Tempo presente - FILT Lombardia
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Pagina 1 O Primo Piano I SOMMARIO La democrazia immaginaria della rete 2 3 M A R Tempo Presente M 11:49 Ciao, Bruno Una firma consapevole, un accordo positivo I servizi di pubblica utilità tra liberalizzazione e intervento pubblico Sempre caldo il tema della mobilità in Lombardia Cambiamenti climatici Sviluppo sostenibile: se non ora, quando? L’Italia ha bisogno di un serio piano nazionale di risparmio energetico Trasporti in Friuli Venezia Giulia In Linea O 1-10-2007 S nostop numero 56 Qui Comprensorio Brianza Malpensa tra crisi e sviluppo Il trasporto Merci in continua trasformazione Senza Frontiere 24 29 Il potenziamento delle Trasversali Nord-Sud Europa: quali impatti sulle Tangenziali milanesi? Sguardi e traguardi 32 34 Milano: una città metropolitana femminile, maschile, plurale Finestre “Linate 8 ottobre 2001: la strage” “Molto forte, incredibilmente vicino” e “Ogni cosa è illuminata” di Jonathan Safran Foer L’altra New York: la propria NOSTOP News 40 Il servizio fotografico è stato realizzato da Ettore Lo Iacono - [email protected] nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 2 Primo piano La democrazia immaginaria della rete P R I M O P I A N O di Nino Cortorillo, Segretario Generale Filt-Cgil Lombardia 2 Nelle prossime settimane l’agenda del paese, ed anche del sindacato confederale, prevede una scansione di appuntamenti di grande importanza, ciascuno portatore di scelte che possono aprire scenari carichi di opportunità, ma anche di rischi. Finanziaria 2008, consultazione sull’accordo del 23.7.07, elezione diretta del segretario del Partito Democratico (e contemporaneo scioglimento di D.S. e Margherita), manifestazione del 20 ottobre della sinistra radicale. La sovrapposizione e l’intreccio di questi appuntamenti, alcuni di portata storica, possono, se non gestiti con grande linearità, pregiudicare l’autonomia della nostra organizzazione. Autonomia che non può consistere nell’essere o considerarsi estranei o neutri a quanto avviene nel paese, nel governo, o nella sinistra. Autonomia che sarebbe messa in forse se si costruisse un’analisi politica tendente a spiegare ogni avvenimento come frutto di una strategia, considerando le scelte che la nostra organizzazione compie subordinate a logiche esterne all’ambito delle nostre decisioni. La leggerezza con cui si assiste nel paese ad un progressivo dissolvimento della funzione della politica, stretta tra incapacità di esercitare un’efficace funzione di governo e ondate di qualunquismo, davvero non può lasciarci indifferenti. Sono convinto che il centro sinistra, la sinistra, debbano riformarsi, riaggregandosi su progetti che guardino al futuro, sottraendo spazio al potere di veto e interdizione a soggetti dotati di rappresentatività vicina al 1%. Un paese ingovernato o, peggio, nel quale qualunque governo diventa bersaglio di ogni responsabilità è in realtà specchio di un paese che si sta privando di elementi di certezza istituzionali, sociali e politici. Non è in crisi la politica, è in crisi il paese. Una crisi infinita. Non si comprende quali risposte possano ridare fiducia e futuro. In questo vuoto crescono e si alimentano solo le ragioni della difesa di un interesse, di una conservazione, sapendo che gli esiti possono portare verso regressioni pericolose. La così detta antipolitica è, infatti, fenomeno troppo antico e radicato nella nostra storia e da cui non siamo vaccinati. Berlusconi dal 1993 è stato l’antipolitica e non solo ha coperto un vuoto, ma ha trasformato la politica e le istituzioni in un luogo di conflitto permanente e di cui diffidare. La cosiddetta “casta” non è, però, un’invenzione giornalistica, segna un’insofferenza verso riti, luoghi, privilegi, che sempre più diventano insopportabili per le persone. La democrazia mediatica realizzata da Grillo si inserisce in questo clima e si indirizza verso spazi in cui i contenuti assumono un carattere populista e le proposte un obiettivo salvifico. Si può sfasciare un computer 10 anni fa sul palcoscenico e oggi creare una rete via internet. Essere contro l’indulto e contro la Tav, sposare un giorno una tesi e domani il suo opposto. Di destra un giorno e di sinistra l’indomani. E ad ogni fatto legare una responsabilità individuale. Come se la povertà fosse dovuta ad una sola legge o un omicidio ad un ministro. La formazione dei contenuti è data sempre da alcuni elementi: l’emotività, la semplificazione dei temi, l’assenza di confronto, la volontà di ergersi al di sopra di istituzioni e luoghi formali della partecipazione, il giudizio emesso per nome e per conto di un popolo virtuale. L’inganno dei capipopolo, anche condotto con forme moderne, è in realtà antico. Quando si dice che nessuno che sia stato iscritto ad un partito ha diritto a rappresentare questo movimento a quale passato del nostro paese, anche inconsapevolmente, ci si rivolge? A quale democrazia sostanziale si pensa? Una visione e divisione tra bene e male, tra verità e menzogna che era già dentro il dibattito politico e che si sta ancor più radicalizzando. La consultazione che il sindacato confederale sta realizzando ed il voto che riguarderà milioni di pensionati, lavoratori e cittadini avviene in questo umore che attraversa il paese e non lascia indenne alcuno strato sociale, nemmeno il corpo dei nostri iscritti. Non si tratta di contrapporre con troppa facilità la nostra rete costruita nella partecipazione, nel dibattito, nella critica, nella sintesi, nell’ascoltare per modificarsi, nel procedere in avanti tenendo conto di altre opinioni, alle reti immateriali che chiamano ad un impegno mediatico e privo di responsabilità. Con tanta nettezza dobbiamo contrastare queste demagogie, ma con altrettanta chiarezza dobbiamo sapere che il sindacato confederale, la sua rappresentanza costituita è a rischio d’identificazione, di sovrapposizione con la casta politica del paese. Chi tra noi pensa che basti una dichiarazione di autonomia o il ritenersi estranei ai partiti sbaglia a capire la profondità del malessere. Che investe le forme della politica e i luoghi nei quali si esercita, la stessa rappresentanza sociale scissa tra organizzazioni strutturate e dispersione sociale. La consultazione che stiamo compiendo è un momento di democrazia reale, quanto le primarie e le manifestazioni di piazza. Prima che altre macerie sommergano ogni iniziativa, e anche noi si sia identificati come parte di una casta, dovremo ripensare a come siamo, a cosa trasmettiamo, a quali necessità il mondo del lavoro ci chiede. nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 3 Tempo presente T E M P O P R E S E N T E ciao, Bruno Abbiamo chiesto a Bruno Ugolini ed a Franca Donaggio un contributo per onorare la memoria di Bruno Trentin e per rendere omaggio, anche sulle pagine di NOSTOP, al dirigente sindacale e politico, all’intellettuale, all’uomo. 3 nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 4 Tempo presente Bruno Ugolini, giornalista utonomia, lavoro, libertà. Sono le tre parole care a Bruno Trentin. E tornano in mente ora, mentre tento di ripensare, così come l’ho conosciuta, la vita di un dirigente sindacale, di un dirigente politico, di un leader della sinistra italiana ed europea. A molti poteva apparire come un aristocratico, un raffinato intellettuale, chiuso nella sua torre d’avorio. Ma era lo stesso uomo che nell’autunno caldo affrontava tempestose assemblee operaie. Aveva il gusto del confronto, aspro, non solo con gli avversari politici, con le controparti imprenditoriali. Sapeva affrontare anche masse di lavoratori agitati da ribellismi corporativi. Considerava i “salariati” come dei protagonisti, dei “produttori”. Così li aveva chiamati nel titolo di un bel libro “Da sfruttati a produttori”. Era il senso di una battaglia fatta di unità, di lotte e di conquiste ma soprattutto intrisa di un concetto a lui molto caro “autonomia”. E’ la sua prima parola. Autonomia per il sindacato, per la Cgil, per i lavoratori, autonomia per “sé”. Nella Cgil di Giuseppe Di Vittorio dirige la Fiom per 15 anni fino 1977. Sono gli anni dell’autunno caldo ma anche in queste circostanze Trentin mette in campo una filosofia che lo accompagnerà nel corso degli anni. Quella contro la “faciloneria”, contro quei dirigenti sindacali che amano sommare tutte le “esigenze”, senza scegliere. Così è contrario, ma resta in minoranza, agli aumenti eguali per tutti, battendosi per il cosiddetto salario di qualifica. Perché la professionalità è frutto di sacrifici, di studi, di impegno, “da far pagare al padrone”. Sono tempi non facili, come quando occorre battersi per i nuovi organismi di base, al posto delle vecchie commissioni interne. C’è negli interventi di Trentin la determinazione a puntare più sugli assetti di potere nella fabbrica e nella società che alla redistribuzione del reddito. Nel 1988 assume la carica di Segretario generale della Cgil. Sono gli anni della concertazione allorché, nel 1992, firma un accordo che cancella la scala mobile senza contropartite e si dimette. Ha agito per senso di responsabilità di fronte al tracollo economico. Un anno dopo contribuisce a costruire un’intesa (governo Ciampi) con un nuovo sistema contrattuale come alternativa alla scala mobile. E’ lui a promuovere quella che diventa la nuova organizzazione degli atipici, il Nidil. E sempre da segretario generale consegna al suo sindacato, attraverso una lunga discussione collettiva, una piattaforma per il futuro, un “programma fondamentale” imperniato sui diritti e sulla solidarietà. Abbiamo citato la parola autonomia. Bisogna citarne un’altra: “lavoro”. E qui arriviamo ai suoi ultimi impegni, durante l’esperienza di europarlamentare per i Democratici di sinistra e a capo dell’ufficio programma del partito. Trentin non può ipotizzare una sinistra staccata dai temi del lavoro. L’obiettivo sta nel cambiare il lavoro nei suoi aspetti di fatica e di stress, ma anche nel rapporto con le gerarchie proprietarie. Il perno centrale sta nel sapere, nella conoscenza, da conquistare giorno per giorno. E’ un po’ il senso delle sue parole con un gruppo di studenti che mi piace rammentare. E così arriviamo alla terza parola: “libertà”, la libertà di vivere una vita degna di essere vissuta. Sono il modo migliore per ricordarlo: “mi chiamo Bruno Trentin, ho 71 anni. Ho passato tutta una vita nel lavoro sindacale. Probabilmente questa scelta l’ho fatta perché ho scoperto, anche quand’ero molto giovane, nella classe lavoratrice, una straordinaria voglia di T E M P O P R E S E N T E A 4 conoscenza e di libertà, proprio in quei lavoratori che non avevano avuto la fortuna di un’educazione, di partecipare ad un’esperienza di studi. Proprio lì ho trovato un bisogno straordinario, molto più grande di quello di avere un alto salario, ecco, di diventare persone libere, di esprimersi attraverso il proprio lavoro liberamente, di conoscere. E questo spiega anche la grande fierezza, che risorge continuamente nel mondo del lavoro, in tutti i continenti, in tutti i paesi. Questa è la cosa che mi ha profondamente affascinato e che mi ha dato la voglia di mettermi proprio al servizio di questa causa”. Uomini come Bruno Trentin sono nati e vissuti per questi ideali. Qualcuno oggi sostiene che sono ideali morti e sepolti. Perché tutto è cambiato e quell’antico, orgoglioso mondo del lavoro non esisterebbe più. Come se nelle nuove forme lavorative, quelle che impegnano milioni di giovani e meno giovani, non rinascesse una spinta proprio alla riconquista di spazi di libertà e autonomia. E’ la lezione che nasce dagli ultimi scritti di Trentin, nella sua tenace e troppo spesso ignorata scrittura di un programma per la sinistra. Dove non ci si rifugia nella nostalgia del passato, ma si delinea una strategia innovativa basata su nuovi obiettivi. A cominciare da quelli che parlano di conoscenza, di formazione, le armi moderne per rendere davvero ancora una volta liberi milioni di donne e uomini che trascorrono gran parte della propria vita, anche dopo il duemila, lavorando. E connotando così profondamente le proprie esistenze. nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 5 Tempo presente Franca Donaggio, Sottosegretario Ministero della Solidarietà Sociale icordare Bruno Trentin, per qualsiasi sindacalista della mia generazione, significa ripercorrere tanta parte della propria vita trascorsa nel mondo del lavoro e nei passaggi cruciali della vita sociale e politica del nostro Paese. Bruno è stato per tutti noi un grande punto di riferimento e non solo per il suo rigore intellettuale e morale, ma perché è stato vissuto da tutto il Sindacato confederale come il dirigente che, anche nei momenti più difficili, sapeva indicare una strada alta alla soluzione dei problemi, con una capacità straordinaria di interpretare i cambiamenti più profondi che spingevano verso l’esigenza di una modernizzazione del Sindacato, per governare e rappresentare le trasformazioni in divenire. E’ stato così quando ha anticipato l’esigenza di una profonda riforma della struttura del salario, della contrattazione, delle strategie redistributive del sistema di welfare, del sistema di rappresentanza. In questi giorni è ricorso molto spesso il ricordo degli avvenimenti che portarono alla firma del protocollo del 23 luglio 1993, a partire dalla difficile notte del 31 luglio dell’anno precedente, che consentì di delineare la stagione della concertazione e della politica dei redditi. Io vorrei ricordare un altro dei grandi meriti di Bruno Trentin e cioè la scelta di aprire alle donne l’accesso alla dirigenza del Sindacato a tutti i livelli. Anzi, a partire dalla Segreteria Confederale Nazionale. Oggi, che sta nascendo un partito nuovo dove il 50% è costi- R tuito in maniera vincolante da donne, può sembrare scontata la loro presenza alle più alte responsabilità, ma nel 1989 non era così. La segreteria della CGIL era composta solo da uomini e con grande difficoltà alcune donne riuscirono a farsi posto, ma a patto che “fossero brave” e naturalmente l’esame era fatto dai loro colleghi maschi. Il processo di omologazione era la regola ed il femminismo, la teoria della differenza, le battaglie per l’emancipazione e la parità erano vissute con insofferenza, quasi non ci fosse un problema che riguarda anche il Sindacato e la sua capacità di rappresentare non solo il lavoro degli uomini, ma anche il lavoro delle donne. Bruno Trentin fu uno dei pochi, in quegli anni, a capire che le nuove generazioni di donne, più scolarizzate e più sicure di se stesse, avrebbero chiesto cambiamenti profondi e, forti di un’identità collettiva, non avrebbero abbandonato il terreno dell’impegno politico e sociale. Nella prima conferenza programmatica di Chianciano, Trentin riconobbe che nel Sindacato si era affermato un movimento di donne che chiedevano cambiamenti anche al mondo del lavoro, non più rivendicando una parità generica, ma esigendo una politica di pari opportunità e di riconoscimento come soggetto collettivo di cambiamento. Entrarono, allora, in Segreteria 3 donne e nell’Esecutivo Nazionale, costituito solo da uomini, fecero il loro ingresso ben 32 donne. I coordinamenti delle donne furono riconosciuti statutariamente con poteri di intervento e, in mezzo a tante contraddizioni, sostennero ovunque il processo di femminilizzazione della CGIL, investendo anche CISL e UIL, dove le donne non rimasero indifferenti a quanto avveniva nella Confederazione più grande. Io ho avuto il privilegio di lavorare con Trentin in quegli anni come Coordinatrice Nazionale delle donne e la lezione che ho imparato è stata fondamentale per la mia formazione e la mia crescita politica. L’onestà intellettuale, il disinteresse personale, la coerenza tra ciò che si dice e quello che poi si pratica sono lo stile che Trentin ha impresso alla sua lunga carriera sindacale e politica, e chiunque lo abbia avvicinato si è sentito confrontato e valutato con questo suo rigore e spessore morale. Sino all’ultimo Bruno Trentin ha continuato ad elaborare analisi ed idee su come affrontare il nuovo e le trasformazioni in divenire. Ricordarlo significa anche continuare a lavorare facendo vivere il suo pensiero perché esso è ancora una grande bussola per ogni persona che voglia fare buona politica nel segno del riformismo. Sul sito www.rassegna.it c’è uno speciale dedicato a Bruno Trentin 5 nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 6 T E M P O P R E S E N T E Tempo presente 6 “ Si sentirà la mancanza di una voce che sapeva guardare con lucidità e con speranza le vicende di un mondo, di un Paese, di una politica che a stento cerca il filo di un futuro incerto . Bruno Ugolini ” “ Scompare con Trentin un grande protagonista delle battaglie del mondo del lavoro, del processo di autonomia e di unità del sindacato, della storia democratica del Paese dagli anni della Resistenza alle lunghe stagioni della costruzione e dello sviluppo dell’Italia repubblicana cui fino alla fine ha dedicato le straordinarie risorse della sua intelligenza, del suo impegno civile e sociale e della sua moderna visione degli interessi generali della Nazione . Giorgio Napolitano ” “ Bruno Trentin aveva, come immagine della modernità, un’eguaglianza solida di diritti garantiti e di accessi possibili. Credeva in un mondo in cui ha senso parlare di mercato solo se rendi forte, orgogliosa e rispettata la parte debole e la metti al sicuro dall’essere folla e dall’essere massa . Furio Colombo “ ” Per fortuna la vita e il lavoro di un uomo come Bruno Trentin non vanno via con la morte. Restano le orme di un percorso nobile che altri scopriranno e seguiranno. E’ un percorso che si chiama civiltà e che, anche a distanza di anni, aiuta a distinguere, a capire, a rifiutare il peggio, a fare un po’ meglio . Furio Colombo ” “ Bruno era anzitutto una persona affascinante. Direbbe Manzoni che uno, il carisma, non se lo può dare. Lui lo aveva naturalmente. Chi ha avuto la fortuna e l’onore di conoscerlo personalmente come amico e anche di lavorare al suo fianco sa che cosa vuol dire quello che definirei il pudore della ragione. Non c’era mai, nel suo discorso, una parola di troppo. C’era anche, in quel discorso, la presenza di una profonda simpatia umana, di cui faceva parte anche l’indignazione contro l’ingiustizia e la stupidità, i due grandi peccati contro l’umanità . Giorgio Ruffolo ” “ Difficile riassumere in poche parole una figura complessa e una storia lunga e intensa come quella di Bruno Trentin…. Un grande contributo dell’eredità di Bruno è l’idea moderna di welfare, che aiuta a declinare l’idea dei diritti: sul piano del lavoro, il diritto all’occupazione, al reddito; nella dimensione contrattuale, il diritto ad affermare la propria dimensione di libertà e di controllo del ciclo produttivo; e poi quella dimensione moderna che non si limita ai diritti del lavoro, ma fa dei diritti di cittadinanza il perno essenziale dell’idea di eguaglianza e di democrazia. E dentro questo, naturalmente, la centralità della persona: oltre la classe, oltre la dimensione collettiva, la dimensione del soggetto come persona . Guglielmo Epifani ” “ Siamo onorati che Bruno abbia scelto questa parte, che è la nostra, e che sia voluto restare fino in fondo coerente con questa scelta che aveva fatto sessant’anni fa. Ed è in ragione di questo che, anche in un giorno doloroso come questo, credo si possa portare dentro un grande, motivato e infinito orgoglio per quello che è stato, per quello che ci ha dato. Anche per questo, come dice il nostro manifesto, “grazie Bruno . Guglielmo Epifani ” nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 7 Tempo presente Bruno Trentin (nel Discorso per la laurea honoris causa all’Università Ca’ Foscari di Venezia, 13.9.2002) “Il tema di questo mio intervento riguarda il rapporto tra lavoro e conoscenza. L’ho scelto perché mi sembra che in questo straordinario intreccio che può portare il lavoro a divenire sempre più conoscenza e quindi capacità di scelta e, quindi, creatività e libertà, proprio perché si tratta soltanto di una potenzialità, di un esito possibile ma non certo, delle trasformazioni in atto nelle economie e nella società contemporanea, sta la più grande sfida che si presenta al mondo all’inizio di questo secolo. La sfida che può portare a sconfiggere