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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA Dipartimento di Fisica e Astronomia corso di laurea magistrale in fisica Giuseppe Ferdinando D’Agata MISURA DELLA SEZIONE D’URTO 19 F(α, p)22 Ne CON IL METODO DEL CAVALLO DI TROIA NEL CONTESTO ASTROFISICO tesi di laurea specialistica Relatori: Chiar.mo Prof. Spitaleri Claudio Dott. Pizzone Rosario Gianluca anno accademico 2013/2014 Indice Introduzione 1 La reazione 19 F(α , p)22 Ne Nella nucleosintesi stellare del Fluoro 6 1.1 Abbondanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1.1.1 Cenni sulla misura di abbondanza . . . . . . . . . . . . . . 9 Cenni di evoluzione stellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 1.2.1 Stelle AGB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16 La problematica del Fluoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17 1.3.1 la produzione di 19 F in ambiente AGB . . . . . . . . . . . . 18 1.3.2 Evidenze osservative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20 1.3.3 Supernovae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 26 1.3.4 Stelle di Wolf-Rayet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 28 1.2 1.3 2 1 Misure dirette in astrofisica nucleare 32 2.1 Sezione d’urto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32 2.2 Rate di reazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34 2.3 Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche . . . . . . . . . 36 2.4 Il fattore astrofisico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39 2.5 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche . . . . . . . . . 41 2.6 Reazioni risonanti indotte da particelle cariche . . . . . . . . . . . . 44 2.7 Screening elettronico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47 2.7.1 Screening elettronico in ambito stellare . . . . . . . . . . . 49 La reazione 19 F(α, p)22 Ne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50 2.8 ii Indice 3 Misure indirette: il metodo del Trojan Horse 54 3.1 Metodo della Coulomb dissociation . . . . . . . . . . . . . . . . . 55 3.1.1 Applicazioni sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56 Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient . . . . . . . . . 57 3.2.1 Applicazioni sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) . . . . . . . . . . . . . . . . 60 3.3.1 Processi quasi liberi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60 3.3.2 THM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61 3.3.3 Plain Wave Impulse Approximation . . . . . . . . . . . . . 62 Esempi sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 69 3.2 3.3 3.4 4 Studio della reazione19 F(α, p)22 Ne tramite il Trojan Horse Method: preparazione dell’esperimento 72 4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali . . . . . . 72 4.1.1 Selezione delle condizioni cinematiche . . . . . . . . . . . 75 4.1.2 Meccanismi sequenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 77 La reazione 6 Li(19 F, d22 Ne)p con il metodo del Trojan Horse . . . . 79 4.2.1 Descrizione dell’apparato sperimentale . . . . . . . . . . . 79 Rivelatori ed elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 4.3.1 Position Sensitive Detectors . . . . . . . . . . . . . . . . . 82 4.3.2 Schema dell’elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 83 Calibrazione dei rivelatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85 4.4.1 Calibrazione in posizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86 4.4.2 Calibrazione in energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87 4.2 4.3 4.4 5 Analisi Dati 90 5.1 Selezione del canale di reazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90 5.2 Selezione del Contributo quasi libero . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 5.3 Funzione di eccitazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102 5.4 Sezione d’urto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104 Conclusioni 109 Ringraziamenti 111 Riferimenti bibliografici 113 iii Introduzione In natura la gran parte degli elementi osservati sono stati prodotti all’interno delle stelle. Eccezion fatta per H, He, e Li, di cui l’universo si è arricchito in seguito alla nucleosintesi primordiale, gli altri elementi sono stati sintetizzati in ambiente stellare. Le reazioni termonucleari tra particelle cariche sono responsabili della formazione degli isotopi aventi peso atomico minore di 60, ma non sono in grado di produrre elementi più pesanti a causa dell’aumento della barriera coulombiana, che fa diminuire la sezione d’urto di reazione tra nuclei elettricamente carichi. È altresì noto che gli elementi appartenenti al gruppo del ferro (Fe, Ni, Cr) possiedono la massima energia di legame per nucleone, rendendo endoenergetiche le reazioni di fusione per questi nuclei e per quelli successivi. Se A>60 si “attivano” processi di cattura neutronica i quali, pur non contribuendo alla produzione energetica della stella, portano un contributo importantissimo alla nucleosintesi degli elementi più pesanti. I processi di cattura neutronica vengono classificati in processi s (cattura lenta) e processi r (cattura veloce), a seconda dei tempi con cui questi avvengono rispetto al decadimento β. In particolare i processi s assumono grande importanza nella formazione di elementi con numero di massa compreso tra 60 < A < 210 lungo la valle di stabilità nucleare. La nucleosintesi di tali elementi avviene principalmente all’interno di stelle AGB, in cui gli isotopi appena sintetizzati vengono portati in superficie tramite un meccanismo noto come third dredge up (TDU). In questa fase evolutiva della stella, essa è costituita da un core degenere costituito di carbonio ed ossigeno ammantato da una shell di He e da una di H, separate da una zona sottile detta di He-intershell (dell’ordine di 10−2 ÷ 10−3 ). Le zone più esterne della stella 1 Introduzione sono costituite da polveri (principalmente composte da idrogeno), che si estendono anche per centinaia di R" . Nella regione di He-intershell, e se la temperatura è abbastanza alta, la presenza di elementi sintetizzati dal ciclo CNO, in particolare di tonica da 14 13 C, può portare alla formazione di 19 14 N prodotto per cattura pro- F attraverso la catena di reazioni N(α, γ)18 F(β+ ν)18 O(p, α)15 N(α, γ)19 F. Le stelle AGB sono l’unico sito in cui si sia potuta confermare osservativamente la formazione di fluoro. Ci sono però evidenze che esso possa formarsi anche in Supernovae e in stelle di Wolf-Rayet, ma in quantità minore. Lo studio dei processi s può essere effettuato attraverso l’analisi delle abbondanze di alcuni elementi, come per l’appunto il fluoro, il quale presenta una forte dipendenza dalle condizioni interne della stella: la sua abbondanza è infatti legata ai processi di mescolamento che trasportano i cosiddetti elementi s (quelli cioè che si sono formati tramite tale processo di cattura) sulla superficie della stella, dove vengono osservati, ed ai processi di mescolamento più superficiali che alterano le abbondanze degli elementi leggeri. Tuttavia l’abbondanza di 19 F non riesce ad essere riprodotta dai vari modelli astrofisici, la maggior parte dei quali prevedono un’abbondanza minore di quanto effettivamente osservato. Se, come sembra ormai assodato, la catena principale di formazione del fluoro è quella esposta poc’anzi, per la risoluzione del problema assumono grande importanza le vie di distruzione del 19 19 F; in ambiente AGB esso viene distrutto tramite F(p, α)16 O e 19 F(α, p)22 Ne, reazione quest’ultima che assume preponderanza ri- spetto all’altra negli ambienti ricchi di He, come la zona dell’inviluppo convettivo più vicina alla shell di elio. La conoscenza di tale reazione non è però ottimale, in quanto misure dirette al picco di Gamow, a temperature di T = 8 · 108 K, dovrebbero estendersi nella regione energetica compresa tra 390 e 800 keV, mentre le misure a più bassa energia esistenti arrivano ad 1.1 MeV per l’interazione tra i canali p0 e p1 (che corrispondono al decadimento di un nucleo di 23 Na in un protone ed in un nucleo di 22 Ne emesso nel suo stato fondamentale e nel suo primo stato eccitato rispettivamente). Per arrivare ad ottenere dati a più bassa energia si rendono quindi necessari procedimenti di estrapolazione. Potrebbe quindi essere molto utile ridurre le incertezze di natura nucleare, tramite una conoscenza più approfondita del rate di reazione, con il fine di rendere maggiormente accurati i modelli astrofisici che descrivono l’evoluzione chimica di tali stelle ed i processi di nucleosintesi che avvengono al loro interno. 2 Introduzione L’approfondimento di tale conoscenza presenta però un problema: i fenomeni che ci proponiamo di studiare avvengono solitamente ad energie che sono dell’ordine del keV, mentre l’altezza della barriera coulombiana è sempre dell’ordine di qualche MeV. In tali condizioni le sezioni d’urto si riducono all’ordine del picobarn o inferiori, e ciò rende difficoltose − e talvolta impossibili − le misure dirette. Per tale motivo si ricorre ad estrapolazioni della sezione d’urto a partire da valori misurati ad energie maggiori di quelle di interesse astrofisico in una regione che presenta, in assenza di risonanze, un andamento fortemente decrescente. In questo contesto risulta molto utile la definizione del cosiddetto “fattore astrofisico” S (E) = σ(E)Ee2πη , nel quale la decrescita della sezione d’urto è compensata dall’introduzione del fattore e2πη (inverso del fattore di Gamow in cui η è il parametro di Sommerfeld), e ciò rende più semplice ed accurata l’estrapolazione. Tale procedimento può però risultare inattendibile, in quanto non tiene in considerazione l’eventuale presenza di risonanze a bassa energia, oppure code di risonanze sotto soglia. Inoltre in queste regioni energetiche non si può neanche trascurare lo screening elettronico, effetto di riduzione della barriera coulombiana tra nuclei interagenti dovuto alla presenza di elettroni atomici, che si traduce in un aumento della probabilità di interazione tra proiettile e bersaglio. Poichè i modelli teorici non riescono a tenere conto adeguatamente di tutti questi fattori, la sezione d’urto di nucleo nudo (ottenuta cioè considerando il nucleo completamente ionizzato), che rappresenta il parametro principale per le applicazioni di carattere astrofisico, non risulta accessibile a partire da quella misurata. Per tutti questi motivi sono stati sviluppati metodi di natura indiretta, in cui non si studia direttamente la reazione di interesse, ma vengono presi in esame processi ad essa correlabili, e misurabili in maniera più efficace. Tra questi il Trojan Horse Method (THM) permette di misurare la sezione d’urto di reazione tra particelle cariche a basse energie e prive di effetti di electron screening. Tale metodo può quindi rivelarsi efficace per ridurre le incertezze a cui si era accennato, rendendo più accurati i modelli che descrivono l’evoluzione chimica stellare. 3 Introduzione L’idea alla base di tale metodo è quella di studiare la reazione a due corpi di interesse astrofisico a+ x → C +c a partire da una tre corpi nel canale in uscita: a+a → C +c+ s in cui il nucleo A presenta una struttura a cluster A = x ⊕ s, e dove la particella x funge da partecipante e la s da spettatore, secondo la teoria delle reazioni nucleari per il break-up quasi libero. Se il processo è quasi libero, il nucleo partecipante, interagendo con il bersaglio, darà luogo alla reazione a due corpi di interesse, mentre lo spettatore proseguirà indisturbato. Inoltre, se l’energia del proiettile è tale da superare la barriera coulombiana tra a e A, allora il nucleo partecipante risulterà condotto all’interno del campo nucleare di a, e la reazione avverrà senza la soppressione dovuta alla barriera coulombiana. Per lo stesso motivo la misura non risulterà inficiata da effetti di electron screening. Nel presente lavoro si è affrontato lo studio della reazione 19 F(α, p)22 Ne nella re- gione di interesse astrofisico (390 ÷ 800 keV) con il metodo del Cavallo di Troia: in tal caso utilizzeremo un nucleo di 6 Li, descrivibile come un cluster di α ⊕ d, come particella proiettile che incide su un bersaglio di 7 LiF, con lo scopo di indurre la reazione 6 Li(19 F, p22 Ne)d, in cui la particella α funge da partecipante e il deuterio da spettatore. Effettuate tutte le analisi preliminari del caso, si è proceduto allo studio della matrice ∆E − E con lo scopo di discriminare le particelle rivelate, eliminando tutte quelle reazioni che avvengono nel bersaglio e che non sono di nostro interesse specifico. Avendo adesso a disposizione misure soltanto su due delle tre particelle in uscita, si è proceduto a selezionare il canale di reazione quasi libero tra tutti quelli che presentano come risultato protoni, deuteri e 22 Ne: per compiere questa azione si sfrutta il fatto che i prodotti di reazione si distribuiscono secondo caratteristici luoghi cinematici legati ai principi di conservazione di energie ed impulso. È quindi possibile eseguire delle simulazioni che riproducano il caso di processo quasi-libero; confrontando poi tali risultati di natura teorica con i dati sperimentali si è in grado di compiere tale discriminazione. Tramite questa analisi è stato possibile ricavare il Q di reazione per il processo in esame, e confrontarlo con i dati teorici. Si è quindi passato a verificare la presenza di meccanismo quasi libero, e verificato ciò si è proceduto ad estrarre la sezione d’urto a partire dai dati selezionati. La misura indiretta 4 Introduzione ha evidenziato la presenza di strutture risonanti nella zona energetica fino ad ora inesplorata, e ciò potrebbe avere importanti risvolti in campo astrofisico. Il presente lavoro di tesi è così strutturato: • CAPITOLO 1: Esposizione delle problematiche astrofisiche connesse alla reazione in esame. • CAPITOLO 2: Introduzione delle grandezze necessarie allo studio delle problematiche proprie dell’astrofisica nucleare. • CAPITOLO 3: Breve discussione di alcuni metodi indiretti (CD e ANC) e approfondita spiegazione del THM, con breve rassegna di alcuni esempi sperimentali. • CAPITOLO 4: Descrizione dell’apparato sperimentale e della procedura di calibrazione. • CAPITOLO 5: Esposizione dei risultati ottenuti, in particolar modo della sezione d’urto. 5 CAPITOLO 1 La reazione 19 F(α , p)22Ne Nella nucleosintesi stellare del Fluoro Scopo principale dell’astrofisica è quello di spiegare i fenomeni che avvengono nell’universo, applicando leggi fisiche note e verificate in laboratorio. Una stella può essere considerata come un sistema isotropo di particelle isogravitanti il cui equilibrio è descritto dal teorema del viriale nella forma 1 %T & = − %U& 2 (1.1) dove T è l’energia cinetica totale delle particelle del sistema ed U il potenziale gravitazionale. La 1.1 afferma che una stella, per rimanere in equilibrio termico, deve spendere la metà dell’energia gravitazionale guadagnata per contrazione per aumentarne la temperatura, mentre l’altra metà supplisce alla perdita per radiazione. All’aumentare della temperatura, la contrazione può essere rallentata dalla pressione di radiazione dovuta alla produzione interna di energia (ad esempio da parte di reazioni di fusione nucleare). Poichè le reazioni di fusione nucleare coinvolgono particelle cariche, al passare del tempo ed all’aumentare della temperatura, nelle regioni centrali di una stella inizierà prima la combustione dell’idrogeno, seguita quella dell’elio e poi degli elementi più pesanti (prodotti delle precedenti combustioni). È perciò necessario avere degli input di carattere fisico (come per esempio la sezione d’urto della reazione o il tempo di decadimento degli isotopi instabili coinvolti), che influenzano fortemente l’evoluzione stellare. Questo è il ruolo dell’astrofisica nucleare, che si propone lo studio da un punto di vista teorico e sperimentale delle 6 1.1 Abbondanza reazioni nucleari che avvengono in ambiente stellare, cercando di ridurre le incertezze con cui sono conosciute. Argomento di questa tesi è la misura della sezione d’urto della reazione 19 F(α, p)22 Ne, che concorre alla distruzione del 19 F nelle stelle. La misura di tale sezione d’urto e la determinazione della sua incertezza a basse energie è fondamentale per far luce sulla discrepanza tra l’abbondanza di 19 F osservata negli spettri stellari e le predizioni dei modelli teorici di nucleosintesi. Prima di descrivere il lavoro sperimentale svolto, si rende necessario inquadrare il problema a livello astrofisico, accennando alla struttura stellare a alle fasi evolutive in cui la nucleosintesi del fluoro avviene. A tal fine introdurremo alcune osservabili fisiche tipiche degli ambienti astrofisici, a partire dal concetto di abbondanza. 1.1 Abbondanza L’abbondanza è una grandezza atta ad indicare la presenza di un certo elemento o isotopo in una stella, in un ammasso, in una galassia, nell’universo primordiale, o ancora in un qualunque ambiente astrofisico. L’abbondanza di un certo nucleo X i sarà generalmente espressa come il rapporto [X i ]/[H] in cui X i è il numero atomi dell’elemento i, mentre H è l’abbondanza dell’idrogeno nell’oggetto osservato. Figura 1.1: Abbondanza degli elementi nella fotosfera del Sole in funzione del numero di massa A. Si nota che H e He sono gli elementi più abbondanti [Asplund et al., 2009] 7 1.1 Abbondanza L’abbondanza degli elementi nel Sistema Solare, evidenziata a partire dagli studi di Clarke (1889), segue una particolare distribuzione, riportata in figura 1.1. È importante notare che questa distribuzione si ripete con regolarità in tutta la Galassia, fatta eccezione per alcune anomalie locali. Questo fatto denota una certa omogeneità nei processi di nucleosintesi che determinano la formazione degli elementi. Dalla figura 1.1 si evince come il sole non sia una stella di prima generazione (ma di almeno di seconda), dato che la nube protostellare da cui si è formato era composta anche da elementi più pesanti di 1 A= 8, non prodotti dal Big Bang ma da una precedente generazione di stelle, che “morendo” hanno arricchito il mezzo interstellare. Mentre gli elementi più abbondanti − idrogeno ed elio − riflettono la composizione di equilibrio dell’universo primordiale, tutti gli isotopi con 2 Z> 6 sono stati so- stanzialmente sintetizzati tramite reazioni nucleari nei vari processi di combustione stellare. Litio, Berillio e Boro sono molto fragili a livello nucleare3 e vengono facilmente distrutti in ambiente stellare: ciò spiega il minimo in Figura 1.1 in corrispondenza delle abbondanze di questi elementi. Per quanto riguarda gli elementi fino ad A = 56 (cioè fino a 56 Fe), all’interno delle stelle essi vengono sintetizzati tramite reazioni nucleari tra particelle cariche, cioè soggette alla repulsione coulombiana che ne riduce la probabilità di fusione. Si osserva perciò un andamento decrescente nelle abbondanze da 12C a 40Ca ed un picco nell’abbondanza del ferro, in corrispondenza della quale si trova un massimo in figura 1.1, dovuto al fatto che il 56 Fe, assieme agli altri elementi vicini, rappresenta la specie energeticamente più stabile, a causa dell’alta energia di legame per nucleone(Fig. 1.2). Elementi più pesanti del 56 Fe non si possono formare esotermicamente attraverso processi di fusione, dato che per A ≈ 56 la curva B/A (in cui B è l’energia di legame totale) ha raggiunto il suo massimo (Fig1.2). Per A > 56 infatti le reazioni di fusio- ne diventano endotermiche (quindi energeticamente sfavorite) in quanto il rapporto tra energia di legame e numero di nucleoni incomincia a crescere in maniera molto rapida. I principali responsabili della produzione di elementi con A > 60 [Burbidge et al., 1957] sono perciò processi di cattura neutronica non ostacolati dall’elevata barriera coulombiana tra i nuclei interagenti coinvolti, che possono essere separati in processi di cattura lenta (processo s) e veloce (processo r). Il primo è caratterizzato 1 Per A si intende il numero di nucleoni di un certo atomo Con Z si intende il numero di protoni di una certa specie nucleare 3 Cioè hanno alta sezione d’urto di distruzione, anche ad energie relativamente basse, come verrà discusso nel capitolo 2 2 8 1.1 Abbondanza Figura 1.2: Andamento dell’energia di legame per nucleone B/A in funzione del numero di massa A. da una cattura di neutroni che avviene in un tempo più lungo rispetto al decadimento β (che tipicamente va da qualche secondo a qualche anno), facendo sì che il nuclide instabile prodotto decada prima che un altro neutrone venga catturato. Viene così a crearsi un isotopo stabile dell’elemento di numero atomico Z immediatamente successivo. Per quanto riguarda invece il processo r esso è caratterizzato da tempi più brevi (dell’ordine del nanosecondo), il che permette una cattura neutronica successiva anche su isotopi instabili, prima che essi decadano permettendo la produzione di nuclei ricchi di neutroni. 1.1.1 Cenni sulla misura di abbondanza Per conoscere le caratteristiche fisico-chimiche di una stella si analizza la radiazione elettromagnetica da essa emessa, con particolare attenzione per lo studio della distribuzione dell’energia in funzione della lunghezza d’onda: essa infatti consente di avere informazioni sulla temperatura e sulla composizione chimica dell’oggetto osservato. Uno spettro stellare può essere schematicamente scomposto, ad una data temperatura, in una componente continua e in una discreta, formata da linee di assorbimento; la luce, emessa dall’interno della stella come spettro di corpo nero, viene assorbita dalla fotosfera e da eventuali nubi interstellari che si frappongono tra l’osservatore e l’oggetto, portando alla formazione di righe di assorbimento. Le righe presenti in uno spettro stellare dipendono dalle specie chimiche presenti (ogni elettrone può assorbire un quanto di energia pari a quella necessaria per spostarsi dal livello na9 1.2 Cenni di evoluzione stellare turale a quello di eccitazione) e dalla temperatura della fotosfera, fornendo perciò informazioni sulla composizione chimica e sulle caratteristiche fisiche dell’oggetto osservato. Il coefficiente di assorbimento di una riga, detto lv , definito come frazione di radiazione assorbita da una riga rispetto al continuo, è proporzionale al numero di atomi di una certa specie X: lv ∝ f Xi − Ni ρ (1.2) dove Xi è la frazione di massa dell’elemento i, ρ è la densità, Ni il numero di atomi in grado di popolare il livello atomico responsabile della riga di assorbimento ed f la forza dell’oscillatore [Gray, 2005]. Dall’analisi dello spettro di una stella e dalle dimensioni e posizioni delle righe di assorbimento si possono estrarre informazioni sulla composizione chimica. 