La Repubblica Popolare Cinese

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La Repubblica Popolare Cinese
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Facoltà di Scienze della Comunicazione e dell'Economia
Corso di Laurea Specialistica in Economia e Gestione delle Reti e dell'Innovazione
Insegnamento:
Economia delle Reti (Modulo 2)
Prof. Andrea Ginzburg
Anno Accademico 2004/05
Il distretto delle ceramiche
di Sassuolo-Scandiano e la
minaccia cinese
Relazione a cura di:
Fabio Ruini (matr. 7496)
2
Indice:
Il terrore della minaccia cinese
Un clima da caccia alle streghe
La congiuntura economica attuale
L'anomala specializzazione italiana
Differenze qualitative fra merci italiane e cinesi
La Repubblica Popolare Cinese
Situazione politica
Situazione economica
Alle radici della grande paura: una panoramica sulla produzione ceramica cinese
Un breve quadro storico
La produzione cinese
Le Constructional Ceramics
I produttori principali
Import & Export
Aspetti tecnologici
Politiche governative e “regulation”
Lo sviluppo futuro del mercato ceramico cinese
I produttori italiani di ceramiche
L'industria italiana della produzione di ceramiche
Il distretto ceramico di Sassuolo-Scandiano
La domanda mondiale di piastrelle e la produzione italiana
I produttori italiani di macchine ed attrezzature per ceramica
La situazione nel 2003
Cos'è cambiato nel 2004
Le previsioni per il 2005
Alcune considerazioni su quanto finora esposto
Una possibile soluzione
Delocalizzazione?
La Repubblica Popolare Cinese ed Internet
Road-map per una risposta strategica alternativa alla delocalizzazione
Un esempio applicativo
Il processo di vendita
Conclusioni
Il “made in Italy”
Investire in Cina?
Il futuro
Appendice 1
Appendice 2
Bibliografia
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Il terrore della minaccia cinese
Un clima da caccia alle streghe
Il 10 giugno 2005 il quotidiano “Il Resto del Carlino”, sulla prima pagina del fascicolo nazionale,
titolava:
“LAVORATORI IRREGOLARI E CLANDESTINI, ASSALTO CINESE ALLA PIASTRELLA
VALLEY1”
Il riferimento era ad un'irruzione della Guardia di Finanza all'interno dello stabilimento di
un'impresa, localizzata a Fiorano Modenese (“a due passi dalla pista della Ferrari”, come
sottolineava finemente l'autore dell'articolo, evocando nel lettore l'idea del “made in Italy”) e gestita
da cinesi, nella quale erano impiegati, in maniera più o meno regolare, una ventina di operai loro
connazionali. Fino a qui, nulla di strano. Nella provincia di Modena i laboratori gestiti da immigrati
cinesi abbondano; quelli irregolari ancora di più. Dunque, una “normale” attività illecita. Perché
tutto questo clamore?
Il fatto è che in questo caso non si stava parlando di un laboratorio tessile, ma di uno stabilimento
che operava (ed opera tuttora) in un altro settore: quello ceramico. E la paura, dovuta all'inesorabile
avanzata commerciale del nuovo competitor cinese e condivisa pressoché ad ogni livello del
distretto ceramico di Sassuolo-Scandiano, aveva trovato il suo primo capro espiatorio.
Scopo di questo breve lavoro è analizzare le radici di questa paura, indagando sull'industria italiana
e cinese produttrice di ceramiche, nonché sullo sviluppo dei mercati previsto per i prossimi anni e
proponendo infine alcune suggerimenti, legati alle tecnologie di rete, affinché i prodotti italiani di
questo settore possano ulteriormente differenziarsi, in modo tale da riuscire a spostare il focus dalla
concorrenza basata sul prezzo a quella basata sulla qualità.
La congiuntura economica attuale
Prima di procedere ad analizzare nel dettaglio il settore della produzione ceramica, in Italia e nella
Repubblica Popolare Cinese, risulta di fondamentale importanza delineare alcuni tratti relativi
all'attuale congiuntura economica mondiale.
La crescita dell'attività economica internazionale, in generale, ha evidenziato segnali di
rallentamento a partire dalla seconda metà del 2004, pur con intensità differenti tra paesi ed aree
geografiche. Nel complesso, la crescita economica mondiale nel 2005 (le stime sull'aumento
complessivo del PIL, rispetto al 2004, parlano di un +4%) dovrebbe risultare inferiore rispetto a
quella misurata nel passaggio dal 2003 al 2004, che si attestava su un +4,8%.
Se i segnali provenienti dagli Stati Uniti sono tutto sommato positivi (stime di una crescita del
prodotto interno lordo pari al 3% per il 2005), i problemi sembrano provenire dall'area dell'Europa
Occidentale. In questa zona, la crescita economica stimata per l'anno corrente è solo dell'1,8%,
fenomeno probabilmente legato all'apprezzamento della moneta unica nei confronti del dollaro
statunitense, che diminuisce la competitività delle esportazioni provenienti dall'area UEM (come
conferma d'altronde il più elevato tasso di sviluppo del Regno Unito). Problemi di competitività che
1 Per una trascrizione integrale dell'articolo in questione e di quello pubblicato il giorno seguente, si vedano le
Appendici 1 e 2.
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pesano in particolar modo sull'economia italiana, per la quale si prevede una sostanziale stagnazione
del PIL nel 2005 ed una crescita non superiore all'1% nel 2006.
Nelle altre zone del mondo si registra uno sviluppo economico sostenuto, particolarmente evidente
in Europa centro-orientale (non fa testo in questo caso la Russia, che beneficia oltremodo
dell'impennata del prezzo del greggio) e nell'area asiatica, pur con la significativa eccezione del
Giappone.
L'anomala specializzazione italiana
Nel corso dell'ultimo decennio, il commercio internazionale è fortemente cresciuto sia in valore
assoluto, sia in termini di percentuale del PIL. Di conseguenza, il livello di competizione tra i
produttori di beni simili è aumentato in maniera rilevante. L'Italia non è stata immune a questi
fenomeni: il valore percentuale del commercio internazionale di beni e servizi sul prodotto interno
lordo italiano (l'indicatore più immediato del livello di apertura del Paese agli scambi con l'estero),
nel 2002 ha toccato quota 52,8%.
Il progresso economico di un Paese è generalmente associato all'ideazione di nuovi prodotti, ossia
all'innovazione, intesa nell'accezione più ampia del termine. I Paesi avanzati, dotati di una relativa
abbondanza di capitale e di tecnologia, sono solitamente i primi a spostarsi sulle nuove produzioni,
individuate grazie all'attività di ricerca e sviluppo. Una volta diventati maturi, i settori in questione
vengono lasciati nelle mani delle economie emergenti, le quali possono beneficiare di
un'abbondanza di lavoro non qualificato a costi inferiori.
Il percorso seguito dal nostro Paese, tuttavia, si discosta da questo modello tradizionale, tanto da far
parlare gli economisti di un fenomeno chiamato “specializzazione anomala italiana”. L'Italia è
infatti l'unica fra le grandi economie industriali specializzata prevalentemente in settori tradizionali
ad alta intensità di lavoro non qualificato, quali il tessile, l'abbigliamento, le calzature,
l'arredamento, l'idraulica ed i manufatti non metallici. In questi ambiti rientra anche la produzione di
piastrelle in ceramica. Un'analisi comparata con Francia e Germania, i giganti industriali dell'area
Euro, evidenzia l'eccezionale specializzazione italiana, sbilanciata, così come quella spagnola (non
a caso, la Spagna è l'altro principale produttore europeo di ceramiche) verso settori poco intensivi in
capitale umano. L'evoluzione di questi modelli di specializzazione sembra convergere, seppur molto
lentamente, verso un modello comune. Rispetto alla Spagna, però, l'Italia conferma la propria
peculiarità: il suo modello sta cambiando infatti molto più lentamente2.
Oltre ad essere considerato anomalo in relazione a quello degli altri Paesi europei, il modello di
specializzazione italiano mette in luce alcune chiare similitudini se confrontato con quello dei Paesi
emergenti. Uno studio di Chiarlone ed Heng3, basato su una comparazione degli “indici di
correlazione di rango dei vantaggi comparati4”, é illuminante in questo senso. Dalle ricerche,
elaborate comparando il modello di specializzazione italiano con quello di altri paesi emergenti ed
in transizione, emerge infatti che questo indice è positivo per quasi tutti i settori in esame, a
testimonianza di una forte sovrapposizione delle rispettive sfere produttive. Con riferimento all'area
asiatica, tale indice è negativo rispetto a Singapore e Malesia (che si sono infatti specializzate in
2 Bugamelli M. (2001), “Il modello di specializzazione internazionale dell'area dell'euro e dei principali paesi europei:
omogeneità e convergenza”
3 Chiarlone S. e Helg R. (2002), “Il modello di specializzazione internazionale italiano e le economie emergenti
dell'Estremo Oriente”
4 L'indice di correlazione di rango di Spearman, a cui si fa riferimento, permette di conoscere il livello di relazione tra
due o più variabili (http://www.le.ac.uk/biology/gat/virtualfc/Stats/spear.htm). In questo caso, le variabili confrontate
sono gli indici di specializzazione di Balassa (http://dea.univpm.it/quaderni/pdf/227.pdf), calcolati nei diversi paesi
ed a differenti livelli di aggregazione settoriali.
5
produzioni a più alta intensità tecnologica), positivo nei confronti di India, Taiwan e Bangladesh.
Per quanto riguarda la Cina, l'indice di correlazione, calcolato nel 1997, era pari al 10%.
In generale, se confrontati con gli indici del 1980, quelli calcolati da Chiarlone ed Heng nel 2002 si
attestano su valori leggermente minori. Particolare inquietante, tale diminuzione non è dovuta ad un
sostanziale cambiamento del modello di specializzazione italiano, quanto piuttosto allo spostamento
dei vantaggi comparati dei paesi emergenti verso prodotti del comparto ad alta tecnologia. E'
comunque da sottolineare il fatto che modelli di specializzazione incentrati sugli stessi settori non
comportano automaticamente un'effettiva sovrapposizione delle esportazioni.
Differenze qualitative fra merci italiane e cinesi
Il fatto che Italia e Cina condividano un comune modello di specializzazione è un fattore di rischio
per la competitività italiana. Questo rischio, tuttavia, si riduce al diminuire della similitudine
qualitativa delle merci. Per verificare questa tesi, Amighini e Chiarlone hanno elaborato uno studio
dove viene comparata la qualità delle importazioni dei Paesi dell'OCSE, provenienti dalla Cina e
dall'Italia5.