le vecchie e nuove disuguaglianze e le varie forme di miseria che dipendono soprattutto dall’esclusione di miliardi di persone da una comunità condivisa”. Bruno Trentin (in un’intervista ai Quaderni di Rassegna Sindacale, 3/2005) “In un periodo nel quale – con la terza rivoluzione industriale – la flessibilità, l’innovazione permanente e continua diventano una condizione fisiologica per la stessa sopravvivenza delle imprese, c’è bisogno di una nuova stagione di diritti, di un “nuovo contratto di lavoro” (da far valere tanto a livello nazionale quanto decentrato) nel quale sancire nuovi diritti: il diritto all’informazione, alla formazione permanente, al controllo sull’organizzazione del lavoro e sul tempo di lavoro, il diritto alla crescita professionale, il diritto alla parità di salario a parità di lavoro (superando discriminazioni di genere, di età, di etnia, e sapendo che le soluzioni basate su salari d’ingresso o simili rappresentano una spinta che va in senso opposto a quello della qualificazione del lavoro, degli investimenti in formazione e ricerca, oltre a provocare la rivolta dei giovani come abbiamo visto a Melfi o tra gli autoferrotranvieri a Milano).” “In una situazione nella quale i processi di ristrutturazione e anche di delocalizzazione tendono a diventare la fisiologia e non la patologia del sistema, il sindacato deve saper sviluppare una nuova cultura industriale che consenta di realizzare il “governo possibile” dei processi di trasformazione. Credo che la sostanza di tale governo del cambiamento sia nella capacità di prevedere le tendenze e i processi, di prevenirne gli effetti negativi, di guidarne gli sbocchi verso esiti di crescita economica, culturale, sociale e civile”. “Non capisco la nostra reticenza sul tema della contrattazione territoriale. Io credo che dovremmo essere noi i primi – proprio per consolidare il nostro sistema di relazioni industriali, ma anche per estendere la contrattazione decentrata alla grande maggioranza dei lavoratori che non ne usufruiscono – a esplorare un terreno nuovo di concertazione, in particolare in un paese di piccole imprese e di distretti industriali, sui processi di riorganizzazione industriale, sulle politiche di investimento nella ricerca e sviluppo, sulla ricostruzione delle condizioni di crescita di fronte alle nuove sfide della competizione internazionale, sulle politiche di formazione permanente, sulla costruzione di centri per l’impiego come strumenti di governo del mercato del lavoro, di amministrazione di sussidi, di governo della rete degli enti di formazione. Credo cha da questo punto di vista, si continui a trascurare il ruolo delle Camere del lavoro. Agli albori del movimento sindacale, le Camere del lavoro furono il luogo di unificazione e rappresentanza di un mercato del lavoro nel quale la figura centrale non era quella dell’operaio della grande impresa, tutelato dal proprio contratto di categoria, ma quello del bracciante a giornata, che faceva una parte delle sue giornate in edilizia e una parte ancora come ambulante. Oggi, di nuovo, in un mercato del lavoro frammentato e disperso, nel quale molti giovani sono costretti a passare da un lavoro a un altro, da un settore a un altro, le Camere del lavoro potrebbero tornare a svolgere quel ruolo di unificazione”. 7 nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 8 Tempo presente T E M P O P R E S E N T E Una firma consapevole, un accordo positivo 8 Il tema dell’equità era davvero il tema centrale da avviare a soluzione, compiendo scelte di priorità. Scegliere, questa è la difficoltà del nostro mestiere: scegliere, ragionare sui criteri delle decisioni, condividerli, parteciparli. E’ questo che comincia a disegnare una strategia che si dia obiettivi, percorsi di avvicinamento, tappe. di Marigia Maulucci, Segretaria nazionale CGIL Cominciamo dal riassunto delle puntate precedenti. Occorre riandare intanto a quell’esperienza irripetibile che è stata la Finanziaria 2007, della quale speriamo che il Governo e la sua maggioranza faccia tesoro. A mente fredda, possiamo valutarne i risultati positivi, con l’occhio che vada al di là del gran trambusto che ha fatto di tutto per occultarli. E’ stata sicuramente positiva l’azione di risanamento dei conti pubblici: rientrare definitivamente nel Patto di Stabilità, uscire dall’emergenza di un deficit che superava il 3 %, programmarne il suo azzeramento, insieme alla riduzione del debito e alla ricostituzione dell’avanzo primario, è davvero un valore eccellente. Consente tempo e modo per avere a disposizione risorse da investire nella crescita, senza il taglieggiamento che i vincoli di finanza pubblica hanno sempre imposto alle, peraltro scarse, risorse prodotte e alle imposte pagate. Insomma, detta in altri termini, risanare i conti pubblici è una cosa di sinistra. L’altro risultato positivo è stato l’avvio, solido, mirato, strutturale, di una lotta vera all’evasione fiscale. E’ vero, in un paese normale, un governo lotta contro l’evasione fiscale: è suo dovere e interesse farlo. Il contrario sarebbe follia o collusione. Sarà forse che questo è poco un paese normale, tant’è che il grosso degli strali contro l’esecutivo è arrivato da chi per anni si è infilato in quella zona grigio-nera di benessere, di indubbio vantaggio competitivo, di illegittimità sul piano dei doveri fiscali e dei diritti dei lavoratori. Contemporaneamente, tra il 2006 e il 2007 abbiamo rivisto segnali positivi dalla nostra economia reale, forse a dimostrazione del fatto che, intanto che in superficie appariva il declino, nelle viscere del nostro apparato produttivo qualcosa si cominciava a muovere. La somma di avvio di risanamento e crescita dell’economia reale ha prodotto (e speriamo continui a farlo) risorse aggiuntive non previste che hanno creato le condizioni materiali per un inizio di redistribuzione. Si trattava, nella fattispecie di 10 miliardi, dei quali 7,5 destinati al risanamento della finanza pubblica e 2,5 al, diciamo così, Welfare. Quando ci siamo seduti a quel tavolo, di problemi da affrontare ne avevamo parecchi, tutti ruotanti intorno alle difficoltà materiali dei lavoratori e pensionati, con retribuzioni e pensioni in affanno. Nella Finanziaria 2007, il Governo aveva provato a ridi- nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 9 Tempo presente segnare la curva delle aliquote, ripristinando quella progressività del sistema che il governo precedente aveva cancellato. La manovra si è infilata in quel ginepraio che sappiamo, risorse scarse rispetto alla bisogna e platea di riferimento molto ampia, con in aggiunta il colpo di grazia dell’aumento delle addizionali locali, concesso dal Governo a compensazione della riduzione dei trasferimenti. Dunque, il tema dell’equità era davvero il tema centrale da avviare a soluzione, compiendo scelte di priorità. Scegliere, questa è la difficoltà del nostro mestiere: scegliere, ragionare sui criteri delle decisioni, condividerli, parteciparli. E’ questo che comincia a disegnare una strategia che si dia obiettivi, percorsi di avvicinamento, tappe. Abbiamo dunque condiviso col Governo che l’emergenza si chiamava pensioni basse e condizioni lavorative dei giovani e su questo abbiamo ragionato per la ripartizione delle risorse messe a disposizione. Perché, a differenza di tanti altri tavoli della nostra storia, questa volta delle risorse (e nemmeno tanto scarse) c’erano. Non abbiamo mai detto che con quelle risorse si sarebbe dovuto coprire il superamento del famoso scalone della legge Maroni, perché, alla faccia di tutti coloro che ci accusavano, ci accusano e ci accuseranno di difendere i protetti invece dei precari, abbiamo voluto indicare nei giovani e negli anziani in gravi difficoltà l’obiettivo di quel tavolo di confronto. Difficile non riconoscere che abbiamo portato a casa dei considerevoli risultati. I pensionati, titolari di pensioni basse a seguito di bassi contributi, dunque pensionati già lavoratori con basse qualifiche o vita lavorativa insufficiente a garantire un reddito decente, avranno incrementi medi dell’ordine di 336 euro per un’anzianità contributiva fino a 15 anni, 420 da 15 a 25 anni, 504 per oltre i 25 anni. Il testo è già nella legge 127/07 e la misura sarà operativa dal mese prossimo, per coloro che hanno diritto, con un’erogazione in un’unica soluzione. L’accordo prevede, inoltre, la rivalutazione al 100% al costo della vita dei trattamenti pensionistici per le fasce comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo. Per i giovani, occorreva rafforzare intanto il loro quadro contributivo, essendo totalmente dentro questo regime, secondo quanto previsto dalla riforma del ’95. E’ previsto, dall’accordo, il riscatto della laurea a condizioni più vantaggiose delle attuali, la totalizzazione dei periodi lavorativi, cumulando tutti i contributi maturati in qualsiasi gestione pensionistica e riducendone il requisito minimo di permanenza e l’aumento di tre punti percentuali (nel triennio 2008- 2010) delle aliquote previdenziali dei parasubordinati. Quest’ultima misura non solo rafforza lo zaino di contributi a fini previdenziali ma, di fatto, riduce l’appeal di forme di lavoro precarie rispetto a forme di assunzioni più solide. Per quanto riguarda poi gli ammortizzatori sociali, fermo restando l’impegno alla riforma di “sistema”, si stabilisce l’aumento della durata dell’indennità ordinaria e quello dell’importo dell’indennità. Sul piano del mercato del lavoro, confermando e rafforzando la lotta al sommerso che la Finanziaria 2007 ha iniziato, si incentiva il part-time lungo, si affida alla contrattazione la definizione della clausole elastiche e flessibili, si stabilisce il diritto di precedenza in caso di posti a tempo pieno disponibili. Si cancella il lavoro a chiamata. E qui ci fermiamo, perché, com’è noto, sulle questioni che attengono alla necessità di superamento dello staff leasing e di una maggiore cogenza nella trasformazione dei contratti a termine dopo 36 mesi occorre riaffermare la nostra esigenza - nostra di CGIL CISL UIL, cioè - di continuare nella lotta contro la precarietà. L’ho fatta tanto lunga sui risultati ottenuti non certo per ragioni trionfalistiche ma per dire che davvero c’è materia per dire che abbiamo portato a casa risultati che avviano a soluzione alcuni problemi di non poco conto, che da anni ci trascinavamo nelle nostre rivendicazioni. Per dire, insomma, che la nostra firma è il risultato di un bilanciamento costi/benefici che si è positivamente risolto a favore dei benefici. Quando firmiamo, così è. E poi c’è lo scalone. Abbiamo lavorato al suo superamento, costruendo un nuovo impianto di requisiti che corregge le rigidità e le iniquità di quelli attualmente in vigore sulla base della legge Maroni, escludendo i lavori usuranti che andranno in pensione con un anticipo di tre anni del requisito anagrafico, riaprendo le quattro finestre per la decorrenza della pensioni di anzianità, lavorando alla rivisitazione dei criteri per la definizione dei coefficienti di trasformazione. Questo, in estrema sintesi, il quadro della riforma dello scalone: questo quanto possibile, stante il vincolo delle risorse disponibili, tutte trovate all’interno del sistema. Ricordo, per inciso, che si tratta di coperture con una certa valenza di merito: l’aumento della contribuzione dei parasubordinati (che incorpora i vantaggi che dicevo), il taglio di pensioni “d’oro”, l’impegno all’unificazione di enti che nella loro dupli-tripli-cazione costituiscono davvero una fonte di aggravio di risorse pubbliche che possono, ovviamente nel rispetto dei diritti di chi ci lavora, essere utilmente qualificate e ottimizzate. Va da sé che ci sarebbe piaciuto un sistema di quote più flessibile, vale a dire che non incorporasse la rigidità del requisito anagrafico e contributivo: non sempre, però, il desiderio coincide con le condizioni della reale percorribilità dello stesso. L’aver salvaguardato ampie fasce di lavoro usurante tranquillizza rispetto a scelte che, in coerenza con la legge Dini da una parte e con il quadro demografico di questo Paese che vede fortunatamente prolungarsi la speranza di vita dall’altra, tendono a realizzare un graduale aumento dell’età lavorativa. Aver corretto delle iniquità palesi e riaffermato l’immutabilità dell’età pensionabile delle donne è un risultato che non possiamo che considerare positivo. Da ultimo, nel quadro dei risultati dell’accordo, va ricordata la piena pensionabilità e gli sgravi contributivi delle retribuzioni erogate a titolo di premio di risultato dalla contrattazione di 2° livello, oltreché un’ipotesi, tutta da costruire, su una parziale detassazione delle stesse. Questo è quanto: ora la parola passa ai lavoratori. A loro va trasmessa un’informazione meticolosa e puntuale dei singoli aspetti di merito, ma anche e soprattutto delle ragioni che ci hanno convinto a siglare l’intesa, sulla quale il nostro giudizio è positivo. Ognuno deciderà con la sua testa ed esprimerà, segretamente, il suo voto. Quella espressione è per noi il valore più alto di questa verifica. Le assemblee nelle quali siamo impegnati in questi giorni devono essere un momento vero di partecipazione attiva, di coinvolgimento nel processo di formazione di una scelta, di sostegno rispetto ad un impianto strategico che certamente non si ferma qui. I lavoratori devono sapere che CGIL CISL UIL sono in campo, per consolidare i risultati, metterli alle spalle e ripartire nella continuità della battaglia sindacale che ha come centralità la difesa dei diritti e del miglioramento delle condizioni materiali delle persone che rappresentiamo. Davanti a noi, una non facile legge Finanziaria che dovrà declinare l’impegno assolutamente prioritario della crescita del PIL, perché senza crescita, senza aumento della produttività e della competitività, non ce n’è per nessuno, giovane, vecchio, precario, donna. Il consenso di oggi diventa forza di rappresentanza nelle scadenze successive: chiediamo dunque un consenso ragionato, partecipato, consapevole e responsabile. Chiediamo, insomma, l’esercizio di una soggettività, quella del lavoro, che si fa classe dirigente del paese. 9 nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 10 Tempo presente T E M P O P R E S E N T E I servizi di pubblica utilità tra liberalizzazione e intervento pubblico 10 I servizi a rete - quali acqua, energia, trasporti pubblici e telecomunicazioni - sono un fattore cruciale per lo sviluppo delle persone, della società e dell’economia. di Ivan Panzica Dal 17 al 19 maggio a Venezia, presso l’Università Internazionale, nell’isola di San Servolo, si è tenuta la sessione annuale della Scuola Internazionale di Sussidiarietà, che ha affrontato il tema dei servizi di pubblica utilità, tra i quali i trasporti. L’edizione del 2007 della Scuola ha previsto la presentazione di numerosi casi aziendali e di policy da parte di regolatori, amministratori pubblici, professori universitari, provenienti da diversi Paesi. I servizi a rete - quali acqua, energia, trasporti pubblici e telecomunicazioni - sono un fattore cruciale per lo sviluppo delle persone, della società e dell’economia, a livello sia locale sia nazionale. Quali elementi permettono di passare ad una più ampia libertà di scelta da parte dei consumatori, ad una migliore qualità dei servizi, ad investimenti di modernizzazione? Oggi sono numero- se le città, le regioni e i paesi che ancora si trovano nel mezzo del processo di riforma. Le sessioni che hanno composto la Scuola hanno permesso di confrontare e discutere le soluzioni adottate nei diversi settori e nei diversi Paesi in ambiti importanti quali le forme di regolazione dei servizi, la proprietà e la governance delle imprese, il finanziamento delle infrastrutture, i sistemi indicatori di qualità. La Scuola organizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà trae ispirazione dal principio di sussidiarietà che afferma il primato della persona rispetto alla società e della società rispetto allo Stato, affinché ogni decisione attinente l’interesse generale sia presa al livello più vicino al cittadino. La sussidiarietà è così intesa come impegno perché ogni apporto e ogni cultura possano esistere. Si esprime nella valorizzazione del singolo, delle sue potenzialità e nell’educazione alla libertà e alla responsabilità. Su questi presupposti la Scuola ha portato avanti il teorema della possibilità di modelli diversi di titolarità per reti e impianti nei servizi di pubblica utilità, modelli basati appunto sul principio di sussidiarietà. La proposta sostenuta durante le varie sessioni della Scuola è stata quella di affidare la gestione della cosiddette public utilities alle Fondazioni. Le motivazioni partono da un’analisi della gestione pubblica che è considerata insufficiente: investimenti insufficienti, effi- nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 11 Tempo presente cienza operativa ridotta, scarsa qualità del servizio, crescente inaccettabilità del ricorso al debito pubblico e all’imposizione fiscale, costi nascosti del dirigismo. Inoltre, nell’attuale sistema di gestione della public utilities vi è, secondo i promotori dell’iniziativa, una rappresentanza solo formale dei cittadini/utenti: vi è una sostanziale governance politica e dominanza dei manager pubblici. I punti di forza, invece, della proposta delle non-profit utilities (Fondazioni di derivazione pubblica) starebbero nella vera titolarità dei cittadini, patrimonio vincolato al servizio (nessun pagamento di dividendi o di canoni di concessione), proprietà non trasferibile. Altri elementi a loro favore sono l’efficienza e la capacità di finanziamento maggiore delle attuali strutture. Il tutto deriva anche dal fatto che la privatizzazione della publicutilities non è sempre adeguata, soprattutto quando si tratta di monopoli naturali. A sostegno di queste tesi sono state portati all’attenzione casi di non-profit utilities in Gran Bretagna, per la gestione dell’acqua e della rete ferroviaria, e negli Stati Uniti, con le autorità municipali di Detroit nella gestione delle reti elettriche. Autorevoli sono stati gli interventi, come si evince dall’elenco. Marco Piuri, FNM Group (Italia), Management delle utilities tra regolamentazione, assetti proprietari e governance. Paola Garrone, Politecnico di Milano (Italia), Non profit e servizi di pubblica utilità. Sam Peltzman, Università di Chicago (USA), Liberalizzazione e intervento dello Stato: passato, presente, futuro. · Keith Bastow, Arriva plc (Regno Unito), Trasporto pubblico locale: qualità del servizio ed investitori privati. Un caso di successo. Daniel R.lrvin, Private Public Funds (USA), Finanza pubblica per gli investimenti in infrastrutture negli Stati Uniti. Raffaele Tiscar, Regione Lombardia (Italia), Riforma dei servizi pubblici locali: l’esperienza della Regione Lombardia. Andrei Dunn, Office of Water (Regno Unito), Incentivi per un buon servizio al cliente nel settore dell’acqua (Inghilterra e Galles) Michel Quidort, Veolia (Francia), Scelta per i clienti: l’esperienza di Veolia. Mario Saporiti, Utilità (Italia), Libertà di scelta e rapporto con gli utenti nel settore dell’energia: testimonianza di un operatore. Una proposta per le reti di pubblica utilità: dare spazio al non-profit di Marco Piuri, FNM Group Nello sviluppo delle infrastrutture e servizi dei sistemi città e paese non è sufficiente l’intervento diretto dello Stato né quello di regolazione del mercato e delle imprese, ma è necessario attribuire all’utente una posizione centrale attraverso cui sia garantita: ● libertà di scelta del fornitore ● libertà di iniziativa per le imprese for-profit ● libertà di iniziativa per le non-profit utilities1 Mentre i primi due punti sono presenti nelle riforme degli ultimi anni, l’apertura a forme di titolarità delle reti e degli impianti di tipo non-profit non ha finora trovato spazio nel dibattito pubblico e nell’azione politica. Seguendo l’esempio delle esperienze di altri paesi rispetto a specifici settori, la Fondazione per la Sussidiarietà propone un riconoscimento delle potenzialità delle non-profit utilities. Non-profit utilities: motivazioni ed esperienze internazionali Il servizio idrico, i trasporti pubblici, la gestione dei rifiuti e le reti dell’energia costituiscono ambiti normalmente sviluppati in un regime di monopolio strutturale. In questo campo le non-profit utilities possono svolgere un ruolo essenziale, come dimostrano numerose esperienze nei paesi con una grande tradizione di apertura al mercato, Regno Unito e Stati Uniti su tutti. Il loro successo è motivato anche dai limiti della gestione pubblica e da evidenti difficoltà di regolazione che, di fatto, nascondono il costo altissimo del sacrificio del potenziale dell’economia e della società. In ogni caso, lo sviluppo delle non-profit utilities è da considerarsi complementario a quello delle imprese private e delle attività operative e delle logiche concorrenziali. Esperienze significative sono, ad esempio, quelle della Glas Cymru-Welsh Water, azienda gallese leader nel livello di servizio che dal 2001 offre il servizio idrico a più di un milione di utenti, facendo outsourcing con i migliori fornitori specializzati e trasferendo i dividendi ai consumatori con tariffe ridotte o l’inglese Network Rail Ltd, creata nel 2003 in seguito al grave dissesto della privatizzata Railtrack, che continua a ricevere sussidi pubblici, ma ha smesso di essere in perdita. Le non-profit utilities presentano forme societarie diverse, ma alcune caratteristiche comuni: re-investimento degli utili, diritti di proprietà non trasferibili, indebitamento elevato ma sostenibile (date le caratteristiche del settore), manager specializzati, utenti che partecipano alla governance. Non-profit utilities: elementi qualificanti Pur con origini, esperienze e forme societarie differenti, le nonprofit utilities condividono alcuni tratti fondamentali. 