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cOSA STAI LEGGENDO?
Di Simona Mastrangelo
I più letti da Giovani.it
46
Di Enrico Mainero
Un thriller così bello non lo leggevo da un po’. E se anche Carlo
Lucarelli ne ha parlato in termini
estremamente positivi, evidentemente non sono la sola a pensarla in questo modo. Patrick Fogli,
al suo esordio
letterario, ha
costruito una
storia avvincente,
ricca di suspence e colpi di
scena. La trama
è complicata, si
snoda tra Bologna e la Sicilia
e vede agire
una moltitudine
di personaggi,
tra principali e
secondari, le cui
vite, in qualche
modo, si rivelano
legate da fili sottili. Sottili d’accordo, ma taglienti. Fili che a volte possono girare
intorno alla gola e stringersi fino a
diventare un cappio mortale. Per
fermare la scia di sangue e morte
che lo circonda, il commissario
Gabriele Riccardi deve pensare velocemente, penetrare nella
mente perversa del suo avversario e prevedere le sue mosse
in tempo utile per bloccarne gli
effetti esiziali. Come in una partita
a scacchi. Solo che il commissario gioca su due piani paralleli: da una parte c’è il suo ruolo
sociale di poliziotto sulle tracce
di un killer spietato; dall’altra c’è
il suo lato umano che lo spinge a
lottare disperatamente contro il
tempo per salvare Alice, la donna
che ama. Quest’ultima è in coma
da diversi giorni per aver mangiato un cioccolatino in cui qualcuno
aveva inoculato un batterio altamente tossico. Tutto ciò avviene
mentre Gaspare Nunia, un mafioso detenuto in un carcere di mas-
sima sicurezza, riesce ad evadere simulando una colica renale.
La sua fuga innesca una catena
di eventi che si susseguono a
un ritmo incalzante, tinteggiando
la narrazione del colore del sangue. Gaspare Nunia è fuggito
dal carcere per soddisfare il suo
desiderio di vendetta e chiudere
i conti col passato. Il suo obiettivo numero uno è colpire l’uomo
che gli ha sterminato la famiglia.
Storie di mafia.
Ma poi ci sarebbe da sistemare
il poliziotto che
lo ha incastrato
e che, per errore, ha ucciso
la sua ragazza,
Teresa, vittima
innocente di un
pericoloso gioco
t r a g u a rd i e e
ladri. Se il nome
di quel poliziotto è Gabriele
Riccardi, allora i
conti sembrano
tornare. Alice è il
prezzo da pagare per aver stroncato la vita di Teresa. Occhio per
occhio e dente per dente. Ma la
realtà è molto più complicata e lo
stesso Gaspare Nunia, assassino
spietato, non è che una pedina manovrata da un giocatore
molto più abile e insidioso. Una
sorta di scienziato, un killer freddo e meticoloso che gioca a fare
il piccolo chimico e sintetizza nel
suo laboratorio virus letali e sconosciuti. Inseguendo ancora una
volta una vendetta da consumare lentamente. Delle storie a
incastro, come le scatole cinesi,
congegnate per catturare l’attenzione del lettore e tenerla viva,
in un crescendo di tensione, per
tutte le quattrocento e oltre pagine del romanzo. La prosa alterna
momenti di rapida essenzialità
a momenti in cui la narrazione
sembra procedere per immagini
e avvolgersi attorno ad esse per
trasmettere delle sensazioni. Da
leggere quanto prima!
47
1) Giorgia
2) Anastacia
3) Elisa
4) Whitney Houston
5) Nelly Furtado
1) Gomorra - Roberto Saviano
2) Meno male che ci sei - Maria Daniela Ranieri
3) Il cacciatore di aquiloni - Khaled Hosseini
4) Tu più di chiunque altro - Miranda July
5) La scomparsa dei fatti - Marco Travaglio
LENTAMENTE PRIMA
DI MORIRE
Patrick Fogli
Edizioni Piemme
“UGOLE ROSA”
La voce femminile più bella
CIAO AMORE, CIAO AMORE, CIAO!