A livello di settore manifatturiero, la percentuale di sovrapposizione commerciale tra le
importazioni dei paesi OCSE dalla Cina e dall'Italia risulta crescere nel tempo in maniera
sostanziale. Se nel 1991 era possibile classificare come soggette alla concorrenza cinese il 18% di
tutte le importazioni di manufatti italiani, questo valore cresce al 34% nel 2001. I prodotti cinesi,
oltre ad aver accentuato le proprie quote sui mercati mondiali, si sovrappongono e competono con
quelli italiani a livello di linea di prodotto. Da un punto di vista statistico, tuttavia, i manufatti
italiani che rivelano una qualità superiore sono molto numerosi: nel 2001 tale quota corrispondeva
al 74%. Il trend è comunque verso la diminuzione di questo valore, che nel 1991 si attestava su un
livello dell'80%. Segno che in un numero crescente di flussi commerciali, il livello effettivo di
concorrenza costituito dalle merci cinesi cresce, in corrispondenza con il loro miglioramento
qualitativo verso la gamma media. Ciò, in parte, dipende dal fatto che molte merci cinesi sono
prodotte da multinazionali che hanno stabilito in Cina lo propria base produttiva; d'altro canto,
anche le aziende interamente cinesi, con un accesso sempre più facile ai macchinari ed alle
tecnologie di produzione occidentali (cosa che non è invece scontata per quanto riguarda l'accesso al
know-how) hanno potuto registrare un incremento in termini qualitativi del proprio output.
La sovrapposizione cresce ulteriormente nei comparti dei beni intensivi in lavoro non qualificato
(quali appunto la produzione di ceramiche), dove oltre il 53% dei flussi di importazioni dall'Italia si
trova a competere con quelli provenienti dalla Cina. La differenza qualitativa rimane comunque
rilevante: oltre il 78% delle importazioni provenienti dall'Italia evidenziano una qualità
sensibilmente superiore rispetto a quelle cinesi.
5 Gli indicatori utilizzati nell'analisi sono quelli di “trade overlap” e di “quality differentiation”, secondo una
metodologia
ideata
da
Abd-El-Rahman
e
poi
perfezionata
da
Freudenberg
and
Muller
(http://gsm.upm.edu.my/staff/AKM/ETSG2004AzharandElliott.pdf)
6
La Repubblica Popolare Cinese
Situazione politica
La Cina è governata dal Partito Comunista Cinese (Chinese Communist Party, CCP) dal 1949, anno
di fondazione della Repubblica Popolare Cinese. In uno stato a partito unico come la Cina,
l'ambiente politico ha ovviamente un fortissimo impatto sullo sviluppo economico e sociale del
Paese.
Situazione economica
Grazie alla riforma market-oriented varata nel 1978, negli ultimi vent'anni la Cina è emersa come la
più grande protagonista della crescita economica mondiale, sviluppandosi con un tasso annuale
senza precedenti. Il prodotto interno lordo (Gross Domestic Product, GDP) è aumentato dai 362,4
miliardi di yuan (People's Currency, RMB) del 1978 ai 10,36 trilioni (1 trilione = 1000 miliardi6)
del 2002, con un tasso di crescita annuo del 9,3%, sorprendentemente più alto rispetto alla media
mondiale registrata nel medesimo periodo (3,3%). Questi due decenni di rapida crescita hanno
rafforzato il potere economico della Cina ed aumentato in maniera considerevole (anche in virtù
delle relativamente arretrate condizioni di partenza) il tenore di vita della popolazione. La
Repubblica Popolare Cinese è ora considerata la sesta più grande economia del mondo in termini di
scala produttiva.
La crescita economica ha anche trasformato la Cina da un economia centralmente pianificata ad una
“economia socialista di mercato”, che opera sempre più in accordo alle regole del capitalismo. In
particolare, dopo la sua adesione al World Trade Organization (10 novembre 2001), il Paese ha
iniziato un processo di miglioramento del suo sistema economico di mercato, nonché del suo
sistema legale, con l'obiettivo di creare un mercato domestico unificato ed aperto alla “fair
competition”. Gli sforzi sono stati inoltre destinati al rinnovamento della struttura industriale
esistente ed all'introduzione di capitali, tecnologie e capacità di management provenienti dall'estero,
da abbinare alla sue ricchissime risorse umane.
Tenendo conto di tutti questi fattori positivi, gli esperti sono concordi nel prevedere che, nel
prossimo futuro, la crescita economica della Cina continuerà a mantenersi all'interno del range 69%. Lo sviluppo economico del Paese e l'aumento generale del benessere darà origine a gigantesche
opportunità di business per le compagnie straniere che ambiscono allo sfruttamento del mercato
cinese con le loro tecnologie avanzate, i loro prodotti ed i loro servizi.
6 http://www.themeter.net/volum.htm
7
Alle radici della grande paura: una panoramica sulla
produzione ceramica cinese
Un breve quadro storico
La Cina e la ceramica hanno rapporti molto stretti da diverse migliaia di anni. E' proprio alle
popolazioni residenti in quella zona che viene infatti attributa l'invenzione della ceramica in era
Neolitica (5'000 - 2'200 A.C.). La grande esperienza accumulata nel corso dei secoli portò col
passare del tempo la Cina ad entrare in una nuova era della ceramica, prima con l'avvento della
dinastia Han (206 A.C. - 220 D.C.), poi con un'ulteriore rafforzamento durante il periodo delle “Sei
Dinastie” (265 – 588 D.C.)7.
E' a partire dal ventesimo secolo che la Cina abbandona il modello produttivo artigianale per
concentrarsi sulla produzione industriale, importando dall'estero i più moderni impianti produttivi
per ceramiche. Se l'industria ceramica cinese, complici gli eventi bellici del periodo, rimase
stagnante per tutta la prima metà del '900, essa esplose negli anni successivi, trainata da un autentico
boom della domanda interna.
A partire dal 1993 la Cina è diventato il principale produttore mondiale di sanitari e “constructional
ceramics8”: nel 2002 la produzione interna è arrivata a toccare gli 1,868 miliardi di metri quadrati di
constructional ceramics, le 485'400 tonnellate di sanitari, i 16,47 miliardi di pezzi di “daily-use
ceramics9” e le 378'900 tonnellate di “industrial ceramics10”.
Risale ad oltre vent'anni or sono la chiave dell'attuale successo dell'industria ceramica cinese. Era
infatti il 1983 l'anno in cui per la prima volta venne importata dall'Italia un'intera linea di
produzione, destinata alla creazione di piastrelle per pavimenti e per rivestimenti interni. La sua
importanza, prima ancora che da un punto di vista tecnologico (i macchinari importati, tra i quali
una pressa completamente automatica ed un forno a rulli, erano comunque la più avanzata linea di
produzione interamente automatizzata presente in Cina in quel periodo), fu rilevante da un punto di
vista psicologico. Essa diede il la ad un inarrestabile flusso importativo di macchinari, provenienti
non solo dall'Italia, ma anche dalla Germania, dagli USA e dal Giappone, contribuendo al boom
delle produzione ceramica.
In aggiunta a questo, già dalla fine degli anni '80, grossi giganti industriali ceramici stranieri (quali
l'INAX, l'American Standard, la Kohler e la Toto) avevano iniziato la loro penetrazione sul
territorio cinese, con la creazione di imprese controllate (Wholly Owned Foreing Enterprises,
WOFE) o sotto forma di join ventures con partners locali. Queste compagnie si sono focalizzate
sulla produzione “high-end”, raggiungendo una significativa quota di mercato in questo segmento.
Ad oggi, la Cina è il più grande produttore (e consumatore) di prodotti ceramici al mondo: vengono
prodotti al suo interno oltre 4'000 tipi di prodotti ceramici, alcuni dei quali soddisfano gli standards
qualitativi internazionali e vengono considerati competitivi, in virtù del loro prezzo, sui mercati
mondiali di esportazione.
7 http://www.nga.gov.au/TTTsui/Ceramics/ThreeSix.cfm
8 Con il termine “constructional ceramics” si intendono i vari tipi di piastrelle per pavimenti, quelle da applicare sui
muri (rivestimenti per esterni), quelle smaltate (rivestimenti per interni) ed altri prodotti quali listelli, mosaici, ecc...
9 Per “daily-use ceramics” si intendono quei prodotti ceramici con i quali vi è la quotidiana “interazione” del cliente
finale. Si tratta ad esempio di lavandini, piani per cucine, tavoli, ecc...
10 La categoria “industrial ceramics” comprende quei prodotti ceramici che vengono utilizzati come componenti di
macchine industriali. Un classico esempio di ceramiche industriali sono i cuscinetti a sfera.
8
La produzione cinese
Secondo i dati forniti dal National Bureau of Statistics (NBS), il valore della produzione
dell'industria ceramica cinese ha raggiunto nel 2002 la quota di 66,5 miliardi di yuan (equivalenti a
circa 8,1 miliardi di dollari USA), con un incremento netto del 13,3% rispetto all'anno precedente.
In termini di valore dell'output, i sanitari e le constructional ceramics costituivano nel 2002 il 68%
della produzione ceramica cinese (rispettivamente 21% e 47%), mentre i prodotti daily-use ed
industriali (in questo caso sono stati conteggiati come “ceramiche industriali” anche i prodotti
artistici) si spartivano il restante 32% (rispettivamente 24% ed 8%).
E' legittimo chiedersi per quale motivo i dati in nostro possesso, sintetizzati dall'Istituto nazionale
per il Commercio Estero (ICE) e dall'Associazione Costruttori Italiani Macchine e Attrezzature per
Ceramica (ACIMAC) tendano ad operare questa distinzione della produzione in due macro-aree:
sanitari e ceramiche per costruzioni da una parte, prodotti daily-use e ceramiche industriali dall'altra.
A rigor di logica, prendendo come unità d'analisi il consumatore finale, sembrerebbe più intuitivo
mettere sullo stesso piano i primi tre elementi, nettamente separati dall'ultimo.
L'intenzione è probabilmente quella di focalizzare l'attenzione del lettore sul fatto che sanitari e
ceramiche per costruzioni costituiscano più del 50% della produzione cinese, evitando quindi di
porre il focus sul settore delle ceramiche daily-use. Settore relativamente al quale le imprese italiane
non hanno una presenza significativa in termini di market share mondiale.
In riferimento alle quote mondiali, la tabella qui sotto mostra come la produzione cinese di
constructional ceramics sia pari ad un quarto di quella globale.
9
Product
Output
% to World Output
Tiles
1,87 billion m2
25
Sanitary Ceramics
485'400 tons
17
[fonte: National Bureau of Statistics]
Nonostante la Cina sia il maggior produttore di ceramiche al mondo, la maggior parte dei produttori
ivi localizzati è in grado di fornire esclusivamente prodotti di bassa qualità. Nei settori delle
constructional ceramics e dei sanitari, ad esempio, l'80% dei produttori produce un output finale
appartenente alla fascia “medium-to-lew”; soltanto il 20% delle imprese si focalizza invece sul
mercato high-end.
Anni di sfrenata concorrenza interna hanno portato alla scomparsa di quelle piccole imprese
ceramiche dotate di attrezzature produttive obsolete ed alla contemporanea affermazione di gruppi
industriali su larga scala. La produzione nei dodici mesi, che si aggira attorno ai 2 miliardi di metri
quadrati, ha decisamente superato la domanda proveniente dal mercato domestico.
