Un cuore grande per i piccoli cuori africani
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Un cuore grande per i piccoli cuori africani
Utente e-GdP: albecame - Data e ora della consultazione: 10 novembre 2012 23:13 GIORNALEdelPOPOLO VENERDÌ 9 NOVEMBRE 2012 + FONDAZIONE BAMBINI CARDIOPATICI SPECIALE FAMIGLIA 13 Cercasi famiglie per accogliere giovani pazienti dalla Guinea Bissau Un cuore grande per i piccoli cuori africani «Un gesto gratuito, un bene per noi» Due volte l’anno i medici del Cardiocentro raggiungono l’Africa per visitare i piccoli malati. Una decina di loro vengono a Lugano per essere operati, ma servono famiglie disposte ad accoglierli. L’esperienza di alcune famiglie che quest’anno hanno ospitato in casa tre bambini cardiopatici. pagina a cura di GIOIA PALMIERI Che il cuore non sia solo un fascio di muscoli che pompa sangue per tutto il corpo ce lo insegnano proprio alcuni cardiologi: i medici della Fondazione Bambini Cardiopatici nel Mondo che, coscienti del valore della vita, sanno bene che un cuore in salute è un cuore in grado di amare, conoscere, scoprire e cambiare il mondo. «Dal 2007 abbiamo operato al Cardiocentro di Lugano sei ragazze e ragazzi della Guinea Bissau. Oggi è sorprendente vederli giocare, sorridere, studiare, crescere con una speranza. L’Africa è afflitta da grandi problemi e le malattie e i malati – soprattutto cardiopatici – sono innumerevoli, ma aiutare e curare anche uno solo di questi piccoli è per molti un segno di speranza, di fiducia nel futuro», ci racconta il dott. Giovanni Pedrazzini che in team con il direttore Fabio Rezzonico, i medici, il personale del Cardiocentro e Patrizia Cameroni dell’Associazione Samorì, una-due volte all’anno raggiunge la Guinea Bissau per portare a Lugano bambini da operare al cuore. Il viaggio di Bernabé I primi operati al Cardiocentro sono stati due piccoli sotto i 3 anni: Augusta e Bernabé. «Una delle prime volte che sono scesa in Guinea Bissau con il dott. Pedrazzini ci è venuta incontro una mamma che aveva fatto 1200km con il piccolo di 17 mesi in braccio per consegnarcelo. Quando ci ha raggiunti lo ha lavato per l’ultima volta, mi ha dato un sacchetto di plastica con dentro un biberon e mi ha detto: “Trattalo come fosse tuo figlio”. Me lo ha messo tra le braccia e si è girata senza mai voltarsi. Poi è stata una lunga corsa contro il tempo: il piccolo era gravissimo e non sapevamo se saremmo riusciti a portarlo a Lugano vivo. Persino i piloti dell’aereo erano preoccupati. Ma ce l’abbiamo fatta e oggi Bernabé è un bimbo vispo e intelligente», ci racconta ancora commossa Patrizia. «Patrizia Cameroni è la signora attorno alla quale gira tutto – ci spiega il dott. Pedrazzini –. Se non ci fosse stata lei non sarebbe mai nato questo progetto: attraverso persone e contatti che lei aveva in precedenza nel Paese, mi ha chiesto di aiutare una bambina cardiopatica in fin di vita e dall’intervento di Augusta è nato tutto. Siamo tornati per Bernabé e poi per tutti gli altri. Questi due piccoli hanno aperto una strada – continua il dott. Pedrazzini –. Se avessimo fatto quel viaggio “folle” con Barnabé rispettando tempi e procedure mediche, lui non sarebbe più vivo e non avremmo mai avviato l’iter, oggi consolidato, che ci permette di far operare a Lugano dai tre agli otto bambini all’anno». Bissau-Lugano Grazie a queste prime esperienze il team del Cardiocentro ha consolidato un procedimento tutto a sostegno dei bambini e del progetto di cure. Una volta all’anno il dott. Pedrazzini scende in Guinea Bissau e visita i piccoli