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Anno VI - Numero 26 - Mercoledì 1 febbraio 2017
Direttore: Francesco Storace
Roma, via Giovanni Paisiello n. 40
Politica
Attualità
Roma
Bersani pronto
a lasciare la ditta
Strage di Viareggio,
ecco le condanne
Questione stadio,
Raggi al palo
Vignola a pag. 2
Sarra a pag. 5
Fruch a pag. 4
IL 25 MARZO GRANDE CORTEO PER LE STRADE DI ROMA
di Gianni Alemanno
ì, il 25 marzo saranno proprio lì, in Campidoglio, nel
cuore della nostra Roma. Si
chiamano Angela Merkel,
Jean Claude Juncker, Francois Hollande e tutti i leader dell’Unione europea. Ci sarà anche
Gentiloni, ma non se ne accorgerà
nessuno. Motivo del summit: la celebrazione del 60° anniversario della
firma dei Trattati di Roma, quelli istitutivi della Comunità europea, che
avvenne proprio nella magnifica
Sala degli Orazi e Curiazi del Campidoglio. Fu l’atto di nascita di quella
lunga e intricata vicenda che ci ha
portato nel vicolo cieco di un apparato burocratico europeo sostanzialmente asservito alle indicazioni politiche della Germania della Merkel
e delle dinamiche tecnocratiche delle lobby economiche di Bruxelles. I
Trattati di Roma firmati 60 anni fa
erano imperfetti: risentivano troppo
di quel Manifesto di Ventotene intestato ad Altiero Spinelli, che tutti
esaltano ma che probabilmente nessuno ha letto. In quel manifesto c’era
già il seme dell’errore: l’idea di un
Super-Stato federale che imbrigliasse e poi cancellasse le Nazioni europee colpevoli - nella visione di
Spinelli - di aver provocato due
guerre mondiali.
I Trattati di Roma, però, mitigavano
questa tendenza negativa lasciando
ancora molto spazio e dignità alle
appartenenze nazionali. Questo anche perché in quegli anni era ancora
vivo e operante Charles De Gaulle,
alfiere dell’“Europa dei popoli e
delle Nazioni”. Nel corso di questi
60 anni, sotto la spinta delle ideologie
liberiste e progressiste, la parte positiva dei Trattati è stata tradita per
essere integralmente sostituita dalle
logiche anti-nazionali delle tecnocrazie comunitarie.
Per questo il 25 marzo ci saremo
anche noi, non nelle meravigliose
S
NO A QUESTA EUROPA
La bandiera giusta è quella della sovranità nazionale
stanze del Campidoglio, ma in mezzo
alla strada, in un grande corteo che
con Azione nazionale e La Destra di
Storace, ormai unite in vista del
nostro Congresso di Fondazione, abbiamo indetto da Santa Maria Maggiore fino a via dei Fori Imperiali e
al Colle fatale. Il corteo ha un titolo
chiaro: “No a questa Europa”, per
condannare il tradimento dei Trattati
di Roma e dei sogni di civiltà dei
popoli europei, ma soprattutto per
dire ai cittadini italiani che se oggi
manca lavoro, non c’è sviluppo e
non c’è controllo dell’immigrazione,
la colpa è innanzitutto dell’Euro e
dell’Unione europea.
Noi speriamo che questo corteo non
sia solo nostro: vorremmo che nelle
prossime settimane nascesse un comitato unitario di tutte le forze sovraniste italiane ed europee che devono manifestare insieme perché la
posta in gioco è troppo importante.
La riconquista della sovranità nazionale e popolare non consente a
nessuno di giocare sul settarismo e
sulle divisioni. Per questo sabato
scorso abbiamo aderito al corteo
di Giorgia Meloni per l’Italia sovrana,
anche se gli organizzatori non ci
avevano ufficialmente invitato.
Noi vogliamo, invece, non solo invitare ma corresponsabilizzare pienamente tutti i movimenti sovranisti
nell’organizzazione e nella gestione
politica di questa grande manifestazione. Sarebbe bello vedere non
solo noi, ma Salvini, Meloni, Fitto,
Marine Le Pen, Geert Wilders, Frauke
Petry, sfilare in prima fila a rappresentare un’altra Europa. Quando sia-
mo andati in Questura a depositare
il preavviso del corteo, ci hanno informato che tutte le altre piazze
erano già occupate da movimenti
di sinistra, anche loro impegnati a
protestare non si sa bene su cosa.
Sta quindi a noi sventolare la bandiera giusta, che è quella della sovranità nazionale. Farlo tutti insieme
sarebbe la premessa simbolica per
vincere non solo le elezioni italiane,
ma quelle olandesi (che ci saranno
già state), francesi e tedesche. Coraggio…è il nostro momento.
STOCCOLMA RIPENSA LE SCELTE MILITARI. E INTANTO SI ADDESTRA CON L’ITALIA…
DISOCCUPAZIONE GIOVANILE ALLE STELLE
Torna la leva obbligatoria. In Svezia
Divieto di futuro
Calvo a pag. 3
LICENZIATA LA MINISTRA DI OBAMA
Trump fa Giustizia
Di Giorgi a pag. 6
rosse tracce nelle vicende belliche la
Svezia non ne ha mai lasciate nel corso
dei secoli. Compresa quella seconda
guerra mondiale che pure in qualche maniera
incendiò la vicina Finlandia, mentre Stoccolma
si distinse sempre per la sua neutralità. Eppure
adesso la Svezia, dopo averla abolita neanche
sette anni fa, torna sui suoi passi e ripristina
la leva obbligatoria, per ricostituire un esercito
degno di questo nome.
Il reclutamento di ragazzi e ragazze svedesi riguarderà i nati a partire dal 1999 ei ricomincerà
a luglio. I nuovi militari – almeno quattromila
all’anno - saranno così pronti per l’inizio del
2018.
In Svezia hanno fatto due conti e hanno
scoperto di ritrovarsi con appena 5.300 soldati,
numero destinato ancora a scendere senza
una leva obbligatoria, mentre i riservisti non
sono neppure 4.000, quando ne servirebbero
almeno 10.400.
Per carità, la Svezia non sta subendo alcuna
minaccia concreta da parte di Paesi esteri,
G
neppure confinanti, lassù nella placida Scandinavia. E non regge più di tanto la tesi che il
vicino russo ha in animo di allargarsi, chissà
come e chissà dove.
Ci sono però un paio di dati che arrivano dalla
lontana Stoccolma e che in qualche modo potrebbero riguardarci: dalla fine del 2015 la
Svezia ha cambiato atteggiamento nelle politiche
di accoglienza dei migranti: dopo aver allargato
a dismisura i confini, soprattutto nei confronti
dei siriani, adesso anche da quelle parti ci si
sta rendendo conto che la “rotta balcanica”
costituisce anche un pericolo, con le decine di
migliaia di richieste di asilo non sempre e non
solo pacifiche. Le richieste di asilo sono state
tantissime, anche troppe se rapportate al
numero di abitanti; e quindi il governo svedese
ha cominciato ad avere difficoltà nella gestione
e ha introdotto nuovi controlli.
L’altro elemento, che gli svedesi hanno già
considerato, è che un’Europa sguarnita (tanti
sono i Paesi che hanno eliminato la leva obbligatoria) potrebbe causare problemi anche
al trio di nazioni composto da Finlandia e Norvegia, oltre alla stessa Svezia.
E il “vento svedese” comincia a soffiare anche
più a sud: pure la Francia sta riconsiderando
l’ipotesi di tornare al servizio militare obbligatorio. E pure da noi c’è chi si comincia a
muovere in tal senso. Nelle settimane scorse
c’è stato un primo scambio di esercitazioni tra
esercito italiano e svedese: entrambi ora ridotti
un po’ all’osso, ma se Roma prendesse spunto
Igor Traboni
da Stoccolma?
2
8
ATTUALITA’
Mercoledì 1 febbraio 2017
I GUAI DEL PD
Bersani non garantisce più la “ditta”
Altri segnali di insofferenza dopo le minacce di scissione di D’Alema: lo snodo sarà la direzione del 13 febbraio
di Robert Vignola
P
otrebbe essere soltanto
l’ennesimo “penultimatum”. Oppure il segnale
che in molti aspettavano
per dar vita a quella
scissione del Pd a cui starebbe lavorando Massimo D’Alema, che
ha già agitato lo spettro di una
sua lista alle elezioni politiche. Ma
non è solo una questione “pugliese”, visto che Michele Emiliano
potrebbe essere la punta di diamante del movimento.
Che Pierluigi Bersani possa avere
una forza interna al partito capace
di mettere in difficoltà Matteo Renzi
è un dato di fatto, così come che
tra i due i momenti di reale sinergia
politica non superino quelli di uno
scontro più o meno aperto. Naturalmente tutto si muove sullo sfondo
di una decisione da prendere: quella sulla legge elettorale, che condizionerebbe due punti dolenti e
mai chiariti dei dem: la composizione delle liste elettorali (e quindi
il… posto di lavoro nella “ditta”,
per mutuare una definizione cara
proprio a Bersani) e la messa a
punto delle alleanze. Va da sé che
quindi la minoranza interna al partito veda malissimo l’accelerazione
che Renzi pare voler dare alle ele-
zioni anticipate. “Non minaccio
nulla né garantisco nulla. Dirò quello che penso a partire dal problema
che si chiama Italia”: le parole che
alcuni cronisti sono stati in grado
di strappargli alla Camera confermano lo scenario. Quale? Il possibile cambio di strategia all’orizzonte, visto come unica garanzia
di sopravvivenza: finora i bersaniani
hanno sempre combattuto le loro
battaglie dentro al Pd, Bersani ha
chiesto però, in materia di modifiche all’Italicum, di restituire la parola al Parlamento e allontanare le
elezioni. L’ultimo candidato ufficiale
alla presidenza del consiglio insiste
poi con il Congresso. Non a caso,
perché là potrebbe costringere
Renzi al compromesso.
Sostiene ad esempio Davide Zoggia: “Se alla Direzione del 13 febbraio, Renzi ci porta al voto anticipato, ma come facciamo noi della
minoranza a metterci a fare campagna elettorale per Renzi? Che
diciamo? Abbiamo sbagliato tutto
sul referendum, sul jobs act? Senza
un momento di confronto, senza
un congresso, è uno scenario politicamente insostenibile”.
Chissà allora che un ruolo chiave
non possa giocarlo l’attuale premier
Gentiloni. Il riferimento di Bersani
al “problema Italia” pare proprio
voler mettere il governo nelle condizioni di durare a lungo, pensando
alle tante emergenze. Una parola
d’ordine che trova vasta eco anche
(e soprattutto) al di fuori del Pd.