1. Rappresentanza dei cittadini e degli altri stake-holder2. I cittadini, le imprese e le associazioni del territorio di competenza sono riconosciuti come effettivi titolari in quanto sono i principali destinatari degli investimenti e ne sostengono interamente i costi. 11 nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 12 Tempo presente 2. Patrimonio destinato al servizio. Gli utili sono re-investiti nelle reti e nelle altre risorse finalizzate alla qualità e alla diffusione dei servizi. 3. Finanziamento degli investimenti. Avviene prevalentemente tramite l’emissione di titoli di debito a lungo termine sui mercati finanziari. La sostenibilità finanziaria degli investimenti è garantita ai mercati dalla possibilità di definire autonomamente le tariffe, dalla fiscalità di scopo, dalla presenza di specifici sussidi e dalla patrimonializzazione degli utili. 4. Gestione aziendale e accountability3. Le non-profit utilities sono gestite secondo criteri aziendali da manager specializzati che ricorrono a fornitori privati per le attività operative. L’accountability è assicurata da documenti finanziari pubblici, dal controllo del regolatore e dagli organi di governo. T E M P O P R E S E N T E Non-profit utilities in Italia: spunti e linee di lavoro Per l’implementazione della proposta occorrono attente valutazioni sui singoli servizi e per i singoli territori che facilitino l’abbandono al ricorso esclusivo alla fiscalità generale, sviluppino strumenti e regole a garanzia dell’informazione per cittadini e operatore, valorizzino operatori con modelli di governance che rappresentino tutti gli stake holder. In questa direzione è possibile tracciare precise linee guida di lavoro: ● Fondazioni di pubblica utilità. Uno strumento promettente per realizzare il legame tra patrimonio e servizio è rappre- 12 sentato dalle Fondazioni, da una parte proprietarie delle reti e degli impianti, dall’altra titolari delle decisioni di investimento per lo sviluppo e il rinnovo. ● Governance. Le Fondazioni permettono un’efficace rappresentanza dei diversi stake-holder tra cui i rappresentanti nominati dagli Enti locali, i rappresentanti dei cittadini residenti e i rappresentanti degli utenti industriali. ● Finanziamento degli investimenti. Nel rapporto con i mercati finanziari (emissione del debito), le Fondazioni permettono di condividere gli aumenti tariffari e le decisioni di investimento direttamente con gli stake-holder; al contempo la proprietà diretta degli asset riduce il rischio economico e quindi il costo del capitale. ● Differenze con le attuali utilities locali. La Fondazione consente di superare alcune ambiguità tipiche delle società di capitale a controllo pubblico che in molti casi sono esposte alle interferenze della politica e, al tempo stesso, estraggono rendite nella forma di dividendi e canoni di concessione. In conclusione, l’apertura al non-profit nel mondo delle utilities può far leva su numerose esperienze internazionali, su alcune debolezze dell’impresa statale e degli investitori forprofit e su specifici punti di forza della forma non-profit. Per l’Italia, particolare interesse riveste la possibilità che la proprietà e il finanziamento delle infrastrutture siano affidate ad enti quali le fondazioni. Imprese non-profit nei servizi di pubblica utilità: caratteristiche ed esperienze internazionali di Paola Garrone, Politecnico di Milano Il problema degli investimenti di pubblica utilità La diffusione, la qualità e la stessa efficienza dei servizi di pubblica utilità, su base locale o nazionale, dipende in maniera cruciale dagli investimenti, ma l’Italia è ancora in molti settori caratterizzata da una generale arretratezza di reti e impianti. Per risolvere questo problema è opportuno interrogarsi sui modelli proprietari. Mentre la natura dei titolari non ha particolari implicazioni nei settori dove si osserva qualche forma di concorrenza (ad esempio, generazione elettrica, telecomunicazioni, attività operative nei servizi pubblici locali), nelle attività svolte in monopolio o caratterizzate da speciali difficoltà di regolazione la scelta di un opportuno modello proprietario può contribuire ad avviare il recupero degli investimenti. Ciò appare particolarmente urgente nel servizio idrico, nel trasporto pubblico e nella gestione dei rifiuti urbani, settori nei quali il processo di riforma ha avuto effetti minori; peraltro anche le reti elettriche e del gas presentano specifiche aree di ritardo. Le non-profit utilities1 non sono ancora presenti in Italia; tuttavia l’esperienza di Stati Uniti e Gran Bretagna mostra che in alcuni casi esse possono presentare diversi vantaggi rispetto alle tradizionali utilities pubbliche e alle stesse utilities private. Imprese non-profit nei servizi di pubblica utilità Le non-profit utilities presentano forme societarie diverse nei diversi paesi, ma condividono alcuni tratti fondamentali. a. Rappresentanza dei cittadini e degli altri stake-holder2. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti, i cittadini, le imprese e le associazioni del territorio di competenza intervengono nelle decisioni di tipo strategico delle non-profit utilities. La rappresentanza degli stake-holder negli organi di governo avviene attraverso elezione diretta da parte dei cittadini, nomine dall’industria e dalle associazioni, deleghe del governo locale o statale. b. Reddito di impresa destinato al servizio e agli utenti. Gli utili sono re-investiti nelle reti e nelle altre risorse finalizzate alla qualità e alla diffusione del servizio; come impiego alternativo del valore creato, vanno segnalati i “dividendi clienti” (sconti tariffari). Non sono previsti dividendi per gli azionisti o nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 13 Tempo presente canoni di concessione per le amministrazioni di riferimento; negli Stati Uniti, le non-profit utilities non pagano imposte sul reddito. c. Finanziamento degli investimenti. Il finanziamento delle attività è realizzato in misura preponderante con l’emissione di titoli di debito a lungo termine sui mercati finanziari. La sostenibilità finanziaria è assicurata dalla leva tariffaria, dalla fiscalità di scopo (negli Stati Uniti), da specifici sussidi ai nuovi investimenti, dalla patrimonializzazione degli utili. d. Gestione aziendale e accountability3. Le non-profit utilities sono gestite da manager specializzati. L’accountability è assicurata da documenti finanziari pubblici e dalla presenza di organismi di controllo e regolazione. Inoltre, le azioni dei manager sono sottoposte al controllo degli stake-holder presenti negli organi di governo e allo scrutinio dei mercati finanziari. Le non-profit private britanniche Un caso che illustra bene le potenzialità delle non-profit private UK è un’esperienza del settore idrico, l’acquisizione dell’operatore gallese privato Welsh Water da parte di una nonprofit. Il settore dei servizi idrici del Regno Unito è stato privatizzato a partire dal 1989. Dalla seconda metà degli anni Novanta, alcuni operatori hanno manifestato in maniera crescente problemi reddituali, finanziari e di livello di servizio. Nel 2001 un gruppo di manager, esperti del settore ed amministratori pubblici, ha elaborato un piano per costituire una non-profit privata, Glas Cymru, che acquisisse per 2.700 milioni di euro gli asset di Welsh Water, un’impresa che offriva il servizio a circa 3 milioni di cittadini gallesi. L’operazione è stata finanziata con l’emissione di obbligazioni (capitale di debito). L’obiettivo dichiarato è quello di offrire il servizio idrico ai “cittadini del Galles alla miglior qualità e al minor prezzo possibili”. Il governo dell’impresa, stante l’assenza di azionisti, è assicurato dai soci e dai loro rappresentanti in un consiglio detto Board of Trustees. I soci sono scelti dal presidente in base alle proposte di un comitato indipendente nel mondo delle professioni, dell’amministrazione, dell’associazionismo locale ed ambientale, del settore idrico e non hanno interessi finanziari nell’impresa. La struttura finanziaria è dominata dal capitale di debito, nella forma di obbligazioni scambiate su mercati finanziari e valutate da parte di analisti finanziari; va poi notato che gli utili reinvestiti hanno costituito nel tempo una riserva di capitale proprio. Le prestazioni sono lusinghiere, soprattutto in termini di qualità del servizio; Welsh Water, partendo dalle ultime posizioni del benchmarking (analisi dei risultati periodica) diffuso dal regolatore negli ultimi cinque anni, è diventata leader del settore. L’impresa sostiene investimenti materiali annui dell’ordine dei 400 milioni di euro e offre un “dividendo” ai clienti, nella forma di uno sconto pari a circa 18 milioni di euro all’anno. Una caratteristica qualificante è l’intenso ricorso a fornitori privati eccellenti nelle diverse attività operative, attraverso gare molto competitive. Un altro caso di non-profit privata si trova nel settore ferroviario, dove dopo la privatizzazione si erano registrati gravi disservizi e il dissesto del gestore della rete. Nel 2002, gli asset di Railtrack sono stati conferiti a Network Rail Ltd, una società non-profit che si occupa di sviluppare e gestire le tracce ferroviarie e le stazioni. Anche in questo caso non vi sono azionisti ma soci, uno dei quali, con diritti speciali di voto, è espresso dal Ministero dei Trasporti; un comitato indipendente seleziona gli altri soci. Con oltre 4.500 milioni di euro l’anno di investimenti, Network Rail mantiene, rinnova e ammoderna l’intera rete. Anche in questo caso il ricorso al mercato finanziario per la raccolta del capitale di debito è assai significativo (oltre 15.000 milioni di euro di debiti a lungo termine). I ricavi di Network Rail sono superiori ai 5.500 milioni di euro e provengono sia dal “pedaggio” pagato dalle compagnie dei treni sia dai finanziamenti dell’autorità di settore; dopo anni di perdite, proprio nel 2006 si sono registrati i primi utili. Le “non-profit municipali” statunitensi Le utilities e autorità municipali USA sono assai diverse dalle nostre imprese di proprietà comunale e sono descrivibili come “non-profit municipali”. Dominano servizi idrici e trasporto pubblico locale; sono presenti anche nel settore elettrico (insieme alle cooperative di utenti, tipiche delle zone rurali). Perché le utilities municipali statunitensi sono classificabili senza forzature come “non-profit”? Prima di tutto, esse presentano una clausola non-profit nello statuto: destinano il reddito di impresa agli investimenti; sono esenti da imposte su reddito e immobili e da canoni di concessione. In alcuni casi il Comune riceve una quota massima predeterminata dei ricavi (dell’ordine del 5%), utilizzabile solo per specifiche necessità, non per la gestione ordinaria. Secondo, la governance è improntata alla rappresentanza degli interessi dei cittadini. L’equivalente del Consiglio di Amministrazione è un Board of Trustees, di nomina politica ma con buoni gradi di autonomia: mandati con scadenze diverse, remunerazioni nulle o ridotte, obbligo di consultazione dei cittadini per operazioni straordinarie, svolgimento pubblico delle riunioni. Infine, anche la struttura finanziaria caratterizza le municipali USA come non-profit. Gli unici sussidi ammessi sono contributi destinati esclusivamente a nuovi investimenti (non possono essere destinati alle attività operative). In funzione di determinati piani di sviluppo sono emesse obbligazioni municipali ed obbligazioni garantite dai ricavi e valutate dalle agenzie di rating; inoltre, le municipali statunitensi possono proporre l’imposizione di tasse di scopo. La sostenibilità finanziaria è assicurata dal basso rischio associato all’esistenza di riserve (re-investimento degli utili) e dal controllo sulle tariffe. Un esempio fra i molti possibili è offerto dal Detroit Water and Sewerage Department, che offre servizi idrici a più di 4 milioni di utenti nella città di Detroit e zone vicine (Michigan). Con riferimento alla governance del City of Detroit Water Fund (acquedotto) e del City of Detroit Sewerage Fund (acque reflue), essa è assicurata da un comitato, il Board of Water Commissioners, con 7 rappresentanti scelti dal Sindaco (4 cittadini di Detroit e 3 rappresentanti delle zone suburbane); i commissari hanno un mandato di 4 anni a scadenze differenziate e non godono di remunerazione finanziaria. Gli utili sono interamente reinvestiti, mentre i ricavi tariffari sono disegnati per coprire costi operativi e costi del capitale. I due fondi godono di una completa esenzione da tasse su reddito, immobili e vendite e non pagano alcun canone di concessione al Comune; inoltre, sono assenti pagamenti alla città anche minimi. Conclusioni Nel nostro paese, la preferenza per la proprietà pubblica delle reti e degli impianti e per il ricorso al confronto concorrenziale per l’erogazione del servizio è del tutto coerente con un modello di gestore non-profit delle attività di investimento. In una “Fondazione di pubblica utilità” il reddito di impresa dovrà essere re-investito; gli organi di governo saranno espressione degli utenti e degli altri stake-holder, secondo i modelli di governo delle non-profit private britanniche; non è esclusa la derivazione pubblica, su esempio delle utilities municipali statunitensi. 1 utilities = servizi 2 stake-holder = gruppi di interesse 3 accountability = responsabilità 13 nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 14 Tempo presente Gestione e governo di reti e infrastrutture di Antonio Panzeri, Vice Presidente Commissione Affari Sociali e Occupazione - Parlamento europeo T E M P O P R E S E N T E Dibattito aperto in Europa sulle liberalizzazioni. Gli interrogativi sul tema della separazione tra proprietà e gestione nelle pubbliche utilities. Le prospettive. 14 L’Unione Europea ha fra i suoi principi fondanti la libera circolazione dei cittadini, delle merci, dei capitali e dei servizi all’interno dei confini comunitari. Tale principio, a sua volta, affonda le proprie radici negli assunti del pensiero liberale in materia di libera iniziativa economica e di libertà di scelta dei singoli individui. In tale contesto, da tempo si discute come possa essere attuato il principio generale di libero mercato con riferimento alla somministrazione di determinati servizi, quali quelli di pubblica utilità, caratterizzati da forti valenze sociali, esigenze di universalità e di accessibilità economica. Allo stato attuale, a livello comunitario si fa sempre più strada l’idea di contemperare esigenze di mercato ed esigenze di socialità nel livello delle prestazioni erogate, procedendo al c.d. unbundling (suddivisione) delle filiere in cui si articolano i vari servizi, in modo da riservare a ciascun segmento di esse un diverso trattamento normativo e un diverso punto di equilibrio fra libertà di intrapresa ed intervento pubblico. Si tende così a separare la gestione delle reti e delle infrastrutture sia dalla fase “a monte”, dedicata alla produzione del servizio, sia dalla fase “a valle”, riguardante l’erogazione della prestazione all’utente finale. Per quanto riguarda la fase di produzione/approvvigionamento è ormai opinione comune la necessità di una completa liberalizzazione del mercato, nell’indifferenza riguardo al regime proprietario delle imprese in reciproca competizione. Parimenti, è opinione condivisa la necessità di una liberalizzazione anche dei mercati a valle, sia pur nell’ambito di una competizione regolata, oltre che vigilata, da apposite Authority di settore. Molto più dibattuto è, invece, il tema riguardante il sistema di gestione e governo delle reti e delle infrastrutture. Ed è su questo punto che vorrei brevemente soffermarmi. In particolare, con riferimento alla tendenza invalsa nel nostro Paese pressoché unico in Europa- volta ad imporre una separazione forzosa fra la proprietà e la gestione delle infrastrutture afferenti ai servizi di pubblica utilità -soprattutto locali- e l’assegnazione della gestione sempre e comunque tramite gara. Tale scelta non solo non risponde ad alcun obbligo comunitario, ma introduce -a mio avviso- una scissione non funzionale oltre che dannosa per il servizio stesso. Le varie Autorità di settore hanno d’altronde evidenziato più volte le inefficienze e la scarsa propensione agli investimenti, risultanti dalla ripartizione delle responsabilità che la separazione tra proprietà e gestione implica. Il proprietario non investe poiché non coinvolto nei benefici derivanti dall’eventuale aumento di produttività della gestione. Il gestore, viceversa, non investe nel medio/lungo periodo su beni non propri, gestiti -per giunta- a scadenza (senza contare le incertezze rivenienti dal sicuro contenzioso fra gestore uscente ed eventuale gestore entrante). Le reti devono garantire condizioni di accesso eguali e trasparenti a tutti gli operatori attivi “a monte“ e “a valle” dell’infrastruttura. Se tali condizioni, in primis quelle tariffarie, sono tutte regolamentate da un’Autorità terza, che senso ha la separazione forzosa fra proprietà e gestione del network? Quali benefici porta al tanto decantato interesse del consumatore? Che il proprietario debba avere, prima di ogni altro, il potere di usare e gestire ciò che gli appartiene, costituisce, d’altronde, la regola base di un’economia di mercato, là dove la possibilità per un terzo di gestire un bene altrui costituisce sempre e comunque l’eccezione. Sotto questo profilo, il diritto del proprietario di utilizzare e gestire il proprio bene, non solo non incide in alcun modo sui principi comunitari in materia di libera circolazione dei capitali e dei servizi ma, anzi, ne costituisce, se mai, il presupposto necessario, senza il quale non si potrebbe avere né un’economia di mercato né -a maggior ragione- una libera circolazione dei capitali e dei servizi. Obbligare il proprietario a metter in gara la gestione del proprio bene altro non significa che confezionare un surrettizio provvedimento d’esproprio, in esatta antitesi con i principi base dell’economia di mercato, nel nome del cui sviluppo e tutela si dice invece agire. Se si vogliono le liberalizzazioni, è possibile chiedersi cosa ci nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 15 Tempo presente sia di più liberale del consentire il pieno esercizio del diritto di proprietà? Continuare ad incentrare prioritariamente il tema del governo delle reti e delle infrastrutture, anziché sulla proprietà, sull’istituto dell’affidamento (qualsiasi configurazione esso assuma) porta con sé un’altra conseguenza esiziale. Quella di lasciare esposta al mutevole orientamento dei giudici la verifica della legittimità di ciascun singolo affidamento e, di conseguenza, le sorti delle varie imprese