volte M i trafportaro i vodri canti ! 0 Kleifto, C h e la Natura amabilmente hai pinta, • I D I L L l. 41 I tuoi carmi foavi a m e fon dolci Qual di vaga il chiaror placida notte, E nel gudarli P anima io mi fento Così ferena, come un verde prato, Cui di luce ricopra argentea Luna. 0 Gleimo, 0 tu che fu P amabil lira Canti femplici amori, e '1 dolce incanto D e g P innocenti giochi.... E forfè deggio Tutti nomarvi, eletti fpirti ? è breve Troppo il numero vodro. Oimè ! corrotto Quedo fecolo ingiudo, mal conofce I vodri pregi : a poderi migliori L' onorarvi è ferbato — Io di fovente Trafcriverei nella folinga danza L e tenere canzon, che d' un bofchetto All' ombra amena, 0 predo una cafcata Di limpid' acque, 0 fotto un pergolato Di Cintia allo fplendor avrei compodo N e ' miei paffeggi ; e quando incili rami In contemplar, i genj ammirerei Che fui metallo ad imitar fon giunti L' alte bellezze di natura ; e quando 4Z 1 D I L L J. Tentar vorrei di trafportar in tele Gli fpettacoli vaghi ond' ella è ricca. D'improvvifo talor picchiar all' ufcio Udrei della capanna ; e m e felice Se all' aprirlo vededi in quelle braccia Per accoglierlo aperte un dolce amico ! Sovente ancora da' paffeggi miei Tornando al caro albergo, a m e d'incontro Vedrei venir i cari amici a duolo, 0 difgiunti pur anche. Allora infieme Trafcorreremmo le campagne, e fcevri f)' amarezza, di duol, rapide P ore Scorrer vedremmo tra colloqui gravi Alidi a fcherzofì motti. Dalla fame Sarien conditi i cibi, che '1 vivajo Ci apprederìa, la corte, e P orticello 0 fotto un pergolato, o in una vaga, Gentil capanna di verdura, eretta In mezzo al mio giardino. U n ' altra volta, Sotto il frafcato, della Luna al lume, E colla tazza in m a n , gaje canzoni Intigneremmo ; fé co' dolci accenti I I) I L L j. 43 Non e' invitaffe il tenero ufcignuolo Cheti, commodi ad afcoltarne il canto. Ala oimè! qual fogno mi feduce! Ahi ! troppo, Fantafma menzognero ; ahi ! troppo a lungo L a mente mia fra un dolce error fi perde Nel ricercarti. 0 dolce e inutil brama, Mai ti vedrò compita. E ognor mal pago L' u o m del fuo dato ; fra rimoti campi, Onde un impenetrabil labirinto Gli nafeonde P ingreffo, egli P imago Della felicità contempla e adora ; Sofpira allor ; né il ben che pur dovea Sul fentiero trovar della fua vita Scorge, o noi cura. Alla Virtude fola Dato è '1 formarlo ; appien felice e faggio Quell' u o m o è fol, che il podo a lui fidato Dall' eterno Architetto, ond' è difpodo Tutto '1 piano del m o n d o , occupa, e tace. Sì, celede Virtù, fola tu fei Che formi '1 nodro ben ; tu fei che fpargi Felicità fui viver nodro e gioja. Chi potrò invidiar quando a m e giunga 44 I D I L L J. L' ultimo di que' dì che tu avrai fparfì D i foave dolcezza ? Allor contento Qued' occhi chiuderò pianto da' buoni Che per te avranmi amato, e da voi pianto, Diletti amici. Allor eh' errando il piede Vi guidi al poggio ove il mio cener freddo Giacerà in breve albergo, allor commodi Strignendovi le dedre, e P un dell' altro Cadendo in feno, ah ! quedo, dite, è il loco Dov' ei ripofa : egli ebbe retto il core, E dell' opre fue giude or trova in Cielo Mercede eterna. A lui vicin fra poco Ripoferan qued' offa nodre, e infieme Con elfo avremo interminabil pace. E tu, vezzofa e dolce amica, i padì Quando al colle rivolga ove la tomba Sorgerà del tuo fido, e fu P avello Tremolando Fiorranci e Margherite Al tuo cor mi richiamino, deh sfugga U n a lagrima dolce agli occhi tuoi ! Che fé a' beati è il vifìtar conceffo Quede campagne amene e quedi ombro fi / I D I L L J . 