IL RETROSCENA
Via dall’euro: la Lega ha un piano
Salvini alla presentazione di un libro di Bagnai: “Su questo il Parlamento dovrebbe unirsi”
scire dall’euro: cosa non
impossibile, perché l’entrata nella moneta unica
non è “irreversibile”, come dicono
tanti bene informati accostandola
freudianamente ad un coma. Ma
è importante essere preparati. E
proprio a ciò sta lavorando, anzi
ha già lavorato, un cospicuo
team di economisti di università
italiane e non. Uno squarcio di
ciò c’è stato ieri sera alla presentazione di “Oltre l'euro, per
tornare grandi”, dell’economista
di sinistra Alberto Bagnai. A presentarlo era però Matteo Salvini,
U
il segretario federale della Lega
Nord, sotto l’egida del gruppo
degli euroscettici Enf (Europa
delle nazioni e della libertà).
“Non ci alleeremo con nessuno
che sostiene questa folle Unione
europea - ha chiarito Salvini l'euro è stato uno dei più grandi
crimini economico e sociali compiuti davanti all'umanità”. Secondo
il leader del Carroccio quella portata avanti dagli euroscettici è
“una campagna di verità. Chi nega
che l'uscita dall'euro sia necessaria
è ingenuo, prezzolato o in malafede
e noi non ci alleiamo con chi è
ingenuo, prezzolato o in malafede”.
In conferenza stampa con il responsabile economico Claudio
Borghi Aquilini e l'europarlamentare Marco Zanni, ex Cinque Stelle
da poco confluito nel gruppo Enf,
Salvini ha auspicato che “su questo tutto il Parlamento si unisca.
Chiunque si voglia alleare con
noi deve condividere parte fondante di questo libricino”.
Al suo fianco, come detto, Claudio Borghi Aquilini che ha illustrato parte del piano. Nel quale
spicca una misura che, già di
per sé, basterebbe a risollevare
quell’economia nazionale da
troppo tempo asfittica: il “pagamento immediato di tutti i
debiti della Pubblica amministrazione in titoli di Stato di
piccolo taglio”, liberamente trasferibili, con cui si possono pagare le tasse. “L'uscita dall'euro
- ha sostenuto, dal canto suo
Zanni - è una condizione necessaria ma non sufficiente: noi
abbiamo un piano oltre l'euro.
Chi non ha un piano B è un
folle, perché il futuro per l'Italia,
se rimaniamo in questo progetto, sarà la Grecia”.
IMMIGRAZIONE
ISLAM RADICALE
CasaPound: “Nessun rispetto
a chi abbandona le famiglie”
Il Veneto ci prova: approvata
in consiglio la legge anti-burqa
otrebbe anche non essere la lingua
della politically correctness. Ma somiglia
a quella del buon senso. “Chi scappa
dalla guerra, abbandonando genitori, moglie
e figli non merita rispetto!”: è il testo degli
striscioni, a firma CasaPound Italia, apparsi
in un centinaio di città italiane da nord a sud.
“In tanti potranno giudicare il nostro un
messaggio 'choc' - spiega l'organizzazione
in una nota - ma chi non ha fatto dell'ipocrisia
la propria bandiera sa che non è possibile
mettere sullo stesso piano chi abbandona
P
paese e famiglia al proprio destino per
scappare in Europa in cerca di benessere e
chi sceglie di resistere e combattere per la
libertà del suo popolo”.
“È per questo che il nostro rispetto - aggiungono – va ai siriani che vediamo combattere ogni giorno nell'esercito regolare del
presidente Bashar al Assad per difendere la
loro Nazione dall'oscurantismo dell'Isis, più
che ai tanti "migranti" in fuga in Italia alla ricerca di sussidi e assistenza che nel loro
paese non hanno lottato per ottenere”.
l Consiglio regionale del Veneto ha approvato il progetto di legge nazionale
sul divieto di indossare indumenti che
rendano difficoltoso il riconoscimento del
volto, noto come provvedimento 'anti burqa'.
Con 31 voti a favore (Lega Nord-Gruppo
Zaia Presidente-Lista Tosi-Veneto del FareVeneto Civico), otto contrari (Pd, Moretti
Presidente e consigliere regionale Patrizia
Bartelle M5S) quattro non partecipanti al
voto (consiglieri M5S). La
proposta di legge vieta di
indossare indumenti che
rendano difficoltoso il riconoscimento del volto,
ma inserisce anche la proposta di modifica del Codice penale con l'introduzione del reato di "Costrizione all'occultamento del
volto". Ora il provvedi-
I
mento, che univa due diverse proposte di
legge, una avanzata dal consigliere Sergio
Berlato (FdI-An Mcr) l'altra con primo firmatario Alberto Villanova (Gruppo Zaia
Presidente), verrà inviato al Parlamento
nazionale. Anche se non mancano le critiche,
guarda caso da quel movimento penta stellato che si è spaccato al momento del
voto, con la consigliera Bartelle che parla
di “discriminazione”.
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Mercoledì 1 febbraio 2017
ATTUALITA’
DISOCCUPAZIONE AL 12% E TRA I GIOVANI RISALE SOPRA IL 40%
Il non lavoro non nobilita l’uomo
L’Istat certifica il totale insuccesso delle politiche economiche del governo Renzi. Gentiloni è avvisato
LO SDEGNO DELLA LEGA
Saltamartini: “E’ un
bollettino di guerra”
di Marco Zappa
A
(quasi) tre anni da quell’insuccesso chiamato
Jobs Act la disoccupazione è ferma al 12% (il
livello più alto da giugno
2015) mentre quella giovanile continua a salire e a dicembre ha sfondato il muro del 40% (40,1). Sono
questi i risultati catastrofici raggiunti dall’esecutivo Renzi che testimoniano, se ancora ce ne fosse
bisogno, la disfatta dell’ex premier
e del confermato (anche nel governo Gentiloni) ministro del Lavoro Poletti.
I dati dell’Istat rappresentano una
catastrofe annunciata che dopo
anni di chiacchiere e promesse
(dell’ex esecutivo) rimaste lettera
morta s’è “finalmente” materializzata. Fine del 2016 da horror,
per il Rottamatore. E non solo per
via delle sue dimissioni. Ma per
tutti quegli indicatori economici
che continuano a sbugiardarlo, fotografando quella che è l’amara
realtà: deprimente.
Tempi duri per Gentiloni. Che
deve fare i conti con quel tasso di
disoccupazione dei 15-24enni salito a livelli inimmaginabili. Le politiche del lavoro adottate dal suo
predecessore si sono rivelate un
fallimento e continuare sulla stessa
lunghezza d’onda non è certo possibile. I risultati devastanti dovrebbero portare l’attuale ministro del
Welfare a importanti riflessioni
circa un passo indietro che per
molti appare inevitabile. Ma anche
il nuovo presidente del Consiglio
è invitato a meditare attentamente.
Perché così continuando si rischia
il disastro più totale.
Quello dei ragazzi senza una occupazione è un dramma sociale
che necessita di una soluzione immediata. Tra giovani sempre più
in fuga verso paesi che hanno dimostrato di sapere investire sulle
nostre eccellenze e “pischelli” che
trovano solo nella loro famiglia il
rifugio da crisi e disoccupazione.
Con la “paghetta” di mamma e
papà (pochi nuclei ormai possono
permettersela) che rappresenta
l’unica magrissima consolazione
dal sapore amarissimo.
Millennials ma non solo. Perché i
disoccupati rappresentano un esercito di 3.103.000 persone, in aumento di 9.000 unità su novembre
e di 144.000 su dicembre 2015.
Con il tasso di inattività stabile sui
minimi storici al 34,8%.
La commedia renziana è finita e
adesso lo “spettacolo” da comico
è diventato desolante. In un Paese
che ha dimostrato coi fatti di non
credere non solo nei giovani ma
na Repubblica fondata sul non lavoro. Con la disoccupazione giovanile che è tornata a superare il
40% provocando le reazioni e lo sdegno
non solo dell’opinione pubblica, ma anche
della politica. Con il Carroccio che attraverso Barbara Saltamartini, vicepresidente
alla Camera della Lega-NCS, chiede un
immediato cambio di passo: “Oltre il
40% dei giovani è a casa senza lavoro. È
un bollettino di guerra. Uno scempio –
l’attacco della deputata - che condanna i
ragazzi italiani a vivere in condizioni disagiate e senza speranza. Questo è il
U
frutto delle politiche scellerate del governo
a guida Renzi e del suo gemello Gentiloni.
Il fallimento del Jobs act è sotto gli occhi
di tutti: non ci sono investimenti su innovazione e ricerca, non ci sono politiche
di sviluppo industriale ma in compenso
abbiamo un utilizzo smodato dei voucher,
simbolo per eccellenza del precariato
selvaggio. Serve un cambio di rotta immediato se non vogliamo affondare. Chi
ha fatto solo danni è giusto che vada subito a casa. Si voti voto subito per
mettere in campo un’alternativa seria e
ridare futuro ai giovani e al Paese”.
negli italiani in generale. Stretti nella
morsa di una crisi infinita e alle
prese con una disoccupazione dilagante che continua a mostrarsi
spietata. Servono politiche giuste
ed efficaci. Oltre a un’inversione di
tendenza netta e decisa rispetto all’operato di Renzi che ha lasciato
sul terreno sporco polemiche ma
soprattutto voucher e precariato.
FERMATE QUATTRO PERSONE (DUE CONVERTITE ALL’ISLAM), TRA QUESTE ANCHE L’AMMINISTRATORE DELEGATO DI SOCIETÀ ITALIANA ELICOTTERI
Traffico d’armi con Iran e Libia:
arrestati italiani “radicalizzati”
L’inchiesta dei pm di Napoli parte da un’indagine sui rapporti tra il clan dei Casalesi e la mala del Brenta
n presunto traffico di armi
da guerra destinato all’Iran e a un gruppo legato
all’Isis attivo in Libia. Fucili d’assalto, missili terra-aria e anticarro, prodotti da Paesi dell’ex
blocco sovietico. Ma anche
eliambulanze trasformate in elicotteri d’assalto. Un giro pericolosissimo d’affari che secondo
gli inquirenti vedeva protagoniste
pure la mala del Brenta e i Casalesi. E ancora: soldati del Califfato e mercenari sospettati di
muovere armi in tutto il mondo.
Ma soprattutto una coppia napoletana (di San Giorgio a Cremano, Mario Di Leva e Annamaria Fontana) convertitasi all’Islam e finita in manette che
in salotto sfoggiava una foto
ricordo con l’ex premier iraniano
Ahmadinejad. Nei guai (indagato
a piede libero) anche il figlio
Luca e un libico tutto ora irreperibile, Mogamud Alì Shawish.