con un piccolo ecocardiografo portatile – donato dal Cardiocentro –, pone le diagnosi e insieme ad altri medici del posto decide le cure possibili. «Vedo tanti piccoli a Bissau. Una parte di loro ha delle malformazioni congenite che il nostro Cardiocentro non è in grado di curare, quindi li indirizziamo verso altri centri in Europa. I bambini dagli 8 anni in su, con problemi alle valvole del cuore, facciamo in modo di operarli da noi». AAA Famiglie cercasi «Quest’anno abbiamo curato quattro ragazzi e in precedenza altri due Vorremmo operarne almeno otto all’anno, ogni tre mesi circa. Per fare questo abbiamo bisogno di una rete di fa- Sopra il dott. Pedrazzini. In alto Patrizia Cameroni. «Nessuna beneficenza e carità. Non si accolgono bambini per fare un favore a qualcuno o per sentirsi più buoni, ma perché la loro presenza è un’occasione di bene per la famiglia prima di tutto», risponde determinata Nicla che insieme al marito Egidio Fumasoli sono stati i primi ad ospitare “ufficialmente” uno dei ragazzi cardiopatici della Guinea Bissau. Alle spalle diversi affidi e due adozioni tra i figli naturali, ma il giudizio è sempre lo stesso: «Avere Anna a casa è stato un dono per tutta la famiglia: una sfida ad allargare la misura del nostro cuore che sempre calcola l’affetto da distribuire e ricevere. Anna ci ha insegnato a volere bene gratuitamente e liberamente. È stata una bella espeIl team del Cardiocentro al completo con Patrizia Cameroni e una giovane paziente stretta rienza, che ripeteremo». assieme al direttore amministrativo Fabio Rezzonico e al direttore Tiziano Moccetti. L’accoglienza non è beneficenza, ma ospitare a casa uno di questi ragazzi è di fatto una remiglie disposte ad accoglierli per un tri aperti sono proprio nella capitale». sponsabilità: «Hanno bisogno di una presenza periodo limitato, durante la convalefissa – ci spiega Patrizia Cameroni – prima e doscenza post-operatoria. Quando i L’impegno del Cardiocentro po l’intervento. Di una camera per loro, di esIl Cardiocentro ha fatto in questi anbambini arrivano in Svizzera necessisere aiutati nel prendere i medicamenti e actano di una famiglia che si prenda cu- ni un passo molto generoso: «Ci prencompagnati all’ospedale per i controlli di roura di loro: dal punto di vista medico ce diamo carico di tutti i costi tecnici detine». E poi c’è l’impatto culturale e le difficoltà ne prendiamo carico noi del Cardio- gli interventi, i quali generalmente sodi comunicazione: «Questi ragazzi non sono centro: li monitoriamo, li prepariamo no molto alti – ci spiega il direttore mai usciti dal loro villaggio! Anne ha pianto tutper l’intervento e li teniamo in ospe- Rezzonico – : il personale medico e ta la prima settidale finché non sono pronti per il rien- amministrativo lavorano volontariamana chiedentro a casa. Tre mesi nel nostro Paese, mente inserendo visite e interventi nel do di tornare a casa. Abbiamo calcolando il grande viaggio, l’inter- loro orario di lavoro. L’onere finanziaaccolto la sua vento e la riabilitazione, sono indi- rio lo copriamo in parte con i fondi del malinconia, sapspensabili. In questo periodo hanno Cardiocentro, in parte con la nostra piamo che è bisogno di un ambiente familiare: la Fondazione e altre entrate. Grazie a normale. Col prima settimana che precede l’inter- tutta una rete di solidarietà riusciamo tempo si è “sciolvento avviene l’accoglienza; la secon- a finanziare anche il lavoro di due meta” fino a piangeda settimana successiva all’arrivo si dici e un legale che sostengono sul pore perché le diprocede con