4f Solinghi bofchi, ove paffammo P ore Sì dolcemente, meditando uniti Su P eterno dedin della nodr' alma ; Se dato è lor d' avvicinard al caro Del lor amore oggetto, o come fpeffo Ti volerà quel? anima d'intorno ! Sovente ancor quando occupata, accefa D a un fentimento alto e fublime, in mente Rivolgerai gravi pender, fedendo Tacita e fola, u n deboletto fiato T i fpirerà fui volto : allora un dolce Fremito facro ti penetri il core. 46 I D I L L J • CANZONE j £' UNO SVIZZERO • ALLA SUA BELLA ARMATA (*). na vaga donzelletta Colle infegne d' u n guerrier ! O qual raggio efce e faetta D a quel fulgido cimier ! L e tue piume fventolando V a n per P aere col bel crin, D ' onde, afcofo folleggiando, Dardi fcaglia il Dio bambin. (*) Qtmndo /' Imperatore Alberto ajjediava la Città dì Zurigo , le donne e le fanciulle veJtirono la corazza , e Jì frammifihiarono cogli nomini armate da capo a piedi : P /;;/, peratore, forprefi di veder unì armata così numerofa , jì ritiro. I D I L L J. QuelP usbergo, che il bel feno Ti ricopre, non fo amar : Dolce ei palpita... ed almeno L o vedeffi palpitar ! Ben m'incanta il gentil piede Che la vede mi celò, E quel più eh' orafivede, Che coperto ognor redo. Fra quelP armi o fei pur bella ! T u mi fembri il cherubin Che facea la fentinella D' Eden là nel bel giardin. Ei de' buoni ognora amico, Trattò gli empj con rigor : T u feroce col nemico, N o n mi neghi il tuo favor. A h ! di Marte P empio orrore Ti rifpetti per pietà ! M a ti pad! un dardo il core Che P Amorti fcaglierà. 47 48 I LA D I L L J PRIMAVERA. ^ ^ u a l armonia foave, e qual trafporto G P ingannevoli fogni mattutini Scaccia lungi da m e ? celede gioja L' alma tutta m'ingombra. 0 Primavera, Io ti riveggo pur ! tu a noi ritorni Cinta di quanti leggiadretti vezzi Adorna gioventù. Candida Aurora D i porpora vedita a noi t' adduce Dall' Oriente, e teco i Giuochi, il Rifo, Teco guida P A m o r : P A m o r , che gli occhi Ai bofchetti volgendo e ai verdi prati, A' vicini trofei par che forrida. Già P arco ei piega ; la temuta ei fcuote Faretra già. L e tre vezzofe D e e D i Ciprigna feguaci infiem le braccia Intrecciando ti feguono. T u giugni, Turba gentile, a' primi rai che il Sole Sparge fui m o n d o . D ' augelletti gaj Vola I D I L L J. Vola fedofo immenfo duolo, e fcherza D i foco tra le lucide colonne Che attraverfan le nubi ; a te d'incontro Ei vien, turba leggiadra, e ti faluta Col gorgheggiar foave. Impazienti L e rofe tenerelle il chiufo feno D o m a n d a n o d' aprir : brama ciafcuna D ' effer la prima a fparger grati olezzi Per P aere intorno, e alla dagion gentile A volgere il primier dolce forrifo. I Zeffiretti co' vezzofi giochi Il lor ritorno annunziano ; volando Dal colle al piano, pe' bofchetti ameni Volteggiano leggieri ; indi le felve Scorrono, e malignetti forridendo Riveggono que' luoghi ove han fcoperto Al tenero Pador la bella altera, Che afcoltava nafcofa i canti fuoi ; Ravvifano le piagge ove fcuotendo L' ali foverchio audaci, arrodìr fero L' amabil Padorella, che danzava Co' leggiadri garzoni ; fra cefpugli D 49 fO I D I L L J. E bofcagliefiipargono, e col dolce Mormorio vago avvertono le Ninfe Addormentate e in le lor grotte i Fauni, Che torna Primavera. Vacillando Edi n' efcono allora, ed a' caprigni Satiri uniti, con fedofe grida, E col fuon delle amabili zampogne, Sen corrono a chiamar le Ninfe liete. L' urne chiufe pel Verno aprono ornai L e Najadi vezzofe ; i rufcelletti C h ' efcon da quelle or mormorando vanno Fra' tronchi ddÌQ piante e fotto gli archi D e g P intrecciati rami, or romorofì Precipitan dai colli, a cui corona Forman vaghe felvette ; ferpeggiando Stendonfi P acque lor fu' verdi prati, E alfìn