U
Sono questi gli effetti di un’inchiesta della Dda di Napoli che
ha provocato sequestri e accertamenti in tutta Italia: da Ve-
nezia a Roma passando pure
per l’Aquila e Salerno. Al centro
delle indagini anche l’amministratore delegato della Società
Italiana Elicotteri, Andrea Pardi
(arrestato), già coinvolto precedentemente in un’altra inchiesta sul traffico di armi e reclu-
tamento di mercenari tra Italia
e Somalia. E’ proprio da quel
procedimento che ha preso
spunto l’indagine dei pm partenopei, che ieri ha portato al
fermo di quattro persone accusate di traffico internazionale di
armi e di materiale “dual use”,
di produzione straniera. E di
aver introdotto elicotteri e missili
in paesi soggetti ad embargo
senza le necessarie autorizzazioni ministeriali. Presunti reati
che sarebbero stati commessi
tra il 2011 e il 2015.
Per gli inquirenti - stando alle
intercettazioni agli atti dell’inchiesta - i coniugi Di Leva sarebbero addirittura stati in contatto con i rapitori dei quattro
italiani sequestrati in Libia nel
2015. Una storiaccia, quella, che
s’è conclusa lo scorso marzo
con la morte di Fausto Piano e
Salvatore Failla. E la fuga di Gino
Pollicandro e Filippo Calcagno.
L’indagine nasce appunto nel
2011 quando gli investigatori
hanno scoperto che una persona
appartenente ad un clan camorristico dell’area casalese era
stata contattata da un affiliato
alla mala del Brenta con precedenti per traffico d’armi. Quest’ultima sarebbe stata infatti
alla ricerca di uomini esperti di
armamenti da inviare alle Seychelles per l’addestramento di
un battaglione di somali. Gli approfondimenti avrebbero permesso di ricostruire una mappa
internazionale del commercio di
armi di produzione estera. Attraverso attività connesse con
il commercio mondiale avvalendosi di società con sedi pure in
Ucraina e Tunisia. Un affare milionario, stando alle ipotesi dei
pm, davvero sconvolgente. In
un’indagine che, però, potrebbe
avere ancora molto da dire. Dai
potenziali effetti devastanti.
4
ATTUALITA’
Mercoledì 1 febbraio 2017
A OTTO ANNI DAL TERRIBILE INCIDENTE, COSTATO LA VITA A TRENTADUE PERSONE
Viareggio, condannati
i manager delle Ferrovie
Sette anni agli ex amministratori Mauro Moretti, Michele Elia e Vincenzo Soprano. Pene
più pesanti per i responsabili della Gatx Rail, la società che aveva affittato i carri cisterna
di Barbara Fruch
rano le 23,48 del 29 giugno 2009, quando il deragliamento del treno
merci 50325 Trecate-Gricignano alla stazione di
Viareggio e la conseguente fuoriuscita di gas da una cisterna contenente Gpl perforatasi nell’urto, causò
forti esplosioni ed un imponente incendio che distrusse molte case.
Morirono 32 persone e ne rimasero
ferite altre 25.
A otto anni da quella strage è arrivata
la sentenza di primo grado. Il Tribunale di Lucca, presieduto da Gerardo
Boragine, ha condannato a sette anni
l’ex amministratore di Ferrovie Mauro
Moretti, nella veste di ex ad di Rfi, e
Michele Mario Elia, ex amministratore delegato di Rete ferroviaria italiana; l’accusa ne aveva chiesti rispettivamente 16 e 15. Comminata
la pena a 7 anni e 6 mesi anche a
Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia
e di Fs Logistica e sette anni a Mario
Castaldo, come direttore della Divisione Trenitalia Cargo.
Sul banco degli imputati c’erano 33
persone e 9 società. L’accusa per
tutti a vario titolo era di disastro ferroviario, incendio colposo, omicidio
E
colposo plurimo, lesioni personali.
Le condanne più pesanti sono state
inflitte ai responsabili della Gatx
Rail, la società che aveva affittato i
carri cisterna alle Ferrovie dello
Stato. Nove anni e sei mesi a Rainer
Kogelheide, amministratore di Gatx
Rail Germania, e a Peter Linowski,
responsabile sistemi di manutenzione di Gatx Rail Germania. Nove
anni anche per Johannes Mansbarth,
amministratore delegato di Gatx Rail
Austria, e Uwe Konnecke, responsabile delle Officine Jungenthal di
Hannover. Otto anni invece per Andreas Schroter delle Officine Jungenthal, e Helmut Brodel e Uwe
Kriebel, sempre della Jungenthal.
Gli altri condannati sono Giuseppe
Pacchioni (7 anni), Daniele Gobbi
Frattini (6 anni e 6 mesi), Paolo Pizzadini (6 anni e 6 mesi), Emilio Maestrini (6 anni e 6 mesi), Giulio Margarita (6 anni e 6 mesi). Sei anni di
reclusione sono stati comminati a
Giovanni Costa, Giorgio Di Marco,
Salvatore Andronico, Enzo Marzilli,
Francesco Favo, Alvaro Fumi.
Otto gli assolti invece per non aver
commesso il fatto: Andreas Barth e
Andreas Carlsson, della Jungenthal
di Hannover, Joachim Lehmann, supervisore esterno della Jungenthal,
Massimo Vighini, Calogero Di Venuta,
responsabile della direzione compartimentale di Firenze Movimento
infrastrutture, Giuseppe Farneti, sindaco revisore di Fs prima e poi di
Italferr, Gilberto Galloni, a.d. di Fs
Logistica, Angelo Pezzati, predecessore di Di Venuta, Stefano Rossi e
Mario Testa. Assolti anche Moretti
dai reati a lui ascritti come a.d. di
Ferrovie e Vincenzo Soprano, limitatamente ai reati ascritti come ex
dirigente di Fs. Esclusa la responsabilità per illecito amministrativo
anche di Ferrovie dello Stato Spa, di
Fs Logistica, di Cima Riparazione.
Presenti in aula i familiari delle vittime, che hanno ascoltato le parole
del giudice in religioso silenzio. Ieri
erano arrivati in corteo al Polo fieristico, dove si svolge il processo, con
uno striscione:“Viareggio 29-6-2009
niente sarà più come prima”.
Per oggi è stata convocata una conferenza stampa: solo in quella sede
parleranno i parenti delle vittime,
riunite nell’associazione “Il mondo
che vorrei”, come hanno spiegato
dai responsabili Daniela Rombi e
Marco Piagentini.
FIRENZE - LA PROCURA DISPONE MISURE CAUTELARI
Assalto alla libreria: arrestati dieci anarchici
Accusati di “di aver costituito un’associazione a delinquere che ricorreva alla violenza per affermare
la propria ideologia”. Tra gli episodi contestati anche gli attacchi ad alcune sedi di Casa Pound
anno pianificato azioni violente contro avversari politici
e forze dell’ordine, assaltando anche la sede di CasaPound.
Ad agire è stato un gruppo di
anarcoinsurrezionalisti di Firenze:
tre persone sono finite agli arresti
domiciliari, tra cui due donne ritenute il vertice dell’associazione,
e altre sette destinatarie di misure
restrittive come l’obbligo di dimora
o di presentazione alla polizia giudiziaria.
Il blitz è scattato ieri mattina nella
città toscana nell’ambito dell’ope-
H
razione ‘Panico’, condotta da Polizia e Carabinieri, coordinati dalla
Procura della Repubblica fiorentina,
diretta dal procuratore capo Giuseppe Creazzo.
Le forze dell’ordine hanno anche
eseguito il sequestro preventivo
dello stabile conosciuto col nome
di “villa panico”, nel parco di San
Salvi a Firenze. Si è reso necessario l’intervento degli artificieri
per un involucro sospetto, poi rivelatosi innocuo. L’edificio, secondo gli investigatori, era “la
principale base logistica dell'as-
sociazione per delinquere di ispirazione anarchica”.
Il gruppo, secondo quanto ricostruito da due indagini di digos e
carabinieri, era organizzato in maniera gerarchica; tra i tre ‘capi’
due donne e ognuno, nell’ambito
delle ‘azioni’, avvale un ruolo prestabilito.
Gli indagati “sono accusati di
aver costituito un’associazione
a delinquere in seno ai predetti
ambienti, che ricorreva alla pratica
della violenza per affermare la
propria ideologia”. I reati conte-
stati sono violenza, resistenza e
lesioni a pubblico ufficiale, danneggiamenti di sedi politiche e
edifici del centro storico oltre
che di mezzi delle forze dell'ordine
e di soccorso. Non solo. Gli
anarchici sono accusati anche
di porto di armi improprie, detenzione e trasporto di materiale
esplodente, violenza privata nei
confronti di cittadini, fino alla
rapina impropria.
I fatti riguardano episodi di violenza
commessi nel corso del 2016. In
particolare l’irruzione il 14 gennaio
in un centro CasaPound armati
di mazze e bastoni, un ordigno
esplosivo piazzato davanti alla libreria Il Bargello (vicina a CasaPound) il 3 febbraio (simile a
quello esploso a capodanno in
cui è rimasto ferito un artificiere).
Poi ancora resistenza e violenza
a pubblico ufficiale il giorno successivo nel corso di una manifestazione non autorizzata, scontri
con le forze dell’ordine, il 21 aprile
e una manifestazione non autorizzata il 25 aprile scorso, nel
corso della quale furono imbrattati
edifici, anche con scritte minacciose contro le forze dell’ordine,
e furono aggrediti alcuni cittadini
che protestavano contro gli imbrattamenti. Sempre in quest’occasione, alcuni degli indagati aggredirono la proprietaria di un bar
per rubare bottiglie di alcolici.
“L'indagine non riguarda le idee
politiche di queste persone ma i
reati compiuti all’interno di un più
ampio movimento politico” ha
detto il procuratore capo Giuseppe
Creazzo spiegando come le indagini non riguardano l’esplosione
della bomba la mattina di Capodanno ha provocato il ferimento
grave di un artificiere della polizia.
Gli investigatori non escludono
ora azioni di protesta da parte
di gruppi anarchici in risposta
agli arresti: aumentati i servizi
di sorveglianza.
IL FRIULI VENEZIA GIULIA PERDE PEZZI: LA KONNER , CHE PRODUCE ELICOTTERI, SI TRASFERISCE IN PUGLIA
Effetto Serracchiani, le aziende se ne vanno
nnesima azienda costretta a trasferirsi.
Ma questa volta la destinazione non
è l’estero, bensì il sud Italia. Così se
una volta era il Meridione a guardare al
Nord per gli affari, ora avviene anche il
contrario. Dove? In Friuli Venezia Giulia.
