anteprima - CIESSE Edizioni

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anteprima - CIESSE Edizioni
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Maurizio Vicedomini
Il patto della
Viverna
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IL PATTO DELLA VIVERNA
Autore: Maurizio Vicedomini
Copyright © 2012 CIESSE Edizioni
Via Conselvana 151/E 35020 Maserà di Padova (PD)
Telefono: 049 8862219 - Fax: 049 2108830
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www.ciessedizioni.it - http://blog.ciessedizioni.it
ISBN 978-88-6660-054-1
Finito di stampare nel mese di settembre 2012
Impostazione grafica e progetto copertina:
© 2012 Nadia Mozzillo
Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione
dell’opera, anche parziale.
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore o sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o
luoghi esistenti è da ritenersi puramente casuale.
Collana: Gold
Direttore di Collana: Alexia Bianchini
Editing a cura di: Alexia Bianchini
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A Nadia
e al suo sorriso
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Prologo
Sterminio
Il cervo brucava immobile l'erba in apparente tranquillità.
Il cacciatore del Vento di Luna sgusciò fra gli arbusti in silenzio, dosando con cura il peso a ogni passo. L'animale
sembrava ignorare ancora la sua presenza. Tiros sorrise,
compiacendosi per l’abilità che stava dimostrando. Incoccata
una freccia, tese la corda fino all'occhio e lasciò, osservando
il dardo saettare nel collo della preda.
«Una buona prova» sorrise Alannah, avvicinandosi all'animale abbattuto.
Tiros la squadrò dubbioso, cercando di capire se stesse
scherzando. La lunga treccia di capelli le copriva il profilo del
volto, impedendo al compagno di scorgere il sorriso che di
sicuro vi era comparso.
«Una buona prova?» chiese. «Non mi ha nemmeno sentito
arrivare».
Alannah si girò verso di lui, mostrandogli il suo divertimento.
«Fortuna, di certo» sorrise, «con quell’arnese avresti dovuto spaventare l’intera foresta». Con un gesto rapido indicò
l'arma che Tiros portava in spalla.
Il cacciatore sbuffò, afferrandone d’istinto l’impugnatura.
«Arnese? Porta rispetto alla zweihänder del Capo Cacciatore» rispose, sguainando lo spadone a due mani e accennando al contempo un sorriso. «Certo, è pesante, ma a chi importa quando si hanno braccia come le mie?»
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La ragazza ricambiò il sorriso, scuotendo il capo con finto
sdegno. Il volto sottile e le labbra poco pronunciate le conferivano un aspetto infantile, rendendo buffa l’intera scena.
«Se hai finito di vantarti, forse è meglio che guardi il cielo»
suggerì.
Tiros portò lo sguardo a ovest, dove la notte incombeva.
Il crepuscolo era vicino, non era cosa saggia attardarsi nella
foresta.
«Hai ragione: prendiamo il cervo e torniamo al villaggio.
Stasera banchetteremo».
Alannah annuì, cominciando a legare le zampe
dell’animale a due a due. Tiros le si avvicinò, aspettando che
finisse, poi afferrò la carcassa e se la issò in spalla.
I cacciatori si misero in cammino, riportando i loro passi
sul sentiero principale verso sud. Scesero in un avvallamento,
schivando la parte più fitta della foresta, allontanandosi dalle
tane delle belve notturne.
«Fallo portare a me» suggerì Alannah indicando il cervo,
«hai già lo spadone».
Il cacciatore si fermò, guardandola con occhi scettici. Andavano a caccia insieme da almeno cinque inverni, eppure
non gli aveva mai fatto una proposta del genere.
«Va bene così, non…» cominciò, quando una freccia gli
passò a poche spanne dal naso per andarsi a conficcare in un
albero dieci passi più in là.
«Giù!» urlò la ragazza, cercando riparo dietro un robusto
pioppo.
Tiros lasciò cadere la preda, abbassandosi dietro un tronco rovesciato al suolo. Lanciò uno sguardo nella foresta, cercando l'arciere che li aveva attaccati. Questi, però, sembrava
essersi dileguato nel fitto degli alberi.
