UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA Dipartimento di Fisica e

Transcript

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA Dipartimento di Fisica e
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA
Dipartimento di Fisica e Astronomia
corso di laurea magistrale in fisica
Giuseppe Ferdinando D’Agata
MISURA DELLA SEZIONE D’URTO 19 F(α, p)22 Ne CON IL METODO DEL
CAVALLO DI TROIA NEL CONTESTO ASTROFISICO
tesi di laurea specialistica
Relatori:
Chiar.mo Prof. Spitaleri Claudio
Dott. Pizzone Rosario Gianluca
anno accademico 2013/2014
Indice
Introduzione
1
La reazione 19 F(α , p)22 Ne Nella nucleosintesi stellare del Fluoro
6
1.1
Abbondanza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
1.1.1
Cenni sulla misura di abbondanza . . . . . . . . . . . . . .
9
Cenni di evoluzione stellare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10
1.2.1
Stelle AGB . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16
La problematica del Fluoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
17
1.3.1
la produzione di 19 F in ambiente AGB . . . . . . . . . . . .
18
1.3.2
Evidenze osservative . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20
1.3.3
Supernovae . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
26
1.3.4
Stelle di Wolf-Rayet . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
28
1.2
1.3
2
1
Misure dirette in astrofisica nucleare
32
2.1
Sezione d’urto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
32
2.2
Rate di reazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
34
2.3
Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche . . . . . . . . .
36
2.4
Il fattore astrofisico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
39
2.5
Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche . . . . . . . . .
41
2.6
Reazioni risonanti indotte da particelle cariche . . . . . . . . . . . .
44
2.7
Screening elettronico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
47
2.7.1
Screening elettronico in ambito stellare . . . . . . . . . . .
49
La reazione 19 F(α, p)22 Ne . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
50
2.8
ii
Indice
3
Misure indirette: il metodo del Trojan Horse
54
3.1
Metodo della Coulomb dissociation . . . . . . . . . . . . . . . . .
55
3.1.1
Applicazioni sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . .
56
Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient . . . . . . . . .
57
3.2.1
Applicazioni sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . .
59
Il metodo del Cavallo di Troia (THM) . . . . . . . . . . . . . . . .
60
3.3.1
Processi quasi liberi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
60
3.3.2
THM . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
61
3.3.3
Plain Wave Impulse Approximation . . . . . . . . . . . . .
62
Esempi sperimentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
69
3.2
3.3
3.4
4
Studio della reazione19 F(α, p)22 Ne tramite il Trojan Horse Method: preparazione dell’esperimento
72
4.1
Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali . . . . . .
72
4.1.1
Selezione delle condizioni cinematiche . . . . . . . . . . .
75
4.1.2
Meccanismi sequenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
77
La reazione 6 Li(19 F, d22 Ne)p con il metodo del Trojan Horse . . . .
79
4.2.1
Descrizione dell’apparato sperimentale . . . . . . . . . . .
79
Rivelatori ed elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
82
4.3.1
Position Sensitive Detectors . . . . . . . . . . . . . . . . .
82
4.3.2
Schema dell’elettronica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
83
Calibrazione dei rivelatori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
85
4.4.1
Calibrazione in posizione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
86
4.4.2
Calibrazione in energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
87
4.2
4.3
4.4
5
Analisi Dati
90
5.1
Selezione del canale di reazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
90
5.2
Selezione del Contributo quasi libero . . . . . . . . . . . . . . . . .
96
5.3
Funzione di eccitazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102
5.4
Sezione d’urto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 104
Conclusioni
109
Ringraziamenti
111
Riferimenti bibliografici
113
iii
Introduzione
In natura la gran parte degli elementi osservati sono stati prodotti all’interno delle stelle. Eccezion fatta per H, He, e Li, di cui l’universo si è arricchito in seguito
alla nucleosintesi primordiale, gli altri elementi sono stati sintetizzati in ambiente
stellare.
Le reazioni termonucleari tra particelle cariche sono responsabili della formazione
degli isotopi aventi peso atomico minore di 60, ma non sono in grado di produrre
elementi più pesanti a causa dell’aumento della barriera coulombiana, che fa diminuire la sezione d’urto di reazione tra nuclei elettricamente carichi. È altresì noto
che gli elementi appartenenti al gruppo del ferro (Fe, Ni, Cr) possiedono la massima
energia di legame per nucleone, rendendo endoenergetiche le reazioni di fusione per
questi nuclei e per quelli successivi. Se A>60 si “attivano” processi di cattura neutronica i quali, pur non contribuendo alla produzione energetica della stella, portano
un contributo importantissimo alla nucleosintesi degli elementi più pesanti.
I processi di cattura neutronica vengono classificati in processi s (cattura lenta) e
processi r (cattura veloce), a seconda dei tempi con cui questi avvengono rispetto al
decadimento β. In particolare i processi s assumono grande importanza nella formazione di elementi con numero di massa compreso tra 60 < A < 210 lungo la
valle di stabilità nucleare. La nucleosintesi di tali elementi avviene principalmente
all’interno di stelle AGB, in cui gli isotopi appena sintetizzati vengono portati in
superficie tramite un meccanismo noto come third dredge up (TDU). In questa fase
evolutiva della stella, essa è costituita da un core degenere costituito di carbonio ed
ossigeno ammantato da una shell di He e da una di H, separate da una zona sottile
detta di He-intershell (dell’ordine di 10−2 ÷ 10−3 ). Le zone più esterne della stella
1
Introduzione
sono costituite da polveri (principalmente composte da idrogeno), che si estendono
anche per centinaia di R" .
Nella regione di He-intershell, e se la temperatura è abbastanza alta, la presenza di
elementi sintetizzati dal ciclo CNO, in particolare di
tonica da
14
13
C, può portare alla formazione di
19
14
N prodotto per cattura pro-
F attraverso la catena di reazioni
N(α, γ)18 F(β+ ν)18 O(p, α)15 N(α, γ)19 F. Le stelle AGB sono l’unico sito in cui si
sia potuta confermare osservativamente la formazione di fluoro. Ci sono però evidenze che esso possa formarsi anche in Supernovae e in stelle di Wolf-Rayet, ma in
quantità minore.
Lo studio dei processi s può essere effettuato attraverso l’analisi delle abbondanze di
alcuni elementi, come per l’appunto il fluoro, il quale presenta una forte dipendenza
dalle condizioni interne della stella: la sua abbondanza è infatti legata ai processi di
mescolamento che trasportano i cosiddetti elementi s (quelli cioè che si sono formati
tramite tale processo di cattura) sulla superficie della stella, dove vengono osservati, ed ai processi di mescolamento più superficiali che alterano le abbondanze degli
elementi leggeri. Tuttavia l’abbondanza di
19
F non riesce ad essere riprodotta dai
vari modelli astrofisici, la maggior parte dei quali prevedono un’abbondanza minore
di quanto effettivamente osservato.
Se, come sembra ormai assodato, la catena principale di formazione del fluoro è
quella esposta poc’anzi, per la risoluzione del problema assumono grande importanza le vie di distruzione del
19
19
F; in ambiente AGB esso viene distrutto tramite
F(p, α)16 O e 19 F(α, p)22 Ne, reazione quest’ultima che assume preponderanza ri-
spetto all’altra negli ambienti ricchi di He, come la zona dell’inviluppo convettivo
più vicina alla shell di elio. La conoscenza di tale reazione non è però ottimale, in
quanto misure dirette al picco di Gamow, a temperature di T = 8 · 108 K, dovrebbero
estendersi nella regione energetica compresa tra 390 e 800 keV, mentre le misure a
più bassa energia esistenti arrivano ad 1.1 MeV per l’interazione tra i canali p0 e
p1 (che corrispondono al decadimento di un nucleo di 23 Na in un protone ed in un
nucleo di
22
Ne emesso nel suo stato fondamentale e nel suo primo stato eccitato
rispettivamente). Per arrivare ad ottenere dati a più bassa energia si rendono quindi
necessari procedimenti di estrapolazione.
Potrebbe quindi essere molto utile ridurre le incertezze di natura nucleare, tramite
una conoscenza più approfondita del rate di reazione, con il fine di rendere maggiormente accurati i modelli astrofisici che descrivono l’evoluzione chimica di tali
stelle ed i processi di nucleosintesi che avvengono al loro interno.
2
Introduzione
L’approfondimento di tale conoscenza presenta però un problema: i fenomeni che
ci proponiamo di studiare avvengono solitamente ad energie che sono dell’ordine
del keV, mentre l’altezza della barriera coulombiana è sempre dell’ordine di qualche MeV. In tali condizioni le sezioni d’urto si riducono all’ordine del picobarn o
inferiori, e ciò rende difficoltose − e talvolta impossibili − le misure dirette. Per tale
motivo si ricorre ad estrapolazioni della sezione d’urto a partire da valori misurati ad
energie maggiori di quelle di interesse astrofisico in una regione che presenta, in assenza di risonanze, un andamento fortemente decrescente. In questo contesto risulta
molto utile la definizione del cosiddetto “fattore astrofisico” S (E) = σ(E)Ee2πη , nel
quale la decrescita della sezione d’urto è compensata dall’introduzione del fattore
e2πη (inverso del fattore di Gamow in cui η è il parametro di Sommerfeld), e ciò rende più semplice ed accurata l’estrapolazione. Tale procedimento può però risultare
inattendibile, in quanto non tiene in considerazione l’eventuale presenza di risonanze a bassa energia, oppure code di risonanze sotto soglia. Inoltre in queste regioni
energetiche non si può neanche trascurare lo screening elettronico, effetto di riduzione della barriera coulombiana tra nuclei interagenti dovuto alla presenza di elettroni
atomici, che si traduce in un aumento della probabilità di interazione tra proiettile
e bersaglio. Poichè i modelli teorici non riescono a tenere conto adeguatamente di
tutti questi fattori, la sezione d’urto di nucleo nudo (ottenuta cioè considerando il
nucleo completamente ionizzato), che rappresenta il parametro principale per le applicazioni di carattere astrofisico, non risulta accessibile a partire da quella misurata.
Per tutti questi motivi sono stati sviluppati metodi di natura indiretta, in cui non si
studia direttamente la reazione di interesse, ma vengono presi in esame processi ad
essa correlabili, e misurabili in maniera più efficace. Tra questi il Trojan Horse Method (THM) permette di misurare la sezione d’urto di reazione tra particelle cariche
a basse energie e prive di effetti di electron screening. Tale metodo può quindi rivelarsi efficace per ridurre le incertezze a cui si era accennato, rendendo più accurati i
modelli che descrivono l’evoluzione chimica stellare.
3
Introduzione
L’idea alla base di tale metodo è quella di studiare la reazione a due corpi di
interesse astrofisico
a+ x → C +c
a partire da una tre corpi nel canale in uscita:
a+a → C +c+ s
in cui il nucleo A presenta una struttura a cluster A = x ⊕ s, e dove la particella x
funge da partecipante e la s da spettatore, secondo la teoria delle reazioni nucleari
per il break-up quasi libero. Se il processo è quasi libero, il nucleo partecipante,
interagendo con il bersaglio, darà luogo alla reazione a due corpi di interesse, mentre lo spettatore proseguirà indisturbato. Inoltre, se l’energia del proiettile è tale da
superare la barriera coulombiana tra a e A, allora il nucleo partecipante risulterà
condotto all’interno del campo nucleare di a, e la reazione avverrà senza la soppressione dovuta alla barriera coulombiana. Per lo stesso motivo la misura non risulterà
inficiata da effetti di electron screening.
Nel presente lavoro si è affrontato lo studio della reazione
19
F(α, p)22 Ne nella re-
gione di interesse astrofisico (390 ÷ 800 keV) con il metodo del Cavallo di Troia: in
tal caso utilizzeremo un nucleo di 6 Li, descrivibile come un cluster di α ⊕ d, come
particella proiettile che incide su un bersaglio di 7 LiF, con lo scopo di indurre la
reazione 6 Li(19 F, p22 Ne)d, in cui la particella α funge da partecipante e il deuterio
da spettatore.
Effettuate tutte le analisi preliminari del caso, si è proceduto allo studio della matrice ∆E − E con lo scopo di discriminare le particelle rivelate, eliminando tutte quelle
reazioni che avvengono nel bersaglio e che non sono di nostro interesse specifico.
Avendo adesso a disposizione misure soltanto su due delle tre particelle in uscita, si
è proceduto a selezionare il canale di reazione quasi libero tra tutti quelli che presentano come risultato protoni, deuteri e 22 Ne: per compiere questa azione si sfrutta
il fatto che i prodotti di reazione si distribuiscono secondo caratteristici luoghi cinematici legati ai principi di conservazione di energie ed impulso. È quindi possibile
eseguire delle simulazioni che riproducano il caso di processo quasi-libero; confrontando poi tali risultati di natura teorica con i dati sperimentali si è in grado di
compiere tale discriminazione. Tramite questa analisi è stato possibile ricavare il Q
di reazione per il processo in esame, e confrontarlo con i dati teorici. Si è quindi
passato a verificare la presenza di meccanismo quasi libero, e verificato ciò si è proceduto ad estrarre la sezione d’urto a partire dai dati selezionati. La misura indiretta
4
Introduzione
ha evidenziato la presenza di strutture risonanti nella zona energetica fino ad ora
inesplorata, e ciò potrebbe avere importanti risvolti in campo astrofisico.
Il presente lavoro di tesi è così strutturato:
• CAPITOLO 1: Esposizione delle problematiche astrofisiche connesse alla
reazione in esame.
• CAPITOLO 2: Introduzione delle grandezze necessarie allo studio delle problematiche proprie dell’astrofisica nucleare.
• CAPITOLO 3: Breve discussione di alcuni metodi indiretti (CD e ANC)
e approfondita spiegazione del THM, con breve rassegna di alcuni esempi
sperimentali.
• CAPITOLO 4: Descrizione dell’apparato sperimentale e della procedura di
calibrazione.
• CAPITOLO 5: Esposizione dei risultati ottenuti, in particolar modo della
sezione d’urto.
5
CAPITOLO 1
La reazione 19 F(α , p)22Ne Nella nucleosintesi
stellare del Fluoro
Scopo principale dell’astrofisica è quello di spiegare i fenomeni che avvengono
nell’universo, applicando leggi fisiche note e verificate in laboratorio. Una stella
può essere considerata come un sistema isotropo di particelle isogravitanti il cui
equilibrio è descritto dal teorema del viriale nella forma
1
%T & = − %U&
2
(1.1)
dove T è l’energia cinetica totale delle particelle del sistema ed U il potenziale gravitazionale. La 1.1 afferma che una stella, per rimanere in equilibrio termico, deve
spendere la metà dell’energia gravitazionale guadagnata per contrazione per aumentarne la temperatura, mentre l’altra metà supplisce alla perdita per radiazione.
All’aumentare della temperatura, la contrazione può essere rallentata dalla pressione di radiazione dovuta alla produzione interna di energia (ad esempio da parte di
reazioni di fusione nucleare). Poichè le reazioni di fusione nucleare coinvolgono
particelle cariche, al passare del tempo ed all’aumentare della temperatura, nelle
regioni centrali di una stella inizierà prima la combustione dell’idrogeno, seguita
quella dell’elio e poi degli elementi più pesanti (prodotti delle precedenti combustioni).
È perciò necessario avere degli input di carattere fisico (come per esempio la sezione d’urto della reazione o il tempo di decadimento degli isotopi instabili coinvolti),
che influenzano fortemente l’evoluzione stellare. Questo è il ruolo dell’astrofisica
nucleare, che si propone lo studio da un punto di vista teorico e sperimentale delle
6
1.1 Abbondanza
reazioni nucleari che avvengono in ambiente stellare, cercando di ridurre le incertezze con cui sono conosciute.
Argomento di questa tesi è la misura della sezione d’urto della reazione 19 F(α, p)22 Ne,
che concorre alla distruzione del 19 F nelle stelle. La misura di tale sezione d’urto e
la determinazione della sua incertezza a basse energie è fondamentale per far luce
sulla discrepanza tra l’abbondanza di 19 F osservata negli spettri stellari e le predizioni dei modelli teorici di nucleosintesi.
Prima di descrivere il lavoro sperimentale svolto, si rende necessario inquadrare il
problema a livello astrofisico, accennando alla struttura stellare a alle fasi evolutive
in cui la nucleosintesi del fluoro avviene. A tal fine introdurremo alcune osservabili
fisiche tipiche degli ambienti astrofisici, a partire dal concetto di abbondanza.
1.1 Abbondanza
L’abbondanza è una grandezza atta ad indicare la presenza di un certo elemento
o isotopo in una stella, in un ammasso, in una galassia, nell’universo primordiale,
o ancora in un qualunque ambiente astrofisico. L’abbondanza di un certo nucleo X i
sarà generalmente espressa come il rapporto [X i ]/[H] in cui X i è il numero atomi
dell’elemento i, mentre H è l’abbondanza dell’idrogeno nell’oggetto osservato.
Figura 1.1: Abbondanza degli elementi nella fotosfera del Sole in funzione del numero di massa A.
Si nota che H e He sono gli elementi più abbondanti [Asplund et al., 2009]
7
1.1 Abbondanza
L’abbondanza degli elementi nel Sistema Solare, evidenziata a partire dagli studi
di Clarke (1889), segue una particolare distribuzione, riportata in figura 1.1. È importante notare che questa distribuzione si ripete con regolarità in tutta la Galassia,
fatta eccezione per alcune anomalie locali. Questo fatto denota una certa omogeneità nei processi di nucleosintesi che determinano la formazione degli elementi. Dalla
figura 1.1 si evince come il sole non sia una stella di prima generazione (ma di almeno di seconda), dato che la nube protostellare da cui si è formato era composta anche
da elementi più pesanti di 1 A= 8, non prodotti dal Big Bang ma da una precedente
generazione di stelle, che “morendo” hanno arricchito il mezzo interstellare.
Mentre gli elementi più abbondanti − idrogeno ed elio − riflettono la composizione
di equilibrio dell’universo primordiale, tutti gli isotopi con 2 Z> 6 sono stati so-
stanzialmente sintetizzati tramite reazioni nucleari nei vari processi di combustione
stellare.