E la “colpa” è della Regione. A puntare il
dito contro l’Ente capitanato dalla vicesegretaria del Pd Debora Serracchiani è
proprio l’azienda in questione: la Konner
di Amaro (Udine), nota soprattutto per la
produzione di elicotteri venduti in tutto in
E
mondo, che ha deciso di investire 90
milioni nell’area ex Miroglio, a Castellaneta
(Taranto). Destino incerto dunque per lo
stabilimento friulano che produce turbine
ed elicotteri ultraleggeri e occupa 22 dipendenti, che rischiano il posto. Forse
manterrà in loco solo la sezione ricerca e
sviluppo. Il titolare della Konner Sergio
Bortoluz era pronto ad ampliare la sua
ditta, ma lo farà a Castellaneta, dove vuole
assumere 300 persone per impiegarle in
quattro catene di montaggio, anche grazie
ad un finanziamento. L’azienda è stata
l’unica a presentare un piano industriale
(presso Invitalia) per il sito ex-Miroglio
offrendo opportune garanzie.
Un piano di sviluppo, quello dell’azienda,
che si voleva fare già un anno e mezzo fa
proprio in quello stabilimento in Carnia
(regione storica del Friuli), ma non è stato
possibile. “Io volevo investire qui da noi ha dichiarato l’imprenditore a Maurizio
Cescon, giornalista del Messaggero Veneto
- invece è stata la Regione Puglia a darmi
credito. I loro funzionari sono stati più
volte da me, per vedere come lavoriamo”.
Aveva preso contatti con la Regione Friuli
Venezia Giulia. “Abbiamo avuto un unico
contatto, qualche tempo fa, con l’assessore
Bolzonello, poi nessuno si è più fatto
vedere o sentire. Ma cosa fanno in quegli
uffici a Trieste? Non si rendono conto che
stiamo perdendo le industrie? Ne abbiamo
il 53% in meno rispetto all’anno 2000”.
Poi ammette come ci siano state proposte
anche dall’estero. “Avevo degli investitori
russi pronti a comprare tutto, volevano
che trasferissi tutto là da loro. Ma io ci
tengo a lavorare e a sviluppare il business
nel mio Paese. E ripeto lo avrei fatto ben
volentieri nella regione dove pago un milione di euro di tasse, fino all’ultimo centesimo. Invece non mi è stata data questa
possibilità”.
L’ennesima azienda che abbandona la
zona dell’alto Friuli, la Carnia. Una notizia
che arriva a poche settimane dalla scelta
di un’altra: a metà gennaio infatti anche il
titolare delle Esse di Raveo, Aldo Bonanni,
aveva annunciato la scelta di trasferirsi a
breve a Kirchbach, in Carinzia, dove sono
già stati acquistati dei capannoni. I motivi?
Tassazione più bassa e il desiderio di una
B.F.
burocrazia più snella.
5
Mercoledì 1 febbraio 2017
DA ROMA E DAL LAZIO
LA CONFERENZA DI SERVIZI CONCEDE ALTRI TRENTA GIORNI DI PROROGA AL CAMPIDOGLIO PER ESPRIMERE I PARERI
Stadio Roma, Raggi allunga il brodo
Ma l’assessore all’Urbanistica, Berdini, resta una spina nel fianco del sindaco e dei 5 Stelle
di Giuseppe Sarra
O
ra l’amministrazione Raggi non ha più alibi sulla
partita dello Stadio della
Roma, giunta praticamente ai supplementari. Dovrà rispondere sì o no al progetto
entro trenta giorni, concessi ieri
dalla Conferenza di Servizi tra Campidoglio, Città metropolitana, Regione Lazio, governo e proponenti.
Una risposta che comunque dovra
essere ben motivata dal Comune
di Roma in entrambi i casi, non solo
per giustificare un’impasse infinita
ma soprattutto per il congelamento
dell’iter della nuova casa giallorossa.
Ma da Palazzo Senatorio si serpeggia che dovrebbe arrivare il fatidico
sì, nonostante le resistenze dell’assessore all’Urbanistica e ai Lavori
Pubblici, Paolo Berdini. Anche perché qualora dal Campidoglio arrivasse un “no” al progetto, lo stato
finanziario dell’Ente potrebbe essere compromesso da una possibile
condanna per danno erariale a favore dei proponenti, cioè l’As Roma
e i costruttori Parnasi; che sembrano
aver perso la pazienza di fronte
alle rassicurazioni del sindaco di
Roma, Virginia Raggi, che, al momento, non si sono mai trasformate
in atti concreti.
Eppure il Dipartimento Urbanistica
del Comune ha predisposto e protocollato da diverse settimane la
tanto attesa variante sul nuovo Stadio
giallorosso a Tor di Valle. Una variante che confermerebbe più o
meno l’attuale progetto. Di fatto
sembra più o meno una “pezza
d’appoggio” per i funzionari capitolini, che non correrebbero il rischio di essere chiamati a rispondere di danno erariale. Ma, incredibilmente, la variante non è mai
arrivata in giunta.
E l’ostacolo da superare è sempre
l’assessore Berdini, che può soltanto resistere per dimostrare di
essere stato un duro e puro oppositore allo Stadio della Roma, ma
è impossibilitato ad intervenire.
Perché ormai non c’è più tempo
per cambiare la delibera di pubblica utilità approvata dall’amministrazione Marino, nella quale le
cubature ammontano a circa
977mila metri cubi totali.
Insomma, la Conferenza di Servizi
del 31 gennaio non è stata assolu-
tamente “decisoria”. Ha semplicemente assecondato, per ora, la richiesta della giunta pentastellata
in evidente difficoltà. E anche i vari
incontri informali tra Campidoglio
e Regione Lazio, già fortemente infastidita per il ritardo sulle integrazioni documentali, non hanno portato a nessun passo avanti.
“Questo mese sarà importante per
avere uniformità di pareri”: è convinto l’assessore all’Urbanistica alla
Regione Lazio, Michele Civita.
Ieri, intanto, è arrivato il via libera
sull’impatto ambientale da Roma
Capitale, mentre dalla Città Metropolitana di Roma Capitale, il
cui sindaco è sempre la Raggi, è
giunto il parere negativo. Anche
se dovrebbero esseci tutte le condizioni affinché l’ex Provincia torni
sui suoi passi.
Ecco perché la Conferenza di Servizi
ha comunque espresso un parere
favorevole. Al di là del responso
della giunta Raggi, tutti gli enti dovranno completare le procedure
urbanistiche di competenza entro
e non oltre il 3 marzo.
Anche se l’atto vitale sarà ovviamente lo schema della convenzione
tra Campidoglio e proponenti, in
sostanza il contratto che stabilirà
quali saranno le opere da costruire
nella prima fase.
Nel frattempo un’importante presa
di posizione è arrivata dall’Autorità
di bacino del Tevere, che, attraverso una lettera inviata sia al Comune di Roma che alla Regione
Lazio, non ravvede rischi di inondazione dell’area di Tor di Valle
perché sarebbero le opere stesse
previste dal progetto ad abbassarli
drasticamente, fino a renderli praticamente nulli.
Si scioglierebbe così un’altra perplessità sollevata dal Campidoglio
sul rischio idrogeologico. Nella lettera il dipartimento dell’Urbanistica,
stando a chi l’ha letta, scrive di conseguenza di ritenere che “la Conferenza di Servizi non possa concludersi con esito favorevole”. Ma
da parte dell’Autorità di Bacino il
parere sarebbe invece favorevole.
Però i pentastellati non ci stanno
e per voce di Enrico Stefàno, presidente della commissione comunale ai Trasporti, rilanciano: “Lo
Stadio si farà se verranno ridotte
le cubature”. Quindi, ha concluso
Stefàno a Tele Radio Stereo, “il
Movimento 5 Stelle non è contrariamo allo stadio e punta a un accordo entro il prossimo mese”.
Una volontà che è aleatoria ad oggi?
Sembra proprio di sì. Le parti attendono che la giunta Raggi passi dalle
parole ai fatti. O meglio, agli atti.
LA FIMMG: NECESSARIO AGGIORNARE LE GRADUATORIE E AUMENTARE I POSTI DI SPECIALIZZAZIONE
Assistenza sanitaria, suona l’allarme nel Lazio
Nel prossimo quinquennio andranno in pensione 1.377 medici, ma i rimpiazzi sono solo cinquecento. I restanti arriveranno da Romania e Polonia?
assistenza sanitaria sarà
a rischio nel Lazio. Entro
il 2021 nel Lazio andranno
in pensione 1.377 medici (1.183
di base, 115 pediatri e 67 di
continuità assistenziale). I rimpiazzi, però, saranno solo circa
cinquecento.
L’allarme è stato lanciato dalla
Federazione dei medici di medicina generale, che ha chiesto un
intervento della Regione Lazio.
“Servono contromisure urgenti,
non si può pensare di rimandare
L’
il problema ai prossimi anni perché così facendo saremo costretti
a prendere dei medici da altri
Paesi”, ha spiegato il segretario
della Fimmg Roma e vicesegretario nazionale, Pierlugi Bartoletti,
all’agenzia Dire.
Secondo l’analisi dell’Ente nazionale di previdenza e assistenza
medici (Enpam) - effettuata considerando che nel 2017 il requisito
di vecchiaia è di 67 anni e 6 mesi,
e a partire dal 2018 diventerà di
68 anni - quest’anno il Lazio per-
derà 126 medici di base, 9 pediatri
e 8 medici di guardia medica.
Numeri simili nel 2018, mentre a
partire dal 2019 l’aumento è esponenziale: andranno in pensione
289 medici di base, che diventeranno 339 nel 2020 e scenderanno
di poco (318) nel 2021.
“I problemi sono due: i rimpiazzi
sono presi dalla graduatoria regionale (oggi composta da 1.350
persone) che non è aggiornata
da anni e contiene nominativi di
medici che già lavorano. Inoltre
i posti di specializzazione disponibili ogni anno sono solo 70.
Va quindi aumentato il numero,
ma non si puo' perdere tempo”,
ha chiarito Bartoletti.
Non va meglio nella penisola. Infatti,
secondo alcuni calcoli, nei prossimi
dieci anni in tutta Italia andranno
in pensione 4.720 medici. Perché
l’età media dei 354.000 medici in
attività è pari a 54 anni, addirittura
per i primari è di 61 anni.
“C’è un’intera generazione che si
prepara ad andare in pensione-
ha concluso Bartoletti- ma dietro non
c’è n’é una nuova,
pronta a subentrare”.
Altrimenti il rischio è
l’importazione di medici provenienti da altri
Paesi, alla faccia della
valorizzazione delle
professionalità italiane.
“E non mi riferisco all'Inghilterra
- ha attaccato il segretario regionale della Fimmg, Maria Corongiu - che richiede continua-
mente dottori italiani perché noi
abbiamo una cultura a tutto tondo, ma, con tutto il rispetto, a
Polonia e Romania”.