“È esperto” valutò, accarezzando l'impugnatura della
zweihänder, pronto a estrarla. Se fossero riusciti a restare nascosti abbastanza a lungo, forse il loro nemico sarebbe uscito
allo scoperto per tentare un nuovo attacco.
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Invece giunse una voce.
«Tiros, possibile che tu non abbia ancora imparato come
si gioca?»
L’accento era familiare, ma il cacciatore non riusciva a collegarlo a un volto.
«Gioco?» chiese, cercando di guadagnare tempo per pensare. «Ci hai attaccato!»
«Ti ho solo dimostrato che si può fare di meglio di un tiro
al collo a un cervo» spiegò la voce, mentre il fruscio dei passi
sulle foglie secche annunciava il movimento dell’arciere.
«Mi hai mancato» sbottò Tiros. Il cacciatore lanciò uno
sguardo in direzione di Alannah: la ragazza era pronta ad attaccare.
«Potevo mai uccidere il mio allievo migliore?»
Tiros si alzò in piedi, sgranando gli occhi per lo stupore.
«Khalin!» chiamò, uscendo dal nascondiglio. Un uomo
sulla quarantina con capelli brizzolati raccolti in una coda,
avanzava sul sentiero. Era muscoloso, anche se non quanto
Tiros, e portava un arco in spalla, con la faretra appesa al
fianco.
Il cacciatore lo raggiunse, stringendolo in un abbraccio da
orso.
«Da quanti anni non facevi ritorno? Quattro?» chiese, lasciando la presa.
«Cinque» annuì Khalin, soffermandosi a osservare il vecchio allievo. Tiros si rese conto di essere cambiato molto in
quegli inverni, sebbene avesse superato l’ingresso alla maturità già da dieci anni. La muscolatura era andata crescendo di
pari passo con i suoi capelli, neri come quelli che il suo maestro aveva posseduto in giovinezza. Non ne era certo, ma
pensava di essere cresciuto anche un altro po’ in altezza; ormai era uno fra i più alti nella tribù, e certamente più alto degli abitanti delle grandi città a ovest.
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Khalin era di poco più basso, il suo fisico era agile almeno
quanto quello del cacciatore. Lo sguardo era vispo nonostante l’età incalzante.
Poco distante da loro, Tiros notò Alannah fissare la scena
con sguardo vigile. Sebbene i due avessero dimostrato di conoscersi, la ragazza non sembrava ancora pronta a mettere
via la lancia.
«Alannah, lui è Khalin; mi ha insegnato quello che so sulla
caccia» spiegò Tiros, accennando un sorriso, ma la giovane
non parve convinta.
«Degno di una cacciatrice del Vento di Luna» rise Khalin,
«avete il sospetto nel sangue».
«Avete?» chiese Tiros, alzando un sopracciglio con fare
divertito. «Non sto forse parlando con Khalin, figlio di Golin
del Clan Rudial, della tribù del Vento di Luna?»
«È stato tanto tempo fa» rispose Khalin con un sorriso
malinconico, «ho viaggiato a lungo, amico mio. Le tradizioni
e i costumi di una singola tribù perdono di significato nella
vastità delle praterie, nella magnificenza delle città del Regno
Bashita, nei diversi popoli che si mescolano fra loro».
«Ma la tua casa resta una, Khalin» rispose Tiros, «ovunque
tu vada, per quanto tempo tu possa viaggiare, quando sarai
stanco tornerai sempre nel posto che chiami casa».
Khalin annuì, dando una pacca sulla spalla al cacciatore.
«Sei diventato saggio, mio vecchio allievo».
«Sono solo cresciuto».
«Non capita a tutti».
L’impazienza di Alannah li colse nella forma di un rumoroso sospiro. Quando entrambi si furono voltati nella sua direzione, la ragazza li guardò come se ciò che stava per dire
fosse ovvio.
«Fra non molto calerà la sera. Non è prudente restare nel
bosco quando la luna è alta».
Tiros annuì, recuperando il cervo.
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«Torniamo al villaggio» disse, quindi riportò lo sguardo su
Khalin. «Sei tornato per restare?»