raccolte fra bofchetti ameni, Cangianfi in laghi placidi, e fovente Abbraccian lafcivette delle Ninfe Che a tuffar vi li van le m e m b r a intatte. Vien, gentil Primavera : a fparger vieni Fra noi letizia e gioja. — Qiieda vaga, L D I L L J . Amabile dagion regnava, amici, Quando fui vicin lago mollemente Fluttuando la nodra navicella, Lunghi fui fuo cridal folcili imprimea . L' onde azzurrine ad agnelletto eguali Saltellavano intorno ; i zefiìretti Scherzavano frammezzo, in verfo il legno Spigneanle a gara, e quale in elfo urtando Spezzavafì fremente, e qual cacciata Era da'fiatilor fui lido ombrofo ; Allora Eco gentil fpargeva intorno L a nodra gioja, e infiem con noi ridea. Fra le paludri Canne, che piegando L e cime all' aleggiar de' venticelli Parean chiamarle, s' afcondeano fpeffo L' onde fuggiafche, m a tornavan todo A laltellar ver la barchetta. A terra S c e n d e m m o alfin ; m e rivedifte, amici, Del real grado, m i cignelle il capo Di pampinofi tralci ; e colla pace Del cor dolce letizia era fra noi. Primavera fplendea pur anche allora), D a fi • f2 1 D I L L J. Che di rami con teda una capanna Sul colle e r g e m m o , e fieli in fu P erbetta All' ombra fua gentil, dolci licori Soleggiando, e drigncndoci fovente L' uno dell' altro al fen, gaje canzoni Intignavamo a coro : i Dei de' bofchi Ci afcoltavan nafcoiì, in bada voce L e ripeteano ; e fu' ridenti poggi Tuttora, e fra le felve, allor che intorno Stanno a menfii giuliva, o a liete danze Sciolgono il pie, le cantano feilofì. Vieni, vezzola. Primavera : i prati Vieni a coprir difiori; a render vieni Alle felve, a' bofchetti, agli archi ombrofi L e fronde, il primo onor. Bacco e Sileno Cinti de' lor feguaci al tuo ritorno Applaudon colle rifa : e dove mai Rider più lietamente è dato, amici, C h e alle verdi ombre ? Sotto un pergolato D i pampini ne van le Mufe e A m o r e Del vino a ritrovar P allegro Dio, C h e con diletto ode i lor canti ; ei fcio^lie I D- I L L J- Sì Quindi la voce, allegre novellette Loro a narrar comincia, e le interrompe C o n alte rifa, che tremar fui capo Fatinogli '1 verde pampinofo ferto , Che la faccia gli ombreggia. U n ' ampia coppa D i vin drignendo, gP Indici viaggi Canta giulivo ; fu quel popol fofco Gli ottenuti trionfi ; i rei cordili C h e in delfini cangiò ; P arbore cinto D ' ellera e verdi pampini ; e le dolci Fonti di vin eh' ei fcaturir già feo. Allor la coppa ei vuota, in nuove rifa Prorompe, a ricantar comincia, e narra C o m e fpuntò per fuo voler la Rofa. Ninfa leggiadra, ei dice, io m i volea Strignere al fen : ratta fu'fiorfeorrendo, Fuggìa la bella ; fpeffo indietro il capo Per guatarmi volgeva, e malignetta Sorrideva talor, che m i vedea Correndo barcollar. Per Stige il giuro, L' avrei feguita invan, fé fventolando N o n ravvolgeafi la fottìi fua vede D 3 f4 I D I L L J. Fra uno Spineto. Avvicinatoli allora, E , non fuggir, le diffi, o bella: il N u m e Del vino e del piacer, quel per cui fplende Eterna gioventù, Bacco fon io. Riverente la Ninfa allor la guancia Porfe a' miei baci. Al vago cefpuglietto Volli grato modrarmi: colla verga Poffente lo toccai, difioriimpofi C h e fi copriffe vermiglietti, c o m e L ' amabile roffor onde fi tinfe L a bella Ninfa : e ne fpuntò la Rofa. Pan fopra un origlier di verde mufeo L a floria afcolta, e il coronato capo D i rampolli d' Abete appoggia m e d o Sul manco braccio, di penfar in atto. O Bacco, ei dice alfin , sì dolce forte N o n ebb' io già quando infeguii pe' bofehi L' amabile Siringa. Indi rivolto Al tridarello Arder, che ancor ridea Della ner' opra : o difpietato N u m e , Qual mi fedi provar