coinvolte. Ed è, infatti, ciò che sta puntualmente avvenendo. Le utilities italiane non sanno se gestiranno domani i beni che gestiscono oggi, e le scelte in tema di sviluppo e ammodernamento delle infrastrutture sono determinate, non già in funzione di una precisa politica industriale, bensì a traino degli orientamenti della Corte di giustizia comunitaria (presso la quale è ormai rimessa ogni questione -occorre dirlo- con uno zelo senza pari in tutta Europa). La separazione forzosa fra proprietà e gestione e l’assegnazione della gestione tramite gara implica, inoltre, l’identificazione di un perimetro gestionale da mettere in gara. Ma qual è il bacino minimo di un dato servizio a rete? L’individuazione “a priori” di un ambito supposto ottimale è un esercizio estremamente complesso, i cui risultati sono -il più delle volte- scarsamente attendibili. La dimensione geografica ottimale di un servizio, soprattutto se a rete, ben difficilmente può essere predeterminata da un regolatore, sia esso nazionale o regionale. Un determinato livello tariffario può rendere il servizio remunerato momentaneamente coerente con un predeterminato ambito territoriale di operatività, ma ci vuole poco a capire che una semplice modifica nella struttura dei costi può rendere di lì a poco tale dimensione territoriale del tutto inadatta o non più efficiente in termini dimensionali. Non esiste, dunque, una dimensione ottimale del servizio, fissa e astrattamente definibile “a priori”. Esiste piuttosto ed è, bilanci alla mano, perfettamente calcolabile, una dimensione ottimale dell’impresa, soggetta a continue modifiche e adattamenti. Ed è alla libera determinazione delle imprese e alla loro autonoma iterazione che va lasciato l’obiettivo del raggiungimento della dimensione produttiva efficiente della rete. In un comparto che continuerà ad essere fortemente regolamentato come quello delle reti, devono essere gli standard di qualità e i livelli tariffari prefissati dal regolatore che determinano il dimensionamento ottimale delle imprese, non la predeterminazione a tavolino del livello ottimale dell’impresa, che determina gli standard di qualità e i livelli di costo del servizio. Si vogliono promuovere le aggregazioni delle utilities domestiche. Bene. Quale sarà la relazione fra le logiche del perimetro della proprietà delle reti definito per via amministrativa e la dimensione assunta nel frattempo dalle società di gestione? Si è realizzata l’auspicata fusione imprenditoriale fra Bergamo, Brescia e Milano per la gestione integrata delle infrastrutture reticolari di distribuzione dell’energia. Ma ha poi un senso, c’è da augurarsi, la polverizzazione amministrativa del perimetro della proprietà degli assets gestiti e la gara per la loro futura gestione? Da questo punto di vista si può dire che più l’aggregazione imprenditoriale della conduzione delle reti è perseguita, tanto meno il regime della diarchia fra proprietà e gestione diventa plausibile. Ci siamo occupati, sin qui, delle modalità di governace delle reti, auspicandone l’unità fra proprietà e gestione. A questo punto non può non sorgere la domanda su quale possa essere il miglior regime proprietario per tali reti, su “chi” debba esserne il proprietario. Si tratta di un tema molto importante, che attiene alla configurazione della ricchezza di un Paese. Spero di poterlo affrontare in una prossima occasione. 15 nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 16 Tempo presente T E M P O P R E S E N T E Sempre caldo il tema della mobilità in Lombardia 16 di Franco Giuffrida, Segretario Cgil Lombardia Il sindacato unitario Cgil-Cisl-Uil della Lombardia, congiuntamente con i sindacati di categoria dei trasporti Filt-Fit-Uilt e dei pensionati Spi-Fnp-Uilp, ha richiesto ripetutamente un tavolo di confronto con la Giunta regionale per affrontare i temi legati al sistema della mobilità nella regione. Il confronto stenta a decollare, anche se prima della pausa feriale abbiamo avuto un incontro con l’assessore Raffaele Cattaneo su una serie di temi ed in particolare sui seguenti: le tessere agevolate, i servizi ferroviari ed automobilistici di trasporto pubblico locale e regionale. In tale incontro erano state presentate le posizioni sia della Giunta Regionale sia del sindacato unitario sulle materie oggetto del confronto negoziale ed il tavolo era stato riaggiornato a fine settembre per definire congiuntamente le scelte sui temi in discussione. In particolare, l’assessore alla mobilità ed infrastrutture ci aveva comunicato la decisione del consiglio regionale di prorogare le tessere agevolate al 31.12.2007. Ci riferiamo a quei soggetti che usufruiscono di quanto previsto nella legge regionale n. 25 del 9 dicembre 2003, che permette, con l’acquisto di una tessera, di viaggiare con agevolazioni tariffarie su tutti i mezzi di trasporto pubblico locale della nostra regione. In attesa del 31 dicembre 2007, le Organizzazioni Sindacali unitarie hanno avanzato proposte di miglioramento alla citata legge, al fine di aumentare le agevolazioni per i soggetti deboli della società e quindi incrementare l’utenza del trasporto pubblico. Chiediamo di inserire tra coloro che dovranno avere un abbonamento annuale gratuito i cittadini con età pari o superiore a 70 anni, utilizzabile nelle fasce orarie di morbida. Mentre, per coloro che rientrano tra i possessori di tessera regionale agevolata (abbonamento trimestrale a 15 euro o abbonamento annuale a 60 euro), si chiede di abbassare le percentuali di invalidità civile dall’attuale 67% al 48%. Si richiede anche di sperimentare una tessera agevolata rivolta ai giovani under 30, con esclusione degli studenti che già usufruiscono di abbo- namenti a tariffa agevolata, con l’obiettivo di incentivare l’uso dei mezzi pubblici. I punti annunciati dall’assessore Raffaele Cattaneo riguardano: lo sviluppo del servizio ferroviario regionale al 2009, anno in cui si libereranno nuove tracce per il T.P.L. perchè sono attivate le nuove linee ad alta capacità; una verifica dell’attuazione della legge di riforma del TPL che ha liberalizzato il settore attraverso le gare di servizio di trasporto locale. Per rendere possibile l’aumento dell’offerta ferroviaria, la Regione ci informa che necessitano circa 50 milioni di euro, in aggiunta ai circa 300 milioni di euro che annualmente si spendono in Lombardia per i servizi ferroviari regionali. Queste risorse aggiuntive, come dichiarato più volte dall’assessore, non possono gravare sui futuri bilanci della Regione e quindi c’è il serio rischio che sia compromesso il miglioramento della qualità dell’offerta del servizio ferroviario nella nostra regione. Il sindacato ha dato la propria disponibilità ad affrontare e trovare tutte e soluzioni idonee per far sì che non siano solo gli utenti a subire, attraverso un inasprimento del sistema tariffario, il peso delle risorse finanziare necessarie per pagare i servizi aggiuntivi. Infine, la Cgil Lombardia presenterà in un appuntamento specifico, presumibilmente alla fine di ottobre, un progetto per un nuovo sistema tariffario integrato. Su questo problema, da tempo ormai, si richiede da più parti una tariffa integrata ma, alla fine, emergono solo le difficoltà ed il progetto positivo di integrazione è subito abbandonato. Noi pensiamo che un sistema di tariffa integrata serva alla mobilità nella nostra regione, per favorire positivamente l’avvicinamento di nuova utenza al trasporto pubblico. Per questo motivo avanzeremo una proposta ai soggetti interessati e ci confronteremo con le varie rappresentanze degli interessi, in modo da acquisire un ampio consenso. Anche questo è un modo di misurarsi con i problemi concreti dei cittadini e costruire proposte che siano rispondenti agli interessi della nostra rappresentanza. nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 17 Tempo presente Cambiamenti climatici Prima la Conferenza nazionale “Cambiamenti climatici e lavoro: le proposte della Cgil”, il 12 luglio. Poi la prima Conferenza governativa sui cambiamenti climatici, il 12 e 13 settembre. Il tema è tra i più seri e prioritari, di quelli che richiedono una linea di rigore. Con una consapevolezza: è troppo tardi per azzerare il danno ma, agendo subito, si può prevenire il disastro. “Il cambiamento climatico non è una sorta di impazzimento della natura, la causa è nella politica di rapina e dominio della natura”. Siamo di fronte a uno dei più gravi e complessi problemi globali del nostro tempo. Proprio l’Italia, assieme a Spagna, Portogallo e Grecia si trova sul fronte più esposto e la crescita della temperatura è ben superiore alla media mondiale. Coste sommerse e rischio desertificazione non sono scenari apocalittici dipinti da esperti in vena di fare allarmismo. Le piogge ridotte e tropicalizzate, con aumento del rischio di alluvioni e frane, il Po ridotto ai minimi storici, la progressiva erosione dei ghiacciai non sono certo invenzioni. Scienziati e politici concordano sulla diagnosi, ma occorre una strategia seria, una nuova linea energetica (con al centro la drastica riduzione delle emissioni di gas serra) e una riprogrammazione dell’attività economica. Vediamo, in sintesi, qual è il piano del Governo a conclusione della Conferenza, che ha visto impegnati esperti, scienziati, ricercatori, istituzioni nazionali e sopranazionali, il governo, le associazioni ambientaliste, quelle datoriali, il sindacato. Nel “Manifesto per il clima”, con sottotitolo “Un new Deal per l’adattamento sostenibile e la sicurezza ambientale”, si stabilisce che entro il 2008 il ministero dell’Ambiente definirà una strategia nazionale per l’adattamento sostenibile ai cambiamenti climatici e per la sicurezza del territorio, che poggerà su tredici azioni: si va dal sostegno alla bioedilizia alle etichette che indicano quanta acqua costa ogni prodotto che consumiamo; dal patto con le associazioni agricole per razionalizzare l’irrigazione all’incentivazione delle colture tradizionali più resistenti alla siccità; dal recupero delle dune costiere alla riforestazione anti frane; dall’early warning meteoclimatico (possibilità di avere anche con 5 giorni di anticipo una previsione di un possibile stato d’allerta) nelle aree a maggior rischio alle nuove norme della contabilità ambientale. Tale programma sarà rilanciato tutti gli anni nel Climate Day, il 16 febbraio, anniversario della ratifica del protocollo di Kyoto, perché “sia sempre più alta l’attenzione all’impatto delle nostre attività sull’ambiente”. Le proposte della Cgil ci sono illustrate da Claudio Falasca, Coordinatore Dipartimento Ambiente e Territorio, Cgil Nazionale. La posizione di Confindustria è esposta da Giancarlo Coccia, Vice Direttore Area Impresa e Territorio di Confindustria. 17 nostop numero 56 1-10-2007 11:49 Pagina 18 Tempo presente Sviluppo sostenibile: se non ora, quando? di Claudio Falasca Coordinatore Dipartimento Ambiente e Territorio CGIL T E M P O P R E S E N T E L’ 18 effetto serra è un fenomeno che in condizioni naturali garantisce la vita sul pianeta impedendo la dispersione del calore nello spazio esterno (senza l’effetto serra la terra sarebbe più fredda di almeno 15 gradi centigradi) ma che, se esasperato con una maggiore concentrazione di gas serra in atmosfera, in particolare l’anidride carbonica (CO2), produce un progressivo surriscaldamento del pianeta. Per 650.000 anni la concentrazione di CO2 in atmosfera si è mantenuta tra 180 e 300ppm (parti per milione). Prima della rivoluzione industriale era 280. Ora è di 380 ppm, con una crescita tra il 1995 e il 2005 di 1,9 ppm/anno. La popolazione mondiale è oggi di oltre 6 miliardi (fine 2006) con una previsione di crescita fino a 9 miliardi nel 2050 (stima ONU). Questa crescita si accompagnerà, presumibilmente ad una più che proporzionale crescita dei consumi (si pensi, ad esempio, alla crescita esponenziale di autovetture in Cina). Crescerà conseguentemente la domanda energetica, che si stima fino al 100% entro il 2050 (+37% Europa). Negli ultimi anni, in Italia, c’è stata crescita dei consumi di energia anche quando il PIL era piatto. A fronte di questi dati, anche se c’è ancora chi avanza dei dubbi, i cambiamenti climatici sono ormai una realtà confermata tanto dalle più importanti istituzioni e agenzie scientifiche internazionali a partire dal Comitato d’esperti dell’ONU (IPCC), quanto ed ancor più evidentemente, dai fenomeni naturali che da alcuni anni interessano varie regioni del pianeta e che coinvolgono direttamente l’esperienza di comunità e di singoli cittadini. E, pur se tra limiti e ritardi, stiamo assistendo ad una progressiva crescita di sensibilità. È auspicabile che rispetto alle misure da assumere si creino le indispensabili convergenze della comunità internazionale. E’ questo, infatti, il livello decisivo. In assenza di un impegno serio di paesi come USA, Cina, India è difficile pensare di ottenere risultati significativi. Il rischio è che, in assenza di interventi, si realizzi lo scenario descritto nel Rapporto Stern, promosso dalla Gran Bretagna, che valuta fino al 20% del PIL mondiale l’impatto economico del cambiamento climatico. D’altra parte, come potrebbe essere diversamente se consideriamo che le conseguenze dei cambiamenti climatici comporteranno l’innalzamento della temperatura e del livello del mare, cambieranno i venti e le correnti marine, si scioglieranno i ghiacci, aumenteranno i fenomeni estremi con desertificazioni e alluvioni, le popolazioni più povere saranno costrette a ulteriori migrazioni e la godibilità di un non-inverno, come l’ultimo, sarà pagato pesantemente con crisi idriche in diverse regioni del pianeta. L’Unione Europea, che ha istituito una specifica Commissione coordinata da Guido Sacconi, sta compiendo significativi sforzi per porre il problema all’ordine del giorno dell’agenda internazionale. Si tratta, infatti, di riuscire a sviluppare un’azione concertata tanto globalmente quanto localmente. Sempre l’Unione Europea, a segnare con quale grande attenzione e preoccupazione segue questo enorme problema, nel marzo 2007 ha deciso che i paesi membri si debbano impegnare per realizzare entro il 2020 il 20% di risparmio energetico, il 20% di produzione energetica da fonti rinnovabili, il 20% di riduzione gas serra rispetto al 1990 (per l’Italia vuol dire meno 40%!). Per il nostro paese c’è da prevedere che gli effetti dei cambiamenti climatici riguarderanno, in particolare, l’agricoltura, l’industria, il turismo, i trasporti, il sistema sanitario, le risorse disponibili, gli insediamenti produttivi e urbani, le infrastrutture, l’uso dell’acqua, la mobilità. Cioè riguardano in via diretta il lavoro, l’occupazione e la sua qualità. Gli esempi possono essere innumerevoli, ci limitiamo a ricordare che le lavoratrici e i lavoratori sono i primi a pagare le conseguenze di produzioni inquinanti e di un lavoro di bassa qualità e a basso tenore di diritti. E’ a partire da questo insieme di problemi e loro possibili conseguenze, che il Sindacato si sente fortemente chiamato in causa. La CGIL fin d’ora rivendica il diritto-dovere di essere protagonista, assieme alle altre confederazioni, delle decisioni politiche che dovranno essere assunte a livello internazionale, nazionale e locale, in merito in particolare alle conseguenze dei cambiamenti climatici dal punto di vista del lavoro al fine di definire i necessari adeguamenti di carattere sociale, legislativo e contrattuale, Già dalla prossima Legge Finanziaria, come già previsto nel DPEF, riteniamo che il Governo debba assumere significative decisioni. Dobbiamo essere coscienti, infatti, che volenti o nolenti, contrastare il cambiamento climatico comporterà l’impegno di ingenti risorse in politiche di risanamento, precauzione e adattamento. Questo è necessario al fine di evitare in futuro ben più pesanti oneri per il nostro sistema economico, sociale ed ambientale. Sarebbe veramente grave se, anche su questo argomento, si dovesse scatenare una polemica. Non bisogna mettere in contrapposizione il bisogno di continuare nel risanamento economico e le ragioni di adattamento e precauzione per contrastare i cambiamenti climatici. Occorre invece una manovra finanziaria che coniughi lo storico connubio risanamento/sviluppo, aggiungendo non come appendice la questione ambientale che, per la CGIL, è un’emergenza divenuta programmatica e non occasionale. Un segno particolarmente significativo in questa direzione potrebbe derivare dalla esclusione dal Patto di Stabilità Europeo dei finanziamenti per contrastare il cambiamento climatico. nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 19 Tempo presente Assumere con convinzione questo indirizzo significa che, a fronte della limitatezza delle risorse disponibili, si deve compiere il massimo dello sforzo per qualificare la spesa delle risorse ordinarie indirizzandola verso obiettivi di sostenibilità. E’ da questo impegno prioritario che può derivare la garanzia di uno sviluppo capace di futuro. E’ per questa ragione che la Confederazione ha condiviso la promozione della conferenza governativa sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Roma a metà Settembre. E’ in rapporto a questa scadenza che la CGIL, nella conferenza del 12 Luglio 2007 su “Cambiamenti climatici e lavoro: le proposte del sindacato”, ha ritenuto necessario indicare alcune priorità, di particolare interesse sindacale, cui dedicare la necessaria attenzione. Le indicazioni della CGIL si inseriscono tutte nelle due strategie individuate dal Comitato di esperti dell’ONU: la strategia di mitigazione dei cambiamenti climatici; la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici. In questo quadro le proposte si sforzano tutte di rendere centrale la dimensione del lavoro: dalle politiche di settore virtuose ed integrate, alla qualificazione della spesa; dalla lotta contro gli sprechi collettivi ed individuali, all’impegno nella innovazione, ricerca e trasferimento tecnologico; dalla corretta informazione, alla negoziazione della qualità; dalla qualificazione del lavoro, al sostegno al reddito dei lavoratori per cause ambientali. Questo a significare che la lotta ai cambiamenti climatici deve prevedere non solo l’uso intelligente delle risorse disponibili, ma anche sedi e strumenti dedicati poiché non può essere affidata solo alle periodiche conferenze, ai gruppi di lavoro, alla sensibilità dei singoli decisori, all’impegno del Ministro o dell’Assessore di turno. Tanto meno può poggiarsi sul personale precario come avviene attualmente. Le misure di contrasto ai cambiamenti climatici, secondo la Confederazione e come indicato nella risoluzione del Parlamento Europeo e nell’importante documento elaborato dalla Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, devono investire integralmente l’insieme delle politiche e quindi la responsabilità d’ogni singolo decisore nell’ambito di un indirizzo condiviso e vincolante, maturato con un forte coinvolgimento dei protagonisti economici e sociali, sulla base del principio di precauzione e della responsabilità comune, ma differenziata. Assumere quest’impostazione significa che il contrasto ai cambiamenti climatici deve essere anche l’occasione per costruire quella strumentazione e quella cultura indispensabile a governare nel tempo le politiche per la sostenibilità. Per rendere chiaro cosa s’intende può essere d’aiuto pensare a quel processo che nell’800 e nel ‘900 rese possibile ideare quegli istituti indispensabili per rendere esigibili i diritti dello stato sociale ed in cui il movimento dei lavoratori ed i loro sindacati svolsero un ruolo da protagonisti. Oggi la sfida è più alta e complessa, si tratta di ideare e promuovere gli istituti per rendere esigibile e governabile la sostenibilità dello sviluppo. Il disegno di legge sulla contabilità ed il bilancio ambientale, appena approvato dal Consiglio dei Ministri, è un importante passo in questa direzione. Di converso, la conferenza nazionale che si è appena conclusa, se per alcuni aspetti fa registrare un bilancio positivo, da questo punto di vista mi sembra di poter dire che c’è ancora molto da lavorare se teniamo conto che è stata pressoché assente la voce di regioni ed enti locali. In questo difficile compito, comunque, il Paese può contare sull’impegno del sindacato. L’Italia ha bisogno di un serio piano nazionale di risparmio