IL PIANO ILLUSTRATO DALL’ASSESSORE MONTANARI POTREBBE RIAPRIRE LA STAGIONE DELLE PROTESTE
e l’aumento delle percentuali di raccolta differenziata
sono ancora un’incognita
nella Capitale, il piano dei rifiuti
di Pinuccia Montanari, neo assessore all’Ambiente di Roma
S
Capitale, illustrato in un’audizione
in Commissione Ecomafie ha generato una violenta reazione dal
territorio e che comunque potrebbe riaprire la stagione delle
proteste.
Rifiuti, tensione alle stelle
Per ridurre il 48% sia del rifiuto
urbano che di quello organico,
l’assessore della giunta Raggi
ha previsto il raddoppio delle
tonnellate nell’impianto di Ama
a Maccarese, frazione di Fiumicino, e l’eventuale realizzazione
di due nuovi impianti da 40mila
tonnellate.
Un’idea bocciata immediatamente
dal sindaco di Fiumicino, Esterino
Montino.
“Non si è padroni in casa d’altri”,
ha tuonato il primo cittadino.
Ma i cittadini romani non possono
dormire sonni tranquilli. Perché
si sta valutando la possibile riconversione dell’impianto Salario,
anche alla luce della progressiva
saturazione degli impianti di Laurentino e Rocca Cencia, contro il
quale i cittadini hanno denunciato
in passato i devastanti miasmi
che invadono interi quartieri.
Poi, secondo Montanari, “altre
175mila tonnellate saranno trattate con la realizzazione di un
centro di separazione spinta del
multimateriale con annesso un
centro di selezione per polimeri
delle plastiche polimateriali”.
Dove sarebbero realizzati i nuovi
impianti? Negli ecodistretti individuati dall’ex amministrazione
Marino e bocciati dall’ex assessore
all’Ambiente Paola Muraro?
Ma non è finita qui. L’assessore
ha poi ribadito che sull’utilizzo
delle discariche “dovremmo ragionare attentamente con la Regione, perché noi non vorremmo
più che questo Paese si affidasse
alle discariche”.
Si ripresenta, dunque, il problema
della gestione dei rifiuti romani,
trasferiti gran parte nei 62 impianti
in dieci regioni italiane e in tre
Stati esteri. E se uno di questi va
in sofferenza o chiude per manutenzione, come succede in estate,
il sistema torna in difficoltà.
Il ministro all’Ambiente, Gian
Luca Galletti, ha già in passato
invitato sia il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, che il sindaco di Roma, Virginia Raggi, a
mandare in soffitta la stagione
delle ideologie.
Ma c’era e non c’è una soluzione
condivisa. Da un lato la Regione
ha chiesto ufficialmente l’indicazione di un sito a Roma Capitale, dall’altro i grillini hanno boc-
ciato la richiesta prendendo, di
fatto, altro tempo.
Entrambi, però, hanno frenato sia
la costruzione di un nuovo termovalorizzatore che la riattivazione
dell’inceneritore di Malagrotta come previsto dall’articolo 35 del
D.lgs 133/2016, denominato
Sblocca Italia - dove ben due impianti di trattamento tmb sono
ancora funzionanti e senza i quali
Roma tornerebbe in emergenza,
perché lì ogni giorno passa il 50
per cento dell’indifferenziato prodotto nella Città Eterna.
Quale potrebbe essere la via
d’uscita indolore? La delibera regionale numero 119 con cui la
Regione Lazio ha di fatto concesso
la possibilità di ampliare le volumetrie solo ai siti esistenti.
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ESTERI
Mercoledì 1 febbraio 2017
STATI UNITI
Trump licenzia il ministro della Giustizia
Sally Yates si era rifiutata di far applicare l’ordine esecutivo del presidente sull’immigrazione
di Cristina Di Giorgi
l procuratore generale Sally
Yeats, capo del dipartimento
della Giustizia americana
(nominata da Barack Obama), che sarebbe dovuta rimanere in carica fino alla conferma,
da parte del Senato, della nomina
del suo successore designato Jeff
Sessions, è stata rimossa dal suo incarico. Al suo posto è stato nominato
Dana J. Boente, procuratore del distretto orientale della Virginia. Lo
ha reso noto ieri la Casa Bianca,
con una nota ufficiale in cui viene
spiegato che il licenziamento è dovuto al fatto che la Yates “ha tradito”
la sua missione, “rifiutando di applicare un ordine legale destinato
a proteggere i cittadini degli Stati
Uniti”.
L'ordine in questione è il cosiddetto
“Muslim ban”, il discusso provvedimento firmato venerdì scorso da
Donald Trump con cui si bloccano
gli ingressi negli Usa di persone
provenienti da sette Paesi a maggioranza musulmana (sul punto il
tycoon ha ricordato in un tweet
che Obama nel 2011 ha fatto lo
stesso quando “bandì per sei mesi
i visti per i rifugiati dall'Iraq”. Ma
allora nessuna polemica o critica
agitò le acque dello scenario politico nazionale e internazionale,
come sta invece avvenendo in questi giorni).
I
Un ordine, quello di Trump, al quale
la Yates aveva fatto sapere di non
voler dar seguito e a tal fine aveva
scritto ieri una lettera a tutti gli
avvocati del dipartimento di Giustizia, dicendo di non difendere il
provvedimento:“Sono responsabile
nel garantire che le posizioni che
prendiamo in tribunale restino in
linea con l'obbligo solenne di questa istituzione di perseguire sempre
la giustizia e stare dalla parte di
ciò che è giusto” aveva scritto
Yates ai colleghi, precisando poi
che “al momento, non sono convinta che la difesa dell'ordine ese-
cutivo sia in linea con queste responsabilità né sono convinta che
questo ordine esecutivo sia legale”. Tali critiche – sottolinea il New
York Times – costituiscono un “rimprovero da un funzionario del governo ad un presidente in carica”
che ricordano quanto avvenne nel
1973, quando Richard Nixon licenziò il procuratore generale e il suo
vice per aver rifiutato di destituire
il pubblico ministero incaricato
del caso Watergate. Critiche che,
come visto, sono costate alla Yates
il posto.
Quanto al nuovo ministro ad interim
della Giustizia, Dana J. Boente si è
detto “onorato” dell'incarico ricevuto
(che ricoprirà per pochissimo tempo: è la nomina del suo successore
è infatti attesa in queste ore) ed ha
dichiarato di aver già “dato istruzioni
agli uomini e alle donne del Dipartimento di fare il loro dovere e di
difendere gli ordini del nostro presidente”. Piena applicazione del decreto su immigrazione e rifugiati
dunque, per “garantire che il nostro
popolo e la nostra nazione siano
protetti”.
Intanto, il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer, ha ribadito che l'ordine serve alla sicurezza degli Stati
Uniti: “E' ora di fare sul serio nel
proteggere la nostra nazione. Premere per controlli più severi sulle
persone che viaggiano da sette
posti pericolosi non è una cosa
estrema. E' ragionevole e necessario.
Non aspetteremo di essere attaccati
per capire come possiamo fare perché non succeda di nuovo”. Spicer
ha inoltre accusato i deputati democratici di ritardare la conferma
della nomina di Sessions “per ragioni
politiche”.
WASHINGTON
La politica estera
di The Donald
I primi passi della nuova diplomazia americana,
tra incontri ufficiali e conversazioni telefoniche
a politica estera del presidente Donald Trump
prende forma. Nei suoi
primi passi - una serie di incontri ufficiali e conversazioni
telefoniche - la nuova diplomazia americana di stampo repubblicano sta dando l’impressione di voler consolidare i rapporti con alcuni dei Paesi storicamente legati agli Stati Uniti
e riappacificare gli animi quanto
al “nemico storico” russo.
Alcune di queste prime iniziative hanno però irrigidito il dialogo con altri Stati, le cui reazioni
potrebbero provocare serie
crisi diplomatiche. A tal pro-
L
posito fanno discutere, in particolar modo, due ordini esecutivi firmati da Trump la settimana scorsa: quello relativo al
muro al confine con il Messico
e quello con cui si sospende
l’ingresso sul territorio americano alle persone provenienti
da sette Paesi a maggioranza
musulmana, in quanto ritenuti
esposti al fondamentalismo islamico.
La prima decisione ha chiaramente irritato la leadership
messicana (è stato annullato
l’incontro fra Trump e Peña
Nieto previsto per ieri), che
potrebbe rispondere con varie
contromisure di natura economico-commerciale. Quanto alla
seconda, interpretata da molti
come un bando generale nei
confronti di tutti i musulmani,
ha causato una serie di accese
proteste non solo negli Usa, ma
anche nel resto del mondo.
In linea generale va rilevato
che il percorso diplomatico intrapreso dal governo Trump
ha il potenziale di rovesciare
gli equilibri politici mondiali. Il
suo approccio nei confronti
dell’Europa, per esempio, desta
preoccupazioni all’interno delle
istituzioni del Vecchio Continente, incredule dinanzi al possibile peggioramento dei rapporti con il fino ad ora alleato
d'Oltreoceano. Che sta mostrando di prediligere gli accordi
bilaterali a scapito di quelli a
più parti. Lo dimostra la visita
di Stato di Theresa May a Washington, che ha rafforzato l’eterno legame anglo-americano e
gettato le basi per una rinnovata
cooperazione in ambito commerciale e nella lotta al terrorismo islamico. Questo modo di
procedere rischia, a lungo andare, di danneggiare l'Unione
Europea, che tra l'altro Trump
ha detto di considerare come
“un veicolo per gli interessi tedeschi” (l'Ue dal canto suo considera il nuovo inquilino della
Casa Bianca come una “minaccia”). Senza contare che
l’intenzione del presidente americano, manifestata a più riprese,
di scongelare il dialogo con la
Russia di Putin e rimuovere le
sanzioni, al fine di poter instaurare un rapporto cordiale tra le
due superpotenze basato in
primis sulla lotta all’Isis, isolerà
l’Europa rendendola ancor
meno rilevante sul palcoscenico
internazionale.
Quanto poi al Pacifico, Trump
ha recentemente invitato il primo ministro giapponese Shinzo
Abe all’Ufficio Ovale per un incontro che dovrebbe tenersi il
10 febbraio. E si è anche intrattenuto al telefono con il presidente sudcoreano, assicuran-
dogli l’impegno degli Usa nella
difesa del paese dinanzi la crescente minaccia rappresentata
dalla Corea del Nord.
Da ricordare, infine, che il tycoon
ha garantito pieno sostegno ad
Israele, fedele alleato dell’America, promettendo di riportare
l’asse Usa-Israele ai tempi preObama. Insomma, ce n'è per
tutti. E senz'altro se ne vedranno
delle belle.
Claudio Pasquini Peruzzi
QUEBEC
Strage moschea, incriminato
giovane franco-canadese
Si chiama Alexandre Bissonette l’uomo accusato
dell’attentato in cui sono rimaste uccise sei persone
lexandre Bissonette è ritenuto responsabile di aver
compiuto domenica 29, insieme a un complice, la strage
nella moschea di Quebec city,
sparando sui fedeli riuniti per la
preghiera della sera. L'uomo, di
nazionalità francocanadese, era
stato fermato poco dopo il fatto
in seguito a una telefonata da
lui stesso compiuta, con la quale
aveva dichiarato di voler collaborare con le forze dell'ordine.