barbara doglia Allor che il caro ben cangiar m i vidi I D T L L J. ff Su gli occhi in Canna! Dice, e alla zampogna D i quelle canne inteda ei volge il guardo, E in fuo cor g e m e ; indi fui nappo il fida Colmo di vin, lo vuota, e fcaccia il duolo. Narra le fue vittorie A m o r anch' elfo, E come trionfò di tante e tante Beltadi altere. Amabile Brunetta, Sarò pur lieto fé il tuo n o m e un giorno Cogli altri udrò fuonar tra i falli fuoi ! D 4 <>6 I D I L L J . TITIRO E MENALCA. J^opra il pendìo d' ameno colle defo Menalca il giudo Vecchio ricevea D a ' rai del Sol benefico.ridoro. In dolce edafi afforto, e valli e monti Scorrea col guardo, ove il felice Autunno Novello onor, nuova beltà Ipargea. Titiro, il fuo gentile ultimo figlio, Eragli appreffo ; ei non vedealo. Immerfo Nel fuo trafporto il virtuofo Vecchio Sospirava talora ; il giovinetto L o contemplava, e P anima ripiena Avea d'amabil gioja. 0 padre m i o , Diffegli alfine, P edafi profonda, In cui ti veggo afforto, allo tuo ipirto C o m e dolce/ effer debbe ! Io ti fon predo D a che le luci tue ferene hai fide S u le fertili piagge ove rifplende I D I L L J. f7 La bellezza autunnal, fofpirar fento L'anima tua commoffa...Ah! padre, io chieggo U n a grazia da te. M E N A L e A. Dì quel che brami, Amatofiglio,e alfiancomio t' affidi, Che la tua fronte io baci. — Il garzoncello Lieto s'adife, ed il buon Vecchio in fronte Dolcemente baciollo. Odimi, o padre, Diffe '1 fanciullo : il mio maggior fratello Più volte mi narrò ( che quando all' ombra Sediamo, ed erra pafcolando il gregge, Di te parliamo, e gli occhi nodri allora Per tenerezza inonda un dolce pianto ) , Più volte ei mi narrò, che de' Cantori Fodi '1 primiero un dì ; che molte agnello Nelle mufiche gare in premio avédi. 0 fé in quedo m o m e n t o , in cui P afpetto Dell' autunnal beltade intorno fparfa Accende il tuo penfìero, una canzone Se cantar m i volefiì! A h ! te ne priego, Padre, noi m i negar. — Sorrife il Vecchio, f8 I D I L L J .. E, a compiacerti, diffe, amato figlio, M i proverò. Se grato fono ancora Alle Mufe qual fui, che tante volte M i fer propizie meritar corona Nel mufical certame, una canzone Ti canterò. — Col guardo allor trafcorfe L e ridenti campagne, e in fé raccolto, Lieto al canto così principio diede. . Belle Dive di Pindo, L e mie preci accogliete ! anche una volta Alla mia roca voce Porgete orecchio. Se de' giorni miei Nella felice primavera, in riva A' vaghi rufcelletti, D e ' taciti bofchetti Fra le beli' o m b r e , io vi trovai pietofe, Or che gelido verno Copre i miei dì, fevere ah ! no non fiate Al fervido defio. Belle Dive, ifpirate il canto m i o . Campagne al Ciel dilette, I D I L L J . f9 Dove '1 felice Autunno Regna co' doni fuoi, deh in rimirarvi Qual trafporto ho nel fen! Quanto fplendore Cigne P anno che muore ! U n orlo aurato Formano Salcj e Canne A' rufcelletti intorno; le ingiallite Cime di Meli e Peri erran difperfe Sul colle vario-pinto, Sul prato ancor dipinto D a una gentil verdura, a cui contrado Fan de' Ciliegj le purpuree foglie, Che nel fuo fen la frefca erbetta accoglie. Neil' autunnal dagione Ufurpa il bofco al prato I varj e bei colori O n d e ricco lo fa la D e a de' fiori. U n a vermiglia tinta, Interrotta qua e là da Pini e Abeti D ' u n verde eterno, fcende giù dal colle Nella valle foggetta; il peregrino Col pie calca le fronde Al fuoi difperfe ; errando va P armento 60 I D I L L J . Con tardo paffo e lento S u lo sfiorito prato, ove foltanto Il Colchico riman, delle vicine Funedo meffaggier gelide brine. 