energetico di Giancarlo Coccia Vice Direttore Area Impresa e Territorio Confindustria I gas serra non conoscono confini e per contrastarne l’accumulo può essere efficace solo un’azione di carattere transnazionale. E questa azione non può che essere avviata dai governi per raggiungere poi tutti gli individui. La storia di questi anni ci ha insegnato, però, quanto sia difficile in questo campo attivare azioni condivise anche a livello dei governi. Dal momento in cui è stato ideato il Protocollo di Kyoto ad oggi la situazione è mutata in modo sostanziale e con una rapidità che forse nessuno di noi avrebbe immaginato. Abbiamo nuove aree del pianeta che stanno diventando le principali fonti di emissione di gas serra e sono estranee a qualunque tipo di vincolo dettato dal Protocollo di Kyoto e altre aree che, essendo già grandi emettitrici di CO2, non sembrano comunque porsi il problema di un cambiamento del proprio modo di essere per affrontare la questione dei cambiamenti climatici. E, viste le intenzioni di tutti questi Paesi, la situazione non sembra destinata a migliorare. A questo punto, si pone una prima considerazione: quale può essere il ruolo dell’Europa? L’Europa, in questi anni, ha deciso di procedere unilateralmente all’attuazione del Protocollo di Kyoto e ha già ragionando sul Post Kyoto, vale a dire sugli impegni successivi al 2012 che dovranno essere presi per contrastare il cambiamento climatico. E’ positivo che l’Europa voglia giocare un ruolo di leader in questa partita che, se ben giocata, può anche rappresentare una prospettiva positiva per l’economia e per le imprese, oltre che un miglioramento della qualità della vita di tutti i cittadini. Il principale obiettivo, però, cui dovrebbe mirare l’Europa per combattere efficacemente i cambiamenti climatici è quello di condividere politiche e misure che possano coinvolgere realmen- 19 nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 20 T E M P O P R E S E N T E Tempo presente 20 te ed efficacemente tutti i Paesi: innanzi tutto quelli industrializzati, ma anche quelli caratterizzati da una rapida industrializzazione che stanno diventando la principale origine delle emissioni. Questo coinvolgimento, però, non può più seguire gli schemi stabiliti anni fa con il Protocollo di Kyoto. La comunità internazionale e l’Europa in primo luogo dovranno studiare nuove politiche e creare nuovi strumenti che possano garantire una partecipazione attiva di tutti i Paesi. E l’Italia in questo contesto rischia di fare una gran brutta figura. La sfida per contrastare i cambiamenti climatici, infatti, deve essere vissuta dall’intero Paese e non può essere lasciata in carico solo al settore industriale, come invece sta avvenendo nel nostro Paese. Obiettivi vincolanti sono stati stabiliti solo per il settore industriale. Le imprese italiane che già sopportano un costo dell’energia superiore del 30% rispetto a quello di altri Paesi europei, hanno effettuato, soprattutto negli ultimi 15 anni, importanti investimenti per ridurre le proprie emissioni ed aumentare l’efficienza energetica, sia attraverso programmi di innovazione tecnologica ed impiantistica, sia ricorrendo maggiormente a combustibili meno inquinanti. Queste imprese applicano, già oggi, le migliori tecniche disponibili riconosciute a livello europeo, collocandosi quindi ai massimi livelli in termini di rendimento energetico e livelli di emissione. In particolare, il settore termoelettrico è impegnato, ormai da alcuni anni, in un importante piano di investimenti volto a migliorarne l’efficienza, che si inserisce in un contesto nazionale caratterizzato dalla costante crescita di domanda di energia elettrica, sia nel settore industriale che privato. Il contemporaneo spostamento complessivo verso combustibili e fonti a minore impatto climalterante ha indotto una riduzione di oltre il 18% delle emissioni unitarie medie. Analogamente, già da diversi anni, i settori caratterizzati da emissioni di processo (acciaio, calce, cemento, laterizi) si sono posti come obiettivo strategico il miglioramento dell’efficienza energetica, soprattutto a causa dell’elevato costo dell’energia. Essi hanno pertanto attuato ambiziosi investimenti che hanno consentito loro un incremento della propria efficienza termica ed energetica quantificabile fino al 20% rispetto ai valori del 1990. Infine, altri settori, come la carta o le raffinerie, caratterizzati da emissioni dovute a processi di combustione, hanno realizzato investimenti volti soprattutto ad introdurre, nelle sedi di produzione, impianti e tecnologie di autoproduzione di energia elettrica, ad esempio attraverso un ampio ricorso alla cogenerazione ad alta efficienza oppure, nel caso specifico del settore petrolifero, utilizzando combustibili autoprodotti. Bisognerà, quindi, affiancare, alle misure prese per l’industria, altre azioni e strumenti che contribuiscano alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra provenienti dagli altri comparti economici e sociali. In particolare, due sono le macroaree su cui si dovrebbe intervenire prioritariamente: da un lato il settore civile e residenziale, dall’altro i trasporti. Questi due comparti sono responsabili di più del 60% delle emissioni di CO2 dell’Italia. La promozione di un serio Piano nazionale di efficienza energetica rappresenta, quindi, una delle priorità per trasformare la lotta ai cambiamenti climatici in una sfida vissuta da tutto il Paese. In caso contrario, non solo non otterremmo i risultati attesi sul versante della riduzione delle emissioni di CO2, ma andremmo a penalizzare ulteriormente la nostra struttura produttiva, già pesantemente impegnata nel raggiungimento di stringenti obiettivi di riduzione delle proprie emissioni. Attraverso un concreto obiettivo di risparmio energetico l’Italia potrà trarre importanti benefici in termini di minor dipendenza energetica, tutela ambientale e stimolo all’innovazione. Ecco perché in Confindustria è stata costituita una Task Force ad hoc sull’efficienza energetica coinvolgendo tutte le associazioni e strutture del sistema e, nello scorso mese di luglio, abbiamo pubblicato il documento finale che riporta le proposte del settore industriale italiano per il Piano Nazionale di efficienza energetica. Proposte che riguardano non solo il settore industriale ma anche comparti quali terziario, residenziale, infrastrutture/trasporti. Solo per fare alcuni esempi: ■ nel settore della climatizzazione si può ottenere una riduzione del consumo di energia tra il 30 e il 50% rispetto agli impianti tradizionali; ■ nel campo della coibentazione si possono ridurre le emissioni di CO2 di circa 20 Mtonn/anno; ■ per quanto riguarda gli elettrodomestici, con le indicazioni fornite dalle Proposte di Confindustria, si può ottenere, da qui al 2015, un risparmio di 30 Mtep equivalenti a circa 68 Mtonn di CO2; ■ sul versante dell’illuminazione si possono ridurre del 38% i consumi elettrici; ■ favorendo l’adozione di motori elettrici ad alta efficienza ed inverters il risparmio può arrivare a circa 20 TWh/anno (7% dei totali consumi elettrici italiani). Affinché questi risultati possano essere raggiunti occorre, però, che le politiche di incentivazione siano improntate a logiche di lungo periodo in grado di orientare gli investitori costituendo un contesto stabile e affidabile e non siano, invece, sottoposte a continua contrattazione per ottenere un risultato di mercato predeterminato. La prossima Finanziaria sarà un decisivo banco di prova per capire se la sfida del miglioramento dell’efficienza energetica sta diventando una sfida dell’intero paese o se, sul versante della lotta ai cambiamenti climatici, in Italia il settore industriale continuerà ad essere il solo impegnato nel raggiungimento di specifici obiettivi. Urgenza, poi, riveste anche la necessità di potenziare le infrastrutture energetiche del Paese, troppo spesso ostaggio di veti e rinvii. Occorrono nuovi impianti, a cominciare dai rigassificatori. Le imprese sono pronte con programmi di investimento importanti: devono essere messe in condizione di poterli realizzare in tempi comparabili con quelli degli altri paesi. E’ in gioco non solo una maggiore competitività del Sistema Italia, ma un importante interesse generale come la sicurezza energetica del Paese. nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 21 Tempo presente Trasporti in Friuli Venezia Giulia Un laboratorio per il trasporto integrato di Silvano Talotti, Segretario Generale Filt-Cgil Friuli Venezia Giulia Il Friuli Venezia Giulia, dal 1963 regione con statuto di autonomia speciale per la sua particolare collocazione geopolitica, ha una superficie inferiore a 8 mila chilometri quadrati con una popolazione di un milione e 200 mila abitanti. Pur essendo una piccola entità, con l’allargamento dell’Unione ha assunto un’importanza strategica essendo luogo di incontro con i paesi neocomunitari, nonché punto centrale nelle correnti di traffico tra ovest ed est e tra il bacino del mediterraneo (e il far east) e nord Europa, ed è fornito di un importante sistema di infrastrutture di trasporto. Le infrastrutture Tre porti, tra cui quello di Trieste con fondali naturali di 17 metri, in grado di ricevere le nuove superportacontainer da oltre 10 mila teu, che un’intesa tra Regione e parti sociali vuol riunificare in un Distretto Portuale, mutuando il modello dei distretti industriali, propedeutico ad uno più ampio che racchiuda tutto l’Altoadriatico, da Ravenna a Fiume. Quattro autoporti doganali, riconvertiti in interporti con la caduta del confine, ed un aeroporto, abilitato ad accogliere qualsiasi tipo di velivolo, collocato nei pressi dell’autostrada A4 e della ferrovia, futuro snodo del Corridoio 5. La rete autostradale, lunga 240 chilometri, unisce alla Slovenia ed all’Austria il resto dell’Italia, attraverso la famigerata Tangenziale di Mestre, imbuto che entro il 2009 dovrebbe essere eliminato con il Passante, essendo finalmente iniziati i lavori. L’infrastruttura ferroviaria, gestita da RFI, ha un’estensione di 442 Km (314 a doppio binario e 347 elettrificati). È in esercizio da pochi anni la nuova linea di montagna Pontebbana ad alta velocità (200 Km/h) tra Udine ed il confine di stato italoaustriaco. Esiste, con annesso interporto, lo scalo smistamento carri di Cervignano, uno dei 5 esistenti in Italia. Sembrerebbe una situazione idilliaca, in realtà esistono molti problemi, a cominciare dalla necessità di mettere in rete queste infrastrutture, farne un sistema che costituisca un’unica piattaforma logistica integrata. Il Corridoio 5 Una riflessione a parte merita il Corridoio 5, per il cui com- 21 nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 22 Tempo presente T E M P O P R E S E N T E pletamento serve la terza corsia sull’A4, i cui lavori sono stati sbloccati in questi giorni con un accordo Prodi-Illy, e soprattutto l’infrastruttura ferroviaria AV/AC. Paradossalmente, è quest’ultima l’opera sulla quale gli ambientalisti stanno manifestando la loro opposizione, sia pure con minor seguito rispetto a quanto accaduto in Val di Susa. La tratta del Corridoio 5 in regione è divisa in due lotti: quello dall’aeroporto a Trieste, e quello dall’Isonzo al Tagliamento. Nel primo caso, la soluzione è un tracciato di oltre 30 Km in galleria, condiviso dalle amministrazioni comunali dopo modifiche di progetto accolte anche dalla Commissione nazionale di VIA. Si sta percorrendo la stessa esperienza nella Bassa friulana, con ben quindici alternative di progetto: entro l’anno sarà pronta una soluzione condivisa. Determinante è stato il processo democratico seguito, con confronti/scontri anche aspri con le popolazioni interessate. La FILT ha sempre fornito un contributo di idee e di iniziative per la realizzazione delle infrastrutture ed anche nell’innovazione dei modelli gestionali. 22 Il decentramento amministrativo È il caso del modo, originale, con cui si sta realizzando la “regionalizzazione” delle strade statali (costituzione di una società mista Regione FVG ed ANAS) e la riforma del trasporto pubblico. Al contrario di quanto accaduto nel resto del paese, ove il D.Lgs. 422/97 non ha trovato reale attuazione, in virtù della sua specialità in Friuli Venezia Giulia è stato possibile anticipare e realizzare la riforma del TPL con la Legge regionale 7 maggio 1997, n.20. Con quella legge dal 1 gennaio 2001 le concessioni dei servizi sono state affidate tramite gara e contratto di servizio a quattro società (in precedenza erano 13), una per ogni unità provinciale di gestione, concessioni che scadranno il 31 dicembre 2010. A dieci anni dalla promulgazione di tale norma, si preannuncia un’altra trasformazione profonda che riguarda tutto il sistema del trasporto delle persone, che potrà rappresentare, se non un modello, un punto di riferimento per il resto del paese. Infatti, pervenuto a definizione il quadro normativo con il D.Lgs. 111/04 (che, in attuazione del decentramento amministrativo avviato dalla Bassanini, prevede il trasferimento delle funzioni in materia di viabilità, trasporto ferroviario e motorizzazione civile alla Regione) e definite le risorse con l’approvazione della finanziaria 2007, la Giunta ha elaborato un disegno di legge regionale per recepire tale decreto, che il Consiglio ha tradotto nella Legge Regionale 20 agosto 2007, n.23. La riforma del Trasporto Pubblico Regionale e Locale È importante evidenziare il ruolo fondamentale avuto al tavolo di concertazione dalla FILT, che ha avanzato proposte per costituire un sistema integrato di mobilità ferro - gomma – mare. Tali proposte hanno modificato profondamente ed integrato il testo originario del disegno di legge, e sono state in gran parte accolte ed inserite nella norma approvata in aula. L’Assessore regionale ai trasporti Lodovico Sonego ha avviato un tavolo di concertazione all’inizio del 2005, solamente dopo nostre numerose sollecitazioni, a quasi due anni dal suo insediamento. Dopo pochi sporadici e sterili incontri, solo all’inizio di giugno di quest’anno ci è stato presentato il testo del disegno di legge di recepimento del D.Lgs. 111/04. Per questo motivo, insieme agli altri sindacati, abbiamo criticato l’assenza di una vera concertazione. Tuttavia, come in ogni confronto, anche in questo caso si è arrivati alla stretta finale, dove si è svolta una concertazione vera, e ciò proprio mentre CISL e UIL hanno deciso di disertare il tavolo e dare vita ad un tardivo quanto sterile conflitto. Vediamo allora quali sono i risultati prodotti dalla concerta- zione, quelli ottenuti nell’ultimo mese dalla sola FILT, congiuntamente alla confederazione. Avevamo proposto che in un periodo transitorio, sino a fine 2010, andasse stipulato un contratto di servizio con l’attuale gestore del trasporto regionale ferroviario. Al contrario, l’intenzione dell’amministrazione regionale era quella di accelerare i tempi della gara, ma in seguito ha deciso di assegnare il servizio, come noi avevamo proposto, con affido diretto a Trenitalia per una fase di transizione di tre anni, a partire dal prossimo gennaio, previo accordo sul costo dei servizi. Sul tema dell’organizzazione del sistema della mobilità in Friuli Venezia Giulia, la Regione aveva costantemente e tenacemente dichiarato di voler tenere un’unica gara regionale per l’assegnazione di tutto il trasporto pubblico, sia su ferro che su gomma e mare, ad un unico soggetto gestore, che avrebbe dovuto trasformarsi in una società per azioni. Prendendo atto della determinazione della Giunta, insieme alla confederazione abbiamo a questo punto deciso di raccogliere la sfida. Non condividevamo, però, la soluzione avanzata, il fatto che il soggetto gestore avrebbe dovuto essere un’unica SpA, perché si trattava di gestire un servizio complesso, integrato. Inoltre, in tal modo si sarebbe rischiato di esporre a colonizzazione il nostro territorio, consegnando il servizio ad una multinazionale estera, in grado per le sue dimensioni di vincere una gara, da 250 milioni di euro annui, che richiederà ingenti investimenti iniziali. L’obbligo di trasformazione in SpA ci sembrava una turbativa del mercato, poiché avrebbe impedito possibili alleanze fra gli attuali soggetti gestori del trasporto su gomma e di quello su ferro. Infatti, per Trenitalia non è possibile la cessione di rami di azienda, in altri termini la frammentazione della sua divisione Trasporto regionale in tante società quante sono le regioni del nostro paese. Pertanto, risultava impossibile per quella impresa la partecipazione ad una SpA locale. Noi propendevamo per una soluzione che riuscisse a coniugare diverse esigenze: migliorare il servizio offerto alla comunità, salvaguardare la proprietà pubblica dei gestori, tutelare l’occupazione e le condizioni del lavoro. nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 23 Tempo presente Per raggiungere questo scopo, siamo stati più determinati ed ostinati dell’assessore: sin dall’inizio del confronto abbiamo evidenziato alla Regione che, se desiderava un unico interlocutore per la gestione dei servizi, non necessariamente esso doveva essere un’unica impresa di capitali. Ciò si sarebbe potuto ottenere attraverso un’ATI (Associazione Temporanea di Imprese) o un Consorzio o una Società consortile, attraverso cioè un soggetto con natura giuridica tale da consentire a diverse imprese di allearsi, pur mantenendo la propria autonomia societaria. È una soluzione che anche il Governo Prodi ha avanzato in questi giorni al tavolo tecnico sul TPL. Questa proposta rende possibile un’alleanza fra le quattro società attualmente esercenti il Trasporto Pubblico Locale con Trenitalia. Il gruppo che potrebbe costituirsi sarebbe in grado di competere con le multinazionali estere, oltre che con le maggiori società nazionali. In caso di aggiudicazione della gara gran parte degli utili (che per il solo sistema regionale del TPL attualmente supera i 10 milioni di euro, con un corrispettivo della regione di 111 milioni), anziché remunerare il capitale di azionisti stranieri, resterebbero in regione. Per la quota parte di proprietà dei comuni e delle province, andrebbero a beneficio delle comu- sul turn over nel corso della durata della concessione. Il pericolo di esuberi ci pare inconsistente a maggior ragione dopo che l’Assessore ci ha assicurato che nelle previsioni dell’amministrazione c’è un sia pur lieve incremento dei servizi del trasporto regionale ferroviario, nonché di quello su gomma in alcune aree territoriali con servizi attualmente insufficienti. È passata la nostra richiesta di inserire nella norma una clausola sociale a tutela dei lavoratori, tutela che non c’era nella Legge regionale 20 del 1997. La norma prescrive che l’affidatario è tenuto ad applicare, per ciascuna tipologia di attività del comparto dei trasporti svolta nell’ambito del contratto di servizio, il rispettivo CCNL. Il personale manterrà tutti i diritti acquisiti tramite la contrattazione collettiva nazionale di lavoro, la contrattazione integrativa aziendale e in generale per ciò che attiene la retribuzione, l’anzianità ed il profilo professionale. È prevista la decadenza della concessione in caso di gravi irregolarità sulla tutela giuridica, normativa e contrattuale dei lavoratori dipendenti. Nel caso di subaffido di servizi, sono state accolte parzialmente le nostre richieste. Innanzitutto, la possibilità di subappaltare allo scopo di migliorare la qualità dei servizi di trasporto pubblico, non per un mero risparmio economico. Sono state poi introdotte importanti tutele per i lavoratori, in quanto manterranno i diritti acquisiti tramite la contrattazione collettiva nazionale di lavoro, la contrattazione integrativa aziendale e in generale tutto quanto attiene la retribuzione, l’anzianità ed il profilo professionale. Al termine del subaffido, rientrano alle dipendenze dell’affidatario. Chiedevamo fosse introdotto un limite massimo a quei servizi che l’affidatario può subappaltare, che devono essere solo marginali. Ciò sarà recepito nel bando di gara, ove sarà anche introdotto un meccanismo premiante per il futuro gestore, anche per prorogare la scadenza dei 9 anni della concessione, nel caso di una sua collaborazione alla modifica dei servizi che produca incremento di utenza. Infine, la legge introduce un’importante novità quando stabilisce riduzioni di