Litio, Berillio e Boro sono molto fragili a livello nucleare3 e vengono facilmente
distrutti in ambiente stellare: ciò spiega il minimo in Figura 1.1 in corrispondenza
delle abbondanze di questi elementi. Per quanto riguarda gli elementi fino ad A = 56
(cioè fino a
56
Fe), all’interno delle stelle essi vengono sintetizzati tramite reazioni
nucleari tra particelle cariche, cioè soggette alla repulsione coulombiana che ne riduce la probabilità di fusione. Si osserva perciò un andamento decrescente nelle
abbondanze da 12C a 40Ca ed un picco nell’abbondanza del ferro, in corrispondenza
della quale si trova un massimo in figura 1.1, dovuto al fatto che il
56
Fe, assieme
agli altri elementi vicini, rappresenta la specie energeticamente più stabile, a causa
dell’alta energia di legame per nucleone(Fig. 1.2).
Elementi più pesanti del
56
Fe non si possono formare esotermicamente attraverso
processi di fusione, dato che per A ≈ 56 la curva B/A (in cui B è l’energia di legame
totale) ha raggiunto il suo massimo (Fig1.2). Per A > 56 infatti le reazioni di fusio-
ne diventano endotermiche (quindi energeticamente sfavorite) in quanto il rapporto
tra energia di legame e numero di nucleoni incomincia a crescere in maniera molto
rapida. I principali responsabili della produzione di elementi con A > 60 [Burbidge et al., 1957] sono perciò processi di cattura neutronica non ostacolati dall’elevata
barriera coulombiana tra i nuclei interagenti coinvolti, che possono essere separati in
processi di cattura lenta (processo s) e veloce (processo r). Il primo è caratterizzato
1
Per A si intende il numero di nucleoni di un certo atomo
Con Z si intende il numero di protoni di una certa specie nucleare
3
Cioè hanno alta sezione d’urto di distruzione, anche ad energie relativamente basse, come verrà
discusso nel capitolo 2
2
8
1.1 Abbondanza
Figura 1.2: Andamento dell’energia di legame per nucleone B/A in funzione del numero di massa A.
da una cattura di neutroni che avviene in un tempo più lungo rispetto al decadimento
β (che tipicamente va da qualche secondo a qualche anno), facendo sì che il nuclide
instabile prodotto decada prima che un altro neutrone venga catturato. Viene così a
crearsi un isotopo stabile dell’elemento di numero atomico Z immediatamente successivo. Per quanto riguarda invece il processo r esso è caratterizzato da tempi più
brevi (dell’ordine del nanosecondo), il che permette una cattura neutronica successiva anche su isotopi instabili, prima che essi decadano permettendo la produzione
di nuclei ricchi di neutroni.
1.1.1 Cenni sulla misura di abbondanza
Per conoscere le caratteristiche fisico-chimiche di una stella si analizza la radiazione elettromagnetica da essa emessa, con particolare attenzione per lo studio della
distribuzione dell’energia in funzione della lunghezza d’onda: essa infatti consente
di avere informazioni sulla temperatura e sulla composizione chimica dell’oggetto
osservato.
Uno spettro stellare può essere schematicamente scomposto, ad una data temperatura, in una componente continua e in una discreta, formata da linee di assorbimento;
la luce, emessa dall’interno della stella come spettro di corpo nero, viene assorbita
dalla fotosfera e da eventuali nubi interstellari che si frappongono tra l’osservatore
e l’oggetto, portando alla formazione di righe di assorbimento. Le righe presenti
in uno spettro stellare dipendono dalle specie chimiche presenti (ogni elettrone può
assorbire un quanto di energia pari a quella necessaria per spostarsi dal livello na9
1.2 Cenni di evoluzione stellare
turale a quello di eccitazione) e dalla temperatura della fotosfera, fornendo perciò
informazioni sulla composizione chimica e sulle caratteristiche fisiche dell’oggetto
osservato. Il coefficiente di assorbimento di una riga, detto lv , definito come frazione
di radiazione assorbita da una riga rispetto al continuo, è proporzionale al numero
di atomi di una certa specie X:
lv ∝
f Xi − Ni
ρ
(1.2)
dove Xi è la frazione di massa dell’elemento i, ρ è la densità, Ni il numero di atomi
in grado di popolare il livello atomico responsabile della riga di assorbimento ed f
la forza dell’oscillatore [Gray, 2005].
Dall’analisi dello spettro di una stella e dalle dimensioni e posizioni delle righe di
assorbimento si possono estrarre informazioni sulla composizione chimica.
1.2 Cenni di evoluzione stellare
Per misurare le abbondanze elementali nella galassia, si può anche rincorrere
a dati che provengono da misure geochimiche di abbondanze nella crosta terrestre
e in rocce meteoriche. Tuttavia, poichè tutti gli isotopi del fluoro sono volatili, la
spettroscopia stellare è l’unica tecnica abile a fornirci informazioni utili sulla sua abbondanza nelle stelle. In particolare il fluoro “osservato” è 19 F, essendo esso l’unico
isotopo stabile dell’elemento. La sua distruzione, come vedremo in seguito, avviene principalmente attraverso la reazione
19
F(α, p)22 Ne, che è argomento di questa
tesi. In ambiente stellare questa reazione avviene in un intervallo di energia specifico (detto finestra di Gamow4 ), legato alla temperatura ed alla massa della stella. È
perciò importante descrivere i siti astrofisici della nucleosintesi del fluoro.
In astrofisica le stelle vengono classificate sulla base delle loro caratteristiche spettrali (classificazione spettrale). Tale classificazione dispone le stelle a seconda
della loro temperatura, in ordine decrescente, nei tipi spettrali O, B, A, F, G, K,
M, ognuno suddiviso in dieci sottoclassi (B0, B1, B2...B9, A0, A1...), secondo la
tabella 1.1[Castellani, 1985].
4
Ne parleremo nel capitolo 2
10
1.2 Cenni di evoluzione stellare
Classe
O
B
A
F
G
K
M
Temperatura (K)
≥ 33000
10000 − 33000
7500 − 10000
6000 − 7500
5200 − 6000
3700 − 5200
≤ 3700
Massa (m" )
≥ 16
2, 1 − 16
1, 4 − 2, 1
1, 04 − 1, 4
0, 8 − 1, 04
0, 45 − 0, 8
0, 08 − 0, 45
Raggio (r" )
≥ 6.6
1, 8 − 6, 6
1, 4 − 1, 8
1, 15 − 1, 4
0, 96 − 1, 15
0, 7 − 0, 96
≤ 0, 7
Luminosità (L" )
≥ 30000
25 − 30000
5 − 25
1, 5 − 5
0, 6 − 1, 5
0, 08 − 0, 6
≤ 0, 08
Tabella 1.1: Classificazione spettrale e parametri fisici di riferimento per ciascuna classe (espressi in
funzione dei valori solari)
Agli inizi del XX secolo Hertzprung e Russel organizzarono in un diagramma
le stelle a seconda della loro magnitudine assoluta5 (o della luminosità) e della della classe spettrale (o della temperatura), ottenendo il diagramma in figura 1.3, che
prende il nome di diagramma H-R in loro onore. Organizzando i dati in tale dia-
Figura 1.3: Popolazione stellare in base alla classificazione spettrale, alla temperatura ed alla
magnitudine assoluta
gramma, si osserva che la maggior parte delle stelle occupa la regione attorno alla
cosiddetta linea di sequenza principale, corrispondente alla fase di bruciamento cen5
Per magnitudine assoluta si intende la magnitudine apparente che un oggetto avrebbe se si trovasse ad una distanza dall’osservatore di 10 parsec. A sua volta la magnitudine apparente rappresenta
una misura della sua luminosità rilevabile da un punto di osservazione (ad esempio dalla Terra). Essa
si calcola come m x − m x0 = −2, 5log10 F/F x0 , in cui m è la magnitudine ed F x il flusso osservabile
nella banda x, con il pedice 0 che indica un oggetto di riferimento, solitamente il sole
11
1.2 Cenni di evoluzione stellare
trale di idrogeno, che viene convertito in elio nel nucleo. Questa infatti è la fase più
lunga dell’evoluzione stellare, indipendentemente dalla massa di ogni oggetto.
La conversione di H in He può avviene attraverso network di reazione differenti, che
sono responsabili della produzione di energia emessa dalla stella. La temperatura
del nucleo stellare determinerà quale percorso di reazioni domina la produzione di
energia. A basse temperature, come mostrato in figura 1.4, domina quella che viene chiamata catena p-p (processo tipico di stelle con massa inferiore a ≈ 1.2 M" ),
mentre ad alte domina il ciclo CNO (Carbonio Azoto Ossigeno).
Figura 1.4: Rendimenti energetici della catena pp e del ciclo CNO in funzione della temperatura. Per
T < 15 · 106 K domina la prima, mentre a temperature superiori domina la seconda.
12
1.2 Cenni di evoluzione stellare
La catena p-p, che fonde quattro protoni per formare un nucleo di elio, inizia a
diventare efficiente a temperature dell’ordine di 6·106 K e si realizza principalmente
attraverso la catena di reazioni:
H + H →2 H + e+ + νe
d + p → 3H + γ
3
He + 3 He → 4 He + 2p
Q=1.18 MeV
Q=5.49 MeV
Q=12.86 MeV
Essa, detta catena PPI, rappresenta la serie di reazioni più probabili (circa 86%).
Con minore probabilità (14%) possono presentarsi anche le catene PPII e PPIII
3
3
He(4 He, γ)7 Be(e− , ν)7 Li(p, α)4 He
He(4 He, γ)7 Be(p, γ)8 B(e+ , ν)8 Be(α)4 He
Per quanto riguarda il ciclo CNO, proposto dal fisico tedesco Hans Bethe nel
1938, esso ha sempre come risultato netto la produzione di energia tramite la fusione di quattro protoni in un nucleo di elio, ma tale ciclo avviene sfruttando come
catalizzatori nuclei di carbonio, azoto e ossigeno. Essa si compone di due fasi: la
prima (il cosiddetto ciclo CN) procede attraverso le reazioni
12
C + p → 13 N + γ
13
N → 13C + β+ + ν
13
C + p → 14 N + γ
14
N + p → 15 O + γ
15
O → 15 N + β+ + ν
15
N + p → 12C + 4 He
Q=1.94 MeV
Q=1.51 MeV
Q=7.54 MeV
Q=7.29 MeV
Q=1.76 MeV
Q=4.96 MeV
E la seconda che parte da 15 N + p, che ha un 0.04% di probabilità di dar luogo a
16
O + p → 17 F + γ
17
F → 17 O + e+ + ν
17
O + p → 14 N + 4 He
Q=0.60 MeV
Q=2.22 MeV
Q=1.19 MeV
Tale ciclo non può iniziare finchè non è presente almeno uno dei catalizzatori[Kippenhahn
and Weigert, 1990]; inoltre il ciclo CN non parte se non si raggiungono temperature
dell’ordine di 1.5 · 107 K, mentre il secondo gruppo necessita di temperature ancora
13
1.2 Cenni di evoluzione stellare
maggiori (2 · 107 K). È da notare che le piccole sezioni d’urto della p(p, e+ ν)d e
della 14 N(p, γ)15 O determinano la lunga durata della fase della sequenza principale.
Dopo che l’idrogeno presente nelle regioni centrali della stella è stato convertito in
elio, la pressione gravitazionale non è più equilibrata dalla produzione di energia
nucleare e quindi la stella si contrae. Essa lascia la sequenza principale, ed il conseguente aumento della temperatura fa sì che il bruciamento dell’idrogeno si inneschi
in uno strato attorno al nucleo, detto shell, aumentando la luminosità della stella
(a temperatura efficace quasi costante) e disponendosi nel ramo delle giganti rosse,
anche detto Red Giant Branch (RGB).
Durante questa fase il nucleo centrale di elio, alimentato dalle reazioni di fusione
della shell sovrastante, continua a contrarsi, fino a diventare elettronicamente degenere6 . Gli strati esterni della stella si espandono raffreddandosi sino a diventare convettivi7: la convezione penetrerà all’interno della stella fino a raggiungere gli strati
in cui l’idrogeno era precedentemente stato convertito in elio. Tale mescolamento,
noto come primo dredge-up, modifica le abbondanze superficiali (in particolare di
C e N). Se il nucleo non raggiunge massa di 0.45 ÷ 0.55 M" (a seconda della sua
composizione chimica) si attiva il bruciamento dell’idrogeno in shell con il nucleo
di elio che rimane inerte; se invece supera tale limite si attiva il bruciamento dell’elio nel core della stella: in una prima fase si fondono due particelle α per formare
8
Be, il cui stato fondamentale ha vita media di 10−16 sec, tempo abbastanza lungo
rispetto ai 10−19 sec tipici di attraversamento del nucleo da parte di una particella α
[Iliadis, 2007]. A questo punto il 8 Be “vive” abbastanza da catturare un nucleo di
elio per produrre 12C 8 .
A temperature di 2 · 108 K il carbonio è in grado di catturare un’altra particella α e
di trasformarsi in ossigeno, con emissione di γ tramite la reazione 12C(α, γ)16 O, ma
tale processo è più lento di quello che porta alla produzione di carbonio.
Il processo che da tre particelle α porta alla formazione di 12C si innesca in materia
elettronicamente degenere. Questo rende valida l’equazione di stato non relativistica, per la quale la pressione P ∝ ρ5/3 è poco sensibile all’aumento della temperatura,
6
Quando la materia viene compressa fino a densità dell’ordine 106 ÷ 108 g/cm3 , gli elettroni
manifestano tra loro una repulsione di natura quantistica, legata al principio di Pauli, a causa della
loro natura fermionica: non possono coesistere più di due fermioni con spin antiparalleli nello stesso
stato quantico.
7
La convezione è un movimento di materia per mezzo della quale viene trasportato il calore,
che si instaura quando il trasporto per radiazione non è sufficiente a convogliare verso l’esterno tutta
l’energia prodotta
8
Tale reazione avviene in presenza di una risonanza del 12C vicina al Q di reazione (7.68 MeV),
che ne aumenta il rate [Rolfs, 1988]
14
1.2 Cenni di evoluzione stellare
finchè l’energia è tale che la degenerazione non viene rimossa. Ciò avviene attraverso reazioni che hanno luogo in regimi quasi esplosivi (He-flash9 ). A questo punto la
stella si colloca nel diagramma H-R (Fig. 1.4) ad una luminosità inferiore a quella
che aveva al termine di RGB, in quella parte che viene chiamata HB (Horizontal
Branch). La combustione centrale di He porta alla formazione di nuclei di carbonio ed ossigeno, che si accumulano al centro della stella. Quando tutto l’elio sarà
convertito in C e O, l’energia verrà fornita alla stella in parte dalla contrazione ed in
parte dalla combustione in shell, fino a quando non si arriva all’innesco della shell
di He che circonda il nucleo di CO; si instaura così un regime caratterizzato da due
bruciamenti alternati in shell (radiativo della shell di H e convettivo per quella di He)
e la stella raggiunge il cosiddetto ramo asintotico delle giganti (AGB), che prende il
nome dal modo con cui le tracce evolutive si avvicinano al ramo delle giganti (Fig.
1.5). Le stelle AGB sono uno dei possibili siti di nucleosintesi di F e perciò sono di
nostro interesse, poichè in esse ha luogo la reazione 19 F(α, p)22 Ne, che è argomento
di questa tesi.
Figura 1.5: Diagramma H-R dell’evoluzione stellare fin qui descritta
9
Tale fenomeno è possibile in quanto i tempi necessari ad espandere a livello locale il gas sono
più lunghi di quelli nucleari necessari per la reazione 3α
15
1.2 Cenni di evoluzione stellare
1.2.1 Stelle AGB
Le shell di idrogeno ed elio sono separate da una zona sottile (dell’ordine di
10−2 ÷ 10−3 M" ), chiamata He-intershell. La parte più esterna della stella viene chia-
mato inviluppo convettivo, ed è costituita da una atmosfera “fredda” e polverosa
composta in prevalenza da idrogeno, che può estendersi anche per centinaia di R" .
Nella shell di idrogeno, quando essa è attiva, viene prodotto elio, con i processi nucleari di cui si è discusso nel paragrafo precedente; esso, essendo più pesante,
tenderà ad accumularsi nella He-intershell, provocando così un aumento di temperatura e densità nelle zone più interne, fino a quando non si raggiungono le condizioni
fisiche necessarie ad “accendere” la shell che brucia elio.
Gli episodi di innesco del bruciamento di He vengono detti pulsi termici (Fig.1.6).
Figura 1.6: Schema di un episodio convettivo. Si noti come la zona convettiva, generata dal pulso termico, copra l’intera intershell di elio. Dopo circa 200 anni la convezione esterna
penetra verso l’interno [Straniero et al., 2006]
Un pulso termico può essere così descritto: raggiunte le giuste condizioni di massa
di elio, la temperatura della relativa shell aumenta abbastanza da innescare processi
estremamente rapidi, dando vita al flash.
A causa di ciò si forma una zona convettiva che si estende dalla shell in cui brucia
He a quella che brucia idrogeno (fenomeno chiamato pulse driven convective pocket o PDCZ), provocando così un mescolamento dei prodotti di reazione relativi al
processo 3α, essenzialmente 12C nella regione di intershell [Straniero et al., 2006].
L’energia rilasciata in questa fase provoca un’espansione e quindi un raffreddamento
della shell di H, al punto tale che essa si spegne e la shell di He si stabilizza, inizian16
1.3 La problematica del Fluoro
do una fase che viene detta di bruciamento quiescente. L’elio diminuisce, la shell
tende a spegnersi e ciò permette alla convezione superficiale di penetrare gli strati
dove era attiva la shell di idrogeno e quelli superiori della shell di elio, distribuendo
il carbonio e gli altri elementi prodotti dalla 3α in superficie, cambiandone così la
composizione chimica e dando vita a quello che prende il nome di terzo dredge-up.
Nei casi in cui questo fenomeno è più pronunciato, l’inviluppo può penetrare molto in profondità, portando in superficie grandi quantità di carbonio. In particolare,
trasportando carbonio dall’interno della stella alla superficie, tale fenomeno modificherà il rapporto C/O superficiale, rendendolo maggiore di uno.