Cécile Slanka
Kowalski
Cento modi per dirgli ti lascio. Una raccolta
di frasi e pensieri per mollare il vostro uomo
con stile. Più o meno, nel senso che alcune di queste uscite di scena sono proprio
di pessimo gusto, insomma, cadute di stile,
per la verità. Ma almeno fanno ridere, o quanto meno sorridere. C’è la tipa delusa “ quando ci siamo conosciuti non volevo
esserti amica perché ti desideravo come amante. Ma da quando
sono diventata la tua amante mi chiedo se invece tu non avessi
ragione fin dall’inizio: non sarebbe meglio se fossimo solo amici?
Senza offesa…”. E c’è quella sadica “caro Ettore, so per esperienza che la cosa più dolorosa, quando si viene lasciati, è non
comprenderne le ragioni. Quindi non ti spiegherò le mie”. Anche
se, per dirla proprio tutta, a leggerne un po’ di queste frasi si finisce per pensare a delle donnine più o meno frustrate che, dopo
essere state mollate, si mettono lì e scrivono quello che nella loro
testa, a parti invertite, avrebbero voluto dire ai rispettivi ex. Se
ne avessero avuto il coraggio. O magari la possibilità. Uno sfogo
post rottura? Chissà. Comunque, senza starci tanto a pensare
su, è un libro che può essere piacevole da sfogliare, magari sull’autobus!
MARK 2.0
Chris Farnell
Fazi Editore
A volte ritornano. Leggendo questo romanzo
viene subito in mente il titolo della raccolta di
Stephen King. Sì, perché Mark 2.0 significa che
Mark è tornato, dopo la morte, con un corpo
tutto nuovo e soprattutto sano. Il vecchio Mark,
quello morto, per intenderci, era un ragazzino
malato. Dopo la sua scomparsa i genitori si sono
rivolti ad una compagnia specializzata nella clonazione di esseri
umani e in capo a qualche mese hanno ricevuto a casa questa
versione di Mark, nuova di zecca e senza difetti di fabbricazione.
Il clone, grazie alla tecnica dell’Apprendimento Veloce, ha incamerato tutti i ricordi di Mark e ha imparato a usare il suo stesso
linguaggio. I genitori, storditi dal dolore, si godono il clone come
se fosse veramente loro figlio. Ma Phil, il suo migliore amico e
Lauren, la sorellina più piccola, arricciano il naso perché sentono
puzza di bruciato. Mark 2.0 è geneticamente identico all’altro,
anzi migliore, dal momento che è in salute, ma per il resto? Il
carattere, i pensieri, le sensazioni del vecchio Mark, dove sono
finite? Si può voler bene al clone e fingere che nulla sia cambiato? Molte di queste domande rimangono in sospeso ed altre
trovano una risposta solamente quando vengono alla luce verità
angosciose. Il libro di Chris Farnell ha dei limiti: la caratterizzazione dei personaggi è a tratti superficiale e la narrazione procede
per blocchi scarsamente armonizzati.
HAPPY MONDAYS
Uncle Dysfunktional
KULA SHAKER
Strangefolk
WILCO
Sky blue sky
Una band che potrebbe porsi come
esempio storico per un movimento epocale che cambiò per sempre la musica
inglese. Stiamo parlando di “Madchester”
a fine anni ‘80: l’inghilterra è in ginocchio
e cresce l’alienazione giovanile. I ragazzi
annegano le proprie frustrazioni in una
musica allucinata e allucinante, dalle
fosche inclinazioni e dalle dubbie certezze. La musica di cui si fanno portavoce
gruppi come gli Happy Mondays, è una
musica ibrida che discioglie elementi
elettronici in movimenti chitarristici anche
abbastanza energici. Passano quasi
quindici anni di anonimato e Shaun Ryder
decide oggi di riesumare il vecchio nome
per tornare sulle scene. La band parte
subito in quarta e sembra stupire. Jellybean (prima traccia del lotto) fa gridare al
miracolo; un lento incedere di bassi pulsanti si intersecano a lamenti elettronici
che rendono l’atmosfera acre e fascinosa
allo stesso tempo. Il cantato e l’accompagnamento chitarristico ricorda da vicino le
vittorie raggiunte dai Primal Scream con
Screamadelica all’inizio degli anni ’90. Un
approccio Dance negli arrangiamenti si
fonde in maniera perfetta alle inclinazioni
Pop-rock delle melodie. L’album non si
fa imbrigliare però sotto un solo schema
percettivo e finisce che l’ascoltatore si
trovi piutosto spiazzato, viaggiando tra
buoni momenti di Garage Rock (In The
Blood è forse in questo senso la traccia
che più si affida al modello classico di
forma canzone) ed episodi di dubbia utilità (Weather rappresenta in effetti tutto
quello che non va in questo disco, districandosi tra una batteria sintetica che alla
lunga stanca e un cantato debole e prevedibile). Un disco che difficilmente verrà
amato al rimo ascolto.