1.2 Cenni di evoluzione stellare Per misurare le abbondanze elementali nella galassia, si può anche rincorrere a dati che provengono da misure geochimiche di abbondanze nella crosta terrestre e in rocce meteoriche. Tuttavia, poichè tutti gli isotopi del fluoro sono volatili, la spettroscopia stellare è l’unica tecnica abile a fornirci informazioni utili sulla sua abbondanza nelle stelle. In particolare il fluoro “osservato” è 19 F, essendo esso l’unico isotopo stabile dell’elemento. La sua distruzione, come vedremo in seguito, avviene principalmente attraverso la reazione 19 F(α, p)22 Ne, che è argomento di questa tesi. In ambiente stellare questa reazione avviene in un intervallo di energia specifico (detto finestra di Gamow4 ), legato alla temperatura ed alla massa della stella. È perciò importante descrivere i siti astrofisici della nucleosintesi del fluoro. In astrofisica le stelle vengono classificate sulla base delle loro caratteristiche spettrali (classificazione spettrale). Tale classificazione dispone le stelle a seconda della loro temperatura, in ordine decrescente, nei tipi spettrali O, B, A, F, G, K, M, ognuno suddiviso in dieci sottoclassi (B0, B1, B2...B9, A0, A1...), secondo la tabella 1.1[Castellani, 1985]. 4 Ne parleremo nel capitolo 2 10 1.2 Cenni di evoluzione stellare Classe O B A F G K M Temperatura (K) ≥ 33000 10000 − 33000 7500 − 10000 6000 − 7500 5200 − 6000 3700 − 5200 ≤ 3700 Massa (m" ) ≥ 16 2, 1 − 16 1, 4 − 2, 1 1, 04 − 1, 4 0, 8 − 1, 04 0, 45 − 0, 8 0, 08 − 0, 45 Raggio (r" ) ≥ 6.6 1, 8 − 6, 6 1, 4 − 1, 8 1, 15 − 1, 4 0, 96 − 1, 15 0, 7 − 0, 96 ≤ 0, 7 Luminosità (L" ) ≥ 30000 25 − 30000 5 − 25 1, 5 − 5 0, 6 − 1, 5 0, 08 − 0, 6 ≤ 0, 08 Tabella 1.1: Classificazione spettrale e parametri fisici di riferimento per ciascuna classe (espressi in funzione dei valori solari) Agli inizi del XX secolo Hertzprung e Russel organizzarono in un diagramma le stelle a seconda della loro magnitudine assoluta5 (o della luminosità) e della della classe spettrale (o della temperatura), ottenendo il diagramma in figura 1.3, che prende il nome di diagramma H-R in loro onore. Organizzando i dati in tale dia- Figura 1.3: Popolazione stellare in base alla classificazione spettrale, alla temperatura ed alla magnitudine assoluta gramma, si osserva che la maggior parte delle stelle occupa la regione attorno alla cosiddetta linea di sequenza principale, corrispondente alla fase di bruciamento cen5 Per magnitudine assoluta si intende la magnitudine apparente che un oggetto avrebbe se si trovasse ad una distanza dall’osservatore di 10 parsec. A sua volta la magnitudine apparente rappresenta una misura della sua luminosità rilevabile da un punto di osservazione (ad esempio dalla Terra). Essa si calcola come m x − m x0 = −2, 5log10 F/F x0 , in cui m è la magnitudine ed F x il flusso osservabile nella banda x, con il pedice 0 che indica un oggetto di riferimento, solitamente il sole 11 1.2 Cenni di evoluzione stellare trale di idrogeno, che viene convertito in elio nel nucleo. Questa infatti è la fase più lunga dell’evoluzione stellare, indipendentemente dalla massa di ogni oggetto. La conversione di H in He può avviene attraverso network di reazione differenti, che sono responsabili della produzione di energia emessa dalla stella. La temperatura del nucleo stellare determinerà quale percorso di reazioni domina la produzione di energia. A basse temperature, come mostrato in figura 1.4, domina quella che viene chiamata catena p-p (processo tipico di stelle con massa inferiore a ≈ 1.2 M" ), mentre ad alte domina il ciclo CNO (Carbonio Azoto Ossigeno). Figura 1.4: Rendimenti energetici della catena pp e del ciclo CNO in funzione della temperatura. Per T < 15 · 106 K domina la prima, mentre a temperature superiori domina la seconda. 12 1.2 Cenni di evoluzione stellare La catena p-p, che fonde quattro protoni per formare un nucleo di elio, inizia a diventare efficiente a temperature dell’ordine di 6·106 K e si realizza principalmente attraverso la catena di reazioni: H + H →2 H + e+ + νe d + p → 3H + γ 3 He + 3 He → 4 He + 2p Q=1.18 MeV Q=5.49 MeV Q=12.86 MeV Essa, detta catena PPI, rappresenta la serie di reazioni più probabili (circa 86%). Con minore probabilità (14%) possono presentarsi anche le catene PPII e PPIII 3 3 He(4 He, γ)7 Be(e− , ν)7 Li(p, α)4 He He(4 He, γ)7 Be(p, γ)8 B(e+ , ν)8 Be(α)4 He Per quanto riguarda il ciclo CNO, proposto dal fisico tedesco Hans Bethe nel 1938, esso ha sempre come risultato netto la produzione di energia tramite la fusione di quattro protoni in un nucleo di elio, ma tale ciclo avviene sfruttando come catalizzatori nuclei di carbonio, azoto e ossigeno. Essa si compone di due fasi: la prima (il cosiddetto ciclo CN) procede attraverso le reazioni 12 C + p → 13 N + γ 13 N → 13C + β+ + ν 13 C + p → 14 N + γ 14 N + p → 15 O + γ 15 O → 15 N + β+ + ν 15 N + p → 12C + 4 He Q=1.94 MeV Q=1.51 MeV Q=7.54 MeV Q=7.29 MeV Q=1.76 MeV Q=4.96 MeV E la seconda che parte da 15 N + p, che ha un 0.04% di probabilità di dar luogo a 16 O + p → 17 F + γ 17 F → 17 O + e+ + ν 17 O + p → 14 N + 4 He Q=0.60 MeV Q=2.22 MeV Q=1.19 MeV Tale ciclo non può iniziare finchè non è presente almeno uno dei catalizzatori[Kippenhahn and Weigert, 1990]; inoltre il ciclo CN non parte se non si raggiungono temperature dell’ordine di 1.5 · 107 K, mentre il secondo gruppo necessita di temperature ancora 13 1.2 Cenni di evoluzione stellare maggiori (2 · 107 K). È da notare che le piccole sezioni d’urto della p(p, e+ ν)d e della 14 N(p, γ)15 O determinano la lunga durata della fase della sequenza principale. Dopo che l’idrogeno presente nelle regioni centrali della stella è stato convertito in elio, la pressione gravitazionale non è più equilibrata dalla produzione di energia nucleare e quindi la stella si contrae. Essa lascia la sequenza principale, ed il conseguente aumento della temperatura fa sì che il bruciamento dell’idrogeno si inneschi in uno strato attorno al nucleo, detto shell, aumentando la luminosità della stella (a temperatura efficace quasi costante) e disponendosi nel ramo delle giganti rosse, anche detto Red Giant Branch (RGB). Durante questa fase il nucleo centrale di elio, alimentato dalle reazioni di fusione della shell sovrastante, continua a contrarsi, fino a diventare elettronicamente degenere6 . Gli strati esterni della stella si espandono raffreddandosi sino a diventare convettivi7: la convezione penetrerà all’interno della stella fino a raggiungere gli strati in cui l’idrogeno era precedentemente stato convertito in elio. Tale mescolamento, noto come primo dredge-up, modifica le abbondanze superficiali (in particolare di C e N). Se il nucleo non raggiunge massa di 0.45 ÷ 0.55 M" (a seconda della sua composizione chimica) si attiva il bruciamento dell’idrogeno in shell con il nucleo di elio che rimane inerte; se invece supera tale limite si attiva il bruciamento dell’elio nel core della stella: in una prima fase si fondono due particelle α per formare 8 Be, il cui stato fondamentale ha vita media di 10−16 sec, tempo abbastanza lungo rispetto ai 10−19 sec tipici di attraversamento del nucleo da parte di una particella α [Iliadis, 2007]. A questo punto il 8 Be “vive” abbastanza da catturare un nucleo di elio per produrre 12C 8 . A temperature di 2 · 108 K il carbonio è in grado di catturare un’altra particella α e di trasformarsi in ossigeno, con emissione di γ tramite la reazione 12C(α, γ)16 O, ma tale processo è più lento di quello che porta alla produzione di carbonio. Il processo che da tre particelle α porta alla formazione di 12C si innesca in materia elettronicamente degenere. Questo rende valida l’equazione di stato non relativistica, per la quale la pressione P ∝ ρ5/3 è poco sensibile all’aumento della temperatura, 6 Quando la materia viene compressa fino a densità dell’ordine 106 ÷ 108 g/cm3 , gli elettroni manifestano tra loro una repulsione di natura quantistica, legata al principio di Pauli, a causa della loro natura fermionica: non possono coesistere più di due fermioni con spin antiparalleli nello stesso stato quantico. 7 La convezione è un movimento di materia per mezzo della quale viene trasportato il calore, che si instaura quando il trasporto per radiazione non è sufficiente a convogliare verso l’esterno tutta l’energia prodotta 8 Tale reazione avviene in presenza di una risonanza del 12C vicina al Q di reazione (7.68 MeV), che ne aumenta il rate [Rolfs, 1988] 14 1.2 Cenni di evoluzione stellare finchè l’energia è tale che la degenerazione non viene rimossa. Ciò avviene attraverso reazioni che hanno luogo in regimi quasi esplosivi (He-flash9 ). A questo punto la stella si colloca nel diagramma H-R (Fig. 1.4) ad una luminosità inferiore a quella che aveva al termine di RGB, in quella parte che viene chiamata HB (Horizontal Branch). La combustione centrale di He porta alla formazione di nuclei di carbonio ed ossigeno, che si accumulano al centro della stella. Quando tutto l’elio sarà convertito in C e O, l’energia verrà fornita alla stella in parte dalla contrazione ed in parte dalla combustione in shell, fino a quando non si arriva all’innesco della shell di He che circonda il nucleo di CO; si instaura così un regime caratterizzato da due bruciamenti alternati in shell (radiativo della shell di H e convettivo per quella di He) e la stella raggiunge il cosiddetto ramo asintotico delle giganti (AGB), che prende il nome dal modo con cui le tracce evolutive si avvicinano al ramo delle giganti (Fig. 1.5). Le stelle AGB sono uno dei possibili siti di nucleosintesi di F e perciò sono di nostro interesse, poichè in esse ha luogo la reazione 19 F(α, p)22 Ne, che è argomento di questa tesi. Figura 1.5: Diagramma H-R dell’evoluzione stellare fin qui descritta 9 Tale fenomeno è possibile in quanto i tempi necessari ad espandere a livello locale il gas sono più lunghi di quelli nucleari necessari per la reazione 3α 15 1.2 Cenni di evoluzione stellare 1.2.1 Stelle AGB Le shell di idrogeno ed elio sono separate da una zona sottile (dell’ordine di 10−2 ÷ 10−3 M" ), chiamata He-intershell. La parte più esterna della stella viene chia- mato inviluppo convettivo, ed è costituita da una atmosfera “fredda” e polverosa composta in prevalenza da idrogeno, che può estendersi anche per centinaia di R" . Nella shell di idrogeno, quando essa è attiva, viene prodotto elio, con i processi nucleari di cui si è discusso nel paragrafo precedente; esso, essendo più pesante, tenderà ad accumularsi nella He-intershell, provocando così un aumento di temperatura e densità nelle zone più interne, fino a quando non si raggiungono le condizioni fisiche necessarie ad “accendere” la shell che brucia elio. Gli episodi di innesco del bruciamento di He vengono detti pulsi termici (Fig.1.6). Figura 1.6: Schema di un episodio convettivo. Si noti come la zona convettiva, generata dal pulso termico, copra l’intera intershell di elio. Dopo circa 200 anni la convezione esterna penetra verso l’interno [Straniero et al., 2006] Un pulso termico può essere così descritto: raggiunte le giuste condizioni di massa di elio, la temperatura della relativa shell aumenta abbastanza da innescare processi estremamente rapidi, dando vita al flash. A causa di ciò si forma una zona convettiva che si estende dalla shell in cui brucia He a quella che brucia idrogeno (fenomeno chiamato pulse driven convective pocket o PDCZ), provocando così un mescolamento dei prodotti di reazione relativi al processo 3α, essenzialmente 12C nella regione di intershell [Straniero et al., 2006]. L’energia rilasciata in questa fase provoca un’espansione e quindi un raffreddamento della shell di H, al punto tale che essa si spegne e la shell di He si stabilizza, inizian16 1.3 La problematica del Fluoro do una fase che viene detta di bruciamento quiescente. L’elio diminuisce, la shell tende a spegnersi e ciò permette alla convezione superficiale di penetrare gli strati dove era attiva la shell di idrogeno e quelli superiori della shell di elio, distribuendo il carbonio e gli altri elementi prodotti dalla 3α in superficie, cambiandone così la composizione chimica e dando vita a quello che prende il nome di terzo dredge-up. Nei casi in cui questo fenomeno è più pronunciato, l’inviluppo può penetrare molto in profondità, portando in superficie grandi quantità di carbonio. In particolare, trasportando carbonio dall’interno della stella alla superficie, tale fenomeno modificherà il rapporto C/O superficiale, rendendolo maggiore di uno. Al termine della combustione dell’elio la stella ricomincia a contrarsi, quindi aumenta la sua temperatura interna, mentre l’inviluppo esterno si espande e si raffredda. In questa fase la shell di H brucia verso l’esterno accumulando elio, fino a quando la shell di elio non può attivarsi di nuovo, dando luogo ad un altro pulse termico: essi possono essere molteplici e sono molti i modelli teorici che cercano di rendere bene conto di questo fenomeno (un esempio di ciò può essere trovato in Cristallo et al. [2011]; Cristallo et al. [2009]). 1.3 La problematica del Fluoro L’origine del fluoro nella Galassia è tuttora discussa ed esistono ancora poche osservazioni spettroscopiche. Esse sono rese problematiche dalla scarsa abbondanza di F rispetto ad altri elementi (ad esempio C, N, O, ...), il che ne determina righe spettrali di bassa intensità, e dalla mancanza di linee spettrali nella regione del visibile: le uniche linee atomiche (transizioni dal ground-state di FI ) potrebbero essere rilevate nel profondo U-V. Quello che infatti si rivela sono le linee della transizione molecolare di HF, osservabili nel vicino infrarosso (a circa 23000 Å). Si usa spesso la linea relativa alla transizione HF(1-0)R9 [Recio-Blanco et al., 2012; D’Orazi et al., 2013], la quale è considerata il miglior indicatore per l’abbondanza di fluoro10 [Abia et al., 2009; Lucatello et al., 2011]. I meccanismi stessi di produzione e distruzione del fluoro non sono ben compresi. In ambienti stellari ricchi di H e He il fluoro viene facilmente distrutto rispettivamente attraverso le reazioni19 F(p , α)16 O e 19 F(α , p)22 Ne. Questo fa sì che la sua abbondanza sia la più bassa tra tutti gli elementi leggeri con numero atomico 10 Tale linea viene identificata ad esempio grazie al CRiogenic high-resolution InfraRed Echelle Spectrograph (CRIRES)[Recio-Blanco et al., 2012] 17 1.3 La problematica del Fluoro 6 ≤ Z ≤ 20 [Abia et al., 2009]. Ad oggi sono stati proposti tre possibili siti stellari per la nucleosintesi di 19 F: • He-Burning in stelle AGB di massa compresa tra 2 ÷ 4 M" ; • Supernovae di tipo II (SNe II); • H-Burning nelle stelle di Wolf-Rayet; 1.3.1 la produzione di 19F in ambiente AGB Nelle stelle AGB il fluoro viene prodotto tramite la catena di reazioni: 14 N(α, γ)18 F(β+ ν)18 O(p, α)15 N(α, γ)19 F (1.3) in cui 14 N è stato prodotto dal ciclo CNO per cattura protonica su 13C. La catena sopra riportata ha tuttavia luogo nella regione della stella ricca di He, dove è altamente probabile che il 14 N catturi un nucleo di elio per formare 18 F, nucleo instabile con vita media di 109.8 minuti, che a sua volta decadrà in 18 O. La presenza di proto- ni permette a quest’ultimo di bruciare tramite la 18 O(p, α)15 N, che a sua volta può interagire con una particella α e portare infine 19 F tramite la reazione 15 N(α, γ)19 F [Forestini, 1992]. Un nucleo di 22 18 O può anche catturare una particella α e portare 11 alla produzione di Ne . Il nucleo 14 N si trova nella regione di He-intershell di una stella AGB e può essere sintetizzato in situ a seguito di una penetrazione di protoni al momento del terzo Dredge-up attraverso la catena di reazioni 12 C(p, γ)13 N(β+ ν)13C(p, γ)14 N (1.4) Questo fenomeno, noto come formazione di 13C pocket (o tasca di 13C) è stato largamente discusso in letteratura in quanto la reazione 22 13 C(α, n)16 O è, assieme alla Ne(α, n)25 Mg, la sorgente principale di neutroni per il processo s, tipico della nu- cleosintesi AGB. Data la grande sezione d’urto della reazione 14 N + n questo isotopo è noto come “veleno” del processo s perchè assorbe i neutroni liberati dalla 13C(α, n)16 O impedendone la cattura da parte di nuclei più pesanti. Tuttavia la reazione 14 N(n, γ)15 N è importante ai fini della produzione di 19 F in quanto propedeutica alla catena: 14 N(n, γ)15 N(α, γ)19 F 11 (1.5) La produzione di 22 Ne attraverso tale processo avviene nei primi pulsi termici, poiché richiede temperature più elevate [Wasserburg et al., 1995] 18 1.3 La problematica del Fluoro Essa risulta però poco efficiente, in quanto la 14 N(n, γ)15 N è circa 10 volte più lenta rispetto alla 14 N(n, p)14C [Fowler et al., 1967; Brehm et al., 1988]. Altra possibilità è che 18 O assorba un neutrone, producendo 19 O che a sua volta decade β− in un nucleo di 19 F 14 N(α, γ)18 F(β+ ν)18 O(n, γ)19 O(β− ν)19 F (1.6) L’efficienza di questo canale di produzione è tuttavia legata all’incertezza della reazione 18 O(n, γ)19 O: 19 O infatti ha un’alta sezione d’urto di cattura per neutroni12 . Da quanto detto finora è chiaro che la catena 1.3 sarà dominante. Il fluoro, che al termine di ciascun pulso termico verrà portato in superficie dal terzo dredge-up, è però molto fragile. Esistono tre tipi di reazioni che distruggono fluoro in ambiente AGB: 19 F(α, p)22 Ne (1.7) 19 F(n, γ)20 F (1.8) F(p, α)16 O (1.9) 19 La predominanza di una di queste tre reazioni sulle altre è fortemente influenzata dalla presenza di protoni, neutroni o nuclei di elio: la 1.7 avviene infatti nelle regioni di He-intershell, mentre la 1.8 è causata dalla cattura di neutroni ad alta energia prodotti da 13 C(α, n)16 O e 22Ne(α, n)25 Mg e la 1.9 in ambienti ricchi di protoni. Per quanto riguarda questo lavoro di tesi ci siamo occupati della 1.7. 12 pari a 5.4 mb a 30 keV [Bao and Kappeler, 1987] 19 1.3 La problematica del Fluoro 1.3.2 Evidenze osservative Le prime osservazioni di fluoro in ambiente stellare sono dovuta a Jorissen, Smith e Lambert che nel 1992 ne misurarono l’abbondanza in un campione di stelle13 , trovandola maggiore rispetto a quella solare. Contemporaneamente fu messa in evidenza una correlazione tra il 19 F ed il rapporto C/O, il quale, come evidenziato nel paragrafo precedente, aumenta in corrispondenza del terzo dredge-up [Busso et al., 1999]. Esempi di spettri relativi al fluoro sono riportato in figura (1.7a) e (1.7b). Le AGB di piccola massa osservate, nelle quali è confermata la produzione di fluoro, rendono bene conto dell’abbondanza di tale elemento nella Galassia, mentre osservazioni relative a stelle appartenenti a LMC e ω Cen mostrano un’abbondanza relativa F/O che decresce al crescere dell’abbondanza dell’ossigeno, il che farebbe supporre ad una maggiore produzione di fluoro in stelle più massicce [Cunha et al., 2003; Renda et al., 2005]. ID Target HD 50281 HD 65486 HD 85512 HD 101581 HD 111261 HD 131977 HD 156206 HD 209100 HD 216803 T e f f (K) 4658 ± 56 4660 ± 66 4505 ± 176 4646 ± 96 4529 ± 62 4693 ± 80 4568 ± 94 4629 ± 77 4555 ± 87 logε(F)14 4.53 ± 0.20 4.47 ± 0.20 4.73 ± 0.20 4.61 ± 0.20 4.44 ± 0.20 5.16 ± 0.20 4.41 ± 0.20 4.75 ± 0.20 4.64 ± 0.20 Tabella 1.2: Esempi di stelle che evidenziano presenza di fluoro. In figura1.7a è raffigurato lo spettro della stella indicata in rosso 13 14 il loro studio era focalizzo sulle giganti rosse [Jorissen et al., 1992] i ] logε = log [X [H] − 12 20 1.3 La problematica del Fluoro (a) (b) Figura 1.7: a)Spettro per la stella di classe spettrale K HD 131977 (punti rossi), appartenente alla costellazione della Bilancia; in riquadro lo zoom relativo alla riga R9 (1-0) della molecola HF a λ + 23358 Å. In tabella 1.2 sono riportati alcuni parametri atmosferici [Santos et al., 2004; Sousa et al., 2006] e le abbondanze di fluoro per alcune stelle [Recio-Blanco et al., 2012] b)Esempi di spettri con sintesi di HF a λ + 2.3358 µm per HD 110281, stella di classe spettrale K appartenente alla costellazione della Vergine, e HD 135148, della stessa classe spettrale ma appartenente alla costellazione del Serpente [Li et al., 2013] 21 1.3 La problematica del Fluoro Figura 1.8: Abbondanze osservate da Jorissen (prima riga in alto) per diverse stelle, rispetto a quelle previste da vari modelli (seconda riga) [Lugaro et al., 2004] Il modello di nucleosintesi discusso nei paragrafi precedenti non riesce però a spiegare l’elevata abbondanza misurata (Fig. 1.8): si nota infatti che solo una piccola parte dell’abbondanza osservata si può giustificare teoricamente. A parità di rapporto C/O infatti l’abbondanza di fluoro effettivamente osservata risulta sempre maggiore di quanto previsto. Per ovviare a questo problema si è ipotizzata la presenza di processi di extra mixing alla base dell’inviluppo convettivo, noto come cool bottom processing (CBP) [Wasserburg et al., 1995; Lugaro et al., 2004]: esso consiste in un lento mescolamento di materiale, dalla base dell’inviluppo convettivo alla shell di H. Durante questo percorso il materiale trasportato può essere esposto a cattura protonica [Nollett et al., 2003], e questo processo consente di diminuire il rapporto 12C/13 C e tre ad un aumento di abbondanza di 14 12 C/16 O, ol- N [Uttenthaler et al., 2008; Palmerini et al., 2011a,b]. Il Cool Bottom Process è un fenomeno tipico delle giganti rosse di piccola massa (M < 2.3M" ), mentre in oggetti più massicci (4 ÷ 8 M" ) la base dell’inviluppo convettivo può raggiungere temperature di ∼ 107 K a cui possono aver luogo alcu- ne reazioni di cattura protonica: questo fenomeno prende il nome di Hot Bottom 22 1.3 La problematica del Fluoro Burning (HBB)[Frost and Lattanzio, 1996]. Sia HBB che CBP hanno come effetto il mutamento delle abbondanze superficiali della stella dove hanno luogo, con una diminuzione di 12C e 18 O, un aumento di 14 N e 15 N (tipiche “firme” del bruciamento del ciclo CN), e variazioni delle abbondanze di 17 O. Anche l’abbondanza superfi- ciale di 19 F può essere modificata dall’effetto di CBP e HBB, che determinano una diminuzione di tale isotopo a seguito della reazione 19 F(p, γ)20 Ne e 19 F(p, α)16 O. Figura 1.9: Abbondanza del fluoro osservata da Jorissen tenendo conto della partial mixing zone [Jorissen et al., 1992] Una migliore conoscenza della nucleosintesi del fluoro sarebbe importantissima per la comprensione dell’evoluzione delle stelle AGB, anche per stelle di basse metallicità15 e di popolazione II, come viene evidenziato nei lavori di Lucatello et al. [2011]. Rispetto a quanto affermato da Lugaro et al. [2004], in tempi più recenti le misure sono state corrette da Abia et al. [2009], i quali sono riusciti a ridurre sistematicamente, per stelle AGB ricche di carbonio, l’abbondanza di fluoro di un fattore 0.8. Adesso le stelle AGB di piccola massa e bassa metallicità sono in accordo con le previsioni teoriche. Tali risultati comunque non tolgono alle stelle AGB il ruolo im- 15 In astronomia, la metallicità di un oggetto è la quantità adimensionale indicante la frazione in massa di elementi presenti nella stella rispetto a specie diverse da idrogeno o elio, come ad esempio ferro, carbonio o ossigeno. 