Al termine della combustione dell’elio la stella ricomincia a contrarsi, quindi aumenta la sua temperatura interna, mentre l’inviluppo esterno si espande e si raffredda. In questa fase la shell di H brucia verso l’esterno accumulando elio, fino
a quando la shell di elio non può attivarsi di nuovo, dando luogo ad un altro pulse
termico: essi possono essere molteplici e sono molti i modelli teorici che cercano
di rendere bene conto di questo fenomeno (un esempio di ciò può essere trovato in
Cristallo et al. [2011]; Cristallo et al. [2009]).
1.3 La problematica del Fluoro
L’origine del fluoro nella Galassia è tuttora discussa ed esistono ancora poche
osservazioni spettroscopiche. Esse sono rese problematiche dalla scarsa abbondanza di F rispetto ad altri elementi (ad esempio C, N, O, ...), il che ne determina righe
spettrali di bassa intensità, e dalla mancanza di linee spettrali nella regione del visibile: le uniche linee atomiche (transizioni dal ground-state di FI ) potrebbero essere
rilevate nel profondo U-V. Quello che infatti si rivela sono le linee della transizione
molecolare di HF, osservabili nel vicino infrarosso (a circa 23000 Å). Si usa spesso la linea relativa alla transizione HF(1-0)R9 [Recio-Blanco et al., 2012; D’Orazi
et al., 2013], la quale è considerata il miglior indicatore per l’abbondanza di fluoro10
[Abia et al., 2009; Lucatello et al., 2011].
I meccanismi stessi di produzione e distruzione del fluoro non sono ben compresi.
In ambienti stellari ricchi di H e He il fluoro viene facilmente distrutto rispettivamente attraverso le reazioni19 F(p , α)16 O e
19
F(α , p)22 Ne. Questo fa sì che la
sua abbondanza sia la più bassa tra tutti gli elementi leggeri con numero atomico
10
Tale linea viene identificata ad esempio grazie al CRiogenic high-resolution InfraRed Echelle
Spectrograph (CRIRES)[Recio-Blanco et al., 2012]
17
1.3 La problematica del Fluoro
6 ≤ Z ≤ 20 [Abia et al., 2009]. Ad oggi sono stati proposti tre possibili siti stellari
per la nucleosintesi di 19 F:
• He-Burning in stelle AGB di massa compresa tra 2 ÷ 4 M" ;
• Supernovae di tipo II (SNe II);
• H-Burning nelle stelle di Wolf-Rayet;
1.3.1 la produzione di 19F in ambiente AGB
Nelle stelle AGB il fluoro viene prodotto tramite la catena di reazioni:
14
N(α, γ)18 F(β+ ν)18 O(p, α)15 N(α, γ)19 F
(1.3)
in cui 14 N è stato prodotto dal ciclo CNO per cattura protonica su 13C. La catena sopra riportata ha tuttavia luogo nella regione della stella ricca di He, dove è altamente
probabile che il 14 N catturi un nucleo di elio per formare 18 F, nucleo instabile con
vita media di 109.8 minuti, che a sua volta decadrà in
18
O. La presenza di proto-
ni permette a quest’ultimo di bruciare tramite la 18 O(p, α)15 N, che a sua volta può
interagire con una particella α e portare infine 19 F tramite la reazione 15 N(α, γ)19 F
[Forestini, 1992]. Un nucleo di
22
18
O può anche catturare una particella α e portare
11
alla produzione di Ne .
Il nucleo 14 N si trova nella regione di He-intershell di una stella AGB e può essere
sintetizzato in situ a seguito di una penetrazione di protoni al momento del terzo
Dredge-up attraverso la catena di reazioni
12
C(p, γ)13 N(β+ ν)13C(p, γ)14 N
(1.4)
Questo fenomeno, noto come formazione di 13C pocket (o tasca di 13C) è stato largamente discusso in letteratura in quanto la reazione
22
13
C(α, n)16 O è, assieme alla
Ne(α, n)25 Mg, la sorgente principale di neutroni per il processo s, tipico della nu-
cleosintesi AGB.
Data la grande sezione d’urto della reazione
14
N + n questo isotopo è noto come
“veleno” del processo s perchè assorbe i neutroni liberati dalla 13C(α, n)16 O impedendone la cattura da parte di nuclei più pesanti. Tuttavia la reazione 14 N(n, γ)15 N
è importante ai fini della produzione di 19 F in quanto propedeutica alla catena:
14
N(n, γ)15 N(α, γ)19 F
11
(1.5)
La produzione di 22 Ne attraverso tale processo avviene nei primi pulsi termici, poiché richiede
temperature più elevate [Wasserburg et al., 1995]
18
1.3 La problematica del Fluoro
Essa risulta però poco efficiente, in quanto la 14 N(n, γ)15 N è circa 10 volte più lenta
rispetto alla 14 N(n, p)14C [Fowler et al., 1967; Brehm et al., 1988].
Altra possibilità è che
18
O assorba un neutrone, producendo
19
O che a sua volta
decade β− in un nucleo di 19 F
14
N(α, γ)18 F(β+ ν)18 O(n, γ)19 O(β− ν)19 F
(1.6)
L’efficienza di questo canale di produzione è tuttavia legata all’incertezza della reazione 18 O(n, γ)19 O:
19
O infatti ha un’alta sezione d’urto di cattura per neutroni12 .
Da quanto detto finora è chiaro che la catena 1.3 sarà dominante. Il fluoro, che al
termine di ciascun pulso termico verrà portato in superficie dal terzo dredge-up, è
però molto fragile. Esistono tre tipi di reazioni che distruggono fluoro in ambiente
AGB:
19
F(α, p)22 Ne
(1.7)
19
F(n, γ)20 F
(1.8)
F(p, α)16 O
(1.9)
19
La predominanza di una di queste tre reazioni sulle altre è fortemente influenzata
dalla presenza di protoni, neutroni o nuclei di elio: la 1.7 avviene infatti nelle regioni
di He-intershell, mentre la 1.8 è causata dalla cattura di neutroni ad alta energia
prodotti da
13
C(α, n)16 O e 22Ne(α, n)25 Mg e la 1.9 in ambienti ricchi di protoni.
Per quanto riguarda questo lavoro di tesi ci siamo occupati della 1.7.
12
pari a 5.4 mb a 30 keV [Bao and Kappeler, 1987]
19
1.3 La problematica del Fluoro
1.3.2 Evidenze osservative
Le prime osservazioni di fluoro in ambiente stellare sono dovuta a Jorissen, Smith e Lambert che nel 1992 ne misurarono l’abbondanza in un campione di stelle13 ,
trovandola maggiore rispetto a quella solare. Contemporaneamente fu messa in evidenza una correlazione tra il 19 F ed il rapporto C/O, il quale, come evidenziato nel
paragrafo precedente, aumenta in corrispondenza del terzo dredge-up [Busso et al.,
1999]. Esempi di spettri relativi al fluoro sono riportato in figura (1.7a) e (1.7b).
Le AGB di piccola massa osservate, nelle quali è confermata la produzione di fluoro, rendono bene conto dell’abbondanza di tale elemento nella Galassia, mentre
osservazioni relative a stelle appartenenti a LMC e ω Cen mostrano un’abbondanza
relativa F/O che decresce al crescere dell’abbondanza dell’ossigeno, il che farebbe
supporre ad una maggiore produzione di fluoro in stelle più massicce [Cunha et al.,
2003; Renda et al., 2005].
ID Target
HD 50281
HD 65486
HD 85512
HD 101581
HD 111261
HD 131977
HD 156206
HD 209100
HD 216803
T e f f (K)
4658 ± 56
4660 ± 66
4505 ± 176
4646 ± 96
4529 ± 62
4693 ± 80
4568 ± 94
4629 ± 77
4555 ± 87
logε(F)14
4.53 ± 0.20
4.47 ± 0.20
4.73 ± 0.20
4.61 ± 0.20
4.44 ± 0.20
5.16 ± 0.20
4.41 ± 0.20
4.75 ± 0.20
4.64 ± 0.20
Tabella 1.2: Esempi di stelle che evidenziano presenza di fluoro. In figura1.7a è raffigurato lo spettro
della stella indicata in rosso
13
14
il loro studio era focalizzo sulle giganti rosse [Jorissen et al., 1992]
i
]
logε = log [X
[H] − 12
20
1.3 La problematica del Fluoro
(a)
(b)
Figura 1.7: a)Spettro per la stella di classe spettrale K HD 131977 (punti rossi), appartenente alla
costellazione della Bilancia; in riquadro lo zoom relativo alla riga R9 (1-0) della molecola
HF a λ + 23358 Å. In tabella 1.2 sono riportati alcuni parametri atmosferici [Santos
et al., 2004; Sousa et al., 2006] e le abbondanze di fluoro per alcune stelle [Recio-Blanco
et al., 2012]
b)Esempi di spettri con sintesi di HF a λ + 2.3358 µm per HD 110281, stella di classe
spettrale K appartenente alla costellazione della Vergine, e HD 135148, della stessa classe
spettrale ma appartenente alla costellazione del Serpente [Li et al., 2013]
21
1.3 La problematica del Fluoro
Figura 1.8: Abbondanze osservate da Jorissen (prima riga in alto) per diverse stelle, rispetto a quelle
previste da vari modelli (seconda riga) [Lugaro et al., 2004]
Il modello di nucleosintesi discusso nei paragrafi precedenti non riesce però a
spiegare l’elevata abbondanza misurata (Fig. 1.8): si nota infatti che solo una piccola parte dell’abbondanza osservata si può giustificare teoricamente. A parità di
rapporto C/O infatti l’abbondanza di fluoro effettivamente osservata risulta sempre
maggiore di quanto previsto.
Per ovviare a questo problema si è ipotizzata la presenza di processi di extra mixing
alla base dell’inviluppo convettivo, noto come cool bottom processing (CBP) [Wasserburg et al., 1995; Lugaro et al., 2004]: esso consiste in un lento mescolamento di
materiale, dalla base dell’inviluppo convettivo alla shell di H. Durante questo percorso il materiale trasportato può essere esposto a cattura protonica [Nollett et al.,
2003], e questo processo consente di diminuire il rapporto 12C/13 C e
tre ad un aumento di abbondanza di
14
12
C/16 O, ol-
N [Uttenthaler et al., 2008; Palmerini et al.,
2011a,b].
Il Cool Bottom Process è un fenomeno tipico delle giganti rosse di piccola massa (M < 2.3M" ), mentre in oggetti più massicci (4 ÷ 8 M" ) la base dell’inviluppo
convettivo può raggiungere temperature di ∼ 107 K a cui possono aver luogo alcu-
ne reazioni di cattura protonica: questo fenomeno prende il nome di Hot Bottom
22
1.3 La problematica del Fluoro
Burning (HBB)[Frost and Lattanzio, 1996]. Sia HBB che CBP hanno come effetto
il mutamento delle abbondanze superficiali della stella dove hanno luogo, con una
diminuzione di 12C e 18 O, un aumento di 14 N e 15 N (tipiche “firme” del bruciamento
del ciclo CN), e variazioni delle abbondanze di
17
O. Anche l’abbondanza superfi-
ciale di 19 F può essere modificata dall’effetto di CBP e HBB, che determinano una
diminuzione di tale isotopo a seguito della reazione 19 F(p, γ)20 Ne e 19 F(p, α)16 O.
Figura 1.9: Abbondanza del fluoro osservata da Jorissen tenendo conto della partial mixing zone
[Jorissen et al., 1992]
Una migliore conoscenza della nucleosintesi del fluoro sarebbe importantissima
per la comprensione dell’evoluzione delle stelle AGB, anche per stelle di basse metallicità15 e di popolazione II, come viene evidenziato nei lavori di Lucatello et al.
[2011].
Rispetto a quanto affermato da Lugaro et al. [2004], in tempi più recenti le misure
sono state corrette da Abia et al. [2009], i quali sono riusciti a ridurre sistematicamente, per stelle AGB ricche di carbonio, l’abbondanza di fluoro di un fattore 0.8.
Adesso le stelle AGB di piccola massa e bassa metallicità sono in accordo con le
previsioni teoriche. Tali risultati comunque non tolgono alle stelle AGB il ruolo im-
15
In astronomia, la metallicità di un oggetto è la quantità adimensionale indicante la frazione in
massa di elementi presenti nella stella rispetto a specie diverse da idrogeno o elio, come ad esempio
ferro, carbonio o ossigeno.
23
1.3 La problematica del Fluoro
portante che esse ricoprono nella produzione di fluoro e non riescono in ogni caso a
riprodurre le predizioni teoriche per stelle più massicce.
Un caso particolare di stelle AGB: le C-EMP
Le stelle Carbon-enhanced metal-poor (C-EMP) forniscono un’ottima opportunità di misurare direttamente il
19
F in stelle AGB di piccola massa e a bassa me-
tallicità. Queste stelle sono chimicamente peculiari in quanto caratterizzate da una
sovrabbondanza di carbonio ([C/Fe] > 1)16 . Questa abbondanza anomala, unita a
quelle di Azoto e Ossigeno, sempre rispetto al ferro, fanno pensare che per queste
stelle vi siano stati grossi contributi alla nucleosintesi provenienti da bruciamento di
idrogeno (per l’aumento di N) e dal bruciamento di elio (per l’aumento di C e O).
Esse rappresentano circa il 10% − 20% delle stelle con [Fe/H] ≤ −2.5.
Abbiamo vari tipi di C-EMP[Lucatello et al., 2011]
• C-EMP-s: caratterizzate da nucleosintesi che avviene tramite processi s (circa
80% di quelle osservate)[Aoki et al., 2007];
• C-EMP-r: procedono nella nucleosintesi tramite processi r;
• C-EMP-rs: presenti sia il processo r che quello s;
• C-EMP-no: non presentano arricchimento;
Lucatello et al. [2005] hanno mostrato che le C-EMP-s appartengono a sistemi binari, composti da una stella di piccola massa (M ∼ 0.8 M") e una leggermente più
grande (tra 1.2 e 2.5 M", il range esatto dipende dalla metallicità). A seguito dei
venti stellari la stella più massiccia “morente“ passa alla compagna i materiali da
essa processati, che possono essere riscontrati sulla superficie di quella ancora presente (ma spesso non ancora in fase AGB). Ciò permette misure di abbondanza di
materiali come il fluoro ed elementi s nel caso delle C-EMPs (Fig.1.10).
16
Alcuni autori usano cut-off differenti a seconda dello stato di evoluzione della stella, adottando
[C/Fe] + 0.5
24
1.3 La problematica del Fluoro
Figura 1.10: Abbondanze misurate in funzione di T e f f per una serie di stelle[Lucatello et al., 2011].
I triangoli capovolti rappresentano i limiti superiori. Si noti la correlazione tra essi e
la temperatura efficace, il che indica come i limiti più stringenti si possano ottenere per
stelle più fredde
Tuttavia le stelle C-EMP sono ancora oggetti molto misteriosi. In particolare
per le C-EMP-no (quelle cioè che non mostrano tracce di elementi s) Fujimoto et al.
[2000] hanno suggerito che esse possano essere diventate C-enhanced attraverso un
percorso di auto-arricchimento a causa di un anomalo processo di mixing specifico
per stelle di bassa metallicità, senza aver attraversato la fase AGB. In alternativa, come Ryan et al. [2005] hanno suggerito, si potrebbero essere originate da gas ricchi di
carbonio, possibilmente contaminati da una precedente generazione di supernovae
il cui fall-back ha evitato l’espulsione di elementi più pesanti durante l’esplosione.
D’altra parte le abbondanze nelle C-EMP-no possono essere prodotte da trasferimenti di materia da stelle AGB di piccola massa prima di qualunque processo di
produzione di elementi s [Ryan et al., 2005; Masseron et al., 2010], o alternativamente da stelle AGB la cui evoluzione sia stata interrotta dall’interazione binaria
con la compagna, ancora visibile[Izzard and Tout, 2003].
Eventuali misure di abbondanza di F (1.11) sarebbero di cruciale importanza nel
provare l’origine della composizione chimica osservata nelle C-EMP-no.
25
1.3 La problematica del Fluoro
Figura 1.11: Abbondanze di Fluoro in funzione di C+N per dieci C-EMP. I triangoli invertiti indicano
i limiti superiori, i simboli verdi sono stelle CEMP-no. Tutte le linee indicano modelli
teorici [Lucatello et al., 2011]
1.3.3 Supernovae
Con il termine Supernova (SN) si indica un evento esplosivo estremamente energetico. Al picco di luminosità una SN può aumentare di 20 magnitudini (100 milioni di volte) e raggiungere 1010 luminosità solari, emettendo quindi come un’intera
galassia. Che si sia di fronte ad un fenomeno distruttivo è rivelato, oltre che dall’enorme quantità di energia emessa, dalle velocità di espansione osservate, che si
aggirano attorno ai 104 km/sec.
Se ne classificano di due tipi:
• Supernovae di tipo I (SNe I):hanno curve di luce ben caratteristiche e prati-
camente sovrapponibili, con una prima rapida discesa di circa tre magnitudini
seguita da un più lento e regolare declino (Fig 1.12);
• Supernovae di tipo II (SNe II): hanno invece un continuo e regolare declino
(SNII lineari) in alcuni casi interrotto da un periodo in cui la luminosità cessa
quasi di decrescere (SNII plateau)(Fig 1.13)
Una ulteriore differenza tra SNe I e SNe II sta nel fatto che nello spettro della
seconda si rileva idrogeno, mentre nella prima no.
Per quanto riguarda le SNe I
esse sono oggetti stellari “strani”, in quanto sono osservabili anche in galassie ellittiche, quindi in popolazioni antiche, dove stanno evolvendo solo stelle di piccola
massa. Per questo si è ipotizzato che esse siano generate da sistemi binari stretti, al
26
1.3 La problematica del Fluoro
Figura 1.12: Curva di luce composita ottenuta sovrapponendo i dati osservativi di 38 SN di tipo I
[Castellani, 1985].
Figura 1.13: Curve di luce per varie Sne di tipo II (SN 1987a, SN 1999em, SN 2003hh). Per confronto si riporta anche i dati per SN II ottenti da Suntzeff e Bouchet (1990) (linea
continua)
pari delle binarie cataclismiche17 e delle Novae [Castellani, 1985].