E' da sottolineare come le tecnologie e le attrezzature ceramiche provenienti dall'estero, dopo la
svolta del 1983, abbiano giocato un ruolo cruciale nel guidare il processo di modernizzazione della
produzione ceramica cinese. Come già accennato in precedenza, negli anni successivi la Cina diede
il via ad un massiccio programma di importazione degli apparati produttivi, arrivando a dotarsi di
qualcosa come 400 linee di produzione ed oltre 2'700 presse automatiche, interamente costruiti in
Occidente. Questo fenomeno consentì alle imprese cinesi di ottenere una qualità del prodotto
sempre più elevata, che portò il paese ad imporsi come leader mondiale, in termini di volumi di
produzione, già nel 1993.
Le Constructional Ceramics
L'industria cinese produttrice di constructional ceramics risulta altamente frammentata: il popoloso
tessuto che la caratterizza, composto da numerosi piccoli produttori, realizza ricavi netti
approssimativamente pari a 50 miliardi di yuan, producendo oltre un miliardo di m2 di volume.
Nonostante si preveda che il mercato interno di constructional ceramics debba crescere al ritmo del
10% annuo per l'intero prossimo lustro, la capacità produttiva raggiunta oltrepassa di circa il 40% la
domanda attuale. Se da un lato la natura frammentata del settore offre interessanti opportunità di
consolidamento, una questione più spinosa riguarda molti players già presenti, alla ricerca del
sistema con cui poter espandere la propria quota di mercato in un'industria afflitta da una seria
situazione di sovrapproduzione.
Secondo il parere di molti esperti, la limitata crescita della produzione di constructional ceramics
negli ultimi anni (ben evidenziata dal grafico della pagina successiva) non è comunque sintomatica
di un'inversione del trend. La produzione continuerà a crescere a tassi più alti di quelli registrati nel
2001 e nel 2002, naturale flessione dopo il boom registrato nel 2000.
10
Naturale porsi a questo punto un quesito. Dove andrà a finire questa sovrapproduzione
programmata?
I produttori principali
Le statistiche aggiornate alla fine del 2002 dicono che in Cina sono attivi circa 3'500 produttori di
sanitari e constructional ceramics. Di queste imprese, solo 1'061 risultano avere un fatturato annuale
superiore ai 5 milioni di yuan, soglia arbitraria (ed obiettivamente bassa) che il National Bureau of
Statistics utilizza per distinguire tra “small” e “relatively large” producers.
Le imprese in questione sono localizzate principalmente nelle regioni del Guandong, Shangdong,
Fujian, Sichuan, Shangai, Hebei ed Henan. L'area del Guandong, ed in particolare l'hinterland di
Foshan (la più popolosa città della zona, con i suoi tre milioni di abitanti) dove si è costituito quello
che potremmo definire un vero e distretto industriale, risulta attualmente la più ampia zona di
produzione di costructional ceramics esistente al mondo, con ben 5'000 aziende (tra produttori di
ceramiche e relativo indotto) e 1'200 linee di produzione installate. Al suo interno viene generato il
30% dell'intero prodotto interno lordo cinese.
L'industria ceramica cinese è principalmente nelle mani di quattro tipi di players:
●
foreign-invested companies: si tratta dei grandi gruppi industriali stranieri, che hanno
stabilito le loro attività produttive nelle aree economicamente sviluppate del sud-est
cinese. Dispongono di tecnologie all'avanguardia, di un efficiente approccio manageriale
11
e di potenti canali di marketing. I loro prodotti si rivolgono solitamente al segmento highend del mercato cinese.
●
Taiwanese-invested companies: localizzate principalmente nell'area di Shanghai, si
rivolgono in particolare ai segmenti di mercato high-end. Se confrontate con le imprese
straniere, esse hanno mostrato un miglior livello di adattabilità culturale, che ha
consentito loro di creare una differenziazione competitiva, in virtù della quale possono
vendere i loro prodotti sul mercato domestico ad un prezzo che è cinque volte maggiore
rispetto a quello praticato dai competitors interni.
●
Foshan-based companies: compagnie private localizzate nell'area di Foshan, alcune delle
quali molto note ed influenti sul mercato cinese. Secondo le indagini compiute
dall'ACIMAC, tutte queste imprese hanno importato almeno un macchinario dall'Italia
(con una preferenza per presse e forni) ed è prevedibile che esse tendano ad accentuare
ulteriormente le importazioni, essendo diventato un “marchio di qualità” l'essere in
possesso delle più moderne tecnologie di produzione occidentali.
●
other ten leading domestic ceramics providers: sono le dieci grandi imprese disperse al di
fuori delle aree succitate, che stanno facendo registrare ottimi risultati in termini di
sviluppo del proprio market-share e di possibilità di accedere a finanziamenti esterni. Da
un punto di vista di produzione e marketing, così come i loro competitors del Guangdong,
anch'esse tendono ad importare macchinari dai Paesi occidentali e pubblicizzare il più
possibile ogni operazione di questo tipo.
Attualmente operano in Cina circa 3'300 produttori di ceramiche, un terzo dei quali localizzati nel
Sud del paese, con una crescita netta del 30% rispetto a dieci anni fa. La rapida crescita industriale
ha prodotto le sue vittime (nel 2002, come riportato qualche riga sopra, i produttori erano circa 200
in più), innescando una competizione basata sul prezzo che ha ridotto drasticamente sia i margini di
profitto, sia la qualità del prodotto finale.
Se analizzate secondo gli standards occidentali, ad oggi il 90% delle compagnie superstiti sono
classificabili come “small-to-medium sized companies” e, soprattutto, dispongono di tecnologie
produttive decisamente arretrate, che non consentono loro di produrre mediamente più di 700'000
m2 di constructional ceramics all'anno.
Con un rapido calcolo, si evince come il restante 10% delle imprese ceramiche cinesi
(numericamente attestabili intorno alle 300 unità), attrezzate con le migliori tecnologie occidentali,
12
sia in grado di produrre il restante miliardo e mezzo (stima arrotondata per difetto) di metri quadrati
di ceramiche, che caratterizza il livello di produzione cinese.
Import & Export
Nel 2002, il commercio estero dell'industria ceramica cinese, costituito principalmente da sanitari e
constructional ceramics, ha fatto registrare un avanzo di bilancia commerciale quantificabile in
447,74 milioni di dollari, con un aumento netto del 108% rispetto all'anno precedente.
Il valore delle esportazioni complessivo dell'industria ceramica cinese (probabilmente per via del
contributo negativo proveniente dal segmento delle ceramiche industriali) è aumentato in misura
minore, pari al 98%, toccando comunque il livello record di 466,91 milioni di dollari. Il valore delle
importazioni, già piuttosto basso, è crollato di un ulteriore 18%, raggiungendo la quota praticamente
insignificante di 19,17 milioni di dollari. Il ribasso è stato trainato proprio dal settore che ci
interessa maggiormente, ossia quello delle constructional ceramics: nel 2002 la Cina ha importato
1,84 milioni di metri quadrati di prodotto, ossia il 12% in meno rispetto all'ano precedente.
[fonte: ACIMAC]
Le sue esportazioni sono invece aumentate vertiginosamente rispetto all'anno precedente: dai 53,12
milioni di metri quadrati esportati nel 2001, si è infatti passati ai 124,85 milioni fatti registrare nel
2002.
Se questa cifra può apparire spaventosa e portare ad immaginare scenari catastrofici per il “nostro”
distretto ceramico, è bene approfondire la destinazione di queste esportazioni. Secondo i dati forniti
da ICE ed ACIMAC si scopre infatti che le constructional ceramics cinesi sono esportate soprattutto
nei paesi asiatici: Hong Kong, Corea del Sud ed Arabia Saudita hanno recepito nel 2002 una quota
pari all'80% dei 124,85 milioni di metri quadri di piastrelle esportati dalla Cina.
Analizzando invece la provenienza delle importazioni cinesi, si scopre che la maggior parte di esse
(circa il 40%) proviene da imprese italiane che, già nel momento del boom importativo del 1993, si
erano riuscite ad inserire con successo sul mercato della Repubblica Popolare (salvo poi accusare un
progressivo crollo della propria quota di mercato, sicuramente causato anche da imprese che hanno
chiuso i battenti nel Belpaese per riaprirli in terra orientale, a partire dal 1996).
A titolo di esempio sono riportati nella pagina seguente due grafici, elaborati dall'ACIMAC, relativi
alla provenienza delle importazioni cinese di piastrelle smaltate e non.
13
[fonte: ACIMAC]
[fonte: ACIMAC]
Aspetti tecnologici
Un'analisi comparativa tra i produttori cinesi di ceramiche e le loro controparti occidentali evidenzia
in maniera abbastanza lampante la presenza di tre fattori critici per le imprese orientali:
1. Limitate capacità di ricerca e sviluppo: se i produttori internazionali dedicano
generalmente una quota compresa tra il 4 ed il 10% delle proprie rendite agli investimenti
in R&D, i competitors cinesi lo fanno in misura molto minore (se non, come in molti casi,
ignorando completamente questo genere di spese).
2. Insufficiente capacità di utilizzo delle tecnologie straniere: i produttori cinesi tendono
generalmente a non prestare sufficiente attenzione alla revisione delle tecniche di
produzione ed all'importanza del management quando importano attrezzature produttive
dall'estero. Stanno in sostanza vivendo quella fase di “entusiasmo tecnologico” che li
porta a vedere le macchine come strumenti sufficienti per ottenere notevoli miglioramenti
in termini di efficienza e di qualità della produzione. Ne consegue che le linee produttive
installate non sono sfruttate nella miglior maniera possibile e questo comporta anche
limiti in quanto a possibilità di innovare.
14
3. Sovrapproduzione di prodotti low-cost: la rapida crescita del mercato ceramico cinese ha
portato ad una crisi di sovrapproduzione dei prodotti in ceramica di profilo low-cost. La
concorrenza sfrenata che ha portato al fallimento di moltissime piccole ceramiche ha
ancora effetti tangibili: allo scopo di ridurre i costi, mediamente, il 30% delle
construction ceramics da prodotte in Cina sono vendute senza alcun tipo di garanzia sulla
qualità.
I competitors cinesi, a partire dai primi anni '80, hanno tuttavia fatto registrare una rilevante serie di
miglioramenti tecnologici, come la completa automatizzazione delle operazioni di levigatura,
l'introduzione delle tecniche di decorazione in “terzo fuoco”, ecc... Al momento, essi si trovano
comunque ad affrontare rilevanti problemi tecnici, relativi in particolare alle tecniche di decorazione
delle superfici, all'applicazione di additivi chimici ai loro prodotti, nonché al modo di sfruttare nel
modo più efficace possibile le materie prime (basti pensare al fatto che l'argilla è praticamente
inesistente sul suolo cinese).
Politiche governative e “regulation”
L'industria ceramica cinese si è trovata per anni di fronte a quello che appare come un paradosso: in
presenza di una crisi di sovrapproduzione relativa alle ceramiche low-profile, il segmento dei
prodotti di alta qualità continua ad avere la necessità di importare dall'estero.