23 1.3 La problematica del Fluoro portante che esse ricoprono nella produzione di fluoro e non riescono in ogni caso a riprodurre le predizioni teoriche per stelle più massicce. Un caso particolare di stelle AGB: le C-EMP Le stelle Carbon-enhanced metal-poor (C-EMP) forniscono un’ottima opportunità di misurare direttamente il 19 F in stelle AGB di piccola massa e a bassa me- tallicità. Queste stelle sono chimicamente peculiari in quanto caratterizzate da una sovrabbondanza di carbonio ([C/Fe] > 1)16 . Questa abbondanza anomala, unita a quelle di Azoto e Ossigeno, sempre rispetto al ferro, fanno pensare che per queste stelle vi siano stati grossi contributi alla nucleosintesi provenienti da bruciamento di idrogeno (per l’aumento di N) e dal bruciamento di elio (per l’aumento di C e O). Esse rappresentano circa il 10% − 20% delle stelle con [Fe/H] ≤ −2.5. Abbiamo vari tipi di C-EMP[Lucatello et al., 2011] • C-EMP-s: caratterizzate da nucleosintesi che avviene tramite processi s (circa 80% di quelle osservate)[Aoki et al., 2007]; • C-EMP-r: procedono nella nucleosintesi tramite processi r; • C-EMP-rs: presenti sia il processo r che quello s; • C-EMP-no: non presentano arricchimento; Lucatello et al. [2005] hanno mostrato che le C-EMP-s appartengono a sistemi binari, composti da una stella di piccola massa (M ∼ 0.8 M") e una leggermente più grande (tra 1.2 e 2.5 M", il range esatto dipende dalla metallicità). A seguito dei venti stellari la stella più massiccia “morente“ passa alla compagna i materiali da essa processati, che possono essere riscontrati sulla superficie di quella ancora presente (ma spesso non ancora in fase AGB). Ciò permette misure di abbondanza di materiali come il fluoro ed elementi s nel caso delle C-EMPs (Fig.1.10). 16 Alcuni autori usano cut-off differenti a seconda dello stato di evoluzione della stella, adottando [C/Fe] + 0.5 24 1.3 La problematica del Fluoro Figura 1.10: Abbondanze misurate in funzione di T e f f per una serie di stelle[Lucatello et al., 2011]. I triangoli capovolti rappresentano i limiti superiori. Si noti la correlazione tra essi e la temperatura efficace, il che indica come i limiti più stringenti si possano ottenere per stelle più fredde Tuttavia le stelle C-EMP sono ancora oggetti molto misteriosi. In particolare per le C-EMP-no (quelle cioè che non mostrano tracce di elementi s) Fujimoto et al. [2000] hanno suggerito che esse possano essere diventate C-enhanced attraverso un percorso di auto-arricchimento a causa di un anomalo processo di mixing specifico per stelle di bassa metallicità, senza aver attraversato la fase AGB. In alternativa, come Ryan et al. [2005] hanno suggerito, si potrebbero essere originate da gas ricchi di carbonio, possibilmente contaminati da una precedente generazione di supernovae il cui fall-back ha evitato l’espulsione di elementi più pesanti durante l’esplosione. D’altra parte le abbondanze nelle C-EMP-no possono essere prodotte da trasferimenti di materia da stelle AGB di piccola massa prima di qualunque processo di produzione di elementi s [Ryan et al., 2005; Masseron et al., 2010], o alternativamente da stelle AGB la cui evoluzione sia stata interrotta dall’interazione binaria con la compagna, ancora visibile[Izzard and Tout, 2003]. Eventuali misure di abbondanza di F (1.11) sarebbero di cruciale importanza nel provare l’origine della composizione chimica osservata nelle C-EMP-no. 25 1.3 La problematica del Fluoro Figura 1.11: Abbondanze di Fluoro in funzione di C+N per dieci C-EMP. I triangoli invertiti indicano i limiti superiori, i simboli verdi sono stelle CEMP-no. Tutte le linee indicano modelli teorici [Lucatello et al., 2011] 1.3.3 Supernovae Con il termine Supernova (SN) si indica un evento esplosivo estremamente energetico. Al picco di luminosità una SN può aumentare di 20 magnitudini (100 milioni di volte) e raggiungere 1010 luminosità solari, emettendo quindi come un’intera galassia. Che si sia di fronte ad un fenomeno distruttivo è rivelato, oltre che dall’enorme quantità di energia emessa, dalle velocità di espansione osservate, che si aggirano attorno ai 104 km/sec. Se ne classificano di due tipi: • Supernovae di tipo I (SNe I):hanno curve di luce ben caratteristiche e prati- camente sovrapponibili, con una prima rapida discesa di circa tre magnitudini seguita da un più lento e regolare declino (Fig 1.12); • Supernovae di tipo II (SNe II): hanno invece un continuo e regolare declino (SNII lineari) in alcuni casi interrotto da un periodo in cui la luminosità cessa quasi di decrescere (SNII plateau)(Fig 1.13) Una ulteriore differenza tra SNe I e SNe II sta nel fatto che nello spettro della seconda si rileva idrogeno, mentre nella prima no. Per quanto riguarda le SNe I esse sono oggetti stellari “strani”, in quanto sono osservabili anche in galassie ellittiche, quindi in popolazioni antiche, dove stanno evolvendo solo stelle di piccola massa. Per questo si è ipotizzato che esse siano generate da sistemi binari stretti, al 26 1.3 La problematica del Fluoro Figura 1.12: Curva di luce composita ottenuta sovrapponendo i dati osservativi di 38 SN di tipo I [Castellani, 1985]. Figura 1.13: Curve di luce per varie Sne di tipo II (SN 1987a, SN 1999em, SN 2003hh). Per confronto si riporta anche i dati per SN II ottenti da Suntzeff e Bouchet (1990) (linea continua) pari delle binarie cataclismiche17 e delle Novae [Castellani, 1985]. Le SN II costituiscono la fase evolutiva finale di oggetti massicci (M ! 10M" ), e sono anch’esse tra i possibili siti di produzione di fluoro. Ci si attende che nell’esplosione tali stelle espellano nello spazio gli strati sovrastanti il nucleo centrale di Ni e Fe neutronizzato, lasciando come “remnant” o una stella di neutroni o un buco nero. 17 Stelle che aumentano improvvisamente la loro luminosità (tipicamente di 3 o 4 magnitudini), che rimangono in questo stato per alcuni giorni, per tornare poi a quello quiescente e ripetere il fenomeno a distanze temporali irregolari (settimane o mesi)[Castellani, 1985] 27 1.3 La problematica del Fluoro La gran parte del Fluoro in questa situazione è prodotto per spallazione18 di 20 Ne, con conseguente produzione di neutrini µ e τ [Woosley and Haxton, 1988; Woosley et al., 1990]; di esso, una frazione così creata viene distrutta in situ, ma la maggior parte viene restituita al mezzo interstellare (ISM). Un ulteriore sorgente di 19 F è rappresentata dal ciclo CNO pre-esplosivo relativo alla shell di elio, ma come già detto il processo di spallazione rimane dominante. Renda et al. [2004] e Heger et al. [2005], hanno suggerito che la sezione d’urto per i neutrini andasse rivista al ribasso, e se ciò venisse confermato, la produzione di fluoro nelle stelle di tipo SNe II diminuirebbe del 50%. 1.3.4 Stelle di Wolf-Rayet All’inizio del paragrafo abbiamo indicato come possibile sede di produzione di 19 F anche le cosiddette stelle di Wolf-Rayet (WR). Esse, che prendono il nome da coloro i quali le osservarono per primi (1867), identificandone tre nella costellazione del Cigno, sono oggetti estremamente particolari: sono infatti stelle estremamente calde (25000 K ≤ T e f f ≤ 50000 K) e piuttosto massicce (M ≥ 20" ), caratterizza- te da venti stellari molto forti (v ≥ 2000 km/sec) [Tuthill et al., 1998]. Se pur in piccola parte, esse contribuiscono all’arricchimento chimico delle galassie e sono accreditate come le possibili sorgenti di Gamma ray bursts19 lunghi (solitamente associati all’ esplosione di stelle massicce in un particolare tipo di supernova detto collapsar) e soft (emessi prevalentemente da stelle di neutroni altamente magnetiche, appartenenti alla nostra galassia) [Woosley and Bloom, 2006]. Inoltre abbiamo evidenza della presenza di stelle di Wolf-Rayet nella formazione di stelle di grandi masse nelle galassie [Schaerer and Vacca, 1998]. A livello spettroscopico le stelle WR presentano righe di emissione forti e larghe, come si vede in Figura (1.14), in luogo delle linee di assorbimento strette tipiche delle popolazioni normali di stelle. Di esse ne esistono due tipi: • Stelle che presentano nello spettro forti linee dell’elio e dell’azoto (tipo WN) 18 La spallazione nucleare è un concetto originariamente coniato nel 1937 dal vincitore del Premio Nobel per la chimica Glenn Theodore Seaborg, durante i suoi studi sullo scattering anelastico di neutroni. Esso rappresenta l’effetto del bombardamento atomico con particelle di energia molto elevata (oltre 100 MeV) con successiva emissione di nuclei più leggeri, ed è un fenomeno che avviene naturalmente nell’atmosfera terrestre e sulla superficie dei corpi celesti a seguito dell’interazione con i raggi cosmici. 19 Con gamma ray burst si indicano lampi di raggi gamma che possono durare da pochi millisecondi a diverse decine di minuti. Queste potenti esplosioni costituiscono il fenomeno più energetico finora osservato nell’universo 28 1.3 La problematica del Fluoro • Stelle che presentano nello spettro forti linee di elio, carbonio e ossigeno (tipo WC e WO) Figura 1.14: Spettri delle WN e WC ricavati da Smith (1968b), Massey (1984) e Johnson [Crowther, 2007] Gamow, nel 1943, suggerì per primo che la composizione anomala delle WR potesse essere dovuta a risultati di precedenti reazioni nucleari visibili in superficie, idea che non fu universalmente accettata fino al 1991 [Lamers et al., 1991]. 29 1.3 La problematica del Fluoro Le stelle WN mostrano i prodotti del ciclo CNO, mentre le WC sono interessate da processi di He-burning. Le stelle di Wolf-Rayet di metallicità solare hanno una massa minima di + 25M" , paragonabili al limite che Humphreys & Davidson trovarono nel 1979 per le supergiganti (RSG). Le WR singole potrebbero perciò es- sere uno stadio evolutivo successivo alle supergiganti rosse, e si presentano in un intervallo di masse molto stretto (25 ÷ 30M" )[Crowther, 2007]. Queste stelle, co- me evidenziato da Meynet and Arnould [1993], presentano bruciamento idrostatico di He tale da portare alla produzione di 19 F (successivamente espulso attraverso il vento stellare) secondo il network di reazione descritto al paragrafo 1.3.1. La questione centrale adesso è che, qualunque sia la via attraverso cui 19 F viene Figura 1.15: Evoluzione della massa totale Mtot , del core convettivo Mconv e e della frazione di massa S C superficiale (X19 ) e centrale (X19 ) di 19 F per una stella di 60 M" di metallicità Z = 0.008, 0.02 e 0.04 alla fine della fase di bruciamento di idrogeno e durante quello di elio [Meynet and Arnould, 2000] prodotto, la reazione 19 F(α, p)22 Ne, che è argomento di questa tesi, è responsabile della distruzione di una significativa quantità esso. Ciò rendendo impossibile, con gli attuali rate presenti in letteratura, l’arricchimento di fluoro in stelle AGB. L’u30 1.3 La problematica del Fluoro nico caso in cui le osservazioni corrispondono ai modelli teorici è quello di stelle WR (Mi ! 25" per Z = 0.02, Mi ! 35" per Z = 0.008, vedi Maeder and Meynet [1994]; Meynet and Arnould [2000]), nelle quali parte del fluoro sintetizzato duran- te He-burning viene però espulso nel mezzo interstellare, attraverso i venti, prima di essere distrutto. 31 CAPITOLO 2 Misure dirette in astrofisica nucleare All’interno delle stelle la produzione di energia, almeno per le fasi più lunghe dell’evoluzione, è dovuta alle reazioni termonucleari [Kippenhahn and Weigert, 1990]. È perciò necessario introdurre il concetto di sezione d’urto, con lo scopo di poter descrivere l’efficienza dei processi coinvolti nella produzione di energia in ambito astrofisico. Ad energie di interesse astrofisico il moto delle particelle è dovuto all’agitazione termica a temperature di 107 ÷ 108 K, che corrisponde ad energie molto minori del- la barriera coulombiana. In questa condizione le sezioni d’urto sono molto piccole (dell’ordine del pico-nanobarn), e questo rende tecnicamente molto difficile la loro misura. Nella prosecuzione di questo capitolo saranno esposti argomenti di carattere generale riguardanti l’astrofisica nucleare e verranno inoltre specificate le difficoltà sperimentali relative a tali misurazioni. 2.1 Sezione d’urto In un esperimento di fisica nucleare si fanno collidere tra loro particelle, per arrivare ad una reazione del tipo: A+a →b+B 32 (2.1) 2.1 Sezione d’urto dove con a ed A si intendono rispettivamente particella incidente e bersaglio, mentre con b e B si indicano i prodotti di reazione. A questo punto definiamo Jb come il numero di particelle che incidono sul bersaglio nell’unità di tempo su una superficie unitaria disposta perpendicolarmente alla direzione del fascio, e siano ρinc il numero di particelle incidenti per unità di volume e v la velocità relativa tra a e A. Il flusso di particelle incidenti sarà quindi pari a Jinc = ρinc v (2.2) A questo punto supponiamo che ρinc sia talmente piccolo da poter trascurare le mutue interazione tra le particelle del fascio, e indichiamo con N il numero di particelle emesse nell’unità di tempo all’interno di un certo intervallo di angolo solido dΩ, sotteso da un certo rivelatore posto ad un angolo θ rispetto alla direzione del fascio incidente. Possiamo a questo punto definire N come N = Jinc Σ(θ)dΩ (2.3) Dove Σ(θ) è una grandezza con le dimensioni di una superficie che rappresenta la probabilità che una particella che interagisce con un qualunque centro diffusore del bersaglio venga emesso in corrispondenza dell’angolo solido dΩ [Williams, 1991]. Se adesso consideriamo che un bersaglio è solitamente composto da un numero (paragonabile al numero di Avogadro NA ) di centri diffusori molto alto, le cui distanze relative sono molto maggiori della lunghezza d’onda di De Broglie, e se consideriamo trascurabili eventuali effetti di coerenza relativi ad onde generate da centri diffusori diversi e le diffusioni multiple, avremo: Σ(θ) = Nσ(θ) (2.4) dove σ(θ) è detta sezione d’urto differenziale, la quale rappresenta la probabilità che una certa particella venga emessa in un angolo solido dΩ, dopo che la reazione (2.1) ha avuto luogo. Ricaviamo σ(θ) utilizzando (2.3) e (2.4), ottenendo: N (2.5) Jinc NdΩ Integrando la (2.5) su tutto l’angolo solido si ottiene la sezione d’urto totale: σ(θ) = σtot = ! σ(θ)dΩ Ω 33 (2.6) 2.2 Rate di reazione Tali grandezze, abbiamo detto, hanno le dimensioni di una superficie; date le dimensioni dei centri diffusori (10−13 ÷ 10−14 cm) esse saranno espresse in barn: 1 barn = 10−24 cm2 (2.7) 2.2 Rate di reazione Altro concetto importante proprio della fisica nucleare è rappresentato dal rate di reazione, che è il numero di reazioni che avvengono nell’unità di tempo e di volume; esso corrisponde quindi alla produzione od alla distruzione di un certo nucleo durante la reazione in esame, e dipenderà dal numero di particelle interagenti (che chiameremo Na e NA ) e dalla sezione d’urto σ, oltre che chiaramente dalle condizioni a contorno (ad esempio la temperatura). Ciò detto, si consideri un sistema costituito da Na particelle per unità di volume appartenenti alla specie a e NA particelle di tipo A, e sia σ(v) la sezione d’urto per la reazione (2.1), dove per v si intende la velocità relativa tra le particelle interagenti. Il rate r sarà in definitiva dato dal prodotto della sezione d’urto per la densità di particelle del bersaglio NA per il flusso di particelle incidenti dato da (2.2), dove ρ viene sostituito da Na r = Na NA vσ(v) (2.8) che si misura in numero di particelle al secondo. Va però specificato che tale equazione è valida solo nel caso in cui a e A non siano identici tra di loro: in tal caso infatti dovrà essere aggiunto un termine correttivo, dovuto alla loro indistinguibilità, con il fine di evitare di contare due volte le particelle. La (2.8) diventa: r = (1 + δaA )−1 Na NA vσ(v) (2.9) con δaA delta di Kronecker. Assumiamo adesso che la velocità relativa tra gli elementi interagenti possa assumere valori compresi tra v e v + dv, e sia f (v)dv la probabilità che ciò accada. In questo caso il rate sarà dato dall’integrale della (2.9), dove questa volta ad ogni velocità v è assegnato il peso f (v) 34 2.2 Rate di reazione −1 r = (1 + δaA ) Na NA ! vσ(v) f (v)dv = (1 + δaA )−1 Na NA %σv& (2.10) La quantità %σv& prende il nome di rate di reazione per coppie di particelle, con (1 + δaA )−1 Na NA numero totale di particelle. È adesso necessario conoscere l’energia dei nuclei interagenti nelle stelle: ciò è possibile considerando che l’energia cinetica dei nuclei al loro interno è dovuta all’agitazione termica, in quanto il plasma stellare, a causa delle alte temperature e delle densità relativamente basse, è generalmente assimilabile ad un gas non degenere e non relativistico. In tal caso l’energia media è data da: E ≈ kT (2.11) in cui k è la costante di Boltzmann. Possiamo quindi considerare tale plasma come un gas in equilibrio termodinamico, e descrivere lo spettro delle velocità con una distribuzione di Maxwell−Boltzmann: " #3/2 # " mi v2i mi 2 exp − f (vi )dvi = 4πvi dvi 2πkT 2kT (2.12) con T temperatura, mi massa del nucleo i-esimo. Poiché la (2.10) dipende esclusivamente dalla velocità relativa tra le particelle, risulta conveniente esprimerne le velocità delle particelle in funzione di quest’ultima (v) e della velocità del centro di massa V, quindi mA v ma + m A mA v vA = V − ma + m A va = V + (2.13) (2.14) Introducendo adesso la probabilità che la particella a abbia velocità va in d 3 va e che A abbia velocità vA in d 3 vA , data da f (va)d 3 va f (vA )d 3 vA , si può dimostrare che essa può essere scritta come il prodotto tra le distribuzioni delle velocità per il centro di massa e della velocità relativa: " " " #3/2 #" #3/2 # MV2 µv2 M µ Na NA exp − exp − 2πkT 2kT 2πkT 2kT (2.15) dove µ e M sono rispettivamente la massa ridotta e la massa totale del sistema. Le distribuzioni sono però normalizzate, quindi l’integrale rispetto a d 3 V sarà uguale all’unita, e quindi r = (1 + δaA )−1 Na NA %σv& $ $ %! ∞ % µ µv2 −1 3 = (1 + δaA ) Na NA 4π v σ(v)exp − dv 2πkT 0 2kT 35 (2.16) 2.3 Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche oppure, in termini di energia $ 8 r = (1 + δaA ) Na NA πµ −1 %1/2 1 (kT )3/2 ! 0 ∞ $ % E Eσ(E) exp − dE kT (2.17) nella quale va però sottolineato che l’estensione dell’integrale è al semiasse positivo solo se si analizzano reazioni esotermiche, mentre nel caso di reazioni endotermiche esso andrà calcolato a partire da un’energia di soglia [Iliadis, 2007]. 2.3 Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche Quando si analizzano interazioni tra nuclei, oltre alla barriera centrifuga si deve tener conto anche dell’interazione coulombiana, dovuta all’interazione repulsiva tra il proiettile ed il bersaglio. Consideriamo due nuclei, di numero atomico Z1 e Z2 che interagiscono tra loro: le forze coinvolte saranno quella coulombiana (repulsiva, come già detto) e quella nucleare (attrattiva), la cui combinazione può essere schematizzata da un potenziale come in figura (2.1); a grande distanza sarà predominante il contributo del potenziale coulombiano, mentre a distanze inferiori alla somma dei raggi due nuclei avremo una predominanza del potenziale nucleare, approssimabile ad una buca finita di larghezza R e profondità V0 . Figura 2.1: Rappresentazione schematica del potenziale complessivo (coulombiano + nucleare) che governa il moto relativo dei due nuclei Nel campo dell’astrofisica nucleare le energie tipiche si aggirano dai pochi keV della nucleosintesi stellare, alle centinaia di keV della nucleosintesi primordiale (sti36 2.3 Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche mati tramite l’eq. 2.11) e, dal momento che le barriere coulombiane in questo campo sono dell’ordine di 1 ÷ 10 MeV, da un punto di vista puramente classico le reazioni non potrebbero avvenire in ambiente astrofisico: i nuclei interagenti non arriverebbero mai ad una distanza abbastanza piccola da “innescare” l’interazione nucleare. Tale problema viene superato dall’introduzione dell’effetto tunnel1. La probabilità che un nucleo passi oltre la barriera coulombiana per effetto tunnel è data dal fattore di penetrazione |χl (∞)|2 (2.18) Pl = |χl (R)|2 dove χl è la funzione d’onda radiale soluzione dell’equazione di Schrödinger # " "2 d 2 + Vl (r) − E χl (r) = 0 (2.19) − 2µ dr2 e l(l + 1) Z1 Z2 + 2 (2.20) 2µr2 r è il potenziale efficace relativo all’onda l, somma del potenziale centrifugo (dipenVl = dente da l) e di quello coulombiano (da esso indipendente). Le soluzioni della (2.19) sono note e rappresentate dalle cosiddette funzione d’onda regolare e funzione d’onda irregolare di Coulomb, di cui la prima si indica con Gl (r) e diverge per l → 0 mentre la seconda si indica con F l e vale zero nell’origine, rimanendo l’unica solu- zione possibile se l’origine è inclusa. Nel nostro caso (0 < R < r) la χl (r) si può scrivere come combinazione lineare delle due, e quindi il fattore di penetrazione (2.18) sarà Pl (kR) = F l2 (kR) 1 + G2l (kR) (2.21) con k numero d’onda. Pl non ha però una forma analitica. Si rende necessario ricorrere ai valori tabulati di F l (kR) e Gl (kR), oppure, nel caso in cui Vl (r) sia molto maggiore dell’energia incidente, ad un’espressione approssimata del fattore di penetrazione basata sull’espansione di Gl (r) in funzione delle equazioni di Bessell modificate (Approssimazione Semiclassica WKB). In questo caso, se V >> E avremo che Gl >> F l , ed avremo & ! $ " " #1/2 % # 2 2µ R0 E c R E l R2 Eb − E exp − − E dr (2.22) Pl = E " R R R 1 Il tunneling quantistico fu introdotto da Gamow nel 1928, in relazione allo studio dei decadimenti alfa. Secondo la meccanica quantistica infatti esiste una probabilità finita per la penetrazione della barriera 37 2.3 Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche dove E b è la somma delle altezze della barriera coulombiana e centrifuga. Definiamo adesso con −Wl l’argomento dell’esponenziale di (2.22) e ricaviamone l’andamento al variare di l. 1. l = 0: è il caso più frequente in astrofisica nucleare, e ciò è dovuto al fatto che le energie sono dell’ordine dei keV; in tal caso, integrando e sviluppando in serie di potenze rispetto a E Ec la grandezza Wl avremo: " $ % $ %3/2 # 2πZ1 Z2 e2 2 E 4 E W0 = + 1− "v π Ec 3π E c (2.23) Il primo termine della (2.23) può essere scritto come [Rolfs, 1988] 1 bE − 2 (2.24) b = 31.28 · Z1 Z2 A1/2 (2.25) nella quale mentre i termini di ordine superiore sono uguali a −1.05(ARZ1 Z2 )1/2 (2.26) con A massa ridotta, E c è calcolata in MeV ed R in fermi. Il terzo termine, infine, dipende dall’energia e rappresenta una correzione significativa nel caso in cui E sia una frazione significativa della barriera coulombiana $ %3/2 4Z1 Z2 e2 E 3"v E c (2.27) Sommando (2.24), (2.26), e (2.27), otterremo: W0 = bE − 12 1/2 − 1.05(ARZ1 Z2 ) $ %3/2 4Z1 Z2 e2 E + 3"v E c (2.28) 2. l ! 