Le SN II costituiscono la fase evolutiva finale di oggetti massicci (M ! 10M" ), e
sono anch’esse tra i possibili siti di produzione di fluoro. Ci si attende che nell’esplosione tali stelle espellano nello spazio gli strati sovrastanti il nucleo centrale di
Ni e Fe neutronizzato, lasciando come “remnant” o una stella di neutroni o un buco
nero.
17
Stelle che aumentano improvvisamente la loro luminosità (tipicamente di 3 o 4 magnitudini),
che rimangono in questo stato per alcuni giorni, per tornare poi a quello quiescente e ripetere il
fenomeno a distanze temporali irregolari (settimane o mesi)[Castellani, 1985]
27
1.3 La problematica del Fluoro
La gran parte del Fluoro in questa situazione è prodotto per spallazione18 di
20
Ne, con conseguente produzione di neutrini µ e τ [Woosley and Haxton, 1988;
Woosley et al., 1990]; di esso, una frazione così creata viene distrutta in situ, ma la
maggior parte viene restituita al mezzo interstellare (ISM). Un ulteriore sorgente di
19
F è rappresentata dal ciclo CNO pre-esplosivo relativo alla shell di elio, ma come
già detto il processo di spallazione rimane dominante. Renda et al. [2004] e Heger
et al. [2005], hanno suggerito che la sezione d’urto per i neutrini andasse rivista al
ribasso, e se ciò venisse confermato, la produzione di fluoro nelle stelle di tipo SNe
II diminuirebbe del 50%.
1.3.4 Stelle di Wolf-Rayet
All’inizio del paragrafo abbiamo indicato come possibile sede di produzione di
19
F anche le cosiddette stelle di Wolf-Rayet (WR). Esse, che prendono il nome da
coloro i quali le osservarono per primi (1867), identificandone tre nella costellazione
del Cigno, sono oggetti estremamente particolari: sono infatti stelle estremamente
calde (25000 K ≤ T e f f ≤ 50000 K) e piuttosto massicce (M ≥ 20" ), caratterizza-
te da venti stellari molto forti (v ≥ 2000 km/sec) [Tuthill et al., 1998]. Se pur in
piccola parte, esse contribuiscono all’arricchimento chimico delle galassie e sono
accreditate come le possibili sorgenti di Gamma ray bursts19 lunghi (solitamente
associati all’ esplosione di stelle massicce in un particolare tipo di supernova detto
collapsar) e soft (emessi prevalentemente da stelle di neutroni altamente magnetiche, appartenenti alla nostra galassia) [Woosley and Bloom, 2006]. Inoltre abbiamo
evidenza della presenza di stelle di Wolf-Rayet nella formazione di stelle di grandi
masse nelle galassie [Schaerer and Vacca, 1998].
A livello spettroscopico le stelle WR presentano righe di emissione forti e larghe,
come si vede in Figura (1.14), in luogo delle linee di assorbimento strette tipiche
delle popolazioni normali di stelle. Di esse ne esistono due tipi:
• Stelle che presentano nello spettro forti linee dell’elio e dell’azoto (tipo WN)
18
La spallazione nucleare è un concetto originariamente coniato nel 1937 dal vincitore del Premio
Nobel per la chimica Glenn Theodore Seaborg, durante i suoi studi sullo scattering anelastico di
neutroni. Esso rappresenta l’effetto del bombardamento atomico con particelle di energia molto
elevata (oltre 100 MeV) con successiva emissione di nuclei più leggeri, ed è un fenomeno che avviene
naturalmente nell’atmosfera terrestre e sulla superficie dei corpi celesti a seguito dell’interazione con
i raggi cosmici.
19
Con gamma ray burst si indicano lampi di raggi gamma che possono durare da pochi millisecondi a diverse decine di minuti. Queste potenti esplosioni costituiscono il fenomeno più energetico
finora osservato nell’universo
28
1.3 La problematica del Fluoro
• Stelle che presentano nello spettro forti linee di elio, carbonio e ossigeno (tipo
WC e WO)
Figura 1.14: Spettri delle WN e WC ricavati da Smith (1968b), Massey (1984) e Johnson [Crowther,
2007]
Gamow, nel 1943, suggerì per primo che la composizione anomala delle WR potesse
essere dovuta a risultati di precedenti reazioni nucleari visibili in superficie, idea che
non fu universalmente accettata fino al 1991 [Lamers et al., 1991].
29
1.3 La problematica del Fluoro
Le stelle WN mostrano i prodotti del ciclo CNO, mentre le WC sono interessate da processi di He-burning. Le stelle di Wolf-Rayet di metallicità solare hanno
una massa minima di + 25M" , paragonabili al limite che Humphreys & Davidson
trovarono nel 1979 per le supergiganti (RSG). Le WR singole potrebbero perciò es-
sere uno stadio evolutivo successivo alle supergiganti rosse, e si presentano in un
intervallo di masse molto stretto (25 ÷ 30M" )[Crowther, 2007]. Queste stelle, co-
me evidenziato da Meynet and Arnould [1993], presentano bruciamento idrostatico
di He tale da portare alla produzione di 19 F (successivamente espulso attraverso il
vento stellare) secondo il network di reazione descritto al paragrafo 1.3.1.
La questione centrale adesso è che, qualunque sia la via attraverso cui
19
F viene
Figura 1.15: Evoluzione della massa totale Mtot , del core convettivo Mconv e e della frazione di massa
S
C
superficiale (X19
) e centrale (X19
) di 19 F per una stella di 60 M" di metallicità Z =
0.008, 0.02 e 0.04 alla fine della fase di bruciamento di idrogeno e durante quello di elio
[Meynet and Arnould, 2000]
prodotto, la reazione 19 F(α, p)22 Ne, che è argomento di questa tesi, è responsabile
della distruzione di una significativa quantità esso. Ciò rendendo impossibile, con
gli attuali rate presenti in letteratura, l’arricchimento di fluoro in stelle AGB. L’u30
1.3 La problematica del Fluoro
nico caso in cui le osservazioni corrispondono ai modelli teorici è quello di stelle
WR (Mi ! 25" per Z = 0.02, Mi ! 35" per Z = 0.008, vedi Maeder and Meynet
[1994]; Meynet and Arnould [2000]), nelle quali parte del fluoro sintetizzato duran-
te He-burning viene però espulso nel mezzo interstellare, attraverso i venti, prima di
essere distrutto.
31
CAPITOLO 2
Misure dirette in astrofisica nucleare
All’interno delle stelle la produzione di energia, almeno per le fasi più lunghe dell’evoluzione, è dovuta alle reazioni termonucleari [Kippenhahn and Weigert,
1990]. È perciò necessario introdurre il concetto di sezione d’urto, con lo scopo
di poter descrivere l’efficienza dei processi coinvolti nella produzione di energia in
ambito astrofisico.
Ad energie di interesse astrofisico il moto delle particelle è dovuto all’agitazione
termica a temperature di 107 ÷ 108 K, che corrisponde ad energie molto minori del-
la barriera coulombiana. In questa condizione le sezioni d’urto sono molto piccole
(dell’ordine del pico-nanobarn), e questo rende tecnicamente molto difficile la loro
misura.
Nella prosecuzione di questo capitolo saranno esposti argomenti di carattere generale riguardanti l’astrofisica nucleare e verranno inoltre specificate le difficoltà
sperimentali relative a tali misurazioni.
2.1 Sezione d’urto
In un esperimento di fisica nucleare si fanno collidere tra loro particelle, per
arrivare ad una reazione del tipo:
A+a →b+B
32
(2.1)
2.1 Sezione d’urto
dove con a ed A si intendono rispettivamente particella incidente e bersaglio,
mentre con b e B si indicano i prodotti di reazione. A questo punto definiamo Jb
come il numero di particelle che incidono sul bersaglio nell’unità di tempo su una
superficie unitaria disposta perpendicolarmente alla direzione del fascio, e siano ρinc
il numero di particelle incidenti per unità di volume e v la velocità relativa tra a e A.
Il flusso di particelle incidenti sarà quindi pari a
Jinc = ρinc v
(2.2)
A questo punto supponiamo che ρinc sia talmente piccolo da poter trascurare
le mutue interazione tra le particelle del fascio, e indichiamo con N il numero di
particelle emesse nell’unità di tempo all’interno di un certo intervallo di angolo
solido dΩ, sotteso da un certo rivelatore posto ad un angolo θ rispetto alla direzione
del fascio incidente. Possiamo a questo punto definire N come
N = Jinc Σ(θ)dΩ
(2.3)
Dove Σ(θ) è una grandezza con le dimensioni di una superficie che rappresenta la
probabilità che una particella che interagisce con un qualunque centro diffusore del
bersaglio venga emesso in corrispondenza dell’angolo solido dΩ [Williams, 1991].
Se adesso consideriamo che un bersaglio è solitamente composto da un numero (paragonabile al numero di Avogadro NA ) di centri diffusori molto alto, le cui distanze
relative sono molto maggiori della lunghezza d’onda di De Broglie, e se consideriamo trascurabili eventuali effetti di coerenza relativi ad onde generate da centri
diffusori diversi e le diffusioni multiple, avremo:
Σ(θ) = Nσ(θ)
(2.4)
dove σ(θ) è detta sezione d’urto differenziale, la quale rappresenta la probabilità
che una certa particella venga emessa in un angolo solido dΩ, dopo che la reazione
(2.1) ha avuto luogo.
Ricaviamo σ(θ) utilizzando (2.3) e (2.4), ottenendo:
N
(2.5)
Jinc NdΩ
Integrando la (2.5) su tutto l’angolo solido si ottiene la sezione d’urto totale:
σ(θ) =
σtot =
!
σ(θ)dΩ
Ω
33
(2.6)
2.2 Rate di reazione
Tali grandezze, abbiamo detto, hanno le dimensioni di una superficie; date le
dimensioni dei centri diffusori (10−13 ÷ 10−14 cm) esse saranno espresse in barn:
1 barn = 10−24 cm2
(2.7)
2.2 Rate di reazione
Altro concetto importante proprio della fisica nucleare è rappresentato dal rate
di reazione, che è il numero di reazioni che avvengono nell’unità di tempo e di
volume; esso corrisponde quindi alla produzione od alla distruzione di un certo
nucleo durante la reazione in esame, e dipenderà dal numero di particelle interagenti
(che chiameremo Na e NA ) e dalla sezione d’urto σ, oltre che chiaramente dalle
condizioni a contorno (ad esempio la temperatura).
Ciò detto, si consideri un sistema costituito da Na particelle per unità di volume
appartenenti alla specie a e NA particelle di tipo A, e sia σ(v) la sezione d’urto per la
reazione (2.1), dove per v si intende la velocità relativa tra le particelle interagenti.
Il rate r sarà in definitiva dato dal prodotto della sezione d’urto per la densità di
particelle del bersaglio NA per il flusso di particelle incidenti dato da (2.2), dove ρ
viene sostituito da Na
r = Na NA vσ(v)
(2.8)
che si misura in numero di particelle al secondo.
Va però specificato che tale equazione è valida solo nel caso in cui a e A non siano
identici tra di loro: in tal caso infatti dovrà essere aggiunto un termine correttivo, dovuto alla loro indistinguibilità, con il fine di evitare di contare due volte le particelle.
La (2.8) diventa:
r = (1 + δaA )−1 Na NA vσ(v)
(2.9)
con δaA delta di Kronecker.
Assumiamo adesso che la velocità relativa tra gli elementi interagenti possa assumere valori compresi tra v e v + dv, e sia f (v)dv la probabilità che ciò accada. In questo
caso il rate sarà dato dall’integrale della (2.9), dove questa volta ad ogni velocità v è
assegnato il peso f (v)
34
2.2 Rate di reazione
−1
r = (1 + δaA ) Na NA
!
vσ(v) f (v)dv = (1 + δaA )−1 Na NA %σv&
(2.10)
La quantità %σv& prende il nome di rate di reazione per coppie di particelle, con
(1 + δaA )−1 Na NA numero totale di particelle.
È adesso necessario conoscere l’energia dei nuclei interagenti nelle stelle: ciò è possibile considerando che l’energia cinetica dei nuclei al loro interno è dovuta all’agitazione termica, in quanto il plasma stellare, a causa delle alte temperature e delle
densità relativamente basse, è generalmente assimilabile ad un gas non degenere e
non relativistico. In tal caso l’energia media è data da:
E ≈ kT
(2.11)
in cui k è la costante di Boltzmann. Possiamo quindi considerare tale plasma come
un gas in equilibrio termodinamico, e descrivere lo spettro delle velocità con una
distribuzione di Maxwell−Boltzmann:
"
#3/2
#
"
mi v2i
mi
2
exp −
f (vi )dvi = 4πvi
dvi
2πkT
2kT
(2.12)
con T temperatura, mi massa del nucleo i-esimo.
Poiché la (2.10) dipende esclusivamente dalla velocità relativa tra le particelle, risulta conveniente esprimerne le velocità delle particelle in funzione di quest’ultima
(v) e della velocità del centro di massa V, quindi
mA
v
ma + m A
mA
v
vA = V −
ma + m A
va = V +
(2.13)
(2.14)
Introducendo adesso la probabilità che la particella a abbia velocità va in d 3 va
e che A abbia velocità vA in d 3 vA , data da f (va)d 3 va f (vA )d 3 vA , si può dimostrare
che essa può essere scritta come il prodotto tra le distribuzioni delle velocità per il
centro di massa e della velocità relativa:
"
"
"
#3/2
#"
#3/2
#
MV2
µv2
M
µ
Na NA
exp −
exp −
2πkT
2kT 2πkT
2kT
(2.15)
dove µ e M sono rispettivamente la massa ridotta e la massa totale del sistema.
Le distribuzioni sono però normalizzate, quindi l’integrale rispetto a d 3 V sarà uguale
all’unita, e quindi
r = (1 + δaA )−1 Na NA %σv&
$
$
%! ∞
%
µ
µv2
−1
3
= (1 + δaA ) Na NA 4π
v σ(v)exp −
dv
2πkT 0
2kT
35
(2.16)
2.3 Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche
oppure, in termini di energia
$
8
r = (1 + δaA ) Na NA
πµ
−1
%1/2
1
(kT )3/2
!
0
∞
$
%
E
Eσ(E) exp −
dE
kT
(2.17)
nella quale va però sottolineato che l’estensione dell’integrale è al semiasse positivo
solo se si analizzano reazioni esotermiche, mentre nel caso di reazioni endotermiche
esso andrà calcolato a partire da un’energia di soglia [Iliadis, 2007].
2.3 Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche
Quando si analizzano interazioni tra nuclei, oltre alla barriera centrifuga si deve
tener conto anche dell’interazione coulombiana, dovuta all’interazione repulsiva tra
il proiettile ed il bersaglio.
Consideriamo due nuclei, di numero atomico Z1 e Z2 che interagiscono tra loro: le
forze coinvolte saranno quella coulombiana (repulsiva, come già detto) e quella nucleare (attrattiva), la cui combinazione può essere schematizzata da un potenziale
come in figura (2.1); a grande distanza sarà predominante il contributo del potenziale coulombiano, mentre a distanze inferiori alla somma dei raggi due nuclei avremo una predominanza del potenziale nucleare, approssimabile ad una buca finita di
larghezza R e profondità V0 .
Figura 2.1: Rappresentazione schematica del potenziale complessivo (coulombiano + nucleare) che
governa il moto relativo dei due nuclei
Nel campo dell’astrofisica nucleare le energie tipiche si aggirano dai pochi keV
della nucleosintesi stellare, alle centinaia di keV della nucleosintesi primordiale (sti36
2.3 Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche
mati tramite l’eq. 2.11) e, dal momento che le barriere coulombiane in questo campo
sono dell’ordine di 1 ÷ 10 MeV, da un punto di vista puramente classico le reazioni
non potrebbero avvenire in ambiente astrofisico: i nuclei interagenti non arriverebbero mai ad una distanza abbastanza piccola da “innescare” l’interazione nucleare.
Tale problema viene superato dall’introduzione dell’effetto tunnel1.
La probabilità che un nucleo passi oltre la barriera coulombiana per effetto tunnel è
data dal fattore di penetrazione
|χl (∞)|2
(2.18)
Pl =
|χl (R)|2
dove χl è la funzione d’onda radiale soluzione dell’equazione di Schrödinger
#
"
"2 d 2
+ Vl (r) − E χl (r) = 0
(2.19)
−
2µ dr2
e
l(l + 1) Z1 Z2
+ 2
(2.20)
2µr2
r
è il potenziale efficace relativo all’onda l, somma del potenziale centrifugo (dipenVl =
dente da l) e di quello coulombiano (da esso indipendente). Le soluzioni della (2.19)
sono note e rappresentate dalle cosiddette funzione d’onda regolare e funzione d’onda irregolare di Coulomb, di cui la prima si indica con Gl (r) e diverge per l → 0
mentre la seconda si indica con F l e vale zero nell’origine, rimanendo l’unica solu-
zione possibile se l’origine è inclusa. Nel nostro caso (0 < R < r) la χl (r) si può
scrivere come combinazione lineare delle due, e quindi il fattore di penetrazione
(2.18) sarà
Pl (kR) =
F l2 (kR)
1
+ G2l (kR)
(2.21)
con k numero d’onda.
Pl non ha però una forma analitica. Si rende necessario ricorrere ai valori tabulati di
F l (kR) e Gl (kR), oppure, nel caso in cui Vl (r) sia molto maggiore dell’energia incidente, ad un’espressione approssimata del fattore di penetrazione basata sull’espansione di Gl (r) in funzione delle equazioni di Bessell modificate (Approssimazione
Semiclassica WKB). In questo caso, se V >> E avremo che Gl >> F l , ed avremo
& ! $
"
"
#1/2
% #
2 2µ R0 E c R E l R2
Eb − E
exp −
− E dr
(2.22)
Pl =
E
"
R R
R
1
Il tunneling quantistico fu introdotto da Gamow nel 1928, in relazione allo studio dei decadimenti alfa. Secondo la meccanica quantistica infatti esiste una probabilità finita per la penetrazione
della barriera
37
2.3 Effetti di barriera coulombiana tra particelle cariche
dove E b è la somma delle altezze della barriera coulombiana e centrifuga.