Il maestro cacciatore fissò il vecchio amico per qualche istante.
«Spero di sì» annuì.
«Se vuoi ti farò riassegnare il rango di Capo Cacciatore».
«Chi detiene la carica al momento?»
«Io» sorrise Tiros.
«Non mi permetterei mai di usurpartela».
Tiros si mosse a disagio, inciampando quasi nell’avanzare.
«Che succede?» gli chiese Khalin, «Il Clan Neiroth domina
ancora la tribù, vero?»
«Sì, mio padre è ancora il Capo tribù».
«E allora qual è il problema?»
«È malato» spiegò Tiros, «di un male incurabile secondo
lo sciamano».
Khalin aprì la bocca per chiedere dell’altro, ma il cacciatore fece cadere l’argomento con un cenno. Non aveva problemi nell’accettare che la vita di suo padre stesse per finire.
In fondo aveva vissuto a lungo. Ciò che lo disturbava era il
crescente entusiasmo per la nomina a Capo tribù che gli spettava di diritto. Sentiva di star tradendo il padre nell’essere felice di quella carica; era come se gioisse per la morte stessa
del genitore.
Scrollò il capo, cercando di allontanare i pensieri. Sperò
che gli altri non si fossero accorti del suo turbamento.
«Comunque sia, presto non potrò più occuparmi della
caccia» disse a Khalin, accennando un sorriso.
«Quando sarà il momento, sarò lieto di accettare il ruolo
che vorrai concedermi».
«Ma come parla?» chiese Alannah in un sussurro, così sottile che Tiros la sentì a malapena. Il cacciatore alzò le spalle,
non potendole rispondere senza attirare l’attenzione di Khalin. Tiros sapeva che le parole e l'accento che il capo cacciatore utilizzava risuonavano straniere alle orecchie dei membri
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della tribù. Nei suoi lunghi viaggi, Khalin non aveva solo appreso gli stili di vita degli altri popoli, ma aveva anche studiato, imparato a leggere e a scrivere. Era di certo il membro più
istruito della tribù del Vento di Luna.
Tiros abbassò il capo, evitando un ramo troppo basso. Si
ritrovò con lo sguardo lungo un sentiero secondario che si
apriva fra piccoli alberi e arbusti. In quell’attimo gli parve di
scorgere una figura in movimento, forse umana, ma la distrazione di un momento fece svanire quell'ombra dal suo
sguardo.
«Cos’hai visto?» chiese Alannah. Tiros trasalì nel sentirla
parlare. Preso com’era dalla ricerca di ciò che aveva scorto,
aveva quasi dimenticato dove si trovava.
«Nulla» rispose, «un’ombra. Forse un cervo» spiegò, alzando le spalle.
«Ho visto qualcosa anch’io» disse Khalin. Tiros notò che
il suo maestro di caccia aveva imbracciato l’arco. Al contrario, Alannah sembrò a disagio per non essersi accorta di nulla.
«Teniamo gli occhi aperti e acceleriamo il passo. Se qualcuno della tribù si aggirasse a quest’ora per il bosco lo sapremmo» suggerì Tiros.
Alannah annuì, mentre Khalin incoccava una freccia.
«Hai visto qualcosa?» chiese il cacciatore.
«Conosco bene questa foresta, anche se sono stato via a
lungo» rispose il vecchio mentore, «c’è qualcosa di innaturale
nei suoni che sento».
Il silenzio scese a cancellare ogni rumore, ogni aspetto
familiare di quel luogo. Silenzio seguito da urla. Tiros portò
d’istinto lo sguardo sul sentiero che stavano seguendo.
«Il villaggio» urlò, lanciandosi di corsa. Non si assicurò
che i compagni lo stessero seguendo, preoccupato com’era.
Anche se il capo del clan Neiroth – suo padre – era ancora in
vita, sarebbe stato troppo debole per difendere il villaggio.
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Tiros sentiva il peso della responsabilità gravargli sulle spalle
nel rendersi conto di essere in via ufficiosa il Capo tribù.
Ed era certo che qualcosa stesse attaccando la sua gente.