0: Nell’ipotesi che E c > E l , Wl può essere sviluppato in serie di potenze rispetto ad R/r e si ottiene: " l(l + 1)E 1 W l = W0 + 2 Ec #1/2 " $ %1/2 # E 1− Ec (2.29) Infine, dalla (2.23) e (2.29) si ottiene, arrestandosi al primo ordine, il fattore di penetrazione Pl $ %1/2 " # Ec −1/2 −1/2 −1/2 Pl = exp −bE +1.05(AZ1 Z2 ) −7.62l(l+1)(AZ1 Z2 ) (2.30) E 38 2.4 Il fattore astrofisico Se adesso E << E c e l’interazione avviene in onda s, il fattore di penetrazione si può approssimare con il fattore di Gamow " # 2πZ1 Z2 e2 −1/2 P0 = exp [−bE ] = exp − = exp (−2πη) "v (2.31) nella quale si è scritto η = Z1 Z2 αβ, dove α è la costante di struttura e β è la velocità definita in unità di c. Il fattore η, detto parametro di Sommerfeld, fornisce una misura dell’interazione coulombiana, assumendo valori via via più elevati al crescere della carica degli ioni interagenti, e diminuisce al crescere della velocità relativa, il che corrisponde a tempi di interazione minori. 2.4 Il fattore astrofisico Come si era anticipato poc’anzi, lo studio in laboratorio delle reazioni di interesse astrofisico è molto difficile, a causa dei ridotti rate di reazione alle bassissime energie di interesse: prendendo ad esempio la reazione p + p → d + e+ + νe che avviene all’interno del sole (T ≈ 1.5 · 107 K), essa ha sezione d’urto estrema- mente bassa (dovuta al fatto che l’energia non è sufficiente per superare la barriera coulombiana ed al fatto che essa è governata dall’iterazione debole) dell’ordine di 10−47 cm2 = 10−23 b (Q = 1, 44 MeV). Un eventuale esperimento che riproducesse le condizioni del sole otterrebbe quindi un evento ogni 109 anni! Ciò rende in questo caso impossibile una misura diretta della sezione d’urto per reazioni tra due protoni. Questo è solo uno dei casi in cui non si possono compiere esperimenti che indaghino il problema adeguatamente, e infatti lo studio di molte delle reazioni di interesse astrofisico è di solito ristretto ad un range di energia più alto rispetto a quanto sarebbe corretto fare. A questo punto si rende necessaria una qualche estrapolazione sotto barriera basata su misure ad energia superiore. In tali condizioni anche un piccolissimo errore nella misura della sezione d’urto ad energie più alte può inficiare pesantemente tale operazione; si cerca quindi di ottimizzare il set-up sperimentale per le misure a bassa energia in modo tale da aumentare quanto più è possibile il rapporto segnale/rumore2, che rappresenta il limite principale di tali misure. Dalla (2.5) si evince che il numero N di particelle rivelate è proporzionale a quello di particelle incidenti Ninc , allo spessore δ del bersaglio ed all’angolo solido dei rivelatori: 2 N ∝ Ninc δ∆Ω (2.32) Il segnale è costituito dalle particelle dovute alla reazione in oggetto, mentre il rumore è dovuto alla presenza di fondo o ad altre reazioni concorrenti. 39 2.4 Il fattore astrofisico Risulta quindi possibile operare su tre parametri indipendenti, anche se, a fronte di un aumento della resa, si presentano inconvenienti che diminuiscono l’accuratezza dei dati acquisiti: • l’aumento dell’intensità del fascio genera effetti di carica spaziale e di riscaldamento del bersaglio, con conseguente alterazione della sua struttura (per esempio variazione di densità o di composizione chimica) • l’aumento dello spessore del target genererà sì un aumento del rate da diffusione coulombiana, ma porterà con se la diminuzione della risoluzione a causa dello straggling e della perdita di energia • l’aumento infine dell’angolo solido, ottenibile posizionando rivelatori di gran- de superficie in prossimità del bersaglio, ma tale operazione ha limiti dovuti al passaggio del fascio ed al suo totale arresto. Altro modo di aumentare il rapporto segnale/rumore è quello di ridurre il fondo dovuto ad esempio ai raggi cosmici, alla radioattività ambientale ed al rumore derivante dall’elettronica: nel primo caso si può ricorrere a schermi attivi o passivi, cioè a rivelatori posti in anticoincidenza, ad opportuni spessori di materiale capace di assorbire neutroni o γ, oppure ancora effettuando misure in laboratori sotterranei (come ad esempio nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso3 ). Altro problema che affligge l’estrapolazione è quello relativo alla proporzionalità $ %2 2 della sezione d’urto al fattore geometrico π" ∝ 1p ∝ E1 , dove " è la lunghezza d’onda di De Broglie ridotta, ed al fattore di penetrazione Pl , entrambi rapidamente variabili con l’energia. Un modo per ovviare a tali difficoltà è quello di pervenire ad una rappresentazione per la probabilità di interazione ad alta energia che consenta di separare gli effetti puramente nucleari da quelli geometrici e coulombiani: a tale scopo si introduce il cosiddetto fattore astrofisico S (E) S (E) = Eσ(E) exp (2πη) (2.33) Esso rappresenta la componente intrinsecamente nucleare della probabilità che una certa reazione avvenga e, nell’ipotesi che non ci siano risonanze nella regione di estrapolazione, è una funzione lentamente variabile dell’energia, il che consente di 3 Esperimento LUNA [Broggini et al., 2010] 40 2.5 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche ottenere estrapolazioni più accurate a bassa energia. Gli andamenti tipici di σ(E) e di S (E), per reazioni non risonanti, sono mostrati in figura (2.2), dalla quale si evince che, mentre la prima decresce esponenzialmente al diminuire dell’energia, la seconda rimane più o meno costante. Ciò permette estrapolazioni a bassa energia che solitamente vengono eseguite Figura 2.2: Confronto tra l’andamento tipico in funzione dell’energia della sezione d’urto σ(E) e del fattore astrofisico S (E) per reazioni tra particelle cariche tramite fit di natura polinomiale. Un approccio più complesso prende il nome di R-Matrix [Lane and Thomas, 1958], che risulterà utile nel proseguimento di questo lavoro di tesi, data l’assenza di dati diretti a bassa energia per la reazione 19 F(α, p)22 Ne. 2.5 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche Inseriamo adesso la relazione (2.33) nell’espressione (2.17), e ricordando la (2.31) e dividendo per Na NA (1 + δaA )−1 con lo scopo di ricavare il rate per coppie di particelle, si ottiene $ $ %1/2 % ! ∞ E 8 1 −1/2 S (E)exp − %σv& = dE − bE µπ (kT )3/2 0 kT 41 (2.34) 2.5 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche Essenzialmente l’integrando sarà determinato dall’esponenziale, che è una funzione fortemente dipendente dall’energia. Si vede inoltre in figura (2.3) che il termine exp(−E/kT ) decresce con l’energia, mentre la probabilità di tunneling aumenta; il maggior contributo all’integrale proviene quindi da una regione intermedia di energie. Figura 2.3: Rappresentazione dei termini esponenziali che determinano l’andamento del rate per processi non risonanti. Il prodotto di queste due funzioni (fattore di Gamow e coda della maxwelliana) da’ origine al picco di Gamow, fortemente ingrandito in figura, che delimita la finestra in cui è massima la probabilità che avvenga una reazione. Il fatore EG che appare in figura è detto energia di Gamow e corrisponde, nella notazione usata, a b2 [Clayton, 1983]. Le reazioni in ambiente stellare avvengono ad energie che cadono in una banda energetica così stretta che il fattore astrofisico è da considerarsi, per reazioni non risonanti, approssimativamente costante (Fig2.2): tale finestra prende il nome di finestra di Gamow. Appare quindi chiaro come una buona approssimazione della (2.34) si ottenga sostituendo a S (E) il valore che esso assumerebbe ad E 0 , in cui l’esponenziale ha il suo massimo. A tale energia S (E) ≈ S (E 0 ) ≈ S 0 , il risultato sarà $ %1/2 $ % ! ∞ 8 S0 E −1/2 %σv& = − bE exp − dE πµ (kT )3/2 0 kT (2.35) che può essere valutato approssimando l’integrando ad una gaussiana avente centroide in E 0 , ed in tale punto la stessa curvatura della funzione originaria. Si determina poi il valore a cui g(E) = E/kT + bE −1/2 è minimo e si sviluppa in serie di Taylor attorno a tale valore 1 g(E) = g(E 0 ) + (E − E 0 )2 g.. (E 0 ) + ... 2 42 (2.36) 2.5 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche Da essa infine si ricava %2/3 $ bkT = 1.220 (Za2 ZA2 AT 62 )1/3 keV E0 = 2 (2.37) in cui T 6 = T/106 K, mentre E 0 è l’energia corrispondente al picco di Gamow, alla quale una certa reazione di fusione termonucleare è più probabile ad una data temperatura T. Dalla (2.37), considerando il caso di nuclei leggeri a temperature di decine di milioni di gradi, si otterranno valori di 1 ÷ 30 keV, valore chiaramente maggiore di kT = 0.086T 6 keV: tale fatto rende conto di come l’andamento del fattore di pe- netrabilità della barriera coulombiana favorisca reazioni nella coda ad alta energia della Maxwell−Boltzmann. Sostituendo adesso a g(E) il suo sviluppo in serie (2.36) e tenendo conto della (2.37) avremo: $ % " # E (E − E 0 )2 −1/2 − bE exp − ≈ C exp − kT 2∆2 con % % $ 3E 0 E −1/2 − bE 0 = exp − C = exp − kT kT $ (2.38) (2.39) mentre ∆ è la deviazione standard, che misura la larghezza della distribuzione gaussiana, determinabile dalla derivata seconda della g(E) ∆ = 2.31(E 0 kT )1/2 = 0.75(Za2 ZA2 AT 62 )1/6 keV (2.40) Da quest’ultima si evince che l’ampiezza della finestra è proporzionale alla media geometrica dell’energia E 0 del picco di Gamow e all’energia che rappresenta il massimo per la Maxwell−Boltzmann. Sostituendo adesso nell’espressione per il rate per coppie di particelle si avrà: " # $ %1/2 ! 8 S 0 −τ ∞ (E − E 0 )2 e exp − dE %σv& = µπ (kT )3/2 2∆2 −∞ (2.41) dove si è introdotto τ = 3E 0 /kT . Calcolando analiticamente l’integrale si ottiene: ra A = (1 + δa A)−1 Na NA %σv& 7.20 · 10−19 = (1 + δa A)−1 Na NA S 0 (keV b) τ2 e−τ cm3 /sec AZa ZA (2.42) dove la dipendenza dalla temperatura è interamente contenuta in τ. Dalla (2.42) si vede che l’andamento de rate dipenderà essenzialmente da e−τ . 43 2.6 Reazioni risonanti indotte da particelle cariche Reazioni p + p p + 14 N 4 He + 12C 16 O + 16 O e−τ 1.1 · 10−6 1.8 · 10−27 3.0 · 10−57 6.2 · 10−239 Tabella 2.1: Valori di e−τ calcolato per alcune importanti reazioni che avvengono in ambiente stellare a temperature di T = 15 · 106 K. Tale fattore determina l’andamento del rate di reazione Nella tabella (2.1) sono riportati a titolo esemplificativo alcuni valori di questo fattore per alcune importanti reazioni che avvengono nel core solare (T 6 = 15 K). A tale temperatura si osserva come l’interazione più efficiente sia p + p, la quale contribuirà in misura maggiore rispetto alle altre alla produzione di energia nel Sole. Soltanto alcune specie subiranno reazioni nucleari ad una certa temperatura T. Il nucleo del Sole incomincerà a contrarsi aumentando la sua temperatura, finché essa non sarà abbastanza alta da rendere efficienti nuove reazioni. 2.6 Reazioni risonanti indotte da particelle cariche Nel caso in cui nel range energetico di interesse siano presenti delle risonanze, cioè un massimo pronunciato nella sezione d’urto, il fattore astrofisico S (E) non è più una grandezza lentamente variabile con l’energia e non lo si può più considerare costante. In tale situazione il rate sarà dominato da risonanze. Per reazione risonante si intende una reazione in cui, tra canale d’ingresso e di uscita, si passa attraverso la formazione temporanea di uno stato eccitato di nucleo composto [Satchler, 1990]. In questo caso sarà presente uno stato intermedio formato dalla fusione di proiettile e bersaglio, generando una situazione del tipo: a + A −→ C ∗ −→ b + B (2.43) dove C ∗ rappresenta il sistema intermedio. Il popolamento del sistema intermedio si rifletterà nella presenza di risonanze nella funzione di eccitazione per la reazione considerata. In particolare si suppone che tale nucleo si formi durante la collisione tra il nucleo incidente e il nucleo bersaglio e in uno stato eccitato, per poi decadere nei prodotti di reazione o con l’emissione di radiazione γ. L’energia a cui questo stato eccitato si forma è detta energia di risonanza. Una risonanza si definisce stretta quando la sua ampiezza Γ è molto più piccola del valore dell’energia del picco E r , e solitamente questa condizione la si fa corrispondere a Γ Er 44 ≤ 10%. Una risonanza che non soddisfa 2.6 Reazioni risonanti indotte da particelle cariche questa condizione viene detta larga; se siamo in presenza di più di una risonanza, esse si dicono inoltre isolate quando non si sovrappongono. Figura 2.4: Esempi di risonanze strette, larghe e isolate [Rolfs, 1988] Analizziamo adesso il caso in cui la risonanza sia isolata, dove cioè la separazione in energia tra i livelli supera la larghezza di ciascuno stato; in questa situazione la sezione d’urto è descritta dalla formula di Breit-Wigner Γ1 Γ2 σBW (E) = π"2 ω (E − E r )2 + (Γ/2)2 (2.44) nella quale E r è l’energia della risonanza, π"2 è un fattore geometrico caratteristico del processo quantistico, mentre ω è un fattore statistico tale che 2J + 1 ω= (2.45) (1 + δaA ) (2Ja + 1)(2JA + 1) e nel quale J, Ja e JA sono gli spin del livello eccitato del nucleo composto, mentre (1 + δaA ) serve a prendere in considerazione il caso di particelle identiche. L’ampiezza totale Γ tiene conto di tutti i decadimenti del nucleo intermedio nei diversi canali possibili, mentre Γ1 e Γ2 sono rispettivamente le ampiezze di probabilità di formazione del nucleo intermedio a partire da quelli di partenza e di decadimento in quelli di uscita. Nell’ipotesi adesso che la risonanza sia stretta (Γ << E r ), avremo che il rate per coppie di particelle (2.34) diventa [Clayton, 1983]: $ $ %1/2 % ! ∞ E 8 1 σBW (E)E exp − %σv& = dE πµ kT 0 kT 45 (2.46) 2.6 Reazioni risonanti indotte da particelle cariche In questo caso è la funzione esponenziale ad essere pressochè costante, in quanto agisce su un intervallo ristretto di energia, dell’ordine di Γ, e si può quindi scrivere $ %1/2 ! ∞ 8 1 Er σBW (E) dE (2.47) %σv& = πµ kT 0 Trascurando adesso la dipendenza dall’energia di Γ, Γ1 e Γ2 , l’integrale presente in (2.46) diventa: ! ∞ 0 σBW (E) dE = 2π2 "2r ωγ (2.48) dove γ = Γ1 Γ2 /Γ, e ωγ rappresenta la forza della risonanza. Combinando adesso la (2.48) e (2.47) si ottiene [Iliadis, 2007] $ $ %3/2 % Er 2π "(ωγ)r exp − %σv& = µkT kT (2.49) In caso di reazioni che si concretizzano attraverso stati risonanti stretti, quindi, la combustione nucleare ha luogo all’energia di risonanza E r , ed il picco di Gamow coinciderà con quello della risonanza. Altro caso è quello in cui Γ/E r ≥ 10%: si dovrà tener conto della dipendenza della sezione d’urto e della larghezza Γ dall’energia. Se queste ultime sono note, allora la σBW sarà uguale a: σ(E) = σr (Γr /2)2 E r Γ1 (E) Γ2 (E) E Γ1 (E r ) Γ2 (E r ) (E − E r )2 + [Γ(E)/2]2 (2.50) dove σr = σ(E = E r ) e Γr = Γ(E = E r ). Caso particolarmente interessante è quello in cui lo spettro dei livelli energetici del nucleo composto presenta uno stato ad energia E R inferiore al Q di reazione4 relativo al decadimento b + B (risonanza sotto barriera). Tale stato eccitato non può decadere in b+ B, ed equivalentemente lo stato eccitato non può essere popolato da tale canale di reazione, essendo E r = E R − Q negativa. Tuttavia uno stato eccitato, per formarsi deve avere almeno un canale permesso tramite cui decadere e ciò implica che lo stato eccitato è caratterizzato da una larghezza Γ e da una certa vita media; se perciò la larghezza di tale risonanza è abbastanza grande da avere una coda che superi l’energia Q − E R la risonanza sarà visibile, e si manifesterà come un incremento della σ rispetto al valore atteso per la risonanza. A questo punto avremo: σ(E) = π"2 ω 4 Γ1 (E)Γ2 (E + Q) (E − E r )2 + [Γ(E)/2] (2.51) Il Q di reazione o Qvalue si definisce come il difetto di massa che intercorre tra le particelle nel canale iniziale e quelle (o quella) nel canale iniziale, cioè per la reazione A + a → b + B esso sarà Qvalue = (ma + mA − mb − mB )c2 46 2.7 Screening elettronico 2.7 Screening elettronico Fino ad ora si è assunto che sia il proiettile che il bersaglio fossero essenzialmente nuclei, quindi entità prive di elettroni, in modo da poter considerare la barriera coulombiana più semplicemente. Quando però si cerca di riprodurre in laboratorio una reazione nucleare tra particelle cariche, proiettile e bersaglio interagiscono sotto forma rispettivamente di ioni e atomi oppure di ioni e molecole. Questa considerazione ha come conseguenza il fatto che le nubi elettroniche che circondano proiettile e bersaglio schermano le rispettive cariche. Considerando il caso del nucleo bersaglio, per distanze superiori al raggio atomico Ra , il potenziale elettrostatico si annulla (Fig. 2.5), portando il nucleo bersaglio a non sentire la repulsione coulombiana fino a quando esso non sorpassi la nube elettronica. Nel caso di reazioni ad alta energia tale contributo è trascurabile ai fini della dinami- Figura 2.5: Rappresentazione del potenziale coulombiano modificato dalla presenza della nube elettronica. La linea tratteggiata rappresenta la situazione di bare nucleus(nucleo nudo). Ra , Rn , Ec ed Rc indicano il raggio atomico, il raggio di interazione nucleare, l’altezza della barriera per il nucleo nudo ed il turning point classico per una particella con energia E ca del processo, mentre alle energie di interesse astrofisico esso diventa importante. Nell’approssimazione di Born-Oppenheimer, in cui i gradi di libertà atomici e nucleari vengono trattati separatamente e si trascurano gli effetti dinamici quali polarizzazione e deformazione della nube, è possibile ricavare la forma del potenziale di screening Ue tra nuclei interagenti, che assume la forma: Ue f f (r) = Za ZA − Ue r 47 (2.52) 2.7 Screening elettronico dove a ed A sono rispettivamente nucleo proiettile e bersaglio. Supponiamo che gli elettroni siano distribuiti su una superficie di raggio Ra , che il proiettile sia totalmente ionizzato e che il bersaglio sia un atomo globalmente neutro. In questo caso il potenziale di schermo Ue può essere determinato avvalendosi di un modello semplificato [Assenbaum et al., 1987]: esso considera il potenziale generato dalla nube a distanze dell’ordine di Ra come una costante che vale Va = Za e/Ra [Rolfs, 1988]. Di conseguenza la barriera che la particella incidente dovrà attraversare affinché avvenga la reazione sarà: Ue f f (Rn ) = Ucoul (Rn ) − Ue (Rn ) = Za ZA e2 Za ZA e2 − Rn Ra (2.53) con Rn è raggio di azione nucleare, pari alla somma dei raggi del nucleo incidente e di quello bersaglio. La (2.53) ci mostra l’effetto dello screening elettronico: per distanze inferiori al raggio atomico, il potenziale di screening Ue = Za ZA e2 /Ra provocherà una riduzione della barriera che ostacola la fusione, il che si traduce in un incremento della sezione d’urto di reazione rispetto a quella di bare nucleus. Noto adesso tale potenziale, si può passare a valutare il fattore di correzione flab da apportare alla sezione d’urto col fine di ottenere la cross section di nucleo schermato σ s (E) a partire da quella di nucleo nudo σb (E) [Fiorentini et al., 1995] flab = σ s (E) σb (E) (2.54) Ciò detto, per calcolare %σv& per i nuclei schermati si deve sostituire in (2.34) ad E l’energia E s = E + Ue , cioè la penetrazione di barriera è come se avvenisse ad energia maggiore [Assenbaum et al., 1987]. Si deve quindi sostituire a σ s (E) la quantità σb (E s ) e assumere che il fattore astrofisico sia costante ed inoltre Ue << E. Alla fine otterremo la seguente espressione per flab [Assenbaum et al., 1987]: $ % E σb (E + Ue ) πηUe = exp flab = (2.55) σb (E) E + Ue E Data la dipendenza esponenziale di flab da Ue /E, si nota come (Tabella 2.2), già per Ue /E = 0.01, lo screening elettronico non sia affatto trascurabile. Esistono approssimazioni più accurate, che considerano anche gli effetti dinamici. A energie più basse, in corrispondenza delle quali le velocità relative dei nuclei sono inferiori a quelle tipiche degli elettroni atomici, si applica la cosiddetta approssimazione adiabatica, secondo la quale il potenziale di screening diventa [Fiorentini et al., 1995] Ue = E a + E A − E c 48 (2.56) 2.7 Screening elettronico Reazioni d + d d + 3 He 3 He + 3 He p + 7 Li α + 1 2C Ue (keV) 0.027 0.11 0.22 0.24 2.0 flab (Ue /E = 0.1) 16.5 20.9 131 14 868 flab (Ue /E = 0.01) 1.10 1.11 1.18 1.09 1.25 flab (Ue /E = 0.001) 1.003 1.003 1.006 1.003 1.007 Tabella 2.2: Alcuni valori di flab per diverse reazioni: essi mostrano la rilevanza della correzione anche per Ue /E = 0.01, ovvero E ≈ 3 − 30 keV [Assenbaum et al., 1987] dove E a , E A , ed E c sono le energie di legame dell’atomo incidente, in quello bersaglio e nel nucleo composto. Ciò vuol dire che in approssimazione adiabatica si assume il moto dei nuclei molto più lento di quello degli elettroni, in modo tale da associare ad ogni configurazione istantanea dei nuclei una funzione d’onda per gli elettroni che differisca poco da quella che si ricaverebbe considerando i nuclei immobili nella loro posizione istantanea. Reazioni 6 Li (p, α) 3 He 6 Li (d, α) 4 He 7 Li (p, α) 4 He 3 He (d, p) 4 He d (d, p) t Ue Sperimentale (eV) 470 ± 150 380 ± 250 300 ± 280 219 ± 7 25 ± 5 References Engstler et al. [1992] Engstler et al. [1992] Engstler et al. [1992] Aliotta et al. [2001] Greife et al. [1995] Uead (eV) 175 175 175 119 20.4 Tabella 2.3: Confronto tra i valori del potenziale di screening per alcune reazioni di interesse astrofisico ottenute attraverso best-fit di dati sperimentali con le previsioni teoriche. La discrepanza ha dato origine al problema dello screening elettronico, una delle incognite più grandi nell’estrazione del fattore astrofisico al Picco di Gamow Nella tabella 2.3 sono riportati i risultato del calcolo del potenziale di screening per alcune reazioni di interesse astrofisico insieme alle previsioni teoriche del modello adiabatico. 2.7.1 Screening elettronico in ambito stellare Passiamo adesso ad esaminare il caso prettamente stellare: nelle stelle, a causa delle alte temperature, gli atomi sono nella maggior parte dei casi privi dei propri elettroni, e sembrerebbe lecito pensare che lo screening elettronico possa essere trascurato. In realtà non è così, in quanto i nuclei si trovano immersi in un “mare” di elettroni liberi che tendono a “clusterizzarsi” nella regione attorno ad essi, con risultati simili a quelli creati da elettroni atomici. Tale regione prende il nome di sfera di Debye-Hückel, caratterizzata da un parame49 2.8 La reazione 19 F(α, p)22 Ne tro noto come raggio di Debye-Hückel: $ %1/2 kT RD = 4πe2 ρNA ξ (2.57) dove NA è il numero di Avogadro, ρ è la densità del plasma stellare e ξ viene definita dalla relazione: ξ= '( Zi2 + Zi i ) Xi Ai (2.58) dove Xi , Zi e Ai rappresentano la frazione di massa, la carica nucleare e la massa atomica dell’i-esimo ione [Rolfs, 1988]. Anche nelle stelle la presenza della sfera di Debye-Hückel di carica negativa, in luogo degli elettroni atomici, provoca la riduzione del potenziale coulombiano e quindi una più facile penetrazione della barriera. Come conseguenza, anche in campo astrofisico si introduce un fattore che lega la %σv&screen che si osserva in presenza di screening al rate %σv&b che invece si calcola avvalendosi della sezione d’urto di nucleo nudo: %σv&screen (2.59) %σv&b Tale fattore è strettamente legato a (2.57) mediante l’espressione [Adelberger et al., f plasma = 1998] f plasma $ Za ZA e2 = exp kT RD % (2.60) dalla quale si evince che al crescere della densità stellare, si assiste ad un incremento del rate di reazione: il raggio di Debye-Hückel, infatti, si riduce e quindi diventa più forte l’effetto di schermatura [Rolfs, 1988]. In ambito sperimentale non è quindi possibile misurare una sezione d’urto di tipo bare nucleus, ma soltanto quella relativa ad un nucleo schermato. Se si vogliono effettuare misure che possano servire in ambito astrofisico risulterà quindi necessario misurare la sezione d’urto di nucleo schermato, andare ad calcolare il termine f plasma , applicando la correzione di Debye (2.60) per tenere conto dello screening stellare, e poi utilizzarlo per ricavare le sezioni d’urto di nucleo nudo. Questo sarà necessario anche nel caso di misure dirette. 