0 benefiche piante, Che colle dolci frutta e P ombra vaga Ridorade finor greggie e padori, Del Verno a voi gli orrori Apportano ripofo. A h ! noi cercate Nella tomba, o mortali, Senza produr frutta foavi, e fenza Porger all' u o m , che langue Fra miferia e fatica, Benefico ridoro ed ombra amica. Credi,figlio,a' miei detti: ognor difcende Su P albergo del giudo Il celede favor, e le fue medi Benedice, conferva. U n retto core Chi alligna in fen, chi negli Dei confida, Sopr' abifii ingannevoli non puote Smarrir il pie ; de' fagrifizj fuoi Il vapor facro afcende I D I L L J . 61 Fino all' Olimpo ; il Ciel benigno accoglie Della fua gratitudine gli accenti, E i voti del fuo cor; né augel fìnidro C o n lugubre dridor, né Caprimulgo C o n tetra voce perigliofi eventi Viene a predirgli: egli ripofa in pace Sotto un tranquillo tetto, Felice, benedetto D a ' fuoi Penati, che ad ogni or prefenti Odono i detti fuoi puri, innocenti. Sorgono in Primavera Giorni ofcuri talor ; ferena Edate Cingono procellofe, orride nubi : Figlio, non ti lagnar fé a' pochi giorni C h e concedi ti fon frammifchia il Cielo Qualche ora tenebrofa. I detti miei Serba nell' alma allor, che foggiacendo D i chi vive alla forte, Io t' avrò preceduto in fen di morte. Venti, fpietati Venti, A h ! del ridente Autunno ah! rifpettate L' amabile beltà! co' dolci fiati 62 I D I L L • J. Placidi i Zeffiretti Errando fcherzofetti Svelgano dalle piante a poco a poco L e moribonde foglie, onde i miei lumi N o n perdano sì todo Così vago fpettacolo. Felice, Benefica Stagion, clliufi per fempre Saran forfè qued' occhi al tuo ritorno, N é più verrà quel giorno Ch' io ti contempli. A h ! P arbore qual Ila Che colle moribonde, Cadenti aride fronde, Del verdeggiante in pria fuo crine ombrofo, L a terra coprirà del mio ripofo ? Così cantò. Piagnendo il Padorello L a m a n drinfe del padre a' labbri fuoi. I D I L » J- *? E R I Z I A. MlRSONE. V ieni, Licida, vien ; dentro al micelio, Su cui formali leggiadra ombrofa volta Salici e Pioppi, entriamo: ivi le piante Rinfrefcarcipotrem. LICIDA. Sì; teco vengo, Mirfone, volentieri: è sì cocente L' edivo ardor, che troppo frefco afilo Ritrovar nonfipuote. MlRSONE. Andianne, amico, Fino alla rupe onde il rufcel difcende. Regna colà d'intorno Così amabil frefchezza, Che in cridallino fiume Crederedi nuotar di Cintia al lume. LICIDA. Odi, Mirfon: già fento 64 I D I L L J. Dell' acqua che ingiù cade L' amabile fragor. Par che la gioja Qui a ricercar s' affretti Quanto refpira. 0 qual vago ronzìo, Che dolce mormorio, Che foave garrir ! e qual tumulto Vario, gentile ad animar ne viene Q u e d e fiere al ripofo ombre ferene ! Quel vago Cardellino Saltellando così di faffo in fallo Che vuol? forfè defia Additarne la via? Ve' come irraggia Febo d' argentea luce il cavo feno D i quelP annofo Salcio D ' edera cinto ! A h ! offerva, amico, offerva : U n tenero agnellino Nel fuo tronco è nafeofo. 0 com' ei fu ingegnofo Nel trovarli un afilo ! MlRSONE, T u d'intorno Vai pur tutto offervando, e non ti avvedi Che I D I L L J. £f Che del cammin fiamo alla meta. L I C I D A . OPane! 0 Dei ! che vago loco ! M iR s o N E. Il rufcelletto, C o m e un candido lin, che fiuttuando Va dell' aure a piacer, tutto ricopre Della grotta P ingreffo, e colle fronde Gli fan gentil corona I tremuli arbofcelli. Andiam : mi fegui Dietro a quella Cafcata; Entro alla grotta entriamo. L I C I D A . 