Attraversò svelto gli arbusti, raggiungendo una discesa ripida. Normalmente avrebbe prestato attenzione, ma in quel
frangente decise che la prudenza era un lusso che non poteva
concedesi; balzò su una roccia alcuni passi più in giù, cercando di compensare il peso dello spadone nell’atterrare accucciato. Subito in piedi, sguainò la zweihänder e la gettò al suolo dall’altezza di quattro passi. Alleggerito dal peso dell’arma,
balzò sulle foglie secche, atterrando con una capriola.
Sentì Khalin e Alannah raggiungere la sommità del sentiero da cui era appena saltato.
«Tiros, aspettaci» chiamò la ragazza, ma il cacciatore si limitò a lanciargli un rapido sguardo mentre recuperava la
zweihänder per poi riprendere la corsa. Poche decine di passi
e cominciò a vedere un pennacchio di fumo grigio alzarsi sopra le fronde degli alberi. Si fermò nello sconforto più profondo, con il fiato spezzato dalla fatica.
«Il villaggio… va a fuoco» mormorò, digrignando i denti.
Riprese a correre, superando con prepotenza diversi rami
intrecciati sul cammino, quando infine giunse al limitare della
foresta: le capanne di legno stavano bruciando, alcune erano
già crollate, altre ardevano ancora in piedi. I guerrieri del
Vento di Luna erano rimasti in pochi, difendendosi come
meglio potevano da un flusso impressionante di nemici. Sbigottito da ciò che stava vedendo, Tiros contò a occhio almeno trecento guerrieri in armature d’ossa, e forse una decina di
uomini in vesti nere.
I suoi fratelli non erano più di cinquanta.
Sguainò con rabbia la zweihänder, quando qualcuno gli
afferrò il braccio destro, impedendogli di avanzare. Tiros si
girò ringhiando, trovando l’arto bloccato da diverse liane.
Prima che potesse provare a liberarsi, nuovi filamenti fluirono tutt’intorno a lui, bloccandogli le gambe e l'altro braccio.
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Una forte pressione sui polsi gli fece aprire le mani, disarmandolo dello spadone, mentre la vegetazione che gli bloccava le gambe lo costringeva in ginocchio.
Il figlio del Clan Neiroth fece pressione sulle liane per
strapparle, ma non vi riuscì. Applicò maggiore forza, facendo
pulsare i muscoli per lo sforzo, ma ancora una volta non fu
in grado di spezzare le catene che lo tenevano immobilizzato.
«Alannah! Khalin!» chiamò, certo che i nemici della sua
tribù non avrebbero potuto sentirlo per le urla e il crepitio
del fuoco.
Nessuna risposta.
Con il fiato corto, Tiros afferrò le liane che gli legavano le
braccia e cominciò a tirare con tutta la forza che aveva in
corpo. Quando infine sentì i muscoli cedere alla fatica, abbandonò la presa imprecando.
«Alannah!» urlò. Se solo fossero riusciti a sentirlo, sarebbero stati in grado di liberarlo.
Perché non arrivavano?
Divorato dalla frustrazione riportò lo sguardo sulla scena
atroce che aveva davanti agli occhi. Seppur in lontananza, il
cacciatore riusciva a scorgere le brevi lotte fra i suoi fratelli e
la moltitudine di guerrieri scheletrici. Vide uno dopo l’altro i
compagni crollare, mentre gli uomini dall’abito scuro si avvicinavano ai caduti con movimenti cadenzati. Ogni veste nera
aveva una strana asta, non più lunga di un braccio, con la
quale toccava i cadaveri.
«Osserva, Tiros, figlio di Valdor, del Clan Neiroth del
Vento di Luna» disse una voce anziana, «osserva chi stermina
il tuo popolo».
Tiros si guardò intorno, cercando di scorgere chi avesse
parlato. La voce gli era giunta forte, come se il vecchio che
aveva pronunciato quelle parole si fosse trovato a poche
spanne da lui.
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«Essi non toccano chi è già morto, ma chi è sulla via per
le terre tenebrose. Osserva, figlio del Vento di Luna, osserva».