Nel tentativo di risolvere l'annosa questione, il governo ha varato una politica denominata “Control
the total supply and adjust the structure”. Da un lato ha incoraggiato l'esportazione di prodotti
ceramici garantendo ai produttori il rimborso del VAT11, dall'altro ha deciso di chiudere gli impianti
produttivi più piccoli (utilizzando la soglia dei 700'000 m2 di produzione annua) e dotati di
tecnologie obsolete (si sono ad esempio salvati dalla chiusura quegli impianti che, pur con una
produzione su scala ridotta, avevano introdotto tecniche di decorazione in terzo fuoco).
Il governo cinese, che già dal 1997 curava la pubblicazione di una sorta di “manuale12” per guidare
gli investimenti esteri verso i settori industriali di importanza strategica, ha aggiornato la sua opera
nell'aprile 2002. Nella revisione sono stati classificati come “incoraggiati” gli investimenti nel
raffinamento delle materie prime, nelle decorazioni di alto livello dei prodotti ceramici e nella
creazione di nuovi tipi di constructional ceramics multifunzionali. Nella pratica, l'opera di
incoraggiamento del governo si è tradotta nell'esenzione completa dal VAT e dalle tariffe doganali
per l'importazione degli impianti produttivi necessari per operare nelle aree succitate.
L'adesione della Cina al WTO, a fine 2001, ha inoltre provocato un crollo delle tariffe di
importazione. Questo avrà senz'altro l'effetto di aumentare la competitività dei prodotti ceramici
importati, nonché di stimolare la domanda interna di prodotti simili.
Lo sviluppo futuro del mercato ceramico cinese
Con il veloce e stabile sviluppo dell'economia cinese ed il continuo miglioramento delle condizioni
di vita dei suoi abitanti, il quadro prospettico per il mercato della ceramica in Cina è senz'altro
positivo. In particolare possono essere individuati quattro nodi nevralgici dello sviluppo futuro:
●
Continua crescita dell'industria edile e delle decorazioni: lo sviluppo veloce e sostenibile
della Cina, unitamente ad un fenomeno di progressiva urbanizzazione e migrazione dalle
campagne, ha direttamente innescato una rapida crescita dell'edilizia residenziale. Nuove
11 Value Added Tax, ossia il corrispettivo internazionale della nostra Imposta sul Valore Aggiunto (IVA)
12 “Catalog for Guiding Foreing Investment in Industry”
15
abitazioni vengono costruite al ritmo di 500 milioni di metri quadrati all'anno e di questo
beneficia anche l'industria delle decorazioni, sulla quale hanno forti interessi le imprese
ceramiche occidentali. Benché i patterns di consumo dei cinesi siano guidati per lo più da
logiche price-sensitive, negli edifici pubblici, così come negli hotel e nelle abitazioni di
alto livello, il ricorso a piastrelle decorative prodotte in Italia e Spagna è massiccio.
●
Opportunità di business legate allo sviluppo delle regioni ad ovest: sia il governo cinese
che diverse istituzioni ad esso strettamente collegamente, come la Development Bank of
China, hanno lanciato alcuni grandi progetti urbanizzativi delle regioni occidentali del
paese. Nei prossimi anni, secondo alcune stime attendibili, la crescita del mercato di
sanitari e constructional ceramics nell'ovest cinese dovrebbe attestarsi sul 30% annuo.
●
Giochi Olimpici di Pechino 2008: come paese ospitante le prossime Olimpiadi, la sola
città di Beijing investirà qualcosa come 180 miliardi di yuan (pari a circa 21,74 miliardi
di dollari) nella costruzione di nuove infrastrutture. A questa cifra si aggiungono altri 9
miliardi di dollari promessi dal governo centrale. Ne consegue che la domanda di prodotti
ceramici, nella zona di Pechino e nel suo hinterland, subirà una crescita senza precedenti.
●
Ingresso nel WTO: come accennato precedentemente, l'ingresso della Cina
nell'Organizzazione Mondiale del Commercio (sorvolando sugli aspetti politici della
vicenda, pur significativi: quanto tempo dovrà passare prima che i conflitti ideologici tra i
teorici della liberalizzazione e quelli della pianificazione centralizzata vengano al
pettine?) ha provocato una drastica diminuzione dei prezzi relativi ai prodotti importati.
Le tariffe sulle importazioni di prodotti ceramici, ad esempio, si sono ridotte dal 20-35%
al 10-12%, rendendo ancora più competitive e desiderate le esportazioni europee di
prodotti high-profile. Al momento, per ragioni prettamente culturali, chi ottiene le
performance migliori sul mercato cinese è chi si quel mercato è localizzato fisicamente.
Ma sarà così anche in futuro?
16
I produttori italiani di ceramiche
L'industria italiana della produzione di ceramiche
L'industria delle piastrelle di ceramica italiana è uno dei fiori all'occhiello dell'economia del nostro
Paese. Essa è costituita da 228 aziende, che occupano un totale di 29'817 addetti, organizzate sia
singolarmente che in gruppi industriali verticalmente integrati. Pur essendo diffuse su tutto il
territorio nazionale, le aziende produttrici di piastrelle di ceramica trovano una concentrazione
maggiore all'interno del distretto industriale localizzato nelle province di Modena e Reggio Emilia
(vi fanno parte, tra gli altri, i comuni di Sassuolo, Fiorano Modenese, Scandiano, Casalgrande,
Rubiera e Castellarano), vero e proprio "comprensorio della ceramica" dal quale proviene l'80%
della produzione nazionale complessiva. Altri distretti ceramici esistono nella zona compresa tra
Imola e Faenza, nonché in Veneto, Umbria, Toscana e nel Salernitano.
La varietà nella gamma di prodotti ceramici, in grado di soddisfare le esigenze più differenti
rimanendo fedele alla qualità e al gusto tipici dell'Italian Style, è uno dei fattori d'eccellenza che ha
portato l'industria italiana a coprire il 35% del commercio internazionale di piastrelle di ceramica,
grazie ad un export pari al 72% delle vendite totali.
L'elevato numero di piccole e medie imprese ceramiche ha generato nel corso degli anni una sorta di
“competizione cooperativa”, che trae energia da un sistema integrato di relazioni ed interazioni tra
tutte le componenti del distretto. In questa logica, aziende di diverse dimensioni, sia per fatturato
che per livello di produzione, riescono non solo a convivere ma anche ad incentivare una continua
evoluzione tecnologica del settore, con il risultato di offrire prodotti ceramici sempre più innovativi
e di maggiore qualità. L'industria italiana delle piastrelle ceramiche è infatti storicamente quella in
grado, prima di tutte le altre, di introdurre sul mercato nuove tipologie di prodotto. E' stato così
negli anni Ottanta con la monocottura e, più recentemente, negli anni Novanta, con il grès
porcellanato, prodotto che si è aggiunto alla vasta gamma già esistente: monocottura e monoporosa
chiara, monocottura e monoporosa rossa, bicottura, grès rosso, clinker, cotto, cottoforte, maiolica,
mosaico e pezzi speciali13.
Il distretto ceramico di Sassuolo-Scandiano
Il distretto ceramico di Sassuolo-Scandiano costituisce una realtà economica tra le più importanti e
dinamiche del Paese. Si tratta di un’area estremamente specializzata a servizio dell’industria
ceramica, alla quale fornisce impianti, materie prime, beni intermedi e ausiliari, servizi specialistici.
Al mese di giugno 2003 le imprese attive registrate nel distretto sono state complessivamente oltre
9'600. Per quanto riguarda l’occupazione dipendente in totale gli occupati sono stati oltre 34'500;
nel settore dei minerali non metalliferi (piastrelle ceramiche) i dipendenti sono circa 13'600 14 ma
l’industria ceramica, attraverso il suo indotto (macchine e impianti per ceramica, vernici, colle e
smalti, imballaggi, servizi di trasporto, servizi tecnici, design, ecc. ecc.) fornisce, direttamente o
indirettamente, lavoro ad un numero ancora più elevato di persone.
Il settore ceramico è caratterizzato dalla presenza di alcuni grandi gruppi di imprese che controllano
diversi stabilimenti sia all’interno del distretto che al di fuori dei suoi confini. I processi di
riorganizzazione intra-settoriali hanno visto aumentare nel tempo la capacità produttiva delle
13 http://www.assopiastrelle.it/cti/cer.nsf/vsas20
14 Fonte: INPS (2002)
17
ceramiche del distretto, sia attraverso processi di acquisizione di altre unità produttive sia attraverso
nuovi investimenti tecnologici.
L’area di Sassuolo-Scandiano si caratterizza non solo per la presenza delle imprese ceramiche, ma
anche e soprattutto per la concentrazione di altre attività produttive e di servizio complementari
legate al ciclo della piastrella (ossia l'indotto, componente principale per la formazione di un
distretto industriale). In particolare, qui si collocano il “cuore” dell’industria italiana meccanoceramica, leader mondiale del proprio comparto, e numerose imprese specializzate nella chimica.
La domanda mondiale di piastrelle e la produzione italiana
Gli investimenti in edilizia residenziale, in ovvia relazione diretta con quelli in piastrelle di
ceramica, si assestano su ottimi livelli in molti Paesi, trainati dai bassi tassi di interesse (tuttavia,
anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti, dove i tassi di interesse sono aumentati, e con essi il costo
del denaro, il quadro evolutivo delle costruzioni residenziali sembra per il momento tenere).
Un'importante eccezione alla regola è costituita dalla Germania, che rappresenta tradizionalmente
uno dei principali mercati di sbocco per le ceramiche italiane.
Conseguentemente a questo andamento dell'edilizia, i consumi di piastrelle sui mercati contendibili
dell'Europa Occidentale sono cresciuti in maniera significativa, tranne in Germania dove sono
rimasti stabili. In particolare sono proseguite in maniera sostenuta le espansioni del Nord America
(+10%) e dell'Europa centro-orientale (+9% circa).
Per quanto riguarda invece la produzione di piastrelle da parte delle imprese italiane, il 2004 ha
fatto registrare una diminuzione del 2,36% rispetto all'anno precedente (589,2 milioni di metri
quadrati, contro i 603,4 del 2003). Le stime per il 2005 prevedono una sostanziale stabilità del
livello di produzione raggiunto, mentre un piccolo incremento (nell'ordine dello 0,5%) è previsto
per il 2006, dove si dovrebbe nuovamente superare la soglia dei 590 milioni di metri quadrati di
produzione.
Livelli
2004
(mil. m2)
2003
2004
var. %
2005
2006
Vendite in Italia
171
-0,2
0,5
0,6
0,1
Vendite in Europa
Occidentale (1)
211
-1,1
-0,1
-0,1
0,5
Vendite in Europa
centro-orientale (1)
62
-12
-5,5
-3
0,3
Vendite in Nord
America (1)
83
4,2
5,6
3,2
1,7
Vendite nel Resto del
Mondo (1)
45
-19,3
-13
-2,7
-0,6
Vendite sui mercati non
contendibili
12
1,5
9,5
5,3
4,1
Totale vendite all'estero
412
-4,6
-1,2
0
0,7
Vendite totali
584
-3,4
-0,7
0,2
0,5
Produzione
589
-0,3
-2,4
0
0,5
(1) vendite sui mercati contendibili
[fonte: ASSOPIASTRELLE]
18
La tabella riportata nella pagina precedente mostra un breve riepilogo dei risultati di vendita
raggiunti dalle imprese italiane negli ultimi due anni, nonché le previsioni per l'intero 2005 e per il
2006. Da sottolineare che con la definizione di “mercato contendibile” si intende un mercato in cui
non si hanno barriere in entrata o in uscita15.