0 qual foave Raccapriccio mi deda Queda gentil frefcura ! A' nodri piedi Spumofo fufurrando Cade il rufcello ; e i vivi rai del Sole Percuotono le (lille, Sì che fembran vivaci auree faville. E 66 I D I L L J . MUSONE, Su la mufcofa rupe, Dolce amico, fediam. Sopra que' fallì Che forgono dall' acque Terremo afciutto il piede, e la Cafcata Col trafparente fuo leggiadro velo Ci coprirà. LICIDA. Certofìnornon vidi Più dilettofo loco. MUSONE. È vero ; amena È queda grotta: e infatti A Pane è facra. Sul meriggio lunge I Padori ne van, che fama è allora Qui '1 Dio ne venga a ripofar. — T ' è nota D i queda fonte, amico, L'idoria portentofa? Io la ti canto Se tu lo brami. LICIDA. In quedo amabil loco È dolce il dimorar. Sul mufco affifo, I D I L L J . Alla rupe appoggiato, Fra' canti tuoi m i crederò beato. ìli 1 R s 0 N E canta. 0 figlia d' Eridan, vaga donzella, 0 fra le Ninfe della calla Diva Più vezzofa e gentil, fodi pur bella! Tenera giovinezza in lei fioriva, E già la forma leggiadretta e fnella Ampio tefor di grazie difcopriva, E già fplendea fu quelP amabil vifo D'innocenza il primier dolce forrifo. M o d e d o , candidiffimo pudore Temprava del vivace occhio azzurrino 11 perigliofo all' anime fulgore ; E fcorgeafi nel petto alabadrino L a futura beltà che il primo onore D e ' giardini promette in fui mattino, Quel che promette delicata Rofa M e z z o difchiufa il feno e mezzo afcofa. Colle compagne Erizia per vaghezza v- l caprioli un dì feguito avea 67 68 I B I L I J. Nella foreda, e da grave danchezza Vinta fentiafi, e pella fete ardea. Invitolla del fonte la beUezza Che in vago loco placido fcorrea ; Ivi perrinfrefcarfìil gentil volto Lavoili, ov' era il N u m e arciero accolto. Quindi raccolta P onda in fu la m a n o , L a forfeggiava, e non temea periglio ; M a il Dio de' bofchi poco indi lontano N o n veduto offervò P amabil ciglio. Fido ei guatolla, e non guatolla invano, C h e fu prefo d' A m o r dalfieroartiglio ; E là cheto inoltrodi ove la Ninfa S'iva fpecchiando nella chiara linfa. M a lo fcoprì la tenerella erbetta C h e fcuotea nel calcar P accefo amante. Piena di tema allor la verginetta S'invola, e par che P ali abbia ade piante. Già già P afferra il Dio : m a qual faetta Dalle braccia gli fugge in un idante, D a quelle braccia cui tremar facea L a brama, il foco ond' ei nel petto ardea. i D Ì h h j . 69 Così predo eran giunte al cado feno, Che già la Ninfa ne fenda '1 calore : U n a foglia di rofa avrìa ripieno Fra d' effe il vano e '1 fuo tremante core. Salta Erizia il rufcel, fcorre il terreno, C o m e cervetta innanzi al cacciatore, 0 come venticel che i vani fcuote, E P erba appena e i fìorellin percuote. M a impallidire, agghiaccia, e arretra il piede Inorridita di fuafieraforte, i Oliando a fé innanzi un precipizio vede, O n d e fchivar non puote infamia 0 morte. 0 D e a , che là nel primo giro hai fede, Pur grida alfin da difperata e forte, Cada D e a , che proteggi ogni alma pura, Fa la tua Ninfa da codili ficura. D e h non foffrir che m a n o empia, impudica Q u e d o petto profani ove fei fcolta ! Salvami, bella D e a d' A m o r nemica, N é invano far che fiami a te rivolta. — L a Padorella amabile e pudica Già già Pente afferrarfi un' altra volta, E 3 70 I D I L L J. Già preffo il volto ha quel del N u m e ardente: M a tìdilia in Ciel la D e a che amor non fente. Afcoltolla Diana ; e a lei vicino, Mentre fpera baciar P amabil faccia, Sentefi Pane u n rivo cridallino Correr fui petto accefo e in tra le braccia. Già più non teme Erizia afpro dedino, Già una Ninfa egli afferra e un fonte abbraccia: Così al tornar di Primavera fuole Su le rupi difcior la neve il Sole. Ver le braccia del N u m e fventurato L' onda zampilla, e a' piedi fuoi difcende, E fu P erbetta tenera del prato Tra ifìorellintrafcorre efididende, E dalla rupe, ove il bel pie fermato L a Ninfa aveva, romorola fcende, Sì che fcorrendo abbella il