E ieri, nel corso di una breve
udienza in tribunale, è stato ufficialmente incriminato: sul suo
capo ora pendono sei accuse di
omicidio di primo grado e cinque
A
di tentato omicidio (tanti sono i
feriti ricoverati in gravi condizioni).
Studente di scienze politiche e
antropologia alla Laval University
(situata a poca distanza dalla
moschea teatro dell'attentato),
Bissonette potrebbe dover rispondere di altri capi di imputazione: “Le perquisizioni sono
in corso e speriamo di ottenere
le prove per contestare terrorismo e minacce alla sicurezza
nazionale” fanno sapere dalla
polizia, e precisano che il secondo uomo fermato, Mohamed
Khadir (di origine marocchina)
è stato interrogato come testimone.
Quanto a Bissonette, pare che
non abbia legami con organizzazioni jihadiste: lo ha scritto in
un tweet la responsabile del Site
Rita Katz, che dopo aver analizzato l'attività sui social del giovane, definisce tale possibilità
“improbabile”. Su questa stessa
linea i media canadesi, che lo
hanno descritto come “nazionalista, antifemminista e seguace
di Donald Trump”.
A proposito delle vittime, in memoria delle quali in tutto il Canada
si sono tenute veglie e commemorazioni, ne è stata resa nota
l'identità: sono Azzeddine Soufiane (57 anni, macellaio, padre
di tre figli), Khaled Belkacemi
(60 anni, professore all'università
Laval), Abdelkrim Hassen
(41enne impiegato, anche lui padre di tre figli), Aboubaker Thabti
(44 anni), Mamadou Tanou
Barry (42 anni) e Ibrahima Barry
(39), di origine guineiana.
Stella Spada
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Mercoledì 1 febbraio 2017
ESTERI
SI RIACCENDE IL CONFLITTO TRA KIEV E LE REGIONI SEPARATISTE
Donbass sotto attacco
Negli ultimi giorni sono ripresi i bombardamenti. Colpiti anche obiettivi civili. Situazione drammatica ad Avdeevka
di Cristina Di Giorgi
a guerra in Donbass, negli
ultimi giorni, si è riaccesa.
E non accenna a placarsi.
Secondo quanto comunicato dall’ufficio stampa
del Ministero della Difesa della Repubblica Popolare di Donetsk “i comandanti ucraini, utilizzando il canale
radio aperto per le mediazioni hanno
proposto un cessate il fuoco che
dopo essere stato confermato, è stato
da loro stesso violato dando inizio
ad un massiccio bombardamento
dei territori della Dnr”.
La scorsa notte i soldati di Kiev
hanno tentato di sfondare le linee
difensive della Repubblica popolare
di Donetsk nei pressi della “zona
industriale tra Avdeevka e Yasinovayaya - scrive su Donipress Vittorio
Nicola Rangeloni, che si trova al
fronte per seguire l'evolversi della
situazione - tentando di ottenere il
controllo dell'autostrada che collega
Donetsk a Gorlovka. Gli attacchi
sono stati respinti, ma sono costati
parecchie perdite”. Il quartier generale delle truppe ucraine ha riferito
nello contro sono stati uccisi tre soldati (e altri 20 sono rimasti feriti),
mentre sul fronte dei militari di Donetsk “nelle ultime 24 ore” ci sarebbero stati quattro morti e sette feriti.
A fronte dell'aggravarsi della situazione il presidente ucraino Poroshenko, in questi giorni in visita ufficiale a Berlino, ha anticipato il ritorno in Patria per seguire da vicino
L
la situazione, in particolare per quanto riguarda i “bombardamenti su
Avdeevka”, in cui si è determinata
una “situazione di emergenza che
rasenta il disastro umanitario”. Per
questo le autorità ucraine stanno
progettando l'evacuazione della città,
rimasta “a corto di acqua, gas ed
elettricità”. Una situazione drammatica (soprattutto se si tiene conto
delle temperature glaciali di questo
periodo), che coinvolge circa 25mila
persone, tra cui 2500 bambini.
L'escalation della tensione ha avuto
dunque non poche ripercussioni
sulla popolazione del Donbass. In
questo contesto rileva la notizia, di
ieri sera, che “un bombardamento
delle forze ucraine - ha dichiarato
un portavoce del ministero della Difesa della Dnr citato dall'agenzia Interfax - ha interrotto la fornitura di
energia elettrica alla miniera Zasiadko”. Circa duecento minatori
sono rimasti per ore bloccati nelle
gallerie della struttura, ma a quanto
sembra - riferiscono i media - sono
stati per fortuna portati in salvo.
E non è tutto, perché i
cittadini del Donbass
hanno subito, negli ultimi giorni, ripetuti attacchi. Come quello
del 24 gennaio sulle
case del villaggio di
Zaitsevo, colpite da
“proiettili a carica incendiaria di Bmp2 da
30 mm” riferisce Vittorio Nicola Rangeloni.
Che racconta anche,
documentando quanto
riferito con un dettagliato reportage video
e fotografico in cui si
vedono, tra le altre
cose, i segni lasciati
sulle case dai colpi di
artiglieria (suo lo scatto
a corredo di questo
pezzo), di quanto avvenuto lunedì 30,
quando “in seguito ai
bombardamenti dei
soldati ucraini” che hanno preso di
mira “l'ospedale n.5 della città di
Makeevka, una donna è rimasta uccisa ed altre due persone sono state
gravemente ferite. Uno di loro non
ce l'ha fatta. Anche il distretto Kievskij di Donetsk è stato colpito per
tutta notte”. La città di Donetsk tra
l'altro (in particolare alcuni quartieri
residenziali della città) è stata fatta
oggetto nelle scorse ore di ulteriori
bombardamenti: “la centrale via
Artema è stata colpita all'altezza
del del centro commerciale Mayak
Agenzia Regionale per lo Sviluppo
e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio
e la zona della stazione ferroviaria
ha riportato seri danni, un civile è
rimasto ucciso” riferisce ancora
Rangeloni.
A fronte di tutto questo, politicamente
parlando, le autorità ucraine, secondo quanto riporta la Tass, oltre ad
aver chiesto “l’intervento di Nazioni
Unite, Osce e Consiglio d’Europa”
hanno anche “convocato una riunione d’emergenza del Gruppo di
Contatto per l’Ucraina, al fine di discutere della pesante escalation del
conflitto”, la cui responsabilità è attribuita ai ribelli di Donetsk. Che a
loro volta accusano Kiev di aver
bombardato la Repubblica quasi
duemila volte soltanto nelle ultime
48 ore. In tale contesto, inoltre, il
ministro degli Esteri ucraino - riferisce Sputnik news - ha dichiarato
che a suo dire ciò che sta accadendo
rappresenta un “arrogante disprezzo” degli obblighi della Russia (che
peraltro ha ripetutamente affermato
di “non prendere parte al conflitto
interno ucraino”) nel quadro degli
accordi di Minsk. Quegli stessi accordi in base ai quali Kiev avrebbe
dovuto realizzare una riforma costituzionale basata sui principi del
decentramento e dell'adozione di
status speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk. Il governo ucraino
non ha ancora adempiuto a questa
parte dell'accordo. Ma ha deciso,
proprio in queste ore - lo ha annunciato il direttore della Polizia nazionale - di inviare rinforzi nella zona
di guerra.
8
STORIA
Mercoledì 1 febbraio 2017
LA TERRA DELLE CENTO CHIESE
Sant’Antonio Abate, a Cornillo Nuovo
Un vero gioiello del territorio, uno dei più preziosi sotto il profilo artistico:
sulla parete di fondo, la vita del religioso è raffigurata su dodici riquadri
di Emma Moriconi
“D
i 'Cornillo' e di 'Serra
di Mollionico' si hanno notizie sin dal sec.
XI, da quando cioè
privati cittadini delle Terre Summatine donarono alcuni beni al
Monastero di Farfa (anno 1068). Il
paese ormai scomparso di 'Mollionico' o 'Miglionichi' era situato
nei pressi di Cornillo Nuovo [...]
Chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate, un tempo annessa all'Abbazia di s. Lorenzo a Trione.
Adorna di un portale cinquecentesco, scolpito in pietra del luogo
e roso dal tempo. Campanile a
vela, con due campane; interno
ad una navata, con tetto a capriate
[...] Nell'arco dell'edicola dove è
posta la statua, affreschi raffiguranti
s. Antonio abate e s. Antonio da
Padova. Ne tre pinnacoli, altri affreschi: la Vergine e s. Sebastiano
in preghiera davanti al Cristo in
maestà contornato da cherubini
ed altri che, purtroppo, vanno
scomparendo. Sui pilastrini di sostegno dell'edicola, la data 1511 e
la firma di Dionisio Cappelli. Sull'altare, ciborio cinquecentesco di
legno dorato, del 1568. Alla parete
di fondo, pregevole affresco diviso
in 12 riquadri con episodi della
vita di s. Antonio abate, descritti
da didascalie in caratteri gotici
sotto ogni dipinto. Nella parete
destra di chi entra gli affreschi: s.
Rocco; due Deposizioni della Croce; varie Immagini della Vergine;
s. Lucia; s. Gregorio Magno; in
quella di sinistra, nella nicchia, la
Madonna coronata (con il Bambino
che regge l'orbe), sedente sul tetto
della S. Casa di Loreto: in alto Dio
Padre; ai lati, s. Giovanni Battista e
un santo Abate [...]". Questa è
parte della descrizione che Andrea
Massimi fornisce della Chiesa di
Sant'Antonio Abate a Cornillo Nuovo di Amatrice nel suo libro "Itinerari amatriciani".
Dell'edificio di culto parla ancora
Don Luigi Aquilini nel suo "Amatrice
tesori d'arte", in cui spiega: "Proseguendo sulla destra sulla statale
577 Amatrice - Lago di Campotosto
dopo aver superato il bivio di Retrosi e, due km dopo quello di Capricchia e Preta, si raggiunge Cornillo Nuovo. [...]". Il Sacerdote spiega
che l'appellativo "nuovo" arriva
dopo la ricostruzione del piccolo
centro, devastato nel corso delle
guerre di successione tra Angioini
e Aragonesi nel 1479. Prosegue la
descrizione: "L'opera con tre cuspidi
affrescate ha molta somiglianza con
l'edicola di Santa Savina in Voceto
[Voceto è un'altra frazione di Ama-
trice, NdR]. Sotto l'arcata troneggia
la maestosa figura di S. Antonio
Abate. È in terra corra policroma
(il colore però è quasi del tutto
perduto). È seduto sul trono; ha
l'aureola e non più il campanello e
il libro sulle mani. L'Antinori, in un
suo manoscritto, lo attribuisce a
Saturnino dei Gatti allievo di Silvestro rischia dell'Aquila collocandone l'esecuzione al 1521. Sul pinnacolo di sinistra è ritratta la Vergine, a destra il martire Sebastiano
mentre nella cuspide centrale è
effigiato il Cristo nell'atto di proteggere la piccola comunità di Cornillo e la chiesina. [...]". La descrizione è lunga e appassionante, la
Chiesa di Cornillo Nuovo è un vero
gioiello del territorio, uno dei più
preziosi sotto il profilo artistico.