l’intervento chirurgico - sto il nostro progetto, oltre a contare spiaceva salutarsull’aiuto di persone fidate che localche può essere di ricostruzione o soci. Ma anche se stituzione di una valvola cardiaca - e mente si dedicano alla selezione di ci avesse evitato questi bambini e del loro recupero torpoi, dopo un paio di settimane, rienGabriele con Mankote e Artemisia. per tutti i tre metrano in famiglia fino alla partenza per nati in Africa. Bisogna creare attorno si di permanenil proprio Paese che coincide con la questi ragazzi cardiopatici una rete soza le saremmo stati vicini, perché si accoglie un lida sia nel nostro Paese che nel loro, scadenza del visto». bambino così come è, se no si è ipocriti. Bisoaltrimenti cadono», conclude il diretAl cuor si domanda... gna stare ai loro ritmi: arrivano in uno stato di tore. L’impegno è considerevole, ma Patri- Non resta quindi che contare sul non salute, bisogna fare attenzione alla loro diezia Cameroni e altre tre famiglie han- buon cuore di altri ticinesi generosi e ta, alle temperature da noi rigide e tenere conno già accettato la sfida e accolto di- coraggiosi... to dello shock visivo rispetto al loro paese. È più versi bambini e ragazzi. «Hanno bisofacile per noi fare un salto indietro nelle loro gno di una presenza stabile a casa, ma usanze. Bisogna perciò essere convinti della informazioni chi li ospita non è da solo. Può semscelta, ma confermo che la rifarei», aggiunge Nipre contare sul team di medici del cla. A sostegno del progetto Gabriele Bertolassi, insieme alla sua compagna, Cardiocentro, l’esperienza della signodurante il periodo estivo ha accolto in casa due ra Cameroni e il sostegno delle altre ragazze della Guinea Bissau di 12 e 14 anni. Lui, famiglie affidatarie. Stiamo tessendo Per sostenere i progetti a favore dei pur essendo un capoinfermiere del Cardiocenuna “rete” di sostegno e di riferimenbambini cardiopatici della Guinea Bissau: tro, conferma: «Una volta terminato il periodo to solida, non si è da soli», rassicura il 1. Associazione Samorì, 6926 Montagnodi degenza in ospedale i ragazzi sono in grado direttore Fabio Rezzonico. «Per il la - CCP 65-210725-7 di camminare e giocare. Non c’è bisogno di avenuovo anno siamo in trattative per al2. Fondazione Bambini Cardiopatici nel re competenze mediche per accogliere i bamtri tre casi, tutte ragazze, una di loro Mondo, Via Tesserete 48, 6900 Lugano bini. È stata per noi una bella esperienza. Ci siapotrà restare una settimana, le altre tre Cornèr Banca SA, 6901 Lugano CC 324610mo affezionati e queste ragazze hanno riempimesi», continua il dott. Pedrazzini. 01 – www.bambinicardiopatici.ch to la nostra casa di allegria». «Speriamo di poterle portare in Sviz«Siamo all’interno di una rete dove tutti sanno zera per gennaio. Purtroppo in Guinea Per informazioni e contatti diretti: che ognuno ha un compito: la famiglia può coBissau è scoppiata una feroce guerra - Patrizia Cameroni, Via Campagna “il sì gestire in serenità la permanenza e l’accocivile in vista delle elezioni del 2013 e Rio”, 6926 Montagnola. glienza del bambino – spiega il dott. Pedrazzila situazione è rischiosa», ci spiega Cell: 079 444 23 29 ni –. È importante che le famiglie si sentano parpreoccupata Patrizia. «Da gennaio sa- Pedrazzini Giovanni c/o Cardiocentro Tite del progetto e dell’impegno che ci siamo prepremo come procede. Ora non poscino, Via Tesserete 6900 Lugano. si. Abbiamo bisogno della disponibilità di seisiamo esporre i bambini e chi lavora Tel: 091 805 31 78 otto di loro durante l’arco di un anno per poper