I mercati di sbocco più rilevanti per i produttori italiani sono quelli tradizionali. Primo su tutti vi è il
mercato interno, che da solo assorbe 171 dei 598 milioni di metri quadrati di produzione annua. Le
esportazioni di piastrelle italiane in Europa sono dirette principalmente verso Francia e Germania,
da sempre i mercati continentali più importanti per dimensione. Inoltre, la presenza della ceramica
italiana nelle Americhe è in costante crescita, soprattutto negli Stati Uniti, dove l'Italia detiene, già
da alcuni anni, il ruolo di market leader.
Il Medio Oriente, compreso nell'aggregazione “Resto del Mondo” si conferma un mercato poco
felice per le esportazioni di piastrelle italiane. In quelle zone, al contrario, procedono a gonfie vele
le vendite di macchine ed attrezzature per la produzione (come si vedrà nel capitolo dedicato ai
fabbricanti italiani di attrezzature produttive), segno di un mercato che predilige “farsi le cose in
casa” (con le dovute eccezioni di Iran, buon importatore di ceramiche italiane, ed Arabia Saudita,
dove la presenza commerciale cinese è rilevante).
15 Tale libertà agisce da stimolo in termini di efficienza aziendale. Così, anche in presenza di una sola azienda sul
mercato, questa può dimostrare grande efficienza se il mercato si dimostra contendibile.
http://www.careonline.it/dizionario/definizione.asp?ID=235
19
I produttori italiani di macchine ed attrezzature per ceramica
Un’analisi del settore della ceramica non può ovviamente orientarsi in maniera esclusiva sullo
studio delle cifre relative a produzione/commercio dei beni finali, vale a dire delle piastrelle in
ceramica. Altrettanto importante risulta infatti analizzare l’andamento negli ultimi anni (nonché le
previsioni per il futuro prossimo) di quelle industrie italiane che producono e commercializzano i
macchinari necessari alla produzione di ceramiche.
La situazione nel 2003
Il 2003 ha confermato il periodo di crisi che il settore delle macchine e attrezzature per ceramica ha
toccato con mano a partire dal 2001 e che due anni più tardi ha portato il fatturato a quota 1'402,4
milioni di euro: un decremento del 3,4% rispetto all'anno precedente che si traduce, in valori
assoluti, in un calo di 50 milioni di euro. La causa principale di questo dato negativo è stata la netta
riduzione delle vendite sul mercato interno (-11,5%), scese da 484 a 428,5 milioni di euro.
Il mercato estero, al contrario, si è mantenuto sostanzialmente costante sui valori dell'anno
precedente, passando da 968,5 a 974 milioni di euro (+0,6%), facendo crescere l'incidenza
dell'export sul fatturato totale dal 66,7% al 69,4%.
[fonte: ACIMAC]
Molto significativa l'analisi delle tipologie di fornitura, dalla quale emerge che le famiglie di
macchine che hanno risentito maggiormente della crisi del settore sono state quelle destinate alla
formatura (-9,8% le presse, -6,5% gli stampi) ed alla cottura (-15,8%) del prodotto, mentre sono
risultate in crescita le vendite di impianti per la smaltatura e decorazione (+10,7%), oltre che per la
preparazione delle terre (+6%). Sebbene il Paese sia rilevante soltanto per un 8,3%, questi dati
sembrano il riflesso di quanto scritto nel capitolo relativo alla Repubblica Popolare Cinese:
raggiunta una massa critica (fin eccessiva, considerata la crisi di sovrapproduzione di cui è stata
vittima) di imprese ceramiche in attività, è evidente come si stia diffondendo (anche grazie al deciso
input governativo) un impulso alla creazione di un prodotto qualitativamente superiore. Qualità che,
in prima approssimazione, può essere espressa attraverso l'applicazione di nuovi smalti e decori alle
piastrelle prodotte, grazie appunto ai nuovi macchinari provenienti dalle fabbriche italiane.
20
Cos'è cambiato nel 2004
E' con i risultati del 2004 che si è ufficialmente interrotto il trend negativo iniziato nel 2001. Dai
dati rilevati emerge infatti un rilevante risultato positivo delle vendite di macchinari verso l'industria
dei produttori di piastrelle locali (+14,1%). Più in generale, il processo di contrazione del mercato
europeo, derivante soprattutto dal perdurare della crisi del mercato interno spagnolo, sembra aver
subito una brusca inversione di tendenza (+24,6% rispetto al 2003). Crescono inoltre le vendite in
Medio Oriente (con un significativo +54,3%), Nord, Centro e Sud America, Cina e paesi
dell'Europa orientale.
Il trend negativo appare invece confermato per quanto riguarda le esportazioni verso il Sud Est
Asiatico, che crollano del 32,1%.
Terzo mercato di esportazione (dopo Medio Oriente ed Unione Europea) diventano i paesi
dell'Europa orientale nei quali, dopo un anno di calo fisiologico, riprende il trend positivo di crescita
delle vendite che raggiungono il valore, in termini assoluti, di 150,1 milioni di euro. Cifra che
sottintende una crescita del 39% rispetto al 2003.
[fonte: ACIMAC]
Riprendono inoltre le vendite in Cina, Hong Kong e Taiwan che si assestano nel 2004 a 97,9 milioni
di euro (+20,3% rispetto al 2003), mentre il resto dell'Asia registra un segno negativo di -32,1%,
dovuto in particolare alla sensibile diminuzione delle vendite nel Sud Est Asiatico.
Anno 2004 Anno 2003
Totale aziende
Var. %
175
173
+1.10%
Fatturato Totale (milioni €)
1'593.4
1'402.4
+13.6%
Fatturato Italia (milioni €)
448
428.5
% sul fatturato totale
28.1%
30.6%
Fatturato estero (milioni €)
1'145.4
974
% sul fatturato totale
71.9%
69.4%
+4.6%
+17.6%
[fonte: ACIMAC]
Per quanto riguarda la tipologia di prodotto, la maggior parte dei settori regista una crescita,
compresi anche quelli che erano in diminuzione nel 2003, e cioè le macchine destinate alla
21
formatura del prodotto (presse), che hanno registrato un aumento del 22,6% e quelle destinate alla
cottura (+34,7%). In calo, invece, la vendite di stampi (-4,7%), di impianti per la scelta,
confezionamento e pallettizzazione (-19,1%) e di strumenti di laboratorio (-53,1%).
Da un punto di vista di “distribuzione” del fatturato, i dati non si discostano di molto da quelli
riferiti al 2003. Il settore trainante della domanda rimane sempre quello della produzione di
piastrelle, da cui proviene l'82,8% del fatturato dei produttori italiani di macchine ed attrezzature
per ceramica. L'unico cambiamento degno di nota è l'aumento del 39,1% relativo alle macchine per
la produzione di sanitari: tale dato percentuale non deve però essere frainteso, visto e considerato
che questo segmento fatturava, nel 2003, soli 65,5 milioni di euro.
[fonte: ACIMAC]
Le previsioni per il 2005
Il 2005 riflette in parte quanto già emerso in fase previsionale: il parziale recupero del mercato
spagnolo e la crescita di Russia e Medio Oriente. Va rilevato comunque che, pur a fronte di un
fatturato in sostanziale crescita, continuano a ridursi i margini di redditività per la maggior parte
delle aziende del settore, prevalentemente composto da piccole e medie imprese. A questo si
aggiunge la persistente incertezza del quadro economico mondiale che influisce pesantemente su un
comparto che storicamente ricava dalle esportazioni oltre i due terzi del proprio fatturato, con
presenze consolidate su tutti i mercati mondiali. A dimostrazione di ciò, i primi sei mesi dell'anno in
corso registrano un generalizzato calo della domanda. Per quanto riguarda i prossimi sei mesi le
vendite dovrebbero vedere un parziale recupero, che comunque difficilmente consentirà di chiudere
l'anno sugli stessi valori di fatturato del 2004 Per quanto riguarda i mercati si prevede che continui il
trend positivo del paesi dell'Europa Orientale, mentre il Medio Oriente, in particolare l'Iran, potrà
registrare una fisiologica flessione degli acquisti. Il comparto, per continuare ad essere competitivo
in un quadro internazionale non stabile, dovrà proseguire nell'offerta di proposte tecnologiche
sempre più innovative e di conseguenza continuare ad investire nella ricerca. Dovrà inoltre, per
questo motivo, continuare sulla strada del già avviato, seppur lentamente, processo di aggregazione,
quale elemento vitale, per riuscire ad assorbire i costi crescenti della ricerca e del presidio dei
mercati16.
16 ACIMAC, Comunicato stampa cs 06-05 del 10/06/2005
http://www.acimac.it/acimac/pagine/viewpage.do?idMenu=_search&idp=6009
22
Alcune considerazioni su quanto finora esposto
Italia e Cina, sostanzialmente, operano su mercati differenti. Se le esportazioni italiane si
focalizzano principalmente sull'Europa Occidentale (Francia e Germania in primis) e sul mercato
interno (complessivamente, nel 2004, sono arrivati in queste aree 382 dei 584 milioni di metri
quadrati di piastrelle ceramiche prodotte in Italia), quelle cinesi approdano per l'80% in aree
geografiche totalmente diverse (Hong Kong, Corea del Sud ed Arabia Saudita).
Al momento non esistono indicatori univoci del fatto che, in un futuro più o meno prossimo, le
ceramiche cinesi saranno in competizione esattamente sugli stessi mercati di esportazione della
produzione italiana. L'unico mercato che i due Paesi si stanno contendendo è attualmente quello del
Nord America, un mercato tradizionalmente difficile da penetrare per l'industria ceramica e con
dubbie prospettive di sviluppo, legate prevalentemente a fattori culturali tipici della popolazione
americana: preferenza per i rivestimenti in legno, abbondante uso di moquette, riluttanza ad
investimenti eccessivi sulle abitazioni.
L'analisi dei modelli di specializzazione e soprattutto la tendenza dell'est asiatico a spostarsi verso le
produzioni hi-tech, fa pensare che nel futuro la correlazione tra Italia e Cina sarà sempre meno
marcata. Ma non vi è neppure evidenza del fatto che il settore ceramico dei due Paesi non possa
sovrapporsi ugualmente. L'industria ceramica cinese è in espansione, questo è chiaro, ma è in
fortissima espansione anche la domanda interna, trainata da investimenti in edilizia residenziali che
non hanno eguali nel mondo.