Sulla parete di fondo, la vita di S.
Antonio abate è raffigurata su dodici
riquadri, ecco
come la descrive
don
Aquilini:
"sono come grandi pagine di un
libro illustrato per
i fedeli dell'epoca
in gran parte
analfabeti. Gli insegnamenti religiosi passano attraverso la vita e i comportamenti
di quest'uomo di preghiera, celebre
lottatore contro i demoni".
La descrizione del Sacerdote è ancora molto dettagliata, e di meraviglie come questa si potrebbe
non smettere mai di parlare. Ciò
che però oggi preme sottolineare,
ciò che fa male, tanto, è che Sant'Antonio Abate a Cornillo Nuovo
ha subito danni enormi dai terremoti che hanno colpito negli ultimi
mesi il territorio amatriciano. Una
parte della bella chiesa era stata
messa in sicurezza. Il porticato e
la facciata purtroppo no. Progetto
pronto, non ancora eseguito. E il
sisma ha continuato a ferire a morte
questi tesori dell'arte italiana. La
bella Chiesa di Cornillo mostra
ora la lunetta con Sant'Antonio Abate, e pietre, dietro le quali si spera
con fervore di trovare quanti più
affreschi possibile ancora recuperabili. Nella speranza che sia presto,
prestissimo. Perché questa terra
ha già perduto troppo.
STORIA NOSTRA
1967, il restauro della Chiesa di Sant’Agostino
Un’esperienza diretta, una testimonianza preziosa, per raccontare uno dei simboli della Amatrice che fu
Q
uel cumulo di pietre
che oggi identifica la
chiesa di S. Agostino
risveglia in me tantissimi ricordi.
Conoscevo quella chiesa
come casa mia. Benché ancora giovane, lì ho passato
un anno meraviglioso, forse
uno dei più belli della mia
vita professionale. Lì ho fatto
di tutto. Questa chiesa, da
tanti anni chiusa, a causa dei
vari lavori da eseguire a cura
della Soprintendenza di
Roma, nel 1967, fu definitiva-
mente riaperta. Fu mio padre
a vincere la gara di appalto
dei lavori di sistemazione interna. Era un grande piacere
per lui mettere mano a quel
monumento che da sempre
era stata la sua parrocchia.
Quanti ricordi lo legavano a
quella chiesa. Tutto veniva toccato con sacralità e rispetto. Anche le direttive che,
secondo i criteri di restauro del momento
venivano imposte, destavano in lui qualche
contrarietà. Parlo dell’abbattimento delle
due statue in gesso a
destra e sinistra dell’altare, come della
cantoria, per essere
sostituita da una specie di ambulacro in
mattoni all’ingresso.
Un'altra sofferenza fu
il dovere per forza
smontare il sovrastante organo. Strumento che per tantissimi anni fu dato per disperso,
quando invece, alcuni anni
or sono, lo ritrovai con somma
gioia smontato nelle stanze
superiori della torre. Intuii
che mio padre, per il suo carattere conservativo, lo fece
salire lì per non mandarlo disperso tra le cose da buttare.
Da un attento esame delle
parti importanti dell’organo
ho potuto vedere che era uno
strumento del 1790 costruito
ad opera di tale Domenico
Antonio D’Onofrio di Sulmona.
Questa notizia, come tante
altre circa gli organi di Amatrice, si può trovare nel volume
“Storie di re Organo” a cura
di Vincenzo Di Flavio. Tra le
tante altre opere eseguite ci
fu anche l’abbattimento degli
altari laterali, cosa che portò
alla scoperta di alcuni meravigliosi affreschi nella parete
sinistra, oggi completamente
perduta. Mi affiora alla mente
una particolarità che di certo
si fa notare, sono in due quadri
che ora adornavano a destra
e sinistra l’altare maggiore,
al posto delle due demolite
statue in gesso. Sia l’uno che
l’altro hanno la stessa sagoma
e sono uguale a quella del
vano che ospita la statua del
Sacro Cuore. Bene quei due
dipinti, nelle diverse fasi liturgiche dell’anno, andavano
a coprire la statua. Gli affreschi
rinvenuti, nella parete sinistra,
vennero subito restaurati da
esperti e riportati all’antico
splendore. Anche tutti i quadri
che erano nella chiesa, vennero rimessi in sesto e ripuliti
da un pittore e restauratore
locale, Alberto Bresi, che per
tanti ha prestato la sua opera
all’Istituto Don Minozzi. Con
lui ebbi il piacere di collaborare a ridare alla luce e risi-
stemare tutte quelle belle
opere che da tanti anni giacevano depositate nel retro
della sacrestia. Tanti altri sono
i ricordi di quell’anno di restauro. Sostituendo il mattonato, furono richiuse le tombe
poste sotto il pavimento, come
furono asportate le acquasantiere dalla oramai chiusa
chiesa di S. Giuseppe, per
ricollocarle qui a S. Agostino.
Tutti questi ricordi, ogni volta
che rientravo in chiesa per
assistere ad una funzione, mi
portavano molto spesso a distrarmi e ricondurmi a quei
bellissimi periodi dove ogni
lavoro era nuovo, ogni esperienza veniva vissuta senza
fatica con la sola voglia di
apprendere e di fare. Con
questo, spero che si possa
comprendere, perché tanto
dolore mi affligge nel veder
crollare pezzo dopo pezzo
non soltanto una parte del
mio lavoro giovanile, ma soprattutto un monumento che
alla fine del Corso, con l’annessa Porta Carbonara, indicava quanto fosse importante
questa Città. Giulio Aniballi
9
Mercoledì 1 febbraio 2017
SOCIETA’
TRADIZIONI E MISTERI POPOLARI
Sono cominciati i ‘Giorni della merla’
Sono tante le storie che ruotano intorno al periodo più freddo dell’anno
di Chantal Capasso
L
a tradizione vuole che
gli ultimi tre giorni di
gennaio (o gli ultimi due
di gennaio ed il primo
di febbraio) siano ricordati come i Giorni Della Merla, ad
indicare uno dei periodi più freddi
dell’anno. Ma da come nasce questa antica credenza, entrata oramai
a far parte della vita di tutti.
Nel 1740, Sebastiano Pauli, ipotizzò
due spiegazioni plausibili sulla
nascita di questa espressione: la
prima ipotesi spiega che ai tempi
si doveva far passare un cannone,
chiamato Merla, oltre il Po, e si
aspettarono proprio gli ultimi giorni di Gennaio per farlo perché in
quel periodo il fiume gelava garantendo un più facile il passaggio
del cannone da una riva all’altra.
Mentre la seconda spiegazione
suppone che le tre giornate prendano il nome da una nobile signora
di Caravaggio, chiamata De Merli,
che, dovendo attraversare il Po
per raggiungere il marito, poteva
fare solo in quei giorni, essendo il
fiume ghiacciato.
Ma le storie e teorie sull’origine
di quei giorni non finiscono qui.
Una tradizione popolare racconta,
invece di una leggenda con due
diverse versioni, riguardante, appunto, una merla.
La prima versione racconta la storia
della merla e dei suoi pulcini che,
per ripararsi dal gran freddo, si
rifugiarono dentro un comignolo
e ne uscirono il primo Febbraio,
tutti grigi a causa della fuliggine.
Da quel giorno tutti i merli femmina
ed i pulcini furono grigi.
La seconda versione della leggenda
è un po’più articolata, e racconta di
una merla che ogni anno subiva i
soprusi del mese di Gennaio, invidioso dell’ammirazione per il becco
giallo e le penne bianchissime dell’uccello. Stanca di tutto questo, un
anno la merla decise di fare provviste
sufficienti per un mese, rinchiudendosi nella sua tana per tutto il mese
di Gennaio, che ai tempi della leg-
LUTTO NEL MONDO DEI VIDEOGIOCHI
genda era composto solo da 28 giorni. L’ultimo giorno del mese la merla
uscì dalla tana ed iniziò a cantare,
pensando di aver beffato il rivale.
Gennaio si offese al tal punto da
chiedere in prestito 3 giorni a Febbraio, scatenando bufere di neve,
pioggia, vento e gelo. Per ripararsi,
la merla si gettò in un camino e lì rimase per questi 3 giorni, sì salvandosi ma ingrigendo il suo piumaggio
a causa della fuliggine, e così rimase
sempre con le piume grigie.
Come in tutte le leggende, esiste
un fondo di verità: infatti nel calendario romani Gennaio aveva solo
28 giorni (ma in quel calendario
Febbraio non ne ha mai avuti 30).
Sempre secondo la leggenda, se i
giorni della merla sono freddi, la
Primavera sarà bella; se sono caldi,
la Primavera arriverà in ritardo.
Particolarmente diffusa nella Pianura Padana, lungo il Po, la leggenda del merlo appare anche in
una citazione dantesca sempre in
riferimento alla sua morale, che
vede l’uccello ingannato dal clima
rigido di Gennaio.
Evidentemente le leggende sui
giorni della Merla sono nate in
un'epoca in cui gennaio era molto
più freddo di oggi, e le genti, non
disponendo di strumenti adeguati,
accusava il freddo degli ultimi
giorni come il più intenso dell'anno, ma oggi, numeri alla mano,
non è più così.
PIAGGIO GITA
E’ morto Masaya Makamura, La valigia diventa autonoma
Dai creatori della Vespa il robot cargo personale che ti segue ovunque
il papà di Pac-Man
Gli appassionati di gaming piangono il fondatore
di Namco che si è spento all’età di 91 anni
S
e esiste un videogioco
storico che ha appassionato grandi e piccini
degli anni ’80 quello è senza
dubbio PacMan. Che non ha
nulla da invidiare ai sofisticati
“colleghi” moderni.
E poche settimane fa, si è
spento il suo creatore, all’età
di 91 anni Masaya Makamura
L’ideatore del videogioco icona dei tempi andati nelle sale
giochi, nato a Tokyo il 24 dicembre 1925, a soli 30 anni
ha fondato l’azienda che sarebbe poi stata conosciuta
nel tempo come Namco, uno
dei nomi più importanti del
mondo videoludico.