corrispettivo conseguenti a riduzioni nel programma di esercizio, fra i quali evidenziamo minori servizi per scioperi del personale aziendale. Potrebbe essere un modello nazionale, un contributo verso la definizione dello sciopero solidale. Con la sua iniziativa la FILT ha cooperato alla stesura di un quadro legislativo che regolerà le prossime tappe della riforma che questa Giunta, con la collaborazione delle parti sociali, vuole attuare prima delle elezioni del maggio 2008: il cronoprogramma prevede l’approvazione del Piano regionale del trasporto pubblico regionale e locale entro la fine di novembre ed il bando di gara entro marzo. A questo punto resterà solo un lavoro “notarile”. La riforma è fatta e sarà operativa dal 1 gennaio 2011. nità locali. Questo beneficio si sommerebbe a quello derivante dall’obbligo di stabilire la sede legale in regione. La soluzione avanzata dalla FILT è stata recepita in una legge, che prevede l’individuazione nel bando di gara della natura giuridica che l’affidatario dovrà assumere per tutta la durata dell’affidamento, in caso di partecipazione in ATI. Non comprendiamo perciò le motivazioni dell’opposizione di alcuni sindacati ad un gestore unico di questa natura. In questo caso è difficile si possano determinare esuberi di personale, poiché si potrà procedere ad un efficientamento delle imprese tramite economie di scala ed agendo in modo indolore 23 nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 24 In linea Lavori in corso per la nuova Provincia di Massimo Stanzione, Segretario Generale Comprensorio Filt Brianza I N L I N E A QUI COMPRENSORIO BRIANZA 24 Nel novembre del 2004, in un articolo sul Comprensorio Brianza, dichiaravo che aveva inizio una bella favola basata sulla solida volontà di costruire, attraverso progetti realizzati, un’esperienza proficua per i lavoratori del comprensorio e per il sindacato. Alla fine dell’articolo mi auguravo di aver scritto solo il primo capitolo di una storia avvincente da condividere con tutta l’organizzazione. Oggi proverò a scrivere il secondo capitolo di quella storia, cercando di dare spazio alla progettualità e tenendo conto del momento storico che la città di Monza sta per vivere. Nel 2009, Monza e Brianza concluderà il suo iter burocratico per diventare Provincia con l’elezione del suo Consiglio Provinciale e del suo Presidente. La Filt, in questo Comprensorio, ha registrato un aumento degli iscritti pari al 160%, da 425 iscritti nel 2004 a 683 nel secondo trimestre del 2007. Voglio precisare che, mentre rimane invariato il numero d’iscritti del settore ferroviario e del trasporto pubblico, aumenta in modo esponenziale il numero d’iscritti del settore merci e cooperazione; è un dato che deve far riflettere, rispetto alle potenzialità del territorio e ai progetti di sindacalizzazione che non sono ancora arrivati a compimento. Dal 2004 ad oggi, molti eventi politici e sociali hanno interessato la vita sindacale del comprensorio come: ■ il VII° Congresso della FILT-Brianza e il XV° Congresso della CGIL; ■ il Centenario della Confederazione Generale del Lavoro; ■ la campagna per la scelta della destinazione del TFR. Sono tutti eventi che hanno dato la possibilità alla categoria di effettuare, con nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 25 In linea duro impegno della segreteria, stagioni di assemblee anche in aziende dove il sindacato di categoria non aveva mai dato il suo apporto. Mentre scrivo questo articolo, si sta concludendo il Gran Premio d’Italia di Formula Uno a Monza, evento sportivo di un fascino notevole perché richiama migliaia di spettatori che alimentano notevolmente l’indotto commerciale di Monza, ma è di tutta evidenza la poca attenzione che si è avuta in passato sul tema dei trasporti in Brianza. Dal punto di vista della mobilità e del traffico l’area a nord di Milano, dove è inserita la Brianza, rappresenta una realtà complessa che pone problemi di non facile soluzione. Essa è una zona densa di insediamenti abitativi e industriali con una forte domanda di mobilità, con l’aggravante che le problematiche ambientali rendono difficile l’insediamento di nuove infrastrutture. Ricordo che la Brianza si trova al centro di una rete di collegamenti nazionali e internazionali, oltre che integrata in un sistema regionale e metropolitano. Alla luce di quanto detto, possiamo commentare positivamente le priorità evidenziate all’interno del documento di confronto tra Regione Lombardia e Ministro delle Infrastrutture per la nuova Provincia di Monza e della Brianza, perché si tratta di opere infrastrutturali e interventi sul trasporto pubblico di vitale importanza. Vediamoli in dettaglio. ■ ■ ■ a) b) c) d) e) Completamento tangenziale nord Milano 3^ Corsia Milano-Meda Interventi sulla Viabilità Ordinaria: Riqualificazione di Viale Lombardia ovvero Monza – Cinisello per eliminare il “tappo” fra Monza e Milano; La Variante SP 118 a est di Barlassina; La Variante di Muggiò e Nova alla SP 131; La Variante alla SP6 per il collegamento del Centro e) Ospedaliero di Monza; La Variante sud di Vimercate alla SP2. ■ Interventi relativi al Trasporto Pubblico: a) nuova Linea Seregno – Bergamo; b) progetto definitivo della Linea Ferroviaria SaronnoSeregno; c) ammodernamento della Ferrovia Nord Milano- Meda; d) riqualificazione della Linea Monza-Molteno-Oggiono; e) prolungamento della linea M1 da Sesto San Giovanni in direzione di Monza; f) metrotranvia Milano-Desio-Seregno; g) prolungamento della linea metropolitana M5 in direzione di Monza. E’ evidente che la realizzazione degli interventi elencati avrebbe l’effetto di: ● ridurre la congestione del traffico ● evitare di perdere le connessioni con i collegamenti internazionali ● creare l’opportunità di migliorare il sistema dei trasporti locale e regionale. La convinzione che nel prossimo futuro saremo attori dell’avvio dei progetti elencati è forte, ma nell’immediato qualche proposta ci sentiamo di metterla in campo affinché il cittadino che poi è anche utente e lavoratore della Brianza, sia meno stressato e più contento della nuova Provincia. Oggi tutti i sondaggi riportano un basso utilizzo dei mezzi pubblici da parte dei cittadini perché il servizio non è idoneo. I motivi della inidoneità sono noti: la pulizia dei mezzi, la puntualità e l’efficienza. Oltre ad affrontare e risolvere questi problemi, un’attenzione particolare deve essere riservata, nell’immediato futuro, a interventi mirati per incentivare l’utilizzo dei mezzi pubblici al posto dell’auto: ● sincronizzare l’interscambio gomma – ferro; ● servire con pulman i territori senza rete ferroviaria con corse più frequenti negli orari di pendolarismo per lavoro e scuola; ● attrezzare e rendere economicamente accessibili le aree d’interscambio auto-ferrovie; ● cercare almeno per la Brianza (nuova Provincia) l’istituzione del biglietto unico. Il realizzo di questi obiettivi darebbe l’immagine di una provincia che guarda con attenzione ai problemi della mobilità, offrendo al cittadino un servizio ottimo ed esente da critiche, realizzando una sostanziale riduzione del traffico sulle reti stradali e, cosa non trascurabile, anche una notevole diminuzione di smog. Infine, sempre per migliorare la mobilità e favorire lo sviluppo produttivo, sarebbe opportuno che la classe politica regionale e provinciale ricercassero nel territorio Brianteo un’area logisticamente funzionale per costruire un interporto per tutte le opportunità che offre, come la riduzione delle lunghe code di autotreni sulla rete stradale esistente e una riduzione dei costi di trasporto per le aziende. Una nota per concludere: una parte della nuova Provincia (rimane esclusa Vimercate sud) sarà interessata a novembre, a seguito dell’aggiudicamento della gara del lotto 2 “Area Nord”, dalla nuova gestione del trasporto pubblico locale su gomma. Si tratta di una vera rivoluzione per il territorio. Il lotto è stato aggiudicato ad un’associazione temporanea d’impresa composta dal TPM, dal CTNM e da AGI s.p.a.. Un’ATI destinata presto a trasformarsi in società consortile a tutti gli effetti, o in una S.p.A. (quello che spero) per meglio interfacciarsi con gli enti pubblici. C’è da augurarsi che l’utenza della nuova Provincia possa usufruire di un servizio dignitoso ed efficiente. 25 nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 26 In linea Impediamo che il sistema aeroportuale di Milano diventi campo di un esperimento giocato su troppi tavoli e non tenga conto dei lavoratori e delle persone. Allo stesso tempo, evitiamo che i mancati ricavi trascinino Sea ed altre imprese in un dissesto economico difficilmente sostenibile. I N L I N E A Malpensa tra crisie sviluppo 26 Se nelle prossime settimane le decisioni del C.d.A. di Alitalia, e quindi del governo, saranno confermate, la funzione di Malpensa sarà radicalmente modificata. Non solo nei livelli quantitativi di traffico, che potranno forse essere recuperati nell’arco degli anni, ma anche nel suo ruolo per il trasporto aereo nazionale e internazionale. Si rischia la fine dell’hub e la sua trasformazione in un aeroporto a prevalente traffico low cost. Gli elementi sono ormai noti. Alitalia di Nino Cortorillo, Segretario Generale Filt-Cgil Lombardia individua, nella sua presenza in Malpensa e nei voli intercontinentali che effettua, la causa fondamentale della sua crisi o almeno l’unica o la principale su cui agire nel breve periodo per programmare una riduzione del suo debito. Questo, si sostiene, per evitare il definitivo fallimento della Compagnia e quindi per non pregiudicare definitivamente l’ultima occasione di vendita della quota azionaria, circa il 49%, posseduta dallo stato, attraverso il Ministero del Tesoro e che dovrebbe realizzarsi, dopo l’esito negativo dell’asta, entro la fine dell’anno. Il taglio di pressoché tutti i voli intercontinentali, cancellati o spostati a Fiumicino, e di quasi tutti i voli nazionali, 150 movimenti (ovvero 75 voli di andata e ritorno), pari a circa 6/7 milioni di passeggeri anno, sarebbe parzialmente compensato da un incremento, al momento imprecisato, di voli low cost e charter, tramite il gruppo Volare, e voli cargo. Questa decisione ha avuto il consenso pressoché unanime, ancorché non sempre esplicito, del Governo, dei partiti del centro sinistra, dal centro ai radicali, di quelli di centro destra, dei sindacati confederali ed autonomi nazionali. Tanto che le sole voci contrarie, spesso dissonanti tra loro, sono localizzate in Lombardia e nel nord del paese. L’incapacità, in questi giorni, da parte di Regione Lombardia, Comune e Provincia di Milano e Provincia di Varese di chiedere un incontro congiunto al governo ed Alitalia, ma di andare in ordine sparso a riunioni con richieste ed esiti diversi, aggiunge un ulteriore segnale negativo. Abbiamo sempre sottolineato gli errori ed i ritardi di chi ha gestito Sea in questi anni, di chi doveva preoccuparsi delle infrastrutture di collegamento, come il Comune di Milano e la Regione Lombardia; abbiamo contrastato una campagna contro l’hub che ha avvelenato le ragioni di chi, come noi, si è sempre battuto per unire sviluppo, ambiente e buona occupazione. Malpensa aveva ed ha nemici non solo al centro, ma anche tra coloro che oggi si ergono a sua difesa e che risiedono in questa regione. Sembra quasi che Malpensa e le scelte che si sono prese, o non prese, i comportamenti che si sono tenuti, da parte di istituzioni, politica, sindacati, imprese, media, siano un paradigma dell’Italia. Un esempio negativo di come il Paese sia stato capace di sprecare investimenti e credibilità inter- nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 27 In linea nazionale, dilaniandosi in dispute infinite e in analisi settarie, difendendo interessi localistici, dimostrandosi incapace di fare sistema e di ragionare per obiettivi comuni. L’opposto di quanto avviene in tanti altri paesi europei e che appare nel nostro una normalità irrealizzabile. Dove, infatti, è accaduto che la nascita di un’infrastruttura di queste dimensioni, forse l’unica nata negli anni ’90 in Italia, abbia attirato per quasi 15 anni un fronte di oppositori così vasto e tante menzogne così evidenti? La più grande è quella che fa derivare la crisi di Alitalia proprio dalla nascita di questo aeroporto, cosa che fa evidentemente risultare sbagliate le tante scelte strategiche, sia industriali sia di mercato, realizzate in questo decennio. Alitalia andava sottratta ad una presenza della politica e di un management troppo condizionato o attraverso un’alleanza organica con un’altra compagnia europea o attraverso una presenza di capitale privato. Alitalia, per essere la compagnia che assolveva il compito d‘essere il baricentro del trasporto aereo nazionale, doveva riposizionarsi proprio nell’area del paese dove la competizione diventava più evidente: il nord. Se a dieci anni dall’avvio di Malpensa e nonostante accordi ed impegni ripetuti, centinaia di dipendenti, dai piloti, agli assistenti di volo, ai tecnici, continuano a operare in missione o trasferendosi via aereo, con enormi costi economici e produttivi, si ha il quadro di quanto tutti abbiano creduto in quella scelta. Così come l’assetto del sistema aeroportuale di Milano e del nord non è frutto del caso, ma di scelte operate ad ogni livello, da quello europeo a quello nazionale. Eppure, anche il numero elevato di aeroporti nel nord, tenendo però conto di quelli che superano una soglia di traffico, ha trovato nelle nuove compagnie, tra cui quelle low cost, una capacità di dare risposte alla nuova domanda dell’utenza. Così, sbagliando, si sostiene che il trasporto aereo è in crisi. Mentre lo è Alitalia. Il costruire risposte ad una crisi di sistema non vera ha, però, fatto compiere, anche alle nostre analisi, errori che ci hanno portato ad individuare o condividere soluzioni di emergenza che quasi sempre hanno avuto come sbocco un aumento di capitale e un’uscita incentivata di personale. Oltre a soluzioni di grande novità, quali l’ingresso temporaneo nel C.d.A. dell’allora Segretario Generale della Filt o della assegnazione gratuita di azioni ai dipendenti al posto di un aumento salariale. Resto convinto che i settori dei trasporti non siano in crisi, che anzi vi sia una domanda da parte dell’utenza, sia in qualità che in quantità, che non trova risposta adeguata. Sono in crisi le imprese, ed in primo luogo le imprese pubbliche che non hanno retto al passaggio da un’economia protetta ad un’aperta, da un’offerta uniforme ad una domanda differenziata. La decisione di Alitalia su Malpensa crea forse condizioni più favorevoli per una sua vendita ad un vettore straniero, in primis Air France, o ad una cordata nazionale, in primis Air One. Noi sostenevamo la necessità di un’alleanza e la necessità che fosse il governo a condurre la trattativa proprio perché nel futuro di Alitalia vi era la possibilità di fallire. E quindi sarebbe stato meglio trattare quando ancora si era in condizione di poter chiedere garanzie. L’uscita da Malpensa, pur con tutte le variabili possibili che si possono determinare, genera nella nostra regione impatti enormi pesantemente sottovalutati. Il primo dei quali attiene a Malpensa e Linate, alle conseguenze economiche sul gruppo Sea, ad un esubero non prevedibile, ma che certamente supererà le migliaia di persone, che coinvolgerà anche la stessa Alitalia, il catering, l’indotto commerciale. In queste ore si sono fatte avanti compagnie quali Ryanair e Easy Jet, low cost tra loro concorrenti, prospettando forti investimenti in aerei e nuove rotte da posizionarsi su Malpensa. In modo superficiale si potrebbe sostenere che quel che si perde con Alitalia si recupera con altre compagnie. Peccato che tipologia dei voli, destinazioni, utilizzo di personale, servizi forniti non possano essere comparabili. Sarebbe come se su una linea ad alta velocità ferroviaria si facessero andare treni regionali. La stessa querelle sugli slot, e quindi sull’utilizzo di quelli che lascerà Alitalia, è emblematica della confusione, ed anche di una certa dose di strumentalità politica, quale la volontà di Formigoni di avere un ruolo nell’assegnazione degli slot che la legge non prevede. Ben più grave è che, a dati attuali, l’effetto dei tagli di Alitalia determinerà su Sea mancati ricavi per circa 150 mln di euro, che andrebbero ripartiti tra Sea Spa e Sea Handling. Sea SpA finirebbe in passivo di circa 40 e Sea Handling di oltre 80 mln di euro, portando la seconda sulle soglie del dissesto. A questo va aggiunto che il piano industriale, che condividemmo con l’accordo del 23.7.07, e che prevedeva 1 mld di euro di investimenti, sarebbe privo di copertura adeguata. Una situazione finanziaria ed occupazionale insostenibile che rischia di portare non solo ad una forte crisi aziendale, ma ad un impatto occupazionale drammatico e privo di qualunque sostegno al reddito ed al lavoro per una realtà, gli aeroporti, priva di ammortizzatori sociali. Si tratta quindi di prendere rapidamente l’iniziativa sindacale, con il più forte spirito unitario possibile. Gli obiettivi in una fase di drammatica emergenza devono avere una forte dose di realismo. Puntare, quindi, ad impedire che il sistema aeroportuale di Milano diventi campo di un esperimento giocato su troppi tavoli e che non tenga conto dei lavoratori e delle persone. Puntare ad impedire che i mancati ricavi trascinino Sea ed altre imprese in un dissesto economico difficilmente sostenibile. Puntare a sostenere una fase di crisi acuta che avrà una durata di almeno 24 mesi e durante la quale vanno approntati strumenti quali gli ammortizzatori sociali che tutelino occupazione e reddito. Puntare a mantenere i lavoratori a tempo determinato e somministrati all’interno delle prospettive delle imprese impedendo che siano i primi a pagare l’uscita di Alitalia. Servono quindi in un periodo di transizione, in attesa che si delineino nuovi equilibri e nuovo sviluppo, strumenti eccezionali pari a quanto sta avvenendo. La decisione del governo di portare il tema di Malpensa, con le conseguenze del piano di Alitalia al “Tavolo Milano”, ci sembra importante e utilizzeremo la nostra mobilitazione perché le ragioni del sindacato e dei lavoratori trovino ascolto e sede di confronto. Per approfondimenti sul tema, consulta il sito della Filt Lombardia www.cgil.milano.it/filt 27 nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 28 In linea Il trasporto merci in continua trasformazione I N L I N E A di Ettore Montagna, funzionario Settore Merci, Logistica e Cooperazione Filt-Cgil Lombardia 28 Sotto la spinta dei processi di globalizzazione del mercato e dalla concorrenza, anche nel trasporto delle merci sono in atto importanti ristrutturazioni. Questi fenomeni, in continua evoluzione, alternano periodi di trasformazioni a periodi più stabili, con cicli che diventano sempre più brevi fino a diventare continuativi, ponendo il sindacato ed i lavoratori in un costante stato di emergenza. Assistiamo a processi di aggregazione da parte di società di varie dimensioni a partire dalle multinazionali come Dhl, che coinvolgono anche aziende più piccole. L’accorpamento e la fusione di società permette di realizzare una migliore economia di scala, oltre ad un’efficace concorrenza in un settore molto polverizzato ma, di fatto, gran parte dell’efficienza si traduce in una pura riduzione dei salari. Nascono, così grandi soggetti di spedizione e logistica che influenzano il mercato con evidenti ricadute anche sull’autotrasporto, che in Italia rappresenta la modalità più diffusa per lo spostamento delle merci. Le possibilità per il sindacato di tutelare i dipendenti coinvolti sono legate alla capacità di organizzare i lavoratori, in quanto la legge 428/90 e l’art 2112 del c.c. permettono solo parzialmente di realizzare accordi in grado di mantenere le condizioni economiche e normative acquisite. Restano aperte, e da verificare nel breve periodo, gli effetti di questi processi sui livelli occupazionali e sulle diverse delocalizzazioni, con conseguenti effetti sul trasferimento del personale, anche in relazione ai nuovi corridoi di transito delle merci. Si sta realizzando una frantumazione del ciclo produttivo. All’esternalizzazione dei magazzini, ormai generalizzata, si aggiunge quella di altre attività come la bollettazione, uffici dogane, call center. Diventa