La minaccia commerciale proveniente dalla Cina non è dunque una generica minaccia alla
sopravvivenza dell'intero sistema economico italiano, ma si focalizza principalmente su alcuni
settori ad alta intensità di lavoro non qualificato. Esattamente quelli tipici del made in Italy, per i
quali la componente “irrazionale” del consumatore è maggiore, e per i quali è dunque estremamente
difficile fornire previsioni che possano avere un qualche livello di attendibilità.
Per quanto riguarda l'aspetto qualitativo, con riferimento al settore della ceramica, è difficile dare
una risposta certa all'eterno dilemma: le piastrelle cinesi sono effettivamente comparabili con quelle
italiane?
Il problema semmai deriva dal fatto che le fonti di differenziazione qualitativa per una piastrella
sono poche. Si può intervenire sul taglio, sul disegno, ma si tratta di modifiche facilmente e
velocemente replicabili. Certo, il know-how, la capacità di utilizzare al meglio le macchine,
consente alle imprese italiane di mettere in pratica più velocemente le necessarie modifiche alle
linee di produzione, nonché di ottenere una produzione che quasi interamente confluisce nella
cosiddetta “prima scelta”, ma tutto ciò non influisce particolarmente sulla domanda di fondo.
A sentire i diretti interessati, ossia chi lavora all'interno del distretto di Sassuolo-Scandiano, esiste
ancora un diccolo differenziale a favore delle imprese nostrane, soprattutto per quello che riguarda i
formati più grandi (80x80 e 120x120), che attualmente in Cina si fatica a produrre. Alcuni prodotti,
al contrario, già oggi sembrano essere perfettamente paragonabili, come ad esempio il grés
porcellanato.
I fatti, però, spingono verso un'altra interpretazione: il recente ed estremamente discusso sequestro
della merce esposta dalla ceramica Onna, avvenuto ad Orlando nell'ambito del Coverings 2005 (la
più importante fiera statunitense) di settore17 è emblematico. L'azienda in questione aveva copiato in
tutto e per tutto il catalogo di un'impresa del distretto (nello specifico, la Marca Corona), cambiando
17 http://www.edilio.it/news/edilionews.asp?tab=Notizie&cod=9812
23
esclusivamente il logo sulla pagina iniziale. I prodotti che essa vendeva erano dunque esattamente
gli stessi dell'impresa italiana. Ed evidentemente gli affari non andavano neppure così male, se,
vista e considerata la cautela con la quale a livello diplomatico si muovono USA e Repubblica
Popolare Cinese, la polizia locale non ha esitato ad intervenire con un sequestro in massa della
merce esposta.
24
Una possibile soluzione
Quando si parla della minaccia derivante dalla “eccessiva competitività” dei prodotti cinesi, o
comunque provenienti da Paesi nei quali i bassi costi di manodopera consentono a quanto prodotto
di diventare economicamente “interessante” per i consumatori italiani (o dei Paesi occidentali in
genere), le possibili soluzioni proposte dagli esperti (o presunti tali) sono le più svariate.
Delocalizzazione?
Uno degli approcci più diffusi vuole che il segreto per un'impresa occidentale che voglia ritrovare
competitività stia nella delocalizzazione della produzione. Spostando la funzione produttiva
all’estero, in un Paese possibilmente vicino ai mercati di sbocco che si vogliono raggiungere e dove
il costo del lavoro sia sufficientemente basso da poter costituire una fonte di vantaggio competitivo,
diventa possibile fronteggiare ad armi pari quei competitors internazionali che fanno della
concorrenza basata sul prezzo il loro cavallo di battaglia.
I successi registrati dal settore ceramico in Polonia, Cecoslovacchia e Turchia, per fare tre esempi
del panorama est-europeo, oppure in Brasile, per estendere l’esemplificazione su scala globale,
sembrano sostenere questa tesi.
Ma può veramente avere successo una risposta strategica di questo tipo? E soprattutto, quanto a
lungo può durare?
Adottare una strategia delocalizzativa non è una soluzione al problema, ma semmai un palliativo, un
modo di ritardare il momento in cui il problema della mancanza di competitività dovrà essere
fronteggiato in maniera seria ed imperativa. Permetterebbe, questo è vero, di garantirsi la
sopravvivenza, migliorando nel breve periodo il proprio tasso di customer retention e dando di
conseguenza la possibilità di ritagliarsi qualche altro anno di buon fatturato, alimentato dai minori
costi di produzione (cui fanno tuttavia da contraltare, tutt'altro che trascurabili, i costi di
“mantenimento” di una realtà produttiva geograficamente distante dalla casa madre) e di trasporto
(ammesso che il nuovo impianto produttivo sia collocato in una posizione strategicamente vicina sia
alle materie prime/fornitori, sia ai mercati di sbocco).
Delocalizzare significherebbe però accettare la propria incapacità cronica di innovare. Al di là degli
aspetti psicologici che ne potrebbero conseguire (sia internamente all'azienda, con un presumibile
“sfiduciamento” del personale, sia all'esterno, nell'ambito della percezione dell'organizzazione
diffusa tra i suoi clienti e fornitori), il rischio è quello di innescare un pericolosissimo processo di
concorrenza basata sul prezzo. Che, la storia economica insegna, si tradurrebbe in un mercato dove i
livelli di redditività si assottigliano sempre di più, tendendo rapidamente allo zero.
Allora sì che la competizione non sarebbe più un problema. I bassi margini di profitto
costituirebbero una barriera all’ingresso pressoché insuperabile (chi mai desidererebbe investire
ingenti capitali in un settore che promette una bassa redditività, oltretutto sommata ad un rischio
imprenditoriale rilevante?) ed i pochi sopravvissuti, costretti ad integrarsi tra loro alla ricerca della
miglior economia di scala possibile, finirebbero per costituire una sorta di “triste monopolio”. Dove,
è facile prevedere, l'innovazione di prodotto verrebbe completamente dimenticata a favore di quella
di processo.
Nel caso in cui fossero le imprese del distretto ceramico di Sassuolo-Scandiano, oggetto d'analisi di
questo studio, a decidere di percorrere comunque questa strada, il risultato sarebbe prevedibile.
Sarebbe, in buona sostanza, il de profundis del distretto stesso.
25
Ammesso (e non concesso, come è stato sottolineato in precedenza) che la minaccia principale per
la sopravvivenza del “nostro” distretto ceramico provenga dal far-east asiatico, perché non provare
piuttosto a “sconfiggere” la Cina sfruttando quella carta che essa, per motivi prettamente politici,
fatica a giocare fino in fondo? Mi riferisco naturalmente ad Internet ed alle tecnologie di rete in
generale.
La Repubblica Popolare Cinese ed Internet
La Cina ha attualmente 70 milioni di utilizzatori di Internet e tale cifra cresce a tassi del 20-30%
annui. Il governo cinese è perfettamente conscio del potenziale della rete da un punto di vista delle
libertà civili, tanto da essere intervenuto duramente ed a più riprese sulla questione, cercando di
limitare il più possibile l'accesso ad informazioni “sgradevoli” da parte dei suoi cittadini e
sollevando conseguentemente ondate di indignazione da parte del mondo occidentale18.
Il governo è però altrettanto consapevole del potenziale di Internet quale strumento strategico per il
mondo del business. Nel settore della ceramica sono state promosse, a livello centrale, due iniziative
molto interessanti:
●
“China Ceramics Information Source Network19”: sviluppato in collaborazione con China
National Ceramics Information Center, China Ceramic Industry Association e Jingdezhen
Ceramics Instituion, il suo intento è quello di diventare un portale di riferimento per
quelle imprese ceramiche cinesi che intendono cercare nuove opportunità di business e
promuovere i propri prodotti, fornendo informazioni di prima mano ai tecnici, creando un
canale per lo sviluppo di nuovi prodotti e l'applicazione di nuove tecnologie di
produzione, nonché fornendo supporto al management di queste imprese.
●
“China Ceramics Network20”: sponsorizzato ed autorizzato dalla China Building
Ceramics & Sanitaryware Association (CBCSA), la sua “solenne missione” è fornire le
linee guida per il progresso dell'industria ceramica cinese e tracciare la via da seguire
perchè i prodotti cinesi possano penetrare sul mercato mondiale. Oltre a questo, la China
Ceramics Network si sforza di promuovere iniziative di E-Business da parte dei suoi
associati.
Road-map per una risposta strategica basata su Internet ed alternativa alla
delocalizzazione
Chi è che oggi è in grado di dire quale impresa ceramica abbia prodotto le piastrelle che rivestono i
pavimenti della sua abitazione?
E' sufficiente questa innocua domanda, alla quale, con ogni probabilità, soltanto gli “addetti ai
lavori” (e sicuramente non tutti) saprebbero rispondere, per far emergere una questione tanto
evidente quanto ormai difficile da fronteggiare. Il problema principale che affligge il settore
ceramico sembra in ultima analisi riconducibile alla mancata percezione del “prodotto piastrella” da
parte degli utenti finali. A mancare è un qualsiasi tipo di contatto azienda-cliente finale21:
esattamente quello che le tecnologie di rete sono in grado, non solo di agevolare, ma anche di
stimolare.
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21
Si veda ad esempio http://www.lettera22.it/showart.php?id=428&rubrica=18
http://www.ccisn.com
http://www.ceramicschina.com
Nel seguito utilizzerò, anche se in modo improprio, il termine “cliente finale” come sinonimo di “utente finale”.
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In un'epoca come quella corrente, dove uno dei prodotti più immediati e tangibili della
globalizzazione è stata la nascita di una nuova forma di consumatore, estremamente informato ed
esigente, conscio della sua importanza per l'azienda da cui effettua acquisti, la comunicazione è
diventata un elemento di fondamentale importanza. Ogni contatto con un cliente è un potenziale
momento di creazione di valore. E le tecnologie di rete, in grado di intensificare, o anche di creare
da zero, i contatti tra l'azienda produttrice ed il cliente finale, possono di conseguenza contribuire a
creare valore, immediatamente percepibile come tale dal cliente. Internet è il canale di
comunicazione ipermediatico che consente di ottenere con la maggior rapidità possibile un feedback
da parte dei “contatti”, ad un costo decisamente più basso rispetto ai media concorrenti: fattori che,
nella scelta del canale su cui puntare maggiormente, fanno decisamente pendere l'ago della bilancia
dalla parte delle Rete delle Reti.
Da cosa deriva la paura, diffusa all'interno del distretto ceramico di Sassuolo-Scandiano, di essere
rapidamente sopraffatti dal “mostro” cinese? Un'azienda che non compete sul costo, per forza di
cose compete sulla differenziazione, ossia sulla qualità percepibile (e percepita) dei propri prodotti o
servizi da parte dei clienti. La paura percepita nel distretto deriva dalla consapevolezza di essere
estremamente vulnerabili al fattore costo. Ossia, in altri termini, dalla consapevolezza di non essere
qualitativamente superiori rispetto ai nuovi competitors (Cina in primis) spuntati sui mercati
mondiali in seguito all'accelerazione del processo di globalizzazione e capaci di produrre a costi
molto più bassi rispetto alle imprese occidentali.