Definiamo adesso con −Wl l’argomento dell’esponenziale di (2.22) e ricaviamone
l’andamento al variare di l.
1. l = 0: è il caso più frequente in astrofisica nucleare, e ciò è dovuto al fatto
che le energie sono dell’ordine dei keV; in tal caso, integrando e sviluppando
in serie di potenze rispetto a
E
Ec
la grandezza Wl avremo:
"
$ %
$ %3/2 #
2πZ1 Z2 e2
2 E
4 E
W0 =
+
1−
"v
π Ec
3π E c
(2.23)
Il primo termine della (2.23) può essere scritto come [Rolfs, 1988]
1
bE − 2
(2.24)
b = 31.28 · Z1 Z2 A1/2
(2.25)
nella quale
mentre i termini di ordine superiore sono uguali a
−1.05(ARZ1 Z2 )1/2
(2.26)
con A massa ridotta, E c è calcolata in MeV ed R in fermi. Il terzo termine,
infine, dipende dall’energia e rappresenta una correzione significativa nel caso
in cui E sia una frazione significativa della barriera coulombiana
$ %3/2
4Z1 Z2 e2 E
3"v E c
(2.27)
Sommando (2.24), (2.26), e (2.27), otterremo:
W0 = bE
− 12
1/2
− 1.05(ARZ1 Z2 )
$ %3/2
4Z1 Z2 e2 E
+
3"v E c
(2.28)
2. l ! 0: Nell’ipotesi che E c > E l , Wl può essere sviluppato in serie di potenze
rispetto ad R/r e si ottiene:
"
l(l + 1)E 1
W l = W0 + 2
Ec
#1/2 " $ %1/2 #
E
1−
Ec
(2.29)
Infine, dalla (2.23) e (2.29) si ottiene, arrestandosi al primo ordine, il fattore
di penetrazione Pl
$ %1/2
"
#
Ec
−1/2
−1/2
−1/2
Pl =
exp −bE
+1.05(AZ1 Z2 ) −7.62l(l+1)(AZ1 Z2 )
(2.30)
E
38
2.4 Il fattore astrofisico
Se adesso E << E c e l’interazione avviene in onda s, il fattore di penetrazione si
può approssimare con il fattore di Gamow
"
#
2πZ1 Z2 e2
−1/2
P0 = exp [−bE ] = exp −
= exp (−2πη)
"v
(2.31)
nella quale si è scritto η = Z1 Z2 αβ, dove α è la costante di struttura e β è la velocità
definita in unità di c. Il fattore η, detto parametro di Sommerfeld, fornisce una misura dell’interazione coulombiana, assumendo valori via via più elevati al crescere
della carica degli ioni interagenti, e diminuisce al crescere della velocità relativa, il
che corrisponde a tempi di interazione minori.
2.4 Il fattore astrofisico
Come si era anticipato poc’anzi, lo studio in laboratorio delle reazioni di interesse astrofisico è molto difficile, a causa dei ridotti rate di reazione alle bassissime
energie di interesse: prendendo ad esempio la reazione p + p → d + e+ + νe
che avviene all’interno del sole (T ≈ 1.5 · 107 K), essa ha sezione d’urto estrema-
mente bassa (dovuta al fatto che l’energia non è sufficiente per superare la barriera
coulombiana ed al fatto che essa è governata dall’iterazione debole) dell’ordine di
10−47 cm2 = 10−23 b (Q = 1, 44 MeV). Un eventuale esperimento che riproducesse
le condizioni del sole otterrebbe quindi un evento ogni 109 anni! Ciò rende in questo
caso impossibile una misura diretta della sezione d’urto per reazioni tra due protoni.
Questo è solo uno dei casi in cui non si possono compiere esperimenti che indaghino il problema adeguatamente, e infatti lo studio di molte delle reazioni di interesse
astrofisico è di solito ristretto ad un range di energia più alto rispetto a quanto sarebbe corretto fare. A questo punto si rende necessaria una qualche estrapolazione
sotto barriera basata su misure ad energia superiore. In tali condizioni anche un piccolissimo errore nella misura della sezione d’urto ad energie più alte può inficiare
pesantemente tale operazione; si cerca quindi di ottimizzare il set-up sperimentale
per le misure a bassa energia in modo tale da aumentare quanto più è possibile il
rapporto segnale/rumore2, che rappresenta il limite principale di tali misure.
Dalla (2.5) si evince che il numero N di particelle rivelate è proporzionale a quello di particelle incidenti Ninc , allo spessore δ del bersaglio ed all’angolo solido dei
rivelatori:
2
N ∝ Ninc δ∆Ω
(2.32)
Il segnale è costituito dalle particelle dovute alla reazione in oggetto, mentre il rumore è dovuto
alla presenza di fondo o ad altre reazioni concorrenti.
39
2.4 Il fattore astrofisico
Risulta quindi possibile operare su tre parametri indipendenti, anche se, a fronte di
un aumento della resa, si presentano inconvenienti che diminuiscono l’accuratezza
dei dati acquisiti:
• l’aumento dell’intensità del fascio genera effetti di carica spaziale e di riscaldamento del bersaglio, con conseguente alterazione della sua struttura (per
esempio variazione di densità o di composizione chimica)
• l’aumento dello spessore del target genererà sì un aumento del rate da diffusione coulombiana, ma porterà con se la diminuzione della risoluzione a causa
dello straggling e della perdita di energia
• l’aumento infine dell’angolo solido, ottenibile posizionando rivelatori di gran-
de superficie in prossimità del bersaglio, ma tale operazione ha limiti dovuti
al passaggio del fascio ed al suo totale arresto.
Altro modo di aumentare il rapporto segnale/rumore è quello di ridurre il fondo
dovuto ad esempio ai raggi cosmici, alla radioattività ambientale ed al rumore derivante dall’elettronica: nel primo caso si può ricorrere a schermi attivi o passivi,
cioè a rivelatori posti in anticoincidenza, ad opportuni spessori di materiale capace
di assorbire neutroni o γ, oppure ancora effettuando misure in laboratori sotterranei
(come ad esempio nei Laboratori Nazionali del Gran Sasso3 ).
Altro problema che affligge l’estrapolazione è quello relativo alla proporzionalità
$ %2
2
della sezione d’urto al fattore geometrico π" ∝ 1p ∝ E1 , dove " è la lunghezza
d’onda di De Broglie ridotta, ed al fattore di penetrazione Pl , entrambi rapidamente
variabili con l’energia.
Un modo per ovviare a tali difficoltà è quello di pervenire ad una rappresentazione
per la probabilità di interazione ad alta energia che consenta di separare gli effetti
puramente nucleari da quelli geometrici e coulombiani: a tale scopo si introduce il
cosiddetto fattore astrofisico S (E)
S (E) = Eσ(E) exp (2πη)
(2.33)
Esso rappresenta la componente intrinsecamente nucleare della probabilità che una
certa reazione avvenga e, nell’ipotesi che non ci siano risonanze nella regione di
estrapolazione, è una funzione lentamente variabile dell’energia, il che consente di
3
Esperimento LUNA [Broggini et al., 2010]
40
2.5 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche
ottenere estrapolazioni più accurate a bassa energia.
Gli andamenti tipici di σ(E) e di S (E), per reazioni non risonanti, sono mostrati in
figura (2.2), dalla quale si evince che, mentre la prima decresce esponenzialmente
al diminuire dell’energia, la seconda rimane più o meno costante.
Ciò permette estrapolazioni a bassa energia che solitamente vengono eseguite
Figura 2.2: Confronto tra l’andamento tipico in funzione dell’energia della sezione d’urto σ(E) e del
fattore astrofisico S (E) per reazioni tra particelle cariche
tramite fit di natura polinomiale. Un approccio più complesso prende il nome
di R-Matrix [Lane and Thomas, 1958], che risulterà utile nel proseguimento di
questo lavoro di tesi, data l’assenza di dati diretti a bassa energia per la reazione
19
F(α, p)22 Ne.
2.5 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche
Inseriamo adesso la relazione (2.33) nell’espressione (2.17), e ricordando la
(2.31) e dividendo per Na NA (1 + δaA )−1 con lo scopo di ricavare il rate per coppie di
particelle, si ottiene
$
$ %1/2
%
! ∞
E
8
1
−1/2
S (E)exp −
%σv& =
dE
− bE
µπ
(kT )3/2 0
kT
41
(2.34)
2.5 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche
Essenzialmente l’integrando sarà determinato dall’esponenziale, che è una funzione fortemente dipendente dall’energia. Si vede inoltre in figura (2.3) che il termine
exp(−E/kT ) decresce con l’energia, mentre la probabilità di tunneling aumenta; il
maggior contributo all’integrale proviene quindi da una regione intermedia di energie.
Figura 2.3: Rappresentazione dei termini esponenziali che determinano l’andamento del rate per processi non risonanti. Il prodotto di queste due funzioni (fattore di Gamow e coda della
maxwelliana) da’ origine al picco di Gamow, fortemente ingrandito in figura, che delimita la finestra in cui è massima la probabilità che avvenga una reazione. Il fatore EG
che appare in figura è detto energia di Gamow e corrisponde, nella notazione usata, a b2
[Clayton, 1983].
Le reazioni in ambiente stellare avvengono ad energie che cadono in una banda
energetica così stretta che il fattore astrofisico è da considerarsi, per reazioni non
risonanti, approssimativamente costante (Fig2.2): tale finestra prende il nome di
finestra di Gamow.
Appare quindi chiaro come una buona approssimazione della (2.34) si ottenga sostituendo a S (E) il valore che esso assumerebbe ad E 0 , in cui l’esponenziale ha il suo
massimo. A tale energia S (E) ≈ S (E 0 ) ≈ S 0 , il risultato sarà
$ %1/2
$
%
! ∞
8
S0
E
−1/2
%σv& =
− bE
exp −
dE
πµ
(kT )3/2 0
kT
(2.35)
che può essere valutato approssimando l’integrando ad una gaussiana avente centroide in E 0 , ed in tale punto la stessa curvatura della funzione originaria. Si determina
poi il valore a cui g(E) = E/kT + bE −1/2 è minimo e si sviluppa in serie di Taylor
attorno a tale valore
1
g(E) = g(E 0 ) + (E − E 0 )2 g.. (E 0 ) + ...
2
42
(2.36)
2.5 Reazioni non risonanti indotte da particelle cariche
Da essa infine si ricava
%2/3
$
bkT
= 1.220 (Za2 ZA2 AT 62 )1/3 keV
E0 =
2
(2.37)
in cui T 6 = T/106 K, mentre E 0 è l’energia corrispondente al picco di Gamow, alla
quale una certa reazione di fusione termonucleare è più probabile ad una data temperatura T.
Dalla (2.37), considerando il caso di nuclei leggeri a temperature di decine di milioni di gradi, si otterranno valori di 1 ÷ 30 keV, valore chiaramente maggiore di
kT = 0.086T 6 keV: tale fatto rende conto di come l’andamento del fattore di pe-
netrabilità della barriera coulombiana favorisca reazioni nella coda ad alta energia
della Maxwell−Boltzmann. Sostituendo adesso a g(E) il suo sviluppo in serie (2.36)
e tenendo conto della (2.37) avremo:
$
%
"
#
E
(E − E 0 )2
−1/2
− bE
exp −
≈ C exp −
kT
2∆2
con
%
%
$
3E 0
E
−1/2
− bE 0
= exp −
C = exp −
kT
kT
$
(2.38)
(2.39)
mentre ∆ è la deviazione standard, che misura la larghezza della distribuzione gaussiana, determinabile dalla derivata seconda della g(E)
∆ = 2.31(E 0 kT )1/2 = 0.75(Za2 ZA2 AT 62 )1/6 keV
(2.40)
Da quest’ultima si evince che l’ampiezza della finestra è proporzionale alla media
geometrica dell’energia E 0 del picco di Gamow e all’energia che rappresenta il massimo per la Maxwell−Boltzmann.
Sostituendo adesso nell’espressione per il rate per coppie di particelle si avrà:
"
#
$ %1/2
!
8
S 0 −τ ∞
(E − E 0 )2
e
exp −
dE
%σv& =
µπ
(kT )3/2
2∆2
−∞
(2.41)
dove si è introdotto τ = 3E 0 /kT . Calcolando analiticamente l’integrale si ottiene:
ra A = (1 + δa A)−1 Na NA %σv&
7.20 · 10−19
= (1 + δa A)−1 Na NA
S 0 (keV b) τ2 e−τ cm3 /sec
AZa ZA
(2.42)
dove la dipendenza dalla temperatura è interamente contenuta in τ. Dalla (2.42) si
vede che l’andamento de rate dipenderà essenzialmente da e−τ .
43
2.6 Reazioni risonanti indotte da particelle cariche
Reazioni
p + p
p + 14 N
4
He + 12C
16
O + 16 O
e−τ
1.1 · 10−6
1.8 · 10−27
3.0 · 10−57
6.2 · 10−239
Tabella 2.1: Valori di e−τ calcolato per alcune importanti reazioni che avvengono in ambiente stellare
a temperature di T = 15 · 106 K. Tale fattore determina l’andamento del rate di reazione
Nella tabella (2.1) sono riportati a titolo esemplificativo alcuni valori di questo
fattore per alcune importanti reazioni che avvengono nel core solare (T 6 = 15 K).
A tale temperatura si osserva come l’interazione più efficiente sia p + p, la quale
contribuirà in misura maggiore rispetto alle altre alla produzione di energia nel Sole.
Soltanto alcune specie subiranno reazioni nucleari ad una certa temperatura T. Il
nucleo del Sole incomincerà a contrarsi aumentando la sua temperatura, finché essa
non sarà abbastanza alta da rendere efficienti nuove reazioni.
2.6 Reazioni risonanti indotte da particelle cariche
Nel caso in cui nel range energetico di interesse siano presenti delle risonanze,
cioè un massimo pronunciato nella sezione d’urto, il fattore astrofisico S (E) non è
più una grandezza lentamente variabile con l’energia e non lo si può più considerare
costante. In tale situazione il rate sarà dominato da risonanze.
Per reazione risonante si intende una reazione in cui, tra canale d’ingresso e di uscita,
si passa attraverso la formazione temporanea di uno stato eccitato di nucleo composto [Satchler, 1990]. In questo caso sarà presente uno stato intermedio formato dalla
fusione di proiettile e bersaglio, generando una situazione del tipo:
a + A −→ C ∗ −→ b + B
(2.43)
dove C ∗ rappresenta il sistema intermedio. Il popolamento del sistema intermedio
si rifletterà nella presenza di risonanze nella funzione di eccitazione per la reazione
considerata.
In particolare si suppone che tale nucleo si formi durante la collisione tra il nucleo
incidente e il nucleo bersaglio e in uno stato eccitato, per poi decadere nei prodotti
di reazione o con l’emissione di radiazione γ. L’energia a cui questo stato eccitato si
forma è detta energia di risonanza. Una risonanza si definisce stretta quando la sua
ampiezza Γ è molto più piccola del valore dell’energia del picco E r , e solitamente
questa condizione la si fa corrispondere a
Γ
Er
44
≤ 10%. Una risonanza che non soddisfa
2.6 Reazioni risonanti indotte da particelle cariche
questa condizione viene detta larga; se siamo in presenza di più di una risonanza,
esse si dicono inoltre isolate quando non si sovrappongono.
Figura 2.4: Esempi di risonanze strette, larghe e isolate [Rolfs, 1988]
Analizziamo adesso il caso in cui la risonanza sia isolata, dove cioè la separazione in energia tra i livelli supera la larghezza di ciascuno stato; in questa situazione
la sezione d’urto è descritta dalla formula di Breit-Wigner
Γ1 Γ2
σBW (E) = π"2 ω
(E − E r )2 + (Γ/2)2
(2.44)
nella quale E r è l’energia della risonanza, π"2 è un fattore geometrico caratteristico
del processo quantistico, mentre ω è un fattore statistico tale che
2J + 1
ω=
(2.45)
(1 + δaA )
(2Ja + 1)(2JA + 1)
e nel quale J, Ja e JA sono gli spin del livello eccitato del nucleo composto, mentre
(1 + δaA ) serve a prendere in considerazione il caso di particelle identiche.
L’ampiezza totale Γ tiene conto di tutti i decadimenti del nucleo intermedio nei diversi canali possibili, mentre Γ1 e Γ2 sono rispettivamente le ampiezze di probabilità
di formazione del nucleo intermedio a partire da quelli di partenza e di decadimento
in quelli di uscita.
Nell’ipotesi adesso che la risonanza sia stretta (Γ << E r ), avremo che il rate per
coppie di particelle (2.34) diventa [Clayton, 1983]:
$
$ %1/2
%
! ∞
E
8
1
σBW (E)E exp −
%σv& =
dE
πµ
kT 0
kT
45
(2.46)
2.6 Reazioni risonanti indotte da particelle cariche
In questo caso è la funzione esponenziale ad essere pressochè costante, in quanto
agisce su un intervallo ristretto di energia, dell’ordine di Γ, e si può quindi scrivere
$ %1/2
! ∞
8
1
Er
σBW (E) dE
(2.47)
%σv& =
πµ
kT
0
Trascurando adesso la dipendenza dall’energia di Γ, Γ1 e Γ2 , l’integrale presente in
(2.46) diventa:
!
∞
0
σBW (E) dE = 2π2 "2r ωγ
(2.48)
dove γ = Γ1 Γ2 /Γ, e ωγ rappresenta la forza della risonanza. Combinando adesso la
(2.48) e (2.47) si ottiene [Iliadis, 2007]
$
$
%3/2
%
Er
2π
"(ωγ)r exp −
%σv& =
µkT
kT
(2.49)
In caso di reazioni che si concretizzano attraverso stati risonanti stretti, quindi, la
combustione nucleare ha luogo all’energia di risonanza E r , ed il picco di Gamow
coinciderà con quello della risonanza.
Altro caso è quello in cui Γ/E r ≥ 10%: si dovrà tener conto della dipendenza della
sezione d’urto e della larghezza Γ dall’energia. Se queste ultime sono note, allora la
σBW sarà uguale a:
σ(E) = σr
(Γr /2)2
E r Γ1 (E) Γ2 (E)
E Γ1 (E r ) Γ2 (E r ) (E − E r )2 + [Γ(E)/2]2
(2.50)
dove σr = σ(E = E r ) e Γr = Γ(E = E r ).