2.8 La reazione 19F(α, p)22Ne Passiamo adesso ad illustrare il caso specifico oggetto di questa tesi, cioè la reazione 19 F(α, p)22 Ne. Sfruttando le relazioni fino ad ora esposte, in particolare l’equazione (2.37) e la definizione operativa per il calcolo della barriera coulombiana, 50 2.8 La reazione 19 F(α, p)22 Ne cioè E c = 0.9 Za ZA 1/3 A1/3 a + AA (2.61) per stelle con temperatura di 0.8 · T 9 , quindi nel caso di una stella AGB (paragrafo 1.3.2), si ottiene che l’energia corrispondente al picco di Gamow si trova tra 390keV e 800 keV, mentre la barriera coulombiana, calcolata tramite la (2.61) vale circa 3.81 MeV. Appare perciò chiaro che una reazione del genere abbia luogo molto al di sotto della barriera coulombiana, e che quindi sia possibile solo quantisticamente e per effetto tunnel. In riferimento a ciò possiamo vedere come la reazione 19 F(α, p)22 Ne non sia stata studiata direttamente ad energie astrofisiche: le misu- re di sezione d’urto dirette più prossime alle energie di Gamow si spingono fino a E lab = 1100 keV e sono stati utilizzati per calcoli di R−Matrix [Ugalde et al., 2005, 2008](Fig 2.6 e 2.7). Figura 2.6: Spettro dei protoni a 135◦ per tre energie di fascio (indicate in figura). Si notano due gruppi di protoni a 1360 keV e 1100 keV, mentre non si nota nulla a 792 keV. 51 2.8 La reazione 19 F(α, p)22 Ne (a) (b) Figura 2.7: Sezione d’urto totale calcolate tramite R-Matrix 19 F(α, p)22 Ne. Sia la curva per 19 F(α, p0 )22 Ne (pannello a) che quella per 19 F(α, p1 )22 Ne (pannello b) sono mostrate con le rispettive bande di incertezza Dai due pannelli in Figura 2.8 risulta altresì evidente come, a tali temperature (0.1 ÷ 1 T 9 ) ci sia un’incertezza di circa dieci ordini di grandezza che inficia il rate [Ugalde et al., 2005, 2008]. Si rende quindi necessaria una misura ad energie più basse. Nel lavoro di tesi che segue si analizzeranno misure indirette di 19 F(α, p)22 Ne attraverso la reazione a tre corpi 19 F(6 Li, α22 Ne)2 H (Q = 0.199 MeV), con l’applicazione del Trojan Horse Method (THM). 52 2.8 La reazione 19 F(α, p)22 Ne (a) (b) Figura 2.8: Pannello a)Limite superiore ed inferiore per il rate di 19 F(α, p)22 Ne in una stella AGB (linea continua).[Lugaro et al., 2004] Pannello b)Limite superiore ed inferiore per il rate di 19 F(α, p)22 Ne in una stella WR (linea continua). Il limite superiore ed inferiore dei rate sono raffigurati come linee punteggiate, mentre la linea tratteggiata rappresenta il rate di 22 Ne(α, n)25 Mg [Stancliffe et al., 2005] 53 CAPITOLO 3 Misure indirette: il metodo del Trojan Horse Finora ci siamo occupati di esporre le difficoltà che si palesano nel momento in cui ci si appresta a misurare con metodi diretti le grandezze relative alle reazioni di interesse astrofisico. Un modo per superarle consiste nell’utilizzo di metodi indiretti, utilizzando cioè reazioni diverse da quella che ci interessa realmente, ma le cui sezioni d’urto sono ad esse in qualche modo correlate. In questo capitolo discuteremo brevemente tre metodi indiretti tra quelli più utilizzati: • Coulomb Dissociation (CD); • Asymptotic Normalization Coefficient (ANC); • Trojan Horse Method (THM); Ai primi due metodi si ricorre nel caso si debbano studiare principalmente reazioni di cattura radiativa, mentre il terzo, a cui è dedicata la maggior parte del capitolo (le misure discusse più avanti saranno condotte utilizzandolo), è utile per reazioni con particelle cariche o neutroni nel canale di uscita. 54 3.1 Metodo della Coulomb dissociation 3.1 Metodo della Coulomb dissociation Il metodo della CD è un metodo indiretto che consente di studiare reazioni di cattura radiativa alle energie corrispondenti al picco di Gamow; esso ad esempio è stato utilizzato in reazioni come 12C(α, γ)16 O [Bertulani, 1994], reazione chiave nel processo di sintesi di elementi pesanti in stelle massive che ne influenza l’evoluzione nelle fasi successive alla combustione di 4 He, oppure in 7 Be(p, γ)8 Be [Motobayashi et al., 1994; Bertulani, 1994], fondamentale per il problema del neutrino solare. Tale metodo ricorre ad una reazione a tre corpi, con il fine di studiare la sezione d’urto di cattura radiativa di interesse astrofisico tramite il break-up di un nucleo proiettile a indotta dai fotoni virtuali mediatori del campo coulombiano generato dal nucleo pesante ZT : a + ZT → b + c + ZT (3.1) dove in nucleo a è descrivibile come una configurazione a cluster a = b ⊕ c. Tale break-up è lo strumento per lo studio della reazione di foto-disintegrazione a+γ → b+c (3.2) a partire dalla quale, con il metodo del bilancio dettagliato, è possibile ricavare la sezione d’urto per la reazione di interesse: b+c → a+γ (3.3) Tale metodo, da un punto di vista sperimentale, offre due vantaggi: • selezionando le adeguate condizioni cinematiche è possibile eseguire misure più precise riguardo la reazione (2.61) ad energie astrofisiche utilizzando fasci di particelle con energie superiori alla barriera coulombiana, così da rendere più semplice rivelare i frammenti provenienti dal nucleo proiettile, ed inoltre permette di ricorrere a bersagli con alto spessore per aumentare il rate di reazione, essendo lo straggling energetico al suo interno ridotto [Baur and Rebel, 1994]; • Si assiste ad un innalzamento del rate di reazione rispetto ai processi diretti di cattura radiativa e foto-disintegrazione poiché la particella a è investita da un gran numero di fotoni virtuali dovuti alla presenza di ZT , il quale ha un alto numero atomico. 55 3.1 Metodo della Coulomb dissociation Tale aumento del rate appare evidente considerando la sezione d’urto differenziale di break-up del proiettile per un definito ordine di multipolo πλ [Baur and Rebel, 1994]: 1 dnπλ f oto d2σ = σ dΩdE γ E γ dΩ πλ (3.4) la quale si presenta come il prodotto di tre termini, cioè di un fattore cinematico dnπλ 1/E γ , del numero di fotoni virtuali per unità di angolo solido , e della seziodΩ f oto ; il secondo di questi, detto ne d’urto off-energy shell di foto-disintegrazione σπλ equivalent photon spectrum, è di natura puramente cinematica ed è responsabile dell’incremento di diversi ordini di grandezza della sezione d’urto del processo a tre corpi rispetto a quella reazione di cattura radiativa [Baur and Rebel, 1994]. La relazione (3.3) che si vuole studiare è relativa ad un processo on-energy shell nel quale è coinvolto un fotone reale, pertanto la (3.4) è valida semplicemente come approssimazione [Baur and Rebel, 1994]. La relazione (3.4) è applicabile solo se il processo è puramente coulombiano, cioè se l’interazione tra proiettile e bersaglio è molto periferica, mentre in caso contrario bisognerebbe tener conto degli effetti dovuti all’interazione forte. 3.1.1 Applicazioni sperimentali Il metodo della Coulomb Dissociation è utile per lo studio di fenomeni di cattura radiativa in quanto permette di selezionare la regione di basse energie relative tra i frammenti (emissione quasi parallela). È necessario notare però come il break-up possa procedere sia per effetto del campo coulombiano sia per interazione forte, ed essendo i due processi indistinguibili, si osserveranno fenomeni di interferenza. Esempio di ciò è la reazione 7 Be(p, γ)8 B, studiata attraverso la reazione a tre corpi 208 Pb(8 B, p7 Be)208 B [Bertulani, 1994; Motobayashi et al., 1994], dalla cui sezione d’urto (Figura 3.1a) si evince chiaramente la presenza di fenomeni di interferenza tra i due canali di reazione. La possibilità di ricorrere al metodo della Coulomb Dissociation per trovare la sezione d’urto di cattura della reazione 7 Be(p, γ)8 B è da attribuirsi alla scarsa energia di legame del 8 B (0.1375 MeV), ed in questo caso la sezione d’urto di dissociazione è tre ordini di grandezza più grande del contributo solamente nucleare [Bertulani, 1994; Motobayashi et al., 1994]. 56 3.2 Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient (a) Figura 3.1: a)Distribuzione angolare per la reazione 8 B + 208 Pb → p + 7 Be + 208 Pb all’energia di 50 MeV/nucleone ed energia relativa finale dei frammenti 100 keV: la curva punteggiata e quella tratteggiata rappresentano rispettivamente le sezioni d’urto per processi puramente coulombiano e puramente nucleare, mentre la curva continua include entrambi assieme al termine di interferenza [Bertulani, 1994] b)Confronto tra il fattore astrofisico S p−7 Be estratto con la Coulomb dissociation del 8 B con dati precedenti. Le barre orizzontali indicano il range Erel su cui S è mediato [Motobayashi et al., 1994] 3.2 Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient permette di ricavare la sezione d’urto per reazioni di cattura radiativa (p, γ) e (α, γ) ad energie di interesse astrofisico, a partire dal cosiddetto coefficiente di normalizzazione C relativo al sistema poco legato B = A + p oppure B = A + α, cioè nel caso in cui il nucleo in questione sia costituto da un core A e da un protone o da una particella α [Trache et al., 1998]. Tale coefficiente, ottenuto attraverso misure relative alla sezione d’urto per processi di transfer periferici, rappresenterà la probabilità di trovare il nucleo B nella configurazione A + p o A + α a distanze superiori al range dell’interazione forte, così che l’andamento della funzione d’onda nella regione asintotica sia determinato essenzialmente dall’interazione coulombiana. Si rende così possibile calcolare in maniera accurata il rate una volta nota l’ampiezza della coda [Azhari et al., 2001]. Consideriamo adesso il processo di transfer periferico A+ X → B+Y 57 (3.5) 3.2 Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient nella quale X = Y + a, B = A + a ed a è la particella trasferita (Fig 3.2); nell’ambito della Distorted Wave Born Approximation (DWBA), indicando con M l’ampiezza per il processo (3.5) e nell’ipotesi che l’interazione tra le particelle coinvolte sia periferica, tale ampiezza avrà la forma [Mukhamedzhanov et al., 1997] ' * B X Ma χ(−) M(E i , cos θ) = f IAa (rAa )|∆V|IYa (rYa )χi (+) (3.6) nella quale E i è l’energia cinetica relativa dei nuclei A e X, θ è l’angolo di diffusione (−) nel sistema di riferimento del centro di massa, χ(+) i e χ f le onde distorte nel canale α (rβγ ) d’ingresso e di uscita rispettivamente, ∆V l’operatore di transizione e con Iβγ che è detta funzione di sovrapposizione dei nuclei β e γ che costituiscono lo stato legato α = β + γ. Figura 3.2: Diagramma schematico per a reazione A + X → B + Y, dove X = Y + a e B = A + a, nella quale una particella a viene trasferita dal nucleo X al nucleo A La validità di tale metodo si fonda sul fatto che la funzione di sovrapposizione α Iβγ (rβγ ) che figura nella (3.6) relativa al processo di transfer, è la stessa che compare nell’ampiezza di cattura radiativa diretta: * B + (rAa )|O|Ψi+ (rA a) MDC = λ IaA (3.7) nella quale λ è un fattore cinematico, O è l’operatore di transizione elettromagnetico e Ψi+ è la funzione d’onda di scattering nel canale di ingresso. Se il diagramma in Fig (3.2) descrive il transfer, la sezione d’urto DWBA può essere scritta in termini di fattori spettroscopici dei nuclei iniziali e finali [Mukhamedzhanov et al., 1997]: dσ ' = S Aa lB jB S Ya lX jX σlDW B j B lX jX dΩ j j (3.8) B X I fattori spettroscopici, tuttavia, se valutati impiegando tale approssimazione, dipendono fortemente dal modello utilizzato, a differenza del coefficiente di normalizzazione, in quanto influenzati dal comportamento della funzione d’onda all’interno del 58 3.2 Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient nucleo. Ciò rende le indeterminazioni sui parametri geometrici del potenziale una rilevante fonte di incertezza nel calcolo. Il coefficiente di normalizzazione asintotica è invece legato al comportamento della funzione d’onda a distanze superiori al raggio di interazione nucleare, il che lo rende meno dipendente dal modello rispetto al fattore spettroscopico [Mukhamedzhanov et al., 1997]. Esplicitiamo adesso la parte radiale della funzione di sovrapposizione: si può dimostrare la validità della seguente relazione 1/2 bβγlα jα Cβγlα jα = S βγl α jα (3.9) nella quale bβγl{ alpha jα è una costante di normalizzazione della funzione d’onda del moto relativo tra i due cluster β e γ, che interviene nell’espressione della parte radiale della funzione di sovrapposizione. La relazione (3.9) definisce il comportamento della funzione di sovrapposizione per valori di rβγ maggiori del raggio di interazione nucleare. Sostituendo l’equazione (3.8) nella (3.9) si ottiene la sezione d’urto: -2 , -2 dσ ' , B = C Aa lB jB CYa lX jX RlB jb lX jX dΩ j j (3.10) B X dove RlB jB lX jX è dato da: Rl B j B l X j X = σl B j B l X j X 2 bAalB jB b2YalX jX (3.11) con la (3.10) che, a differenza di σDW , è poco sensibile a variazioni dei parametri del potenziale nucleare utilizzato nell’ipotesi di reazioni periferiche. Per applicare il metodo ANC, si rende necessario isolare sperimentalmente il contributo del transfer da altri meccanismi di reazione. A tale scopo è necessario normalizzare la sezione d’urto differenziale calcolata tramite il formalismo DWBA al valore sperimentale per piccoli angoli, per i quali ci si aspetta che le reazioni di transfer dominino. 3.2.1 Applicazioni sperimentali Per quanto detto finora, il metodo ANC può essere usato ad esempio per studiare il processo 8 Be →7 Be + p attraverso la reazione di transfer di un protone 10 7 B(7 Be,8 B)9 Be e calcolare quindi li fattore astrofisico per la reazione di cattura Be(p, γ)8 B, determinando prima il ANC per decadimento virtuale 10 B →9 Be + p, dato che nella (3.6) figurano funzioni di sovrapposizione. Dal punto di vista sperimentale si estrae prima il ANC per 10 B →9 Be + p, tramite un’altra reazione di 59 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) transfer, e impiegando la reazione 9 B(10 B,9 B)10 Be per evitare l’utilizzo di un terzo ANC, in modo tale da avere la stessa funzione di sovrapposizione ai due vertici e da evitare l’estrazione di ulteriori ANC. Con tale metodo si ottengono valori per S 17 (0) pari a 17.3 ± 1.8 eV b [Azhari et al., 2001], mediando su diverse determinazioni a cui si arriva analizzando diversi processi di transfer, in questo caso10 B(7 Be,8 B)9 Be e 14 N(7 Be,8 B)13C. Tale risultato è in accordo con il valore attuale adottato in letteratura, pari a 19+4 −2 eV b [Adelber- ger et al., 1998]. Esso è inoltre consistente con valori più recenti di S (0)17 ottenuti con metodi diretti [Hass, 1999] e con il metodo della Coulomb Dissociation [Iwasa et al., 1999]. 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) 3.3.1 Processi quasi liberi Il metodo del Cavallo di Troia (THM) fonda le sue basi sulla teoria delle reazioni nucleari dirette, ed in particolare dei meccanismi di break-up quasi liberi [Satchler, 1990]. Si consideri la reazione A+a → c+C + s, in cui a possa essere descritto come una struttura a cluster, cioè dove a = x ⊕ s. Si supponga inoltre, per semplicità, che il moto intercluster avvenga prevalentemente in onda s, il che impone che la distribuzione di impulsi per tale moto abbia un massimo a 0 MeV/c. In queste condizioni il break-up si definirà quasi libero se s mantiene la stessa distribuzione di impulsi all’interno di a prima dell’interazione e nel canale di uscita. In tali condizioni s funge da spettatore per il processo virtuale A(x, c)C [Satchler, 1990] (Fig.3.3), e si può assumere la validità dell’approssimazione polare. Occorre comunque sottolineare che il metodo mantiene la sua validità indipendentemente dalla particella che subisce break-up, sia essa nucleo bersaglio o proiettile, oppure se il moto relativo x − s non avviene in onda s. 60 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) Figura 3.3: Pseudo-diagramma di Feynman per il processo a(A, C c)s. Nel polo superiore il proiettile a si scinde in due cluster x ed s, con s che non interagisce con il bersaglio A dando origine alla reazione virtuale A + x → C + c, mentre x si comporta da spettatore alla reazione, conservando l’impulso che possedeva all’interno di a prima del break-up di quest’ultimo (approssimazione polare) 3.3.2 THM Il Trojan Horse Method viene utilizzato per lo studio di reazioni ad energie di interesse astrofisico che hanno particelle cariche o neutroni nel canale finale, a differenza di quanto esposto fin ora in questo capitolo che permette misure esclusivamente nel caso di cattura radiativa. Esso permette di ottenere misure indirette della sezione d’urto di una reazione a due corpi di interesse astrofisico a partire dalla misura di un processo quasi libero a tre corpi, nella quale la funzione d’onda associata al nucleo bersaglio ha un’ampiezza dominante per la configurazione a cluster. In corrispondenza di tali condizioni cinematiche, gli angoli a cui vengono emesse le particelle c e C sono detti quasi liberi e vengono determinati imponendo che la particella s rimanga con impulso ks , e che esso resti invariato dopo l’interazione tra A e x. Se si sceglie E beam > E coul , l’adozione di tale metodo è lecita e permette di eliminare la soppressione coulombiana della sezione d’urto; a tal fine si sceglie l’energia della particella A in modo tale che l’interazione A − a avvenga sopra la barriera coulombiana , mentre quella A − x può avere luogo ad energie bassissime, al limite zero. È infatti l’energia di legame tra x e s che provvede a compensare l’energia cinetica del moto relativo A − x, determinando la cosiddetta energia quasi libera [Tumino et al., 2003] data da (nel caso in cui p s = 0): E q f = E Ax − B x−s 61 (3.12) 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) nella quale E Ax è l’energia del fascio nel sistema di riferimento del centro di massa del sistema A − x e B x−s è l’energia di legame del sistema x − s. In tale contesto, il moto intercluster di x all’interno del nucleo a ha il compito di fissare il range di energie accessibili nell’intorno della cosiddetta energia quasi libera per il processo in esame. Inoltre il fatto che E beam > E coul rende trascurabile i fenomeni di electron screening. 3.3.3 Plain Wave Impulse Approximation Passiamo adesso a descrivere più in profondità il metodo del Cavallo di Troia. Dal punto di vista teorico, il meccanismo di break-up quasi libero può essere trattato tramite la cosiddetta approssimazione impulsiva, le cui ipotesi di base [Chew and Wick, 1952] sono: • il nucleo A non interagisce mai contemporaneamente con i due cluster s e x del sistema a. Questo risulta vero se la lunghezza d’onda di De Broglie associata all’impulso del proiettile A è inferiore alla distanza media tra x e s; • la probabilità di interazione tra A e x è la stessa che si avrebbe se x fosse libera, per cui la presenza di s non influisce sull’interazione; • si suppone trascurabile l’energia di legame del sistema x−s rispetto all’energia di interazione tra A ed x. Tale ipotesi è tanto più soddisfatta quanto più alta è l’interazione tra A e x; Partendo da tali ipotesi, ed introducendo il formalismo dell’approssimazione in onde piane, si può elaborare un approccio al meccanismo di break-up quasi libero particolarmente semplice che va sotto il nome di approssimazione impulsiva in onde piane (Plane Wave Impule Approximation, PWIA), che aggiunge due ulteriori assunzioni rispetto a quelle fatte in precedenza, cioè: • la particella incidente e quelle uscenti sono descrivibili mediante onde piane; • la distribuzione degli impulsi della particella spettatrice è data dalla trasformata di Fourier della funzione d’onda del moto relativo tra i nuclei x e s. Assumiamo adesso che le particelle coinvolte abbiano spin uguale a zero e che la funzione d’onda relativa al nucleo proiettile a possa essere decomposta nel prodotto 62 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) delle funzioni d’onda dei cluster x e s che si trovano nello stato fondamentale, indicate con ψx e ψs , e della funzione d’onda del moto relativo tra i due cluster [Jain et al., 1970]: ψa = ψx (rx )ψs (rs )ψ(rx − rs ) (3.13) Tale relazione costituisce, in realtà un troncamento di uno sviluppo in serie al termine di ordine più basso, in quanto l’espansione completa comporta la somma sui differenti livelli eccitati dei cluster x e s, secondo i coefficienti ci legati alla probabilità che una certa configurazione si realizzi: ψa = ' i ci ψxi (rxi )ψsi (rsi )ψ(rx − rs ) (3.14) Nell’ipotesi adesso che il nucleo Cavallo di Troia sia, ad esempio, il bersaglio, indichiamo con kC , kc , ks , q e p gli impulsi delle particelle C, c, s, x e A, nel sistema del laboratorio, con kxs = (m s q − m x ks )/ma impulso relativo dei cluster all’interno del nucleo bersaglio a e con ψ(kxs ) la trasformata di Fourier della funzione d’onda del moto relativo ψ(rx − rs ) [Jain et al., 1970]. Con tale notazione, la funzione d’onda relativa al nucleo a nello spazio degli impulsi ha la forma: . + * ks , q..a = φ(kxs )δ(q + ks ) (3.15) dove |a& rappresenta lo stato intrinseco del bersaglio, mentre la delta di Dirac è presente perché tiene conto del fatto che il bersaglio è in quiete nel sistema di riferimento del laboratorio. Dovendo quindi essere nullo il suo impulso complessivo ka , si ha: ka = ks + q ⇒ q = −ks = kxs (3.16) cioè l’impulso del cluster x prima della collisione con il proiettile a è uguale ed opposto a quello di s; questo vuol dire che, in linea di principio, esso può essere misurato sperimentalmente, dato che quest’ultima particella comparirà tra i prodotti della reazione a tre corpi. Le funzioni d’onda relative agli stati iniziale e finale saranno rispettivamente .. + .. + .i = .p, a | f & = |kC , kc , ks & (3.17) (3.18) sempre supponendo che le particelle incidenti e uscenti possano essere descritte mediante onde piane. Ciò detto l’elemento di transizione tra lo stato iniziale e finale 63 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) nel sistema del laboratorio vale [Jain et al., 1970] . . + * . .+ * T f i = f ..T̂ ..i = kC , kc , ks ..T̂ 3B ..p, a (3.19) dove con T̂ 3B si indica l’operatore T̂ relativo alla reazione a tre corpi. Se le ipotesi della PWIA sono valide, la sostituzione dell’operatore T̂ 3B che compare nella (3.19) con l’operatore T̂ 2B relativo all’interazione a due corpi è lecita, ed inoltre la particella spettatrice della due corpi avrà funzione d’onda immutata dall’azione di tale operatore, cioè * .. 2B * .. ks .T̂ = ks . (3.20) Tenendo conto delle considerazioni fatte fino ad ora, l’elemento di transizione della matrice (3.19) potrà essere scritta: .. 