Uno sviluppo a danno di questi nuovi competitors, avendo precedentemente escluso l'ipotesi della
delocalizzazione, deve necessariamente passare attraverso un rafforzamento dell'immagine delle
imprese ceramiche italiane. Un miglioramento d'immagine che si tradurrebbe automaticamente in
una miglior percezione dei loro prodotti da parte degli utenti.
La risposta strategica alle nuove minacce competitive deve dunque riguardare innanzitutto l'area
marketing. Attraverso campagne di comunicazione, sia di massa che mirate, si deve operare per
cercare di creare nel consumatore mondiale un “brand” relativo alla piastrella. L'obiettivo deve
essere necessariamente ambizioso. Un giorno dovrà essere il consumatore finale, ossia chi in un
edificio in costruzione dovrà vivere o trascorrere la sua giornata lavorativa, a percepire un'immagine
di marca così forte da spingerlo ad esercitare pressioni affinché le piastrelle con le quali sarà
continuamente in contatto siano contraddistinte da un certo marchio. Il cammino da percorrere da
parte di un'impresa ceramica, sulla strada che possa portarla a farsi (ri)conoscere dai propri clienti,
deve necessariamente passare anche attraverso l'utilizzo di Internet.
Un esempio applicativo
Un primo passo potrebbe essere la redazione di un semplice depliant, che gli agenti dovranno
distribuire ai clienti dell'impresa ceramica per cui lavorano, i quali a loro volta si occuperanno di
consegnarlo agli utenti finali dei prodotti ceramici. Secondo le modalità promozionali che si
ritengono più opportune, nel volantino dovrà essere messo in evidenza l'indirizzo del sito Internet
aziendale, invogliando il più possibile il lettore a visitarlo.
Per quanto appaia potenzialmente molto alto il “tasso di dispersione” (inteso come numero di
depliant che non vengono consegnati), un buon sistema di incentivi economici diffuso a tutti gli
intermediari coinvolti nel processo comunicativo dovrebbe consentire di rendere questo problema
del tutto marginale.
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In questo modo si può riuscire a stabilire il primo contatto azienda-utente. Il cliente che, per
semplice curiosità o per effettivo interesse, visiterà il sito Internet dell'azienda, sarà esposto alle
strategie persuasive e comunicative adottate da chi ha realizzato le pagine. Il contatto è dunque
avvenuto. Si tratta a questo punto di gestirlo nel migliore dei modi e di farlo durare nel tempo.
Operazione non semplice: per raggiungere questo obiettivo, il sito web deve essere in grado di
fornire un servizio, efficiente, al visitatore.
Obiettivamente, nel campo delle ceramiche, le possibilità di offrire un servizio direttamente
all'utente finale non sono molte. Si potrebbe innanzitutto pensare di fornire ai visitatori una
descrizione accurata del prodotto che essi hanno nella propria casa, corredata dalle regole da seguire
durante le operazioni di pulizia. Si tratta però di servizi di interesse relativo e, soprattutto, poco
personalizzabili (quindi meno percepiti dal cliente come “contenuti di qualità”). Occorre creare
nuovi servizi, ad oggi anche impensabili, ma tali da poter essere almeno in parte erogati attraverso
Internet. Servizi che possono essere di vario genere, ad esempio di assistenza che si attiva nel caso
della rottura di una piastrella: comunicazione attraverso Internet del problema ed immediato
intervento della squadra di “sostitutori” del pezzo danneggiato.
Mantenere i consumatori fidelizzati sul proprio sito Internet consente di praticare sia politiche di upselling (vendere, in futuro, nuovi prodotti ceramici allo stesso cliente), sia azioni di cross-selling
(vendere prodotti complementari al cliente, quali ad esempio prodotti per la pulizia e la
manutenzione).
Una volta assimilata l'idea del rapporto continuo con i propri clienti, e diffuso un minimo di cultura
della rete all'interno dell'organizzazione, si potrebbe pensare di fare qualcosa in più. Stimolare ad
esempio la nascita di uno o più newsgroup, sulla rete Usenet, dedicati alla ceramica. Le discussioni
e gli scambi di opinioni che avranno luogo al loro interno potranno rivelarsi estremamente
interessanti agli occhi degli esperti di marketing, che potranno così toccare con mano le sensazioni
dei loro clienti e, soprattutto, le loro esigenze. Non è un compito facile quello di “avviare” un
gruppo di discussione su Internet, tradizionale campo nel quale si applicano le logiche
dell'economia delle reti. Il “prodotto newsgroup” fornisce infatti ai suoi utenti un valore
direttamente proporzionale22 al numero di altri utenti che lo frequentano e vi lasciano messaggi.
Occorre dunque raggiungere una massa critica di utilizzatori (e quindi di messaggi), in un processo
che, se da un lato non richiede eccessive risorse economiche, dall'altro non garantisce “ritorni” in
tempi rapidi.
Ancora più utili potrebbero poi diventare se, da destrutturate che sono, queste informazioni
informali raccolte sulla rete venissero immediatamente raccolte all’interno di un database
marketing, previa un'opportuna “traduzione” ad opera di un sistema di text mining.
Affinché questi dati fatti confluire all'interno del sistema informativo aziendale vengano utilizzati
nel modo più utile possibile, si rende necessario ripensare, reingegnerizzare la catena del valore
dell'impresa, estendendola fino a comprendere anche la rete dei distributori (principalmente agenti
multimandatari, eccetto quelli che operano per le imprese con un fatturato superiore alla media del
distretto) e quella dei fornitori (fornitori di materie prime, quali i vari tipi di argilla, di smalti,
impianti di produzione, ecc...).
Dotando gli agenti di strumenti informatici che permettano loro di avere sotto controllo, in ogni
momento ed in qualsiasi luogo, un “profilo” del cliente che si trovano davanti, con un elenco delle
22 Non è del tutto corretto sostenere che vi sia una relazione direttamente proporzionale tra il valore di un newsgroup
ed il numero di utenti che vi partecipano. E' infatti presumibile che, oltrepassata una certa soglia di utilizzatori, il
gruppo di discussione diventi di fatto impraticabile (ed il suo valore diventi di conseguenza molto prossimo allo
zero).
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esigenze tipiche di quel segmento di consumatori a cui appartiene, aumenta notevolmente la
possibilità dell'agente di “piazzare” la merce. Dando inoltre al mandatario l'accesso a tutte le
informazioni presenti nel sistema informativo dell'azienda, egli potrà disporre di dati aggiornati in
tempo reale sulle disponibilità di magazzino e sull'andamento di produzione e domanda, in maniera
tale da poter fissare un prezzo ritagliato su misura per quel cliente e per quel determinato momento.
Per quanto riguarda invece i fornitori, integrarsi a loro volta nei sistemi informativi/informatici
dell'impresa ceramica, consentirebbe loro di avere accesso a tutte quelle informazioni relative ai
piani di produzione. Questo si tradurrebbe in un immediato vantaggio per entrambi gli attori: i
fornitori non sarebbero più raggiunti da ordinativi inaspettati, mentre la ceramica, dal canto suo,
potrebbe godere di un più efficiente sistema di approvvigionamento (realizzando quella che viene
spesso chiamata Supply Channel Management).
Il processo di vendita
Già ad una prima e superficiale analisi, risulta evidente come il processo di vendita delle imprese
ceramiche sia a tutt'oggi costruito su fondamenta estremamente fragili.
Un enorme potere commerciale è troppo concentrato nelle mani di pochi. Il “potere contrattuale” di
cui dispongono i posatori, spesso e volentieri coloro che scelgono quale tipo di piastrella utilizzare
per i loro lavori, è obiettivamene eccessivo. Si tratta di un clamoroso errore strategico che le
imprese ceramiche hanno maturato nel corso degli anni e che le rende estremamente vulnerabili.
Così come è un errore, forse persino più grave di quello appena esposto, affidare l'intera gestione
del processo di vendita ad una rete di intermediari, gli agenti, sui quali non è possibile esercitare un
controllo efficiente (se non in termini di fatturato) e che potrebbero potenzialmente compromettere i
destini di un'azienda di cui sono mandatari (pericolo aggravato dal fatto che solo le ceramiche di più
grandi dimensioni si affidano ad agenti monomandatari; per le altre, l'agente multimandatario è lo
“standard de facto”) con poche e semplici mosse.
Benché al momento i problemi da fronteggiare siano di ben altra natura, i vari manager che operano
nelle imprese del settore ceramico dovrebbero prima o poi cercare di risolvere questo problema.
Con l'ausilio di Internet e delle tecnologie di rete in genere, nel lungo termine si potrebbe pensare di
bypassare nettamente la tradizionale rete di agenti, rivolgersi direttamente ed esclusivamente ai
clienti. Si potrebbe in pratica procedere ad una progressiva disintermediazione del settore, ottenendo
come primo effetto concreto una sensibile riduzione dei costi, dovuta al venir meno delle
provvigioni e degli stipendi “fissi” dovuti agli agenti mandatari e dei relativi costi di agenzia.
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Conclusioni
Le possibilità di rispondere alla presunta minaccia cinese, come abbiamo visto anche in questo
breve lavoro, nel settore ceramico non mancano di certo. La più semplice ed immediata strategia
delocalizzativa deve però essere sostituita da un impegnativo processo di revisione dell'intero
settore. Gli obiettivi da perseguire da parte di ogni singola azienda dovranno essere la creazione di
un'immagine di marca indistruttibile e la vendita diretta al cliente finale. E' solo in questo modo che
il “made in Italy” delle piastrelle di ceramica potrà affrontare senza patemi d'animo le sfide del
futuro.
Il “made in Italy”
E' però evidente come si stia cercando di affrontare con razionalità un problema che
dell'irrazionalità fa invece la sua caratteristica saliente. Chi può affermare che sia razionale l'amore
per il “made in Italy” diffuso in vaste aree del mondo?
La globalizzazione ci sta ora costringendo ad analizzare questo fatto. E questo è ovviamente
traumatico per tutti quei managers che da sempre hanno potuto presentare le proprie merci sui
mercati internazionali, facendo leva principalmente sulla distorsione percettiva dei clienti, piuttosto
che sulle qualità intrinseche del prodotto.
Così come è riuscito ad affermarsi in Europa, negli Stati Uniti, in Medio Oriente e nell'Est Europeo,
il marchio “made in Italy” può vincere anche questa sfida. Però, le difficoltà derivanti dal condurre
questa battaglia in aree così distanti, non solo geograficamente ma anche e soprattutto
culturalmente, dal Belpaese, come la Cina, sono maggiori. A confrontarsi sono due modelli, due
sistemi di valori completamente differenti e distanti anni luce l'uno dall'altro. Storicamente sono
stati i media, radio e televisione soprattutto, ad appiattire queste differenze, uniformando il mondo
occidentale al sistema dei valori statunitense. E generando, come conseguenza diretta ed immediata,
una domanda di prodotti americani senza precedenti nei Paesi culturalmente neo-colonizzati.