Caso particolarmente interessante è quello in cui lo spettro dei livelli energetici del
nucleo composto presenta uno stato ad energia E R inferiore al Q di reazione4 relativo
al decadimento b + B (risonanza sotto barriera). Tale stato eccitato non può decadere
in b+ B, ed equivalentemente lo stato eccitato non può essere popolato da tale canale
di reazione, essendo E r = E R − Q negativa. Tuttavia uno stato eccitato, per formarsi
deve avere almeno un canale permesso tramite cui decadere e ciò implica che lo
stato eccitato è caratterizzato da una larghezza Γ e da una certa vita media; se perciò
la larghezza di tale risonanza è abbastanza grande da avere una coda che superi
l’energia Q − E R la risonanza sarà visibile, e si manifesterà come un incremento
della σ rispetto al valore atteso per la risonanza. A questo punto avremo:
σ(E) = π"2 ω
4
Γ1 (E)Γ2 (E + Q)
(E − E r )2 + [Γ(E)/2]
(2.51)
Il Q di reazione o Qvalue si definisce come il difetto di massa che intercorre tra le particelle nel
canale iniziale e quelle (o quella) nel canale iniziale, cioè per la reazione A + a → b + B esso sarà
Qvalue = (ma + mA − mb − mB )c2
46
2.7 Screening elettronico
2.7 Screening elettronico
Fino ad ora si è assunto che sia il proiettile che il bersaglio fossero essenzialmente nuclei, quindi entità prive di elettroni, in modo da poter considerare la barriera
coulombiana più semplicemente. Quando però si cerca di riprodurre in laboratorio
una reazione nucleare tra particelle cariche, proiettile e bersaglio interagiscono sotto
forma rispettivamente di ioni e atomi oppure di ioni e molecole. Questa considerazione ha come conseguenza il fatto che le nubi elettroniche che circondano proiettile
e bersaglio schermano le rispettive cariche. Considerando il caso del nucleo bersaglio, per distanze superiori al raggio atomico Ra , il potenziale elettrostatico si annulla (Fig. 2.5), portando il nucleo bersaglio a non sentire la repulsione coulombiana
fino a quando esso non sorpassi la nube elettronica.
Nel caso di reazioni ad alta energia tale contributo è trascurabile ai fini della dinami-
Figura 2.5: Rappresentazione del potenziale coulombiano modificato dalla presenza della nube elettronica. La linea tratteggiata rappresenta la situazione di bare nucleus(nucleo nudo). Ra ,
Rn , Ec ed Rc indicano il raggio atomico, il raggio di interazione nucleare, l’altezza della
barriera per il nucleo nudo ed il turning point classico per una particella con energia E
ca del processo, mentre alle energie di interesse astrofisico esso diventa importante.
Nell’approssimazione di Born-Oppenheimer, in cui i gradi di libertà atomici e nucleari vengono trattati separatamente e si trascurano gli effetti dinamici quali polarizzazione e deformazione della nube, è possibile ricavare la forma del potenziale di
screening Ue tra nuclei interagenti, che assume la forma:
Ue f f (r) =
Za ZA
− Ue
r
47
(2.52)
2.7 Screening elettronico
dove a ed A sono rispettivamente nucleo proiettile e bersaglio.
Supponiamo che gli elettroni siano distribuiti su una superficie di raggio Ra , che
il proiettile sia totalmente ionizzato e che il bersaglio sia un atomo globalmente
neutro. In questo caso il potenziale di schermo Ue può essere determinato avvalendosi di un modello semplificato [Assenbaum et al., 1987]: esso considera il potenziale generato dalla nube a distanze dell’ordine di Ra come una costante che vale
Va = Za e/Ra [Rolfs, 1988]. Di conseguenza la barriera che la particella incidente
dovrà attraversare affinché avvenga la reazione sarà:
Ue f f (Rn ) = Ucoul (Rn ) − Ue (Rn ) =
Za ZA e2 Za ZA e2
−
Rn
Ra
(2.53)
con Rn è raggio di azione nucleare, pari alla somma dei raggi del nucleo incidente
e di quello bersaglio. La (2.53) ci mostra l’effetto dello screening elettronico: per
distanze inferiori al raggio atomico, il potenziale di screening Ue = Za ZA e2 /Ra provocherà una riduzione della barriera che ostacola la fusione, il che si traduce in un
incremento della sezione d’urto di reazione rispetto a quella di bare nucleus.
Noto adesso tale potenziale, si può passare a valutare il fattore di correzione flab da
apportare alla sezione d’urto col fine di ottenere la cross section di nucleo schermato
σ s (E) a partire da quella di nucleo nudo σb (E) [Fiorentini et al., 1995]
flab =
σ s (E)
σb (E)
(2.54)
Ciò detto, per calcolare %σv& per i nuclei schermati si deve sostituire in (2.34) ad
E l’energia E s = E + Ue , cioè la penetrazione di barriera è come se avvenisse
ad energia maggiore [Assenbaum et al., 1987]. Si deve quindi sostituire a σ s (E) la
quantità σb (E s ) e assumere che il fattore astrofisico sia costante ed inoltre Ue << E.
Alla fine otterremo la seguente espressione per flab [Assenbaum et al., 1987]:
$
%
E
σb (E + Ue )
πηUe
=
exp
flab =
(2.55)
σb (E)
E + Ue
E
Data la dipendenza esponenziale di flab da Ue /E, si nota come (Tabella 2.2), già per
Ue /E = 0.01, lo screening elettronico non sia affatto trascurabile. Esistono approssimazioni più accurate, che considerano anche gli effetti dinamici. A energie
più basse, in corrispondenza delle quali le velocità relative dei nuclei sono inferiori a quelle tipiche degli elettroni atomici, si applica la cosiddetta approssimazione
adiabatica, secondo la quale il potenziale di screening diventa [Fiorentini et al.,
1995]
Ue = E a + E A − E c
48
(2.56)
2.7 Screening elettronico
Reazioni
d + d
d + 3 He
3
He + 3 He
p + 7 Li
α + 1 2C
Ue (keV)
0.027
0.11
0.22
0.24
2.0
flab (Ue /E = 0.1)
16.5
20.9
131
14
868
flab (Ue /E = 0.01)
1.10
1.11
1.18
1.09
1.25
flab (Ue /E = 0.001)
1.003
1.003
1.006
1.003
1.007
Tabella 2.2: Alcuni valori di flab per diverse reazioni: essi mostrano la rilevanza della correzione
anche per Ue /E = 0.01, ovvero E ≈ 3 − 30 keV [Assenbaum et al., 1987]
dove E a , E A , ed E c sono le energie di legame dell’atomo incidente, in quello bersaglio e nel nucleo composto. Ciò vuol dire che in approssimazione adiabatica si
assume il moto dei nuclei molto più lento di quello degli elettroni, in modo tale
da associare ad ogni configurazione istantanea dei nuclei una funzione d’onda per
gli elettroni che differisca poco da quella che si ricaverebbe considerando i nuclei
immobili nella loro posizione istantanea.
Reazioni
6
Li (p, α) 3 He
6
Li (d, α) 4 He
7
Li (p, α) 4 He
3
He (d, p) 4 He
d (d, p) t
Ue Sperimentale (eV)
470 ± 150
380 ± 250
300 ± 280
219 ± 7
25 ± 5
References
Engstler et al. [1992]
Engstler et al. [1992]
Engstler et al. [1992]
Aliotta et al. [2001]
Greife et al. [1995]
Uead (eV)
175
175
175
119
20.4
Tabella 2.3: Confronto tra i valori del potenziale di screening per alcune reazioni di interesse astrofisico ottenute attraverso best-fit di dati sperimentali con le previsioni teoriche. La discrepanza ha dato origine al problema dello screening elettronico, una delle incognite più
grandi nell’estrazione del fattore astrofisico al Picco di Gamow
Nella tabella 2.3 sono riportati i risultato del calcolo del potenziale di screening per alcune reazioni di interesse astrofisico insieme alle previsioni teoriche del
modello adiabatico.
2.7.1 Screening elettronico in ambito stellare
Passiamo adesso ad esaminare il caso prettamente stellare: nelle stelle, a causa
delle alte temperature, gli atomi sono nella maggior parte dei casi privi dei propri
elettroni, e sembrerebbe lecito pensare che lo screening elettronico possa essere trascurato. In realtà non è così, in quanto i nuclei si trovano immersi in un “mare”
di elettroni liberi che tendono a “clusterizzarsi” nella regione attorno ad essi, con
risultati simili a quelli creati da elettroni atomici.
Tale regione prende il nome di sfera di Debye-Hückel, caratterizzata da un parame49
2.8 La reazione 19 F(α, p)22 Ne
tro noto come raggio di Debye-Hückel:
$
%1/2
kT
RD =
4πe2 ρNA ξ
(2.57)
dove NA è il numero di Avogadro, ρ è la densità del plasma stellare e ξ viene definita
dalla relazione:
ξ=
'(
Zi2 + Zi
i
)
Xi
Ai
(2.58)
dove Xi , Zi e Ai rappresentano la frazione di massa, la carica nucleare e la massa
atomica dell’i-esimo ione [Rolfs, 1988].
Anche nelle stelle la presenza della sfera di Debye-Hückel di carica negativa, in
luogo degli elettroni atomici, provoca la riduzione del potenziale coulombiano e
quindi una più facile penetrazione della barriera. Come conseguenza, anche in campo astrofisico si introduce un fattore che lega la %σv&screen che si osserva in presenza
di screening al rate %σv&b che invece si calcola avvalendosi della sezione d’urto di
nucleo nudo:
%σv&screen
(2.59)
%σv&b
Tale fattore è strettamente legato a (2.57) mediante l’espressione [Adelberger et al.,
f plasma =
1998]
f plasma
$
Za ZA e2
= exp
kT RD
%
(2.60)
dalla quale si evince che al crescere della densità stellare, si assiste ad un incremento
del rate di reazione: il raggio di Debye-Hückel, infatti, si riduce e quindi diventa più
forte l’effetto di schermatura [Rolfs, 1988].
In ambito sperimentale non è quindi possibile misurare una sezione d’urto di tipo
bare nucleus, ma soltanto quella relativa ad un nucleo schermato. Se si vogliono
effettuare misure che possano servire in ambito astrofisico risulterà quindi necessario misurare la sezione d’urto di nucleo schermato, andare ad calcolare il termine
f plasma , applicando la correzione di Debye (2.60) per tenere conto dello screening
stellare, e poi utilizzarlo per ricavare le sezioni d’urto di nucleo nudo. Questo sarà
necessario anche nel caso di misure dirette.
2.8 La reazione 19F(α, p)22Ne
Passiamo adesso ad illustrare il caso specifico oggetto di questa tesi, cioè la reazione 19 F(α, p)22 Ne. Sfruttando le relazioni fino ad ora esposte, in particolare l’equazione (2.37) e la definizione operativa per il calcolo della barriera coulombiana,
50
2.8 La reazione 19 F(α, p)22 Ne
cioè
E c = 0.9
Za ZA
1/3
A1/3
a + AA
(2.61)
per stelle con temperatura di 0.8 · T 9 , quindi nel caso di una stella AGB (paragrafo
1.3.2), si ottiene che l’energia corrispondente al picco di Gamow si trova tra 390keV
e 800 keV, mentre la barriera coulombiana, calcolata tramite la (2.61) vale circa
3.81 MeV. Appare perciò chiaro che una reazione del genere abbia luogo molto
al di sotto della barriera coulombiana, e che quindi sia possibile solo quantisticamente e per effetto tunnel. In riferimento a ciò possiamo vedere come la reazione
19
F(α, p)22 Ne non sia stata studiata direttamente ad energie astrofisiche: le misu-
re di sezione d’urto dirette più prossime alle energie di Gamow si spingono fino a
E lab = 1100 keV e sono stati utilizzati per calcoli di R−Matrix [Ugalde et al., 2005,
2008](Fig 2.6 e 2.7).
Figura 2.6: Spettro dei protoni a 135◦ per tre energie di fascio (indicate in figura). Si notano due
gruppi di protoni a 1360 keV e 1100 keV, mentre non si nota nulla a 792 keV.
51
2.8 La reazione 19 F(α, p)22 Ne
(a)
(b)
Figura 2.7: Sezione d’urto totale calcolate tramite R-Matrix 19 F(α, p)22 Ne. Sia la curva per
19
F(α, p0 )22 Ne (pannello a) che quella per 19 F(α, p1 )22 Ne (pannello b) sono mostrate
con le rispettive bande di incertezza
Dai due pannelli in Figura 2.8 risulta altresì evidente come, a tali temperature
(0.1 ÷ 1 T 9 ) ci sia un’incertezza di circa dieci ordini di grandezza che inficia il rate
[Ugalde et al., 2005, 2008]. Si rende quindi necessaria una misura ad energie più
basse.
Nel lavoro di tesi che segue si analizzeranno misure indirette di 19 F(α, p)22 Ne attraverso la reazione a tre corpi 19 F(6 Li, α22 Ne)2 H (Q = 0.199 MeV), con l’applicazione del Trojan Horse Method (THM).
52
2.8 La reazione 19 F(α, p)22 Ne
(a)
(b)
Figura 2.8: Pannello a)Limite superiore ed inferiore per il rate di 19 F(α, p)22 Ne in una stella AGB
(linea continua).[Lugaro et al., 2004]
Pannello b)Limite superiore ed inferiore per il rate di 19 F(α, p)22 Ne in una stella WR
(linea continua). Il limite superiore ed inferiore dei rate sono raffigurati come linee punteggiate, mentre la linea tratteggiata rappresenta il rate di 22 Ne(α, n)25 Mg [Stancliffe
et al., 2005]
53
CAPITOLO 3
Misure indirette: il metodo del Trojan Horse
Finora ci siamo occupati di esporre le difficoltà che si palesano nel momento in
cui ci si appresta a misurare con metodi diretti le grandezze relative alle reazioni di
interesse astrofisico. Un modo per superarle consiste nell’utilizzo di metodi indiretti, utilizzando cioè reazioni diverse da quella che ci interessa realmente, ma le cui
sezioni d’urto sono ad esse in qualche modo correlate.
In questo capitolo discuteremo brevemente tre metodi indiretti tra quelli più utilizzati:
• Coulomb Dissociation (CD);
• Asymptotic Normalization Coefficient (ANC);
• Trojan Horse Method (THM);
Ai primi due metodi si ricorre nel caso si debbano studiare principalmente reazioni
di cattura radiativa, mentre il terzo, a cui è dedicata la maggior parte del capitolo (le
misure discusse più avanti saranno condotte utilizzandolo), è utile per reazioni con
particelle cariche o neutroni nel canale di uscita.
54
3.1 Metodo della Coulomb dissociation
3.1 Metodo della Coulomb dissociation
Il metodo della CD è un metodo indiretto che consente di studiare reazioni di
cattura radiativa alle energie corrispondenti al picco di Gamow; esso ad esempio è
stato utilizzato in reazioni come 12C(α, γ)16 O [Bertulani, 1994], reazione chiave nel
processo di sintesi di elementi pesanti in stelle massive che ne influenza l’evoluzione
nelle fasi successive alla combustione di 4 He, oppure in 7 Be(p, γ)8 Be [Motobayashi
et al., 1994; Bertulani, 1994], fondamentale per il problema del neutrino solare.
Tale metodo ricorre ad una reazione a tre corpi, con il fine di studiare la sezione
d’urto di cattura radiativa di interesse astrofisico tramite il break-up di un nucleo
proiettile a indotta dai fotoni virtuali mediatori del campo coulombiano generato
dal nucleo pesante ZT :
a + ZT → b + c + ZT
(3.1)
dove in nucleo a è descrivibile come una configurazione a cluster a = b ⊕ c. Tale
break-up è lo strumento per lo studio della reazione di foto-disintegrazione
a+γ → b+c
(3.2)
a partire dalla quale, con il metodo del bilancio dettagliato, è possibile ricavare la
sezione d’urto per la reazione di interesse:
b+c → a+γ
(3.3)
Tale metodo, da un punto di vista sperimentale, offre due vantaggi:
• selezionando le adeguate condizioni cinematiche è possibile eseguire misure
più precise riguardo la reazione (2.61) ad energie astrofisiche utilizzando fasci
di particelle con energie superiori alla barriera coulombiana, così da rendere
più semplice rivelare i frammenti provenienti dal nucleo proiettile, ed inoltre
permette di ricorrere a bersagli con alto spessore per aumentare il rate di reazione, essendo lo straggling energetico al suo interno ridotto [Baur and Rebel,
1994];
• Si assiste ad un innalzamento del rate di reazione rispetto ai processi diretti di
cattura radiativa e foto-disintegrazione poiché la particella a è investita da un
gran numero di fotoni virtuali dovuti alla presenza di ZT , il quale ha un alto
numero atomico.
55
3.1 Metodo della Coulomb dissociation
Tale aumento del rate appare evidente considerando la sezione d’urto differenziale
di break-up del proiettile per un definito ordine di multipolo πλ [Baur and Rebel,
1994]:
1 dnπλ f oto
d2σ
=
σ
dΩdE γ
E γ dΩ πλ
(3.4)
la quale si presenta come il prodotto di tre termini, cioè di un fattore cinematico
dnπλ
1/E γ , del numero di fotoni virtuali per unità di angolo solido
, e della seziodΩ
f oto
; il secondo di questi, detto
ne d’urto off-energy shell di foto-disintegrazione σπλ
equivalent photon spectrum, è di natura puramente cinematica ed è responsabile
dell’incremento di diversi ordini di grandezza della sezione d’urto del processo a tre
corpi rispetto a quella reazione di cattura radiativa [Baur and Rebel, 1994].
La relazione (3.3) che si vuole studiare è relativa ad un processo on-energy shell
nel quale è coinvolto un fotone reale, pertanto la (3.4) è valida semplicemente come
approssimazione [Baur and Rebel, 1994].
La relazione (3.4) è applicabile solo se il processo è puramente coulombiano, cioè
se l’interazione tra proiettile e bersaglio è molto periferica, mentre in caso contrario
bisognerebbe tener conto degli effetti dovuti all’interazione forte.