2B .. + ! * . . * +* . + kC , kc ..T̂ 2B ..p, q q..a d 3 q T f i = kC , kc , ks .T̂ .p, a = che, ricordando le relazioni(3.15) e (3.16), portano al seguente risultato: ! . + . . * +* T fi = kC , kc ..T̂ 2B ..p, −k s ks , q..a d 3 q ! . . * = kC , kc ..T̂ 2B ..p, −k s &φ(kxs )δ(q + ks )d 3 q . . + * = kC , kc ..T̂ 2B ..p, −k s φ(−k s ) (3.21) (3.22) in cui l’elemento di matrice .. 2B .. * + .T̂ .p, −ks = k , k T 2B C c fi (3.23) è l’elemento di matrice del sistema a due corpi che descrive la transizione dallo stato . . + + iniziale ..p.−k s allo stato finale ..kC , kc . Passando al sistema del centro di massa e alla coordinata impulso relativo del sistema a due corpi, potremo scrivere [Jain et al., 1970]: 2B T 2B f i = δ(p − k s − kC − kc )t f i (3.24) 2B t2B f i = %k f |T̂ |ki & (3.25) dove è l’elemento di matrice ridotto relativo al processo a due corpi, ki e k f sono gli impulsi relativi delle particelle a e A nel canale d’ingresso e delle particelle C e c nel canale d’uscita per la reazione a due corpi, con la delta di Dirac che esprime la conservazione d’impulso. 64 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) Avvalendosi adesso delle relazioni (3.24) e (3.25), l’elemento di matrice della transizione assume la forma: T f i = δ(Ki − K f )t2B f i φ(−k s ) (3.26) dove Ki = p e K f = ks + kC + kc sono gli impulsi del sistema di riferimento del centro di massa, prima e dopo la collisione. Scrivendo T f i in termini dell’elemento di matrice ridotto relativo al processo a tre corpi otterremo: T f i = δ(Ki − K f )t3B fi (3.27) 2B t3B f i = φ(−ks )t f i (3.28) dove quest’ultima relazione assume grande importanza se si considera che essa permette di scrivere l’ampiezza di transizione per il sistema a tre corpi che compare nell’espressione della sezione d’urto di break-up in termini dell’elemento di matrice ridotto, relativo al sistema a due corpi. La sezione d’urto differenziale nel sistema di riferimento del laboratorio per una reazione che presenta tre particelle nel canale di uscita, infatti, si scriverà, utilizzando le unità naturali (cioè " = c = 1) [Berggren and Tyren, 1966]: . ..2 (2π)4 . dσ = .. .. d 3 kC d 3 kc d 3 ks δ(Ki − K f )δ(E i − E f )..t3B fi .vrel . (3.29) dove E i e E f sono le energie totali del sistema nello stato iniziale e finale, e vrel è la velocità relativa tra la particella incidente ed il bersaglio. Sostituendo in (3.29) le espressioni di Ki e K f e l’espressione (3.28) per t3B f i si ottiene (2π)4 dσ = .. .. kC2 dkC dΩC kc2 dkc dΩc d 3 ks .vrel . . × δ(p − k − k − k )δ(E − E )..φ(−k s C c i f ..2 .. 2B ..2 s ). .t f i . (3.30) Integrando ora rispetto a d 3ks (dal momento che in genere lo spettatore non viene rilevato) e rispetto e rispetto a dkc , si giunge all’espressione esplicita della sezione d’urto differenziale nell’ipotesi che un solo l contribuisca significativamente ad essa [Jain et al., 1970]: $ % .. ..2 dσN o f f d3σ ∝ (KF).φ(−k s ). dEC dΩC dΩc dΩ l 65 (3.31) 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) dove KF è un fattore cinematico, la cui forma dipende dalle particolari variabili tramite le quali si esprime la (3.31), |φ(−ks )|2 è la distribuzione di impulsi del nucleo $ N %o f f dσ spettatore s all’interno del nucleo a e è la sezione d’urto differenziale offdΩ l energy-shell [Joachain, 1987] per la reazione a due corpi A − x. Nel nostro caso il fattore cinematico avrà forma: 2 kC k2c E S E cm KF = pE xi kc E S + E c [kc − p cos ϑc + kC cos(ϑC − ϑc )] (3.32) nella quale gli angoli delle particelle sono misurati rispetto alla direzione del fascio incidente, E cm è l’energia complessiva disponibile nel centro di massa della reazione a due corpi e E 2xi = mc + kS2 . In realtà l’equazione (3.31) andrebbe moltiplicata per un opportuno fattore spettroscopico, legato alla propabilità che il nucleo a sia descrivibile in termini dei diversi cluster x ed s. Tale fattore non è però noto in generale, e costituisce un limite per il THM. Esso, come detto sopra non fornisce sezioni d’urto in unità assolute, necessitando quindi un confronto e una normalizzazione con le misure dirette, ad energie superiori alla barriera coulombiana o attorno ad essa. Assumendo adesso la distribuzione d’impulsi |φ(−k s )|2 , nota da studi sperimentali o studiata teoricamente e calcolando il fattore cinematico KF sarà alla fine possibile $ N %o f f dσ conoscere la sezione d’urto del processo a due corpi, misurando la sezione dΩ l d’urto (3.31) del processo a tre corpi: " #−1 d3σ dσN 2 ∝ KF|φ(−kS )| (3.33) dΩ dEC dΩC dΩc Il caso in cui ad essere Cavallo di Troia sia il proiettile, può essere trattato allo stesso modo, ed in questo caso la funzione d’onda del nucleo Cavallo di Troia nello spazio degli impulsi sarà: %ks , q|A& = φ(kxs )δ(q + ks − p) (3.34) in cui |A& è lo stato del proiettile. Da quest’ultima relazione si otterrà l’ampiezza di transizione per il sistema a due corpi, la quale condurrà ad una formulazione per la sezione d’urto assolutamente identica alla (3.31), ma con un fattore EA Ea (dove a si riferisce al nucleo proiettile ed A al bersaglio) a moltiplicare [Slaus et al., 1977]. $ %o f f N rappresenta solo Va messo in evidenza a questo punto che la sezione d’urto dσ dΩ il contributo nucleare, in quanto l’energia del fascio è stata scelta appositamente per superare la barriera coulombiana nel canale d’ingresso, in modo che la parte interagente venisse portata dal nucleo Cavallo di Troia entro il range dell’interazione 66 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) nucleare, con lo scopo di ottenere la reazione desiderata. Per confrontare tali risultati con le misure dirette presenti in letteratura sarà necessario moltiplicare la sezione d’urto indiretta a due corpi per il coefficiente di penetrabilità della barriera coulombiana relativo all’onda parziale l-esima: $ N %o f f dσ ' dσ Pl = dΩ dΩ l l (3.35) Integrando adesso la (3.35) sull’angolo solido dΩ otterremo la sezione d’urto totale σtot , a partire dalla quale si potrà ricavare il fattore astrofisico S (E)(vedi il capitolo 2, equazione 2.33), che ancora una volta non risente dello screening elettronico (in questo caso è una S (E) di nucleo nudo). A questo punto sarà possibile normalizzare ai dati diretti. Una formulazione più avanzata per il metodo del Cavallo di Troia prende come punto di partenza non più l’approssimazione PWIA, ma quella in onde distorte (la cui applicazione va oltre gli scopi di questo lavoro), il quale formalismo introduce variazioni quantitative alle sezioni d’urto da estrarre mantenendo però invariata la fattorizzazione della sezione d’urto a tre corpi rispetto all’equazione (3.31). Tale approssimazione giustifica inoltre in maniera più rigorosa la relazione (3.35) rispetto alla derivazione in PWIA. Tale approssimazione è stata introdotta con lo scopo di studiare una particolare classe di problemi, a cui viene dato il nome generico di scattering da due potenziali, dal momento che si suppone che il potenziale di interazione V possa essere scomposto in due parti: V =U+W (3.36) delle quali verrà trattata in maniera esatta solo la parte riguardante il potenziale U, mentre gli effetti del termine W saranno considerati solo al primo ordine. Si parte dalla cosiddetta formula dei due potenziali, in grado di fornire l’espressione per l’ampiezza di diffusione da parte di V in termini dell’ampiezza relativa a U e di un termine dipendente da W: * . . + * . . + T f i = φ f ..U ..χ+i + χ−f ..W ..ψ+i (3.37) in cui |χ+i & e |χ+i & sono le onde distorte dei potenziali U, mentre |φ f & e |ψ+i & sono rispettivamente l’onda piana che rappresenta lo stato di moto del canale finale e la soluzione esatta del problema di scattering. Si consideri adesso una reazione a due corpi di interesse astrofisico, ottenuta dalla 67 3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM) misura della sezione d’urto di una reazione a tre corpi tramite il metodo del Cavallo di Troia; in generale la sezione d’urto differenziale per una reazione a tre corpi ha la forma: . .2 d3σ = KF ..T f i .. (3.38) dEC dΩC dΩc dove KF è un fattore cinematico. Introducendo adesso le masse ridotte µAa e µBb , gli impulsi KC e Kc , gli impulsi relativi KCc , kBs e kAa , dove B rappresenta il sistema dei partecipanti. In questo modo KF sarà uguale a : "$ % #−1 µAa mc kC kc3 kBs kCc kc KF = · − (2π)5 "7 kAa µBs mc kc (3.39) Nel caso di DWIA la sezione d’urto a tre corpi potrà essere scritta come [Typel and Wolter, 2000] Nel quale . .2 vCc −1 dσl d3σ = KF ..W(QBs ).. P Cl (Cc → Ax) dEC dΩC dΩc vAx l dΩAx dσl dΩAx (3.40) è la sezione d’urto on-shell per la reazione a due corpi, Cl è una costante di normalizzazione e QBs è un’ampiezza direttamente legata alla funzione d’onda nella rappresentazione degli impulsi del nucleo a nello stato fondamentale Φ(QBs ) mediante le relazioni ms kAa QBs = kBs − ms + mx $ % "2 Q2Bs Φa (QBs ) W(QBs ) = − εa + 2µxs (3.41) (3.42) con εa energia di soglia per il decadimento di a in x + b [Typel and Wolter, 2000]. Inoltre in (3.40) compare il reciproco del fattore di penetrabilità definito nel capitolo precedente, il quale compensa la soppressione della sezione d’urto on-shell dovuta alla barriera coulombiana. Vale la pena di sottolineare che la surface approximation, assieme alla presenza di Cl , nonostante permetta di analizzare in maniera accurata la dipendenza dell’energia dalla sezione d’urto a due corpi dσl , dΩAx non consente di ricavarla in unità assolute. Si rende quindi necessaria una qualche normalizzazione della sezione d’urto a due corpi a quella misurata in maniera diretta, dove quest’ultima non risulta soppressa e l’effetto dello screening elettronico è trascurabile. 68 3.4 Esempi sperimentali 3.4 Esempi sperimentali Il metodo del Cavallo di Troia è stato impiegato per lo studio di numerose reazioni di interesse astrofisico, ottenendo in tutti i casi un buon accordo tra i risultati con esso ottenuti e quelli derivanti da misure dirette. Negli anni sono stati condotti diversi test sulla validità di tale metodo e sull’individuazione e separazione dei processi quasi liberi [Jacob and Maris, 1966; Zadro et al., 1989], con lo scopo di verificare che il processo quasi libero sia presente anche a basse energie di fascio, e che di conseguenza il THM sia applicabile. (a) (b) (c) Figura 3.4: Studio della reazione 6 Li(p, α)3 He tramite la reazione a tre corpi 2 H(6 Li, α 3 He)n[Tumino et al., 2003]. a)Distribuzione sperimentale d’impulso per lo spettatore (neutrone), confrontato con la funzione di Hultén. b)Sezione d’urto indiretta a due corpi (cerchi pieni) confrontata con dati diretti ad Ebeam > Ecoul . c)Fattore astrofisico ricavato sperimentalmente (cerchi pieni) confrontato con i dati diretti. La linea continua è il risultato di una polinomiale di secondo ordine atta a riprodurre i dati. La discrepanza a basse energieè dovuta all’assenza di screening elettronico 69 3.4 Esempi sperimentali In figura 3.4 sono riportati alcuni risultati relativi alla verifica dell’esistenza di un contributo quasi libero per la reazione a due corpi H(7 Li, α)4 He a partire dalla tre corpi 2 H(7 Li, αα)n, in cui il neutrone funge da spettatore. L’evidenza sperimentale mostra come il meccanismo quasi libero sia separabile dagli altri, ed anche come la funzione d’eccitazione ottenuta in tale maniera riproduca perfettamente i dati diretti entro gli errori sperimentali. Tale risultato costituisce un test di validità per l’approssimazione polare (paragrafo 3.3.1) ad energie superiori alla barriera coulombiana. Una verifica sperimentale come questa costituisce uno step propedeutico e necessario per l’applicazione del THM a una data reazione di interesse. Per quanto riguarda invece la validità del metodo, si vede (Fig.3.4) che con riferimento all’utilizzo di un nucleo di 2 H come nucleo Trojan Horse, non solo il metodo è applicabile (Fig.3.4a), ma la sezione d’urto è in accordo con misure dirette precedenti (Fig 3.4b), mentre alle basse energie il fattore astrofisico (Fig 3.4c) non risente dello screening elettronico. In Fig.3.5.a è mostrato il fattore astrofisico per la reazio- (a) (b) Figura 3.5: (a) Fattore astrofisico per la reazione 6 Li + d −→ α + α estratto con il THM [Spitaleri et al., 2001] (cerchi pieni) a confronto con i dati diretti [Engstler et al., 1992] (rombi bianchi); (b) Fattore astrofisico per la reazione 7 Li + p −→ α + α estratto con il THM [Lattuada et al., 2001] (cerchi pieni) a confronto con i dati diretti [Engstler et al., 1992] (rombi bianchi). In entrambe le figure la linea continua mostra il fit adoperato per l’estrazione di S b (0), fattore astrofisico di nucleo nudo ad energia zero ne 6 Li(d, α)4 He (cerchi neri), studiata tramite la reazione a tre corpi 6 Li(6 Li, αα)4 He [Spitaleri et al., 2001], insieme al risultato diretto delle misure a bassa energia (simboli vuoti) [Engstler et al., 1992], mentre nella 3.5b si mostra il fattore astrofisico per la reazione 7 Li(p, α)4 He estratto da 2 H(7 Li, αα)n (cerchi neri) [Lattuada et al., 2001] e il fattore astrofisico diretto (simboli vuoti) [Engstler et al., 1992]. Dal momento che il deutone e la particella α all’interno di 6 Li presentano piccole 70 3.4 Esempi sperimentali energie di legame (1.47 MeV), nell’applicazione sperimentale del Cavallo di Troia ci si avvale di tale nucleo per lo studio delle reazioni a due corpi coinvolgenti deutoni e particelle α, e in cui il ruolo di spettatore sarà interpretato rispettivamente da una di esse. Nel presente lavoro si sfrutterà un nucleo di 6 Li incidente su un bersaglio di 7 LiF per estrarre la sezione d’urto a due corpi della reazione 19 F(α, p)22 Ne, a partire la reazione a tre corpi 6 Li + particella spettatore. 19 F −→ p + d + 22 Ne, in cui il deuterio funge da Come si evince dai risultati mostrati fino a qui, il THM risulta essere un metodo utile per la determinazione delle sezioni d’urto di nucleo nudo alle energie astrofisiche. 71 CAPITOLO 4 Studio della reazione19 F(α, p)22 Ne tramite il Trojan Horse Method: preparazione dell’esperimento Nel presente capitolo saranno descritte le fasi preliminari dello studio della reazione 19 F(α , p)22 Ne attraverso il THM. Per quanto riguarda la progettazione dell’esperimento, saranno inizialmente discusse le condizioni che portano alla scelta di appropriati nuclei bersaglio e proiettile e delle regioni cinematiche dove il meccanismo quasi libero è presente e discriminabile. Fatto questo si passerà quindi alla descrizione dell’apparato sperimentale adottato. 4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali La prima cosa da verificare è che il metodo del Cavallo di Troia sia effettivamente applicabile. Vanno perciò soddisfatte una serie di condizioni riguardanti la struttura nucleare delle particelle Cavallo di Troia coinvolte nella reazione e i nuclei rivelati nel canale di uscita. Per quanto concerne la struttura nucleare dovrà accadere che: • Il nucleo Cavallo di Troia presenti una evidente struttura a cluster; • L’energia di legame delle particelle componenti il cluster sia piccola rispetto all’energia di fascio; 72 4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali • La distribuzione degli impulsi delle particelle componenti sia nota [Pizzone et al., 2005] Per applicare il metodo del Trojan Horse si deve quindi scegliere un nucleo che sia descrivibile in termini di cluster A = x ⊕ s, in cui x funge da partecipante e s da spettatore, sotto le condizioni espresse nel capitolo precedente, con lo scopo di studiare la reazione a due corpi del tipo a+x → C+c (4.1) a partire da una a tre corpi (come visto nel capitolo precedente) A+a → C+c+s (4.2) Tra i possibili nuclei che possono essere pensati come cluster, conviene scegliere quello che presenta minore binding energy, in modo da massimizzare la probabilità di avere un contributo dal processo quasi libero; nel nostro caso si è scelto come nucleo cavallo di Troia il 6 Li, che ha energia di legame pari a E b = 1.47 MeV, e dato il fatto non trascurabile che la distribuzione d’impulso per la particella α all’interno di 6 Li è nota da studi precedenti [Barbarino et al., 1980; Zadro et al., 1987; Cherubini et al., 1996; Spitaleri et al., 2001; Pizzone et al., 2005]. 6 Li d _ p 19 F 22 Ne > Figura 4.1: Pseudo-diagramma di Feynman per la reazione a tre corpi di interesse. 73 4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali In figura 4.1 è schematizzato il processo a tre corpi quasi libero per la reazione di interesse, nell’ipotesi di break-up del fascio di 6 Li, e per il quale il deuterio funge da spettatore, mentre la particella α è il nucleo trasferito. Applicheremo quindi il THM alla reazione 19 F(6 Li, p22 Ne)d con lo scopo di studiare la 19 F(α, p)22 Ne. Il moto intercluster, per questioni di semplicità, è preferibile che avvenga in onda s. In queste condizioni l’impulso dello spettatore pd , corretto per il moto del proiettile (in questo caso del 6 Li) pdf , cioè ps = pd − pdf , deve essere uguale a zero. Va adesso ricercata una condizione in cui vengano eliminati gli effetti relativi alla barriera coulombiana nel canale in ingresso (nel nostro caso, dall’equazione 2.61, la barriera coulombiana è pari a circa 3.81 MeV), e per fare ciò si sceglie un’energia di fascio tale da poterla superare. Si deve altresì fare in modo che la reazione a due corpi 19 F(α, p)22 Ne avvenga nel range di interesse astrofisico, tenendo però conto del fatto che l’energia cinetica del moto relativo delle particelle 19 F e 6 Li deve essere compensata dall’energia di legame α − d. Infatti la determinazione delle condizioni di superamento della barriera coulombiana rappresenta solo il primo passo per la scelta dell’energia di fascio: si deve fare anche in modo che l’energia nel sistema del centro di massa dell nella condizione quasi libera (E q f ) sia il più possibile vicina all’energia di Gamow (fattore b definito in 2.25 elevato al quadrato): E q f = E A − E B(x−s) ≈ EGamow (4.3) dove E B(x−s) è l’energia di legame del cluster d in 6 Li e E A l’energia del fascio della reazione a due corpi, calcolata nel sistema del centro di massa. Dall’equazione 4.3 possiamo ottenere l’energia di fascio nel sistema di riferimento del laboratorio: $ % m x + mA E beam = [E B(x−s) + E q f ] (4.4) mx in cui m x è la massa della particella spettatore (nel nostro caso il deuterio), mentre ma è la massa del bersaglio. Nel caso in esame si è utilizzato un fascio di 6 Li incidente su un bersaglio di 19 F. Data l’energia di legame del cluster (pari a 1.47 MeV), e scegliendo E q f pari al picco di Gamow (≈ 750 keV se T = 2 · 108 K), l’equazione 4.4 restituisce un valore pari a E beam ≈ 4.41 MeV, valore di circa un MeV superiore alla barriera coulombiana precedentemente trovata. Tenendo conto delle perdite di energia delle particelle nei rivelatori e della necessaria presenza di un assorbitore per i rivelatori a piccoli angoli, si è scelto un fascio di 6 Li con energia pari a 6 MeV. Inoltre è importante estendere la misura a più alte energie, col fine di effettuare una normalizzazione per confronto con i dati diretti. 74 4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali 4.1.1 Selezione delle condizioni cinematiche Il metodo del Cavallo di Troia prevede la rivelazione di due delle tre particelle in uscita; questo perchè, in una reazione a tre corpi nel canale di uscita, una volta noti gli angoli di emissione di due particelle e l’energia di una di esse, si riescono a determinare univocamente energia e angolo della terza. Ci si aspetta dunque che il contributo quasi libero sia massimo in corrispondenza di una coppia di angoli, determinabile a partire dalla condizione p s = 0, attorno a cui la distribuzione per gli impulsi del deuterio all’interno di 6 Li ha un massimo. Applicando principi di conservazione di energia ed impulso, si otterrà un sistema di tre equazioni in quattro incognite: E A + Q = E c + EC + p2d f 2m pA = pc cosϑc + pC cosϑC + pd f (4.5) 0 = pc sinϑc + pC sinϑC Fissando ora uno dei due angoli, l’altro viene determinato univocamente. Se la distribuzione di impulsi è tale che pd ! 0, come nel nostro caso (il break-up avviene nel fascio), le coppie di angoli verranno determinate imponendo che pd rimanga invariato tra prima e dopo l’interazione, cioè il valore di pd all’interno del cluster di 6 Li e nel canale finale deve essere uguale; la determinazione di tali angoli è impor- tante perché ci permette di trovare la configurazione ottimale per i nostri rivelatori. Da analisi cinematiche condotte tramite una simulazione Monte Carlo si evince che la rivelazione ottimale in condizioni di quasi-libero dovrebbe avvenire preferibilmente a piccoli angoli. Per evitare il problema della diffusione elastica, fenomeno molto intenso in tale regione spaziale che potrebbe danneggiare rapidamente i rivelatori, e per questioni di ingombro dovute ai rivelatori stessi ed ai loro supporti meccanici, si sono scelti i range angolari rappresentati in figura 4.2. Una volta decise le condizioni angolari opportune, si può passare a calcolare l’andamento dell’energia del centro di massa in post collision prescription (ECM = E p−22 Ne − Q2B value ) tra le particelle rivelate in funzione del p s : scopo di questa pro- cedura è quella di verificare che, in queste condizioni cinematiche, si possa avere accesso a misure ad energie di interesse astrofisico. Tale calcolo verrà confrontato con i dati sperimentali per verificare l’accordo tra dati sperimentali e distribuzione di impulsi predetta per il deuterio. 75 4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali Figura 4.2: Range angolari per le due particelle rivelate (i range angolari sono esplicitati in Tabella 4.2), le linee rosse rappresentano i centri dei rivelatori, mentre le linee blu e verdi gli estremi; si è inoltre effettuato un taglio a p − S < 60 Una volta identificati i possibili angoli quasi liberi si passa, sempre tramite simulazioni Monte Carlo, a identificare a che energie queste particelle vengono emesse (Fig 4.4), in modo da effettuare una opportuna scelta del numero e dello spessore dei rivelatori da adoperare1 . Si vede subito che è cruciale una ottimale calibrazione degli strumenti, in quanto la regione di interesse è molto stretta; risulta altresì fondamentale essere sicuri di aver rimosso dai dati sperimentali ogni possibile fonte di disturbo proveniente da reazioni concorrenti a quella in esame e che occorrono tra proiettile e bersaglio (oltre a 6 Li + 19 F anche 6 Li + 7 Li). 