Facile, tuttavia, compiere un'invasione mediatica quando si è in possesso di tutte le armi necessarie
per farlo ed il Paese bersaglio non ha difese adeguate per fronteggiarla. Molto più difficile
praticarla, invece, quando il target è una dittatura tra le più potenti al mondo, conscia del potere
insito nelle tecnologie di comunicazione, e quindi ben attenta a non prestare il fianco al nemico.
Investire in Cina?
Chiudo con quella che potrebbe apparire una provocazione, ma che vuole invece essere una
semplice considerazione.
Tutti i dati analizzati portano ad un'unica ed inequivocabile considerazione. Avviare una linea di
produzione di constructional ceramics in Cina (o in un'area geograficamente vicina ad essa), per
quante difficoltà si possano incontrare durante il cammino (difficoltà che, viene da chiedersi, sono
realmente esistenti, visti gli sforzi che il governo sta compiendo per migliorare qualitativamente il
livello di produzione della propria industria?), orientando le vendite proprio sul mercato cinese, è
un'opportunità di business di portata gigantesca e da cogliere al volo.
Perché i mass media non ne parlano, se non sporadicamente? E perché le associazioni di settore non
lo sottolineano con la necessaria forza? Se da un lato è assolutamente legittimo che le associazioni
di settore perseguano la propria mission di difendere ad oltranza il tessuto economico italiano,
dall'altra l'impressione è che, paventando in ogni dove la “concorrenza sleale cinese” si stia
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cercando di generare un diffuso allarmismo per costringere il governo (italiano o europeo che sia)
ad intervenire sulla materia. C'è chi parla di dazi doganali, chi di rigidissimi controlli su qualsiasi
merce proveniente in Europa. Discorsi di vario genere, per lo più accomunati dalla stessa idea di
fondo: la botte piena e la moglie ubriaca. O meglio, in termini economici, sia l'apertura di nuovi
mercati di sbocco per le proprie merci, sia la protezione ad oltranza dei mercati di sbocco
tradizionali di fronte ai maggiormente efficienti competitors stranieri.
Gli Stati Uniti hanno un potere economico, politico e militare tale da poter utilizzare organizzazioni
quali il WTO per i loro fini, costringendo i mercati del Terzo Mondo ad aprirsi alle loro merci,
senza garantire concretamente a loro la reciprocità di nuovi mercati di sbocco. L'Italia no. Il nostro
Paese deve saper accettare passivamente gli effetti negativi della globalizzazione, ma deve anche
essere capace di sfruttare nel miglior modo possibile quelli positivi.
Il futuro
Il futuro è dunque estremamente incerto. La sopravvivenza del settore ceramico italiano (e quindi
del distretto di Sassuolo-Scandiano) dipenderà in ultima analisi dalle strategie di crescita che
adotteranno le imprese cinesi (ossia, quali mercati decideranno di aggredire) e dalla capacità del
management italiano di creare un vantaggio competitivo difendibile. Magari, aiutati in questa strada
da un adattamento del sistema internazionale dei brevetti, e da un controllo più rigoroso del rispetto
della “fair competition” internazionale da parte delle organizzazioni preposte allo scopo.
Qualunque sia il destino dell'industria italiana, ostinarsi a difendere lo stato attuale delle cose è un
errore strategico di dimensioni notevoli. Occorre intervenire. Ed occorre farlo in fretta.
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Appendice 1
“Il Resto del Carlino” – 10 giugno 2005
di: Luigi Giuliani
FIORANO (MO) – Lo dicevamo da tempo, che anche per le piastrelle il pericolo maggiore veniva
dalla Cina. Un’operazione della Guardia di Finanza di Sassuolo ha portato a scoprire un laboratorio
gestito da cinesi che utilizzavano manodopera irregolare e, in un caso, clandestina.
In una frazione di Fiorano, a due passi dalla pista della Ferrari, le Fiamme Gialle, nell’ambito dei
controlli fiscali che interessano il distretto ceramico modenese, hanno prima seguito le mosse dei
cinesi per alcuni giorni, poi, con un blitz, sono entrate nel laboratorio individuando più di 20
persone a loro risultate irregolarmente impiegate nella catena di montaggio di pezzi di ceramica per
la creazione di mosaici.
Oltre a questo, anche una non chiara situazione contabile. Prima di intervenire, i finanzieri hanno
effettuato diversi sopralluoghi e appostamenti nella via dove si trova la sede dell’impresa
individuale cinese con collaboratori interni. L’andirivieni di persone, soprattutto giovani, di
nazionalità cinese che entravano e uscivano dall’azienda ha fatto scattare l’intervento nell’orario di
maggior affluenza di lavoratori, interessando tutte le uscite dell’edificio e questo per meglio
quantificare ed individuare chi operava all’interno del capannone. Il controllo ha consentito ai
militari di ricostruire il quadro completo dell’attività svolta, rivelando l’irregolare impiego di più di
15 lavoratori occupati in nero, tra cui alcuni minorenni che hanno cercato di fuggire all’arrivo degli
uomini della Guardia di Finanza. Scoperta anche una operaia, sempre in nero, munita di un falso
permesso di soggiorno, appositamente contraffatto e riprodotto in copia per consentire alla
clandestina cinese il soggiorno in Italia.
Gli uomini della Guardia di Finanza di Sassuolo, nel corso degli accertamenti fiscali, hanno
constatato che gli operai erano impiegati al lavoro per tutto l’arco della giornata a fronte di un
compenso pari a meno della metà di quello versato a un regolare dipendente italiano del settore
ceramico, riducendo così i costi di mano d’opera del processo di lavorazione del materiale da
mosaico, consentendo una produzione quantitativamente maggiore rispetto a una ditta concorrente
nel settore.
L’operazione della Guardia di Finanza si è conclusa con la denuncia del responsabile dell’impresa
ispezionata, per impiego di clandestini come lavoratori dipendenti, con la denuncia del dipendente
che ha esibito il falso documento d’identità, con l’accompagnamento del clandestino presso la
Questura di Modena per la successiva espulsione dall’Italia e con la completa verifica fiscale
dell’azienda. L’attività, ad ogni modo, all’interno del capannone non è terminata. Ieri, una decina di
dipendenti lavorava a pieno regime.
L’avvocato Andrea Zumarelli di Modena, per conto della azienda cinese, contesta, almeno in parte,
quanto rilevato dalla Guardia di Finanza e afferma: “Non è assolutamente vero che ci fossero 20
persone non in regola con il permesso di soggiorno. Mi risulta che tutte lo fossero, tranne una donna
che non aveva il permesso di soggiorno e che oggi è introvabile”. Quanto alla regolarità delle
posizioni contributive e previdenziali, l’avvocato preferisce non esprimersi: “Ma tutti i dipendenti
erano lì solo da pochi giorni, al massimo l’azienda rischierà una sanzione”.
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Appendice 2
“Il Resto del Carlino” – 11 giugno 2005
MODENA – Dopo la scoperta dell’impresa gestita da cinesi che nel cuore della “Piastrella valley”
modenese utilizzava operai irregolari per produrre ceramica, si scatenano le polemiche. I sindacati
dei lavoratori CGIL-CISL-UIL parlano di “concorrenza sleale” invitando a vigilare, la Lapam
Federimpresa, che riunisce oltre cento industrie ceramiche del distretto Sassuolo-Scandiano, più che
con l’azienda cinese scoperta dalla Finanza se la prende con le grandi imprese che utilizzano tali
ditte “terziste” per procurarsi prodotti a basso costo senza preoccuparsi di come vengono realizzati.
“E’ facile prendersela con il pericolo giallo, ma tutto sommato questa è gente che lavora per la
sopravvivenza, se si vuole cercare il colpevole dobbiamo cercare chi sfrutta queste situazioni - dice
infatti il segretario generale Lapam Federimpresa di Modena, Pietro Odorici – Non criminalizziamo
i cinesi, ma chiediamoci chi sono i loro committenti. Come associazione non abbiamo
assolutamente niente contro le aziende cinesi, poche settimane fa abbiamo organizzato un corso per
la 626 riservato alle aziende gestite da cinesi, per promuovere una cultura d’impresa rispettosa delle
nostre regole. Vi sono alcune grandi imprese che nei confronti dei terzisti cerca solo il risparmio,
anche a costo di utilizzare aziende che sfruttano la mano d’opera tenendola in condizione di semi
schiavitù. Non riteniamo che sia giusto, l’economia italiana avrà un futuro se punta su qualità,
innovazione, ricerca e servizio. Occorre introdurre – prosegue Odorici – nei rapporti di sub fornitura
un minimo di etica. Chi accetta preventivi palesemente sotto costo non può far finta di niente, non
può non sapere cosa c’è dietro. In questo modo si rischia di distruggere il tessuto delle nostre
piccole e medie aziende che hanno fatto grande il nostro Paese. Il futuro dell’economia italiana non
può essere basato sulla rincorsa al risparmio dei costi a qualsiasi prezzo”.
Per i sindacati ceramisti della provincia di Modena, intanto, la scoperta dei lavoratori cinesi
impiegati in nero “riporta in primo piano il fenomeno della competizione senza regole che il
sindacato è fra i soggetti in prima fila nel denunciare. Dalla notizie del blitz della Guardia di
Finanza – affermano i segretari Olinto Artioli (Filcea-CGIL), Vincenzo Tagliaferro (Femca-CISL) e
Alberta Boschini (Uilcem-UIL) – emerge la realtà di una competizione sleale esercitata da
imprenditori cinesi senza scrupoli che oggi si estende dai laboratori tessili anche alle ceramiche”.
“Ciò si traduce – continuano i dirigenti sindacali – nello sfruttamento dei lavoratori cinesi, anche
minorenni, costretti a lavorare in nero, senza tutele e diritti, impiegati per l’intera giornata con
compensi dimezzati rispetto agli italiani regolarmente assunti. Al tempo stesso, la competizione
sleale danneggia fortemente il sistema produttivo e le imprese che operano correttamente.
Ribadiamo perciò l’impegno quotidiano del sindacato a vigilare affinché questi fenomeni non si
radichino nel tessuto sociale e produttivo del distretto ceramico, e rivolgiamo un sentito appello a
tutti i soggetti del territorio, dalle istituzioni alle forze di polizia, alle stesse associazioni
imprenditoriali, a mantenere la massima vigilanza per reprimere sul nascere imprese non sane che
turbano la concorrenza”.
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Bibliografia
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•
ACIMAC, “Sintesi dei risultati della 13° Indagine Statistica Nazionale sul settore delle
macchine e attrezzature per ceramica”;
ACIMAC, “XII Indagine Statistica Nazionale”;
ACIMAC, ICE, “Surveying the ceramic production in the People Republic of China”;
ASSOPIASTRELLE, “Osservatorio previsionale sul mercato mondiale delle piastrelle di
ceramica: Italia e principali competitori a confronto” (revisione aggiornata a maggio 2005);
Amighini Alessia, Chiarlone Stefano, “Rischi e opportunità dell’integrazione commerciale
cinese per la competitività internazione dell’Italia”;
Previdi Gianni, “Net Vision, Energia digitale”.
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