La formula del gioco era tanto
semplice quanto avvincente:
si era chiamati a controllare
una sfera di colore giallo, guidandola tra i corridoi di un
labirinto con visuale rigorosamente dall’alto. L’obiettivo
era quello di mangiare tutti i
pallini sparsi per la schermata, facendo attenzione a
non farsi catturare dai fantasmi
colorati. Raggiungendo una
delle pillole lampeggianti la
situazione veniva capovolta,
permettendo di catturare i
nemici rimandandoli temporaneamente al centro del livello. Tantissimi i sequel e gli
adattamenti per tutte le piattaforme in commercio negli
ultimi tre decenni.
Alcune curiosità: il nome all’esordio in Giappone era
Puckman (“chiudere e aprire
la bocca”), cambiato poi in
occasione del debutto negli
USA, l’idea originale venne a
Iwatani guardando una pizza
dalla quale era stata tolta una
fetta e raggiungendo il livello
256 si verificava un bug piuttosto singolare, metà scher-
mata giocabile, l’altra no.
Nel 2007 il governo giapponese ha introdotto Nakamura
nell’Ordine del Rising Sun,
per il contributo fornito alla
crescita dell’industria locale.
Nel 2010 ha inoltre fatto il
suo ingresso nella International Video Game Hall of
Fame, a testimonianza di
quanto il suo lavoro sia stato
importante per la crescita
del mercato videoludico. È
rimasto CEO di Namco fino
al 2002, tre anni prima della
fusione con il concorrente
Elvira Mami
Bandai.
P
er chi teme di perdere
la propria valigia durante i vari spostamenti
e viaggi, ora potrà stare tranquillo: è nata la valigia robot
che segue il suo proprietario
ovunque lui vada.
L’originalità dell’idea sta anche nel chi l’ha creata. L’inventore, altri non è che Piaggio, marchio da sempre legato alla mitica Vespa.
Il robot si chiama Piaggio
Gita e farà il suo debutto nel
mondo giovedì 2 febbraio. Il
legame con la mitica Vespa
è diretto: Piaggio Gita è la
creazione di Piaggio Fast Forward, siglato PFF società per
nuovi progetti e prodotti crea-
ta da Piaggio.
Ma, basta osservare Piaggio
Gita per capire che la parentela non è solo finanziaria
e societaria ma si estende
anche alla filosofia e al design.
Le linee arrotondate, la forma
delle maniglie e persino i colori di Piaggi Gita e altri dettagli rievocano immediatamente l’illustre Vespa. Questo
robot che ha la capienza di
una valigia è in grado di trasportare fino a 18 kg di peso
seguendo ovunque il proprietario. Raggiunge la velocità massima di 35 km orari,
quindi sufficiente per seguire
l’utente anche durante gli
spostamenti in bicicletta.
Piaggio Gita può effettuare
sterzate con un raggio pari
a zero, per imitare i movimenti
dell’uomo e per muoversi
agevolmente anche sui marciapiedi. È progettato per
farsi carico di spesa e oggetti
trasportandoli al nostro posto:
può seguire il proprietario
ma anche spostarsi in modo
completamente autonomo
ovunque siano disponibili
mappe dettagliate. Piaggio
Gita sta scatenando la curiosità in rete ma mancano ancora diversi dettagli fondamentali, come per esempio
l’autonomia e soprattutto il
prezzo: tutto sarà svelato sembra il 2 febbraio.
10
IL LIBRO
Mercoledì 1 febbraio 2017
UN NUOVO SPACCATO DELLA POLITICA ITALIANA IN QUESTO CAPITOLO DE “LA PROSSIMA A DESTRA”
Quei funerali di Pino e Teodoro
Fini contestato alle esequie di Rauti. E la visita commossa al capezzale di Buontempo
Proponiamo oggi un altro paragrafo de “La prossima a destra”
di Francesco Storace (editore Minerva, on line su www.amazon.
com) in cui vengono ripercorse
altre vicende particolari della destra italiana, non sempre positive
e piacevoli, si cui comunque si
stagliano le figure di Pino Rauti e
Teodoro Buontempo.
RIVOLTA IN CHIESA
oveva finire così, con una
plateale manifestazione
di rancore all’interno di
una chiesa, quasi si fosse
in presenza del demonio
in persona. E chi se li scorda i funerali di Pino Rauti, con la violenta
contestazione a Gianfranco Fini...
La presenza non gradita all’estremo
saluto di una persona a cui si vuole
rendere omaggio credo che sia
una delle cose più brutte che si
possano subire, si scatena la collera
- a volte vera, a volte strumentale contro il bersaglio, si sfiora il linciaggio. Lo sa anche Fini, col quale
usai una “minaccia” del genere
nella discussione sulle candidature
alle Politiche nel 2006, in prima
applicazione dell’odioso porcellum
dei nominati.
Il presidente di An aveva riunito
noi “colonnelli” per lavorare ai capilista di Camera e Senato, e sulla
base dei sondaggi si collocavano i
vari esponenti di partito nei posti
immediatamente successivi. Un’operazione collegiale, in fondo teneva
molto a “Checchino” Francesco Cosimi Proietti e pochi altri. Lavorò ad
accontentare le correnti, a me ad
esempio destinò la stesura del collegio senatoriale del Lazio da cui
pretese solo l’estromissione dell’uscente Michele Bonatesta - che
non sopportava - e ottennero così il
jolly dell’elezione Laura Allegrini e
Domenico Gramazio. Fini mi aiutò
anche per garantire il seggio in
Campania al povero Antonio Pezzella
- un gentiluomo che ci ha lasciato
troppo presto - e pretese in Sicilia
da Mimmo Nania un posto in lista
sicuro per Carmelo Briguglio.
Arrivati alla circoscrizione delle
Marche, c’erano tre posti disponibili
- due alla Camera e uno al Senato
- su quattro uscenti: i senatori Baldassarre e Magnalbò, i deputati
Ciccioli e Conti. Quest’ultimo era
sponsorizzato da me e benché fosse amico di Fini da antica data il
Capo non ne voleva sapere per le
legislature già trascorse in Parlamento. Ricorsi al cuore, che persino
Gianfranco possedeva, in senso
letterale. Giulio Conti aveva avuto
infatti proprio un colpetto al cuore
mesi prima e Nostro Signore ce lo
aveva lasciato sulla terra. Feci a
Fini: “Va bene, non candidiamo
Conti, però glielo comunico io. Ovviamente se l’infarto torna a farsi
sentire e ci resta secco, non venire
ai funerali”. Capita la musica, il
sacrificio toccò all’incolpevole Magnalbò. Conti era salvo, era deputato, era vivo.
Ma al funerale di Rauti nessuno
stratagemma poteva salvare l’allora
presidente della Camera che si
presentò in chiesa senza neppure
avvisare i congiunti più stretti del
D
Gianfranco Fini contestato ai funerali di Pino Rauti
“Buontempo ci aveva fatto la sorpresa di andarsene a ridosso del 25 aprile,
Roma fu tappezzata di manifesti in suo onore che nessuno osò toccare,
tanto era il rispetto per la sua figura e il dolore per la scomparsa”
leader scomparso, a partire dalle
figlie Isabella e Alessandra e dal
genero Gianno Alemanno. Stavo
nelle prime file della chiesa a due
passi da piazza Venezia, che sentii
un boato provenire dal fondo della
navata. La folla ondeggiava, pensai
subito ad un attacco dell’estrema
sinistra che non rispettava neppure
i morti.
Invece, vidi sbucare Fini in mezzo
ad un popolo di inferociti che, a
rito iniziato, gliene urlavano di tutti
i colori, e uno che pretendeva di
prenderlo a ombrellate sul cranio.
Per la sua scorta fu un momento
davvero difficile e dovette riparare
al fianco di Assunta Almirante che
si mise a protezione; la stessa cosa
la fede un’altra donna, una giornalista un tempo schierata contro
Fini proprio al fianco di Rauti e
poi diventata sua seguace, Flavia
Perina. Io stesso uscii dalla Chiesa,
la scena - lo confesso - non mi
piacque affatto: anche se Gianfranco aveva sbagliato a presentarsi
in quel modo che era apparso provocatorio ai più, e io stesso ci stavo
in rotta davvero pesante, consideravo la contestazione una profanazione per il luogo.
Si rischiò la stessa cosa qualche
tempo dopo, quando morì inaspet-
tatamente il presidente de La Destra, Teodoro Buontempo. Ne soffrii
maledettamente, la notizia che era
entrato in coma mi colpì particolarmente in quanto - pur frequentandolo assiduamente - aveva tenuta nascosta la sua malattia. Nei
tre giorni in cui combatté la sua
ultima battaglia, stazionai in clinica
praticamente sempre. E tentavo di
soddisfare ogni richiesta di Marina,
la straordinaria moglie di Teo, e
dei suoi figli Michele, Giovanni e
Maria, i suoi gioielli. Appena Teodoro perse conoscenza, temendone
la dipartita di lì a qualche ora,
chiesi a Marina chi voleva che
fosse avvisato. Lei mi fece i nomi
di Renata Polverini, la presidente
che lo aveva nominato assessore;
di Nicola Zingaretti, il presidente
che era arrivato dopo la loro giunta
alla Regione; e Gianfranco Fini, di
cui era stato amico per decenni,
tra alterne vicende.
Toccò a me telefonare alla storica
segretaria, Rita Marino, per dirle
che dovevo comunicare a Fini che
Teodoro era entrato in coma. Non
ci parlavamo da tantissimo tempo.
Ma Buontempo era più importante
di tutto e rassicurai Gianfranco che
se avesse voluto partecipare al funerale del presidente de La Destra,
nessuno avrebbe potuto impedirlo.
E Teo era ancora vivo...
Il giorno dopo, Marina mi disse
che forse era inopportuno, che
aveva avuto segnali di possibile
contestazione. Dovetti chiamarlo
di nuovo e gli dissi di raggiungerci
in clinica. Fini si precipitò da noi e
stette diverso tempo nella stanza
in cui era ricoverato Teodoro, assieme a familiari e amici. Commosso, visibilmente commosso.
Quella volta mi dispiacque davvero
la sua assenza alle esequie. Buontempo ci aveva fatto la sorpresa di
andarsene a ridosso del 25 aprile,
Roma fu tappezzata di manifesti in
suo onore che nessuno osò toccare,
tanto era il rispetto per la sua figura
e il dolore per la scomparsa. Io feci
un turno di picchetto d’onore assieme a Giorgia Meloni, sembrava
quasi il passaggio di un testimone
ideale. Certo, Teodoro non avrebbe
tollerato il casino venuto fuori a destra. E avrebbe bofonchiato qualcosa
anche allo stesso Fini, “che però
non era solo quando si decideva
tutto”, ripeteva spesso.
DOMANI IL CAPITOLO
“GLI AMICI
SE NE VANNO”