1 Le particelle devono infatti arrestarsi al loro interno in modo da migliorare la risoluzione in energia 76 ECM(p-22Ne) [MeV] 4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali 3 14 2.5 2 12 1.5 10 1 8 0.5 0 6 -0.5 4 -1 2 -1.5 -2 0 10 20 30 40 50 60 70 0 p [MeV/c] s Figura 4.3: Spettro simulato di energie relative ECM(p−22 Ne) in funzione dell’impulso trasferito al deutone. In caso alle condizioni cinematiche si è scelto 23◦ < ϑ p < 54◦ e 2◦ < ϑd < 22◦ . Praticamente tutto il quasi libero cade nella regione studiata 4.1.2 Meccanismi sequenziali La reazione in esame non procede però prevalentemente attraverso il processo quasi libero e la presenza di altri canali di reazione può rendere difficoltosa la rivelazione di meccanismi quasi liberi. È quindi necessario andare a verificare, in fase di preparazione dell’esperimento, se tali processi concorrenti siano in qualche modo separabili, con lo scopo di discriminare il meccanismo quasi-libero e di estrarlo dagli altri. La reazione argomento di questa tesi 19 F + 6 Li → 22 Ne + d + p (4.6) potrebbe essere disturbata, in fase di rivelazione, dalla presenza di un fondo indesiderato, causato da meccanismi sequenziali2 i quali generano le stesse particelle in uscita, pur non avvenendo tramite meccanismi di break-up quasi libero. La 4.6 infatti può avvenire attraverso tre principali reazioni: 19 F + 6 Li → 19 19 2 22 F + 6 Li → F + 6 Li → Ne∗ + 3 He → 24 23 Na∗ + p → Na∗ + d → 22 Ne + d + p 22 Ne + d + p 22 Ne + d + p (4.7) Per meccanismo sequenziale si intende un processo che passa attraverso la formazione di un nucleo composto, che poi decadrà a sua volta in altre particelle 77 4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali Figura 4.4: Matrice bidimensionale Energia protoni vs. Energia deutoni, con i gli stessi tagli angolari di Figura 4.3. Dei tre possibili canali in esame, diciamo subito che il primo non è percorribile: infatti non esistono in letteratura livelli eccitati del nucleo di 3 He [Firestone, 2007], e quindi il decadimento 3 He → p + d non può avvenire alle energie qui conside- rate. Per quanto riguarda invece il secondo meccanismo di 4.7, si deve verificare la presenza di eventuali livelli del 24 Na al range di energia relativa E 22Ne−d popolata dalla cinematica propria di questo esperimento, da 0.5 MeV a 4.5 MeV, corrisponde a 14 ÷ 20 MeV (Fig. 4.5). 78 4.2 La reazione 6 Li(19 F, d22 Ne)p con il metodo del Trojan Horse (a) (b) Figura 4.5: a)Plot bidimensionale ottenuto attraverso simulazioni Mote Carlo per la reazione 19 F + 6 Li → 24 Na∗ + p. Le linee rosse rappresentano gli ultimi stati eccitati di 24 Na che possono essere popolate tramite decadimento sequenziale b)Diagramma non in scala dei livelli corrispondenti alle linee rosse. Non esistono però in letteratura [Firestone, 2007] livelli che superino i 12.5 MeV (Fig 4.5), quindi non sono possibili interferenze da questo canale. Per quanto riguarda il terzo ed ultimo canale di reazione esposto in 4.7, esso non è a priori separabile dalla reazione quasi libera, in quanto il processo di nostro interesse prevede un contributo risonante attraverso i livelli eccitati di 23 Na. Tale discriminazione sarà operata nel prossimo capitolo, analizzando approfonditamente l’impulso dello spettatore. 4.2 La reazione 6Li(19F, d22Ne)p con il metodo del Trojan Horse 4.2.1 Descrizione dell’apparato sperimentale Tenuto conto di quanto discusso sopra si è deciso di realizzare l’esperimento presso il Rudjer Boskovic Institute di Zagabria, e si è usato, come detto nel paragrafo precedente, un fascio di 6 Li che incide su un target di 7 LiF, posizionato su un backing di 12 C, realizzato presso il laboratorio target dei Laboratori Nazionali del Sud. La scelta è ricaduta su questa composizione perché, da simulazioni effettuate, 79 4.2 La reazione 6 Li(19 F, d22 Ne)p con il metodo del Trojan Horse si evince che la reazione dovrebbe essere ben isolata cinematicamente da altre eventuali reazioni che avvengono nel target. La scelta di usare un fascio di 6 Li è invece stata fatta in quanto, come già detto in precedenza, esso presenta una struttura a cluster ben indagata e conosciuta. Il TANDEM forniva un fascio di 6 Li, inviato su un target, dello spessore di 106 o di 141 µg/cm2 a seconda del run di misura (la maggior parte dei dati sono ricavati con il primo) − con backing di carbonio rispettivamente di spessore 29 µg e 23 µg − inviato ad una energia totale di 6 MeV ed intensità pari a 5 nA, che corrisponde ad una energia rispettivamente di 5.96 MeV e 5.91 MeV a causa della perdita di energia nella prima metà del bersaglio (supponendo che la reazione avvenga a metà target). Figura 4.6: Visione schematica dell’apparato sperimentale L’apparato sperimentale è schematizzato in Fig. 4.6: sono stati utilizzati cinque rivelatori al silicio sensibili alla posizione (PSD) da 500 µm di spessore, che lavorano in coincidenza (PSD1 con PSD 3-4-5 e PSD2 con PSD 3-4-5) e centrati in corrispondenza degli angoli quasi liberi prima definiti. Per questo lavoro di tesi ci si è concentrati sulla calibrazione dei PSD 1, 2 e 3, e all’analisi della coincidenza PSD2-PSD3 (tutte le informazioni riguardanti distanze, posizioni e range angolari sono riportate in Tabella 4.1). Di fronte ai PSD 1 e 2 sono posizionati due sottili rivelatori al silicio di spessore 80 4.2 La reazione 6 Li(19 F, d22 Ne)p con il metodo del Trojan Horse Rivelatore PSD1 PSD2 PSD3 PSD4 PSD5 Centro riv. [◦ ] 32.3 12.3 -37.7 -81 -119.9 Distanze [cm] 17.63 20.61 10.3 10.3 9.1 Range [◦ ] ±7.21 ±6.58 ±12.4 ±9.2 ±11 ∆Ω[mSr] 0.16 0.12 0.47 0.47 0.6 Tabella 4.1: Distanze, posizioni e range angolari dei rivelatori utilizzati 9 µm, posti rispettivamente 6 cm e 7.5 cm dal target, che ci permettono, fungendo da stato ∆E, di applicare la tecnica di identificazione di particelle attraverso lo studio delle perdite di energia (telescopio ∆E − E). Nel caso in esame vogliamo discriminare deuteri, quindi entrambi gli stadi E dei telescopi sono ottimizzati per l’identificazione di questi ultimi. Si è inoltre definita una finestra di coincidenza temporale di 250 µs per limitare il numero dei processi di background. Per ridurre l’incidenza dello scattering elastico sul PSD2, di fronte ad esso si è posizionato un assorbitore di alluminio dallo spessore di 15µm, atto a minimizzare il contributo di scattering elastico del fascio sul target che potrebbe danneggiare il rivelatore a causa della sua intensità. Tale quantità da simulazione appare essere ≥ 4 kHz (per un fascio di 6 MeV con intensità di 5 nA,), valore non compatibile con i rivelatori utilizzati, che viene soppressa in presenza dell’assorbitore. Il target di 7 LiF è inclinato di 45◦ con il fine di massimizzare la statistica raccolta dai PSD 1 e 2: con questa inclinazione infatti si riduce la lunghezza del cammino che le particelle devono compiere all’interno del target dopo la reazione, cosa per noi cruciale date le basse energie in gioco. Come detto, ci si propone di studiare la reazione a due corpi 19 F(α, p)22 Ne at- traverso la reazione 6 Li(19 F, p22 Ne)d; per fare ciò è necessario rivelare almeno due delle particelle in uscita, quindi p, d o 22 Ne. Di queste tre il 22 Ne appare impossibile da rivelare: l’energia che otterrebbe nella reazione, infatti, risulta da simulazione (effettuata tramite il programma LISE++ [Tarasov and Bazin, 2008]) avere un massimo tra 0.5 e 1 MeV (Fig. 4.7). Un nucleo di neon con questa energia non riesce nemmeno a oltrepassare il target. Inoltre la soglia di attraversamento del neon per uno strato di silicio di 6µg è di circa 11 MeV, il che avrebbe reso impossibile la sua identificazione. Si è quindi optato per la rivelazione di deuteri e protoni, con questi ultimi che non possono essere identificati in carica a causa dell’ampio range e delle basse energie proprie di questo esperimento. 81 COUNTS 4.3 Rivelatori ed elettronica 25000 20000 15000 10000 5000 0 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 E22Ne [MeV] Figura 4.7: Distribuzione in energia per il 22 Ne. Anche questa simulazione è ricavata con il metodo Monte Carlo 4.3 Rivelatori ed elettronica 4.3.1 Position Sensitive Detectors I PSD (Position Sensitive Detectors)sono dei rivelatori a stato solido sensibili alla posizione della particella carica che incide su di essi, utilizzando un metodo detto a divisione di carica. Essi si compongono sostanzialmente di un diodo, con un elettrodo resistivo sulla faccia opposta (Fig. 4.8) Per ogni particella incidente, dal PSD vengono estratti due segnali distinti: uno relativo all’energia ed uno alla posizione. Per quanto riguarda il primo, esso proviene dall’elettrodo a resistenza minore, mentre il secondo verrà dall’elettrodo a resistenza maggiore, e proprio per questo la risposta dipende dal punto di incidenza della particella rivelata. Se infatti una particella carica attraversa il rivelatore, essa viene rivelata ad una estremità. Il segnale così prodotto sarà proporzionale all’energia della particella ed alla resistenza dell’elettrodo tra il contatto ed il punto di incidenza della stessa, mentre sull’elettrodo inferiore sarà presente solo un segnale proporzionale all’energia. Tali informazioni ci danno la possibilità di identificare la posizione del punto incidente della particella. Se ad esempio una particella incide nel punto P, indicando con x la distanza tra P ed A (4.6), la carica raccolta in B sarà uguale a: Q x1 = R2 QE Rtot (4.8) dove QE è la carica totale prodotta, che viene estratta dall’elettrodo a bassa resistenza (segnale in energia), R2 = ρx/s (dove ρ ed s sono rispettivamente la resistività 82 4.3 Rivelatori ed elettronica Figura 4.8: Schema di funzionamento di un PSD. La particella incidente, arrivando sul contatto B porterà all’emissione di un segnale. Esso è proporzionale all’energia della particella ed alla posizione (x) tra A e B. Sul contatto C invece il segnale è proporzionale all’energia. e la superficie dell’elettrodo) e Rtot = ρL/x. Detto ciò l’equazione 4.8 si può scrivere Q x1 = x QE L (4.9) e cioè x E (4.10) L Il segnale di posizione risulta quindi essere proporzionale all’energia della particella P∝ incidente, poiché la carica totale prodotta è da essa dipendente. È quindi necessario effettuare una calibrazione del segnale di posizione al fine di rimuovere tale dipendenza. I PSD adoperati, prodotti dalla Micron Semiconductors, presentano superficie di 1 × 5 cm2 , risoluzione spaziale pari a 0.8 mm ed energetica dello 0.8 %. 4.3.2 Schema dell’elettronica La catena di moduli elettronici utilizzati per la misura è schematizzata in figura 4.9. I segnali in energia ed in posizione in uscita dal PSD vengono inviati ad un pre-amplificatore e successivamente ad un amplificatore, con lo scopo di aumentare 83 4.3 Rivelatori ed elettronica il rapporto segnale-rumore e a formare il segnale nella migliore maniera possibile, migliorando la risoluzione della misura. Da questi si passa ad un ADC (Analogic to Digital Converter), che digitalizza i segnali e li invia all’acquisizione, registrandoli su computer. Il trigger3 per l’acquisizione è dato dalla coincidenza tra i segnali provenienti dal PSD1 o dal PSD2, con quelli provenienti da PSD3, PSD4 o PSD5 (l’OR ci fornisce lo start e lo stop nei due casi, con opportuno ritardo), situazione corrispondente al caso in cui un nucleo di deuterio attraversa uno dei due telescopi ed un protone si ferma e viene rivelato in uno degli altri tre rivelatori. Da un punto di vista puramente esplicativo, conviene adesso spiegare schematicamente (Fig. 4.9) come è strutturata l’elettronica, anche se i moduli utilizzati in fase di esperimento svolgono contemporaneamente molte delle funzioni indicate in figura. Il segnale in energia che esce dall’amplificatore viene sdoppiato in due componenti: una viene mandata direttamente all’ADC (componente lenta), mentre l’altra segue l’elettronica come in figura (componente veloce). Il segnale di posizione si comporta come la componente lenta dell’energia, così come quello proveniente dai ∆E (non rappresentato in figura). Figura 4.9: Schema dell’elettronica impiegata: con PRE si indicano i pre-amplificatori di carica, con AMP gli amplificatori lenti e con TFA quelli veloci, con DELAY i ritardi, con GG il gate generator, con DISCR i discriminatori, con TAC il time to amplitude converter e con TTL-NIM il convertitore TTL-NIM-TTL e con ADC il convertitore analogico-digitale 3 per trigger - termine inglese che vuol dire scatenare, dare il via - si intende quella tipologia di eventi che fanno partire l’acquisizione 84 4.4 Calibrazione dei rivelatori Per ogni evento in coincidenza, l’ADC opera la conversione e registra 13 parametri: energia e posizione dei PSD (dieci parametri), perdita di energia nei ∆E (due parametri) ed il segnale proveniente dal TAC. 4.4 Calibrazione dei rivelatori Nel paragrafo 4.3.1 si è spiegato come il segnale posizione dipenda dall’energia. Conoscendo l’equazione 4.10, abbiamo accesso ad informazioni fisiche come energia e posizione, ma dobbiamo prima tarare i rivelatori. Si sono a questo scopo effettuate delle misure in cui il trigger è fornito dall’OR di tutti i segnali in energia dei rivelatori: ogni segnale proveniente da un canale in energia attiva il sistema di acquisizione. Inoltre davanti a ciascun rivelatore si è posta una griglia dotata di diciotto fenditure (Fig.4.10). Si sottolinea che, in fase di taratura, i rivelatori ∆E vengono rimossi. Tramite teodolite vengono misurate le posizioni centrali dei rivelatori e di ogni fen- Figura 4.10: Supporto per il PSD con griglia ditura, ed i risultati così ottenuti si confrontano con i dati geometrici noti a priori sul passo delle fenditure. La loro presenza in fase di calibrazione ci permette di poter stabilire la corrispondenza tra gli angoli misurati con il segnale posizione prodotto dal rivelatore. A tale scopo sono state effettuate misure di scattering elastico di: • H su 197 Au a diverse energie (5, 4, 3, 2 MeV) (spessore target 104 µg/cm2 ) • H si CD2 a diverse energie (5, 4, 3, 2 MeV) (spessore target 97 µg/cm2 ) 85 4.4 Calibrazione dei rivelatori cercando di utilizzare, per ogni rivelatore, gli stessi eiettili da rivelare nel corso della PCh misura (ovvero p e d a seconda dei rivelatori). 3000 2500 2000 1500 1000 500 0 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 ECh Figura 4.11: Esempio di matrice non calibrata (PSD 2, H su 197 Au con E p = 5 MeV). Si noti che non sono visibili tutte le fenditure, ma solo 15 4.4.1 Calibrazione in posizione Per eliminare la dipendenza dalla posizione dell’energia si utilizza la relazione (basata sull’equazione 4.10): P − P0 (4.11) E − E0 con i che va da 1 a n, dove n numero di fenditure, mentre P0 , E 0 rappresentano xi = costanti da determinare tramite fit. La presenza delle fenditure in questa fase genera una matrice posizione-energia non tarata (Fig.4.11), in cui PCh ed ECh rappresentano il segnale in canali della posizione e dell’energia. Come si vede da tale matrice, fissata la i-esima fenditura esiste una dipendenza lineare tra il segnale di posizione e quello di energia. Si procede quindi, per ogni fenditura, ad operare un fit lineare del tipo PCh = a(ϑ)i + b(ϑi )ECh (4.12) dove i corrisponde alla fenditura che si sta analizzando. Fatto questo, con lo scopo di ottenere una calibrazione che restituisca ϑPS D , si opera un altro fit lineare sulle componenti ai e bi , e quindi a(ϑ) = p1 ϑi , + p2 b(ϑ) = p3 ϑi , + p4 86 (4.13) 4.4 Calibrazione dei rivelatori Le equazioni 4.14 restituiscono due funzioni che andranno sostituite nella 4.12 per ottenere una relazione canale-angolo, associando ad ogni picco della variabile posizione della matrice il valore in angolo che abbiamo determinato sperimentalmente col teodolite. Infine si ottiene un best-fit, dipendente da ϑ e ECh e PCh , PCh = [p1 ϑ + p2 ] + [p3 ϑ + p4 ]ECh (4.14) Dalla 4.14 si può infine ricavare ϑ ϑ= PCh − p2 − p4 ECh p1 + p3 ECh (4.15) equazione che restituisce l’angolo a cui le particelle vengono rivelate in funzione dell’energia e della posizione 4.4.2 Calibrazione in energia La corrispondenza tra l’energia della particella e la risposta del rivelatore è anch’essa lineare, quindi: E MeV = a + bECh (4.16) Per determinare a e b, attraverso fit, anche in questo caso si devono identificare i picchi sulle matrici relative al canale energia ed associarvi i relativi valori, ricavati tramite simulazioni relative alle cinematiche a due corpi per i processi di calibrazione: si opera cioè un confronto tra le cinematiche osservate e quelle calcolate, tenendo conto anche della perdita di energia del fascio nel target, considerando anche le variazioni di spessore dovute all’angolo di uscita delle particelle e l’inclinazione del target. L’energia da associare a ciascun punto di taratura è conosciuta tramite il programma di calcolo cinematico LISE++ [Tarasov and Bazin, 2008]. A questo punto tramite best-fit si ricava la curva di taratura, e applicando la 4.15 e la 4.16 otteniamo una matrice bidimensionale (Fig.4.12), in cui si nota come la procedura di calibrazione abbia eliminato correttamente la dipendenza dall’energia del segnale di posizione. 87 4.4 Calibrazione dei rivelatori Figura 4.12: Matrice calibrata per il PSD2. Le linee verdi indicano gli angoli centrali delle fenditure, la linea rossa l’angolo centrale del rivelatore, mentre i punti rossi vengono da calcoli cinematici per le reazioni di scattering di H su 197 Au e CD2 a diverse energie [Tarasov and Bazin, 2008]. In tabella 4.2 sono riportati i parametri delle equazioni 4.15 e della 4.16 per i tre rivelatori calibrati. Bisogna ora tenere in conto che, in condizioni di misura, le particelle perdono enerRivelatore PSD1 PSD2 PSD3 Parametri posizione [deg] p2 = 151.8, p4 = −1.17 p1 = −3.3685, p3 = 0.052815 p2 = 97.665, p4 = −0.17381 p1 = −3.3443, p3 = 0.055534 p2 = 129.12, p4 = −0.62465 p1 = −2.2984, p3 = 0.029514 Parametri energia [MeV] a = 0.0019247 b = −0.11463 a = −0.11291 b = 0.0018355 a = −0.12998 b = 0.0018423 Tabella 4.2: Tabella relativa a tutti i parametri di fit ricavati per la taratura gia nell’attraversare non solo il target, ma anche lo strato di alluminio ed il rivelatore ∆E per il PSD2, mentre il PSD1 ha di fronte a se solo il rivelatore ∆E ed il PSD3 non ha nulla davanti (Fig.4.6). È quindi necessario tenere conto di questi spessori nel momento in cui si deve associare al segnale in uscita l’energia rivelata “vera”. Questa azione viene compiuta calcolando, sempre tramite LISE++, quanta energia perde la particella in ogni strato che attraversa, tenendo anche conto dell’angolo a cui essa viene emessa. Tale perdita di energia è funzione dell’energia residua rivelata dal rivelatore (∆E = f (E res )); alla fine avremo quindi che l’energia rivelata sarà uguale a quella effettivamente registrata sommata ad un valore ∆E dipendente dagli 88 4.4 Calibrazione dei rivelatori strati attraversati, cioè E = ∆E + E res . Siamo adesso in grado di analizzare i dati che provengono dai rivelatori. Nel prossimo capitolo ci occuperemo all’analisi di tali dati. 89 CAPITOLO 5 Analisi Dati Al completamento della procedura di calibrazione dei rivelatori siamo nelle condizioni di ricostruire informazioni relative all’energia ed alla posizione delle particelle incidenti. I rivelatori utilizzati sono scelti con lo scopo di ottimizzare la rivelazione delle particelle che ci interessano, cioè deuteri per il PSD2 e protoni per il PSD3. Nel prosieguo di questo capitolo passeremo ad illustrare la procedura di analisi: va quindi selezionato, grazie alle coincidenze ∆E-E del PSD2, uno dei tre prodotti di reazione che ci aspettiamo nel canale di uscita (nel nostro caso 2 H), per poi passare all’identificazione del canale quasi libero di nostro interesse. Fatto questo si procederà all’estrazione della sezione d’urto per la reazione a due corpi 19 F(α, p)22 Ne a partire dalla tre corpi 6 Li(19 F, p22 Ne)d secondo le prescrizioni del THM. 5.1 Selezione del canale di reazione Le reazioni che possono aver luogo nel bersaglio sono molteplici: per prima cosa si deve quindi selezionare il canale di reazione di interesse. L’apparato sperimentale ci consente una parziale identificazione delle particelle grazie alle coincidenze ∆E-E prima descritte. Attraverso l’analisi della matrice ∆E-E è infatti possibile selezionare le particelle emesse, aventi nel nostro caso Z=1, sfruttando la legge di Bethe-Bloch − z Z2 dE ∝ dx A v2 90 (5.1) 5.1 Selezione del canale di reazione la quale ci dice che la perdita di energia di una particella in un mezzo è direttamente proporzionale al quadrato del suo numero atomico Z moltiplicato per il numero atomico z del mezzo nel quale diffonde, ed inversamente proporzionale al prodotto del quadrato della sua velocità v per il numero atomico del A mezzo stesso. Ricordando poi che nel caso non relativistico abbiamo che v2 = 2E m (5.2) dove m è la massa della particella ed E la sua energia, combinando la 5.1 e 5.2 avremo che dE z mZ 2 − ∝ (5.3) dx A 2E Per quanto detto finora, in una matrice ∆E-E gli ioni si dispongano su differenti rami di iperbole a seconda delle loro Z e m, rendendo così possibile una separazione tra le varie specie. In figura 5.1 è mostrata la matrice ∆E − E, dove i vari prodotti sono distinguibili in Z e A. Eseguendo il taglio grafico ivi riportato è stato possibile selezionare i dati provenienti dal PSD2 corrispondenti ai deuteri (A=2, Z=1). Di questi soltanto dovremo selezionare gli eventi relativi alla reazione 19 F(6 Li, verrà effettuata tramite l’esame dello spettro del Qvalue . 91 22 Nep)d: tale operazione 5.1 Selezione del canale di reazione 50 4000 45 3500 40 3000 35 2500 30 Channels 4500 25 2000 20 1500 15 1000 10 500 5 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 E [MeV] Figura 5.1: Matrice ∆E-E per li PSD2 (angolo centrale 12.3◦), si riconoscono idrogenoidi (H,2 H) in basso e particelle α in alto. In rosso li cut grafico per 2 H utilizzato nella presente analisi dati A tal fine, selezionati gli eventi caratterizzati dalla presenza di 2 H nello stato finale per mezzo del suddetto cut grafico, ed una volta misurati la loro energia e posizione in coincidenza con quello che arriva dal PSD3, è possibile costruire lo spettro della variabile Qvalue per la coppia di rivelatori analizzata. In Figura 5.2 si nota una evidenza molto debole rispetto ai processi concorrenti, possibilmente riconducibile alla reazione a tre corpi di interesse (Qvalue = 0.199 MeV). Tralasciando i picchi ad energia grandemente maggiore o minore, nella regione di nostro interesse (−1 ÷ 2 MeV) si osserva pure un picco molto intenso a valori di Q negativi, la cui coda potrebbe interferire con il nostro canale. Essendo il Qvalue una quantità indipendente dalle variabili cinematiche della reazione, un’ulteriore verifica della bontà della calibrazione eseguita consiste nello stabilire se esistono eventuali correlazioni tra tale valore e una variabile cinematica, ad esempio l’angolo di emissione di una delle due particelle rivelate. Da tale studio (Fig.5.3) si evince che tale correlazione non è presente, e ancora una volta si trova che nella regione di interesse per il Qvalue gli eventi si distribuiscono attorno al valore teorico. Si nota anche l’intensità con cui si presenta il picco ad energie negative di cui sopra. 