sempre più difficile stabilire il confine tra le attività proprie delle società di spedizione e logistica e quelle esternalizzate, spesso condizionate da una pericolosa commistione tra dirigenti aziendali e cooperative, che sviluppa una zona grigia nella gestione degli appalti La gestione dei magazzini è stata ceduta a consorzi e cooperative, che utilizzano soci lavoratori molto meno garantiti e spesso ancora sottopagati. Lo scopo evidente è quello di ottenere una vasta flessibilità delle prestazioni lavorative ed un abbattimento dei costi, realizzato essenzialmente penalizzando le retribuzioni di questi lavoratori che, ancora oggi, non godono a pieno di tutti gli istituti contrattuali, né dell’integrazione del trattamento di malattia ed infortunio. Ad essi, sempre più diffusamente, sono applicati contratti pirata: un abbattimento dei costi che grava pesantemente sulle tutele e sui diritti più elementari, creando una forte divisione tra lavoratori dipendenti e soci lavoratori. L’estensione di questa frantumazione ad ulteriori attività pone al sindacato il problema della ricomposizione del lavoro nel ciclo delle merci: l’unicità contrattuale va difesa e completata come condizione essenziale. Mancano strumenti idonei ad affrontare queste esternalizzazioni, non contemplate dalla 428/91 né dal codice civile; nemmeno il CCNL di riferimento è in grado di imporre, alle aziende cedenti, regole fondamentali che governino questi processi. L’esperienza di questi anni impone al sindacato un rinnovato impegno, coinvolgendo le rappresentanze aziendali che vanno dotate di competenze e di un nuovo dettato contrattuale, che preveda il rispetto integrale dello stesso CCNL anche per i lavoratori delle aziende o cooperative in appalto. Occorre predisporre una piattaforma per il rinnovo del CCNL, in scadenza ad ottobre 2008, che riscriva gli articoli relativi agli appalti ed alle terziarizzazioni prevedendo le clausole sociali, come avvenuto per altre categorie (es. alimentaristi). Un altro obiettivo fondamentale riguarda le agibilità sindacali, che devono consentire, così come previsto per il rappresentante alla sicurezza dal nuovo ddl, l’estensione della rappresentatività del delegato oltre i confini aziendali, riconoscendogli titolarità nell’intero impianto e/o gruppo, indipendentemente dalle società o cooperative in esso operanti. L’intero settore, che da anni vive questo processo di trasformazione, non è tutelato dagli ammortizzatori sociali, previsti invece per i settori industriali. Gravi difficoltà incontriamo nell’affrontare la mobilità del personale e grandi aspettative sono riposte dai lavoratori del settore nell’esito della contrattazione col governo sulla riforma dello stato sociale. Il confronto si è concluso, ancora una volta, senza aver prodotto l’agognata estensione della mobilità retribuita che, collegandosi a veri progetti formativi, consentirebbe a questi lavoratori di passare da una mera fase difensiva ad una ricollocazione, che li veda di nuovo protagonisti in un settore che si misura continuamente con una realtà troppo spesso sottovalutata. nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 29 Il potenziamento delle Trasversali Nord - Sud Europa: quali impatti sulle Tangenziali milanesi? F R O N T I E R E Senza frontiere Il presente articolo prende spunto da una recente ricerca effettuata dal CRMT dell’Università LIUC La catena montuosa delle Alpi costituisce una barriera naturale che si oppone alla circolazione delle persone e dei beni all’interno dell’Europa. Pertanto, la Commissione Europea ha deciso di superare tale ostacolo con la costruzione delle Trasversali Nord – Sud. Dal 2000, la progressione del traffico merci attraverso le Alpi è stata molto elevata, nell’ordine del 3% circa all’anno, rispetto ad una media dell’1,7% all’anno nell’Unione Europea. Le previsioni future indicano che tali incrementi saranno mantenuti anche in futuro e, nel lungo periodo (2030), il traffico dovrebbe raggiungere quota 300 milioni di tonnellate di merci l’anno, 120 dei quali transiteranno su ferro ed i restanti 180 su gomma. Attualmente, la gran parte del traffico è su gomma e la crescente saturazione delle infrastrutture stradali dell’arco alpino costituisce un problema grave in termini di tempo di trasporto, rischi per la sicurezza degli utenti e danno ambientale. A tal proposito sono numerosi i progetti di potenziamento delle infrastrutture di trasporto sulle Alpi. Allo stato attuale, sui principali valichi alpini, cioè il Frejus, Ventimiglia, Modane, Monte Bianco, San Bernardino, Sempione - Lotschberg, San Gottardo e Brennero, trasbordano circa 130 milioni di tonnellate, in incremento del 20% circa rispetto ai traffici registrati nel 1999. S E N Z A di Massimiliano Sartori Centro di Ricerca sui Trasporti e le Infrastrutture CRMT 29 nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 30 Senza frontiere S E N Z A F R O N T I E R E Tabella 1 – Traffico merci sui valichi alpini nel 1994, 1999 e 2004, in milioni di tonnellate Fonte: CAFT 2004 Con specifico riferimento alla Lombardia1, il tunnel del Lotschberg (inaugurato lo scorso giugno) ed il tunnel del San Gottardo costituiranno collegamenti ad alta velocità Nord – Sud Europa, passanti per la Lombardia, ed integreranno le infrastrutture ferroviarie della Svizzera, dell’Italia e della Germania. La costruzione dell’asse Nord – Sud soddisferà in primo luogo il trasporto delle merci, rendendolo più attrattivo, e in secondo luogo collegherà in modo più efficiente le aree economiche di Svizzera, Italia e Germania. Tabella 2 – Previsioni sul traffico merci ferroviario in milioni di tonnellate all’anno Attuale BBT – 2015 LTF – 2020 BBT – 2025 LTF – 2030 Capacità teorica di carico annuo nel lungo periodo Francia Collegamento LTF 6,0 10,6 19,1* 11,0 33,4** 34,0 Svizzera Lotschberg San Gottardo 6,8 15,6 7,2 24,0 12,4 29,3 9,5 27,3 13,2 28,7 15,0 40,0 Austria Brennero 10,3 22,6 26,2 26,7 37,8 41,0 Fonte: European Commission – DG TREN, Alptransit, CRMT *senza tunnel di accesso ** progetto completato In tale contesto, se si considera che la Regione Lombardia detiene un peso vicino al 50% dell’interscambio commerciale totale del Nord Italia, vale a dire che quasi la metà del commercio estero dell’intero Nord Italia è prodotto/generato dalla Lombardia, si comprende come la gran parte del traffico attuale e degli incrementi futuri di traffico si concentreranno in Lombardia dove, attualmente, il sistema della mobilità è in molti punti e per molte ore della giornata al collasso. 1 Si veda anche l’approfondimento di NOSTOP n. 55. 30 A tal proposito, è importante rilevare come il traffico passeggeri e merci locale in entrata e in uscita dalla Svizzera e dall’Italia è notevolmente più intenso del traffico passeggeri e merci in transito. La possibilità di avere collegamenti veloci, efficienti e con un minore impatto ambientale, favorirà l’utilizzo della modalità ferroviaria che, secondo le più recenti stime, dovrebbe servire il 40% della domanda totale di traffico merci sulle Alpi, contro l’attuale 23%. È necessario, pertanto, completare i progetti di potenziamento ferroviari attualmente in corso, nei tempi e nelle modalità definite, al fine di razionalizzare i flussi di traffico ed evitare strozzature nel sistema di trasporto. In particolare, gli interventi più importanti sono la riqualificazione della Alessandria – Mortara – Novara, la sistemazione del Nodo di Novara, il raddoppio della Vignate – Oleggio – Arona, la variante di Gozzano (linea Novara – Borgomanero), il potenziamento del Nodo di Genova e la realizzazione del terzo valico nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 31 Senza frontiere AV/AC, il quadruplicamento bivio Rosales – Seregno, la nuova linea Seregno – Bergamo, il nuovo collegamento Arcisate – Stabio, il sistema di potenziamento degli accessi a Malpensa ed il potenziamento della direttrice Bellinzona – Novara. Al fine di verificare l’impatto del traffico proveniente dai valichi alpini sul sistema delle Tangenziali di Milano, legato alla razionalizzazione delle linee ferroviarie di trasporto si sono, in primis, analizzate le previsioni di crescita future con riferimento al trasporto merci e passeggeri e, successivamente, si sono effettuate alcune simulazioni con riferimento agli impatti prodotti. In sintesi, dalle simulazioni effettuate è emerso come nei prossimi anni, al completamento dei progetti di potenziamento ferroviari previsti, un numero sempre maggiore di camion potrebbe essere sottratto al sistema delle Tangenziali di Milano. In particolare, con l’apertura del traforo del San Gottardo al 2015, gli autoarticolati sottratti si attesterebbero a circa 1.800 unità, per raggiungere quasi 7.000 unità nel 2030. Tale risultato è molto importante in quanto permette di alleggerire il carico di domanda sul sistema delle Tangenziali milanesi con benefici diffusi dal punto di vista economico della mobilità e dell’ambiente. Ancora, dalle simulazioni effettuate è emerso come in assenza d’interventi di potenziamento dell’infrastruttura ferrovia- ria, fra il 2013 ed il 2014, il sistema potrebbe trovarsi in una situazione di criticità strutturale. A tal proposito è essenziale evidenziare come già adesso in alcune ore della giornata, in particolare in concomitanza con l’inizio e la fine della giornata lavorativa, il sistema di trasporto risulta inefficiente ed inadeguato a rispondere alla domanda di mobilità. Sulla base delle simulazioni effettuate, fra il 2013 ed il 2014, invece, il sistema delle Tangenziali di Milano si ritroverebbe in una situazione di congestionamento stradale per la quasi totalità della giornata, ad esclusione di alcune fasce notturne. Come detto, un importante contributo al “decongestionamento” può derivare dal trasferimento di una quota consistente di traffico pesante dalla strada alla ferrovia, come previsto debba accadere anche a seguito della messa in esercizio dei tunnel di base del Lotschberg e del San Gottardo. A tal proposito, l’indicazione di massima proveniente dalle stime sopra riportate, che valuta nell’ordine dei 7.000 camion al giorno la riduzione del traffico merci gravante sulle Tangenziali milanesi, alla luce del peso più che proporzionale che tale traffico pesante ha in termini di capacità di congestionamento, porta a quantificare una traslazione in avanti di circa 5 anni del momento di raggiungimento del livello di saturazione, spostando così al 2020 la data critica. 31 nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 32 S G U A R D I E T R A G U A R D I Sguardi e traguardi 32 Milano: una città metropolitana femminile, maschile, plurale. di Fulvia Colombini, Segretaria Camera del Lavoro Metropolitana di Milano Oggi il lavoro femminile non rappresenta più una parzialità, bensì la complessità e la trasversalità su cui si giocano le sfide per il futuro. Il lavoro maschile non possiede più queste caratteristiche perché è cambiata la società, la sua struttura e composizione sociale, sono cambiati i bisogni e i desideri delle persone. Il titolo dell’articolo è l’omonimo dell’interessante iniziativa che si è svolta nella Sala degli Affreschi della Provincia di Milano, lo scorso 18 settembre 2007, dove si è discusso dell’economia e del mercato del lavoro del nostro territorio metropolitano. Il rapporto OCSE 2006 conferma che Milano può ambire al ruolo di capitale regionale dell’Europa meridionale, ma per giungere a questo risultato è necessario includere tra le sfide l’incremento quantitativo e qualitativo della presenza femminile nei processi di sviluppo locale. La stretta correlazione tra aumento della partecipazione femminile e crescita socio-economica di un territorio è un dato di fatto riconosciuto sia in ambito comunitario, sia a livello nazionale. La Provincia di Milano ha riunito una serie di attori significativi dello sviluppo e dell’economia milanese, tra cui la Cgil, per discutere su quali strategie si vuole puntare per assicurare la presenza attiva delle donne in tutti gli ambiti e livelli di partecipazione. Sono stati presentati una serie di dati che descrivono una situazione che può essere letta in modo ambivalente: positivo e negativo allo stesso tempo. A Milano le forze lavoro femminili superano il 60% e le occupate si attestano intorno al 59%. L’obiettivo raccomandato dall’Unione Europea di raggiungere entro il 2010 il 60% di occupazione femminile per Milano si può considerare raggiunto e per il 2010 si può ragionevolmente ambire a superarlo. Se, però, dall’analisi dei dati macro, passiamo ad un esame più dettagliato vediamo che non si può parlare di “buona occupazione”. Le donne entrano nel mercato del lavoro, ma con contratti atipici, rimangono in una situazione lavorativa nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 33 Sguardi e traguardi di precarietà molto più a lungo rispetto ai maschi e guadagnano meno. Sono maggiormente esposte al rischio di perdita dell’occupazione e la maternità continua a rappresentare un elemento di forte penalizzazione professionale. Ne sono prova i 1.500 casi di dimissioni, nel primo anno di vita del bambino, registrate nella Provincia di Milano lo scorso anno. Siamo a conoscenza di questo dato perché, essendo il licenziamento vietato per legge in questo delicato periodo della vita della donna lavoratrice, le dimissioni sono ratificate presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro. Possiamo immaginare che dietro a ciò si nascondano dei licenziamenti incentivati. Anche i dati relativi alla formazione scolastica ci mostrano un quadro incoraggiante e competitivo; le donne risultano più istruite, ma a distanza di 5 anni dal conseguimento della laurea guadagnano in media oltre il 25% in meno di un coetaneo. Se analizziamo lo sviluppo professionale notiamo che le dirigenti, che oggi si attestano intorno all’11%, hanno totalizzato un incremento di sei punti nell’arco di 15 anni. Risulta del tutto evidente che una crescita così lenta denuncia molti ostacoli e la necessità di un’accelerazione si impone rapidamente. Se osserviamo i dati del lavoro autonomo dobbiamo segnalare che oltre la metà del totale di coloro che lavorano con Partita Iva risiedono a Milano e la maggioranza sono donne impiegate nei settori della formazione, consulenza, organizzazione, comunicazione. Si tratta di professioniste che si prefiggono un progetto di lavoro indipendente e flessibile. Necessitano di opportune politiche fiscali e del riconoscimento dei diritti per quanto riguarda la maternità. Il quadro descritto ci consegna una situazione in cui le donne milanesi entrano con convinzione nel mercato del lavoro ma, per effetto di discriminazioni dirette e indirette, non riescono a dispiegare appieno il proprio potenziale e vivono in una condizione disagiata. Una ricaduta evidente di questa difficoltà è la drammatica contrazione della natalità: 1,2 figli per donna e l’età del primo figlio compresa tra i 32 e i 34 anni. Senza l’apporto delle immigrate che mantengono un tasso di natalità ancora alto, il numero dei morti sopravanzerebbe di molto il numero dei nati. La disponibilità di posti per l’asilo nido, per la fascia di bambini da 0 a 3 anni, è ancora insufficiente rispetto alla richiesta e ogni anno si ripresenta il problema delle liste d’attesa inevase. Nei paesi del Nord Europa, da tempo, sono stati effettuati investimenti per favorire la condivisione dei ruoli e del lavoro di cura nella coppia, favorendo la conciliazione. Nel nostro paese questo ritardo provoca, oltre che sofferenza e disagio, anche minore sviluppo socio/economico. Si riscontrano, da parte delle Amministrazioni locali, scelte anacronistiche che privilegiano la tradizionale famiglia mediterranea, mentre la realtà ci mostra un quadro ben diverso. L’esclusione e la mancata partecipazione delle donne devono essere valutate in termini sia di costi sociali che di mancata crescita economica; politiche di welfare innovative rappresentano elementi qualitativi dello sviluppo. Tutti gli attori del convegno - ricercatrici, rappresentanti delle imprese, docenti, sindacato - hanno concordato su tre elementi negativi che vanno aggrediti e superati nel breve/medio periodo: ● un modello conciliativo difficoltoso; ● la scarsa presenza delle donne nelle posizioni apicali delle professionalità e delle responsabilità; ● l’esigua rappresentanza delle donne nelle istituzioni e nella politica. Tutti questi fattori, insieme alla modalità tutta italiana di avanzamento per cooptazione, determinano un circolo vizioso che frena lo sviluppo delle potenzialità e dei talenti femminili. Serve una società più dinamica, dove ci si possa mettere in gioco perché merito e capacità sono valutati come elementi determinanti. La proposta avanzata da Arianna Censi –Consigliera delegata alle Politiche di Genere della Provincia- a tutti gli intervenuti è stata quella di stringere un “Patto” per l’inclusione, la valorizzazione e la partecipazione delle donne a tutti i livelli. Solo così la nostra area metropolitana potrà aspirare ad una crescita quantitativa e qualitativa all’altezza delle sfide europee. Gli strumenti esistono; abbiamo ottime leggi inutilizzate, come la legge 53/2000 pensata per la conciliazione dei tempi individuali in correlazione con i tempi delle città. A Milano, per mancanza di volontà della Giunta Comunale e della Regione Lombardia, nulla è stato tentato, nulla è stato sperimentato, nonostante le sollecitazioni venute dalle donne. Il sindacato confederale a Milano ha sviluppato e consolidato, con tenacia, una pratica di lavoro unitaria sulle politiche di genere che gli ha consentito di stare in campo (sia rispetto all’analisi della situazione locale che della proposta) e diventare un importante punto di riferimento per la città. L’idea del “Patto per le donne” è stata proposta, da Cgil Cisl Uil, anche al Ministro delle Pari Opportunità - Barbara Pollastrini – già nel marzo scorso, durante un’iniziativa pubblica. La risposta era stata positiva, ma aspettiamo che si concretizzi con una Conferenza del Governo sul lavoro delle donne, da tenersi nella nostra città. Oltre a chiedere l’impegno di tutti - istituzioni, governo, sistema delle imprese - è necessario che anche la nostra organizzazione, in modo capillare e diffuso, eserciti la propria rappresentanza proprio a partire dai nodi presenti nel lavoro femminile. Occorrono politiche contrattuali nuove, accordi locali significativi, diffusione delle buone pratiche, ricordando che se saremo in grado di rappresentare i bisogni delle donne, saremo in grado di rappresentare tutti al meglio. Oggi il lavoro femminile non rappresenta più una parzialità, bensì la complessità e la trasversalità su cui si giocano le sfide per il futuro. Il lavoro maschile non possiede più queste caratteristiche perché è cambiata la società, la sua struttura e composizione sociale, sono cambiati i bisogni e i desideri delle persone. Se vogliamo stare in campo noi, donne e uomini della Cgil, dobbiamo raccogliere questa stimolante sfida. 