I più li ricorderanno come gli ultimi pionieri di un Brit Pop che non c’è più,
come gli ultimi esponenti di una scena
che cambiò l’Inghilterra intorno alla metà
degli anni ’90. A undici anni dal debutto e a otto da “Peasants, Pigs & Astronauts” la band londinese capitanata da
Crispian Mills torna ora con un disco
che non cambierà certo la storia della
musica, ma che si mostra senza paura
per quello che è: puro intrattenimento
Pop. La formazione inglese ripropone i
costrutti che tanto portarono fortuna nei
’90 e non sbaglia il colpo; il lavoro fonda
la sua forza tra l’equilibrio che intercorre
tra le soluzioni Pop-Rock di stampo Indie
(Out on the Highway viaggia tra melodie
accattivanti, condite efficacemente da
chitarre vigorose) e i fraseggi più psichedelici (la traccia che dà il titolo al disco
si mostra come uno sfogo parlato che
si distende su un sottofondo di arpeggi
orientaleggianti). I bassi pulsanti di Song
Of Love si intrecciano piacevolente con
il lento incedere della voce (che pare
anch’essa essere indecisa se calcare
le orme di un Liam Gallagher ancor più
isterico oppure di accontentarsi di una
timbrica più tenera e rilassata). Le continue scorribande di un Hammond davvero ben incastonato nei pezzi, l’energia
che scaturisce dalle sei corde (subito
sedata da puntuali inframezzi strumentali dal sapore d’oriente) e una certa
voglia di riscatto che pervade l’intero
lotto di pezzi, consegna alla critica un
lavoro onesto e ben riuscito. Non certo
originale e coraggioso ma molto fruibile.
Crediamo del resto che nel 2007 essere
originale faccia ormai rima con il seguire
le proprie inclinazioni artistiche, ignorando le mode e le tendenze.
Prima o poi tutte le band di successo incappano
nelle crepe d’approvazione che il tempo insinua
nella loro carriera. È quanto è successo ai Wilco
di Jeff Tweedy (fondati nel 1994 sulle ceneri degli
Uncle Tupelo). Il gruppo propone oggi, dopo
tre anni d’attesa, “Sky blue sky”, un disco piuttosto maturo e raffinato che mal si sposa con il
passato da rivoluzionari (in ambito musicale) dei
giovani musicisti in questione. Come da copione
il disco divide dunque i fan della prima ora. C’è
chi per esempio non vede di buon occhio la pulizia e la bontà (intesa come pacatezza d’intenti)
di certi passaggi e chi dunque rimpiange l’elettricità di un fulgido passato che non esiste più.
Noi invece ci schieriamo con la dolce genialità di
pezzi come You are my face, costruiti attorno a
semplici giri d’accordi di piano e chitarra (conditi efficacemente dall’approccio vocale di Jeff
Tweedy, sempre delicatamente delizioso). Pop,
Folk, e leggere inclinazioni all’elettronica rendono il disco un’opera da ascoltare con attenzione
e da gustare con estrema cura. Nulla è lasciato
al caso. Il lavoro risulta ben suonato e ben arrangiato; sebbene non manchino stralci di infuocata
dedizione chitarristica, il meglio della band viene
fuori in pezzi sussurrati come Sky blue sky. Il
pezzo che da’ il nome al disco si pone a metà
strada tra i Coldplay più ispirati e i Radiohead più
intimisti. Arpeggi spettrali reggono il filo di una
melodia che prende allo stomaco tanto è diretta
e ben strutturata. Hate it here richiama poi alla
mente le soluzioni adottate qua e la dai Beatles
nel corso della loro carriera. Chitarra e voce si
rincorrono piacevolmente tra corde pizzicate con
rigore e vocalizzi che sembrano più un deliro che
una performance vocale. L’atmosfera del disco
dunque non si discosta mai da quella che sembra una dolce passeggiata in compagnia in riva
ad un bel lago. A voi giudicare se ciò rappresenti
un bene o un male; noi nel frattempo promuoveremo sempre dischi così raffinati e coinvolgeni
come questo.