92 5.1 Selezione del canale di reazione Counts Qvalue Entries Mean RMS 1400 1200 22223 2.016 2.271 1000 800 600 400 200 0 -4 -2 0 2 4 6 8 10 Q3B [MeV] Q3B [MeV] value Figura 5.2: Qvalue per il cut grafico in figura 5.1 10 8 7.5 8 7 6 6.5 6 4 5.5 2 5 4.5 0 4 -2 3.5 -4 4 6 8 10 12 14 16 18 20 3 d [deg] Figura 5.3: Matrice ϑd -Qvalue per la coppia di rivelatori in esame. Si nota la mancanza di correlazione tra le due variabili, il che verifica l’indipendenza di Qvalue dall’angolo. La linea rossa indica il valore teorico atteso per la nostra reazione a tre corpi Come detto, il set-up sperimentale permette la rivelazione di soltanto due delle particelle emesse. Pertanto, l’energia e l’angolo di emissione della particella non rivelata vengono ricostruite evento per evento, applicando i principi di conservazione, nell’ipotesi che il numero di massa della particella non rivelata sia A = 22. La verifica di tale assunzione può essere fatta studiando un plot x − y delle quantità 93 5.1 Selezione del canale di reazione definite come [Costanzo et al., 1990]: y = E beam − E d − E p p222 Ne x= 2u (5.4) (5.5) (5.6) dove u rappresenta l’unità di massa atomica espressa in MeV/c2 . Un plot dei dati così ottenuti è presentato in Fig.5.4. Ebeam-Ed-Ep [MeV] Utilizzando tali parametri, si nota immediatamente come gli eventi si dispongano 5 14 4 12 3 10 2 8 1 6 4 0 2 -1 0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 0 p222 /2u [MeV] Ne Figura 5.4: Identificazione della particella spettatrice in accordo con la procedura descritta in [Costanzo et al., 1990]. La linea rossa corrisponde al Qvalue atteso lungo una retta, che è parametrizzabile come y= 1 A22 Ne x − Qvalue (5.7) in cui A22 Ne è la massa della particella non rilevata. L’intercetta di tale retta con l’asse y corrisponde al Qvalue teorico, che ripetiamo è pari a 0.199 MeV. In questo modo abbiamo rimosso la possibilità che processi differenti da quello di nostro interesse siano presenti: i dati che abbiamo selezionato provengono adesso solo dalla reazione a tre corpi in esame, e non da errori di ricostruzione di una reazione a due corpi. A riprova di ciò si pratica un taglio grafico attorno alla linea rossa come in figura 5.4 e si riproduce l’andamento del Qvalue dei dati presenti al suo interno; si ottiene la figura 5.5, nella quale il valore teorico del Q di reazione è perfettamente riprodotto. 94 Counts 5.1 Selezione del canale di reazione 300 250 200 150 100 50 0 -0.8 -0.6 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 Q3B [MeV] value Figura 5.5: Qvalue con i due tagli grafici sopra descritti. I dati sono stati fittati con una gaussiana (valor medio 0.191 ± 0.008 MeV), mentre la linea blu rappresenta il valore teorico. Si noti il buon accordo con la teoria. Come ulteriore prova votata a stabilire se gli eventi selezionati derivino o meno dalla reazione 6 Li(19 F, pd)22 Ne si è proceduto ad effettuare un confronto tra il luogo cinematico ottenuto tramite simulazione Monte Carlo e quello ricavato sperimentalmente, per il quale si applicano i due cut grafici finora eseguiti. Si riporta a tale scopo il luogo cinematico per le energie delle due particelle rivelate e si ottiene il grafico in figura 5.6: si noti il sostanziale accordo tra simulazione e dati sperimen- Ed [MeV] tali. Nell’analisi successiva saranno considerati solo le particelle ricadenti nel cut 6 5.5 5 4.5 4 3.5 3 2.5 2 1.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 Ep [MeV] Figura 5.6: Luogo cinematico per la coppia PSD2-PSD3. I punti neri rappresentano la simulazione Monte Carlo mentre i triangoli rossi sono i dati sperimentali. grafico in figura 5.3. 95 5.2 Selezione del Contributo quasi libero 5.2 Selezione del Contributo quasi libero Il passo successivo dell’analisi sarà la discriminazione e selezione del contributo quasi libero del canale selezionato. Tale procedura è fondamentale per la successiva applicazione del THM: l’estrazione della sezione d’urto a due corpi di nostro interesse risulta, infatti, possibile solamente dopo una discriminazione del processo quasi libero da tutti gli altri possibili meccanismi di reazione (decadimento sequenziale, break-up diretto, ecc...). Tale azione è possibile attraverso la selezione di opportune coordinate cinematiche: a tale scopo si sono ricostruite le quantità E p−d , E p−22 Ne e E d−22 Ne , corrispondenti rispettivamente alle energie relative p − d, p −22 Ne e d −22 Ne. Con l’analisi di tali variabili risulta possibile individuare gli eventuali stati eccitati E22Ne-p [MeV] di nucleo composto di 3 He, 23 Na e 24 Na. 3.5 3 2.5 2 1.5 1 0.5 0 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 2 Ep-d [MeV] Figura 5.7: Matrice bidimensionale per le energie relative del nucleo composto di 3 He 96 E22Ne-p [MeV] 5.2 Selezione del Contributo quasi libero 3.5 3 2.5 2 1.5 1 0.5 0 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Ed-22Ne [MeV] Figura 5.8: Matrice bidimensionale per le energie relative del nucleo composto di 24 Na Ia entrambe le matrici bidimensionali (Figg.5.7 e 5.8) non si riscontrino luoghi verticali, il che ci suggerisce la mancanza di livelli eccitati (rispettivamente dei nuclei di 3 He e 24 Na) alle energie a cui abbiamo condotto l’esperimento: ciò risulta in accordo con quanto avevamo visto nel capitolo 4.1.3. Al contrario in esse si osserva la presenza di un luogo orizzontale attorno da E d−22 Ne ≈ −1.5 MeV, corrispondente quindi ad un livello eccitato di 23 Na, ed a una serie di altri livelli meno intensi e non ben visibili tra 1.8 e 2.3 MeV, i quali, data la loro vicinanza sono però appena risolvibili, oltre che poco visibili a causa della bassa statistica. Tale regione sarà ogetto di successive analisi in quanto rappresenta, come vedremo a breve, la regione di interesse astrofisico (5.13). È adesso importante cercare di capire se il popolamento dei suddetti livelli sia avvenuto tramite meccanismo sequenziale (processo parassita agli scopi di questo lavoro) o tramite processo quasi libero. La sola presenza di questi livelli infatti non ci assicura che gli stessi appartengano ad un meccanismo del tipo su cui stiamo ponendo la nostra attenzione. Un modo per ottenere ulteriori informazioni sulla natura del popolamento dei livelli di 23 Na può essere quello di studiare il comportamento della yield di coincidenza della reazione 6 Li(19 F, p22 Ne)d rispetto all’energia del centro di massa ECM al variare dell’impulso della particella spettatrice p s , che ricordiamo è un deutone. Richiamiamo a tale scopo la fattorizzazione prevista dalla teoria di PWIA per i 97 5.2 Selezione del Contributo quasi libero processi quasi liberi (3.33) dσN d3σ ∝ KF · |Φ(p s )|2 dΩc dΩC dE c dΩ (5.8) che, opportunamente riscritta, diventa: d3σ dσN 1 · ∝ |Φ(p s )|2 dΩc dΩC dE c KF dΩ (5.9) Dalla eq.5.9 si ottiene che in presenza di un processo quasi libero, la yield di coincidenza deve variare seguendo l’andamento della distribuzione di impulsi |Φ(p s )|2 . La variazione della yield per un certo livello energetico al variare di p s deve essere quindi indice della correlazione tra E p−22 Ne e p s , a patto che si assume dσn debolmente variabile con ECM . Tale dipendenza appare chiara nelle figure 5.9a, 5.9b e 5.9c. Queste tre figure sono ottenute dividendo gli spettri ricavati sperimentalmente per una simulazione Monte Carlo con adeguati tagli angolari che riproducano i constraint angolari occupati dai rivelatori, in cui è anche presente un taglio per il contributo nello spazio delle fasi (KF) con lo scopo di rimuovere i puri effetti cinematici dovuti ad una selezione nello spazio delle fasi stesso, secondo la 5.9. Tenendo adesso in considerazione il fatto che tali spettri rappresentano la funzione di eccitazione per la reazione a tre corpi, la diminuzione del numero di conteggi mostrato in figura 5.9, nell’intervallo energetico di interesse e per valori di p s > 60 MeV/c, è indice della correlazione tra i livelli in esame e l’impulso del deuterio, il che costituisce una condizione necessaria per la presenza di meccanismi quasi liberi. 98 arb.units arb.units 5.2 Selezione del Contributo quasi libero 0.5 1.2 1 0.4 0.8 0.3 0.6 0.2 0.4 0.1 0.2 0 0 -2 -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 -2 -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 2 ECM [MeV] arb.units (a) 20 < p s < 40 (b) 40 < p s < 60 6 5 4 3 2 1 0 -2 -1.5 -1 -0.5 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 ECM [MeV] (c) 60 < p s < 80 Figura 5.9: Andamento della funzione di eccitazione in ECM della reazione a tre corpi al variare dell’impulso della particella spettatrice Ciò però non basta ad essere sicuri che le particelle che stiamo rivelando provengano da meccanismi quasi liberi. Un modo atto a corroborare ulteriormente tale ipotesi consiste nell’analizzare la distribuzione di impulsi della particella spettatrice. Ricaviamo a tale scopo la variabile |Φ(p s )|2 dalla 5.9 |Φ(p s )|2 ∝ d3σ " $ 2 %o f f #−1 d σ dΩc dΩC dE c KF dΩ (5.10) dσ si possa considerare costante. dΩ In tale zona il rapporto tra la yield di coincidenza ed il fattore KF dovrebbe ripro- Prendiamo quindi una regione energetica dove durre, in presenza di meccanismo quasi libero ed entro gli errori sperimentali, la distribuzione di impulsi del deuterio nel 6 Li. 99 2.5 3 ECM [MeV] 5.2 Selezione del Contributo quasi libero Per fare questo per prima cosa confrontiamo quanto riportato in figura 4.3 con i dati sperimentali ed otterremo quanto rappresentato in figura 5.10, nella quale si nota il sostanziale accordo tra dati sperimentali e simulazione Monte Carlo. Applicando adesso la 5.10, avendo calcolato KF con una opportuna simulazione Figura 5.10: Confronto della matrice bidimensionale in figura 4.3 con i dati sperimentali. Si noti come essi si sovrappongano bene con la simulazione nella regione di interesse. Monte Carlo, si ottiene la distribuzione d’impulsi riportata in figura 5.11. Tale distribuzione è stata confrontata con quella attesa teoricamente, in questo caso una funzione di Hankel (equazione 5.11),avente la forma [Pizzone et al., 2005] " # sinks Rc cosks Rc 1 + N 2 (ks + β2 )2 ks β (5.11) in cui ks = p s /", Rc è il raggio di cutoff e β = (2µE B /"2 )1/2 , con µ massa ridotta. Per completezza è riportato il confronto con una gaussiana di parametri opportuni; si noti la quasi indistinguibilità delle due funzioni d’onda nella regione in p s considerata: entrambe avranno un massimo per |p s | = 0 MeV/c e, come si vede in Fig.5.11, FWHM sostanzialmente equivalenti e pari a 50 MeV/c. Tale condizione è fondamentale per la presenza del processo quasi libero. Per la successiva analisi, e seguendo quanto prescritto dal THM [Spitaleri et al., 2001] si è ristretta l’attenzione all’interno della regione 30 < p s < 55 MeV/c. 100 arb.units 5.2 Selezione del Contributo quasi libero 8 7 6 5 4 3 2 1 0 25 30 35 40 45 50 55 60 65 ps [MeV/c] Figura 5.11: Impulso dello spettatore (deuterio): in rosso il fit gaussiano in blu quello ricavato tramite la funzione di Hankel Un ulteriore test dell’applicabilità della PWIA è rappresentato dallo studio della correlazione tra la FWHM, indicata con W(q) della distribuzione d’impulsi in oggetto, e l’impulso trasferito definito dall’equazione [Pizzone et al., 2009] W(qt ) = f0 [1 − exp(−qt /q0 )] (5.12) dove p p + p22 Ne (5.13) 2 mentre pbeam , p p e p22 Ne sono gli impulsi del proiettile, del protone e di 22 Ne rispetqt = pbeam − tivamente (gli ultimi due sono ricavati teoricamente). Nnella 5.12 f0 = 73 MeV rappresenta la larghezza asintotica della funzione e q0 = 122 ± 3.5 MeV è un pa- rametro di fit. Nel nostro caso avremo qt = 190 MeV/c e W(qt ) = 50 MeV/c. Riportando in un grafico (Fig. 5.12), questo dato insieme agli altri presenti in letteratura per il break-up del 6 Li si manifesta un notevole accordo entro gli errori sperimentali[Pizzone et al., 2005]. 101 5.3 Funzione di eccitazione Figura 5.12: FWHM della distribuzione d’impulsi sperimentale in funzione dell’impulso trasferito alla particella spettatrice. I punti si riferiscono a vari esperimenti [Pizzone et al., 2005], mentre il punto in blu rappresenta il caso in esame. 5.3 Funzione di eccitazione Approfondiamo adesso lo studio dei livelli in E p−22 Ne che si evidenziano nelle 23 figure5.7 e 5.8. A tale scopo andiamo a studiare la variabile E eccNa = E p−22 Ne + 8.794 MeV, ovvero l’energia di eccitazione del nucleo composto di 23 Na, come riportato in figura 5.13. Si noti che, per energie relative p −22 Ne nulle (E p−22 Ne = 0), avremo Na E ecc = 8.794. 102 5.3 Funzione di eccitazione 19 8.794 MeV F+_ 10.464 MeV p+22Ne 23 Na Figura 5.13: regione energetica di nostro interesse: la parte con righe trasversali corrisponde alla regione di energia esplorata. Operando adesso la somma di fit gaussiani riportati in figura su di essa, è stato possibile confrontare tali picchi con livelli di 23 Na presenti in letteratura [Firestone, 2007] (Tabella 5.1), nella finestra di energia relativa di nostro interesse. Notiamo che la risoluzione sperimentale (dell’ordine di 60 keV) è molto più grande della larghezza propria dei livelli, che in questo caso è dell’ordine del keV [Firestone, 2007]. 103 COUNTS 5.4 Sezione d’urto 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 10 10.2 10.4 10.6 10.8 11 11.2 Eecc [MeV] Figura 5.14: Funzione di eccitazione per il nucleo composto di 23 Na. I centroidi delle gaussiane ed i livelli corrispondenti sono specificati in tabella 5.1 E*(23 Na)th [keV] 9850 10169 10353 10616 10770 Jπ 1+ /2 5+ /2 3+ /2 3+ /2, 5+ /2 5+ /2, 3+ /2 lmin 0 2 2 2 2 E*(23 Na)exp [keV] 9859 10151 10350 10647 10774 ∆ E th−exp [keV] -9 -18 3 -31 -4 Tabella 5.1: Livelli possibili della reazione di interesse [Firestone, 2007] 5.4 Sezione d’urto d3σ è pridΩ p dΩd dECM nelle condizioni di post collision Per studiare nel dettaglio la sezione d’urto differenziale ma necessario definire cosa si intenda per ECM prescription; in questo caso essa si definisce come: ECM = E p−22 Ne − Q2B value (5.14) Va indagato inoltre l’andamento della variabile ϑCM , cioè dell’angolo di emissione del protone nel sistema di riferimento del centro di massa tra il 22 Ne e il protone, calcolata attraverso la formula [Slaus et al., 1977] ϑCM = arccos (v19 F − vα ) · (x22 Ne − vp ) |v19 F − vα | · |x22 Ne − vp | (5.15) Considerando l’andamento della suddetta variabile in funzione di ECM (Fig. 5.15), si ottiene che la regione angolare coperta dall’apparato sperimentale è pari a 120◦ < 104 5.4 Sezione d’urto ϑCM < 160◦ . Non è però stato possibile ricavare distribuzioni angolari a causa della bassa statistica (per migliorarla andrebbero sommate gli eventi provenienti dalle ECM [MeV] coincidenze PSD1-3 e PSD2-3). 2 1.5 1 0.5 0 -0.5 -1 -1.5 -2 100 110 120 130 140 150 160 170 180 CM [deg] Figura 5.15: Matrice bidimensionale ϑCM vs ECM . Limitandoci, come detto, per l’analisi successiva agli eventi aventi 30 ≤ p s ≤ 55 MeV/c, così da selezionare la regione dello spazio delle fasi in cui il contributo proveniente dal meccanismo quasi libero è massimo, possiamo andare a misurare la d3σ , presentata in figura 5.16. sezione d’urto differenziale dΩ p Ωd dECM 105 d3m d1pd1ddECM 5.4 Sezione d’urto 45 40 35 30 25 20 15 10 5 0 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 ECM [MeV] Figura 5.16: Sezione d’urto triplamente differenziale rispetto alle variabili dΩ p , dΩd , dECM , in unità arbitrarie (30 < p s < 55 MeV/c). I fit gaussiani in figura corrispondono a quelli in figura 5.12 Come descritto nel capitolo 3.3, l’Idea del THM è quella di derivare la sezione d’urto per la reazione a due corpi a partire da una misura della sezione d’urto a tre corpi nello stato finale. Nel formalismo PWIA, la sezione d’urto sarà ricavata da 3.31, ovvero potrà essere scritta come $ dσ dΩ %o f f ∝ d3σ · [KF|Φ(p s )|]−1 dΩ p dΩ22 Ne dECM (5.16) dipendente quindi dall’inverso del fattore cinematico moltiplicato per l’impulso della particella spettatrice all’interno del nucleo Cavallo di Troia. Il calcolo di KF|Φ(p s )|2 , nelle condizioni sperimentali è stato effettuato tramite si$ %o f f dσ mulazione Monte Carlo; è stato dunque possibile ricavare tale sezione d’urto dΩ (Fig. 5.17), che mette in evidenza la presenza di numerose strutture, per altro identiche a quelle evidenziate dalla figura 5.14. 106 5.4 Sezione d’urto dm [arb.units] d1 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 0 -0.4 -0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 ECM [MeV] Figura 5.17: Andamento della sezione d’urto differenziale per la reazione a tre corpi. I punti rappresentano i dati sperimentali. L’errore orizzontale è associato al bin utilizzato mentre quello verticale è di natura statistica. Notare che ancora si vedono i due picchi sopra soglia di figura 5.14. Anche qui i fit gaussiani si rifanno ai dati esposti in tabella 5.1 Una volta effettuata un’integrazione dei dati in figura 5.17 sull’angolo solido spaziato dai rivelatori saremo in grado di ottenere una misura della sezione d’urto in unità arbitrarie. Con riferimento alle sole risonanze sopra soglia, che da adesso in poi saranno argomento della nostra analisi in quanto la regione astrofisica di nostro interesse si trova ad ECM positivi, per tenere conto delle barriere coulombiana e centrifuga si è proceduto a calcolare il fattore di penetrabilità tramite le equazioni 2.20, utilizzando quindi le cosiddette funzioni d’onda regolare ed irregolare di Coulomb (equazione 2.21), tenendo presente che tutte le risonanze che stiamo considerando presentano lmin = 2. Fatto ciò si perviene ad una misura della sezione d’urto di nucleo nudo. 107 5.4 Sezione d’urto m [barn] 1 10-1 -5 10 -9 10 -13 10 10-17 10-21 -25 10 -29 10 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 ECM [MeV] Figura 5.18: Sezione d’urto normalizzata ai dati di R-Matrix. Si nota che i punti sperimentali (triangoli rossi) sono in accordo con questi ultimi (punti neri) e all’interno delle incertezze di questi ultimi (linee nere tratteggiate). Le linee tratteggiate verticali indicano la regione di interesse astrofisico In figura 5.17 si nota che quasi tutte le misure da noi effettuate si trovano nella regione ECM < 1 MeV. Sappiamo già (capitolo 2.8), che le misure dirette a più bassa energia adesso disponibili non arrivano al di sotto di 1.1 ÷ 1.3 MeV, mentre attraverso calcolo di R−Matrix, si è potuto scendere fino a 660 keV di energia nel sistema centro di massa [Lugaro et al., 2004; Ugalde et al., 2005, 2008]. Al fine di ottenere una sezione d’urto in unità fisicamente utilizzabili (barn), si è proceduto alla normalizzazione dei dati da noi ricavati ai dati diretti nella regione dove entrambi sono presenti (660 ÷ 800 keV). Si effettua quindi una media tra le misure di R-maxrix presenti in tale regione e li si divide per la media delle misure sperimentali ivi ottenute. Si ottiene così un fattore di normalizzazione che andrà moltiplicato per questi ultimi: in questo modo otterremo finalmente una misura per la sezione d’urto in barn, non solo nella regione tra 660 e 2000 keV, ma anche nella regione tra 0 e 660 keV, range in cui non sono ad oggi presenti misure in letteratura. Il procedimento finora esposto porta alla figura 5.18. 108 Conclusioni In questo lavoro di tesi si è studiata la reazione a due corpi 19 F(α, p)22 Ne ap- plicando il metodo del Trojan Horse alle energie di interesse astrofisico (ECM = 390 ÷ 800), regione energetica nella quale ancora non esistono in letteratura infor- mazioni sulla sezione d’urto se non tramite estrapolazioni teoriche di R-matrix. Tale calcolo ha comunque come limite inferiore della regione energetica spaziata pari a circa 660 keV, sempre nel sistema del centro di massa. Risulta evidente come una misura a più basse energie possa risultare di fondamentale importanza nello studio della nucleosintesi del Fluoro. A tale scopo si è condotta una campagna di misura al Rudjer Boskovic Institute di Zagabria, dove la reazione argomento di questa tesi è stata studiata tramite la tre corpi 6 Li(19 F, p22 Ne)d, in cui si ha break-up virtuale del fascio di 6 Li, corrispondente al decadimento di una particella di 23 Na in un protone e in un nucleo di 22 Ne emesso nel suo stato fondamentale: esso è considerato il canale principale di reazione per la distruzione di fluoro in stelle AGB (sito principale per la sua produzione) in ambiente ricco di elio (He-intershell). L’analisi dati è stata condotta rivelando il deuterio, particella spettatrice nelle prescrizioni del break-up quasi libero a basse energie, tramite un telescopio ∆E − E, in cui per lo stato E si è utilizzato un rivelatore al silicio sensibile alla posizione (PSD), e lo stato ∆E da un rivelatore al silicio sottile. L’altra particella analizzata, il protone, è stata rivelata tramite un altro rivelatore PSD, posto dal lato opposto del fascio rispetto al precedente. Una volta calibrati i rivelatori, il primo passo dell’analisi prevede la selezione del canale di reazione, isolato tramite tagli grafici sulla matrice ∆E − E e su un plot bidimensionale atto a rimuovere eventuali contributi 109 Conclusioni dovuti a reazioni a due corpi parassite [Costanzo et al., 1990] . Si è quindi proceduto alla verifica della presenza del processo quasi libero e di eventuali altri contributi provenienti da reazioni a tre corpi parassite nella regione energetica spaziata. Attraverso tale studio si è potuto stabilire che il contributo del processo quasi libero alla sezione d’urto della tre corpi 6 Li(19 F, p22 Ne)d è presente e distinguibile da altri processi, ed è pertanto stato possibile procedere all’estrazione della sezione d’urto d3σ a partire dai dati selezionati. Dal confronto dei livelli differenziale dECM dΩ p dΩd da noi evidenziati per il nucleo di 23 Na con quanto presente in letteratura [Firestone, 2007], è stato evidenziato il livello a 9.85 MeV con lmin = 0 e quelli a 10.160 MeV, 10.353 MeV, 10.616 MeV e 10.77 MeV aventi lmin = 2. Si è poi proceduto a integrare la sezione d’urto a tre corpi su tutto l’angolo solido ΩCM , ottenendo evidenze di risonanze nella regione di ECM = 0 ÷ 800 keV, la quale non è mai stata indagata tramite misure dirette. Si è infine proceduto a normalizzare ai dati di R−matrix quelli da noi ottenuti nella regione in cui essi sono entrambi presenti, ottenendo così una sezione d’urto a due corpi per il processo. Tale conoscenza potrebbe rivelarsi di fondamentale importanza per meglio comprendere l’abbondanza di fluoro nelle stelle AGB, le quali ricordiamo sono le principali produttrici di quest’ultimo, nelle quali esso risulta fortemente sottostimato nella maggior parte dei casi. 110 Ringraziamenti Bla bla bla... 111 Bibliografia Abia, C., Recio-Blanco, A., de Laverny, P., Cristallo, S., Dominguez, I., and Straniero, O. (2009). Fluorine in Asymptotic Giant Branch Carbon Stars Revisited. The Astrophysical Journal, 694:971–977. Adelberger, E. G., Austin, S. M., Bahcall, J. N., Balantekin, A. B., Bogaert, G., Brown, L. S., Buchmann, L., Cecil, F. E., Champagne, A. E., de Braeckeleer, L., Duba, C. A., Elliott, S. R., Freedman, S. J., Gai, M., Goldring, G., Gould, C. R., Gruzinov, A., Haxton, W. C., Heeger, K. M., Henley, E., Johnson, C. W., Kamionkowski, M., Kavanagh, R. W., Koonin, S. E., Kubodera, K., Langanke, K., Motobayashi, T., Pandharipande, V., Parker, P., Robertson, R. 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