piano e '1 monte : Ecco d' onde ne vien d' Erizia il fonte. I D I L L J. 7-1 V AMOR MAL RICOMPENSATO. U n Satiro mefchin, fra infidiofi Lacci prefo e ravvolto, un' afpra notte Paffato avea colcato fopra i giunchi D i fangofa palude. Della rete U n o avea fuor de' biforcuti piedi, M a P altre m e m b r a per difciorre, invano Ogni sforzo tentava. Ornai gli augelli ; Fra le paludri canne volteggiando Gli volavan dappreffo, e timorofe, Meravigliando della drana preda, Guinzavangli dridendo intorno intorno L e garrule ranocchie. U o p o è eh' io gridi Con quanta ho voce, ei diffe,onde ne vegna A foccorrermi alcun. Quanta avea voce Tutta allor fciolfe in difperate grida, N e rimbombaro i campi, indi feorrendo D i colle e in code e fuor per valli e bofehi 72 I D I L L J . Tutto P aere n' empirò. Ei cinque volte Urlato avea così, m a cinque volte Invano urlato avea. Dal bofco alfine Ufcendo un Fauno, e d' onde quedi orrendi Vengon urli, gridò ? qual che tu, fia, Torna a farmi fentir la rozza voce, Se vuoi pur eh' io ti feopra. Nuove drida Alzò il Satiro todo, e '1 Fauno accorfe Ratto ver la palude, ove giacea 11 prigioniero afflitto. A h ! ti feongiuro, Difs' ei, per tutti i N u m i , ah ! mi difciogli D a quedo laccio maledetto ! Stefo Qual mi vedi nel fango io fon d' allora Che la Luna f p n n t ò — Quella mirando Stranafiguradranamente avvolta, Proruppe il Fauno in alte ridi; alfine Pur lo difciolfe, e rialzollo. O h ! dimmi, Chiefegli allor, per qual bizzarro evento Sì buon albergo hai tu trovato ? O h Cielo ! Il Satiro efclamò : quedo, oimè ! quedo Il premio è d' un amor il più fedele Ch' alma accendeffe. 0 maledetto il punto I D I L L J. 75 In cui vidi P iniqua! Andianne, amico, Sotto quel Salcio: ho queda gamba offefa.— Sotto il Salcio n' andaro, e P infelice Cominciò allor la doria fua dolente. U n anno or volge da che P empia Ninfa A m o del fonte, che di quella rupe Mormora fra' cefpugli, ove tu vedi Sorger un verde Abete. U n anno intero Io delle notti la metà paffai Alla fua grotta innanzi, il mio dolore Medamente narrando, e fempre, ahi laffo ! Senz' afcolto ottener. Sofpiri e pianti v Spedo all' aura fpargea ; qualche diletto Per recarle talor, fuonava il fìdro, 0 cantava una tenera canzone, M a tenera così, che fino i fidi Commoffi avrìa. Tutto fu vano: afcolto N o n ottenni giammai — Grato mi fora L' udir queda canzon. — D' ogni altra mia È la miglior ; ni' afcolta ; io te la canto Giacché lo vuoi. Così a cantar s' accinfe. 74 I D I L L J. O di quante n' ha il Ciel Diva più bella, Che vinci al paragon la D e a di Gnido, Sarai tu fempre all' amor mio rubella, E dura al par del faffo ov' io m ' adìdo ? Qual m ' infegue, mefchin, perverfa della ! D u n q u ' è pur ver che invano io piango, e grido, Efifchio,e canto innanzi alla tua grotta Oliando '1 Sole rifplende e quando annotta? A h ! tu non fai, mio ben, quanto felice Sia chi s' accoppia a giovinetto fpofo. Chiedine alla civetta abitatrice Del tronco di quelP alto arbore annofo ; A lei ne chiedi, che la notte il dice Alte grida fciogliendo in tuon fedofo, Qual io faceva allor eh' ebbro riedea Alla mia grotta, ove ripofo avea. Se '1 potedi faper, cara, drignendo Al tuo fen bianco quedo bruno petto, E guatandomi dolce, e forridendo, Guideredimi todo entro il tuo tetto ; E favellando i' ti verrei feguendo Qual fui prato faltella un agnelletto. I D I L L J . 