3.1.1 Applicazioni sperimentali
Il metodo della Coulomb Dissociation è utile per lo studio di fenomeni di cattura
radiativa in quanto permette di selezionare la regione di basse energie relative tra i
frammenti (emissione quasi parallela).
È necessario notare però come il break-up possa procedere sia per effetto del campo
coulombiano sia per interazione forte, ed essendo i due processi indistinguibili, si
osserveranno fenomeni di interferenza. Esempio di ciò è la reazione 7 Be(p, γ)8 B,
studiata attraverso la reazione a tre corpi 208 Pb(8 B, p7 Be)208 B [Bertulani, 1994; Motobayashi et al., 1994], dalla cui sezione d’urto (Figura 3.1a) si evince chiaramente
la presenza di fenomeni di interferenza tra i due canali di reazione.
La possibilità di ricorrere al metodo della Coulomb Dissociation per trovare la sezione d’urto di cattura della reazione 7 Be(p, γ)8 B è da attribuirsi alla scarsa energia
di legame del 8 B (0.1375 MeV), ed in questo caso la sezione d’urto di dissociazione
è tre ordini di grandezza più grande del contributo solamente nucleare [Bertulani,
1994; Motobayashi et al., 1994].
56
3.2 Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient
(a)
Figura 3.1: a)Distribuzione angolare per la reazione 8 B + 208 Pb → p + 7 Be + 208 Pb all’energia di 50
MeV/nucleone ed energia relativa finale dei frammenti 100 keV: la curva punteggiata e
quella tratteggiata rappresentano rispettivamente le sezioni d’urto per processi puramente
coulombiano e puramente nucleare, mentre la curva continua include entrambi assieme
al termine di interferenza [Bertulani, 1994]
b)Confronto tra il fattore astrofisico S p−7 Be estratto con la Coulomb dissociation del
8
B con dati precedenti. Le barre orizzontali indicano il range Erel su cui S è mediato
[Motobayashi et al., 1994]
3.2 Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient
Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient permette di ricavare la sezione d’urto per reazioni di cattura radiativa (p, γ) e (α, γ) ad energie di interesse
astrofisico, a partire dal cosiddetto coefficiente di normalizzazione C relativo al sistema poco legato B = A + p oppure B = A + α, cioè nel caso in cui il nucleo in
questione sia costituto da un core A e da un protone o da una particella α [Trache
et al., 1998].
Tale coefficiente, ottenuto attraverso misure relative alla sezione d’urto per processi
di transfer periferici, rappresenterà la probabilità di trovare il nucleo B nella configurazione A + p o A + α a distanze superiori al range dell’interazione forte, così che l’andamento della funzione d’onda nella regione asintotica sia determinato
essenzialmente dall’interazione coulombiana. Si rende così possibile calcolare in
maniera accurata il rate una volta nota l’ampiezza della coda [Azhari et al., 2001].
Consideriamo adesso il processo di transfer periferico
A+ X → B+Y
57
(3.5)
3.2 Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient
nella quale X = Y + a, B = A + a ed a è la particella trasferita (Fig 3.2); nell’ambito
della Distorted Wave Born Approximation (DWBA), indicando con M l’ampiezza
per il processo (3.5) e nell’ipotesi che l’interazione tra le particelle coinvolte sia
periferica, tale ampiezza avrà la forma [Mukhamedzhanov et al., 1997]
' *
B
X
Ma χ(−)
M(E i , cos θ) =
f IAa (rAa )|∆V|IYa (rYa )χi (+)
(3.6)
nella quale E i è l’energia cinetica relativa dei nuclei A e X, θ è l’angolo di diffusione
(−)
nel sistema di riferimento del centro di massa, χ(+)
i e χ f le onde distorte nel canale
α
(rβγ )
d’ingresso e di uscita rispettivamente, ∆V l’operatore di transizione e con Iβγ
che è detta funzione di sovrapposizione dei nuclei β e γ che costituiscono lo stato
legato α = β + γ.
Figura 3.2: Diagramma schematico per a reazione A + X → B + Y, dove X = Y + a e B = A + a,
nella quale una particella a viene trasferita dal nucleo X al nucleo A
La validità di tale metodo si fonda sul fatto che la funzione di sovrapposizione
α
Iβγ
(rβγ ) che figura nella (3.6) relativa al processo di transfer, è la stessa che compare
nell’ampiezza di cattura radiativa diretta:
* B
+
(rAa )|O|Ψi+ (rA a)
MDC = λ IaA
(3.7)
nella quale λ è un fattore cinematico, O è l’operatore di transizione elettromagnetico
e Ψi+ è la funzione d’onda di scattering nel canale di ingresso.
Se il diagramma in Fig (3.2) descrive il transfer, la sezione d’urto DWBA può essere
scritta in termini di fattori spettroscopici dei nuclei iniziali e finali [Mukhamedzhanov et al., 1997]:
dσ '
=
S Aa lB jB S Ya lX jX σlDW
B j B lX jX
dΩ j j
(3.8)
B X
I fattori spettroscopici, tuttavia, se valutati impiegando tale approssimazione, dipendono fortemente dal modello utilizzato, a differenza del coefficiente di normalizzazione, in quanto influenzati dal comportamento della funzione d’onda all’interno del
58
3.2 Il metodo del Asymptotic Normalization Coefficient
nucleo. Ciò rende le indeterminazioni sui parametri geometrici del potenziale una
rilevante fonte di incertezza nel calcolo. Il coefficiente di normalizzazione asintotica è invece legato al comportamento della funzione d’onda a distanze superiori al
raggio di interazione nucleare, il che lo rende meno dipendente dal modello rispetto
al fattore spettroscopico [Mukhamedzhanov et al., 1997].
Esplicitiamo adesso la parte radiale della funzione di sovrapposizione: si può dimostrare la validità della seguente relazione
1/2
bβγlα jα
Cβγlα jα = S βγl
α jα
(3.9)
nella quale bβγl{ alpha jα è una costante di normalizzazione della funzione d’onda del
moto relativo tra i due cluster β e γ, che interviene nell’espressione della parte radiale della funzione di sovrapposizione.
La relazione (3.9) definisce il comportamento della funzione di sovrapposizione per
valori di rβγ maggiori del raggio di interazione nucleare. Sostituendo l’equazione
(3.8) nella (3.9) si ottiene la sezione d’urto:
-2 ,
-2
dσ ' , B
=
C Aa lB jB CYa lX jX RlB jb lX jX
dΩ j j
(3.10)
B X
dove RlB jB lX jX è dato da:
Rl B j B l X j X =
σl B j B l X j X
2
bAalB jB b2YalX jX
(3.11)
con la (3.10) che, a differenza di σDW , è poco sensibile a variazioni dei parametri
del potenziale nucleare utilizzato nell’ipotesi di reazioni periferiche.
Per applicare il metodo ANC, si rende necessario isolare sperimentalmente il contributo del transfer da altri meccanismi di reazione. A tale scopo è necessario normalizzare la sezione d’urto differenziale calcolata tramite il formalismo DWBA al
valore sperimentale per piccoli angoli, per i quali ci si aspetta che le reazioni di
transfer dominino.
3.2.1 Applicazioni sperimentali
Per quanto detto finora, il metodo ANC può essere usato ad esempio per studiare il processo 8 Be →7 Be + p attraverso la reazione di transfer di un protone
10
7
B(7 Be,8 B)9 Be e calcolare quindi li fattore astrofisico per la reazione di cattura
Be(p, γ)8 B, determinando prima il ANC per decadimento virtuale 10 B →9 Be + p,
dato che nella (3.6) figurano funzioni di sovrapposizione. Dal punto di vista sperimentale si estrae prima il ANC per
10
B →9 Be + p, tramite un’altra reazione di
59
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
transfer, e impiegando la reazione 9 B(10 B,9 B)10 Be per evitare l’utilizzo di un terzo
ANC, in modo tale da avere la stessa funzione di sovrapposizione ai due vertici e da
evitare l’estrazione di ulteriori ANC.
Con tale metodo si ottengono valori per S 17 (0) pari a 17.3 ± 1.8 eV b [Azhari et al.,
2001], mediando su diverse determinazioni a cui si arriva analizzando diversi processi di transfer, in questo caso10 B(7 Be,8 B)9 Be e
14
N(7 Be,8 B)13C. Tale risultato è
in accordo con il valore attuale adottato in letteratura, pari a 19+4
−2 eV b [Adelber-
ger et al., 1998]. Esso è inoltre consistente con valori più recenti di S (0)17 ottenuti
con metodi diretti [Hass, 1999] e con il metodo della Coulomb Dissociation [Iwasa
et al., 1999].
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
3.3.1 Processi quasi liberi
Il metodo del Cavallo di Troia (THM) fonda le sue basi sulla teoria delle reazioni
nucleari dirette, ed in particolare dei meccanismi di break-up quasi liberi [Satchler,
1990]. Si consideri la reazione A+a → c+C + s, in cui a possa essere descritto come
una struttura a cluster, cioè dove a = x ⊕ s. Si supponga inoltre, per semplicità, che
il moto intercluster avvenga prevalentemente in onda s, il che impone che la distribuzione di impulsi per tale moto abbia un massimo a 0 MeV/c. In queste condizioni
il break-up si definirà quasi libero se s mantiene la stessa distribuzione di impulsi
all’interno di a prima dell’interazione e nel canale di uscita. In tali condizioni s
funge da spettatore per il processo virtuale A(x, c)C [Satchler, 1990] (Fig.3.3), e si
può assumere la validità dell’approssimazione polare.
Occorre comunque sottolineare che il metodo mantiene la sua validità indipendentemente dalla particella che subisce break-up, sia essa nucleo bersaglio o proiettile,
oppure se il moto relativo x − s non avviene in onda s.
60
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
Figura 3.3: Pseudo-diagramma di Feynman per il processo a(A, C c)s. Nel polo superiore il proiettile
a si scinde in due cluster x ed s, con s che non interagisce con il bersaglio A dando origine
alla reazione virtuale A + x → C + c, mentre x si comporta da spettatore alla reazione,
conservando l’impulso che possedeva all’interno di a prima del break-up di quest’ultimo
(approssimazione polare)
3.3.2 THM
Il Trojan Horse Method viene utilizzato per lo studio di reazioni ad energie di
interesse astrofisico che hanno particelle cariche o neutroni nel canale finale, a differenza di quanto esposto fin ora in questo capitolo che permette misure esclusivamente nel caso di cattura radiativa.
Esso permette di ottenere misure indirette della sezione d’urto di una reazione a due
corpi di interesse astrofisico a partire dalla misura di un processo quasi libero a tre
corpi, nella quale la funzione d’onda associata al nucleo bersaglio ha un’ampiezza
dominante per la configurazione a cluster. In corrispondenza di tali condizioni cinematiche, gli angoli a cui vengono emesse le particelle c e C sono detti quasi liberi
e vengono determinati imponendo che la particella s rimanga con impulso ks , e che
esso resti invariato dopo l’interazione tra A e x. Se si sceglie E beam > E coul , l’adozione di tale metodo è lecita e permette di eliminare la soppressione coulombiana
della sezione d’urto; a tal fine si sceglie l’energia della particella A in modo tale che
l’interazione A − a avvenga sopra la barriera coulombiana , mentre quella A − x può
avere luogo ad energie bassissime, al limite zero. È infatti l’energia di legame tra x
e s che provvede a compensare l’energia cinetica del moto relativo A − x, determinando la cosiddetta energia quasi libera [Tumino et al., 2003] data da (nel caso in
cui p s = 0):
E q f = E Ax − B x−s
61
(3.12)
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
nella quale E Ax è l’energia del fascio nel sistema di riferimento del centro di massa
del sistema A − x e B x−s è l’energia di legame del sistema x − s. In tale contesto,
il moto intercluster di x all’interno del nucleo a ha il compito di fissare il range di
energie accessibili nell’intorno della cosiddetta energia quasi libera per il processo
in esame.
Inoltre il fatto che E beam > E coul rende trascurabile i fenomeni di electron screening.
3.3.3
Plain Wave Impulse Approximation
Passiamo adesso a descrivere più in profondità il metodo del Cavallo di Troia.
Dal punto di vista teorico, il meccanismo di break-up quasi libero può essere trattato
tramite la cosiddetta approssimazione impulsiva, le cui ipotesi di base [Chew and
Wick, 1952] sono:
• il nucleo A non interagisce mai contemporaneamente con i due cluster s e
x del sistema a. Questo risulta vero se la lunghezza d’onda di De Broglie
associata all’impulso del proiettile A è inferiore alla distanza media tra x e s;
• la probabilità di interazione tra A e x è la stessa che si avrebbe se x fosse
libera, per cui la presenza di s non influisce sull’interazione;
• si suppone trascurabile l’energia di legame del sistema x−s rispetto all’energia
di interazione tra A ed x. Tale ipotesi è tanto più soddisfatta quanto più alta è
l’interazione tra A e x;
Partendo da tali ipotesi, ed introducendo il formalismo dell’approssimazione in onde
piane, si può elaborare un approccio al meccanismo di break-up quasi libero particolarmente semplice che va sotto il nome di approssimazione impulsiva in onde piane
(Plane Wave Impule Approximation, PWIA), che aggiunge due ulteriori assunzioni
rispetto a quelle fatte in precedenza, cioè:
• la particella incidente e quelle uscenti sono descrivibili mediante onde piane;
• la distribuzione degli impulsi della particella spettatrice è data dalla trasformata di Fourier della funzione d’onda del moto relativo tra i nuclei x e s.
Assumiamo adesso che le particelle coinvolte abbiano spin uguale a zero e che la
funzione d’onda relativa al nucleo proiettile a possa essere decomposta nel prodotto
62
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
delle funzioni d’onda dei cluster x e s che si trovano nello stato fondamentale, indicate con ψx e ψs , e della funzione d’onda del moto relativo tra i due cluster [Jain
et al., 1970]:
ψa = ψx (rx )ψs (rs )ψ(rx − rs )
(3.13)
Tale relazione costituisce, in realtà un troncamento di uno sviluppo in serie al termine di ordine più basso, in quanto l’espansione completa comporta la somma sui differenti livelli eccitati dei cluster x e s, secondo i coefficienti ci legati alla probabilità
che una certa configurazione si realizzi:
ψa =
'
i
ci ψxi (rxi )ψsi (rsi )ψ(rx − rs )
(3.14)
Nell’ipotesi adesso che il nucleo Cavallo di Troia sia, ad esempio, il bersaglio, indichiamo con kC , kc , ks , q e p gli impulsi delle particelle C, c, s, x e A, nel sistema
del laboratorio, con kxs = (m s q − m x ks )/ma impulso relativo dei cluster all’interno
del nucleo bersaglio a e con ψ(kxs ) la trasformata di Fourier della funzione d’onda
del moto relativo ψ(rx − rs ) [Jain et al., 1970].
Con tale notazione, la funzione d’onda relativa al nucleo a nello spazio degli impulsi
ha la forma:
. +
*
ks , q..a = φ(kxs )δ(q + ks )
(3.15)
dove |a& rappresenta lo stato intrinseco del bersaglio, mentre la delta di Dirac è
presente perché tiene conto del fatto che il bersaglio è in quiete nel sistema di riferimento del laboratorio. Dovendo quindi essere nullo il suo impulso complessivo ka ,
si ha:
ka = ks + q ⇒ q = −ks = kxs
(3.16)
cioè l’impulso del cluster x prima della collisione con il proiettile a è uguale ed
opposto a quello di s; questo vuol dire che, in linea di principio, esso può essere
misurato sperimentalmente, dato che quest’ultima particella comparirà tra i prodotti
della reazione a tre corpi. Le funzioni d’onda relative agli stati iniziale e finale
saranno rispettivamente
.. + .. +
.i = .p, a
| f & = |kC , kc , ks &
(3.17)
(3.18)
sempre supponendo che le particelle incidenti e uscenti possano essere descritte
mediante onde piane. Ciò detto l’elemento di transizione tra lo stato iniziale e finale
63
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
nel sistema del laboratorio vale [Jain et al., 1970]
. . +
* . .+ *
T f i = f ..T̂ ..i = kC , kc , ks ..T̂ 3B ..p, a
(3.19)
dove con T̂ 3B si indica l’operatore T̂ relativo alla reazione a tre corpi.
Se le ipotesi della PWIA sono valide, la sostituzione dell’operatore T̂ 3B che compare
nella (3.19) con l’operatore T̂ 2B relativo all’interazione a due corpi è lecita, ed inoltre
la particella spettatrice della due corpi avrà funzione d’onda immutata dall’azione
di tale operatore, cioè
* .. 2B * ..
ks .T̂ = ks .
(3.20)
Tenendo conto delle considerazioni fatte fino ad ora, l’elemento di transizione della
matrice (3.19) potrà essere scritta:
.. 2B .. + ! *
. .
*
+* . +
kC , kc ..T̂ 2B ..p, q q..a d 3 q
T f i = kC , kc , ks .T̂ .p, a =
che, ricordando le relazioni(3.15) e (3.16), portano al seguente risultato:
!
. +
. .
*
+*
T fi =
kC , kc ..T̂ 2B ..p, −k s ks , q..a d 3 q
!
. .
*
=
kC , kc ..T̂ 2B ..p, −k s &φ(kxs )δ(q + ks )d 3 q
. .
+
*
= kC , kc ..T̂ 2B ..p, −k s φ(−k s )
(3.21)
(3.22)
in cui l’elemento di matrice
.. 2B ..
*
+
.T̂ .p, −ks
=
k
,
k
T 2B
C
c
fi
(3.23)
è l’elemento di matrice del sistema a due corpi che descrive la transizione dallo stato
.
.
+
+
iniziale ..p.−k s allo stato finale ..kC , kc .
Passando al sistema del centro di massa e alla coordinata impulso relativo del sistema a due corpi, potremo scrivere [Jain et al., 1970]:
2B
T 2B
f i = δ(p − k s − kC − kc )t f i
(3.24)
2B
t2B
f i = %k f |T̂ |ki &
(3.25)
dove
è l’elemento di matrice ridotto relativo al processo a due corpi, ki e k f sono gli
impulsi relativi delle particelle a e A nel canale d’ingresso e delle particelle C e c
nel canale d’uscita per la reazione a due corpi, con la delta di Dirac che esprime la
conservazione d’impulso.