33 nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 34 Finestre “LINATE 8 ottobre 2001: la strage” F I N E S T R E di Giulio Cavalli 34 Non è uno spettacolo per fare giustizia, per quella ci sarebbero già giudici e tribunali, né è uno spettacolo per onorare le vittime, quelle sono gelosamente nei cuori delle loro famiglie. E’ appoggiare una storia, seminare delle domande, coltivare le virtù del dubbio: raccontare di uno stato in cui nessuno è responsabile della sicurezza dei propri cittadini, in cui diventa un rebus capire chi controlla cosa, in cui si individuano sempre le cause e pochissimo le responsabilità. Linate l’8 Ottobre 2001 non è un incidente: gli incidenti sono roba da cabala e giro di roulette degli dei; dove c’entrano le colpe degli uomini, allora è un omicidio. Centodiciotto morti sono una strage. Quando Fabrizio Tummolillo (che poi mi ha accompagnato nella scrittura del testo teatrale) ha appoggiato sulla mia scrivania la documentazione e le storie di quel giorno così buio sono rimasto per una fetta di notte a guardarlo, quel cumulo di fogli di “quello che si sarebbe dovuto fare”: sono le macerie di uno stato che premia chi accumula potere scansando proporzionalmente le proprie responsabilità. Allora mi sono interrogato a lungo, prima di iniziare la messinscena, su quale poteva essere il mio ruolo di narratore teatrale e sul perché dovesse nascere uno spettacolo su quel cumulo. Noi teatranti godiamo di un privilegio che molti ci invidiano: la fisicità e il tempo del nostro pubblico; quindi sono partito da qui perché avevo il tempo di raccontarlo per filo e per segno tutto quel cumulo. nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 35 Finestre Spesso mi ritrovo a dire che più dell’ignoranza, oggi, mi spaventa questa “convinzione di sapere” che è tutta appoggiata sull’informazione confezionata a mo’ di spot pubblicitari per cui in quindici minuti di tg in fase digestiva paghiamo il nostro pegno di coscienza con i fatti del mondo. Se ascoltate la gente “comune” sull’incidente di Linate, vi parleranno di nebbia, di un radar che non c’era e vi vomiteranno un po’ di sana e gratuita indignazione. Oggi si è acquisito il diritto di indignarsi a priori anche senza sapere. La risposta al mio dovere mi è caduta così: il teatro oggi è una buona occasione per informare senza fretta, senza doversi inserire in una linea editoriale di “accattivante confezionamento”, senza fare leva sul qualunquismo facile, senza dover opzionare pubblico per forza con i morti nei titoli di testa. Per Linate le colpe sono tutte agli atti: un radar da installare che aspettava la giusta congiunzione (forse economica?) per essere attivato (è lo stesso giudice Moccia a parlare di legami professionali tra la Marconi, società che opera nei radar in concorrenza alla FIAR, e l’amministratore delegato dell’Enav), una leggerezza di fondo nel gestire un ambiente complesso come un aeroporto, una segnaletica peggiore dell’adiacente viale Forlanini, una scellerata progettazione nel posizionare il deposito bagagli a fondo pista e, fondamentalmente, scelte di gestione al risparmio. Oltre a tutto questo, fin dall’inizio mi sono imbattuto nel dramma, quella lista lunga di nomi, e confesso che nei momenti più ostici della preparazione li scorrevo, appoggiati sulla scrivania, in disparte da tutti quei fogli di simboli e numeri; e me li sono portati in teatro, con quel loro scorrere leggero e con la convinzione che, anche senza aggiungerci niente, siano un graffio alla nostra coscienza. Raccontare la favola triste dell’8 ottobre è roba da teatro dell’assurdo, abitare in una Bengodi senza doveri, in un luna-park leggero e mortale. I giullari cinquecenteschi rovesciavano il reale per raccontarlo con dietro un digrignare di denti. Linate quel giorno è un posto già storto di suo. Chi darebbe credito a quel paese nella prima mezz’ora di spettacolo fatto di vigili, postini e Culidigomma che martellano “avioporti” come se fossero orti squinternati? Quanti in tournée hanno sorriso di quel collaudo giù a Bengodi tutto svolazzante di professori, timbri e carte bollate senza senso? A stare sul palco c’è un momento che tutte le volte mi accende un brivido: sentire quel sorriso che si spegne lì dove diventa un alone, un dubbio, che non possa essere Linate così tanto Bengodi, che non possa Bengodi assomigliare a Linate man mano che ci si avvicina. E il sorriso diventa strozzato, la sala diventa silenzio. Su quel bordo dello spettacolo si srotola tutto il nostro lavoro. “Linate 8 Ottobre 2001: la strage” non è uno spettacolo per fare giustizia, per quella ci sarebbero già giudici e tribunali, né è uno spettacolo per onorare le vittime, quelle sono gelosamente nei cuori delle loro famiglie. “Linate 8 Ottobre 2001: la strage” è appoggiare una storia, seminare delle domande, coltivare le virtù del dubbio: raccontare di uno stato in cui nessuno è responsabile della sicurezza dei propri cittadini, in cui diventa un rebus capire chi controlla cosa, in cui si individuano sempre le cause e pochissimo le responsabilità. “Dove non ci sono colpevoli, allora i colpevoli sono i morti?” si chiedono giù a Bengodi. Non so cosa potrà riservarci la cassazione, non so quanto alla fine pesi questo nostro caracollare per teatri e non so nemmeno se forse io avrei potuto fare diversamente o semplicemente meglio. Ho lavorato con tutti quelli che mi hanno voluto portare una pezza della storia, mi sono messo in tasca chi ha contestato tesi senza offrirmi un contraddittorio, mi sono segnato tutti i numeri che hanno squillato a vuoto e mi sono promesso di essere sempre a disposizione anche giù dal palco. Ma una sicurezza me la tengo con una punta di orgoglio: nel campo minato di così tanto dolore mi sento pulito. Io. 35 nostop numero 56 1-10-2007 11:50 Pagina 36 Finestre F I N E S T R E Jonathan Safran Foer 36 Molto forte, incredibilmente vicino, Guanda, 2005 Ogni cosa è illuminata, Guanda, 2002 L’11 settembre ed altri buchi neri della storia, dal punto di vista di quelli che ne sono travolti di Osvaldo Cisternino Jonathan Safran Foer è nato a Washington nel 1977 e vive a New York. Il suo romanzo di esordio, Ogni cosa è illuminata, è stato pubblicato nel 2002 ed è divenuto subito un bestseller a livello mondiale; ne è stato tratto un bel film, molto apprezzato dalla critica e dal pubblico. Il suo secondo romanzo, Molto forte, incredibilmente vicino, è uscito nel 2005 e non ha deluso le attese dei suoi molti lettori. Inizio l’articolo dedicato a questo sorprendente scrittore da alcune informazioni biografiche – non solo per mettere in evidenza la straordinaria precocità del suo talento – ma anche in quanto la sua giovane età aggiunge particolare pregio al tentativo, che accomuna i suoi due romanzi, di scavare nel presente per cercarvi le tracce di quei veri e propri buchi neri della storia novecento, anzitutto dell’olocausto: non si può, infatti, comprendere il presente ed ancor meno sperare nel futuro, se si dimentica il male che ha segnato le vite dei nonni e dei padri. L’ultimo romanzo di Foer, Molto forte, incredibilmente vicino, ha per tema il crollo delle torri gemelle di New York ed il vuoto che n’è derivato, non solo nel centro di Manhattan, ma nelle vite di coloro che hanno perso i loro cari, come Oskar, il protagonista, un bambino di nove anni che ha perso il padre. Oskar era legato a suo padre da un rapporto di complicità giocosa: l’ultimo dei giochi inventati insieme – la ricerca di qualcosa di nascosto nel Central Park – era rimasto senza soluzione, perché suo padre si era trovato in cima alle torri gemelle proprio la mattina dell’attentato. Rientrato anticipatamente a casa da scuola, Oskar ascolta alcuni messaggi del padre nella segreteria telefonica. Durante l’ultima telefonata si trova già a casa, ma non ha il coraggio di rispondere. Oskar è un bambino di intelligenza e sensibilità fuori dal comune. Per reagire all’angoscia che lo divora, passa le notti a fare invenzioni: dopo la morte del nostop numero 56 1-10-2007 11:51 Pagina 37 Finestre padre, non riuscendo a dormire, inventa oggetti per il suo mondo immaginario, come, per esempio, “uno scarico speciale da mettere sotto tutti i cuscini di New York, collegato al laghetto del Central Park. Ogni volta che qualcuno si addormentava piangendo, tutte le lacrime sarebbero finite nello stesso posto e poi al mattino al bollettino meteo avrebbero detto se il livello delle acque del Laghetto delle Lacrime era salito o sceso... E quando succedeva qualcosa di veramente terribile... avrebbero suonato una sirena fortissima per dire a tutti di andare nel Central Park e mettere dei sacchi di sabbia attorno al laghetto” (pag. 51). Oskar trova fra le cose di suo padre una busta con dentro una chiave e al di fuori la scritta Black: decide di indagare sul mistero che sembra celarsi in quella chiave; spera in tal modo di rendere più vivo il ricordo di suo padre, scoprendone un segreto. Si mette a girare in cerca di tutti gli abitanti di New York con il cognome Black, accompagnato in molte delle sue visite da un suo vicino decrepito che, anche se da molti anni non usciva di casa, accetta di aiutarlo. La strana coppia gira la città in lungo e in largo, incontrando persone e conoscendone le storie. Anche se la ricerca non darà i frutti sperati, consentirà ad Oskar di imparare molte cose sul passato e sulle persone che popolano il mondo in cui vive. La parte del romanzo dedicata a questa ricerca è narrata con la voce del protagonista, e dunque vista dagli occhi di un bambino: il suo dolore si intreccia alla sua curiosità per il mondo e al suo irrinunciabile bisogno di cercare un senso al dramma che ha travolto la sua vita. Ma la storia di Oskar si intreccia nel racconto a quella dei suoi nonni paterni, giunti in America in fuga da Dresda, distrutta dai bombardamenti tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Quest’altra storia è narrata alternando le voci dei due protagonisti: il nonno, scultore, divenuto incapace di parlare, dopo che in quei bombardamenti ha perso la ragazza che amava e stava per dargli un figlio; la nonna, che di quella ragazza era la sorella. Si incontrano a New York, lui si esprime solo scrivendo le sue parole su di un quaderno. Lei gli chiede di sposarla, ma il dolore del passato pesa come un macigno sul loro incontro. Così, quando lei resta incinta del padre di Oskar, lui non se la sente di affrontare la nuova realtà familiare e va via. Per tutta la vita scrive lettere al figlio che non ha conosciuto, senza spedirgliele. Così, quando viene a sapere che è morto nel crollo delle torri gemelle, torna a casa di lei con le sue lettere, che una notte, insieme ad Oskar, andrà a seppellire nella bara vuota del figlio. Ma la nuova amicizia con il nipote non basterà a porre rimedio alla sua incapacità di vivere. A queste due storie principali se ne intrecciano infinite altre, tutte permeate da quella sorta di compassione per l’uomo, per tutti gli uomini nella loro fragilità di fronte alle tragedie della storia, che riempie le pagine di Foer di originale e commovente poesia. Anche nel suo primo romanzo, Ogni cosa è illuminata, si intrecciano due storie, ambientate in epoche diverse, con frequente cambiamento dell’io narrante: la storia di un viaggio al presente, fatto dal giovane scrittore Jonatan in Ucraina, alla ricerca del vil- laggio ebraico di suo nonno, e la storia di quel villaggio, Trachimbrod, dalla fine del ‘700 fino alla sua atroce distruzione ad opera dei nazisti. Indimenticabili e ricchi di imprevedibili invenzioni narrative sono i racconti, al limite della fiaba, dedicati agli avi di Jonatan, che fanno pensare, per leggerezza e poesia, ai dipinti di Chagall, dedicati a simili villaggi ebraici dell’est europeo. E, come nella vita, le pagine esilaranti si alternano a quelle straziate, all’ostinata ricerca di un senso fra le tragedie del ‘900 che, anche quando ci sforziamo di rimuoverle, ci portiamo comunque addosso. All’intreccio di storie Foer aggiunge, nell’ultimo suo romanzo, l’uso del linguaggio visivo, attraverso splendide foto in bianco e nero che si intrecciano al racconto, con la bellissima sequenza finale costituita delle foto di un uomo che cade da una delle torri, ma impaginate all’incontrario, così che, sfogliandole rapidamente, anziché cadere sembra che stia risalendo. Ed è Oskar che, nelle ultime pagine del libro, scorre all’incontrario quelle immagini e sogna che sia possibile, nella realtà come in un film, ritornare indietro. Foer costruisce macchine narrative di ingegno sorprendente per dar conto di come le atrocità del novecento restino all’interno della coscienza di ciascuno di noi, come dei veri buchi neri incomprensibili e irrisolti. Non dà giudizi politici. Non ha soluzioni rassicuranti. Eppure ho avvertito nei suoi romanzi un messaggio di speranza. Forse sta nella compassione verso gli uomini, verso ogni uomo, e implicitamente è su questa compassione che ci propone di costruire il futuro. 37 nostop numero 56 1-10-2007 11:51 Pagina 38 Finestre L’altra New York: la propria Un’iperattiva massa umana diversificata, in continua evoluzione Ombelico del mondo, la Grande mela (the Big Apple), Gotham City, La città che non dorme mai (The city that never sleeps) sono tra i più svariati modi di chiamare questa città, ma nessuno è adeguato ad una metropoli con al suo interno decine di altre città diverse tra loro, con in comune solo la posizione geografica. F I N E S T R E di Ettore Lo Iacono 38 E’ la città celebrata in molti modi, attraverso film, canzoni, libri, immagini, giornali, pubblicità. Tutti, o quasi, si sono fatti un’idea dell’immaginario o del reale urbano newyorkese. Non è quindi facile parlarne senza cadere in luoghi comuni o fare una descrizione retorica. NY è una città “rapida”: i ritmi sono parecchio elevati e più si entra nello spirito locale più ci si conforma ad un generale comportamento time/space concentrated; ci si chiede all’inizio perchè la gente beva il caffè sulla subway, poi si comprende che è principalmente per una questione di tempo. La subway stessa è, a qualsiasi ora della giornata, un rollio luminoso e frenetico di persone e treni che si spostano velocemente; allo stesso modo, in superficie, una sterminata flotta di auto gialle gareggia sulle strade e nei tunnel. I cosiddetti Yellow Cabs sono largamente utilizzati e i newyorkesi si distinguono anche per le bizzarre modalità di richiamare l’attenzione dei tassisti. La più efficace? Dirigersi nel centro della avenue in senso contrario a quello di marcia con un braccio alzato, magari emettendo urla o fischi. A New York la gente lavora molto, ma esce anche molto; il quartiere di Manhattan, in particolare, è una sequenza ininterrotta di ristoranti, diners, bar e club. È senza dubbio una città commerciale, legata saldamente al denaro, costosa, pratica, matematica. Ma anche un agglomerato urbano che accomuna molte persone per solidarietà e impegno sociale. A NY è facile essere eccitati, stimolati, entusiasti e depressi in breve tempo. Tutto ed il contrario di tutto, in ambiti spaziotempo molto ridotti. E’ la metropoli dalle contraddizioni marcate, caratteristica che la rende odiosamente affascinante. La gente di NY non è prettamente riflessiva, non considera il relax un valore primario, è concentrata sul proprio obiettivo, spesso segue il proprio sogno, talvolta è costretta e forzata dai ritmi lavorativi, ma sorretta da un ottimismo ed uno slancio necessario, volta ad una pressoché certa realizzazione professionale. Talvolta, forse, è esclusivamente attratta da idee di guadagni rapidi. Talvolta, anche, non curante delle conseguenze. La città di New York, oggi percepita come una delle capitali del mondo, reagisce alla tragedia delle Torri Gemelle e all’attuale crisi economica, ridiventando fucina di nuove idee e programmi: dai progetti per Ground Zero alla rinascita di Harlem, dalla candidatura per le Olimpiadi del 2012 ai musei e ai teatri, che rimarcano un’attenzione alla cultura che da sempre la metropoli coltiva con orgoglio. Ma è anche, per contrappasso, la capitale del disorientamento. In piena estate torrida, seduti in un parco grande circa un migliaio di acri, si scorge sul quotidiano la notizia che New York ospita l’evento mondiale sul “Climate-Change”, mentre sullo sfondo, oltre l’oasi verde, le persone all’interno dei grattacieli sono tenute ultra refrigerate da milioni di condizionatori, fino al successivo, repentino ed inevitabile blackout energetico. Diversi fattori fanno sì che ognuno crei la propria, personale, New York, che ognuno le assegni il proprio personale “state of mind”. Questa condizione mentale è la propria visione e relazione con la città, è la maniera in cui la città influenza ogni personale e differente situazione. E’ spesso una forma di energia che si insegue, che si può trovare o che si inventa. La si avverte nell’esperienza architettonica cittadina; nel suo storico slegarsi da cliché sulle professioni artistiche o nelle strade, camminando negli immensi quartieri come Little Italy e China Town (città nella città, dove gli abitanti stentano un inglese forzato e dove girare l’angolo è un viaggio oltreoceano), tra un venditore di hot dog e una massa di persone vestite nei modi più disparati che passano indifferenti lungo il marciapiedi dirigendosi verso la metropolitana; nel contatto con persone di diversa provenienza e cultura che, per una ragione o l’altra, vivono una parte della loro vita in questa città; nel sentirsi per momenti esiliati e istanti successivi al centro del mondo; infine, nel mettere in discussione, rafforzare o distruggere alcune convinzioni, personali o generiche, essenziali. nostop numero 56 1-10-2007 11:51 Pagina 39 nostop numero 56 1-10-2007 11:51 Pagina 40 News a cura di Ivan Panzica Luglio 2007 3 Sottoscritta congiunta dichiarazione di intenti, tra OO.SS. e ENAC, in merito al regolamento sulla certificazione dei prestatori di servizi aeroportuali di assistenza a terra, dopo mesi di trattative, iniziative di mobilitazione e interventi ministeriali. 18 Sospeso sciopero di 24 ore delle Attività Ferroviarie, proclamato dalle Segreterie Nazionali di Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Fast Ferrovie, Ugl A.F. e Orsa ferrovie, per i giorni 21, 22, 23 luglio, a seguito di incontro con il Governo. Impegni presi dal Governo in merito a provvedimenti legislativi in favore del settore e da parte dell’Amministratore Delegato di FS sull’apertura di un tavolo su: aree produttive critiche, criticità occupazionali e piano di impresa. Sottoscritti accordi presso l’Anita di Roma con il Gruppo Autamarocchi (trasporto merci e logistica) sulle relazioni sindacali, sugli impegni occupazionali nelle Aziende Autamarocchi SpA e Grusovin Srl, e sull’ipotesi di accordo integrativo aziendale. 23 Sottoscritto Protocollo su Previdenza, lavoro e competitività tra OO.SS. e Governo. 24 Siglato verbale di accordo riguardante la procedura di fusione per incorporazione della Euromarchesi Srl nella Arcese Mercurio SrL, società del trasporto merci e logistica. 26 Siglato Protocollo d’Intesa per il rinnovo del CCNL 2006-2009 per i dipendenti dell’Anas. E 31 Sottoscritto l’accordo di confluenza tra i lavoratori della Logistica (contratto aziendale FS Cargo) nel CCNL delle Attività Ferroviarie. È stato sottoscritto contestualmente l’accordo sulla istituzione della previdenza complementare per gli stessi lavoratori. 31 Siglato il primo accordo per tutto il Personale Navigante (trasporto aereo ) di AirOne CityLiner tra la Filt-Cgil, Fit-Cisl e UP per il Personale Navigante e l’azienda AirOne CityLiner. 18 Firmato l’accordo per il piano industriale e il premio di risultato tra Autostrade per l’Italia e le organizzazioni sindacali nazionali. W 19 N S Sottoscritto il verbale di rinnovo biennio economico del Ccnl Logistica, Autotrasporto e Spedizioni. L’aumento a regime è di 95 euro. Agosto 2007 Settembre 2007 Ottobre 2007 8-10 Consultazione tra lavoratori, pensionati e precari per l’approvazione del Protocollo firmato il 23 luglio su previdenza, lavoro e competitività. Stiamo lavorando ad un nuovo restyling grafico del sito Filt – Cgil di Milano e Lombardia per utilizzare al meglio la potenzialità che questo strumento offre per l’informazione e la comunicazione. Contiamo di completarlo per fine anno. Potete comunque collegarvi (http://www.cgil.milano.it/categorie/filt) per leggere le news aggiornate, per trovare i riferimenti delle sedi FILT più vicine, per sfogliare o scaricare le ultime uscite e i numeri arretrati di NOSTOP, Millebinari, Flyfilt, Atiemmefilt e Magazinefilt. A breve sarà disponibile un form per le richieste di informazioni sui contratti del settore trasporti. Il nuovo sito è stato ideato da Ettore Lo Iacono, che ne curerà sviluppo e aggiornamento. NOSTOP RESPONSABILE DI REDAZIONE Vittoria SCORDO GRUPPO DI REDAZIONE Americo PAGLIARA Ivano PANZICA PROGETTO GRAFICO ORIGINARIO Armando Artibio FANFONI - RESTYLING URAKEN Graphix Redazione NOSTOP Via S. Gregorio 48 - 20124 Milano Tel. 026715838 Fax 0266987098 [email protected] http://www.cgil.milano.it/filt Supplemento al n° 9/2007 de “Il lavoro nei trasporti” Mensile della FILT-CGIL nazionale Direzione/Amministrazione EDITRICE EDITRASPORTI Via Morgagni 27 - 00161 Roma Iscritto al n°92/82 del Registro Pubblicazioni periodiche del Trib. di Roma il 10/3/82 Testata registrata presso il Registro Nazionale della Stampa Direttore Responsabile Marilisa Monaco Sped. in abb. postale c26 art.20 lett. B art.2 della legge 23/12/96 n° 662 Roma Chiuso in tipografia: 2 ottobre 2007 NUOVA BINE EDITORE - Via Podgora 1, Milano Videoimpaginazione e fotolito PRG Via Gaffurio 2, Milano - [email protected] 40