«Sei tu che mi imprigioni qui?» ringhiò Tiros, strattonando
le liane. «Lasciami andare!»
Alcune radici sorsero dal terreno di fianco a un pioppo,
intrecciandosi nel formare una figura umana. Assunsero il
grigiore di un manto consunto che vestiva un uomo. Il volto
era nascosto da un lungo cappuccio.
«Stai guardando dalla parte sbagliata» disse il vecchio,
mentre un’altra radice sbucava dal terreno, deformandosi in
un bastone nodoso.
«Uccidimi, vecchio, o in nome di Galior ti darò la caccia
fino alla tua morte o alla mia».
«Non invocare gli dèi invano, figlio del Vento di Luna»
sussurrò il vecchio, «e dirigi la collera verso coloro che stanno distruggendo la tua gente».
«Tu sei loro alleato» ringhiò Tiros, «perché altrimenti mi
terresti bloccato qui?»
L’anziano si sorresse al bastone, allontanandosi di qualche
passo prima di scoppiare in una fragorosa risata.
«Hai molta fiducia in te stesso, se credi che la tua sola presenza possa riequilibrare lo scontro. Vali forse centinaia di
guerrieri?»
Tiros strinse i pugni. «Il mio posto è con i miei fratelli».
«In questo caso il tuo posto è fra gli Spiriti».
«E sia» rispose il cacciatore, «lasciami andare, così potrò
dar battaglia prima che sia tutto finito».
Il vecchio guardò in direzione del villaggio, quindi si voltò
verso Tiros. Il cacciatore vide una folta barba spuntare sotto
il cappuccio, e due penetranti occhi verdi.
«Non posso farlo. Anche se non riuscirai a capirlo, è un
favore che faccio a te e ai tuoi compagni».
Tiros s'incupì al riferimento ad Alannah e Khalin, assumendo un’espressione dubbiosa.
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«E perché ti scomodi a farmi questo favore?» chiese il figlio dei Neiroth. Il suo sguardo fu catturato dal vorticare delle fiamme sulle poche case che ancora si reggevano in piedi.
La battaglia era quasi finita.
«Non per benevolenza nei tuoi confronti, Tiros, figlio di
Valdor. Ritengo che sarà desiderio tuo e dei tuoi compagni
vendicare la scomparsa del vostro popolo» spiegò il vecchio
con un sussurro, «e questo è un qualcosa che può tornare utile alla mia causa».
L’anziano fece per allontanarsi nella foresta, camminando
con passo lento e cadenzato.
«Non mi hai ucciso, vecchio» gli urlò dietro Tiros, «non
farò distinzione: che sia nera o grigia la tua tunica, sei mio
nemico quanto loro».
Nel vedere che l’uomo non sembrava intimorito, continuò: «Fa’ in modo che le nostre strade non si incrocino mai».
«Ho altro da predisporre adesso, Tiros del Vento di Luna.
È comunque mia intenzione tornare a farvi visita più avanti.
Aspetta con desiderio quel momento, perché ti saranno rivelate molte cose».
Il vecchio svanì nella foresta come se non fosse mai apparso. Tiros rimase incatenato a quelle liane per ore, fin
quando l’esercito di uomini coperti d’ossa non ebbe lasciato
ciò che rimaneva del villaggio. Il cacciatore osservò la loro
direzione: sud-ovest.
Quando infine se ne furono andati, le liane si ritirarono,
lasciandolo in ginocchio e incapace di muoversi. Il dolore si
mischiò alla rabbia, al desiderio di vendetta.
Con ira strinse la mano intorno all’impugnatura della
zweihänder, mentre il vento carico di cenere lo attraversava
debolmente. Ancora troppo stordito per alzarsi, sentì dei
passi dietro di sé. Sapeva che si trattava di Khalin e Alannah,
ma non mosse nemmeno un muscolo per voltarsi nella loro
direzione.
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Come se fosse ancora imprigionato dalle liane del vecchio,
Tiros rimase in ginocchio, lo sguardo smarrito in ciò che aveva visto.
In ciò che aveva perso.
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