7f Spietata Ninfa ! ah ! che non fei finora Per dar prove al tuo cor che il mio t'adora ? Quante volte, crudel, fedi ritorno Dalle danze, dai giochi, ( ov' io non era ! ) E ritrovadi lo tuo albergo adorno D e ' verdi rami ond' è la felva altera ! E quante in bei canedri all' ufcio intorno Vi pofi all' apparir di Primavera M o r e foavi, e in tempi m e n felici Dolci nocelle e tenere radici ! Quando un Autunno ancor, dillo, paffai Senza recarti pien del buon licore Di Bacco un vafo, u' galleggiar lafciai I granellin fra lo fpumofo umore ? Di cacio frefco hai tu mancato mai ?" E , fappi, un monton nero a tutte P ore V o m m i addedrando, ond' e' ti dia diletto Saltellandoti intorno leggiadretto. Se '1 chiamo, ei corre a un fanciullin fimìle, E vien ritto a baciarmi ; ilfìdroio fuono, E todo fu due pie danza gentile , Coni' io far foglio, che gentil pur fono. 76 I D I L L J. Da che t' amò, fpietata, io tengo a vile Cibo e bevanda, e di paffar fon buono U n ' ora ( meraviglia odi, crudele ! ) Senz' aprir P otre mio dolce e fedele. Io fui graffo a' mie' giorni, or fon didrutto, E '1 fonno da qued' occhi il bando ha prefo, Pur u n tempo io dormìa fin eh' era tutto Arfo dal Sole o dalla fete accefo. 0 ! fa che cedi il mio dogliofo lutto ! I' m i vorrei piuttodo effer didefo Sopra un letto d' ortiche, o al Sole ardente Star fenza bere un' ora e più languente. Vieni, candida Ninfa ; ah ! lafcia ornai Il tuo folingo, e vien dentro al mio tetto ; D ' ogni altro più leggiadro il troverai ; Tutto ho pel tuo provvido e '1 mio diletto. Vi fon morbide pelli e nappi aliai In un vago difpodi ordin perfetto ; E uno fquifito odor difidroe vino Conforto reca a chi gli vien vicino. Penfa, amor m i o , quanto leggiadra feena Godrem mirando ifigliamati e belli I D I L L J . 77 Correr a gara ver la tazza piena, 0 darli a cavalcion degli otricelli, E balbettar voci interrotte appena Co' labbretti inefperti e tenerelli ! -, Q u e d a odi ancor : P albergo mio gradito Predo ha una Quercia; io fu v' ho Pan fcolpito. Piagne P adlitto Dio la bella ingrata Ch' egl' infeguìa pien di tralporto il core, Quando in Canna dai N u m i fu cangiata Per involarla al fuo infelice ardore. Tanto la bocca aperta io gli ho lafciata, Perchè modri ben chiaro il fuo dolore, Che una mela potredi a tuo piacere Entro riponi : or vienilo a vedere. Intagliate fedel nel tronco annofo H o del pianto perlìn le amare (lille, Che il N u m e nell' evento portentofo Verfò dalle mediffime pupille. Cruda ! e non vieni ? e dar non vuoi ripofo A un cor che getta, oimè! fiamme e faville? Ahi che al mio albergo io torno, e meco,oh Dio! Porto folo P orror del cafo mio ! 78 I D I L L J. Rideva il Fauno : il cantor tacque, e tutto Stupor guatollo. Or narrami, ei gli diffe, C o m e t' han prefo. — Jer la mia canzone C o m e P ufato io ripetea, m a in guifa Più tenera e foave ; ben tre volte L a ricantai, fofpiri alti e fonori Alternandovi fpeffo. Afflitto e danco Al mio albergo riedea, quando improvvifo Sopra di m e fu tratto un laccio, e colto A una gamba rellai ; caddi fupino, E fciogliermi tentando, ognor più forte NelP inciampo ni' avvolfi. Allor di rifa Alto lliepito udii ; la Ninfa ingrata Colle compagne ufci dal bofco ; unite M i traffero nel fango, e nel reo laccio M ' avvilupparo fempre più. N o n vedi Ch' io ti fon predo, allor dille P indegna? Perchè non vieni, onde il tuo bruno petto Io ilringa a quedo fen? che non faltelli C o m e un agnel fui prato? or ben, crudele , Redati adunque ; io nel folingo albergo V o P orrore a portar dQÌ cafo mio.... I D I L L J. 79 E ridendo partirò — Ah ! S'io ritorno Dell' empia alla capanna, e tigri, ed orfi Far mi poffano in brani ! — Il mio confìglio Prendi, gli diffe il Fauno : in la tua grotta Vanne a danzar col monton nero, poni In obblìo la tua fiamma ; o della Quercia V a il tuo cafo a fcolpir nel tronco annofo.,