noi a Bissau a pericoli. I militari ter, ogni tre mesi circa, operare 2 o 3 bambini». hanno in mano l’aeroporto e gli scon- qu e st i o n e d i c u o re di Cor inne Zaugg LO ZAINO LEGGERO E IL PROGETTO PILOTA “MYPAD” In principio c’era lo zainetto, che – gravido di libri e di chili – faceva quotidianamente avanti e indietro dalle aule di scuola alle case e viceversa, in spalla ai nostri figli. Immagini destinate ad appartenere al passato, sembra. Nel Canton Soletta, può succedere di imbattersi, oggi, in ragazzi che vanno a scuola leggeri e liberi, con in tasca null’altro che una tavoletta elettronica dalle dimensioni di una busta e dal peso di poche decine di grammi. In Svizzera sono dei pionieri e sono i circa 300 allievi di quelle dodici classi che da qualche mese e per tutto l’anno scolastico 20122013, portano avanti il progetto pilota “MyPad”. Un progetto che prevede che ogni alunno e ogni docente ven- ga dotato di un proprio tablet, sul quale scrivere e leggere, con l’ausilio di determinate applicazioni che sostituiscono ogni e qualsivoglia supporto cartaceo, tale da rendere superfluo fogli, libri di testo, quaderni, ma anche penne, gomme e cancellini. Una rivoluzione! L’ultima rivoluzione di questa portata in ambito scolastico si può far risalire all’introduzione della lavagna. Questa tavola di ardesia su cui gessi scricchiolanti facevano accapponare la pelle, dietro a cui si veniva messi in castigo, davanti a cui l’ansia da prestazione si inghiottiva tutta la nostra memoria, venne introdotta nelle aule scolastiche alla fine del ’700 e segnò il passaggio da un insegnamento indivi- duale a quello collettivo. E oggi siamo al tablet, che non solo manda in pensione la vecchia tavola nera, ma rischia di sconvolgere la globalità del modo di apprendere dei nostri figli. Era inevitabile. Introducendo (seppur a titolo di prova) questi supporti didattici, la scuola non fa che adeguarsi ad un fenomeno che già ci coinvolge tutti. Pensare di poter continuare a far scricchiolare il gesso sulla lavagna davanti ad una generazione di nativi digitali, a cui viene più spontaneo sfiorare uno schermo con un dito che girare la pagina di un libro, ha dell’anacronistico. Come davanti ad ogni cambiamento importante, le opinioni divergono, i pareri si scindono. Immagino che molti tra di voi non vorranno mai rinunciare al fruscio delle pagine, all’odore di un giornale fresco di stampa, alla materialità del gesto della scrittura, con la mano che scivola sul foglio. Immagino che, secoli fa, molti avranno rimpianto la solidità della tavoletta da incidere, dinnanzi alla fragilità del rotolo di papiro. Così come molti hanno temuto i pericoli della democratizzazione del sapere, allorché venne inventata la stampa. I passaggi epocali sono sempre traumatici. Ma ad un certo punto accadono e risultano irreversibili. Le enormi potenzialità che l’elettronica ci regala e che Steve Jobs ha genialmente spinto perché si traducessero in oggetti d’uso comune, non potevano continuare a vivere ai mar- gini della nostra vita: piccoli gadget da utilizzare nel tempo libero. Metterli ora al servizio di chi impara segna un passaggio significativo per la storia dell’uomo. Alcune capacità non saranno più necessarie, certi tipi di memoria non saranno più richiesti. Mentre sarà necessario sviluppare maggiormente altre doti: prime tra tutte la capacità di sintesi e il senso critico. Non ce ne faremo più nulla di un sapere che si sfoglia. Mentre a servirci sarà un cervello che sa organizzare, classare, fare ordine, distinguere e anche dimenticare.