64
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
Avvalendosi adesso delle relazioni (3.24) e (3.25), l’elemento di matrice della transizione assume la forma:
T f i = δ(Ki − K f )t2B
f i φ(−k s )
(3.26)
dove Ki = p e K f = ks + kC + kc sono gli impulsi del sistema di riferimento del
centro di massa, prima e dopo la collisione.
Scrivendo T f i in termini dell’elemento di matrice ridotto relativo al processo a tre
corpi otterremo:
T f i = δ(Ki − K f )t3B
fi
(3.27)
2B
t3B
f i = φ(−ks )t f i
(3.28)
dove
quest’ultima relazione assume grande importanza se si considera che essa permette
di scrivere l’ampiezza di transizione per il sistema a tre corpi che compare nell’espressione della sezione d’urto di break-up in termini dell’elemento di matrice
ridotto, relativo al sistema a due corpi. La sezione d’urto differenziale nel sistema
di riferimento del laboratorio per una reazione che presenta tre particelle nel canale
di uscita, infatti, si scriverà, utilizzando le unità naturali (cioè " = c = 1) [Berggren
and Tyren, 1966]:
. ..2
(2π)4
.
dσ = .. .. d 3 kC d 3 kc d 3 ks δ(Ki − K f )δ(E i − E f )..t3B
fi
.vrel .
(3.29)
dove E i e E f sono le energie totali del sistema nello stato iniziale e finale, e vrel è
la velocità relativa tra la particella incidente ed il bersaglio. Sostituendo in (3.29) le
espressioni di Ki e K f e l’espressione (3.28) per t3B
f i si ottiene
(2π)4
dσ = .. .. kC2 dkC dΩC kc2 dkc dΩc d 3 ks
.vrel .
.
× δ(p − k − k − k )δ(E − E )..φ(−k
s
C
c
i
f
..2 .. 2B ..2
s ). .t f i .
(3.30)
Integrando ora rispetto a d 3ks (dal momento che in genere lo spettatore non viene
rilevato) e rispetto e rispetto a dkc , si giunge all’espressione esplicita della sezione
d’urto differenziale nell’ipotesi che un solo l contribuisca significativamente ad essa
[Jain et al., 1970]:
$
%
..
..2 dσN o f f
d3σ
∝ (KF).φ(−k s ).
dEC dΩC dΩc
dΩ l
65
(3.31)
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
dove KF è un fattore cinematico, la cui forma dipende dalle particolari variabili
tramite le quali si esprime la (3.31), |φ(−ks )|2 è la distribuzione di impulsi del nucleo
$ N %o f f
dσ
spettatore s all’interno del nucleo a e
è la sezione d’urto differenziale offdΩ l
energy-shell [Joachain, 1987] per la reazione a due corpi A − x.
Nel nostro caso il fattore cinematico avrà forma:
2
kC k2c E S E cm
KF =
pE xi kc E S + E c [kc − p cos ϑc + kC cos(ϑC − ϑc )]
(3.32)
nella quale gli angoli delle particelle sono misurati rispetto alla direzione del fascio
incidente, E cm è l’energia complessiva disponibile nel centro di massa della reazione
a due corpi e E 2xi = mc + kS2 .
In realtà l’equazione (3.31) andrebbe moltiplicata per un opportuno fattore spettroscopico, legato alla propabilità che il nucleo a sia descrivibile in termini dei diversi
cluster x ed s. Tale fattore non è però noto in generale, e costituisce un limite per il
THM. Esso, come detto sopra non fornisce sezioni d’urto in unità assolute, necessitando quindi un confronto e una normalizzazione con le misure dirette, ad energie
superiori alla barriera coulombiana o attorno ad essa.
Assumendo adesso la distribuzione d’impulsi |φ(−k s )|2 , nota da studi sperimentali o
studiata teoricamente e calcolando il fattore cinematico KF sarà alla fine possibile
$ N %o f f
dσ
conoscere la sezione d’urto
del processo a due corpi, misurando la sezione
dΩ l
d’urto (3.31) del processo a tre corpi:
"
#−1
d3σ
dσN
2
∝
KF|φ(−kS )|
(3.33)
dΩ
dEC dΩC dΩc
Il caso in cui ad essere Cavallo di Troia sia il proiettile, può essere trattato allo stesso
modo, ed in questo caso la funzione d’onda del nucleo Cavallo di Troia nello spazio
degli impulsi sarà:
%ks , q|A& = φ(kxs )δ(q + ks − p)
(3.34)
in cui |A& è lo stato del proiettile. Da quest’ultima relazione si otterrà l’ampiezza
di transizione per il sistema a due corpi, la quale condurrà ad una formulazione per
la sezione d’urto assolutamente identica alla (3.31), ma con un fattore
EA
Ea
(dove a si
riferisce al nucleo proiettile ed A al bersaglio) a moltiplicare [Slaus et al., 1977].
$ %o f f
N
rappresenta solo
Va messo in evidenza a questo punto che la sezione d’urto dσ
dΩ
il contributo nucleare, in quanto l’energia del fascio è stata scelta appositamente per
superare la barriera coulombiana nel canale d’ingresso, in modo che la parte interagente venisse portata dal nucleo Cavallo di Troia entro il range dell’interazione
66
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
nucleare, con lo scopo di ottenere la reazione desiderata.
Per confrontare tali risultati con le misure dirette presenti in letteratura sarà necessario moltiplicare la sezione d’urto indiretta a due corpi per il coefficiente di
penetrabilità della barriera coulombiana relativo all’onda parziale l-esima:
$ N %o f f
dσ '
dσ
Pl
=
dΩ
dΩ l
l
(3.35)
Integrando adesso la (3.35) sull’angolo solido dΩ otterremo la sezione d’urto totale
σtot , a partire dalla quale si potrà ricavare il fattore astrofisico S (E)(vedi il capitolo
2, equazione 2.33), che ancora una volta non risente dello screening elettronico (in
questo caso è una S (E) di nucleo nudo). A questo punto sarà possibile normalizzare
ai dati diretti.
Una formulazione più avanzata per il metodo del Cavallo di Troia prende come
punto di partenza non più l’approssimazione PWIA, ma quella in onde distorte (la
cui applicazione va oltre gli scopi di questo lavoro), il quale formalismo introduce
variazioni quantitative alle sezioni d’urto da estrarre mantenendo però invariata la
fattorizzazione della sezione d’urto a tre corpi rispetto all’equazione (3.31). Tale approssimazione giustifica inoltre in maniera più rigorosa la relazione (3.35) rispetto
alla derivazione in PWIA. Tale approssimazione è stata introdotta con lo scopo di
studiare una particolare classe di problemi, a cui viene dato il nome generico di scattering da due potenziali, dal momento che si suppone che il potenziale di interazione
V possa essere scomposto in due parti:
V =U+W
(3.36)
delle quali verrà trattata in maniera esatta solo la parte riguardante il potenziale U,
mentre gli effetti del termine W saranno considerati solo al primo ordine.
Si parte dalla cosiddetta formula dei due potenziali, in grado di fornire l’espressione
per l’ampiezza di diffusione da parte di V in termini dell’ampiezza relativa a U e di
un termine dipendente da W:
* . . + * . . +
T f i = φ f ..U ..χ+i + χ−f ..W ..ψ+i
(3.37)
in cui |χ+i & e |χ+i & sono le onde distorte dei potenziali U, mentre |φ f & e |ψ+i & sono
rispettivamente l’onda piana che rappresenta lo stato di moto del canale finale e la
soluzione esatta del problema di scattering.
Si consideri adesso una reazione a due corpi di interesse astrofisico, ottenuta dalla
67
3.3 Il metodo del Cavallo di Troia (THM)
misura della sezione d’urto di una reazione a tre corpi tramite il metodo del Cavallo
di Troia; in generale la sezione d’urto differenziale per una reazione a tre corpi ha la
forma:
. .2
d3σ
= KF ..T f i ..
(3.38)
dEC dΩC dΩc
dove KF è un fattore cinematico. Introducendo adesso le masse ridotte µAa e µBb , gli
impulsi KC e Kc , gli impulsi relativi KCc , kBs e kAa , dove B rappresenta il sistema
dei partecipanti. In questo modo KF sarà uguale a :
"$
%
#−1
µAa mc kC kc3 kBs
kCc kc
KF =
·
−
(2π)5 "7 kAa µBs
mc kc
(3.39)
Nel caso di DWIA la sezione d’urto a tre corpi potrà essere scritta come [Typel and
Wolter, 2000]
Nel quale
.
.2 vCc −1 dσl
d3σ
= KF ..W(QBs )..
P Cl
(Cc → Ax)
dEC dΩC dΩc
vAx l
dΩAx
dσl
dΩAx
(3.40)
è la sezione d’urto on-shell per la reazione a due corpi, Cl è una
costante di normalizzazione e QBs è un’ampiezza direttamente legata alla funzione
d’onda nella rappresentazione degli impulsi del nucleo a nello stato fondamentale
Φ(QBs ) mediante le relazioni
ms
kAa
QBs = kBs −
ms + mx
$
%
"2 Q2Bs
Φa (QBs )
W(QBs ) = − εa +
2µxs
(3.41)
(3.42)
con εa energia di soglia per il decadimento di a in x + b [Typel and Wolter, 2000].
Inoltre in (3.40) compare il reciproco del fattore di penetrabilità definito nel capitolo
precedente, il quale compensa la soppressione della sezione d’urto on-shell dovuta
alla barriera coulombiana.
Vale la pena di sottolineare che la surface approximation, assieme alla presenza di
Cl , nonostante permetta di analizzare in maniera accurata la dipendenza dell’energia
dalla sezione d’urto a due corpi
dσl
,
dΩAx
non consente di ricavarla in unità assolute.
Si rende quindi necessaria una qualche normalizzazione della sezione d’urto a due
corpi a quella misurata in maniera diretta, dove quest’ultima non risulta soppressa e
l’effetto dello screening elettronico è trascurabile.
68
3.4 Esempi sperimentali
3.4 Esempi sperimentali
Il metodo del Cavallo di Troia è stato impiegato per lo studio di numerose reazioni di interesse astrofisico, ottenendo in tutti i casi un buon accordo tra i risultati
con esso ottenuti e quelli derivanti da misure dirette. Negli anni sono stati condotti diversi test sulla validità di tale metodo e sull’individuazione e separazione dei
processi quasi liberi [Jacob and Maris, 1966; Zadro et al., 1989], con lo scopo di
verificare che il processo quasi libero sia presente anche a basse energie di fascio, e
che di conseguenza il THM sia applicabile.
(a)
(b)
(c)
Figura 3.4: Studio della reazione 6 Li(p, α)3 He tramite la reazione a tre corpi
2
H(6 Li, α 3 He)n[Tumino et al., 2003].
a)Distribuzione sperimentale d’impulso per lo spettatore (neutrone), confrontato con la
funzione di Hultén.
b)Sezione d’urto indiretta a due corpi (cerchi pieni) confrontata con dati diretti ad
Ebeam > Ecoul .
c)Fattore astrofisico ricavato sperimentalmente (cerchi pieni) confrontato con i dati
diretti. La linea continua è il risultato di una polinomiale di secondo ordine atta a
riprodurre i dati. La discrepanza a basse energieè dovuta all’assenza di screening
elettronico
69
3.4 Esempi sperimentali
In figura 3.4 sono riportati alcuni risultati relativi alla verifica dell’esistenza di
un contributo quasi libero per la reazione a due corpi H(7 Li, α)4 He a partire dalla tre
corpi 2 H(7 Li, αα)n, in cui il neutrone funge da spettatore.
L’evidenza sperimentale mostra come il meccanismo quasi libero sia separabile dagli altri, ed anche come la funzione d’eccitazione ottenuta in tale maniera riproduca
perfettamente i dati diretti entro gli errori sperimentali. Tale risultato costituisce un
test di validità per l’approssimazione polare (paragrafo 3.3.1) ad energie superiori
alla barriera coulombiana. Una verifica sperimentale come questa costituisce uno
step propedeutico e necessario per l’applicazione del THM a una data reazione di
interesse.
Per quanto riguarda invece la validità del metodo, si vede (Fig.3.4) che con riferimento all’utilizzo di un nucleo di 2 H come nucleo Trojan Horse, non solo il metodo
è applicabile (Fig.3.4a), ma la sezione d’urto è in accordo con misure dirette precedenti (Fig 3.4b), mentre alle basse energie il fattore astrofisico (Fig 3.4c) non risente
dello screening elettronico. In Fig.3.5.a è mostrato il fattore astrofisico per la reazio-
(a)
(b)
Figura 3.5: (a) Fattore astrofisico per la reazione 6 Li + d −→ α + α estratto con il THM [Spitaleri
et al., 2001] (cerchi pieni) a confronto con i dati diretti [Engstler et al., 1992] (rombi
bianchi); (b) Fattore astrofisico per la reazione 7 Li + p −→ α + α estratto con il
THM [Lattuada et al., 2001] (cerchi pieni) a confronto con i dati diretti [Engstler et al.,
1992] (rombi bianchi). In entrambe le figure la linea continua mostra il fit adoperato per
l’estrazione di S b (0), fattore astrofisico di nucleo nudo ad energia zero
ne 6 Li(d, α)4 He (cerchi neri), studiata tramite la reazione a tre corpi 6 Li(6 Li, αα)4 He
[Spitaleri et al., 2001], insieme al risultato diretto delle misure a bassa energia (simboli vuoti) [Engstler et al., 1992], mentre nella 3.5b si mostra il fattore astrofisico
per la reazione 7 Li(p, α)4 He estratto da 2 H(7 Li, αα)n (cerchi neri) [Lattuada et al.,
2001] e il fattore astrofisico diretto (simboli vuoti) [Engstler et al., 1992].
Dal momento che il deutone e la particella α all’interno di 6 Li presentano piccole
70
3.4 Esempi sperimentali
energie di legame (1.47 MeV), nell’applicazione sperimentale del Cavallo di Troia ci
si avvale di tale nucleo per lo studio delle reazioni a due corpi coinvolgenti deutoni
e particelle α, e in cui il ruolo di spettatore sarà interpretato rispettivamente da una
di esse. Nel presente lavoro si sfrutterà un nucleo di 6 Li incidente su un bersaglio di
7
LiF per estrarre la sezione d’urto a due corpi della reazione 19 F(α, p)22 Ne, a partire
la reazione a tre corpi 6 Li +
particella spettatore.
19
F −→ p + d +
22
Ne, in cui il deuterio funge da
Come si evince dai risultati mostrati fino a qui, il THM risulta essere un metodo utile
per la determinazione delle sezioni d’urto di nucleo nudo alle energie astrofisiche.
71
CAPITOLO 4
Studio della reazione19 F(α, p)22 Ne tramite il Trojan
Horse Method: preparazione dell’esperimento
Nel presente capitolo saranno descritte le fasi preliminari dello studio della reazione 19 F(α , p)22 Ne attraverso il THM. Per quanto riguarda la progettazione dell’esperimento, saranno inizialmente discusse le condizioni che portano alla scelta di
appropriati nuclei bersaglio e proiettile e delle regioni cinematiche dove il meccanismo quasi libero è presente e discriminabile. Fatto questo si passerà quindi alla
descrizione dell’apparato sperimentale adottato.
4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali
La prima cosa da verificare è che il metodo del Cavallo di Troia sia effettivamente applicabile. Vanno perciò soddisfatte una serie di condizioni riguardanti la
struttura nucleare delle particelle Cavallo di Troia coinvolte nella reazione e i nuclei
rivelati nel canale di uscita.
Per quanto concerne la struttura nucleare dovrà accadere che:
• Il nucleo Cavallo di Troia presenti una evidente struttura a cluster;
• L’energia di legame delle particelle componenti il cluster sia piccola rispetto
all’energia di fascio;
72
4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali
• La distribuzione degli impulsi delle particelle componenti sia nota [Pizzone
et al., 2005]
Per applicare il metodo del Trojan Horse si deve quindi scegliere un nucleo che
sia descrivibile in termini di cluster A = x ⊕ s, in cui x funge da partecipante e s
da spettatore, sotto le condizioni espresse nel capitolo precedente, con lo scopo di
studiare la reazione a due corpi del tipo
a+x → C+c
(4.1)
a partire da una a tre corpi (come visto nel capitolo precedente)
A+a → C+c+s
(4.2)
Tra i possibili nuclei che possono essere pensati come cluster, conviene scegliere
quello che presenta minore binding energy, in modo da massimizzare la probabilità
di avere un contributo dal processo quasi libero; nel nostro caso si è scelto come
nucleo cavallo di Troia il 6 Li, che ha energia di legame pari a E b = 1.47 MeV, e dato
il fatto non trascurabile che la distribuzione d’impulso per la particella α all’interno
di 6 Li è nota da studi precedenti [Barbarino et al., 1980; Zadro et al., 1987; Cherubini
et al., 1996; Spitaleri et al., 2001; Pizzone et al., 2005].
6
Li
d
_
p
19
F
22
Ne
>
Figura 4.1: Pseudo-diagramma di Feynman per la reazione a tre corpi di interesse.
73
4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali
In figura 4.1 è schematizzato il processo a tre corpi quasi libero per la reazione
di interesse, nell’ipotesi di break-up del fascio di 6 Li, e per il quale il deuterio funge
da spettatore, mentre la particella α è il nucleo trasferito. Applicheremo quindi il
THM alla reazione 19 F(6 Li, p22 Ne)d con lo scopo di studiare la 19 F(α, p)22 Ne.
Il moto intercluster, per questioni di semplicità, è preferibile che avvenga in onda s.
In queste condizioni l’impulso dello spettatore pd , corretto per il moto del proiettile
(in questo caso del 6 Li) pdf , cioè ps = pd − pdf , deve essere uguale a zero.
Va adesso ricercata una condizione in cui vengano eliminati gli effetti relativi alla
barriera coulombiana nel canale in ingresso (nel nostro caso, dall’equazione 2.61, la
barriera coulombiana è pari a circa 3.81 MeV), e per fare ciò si sceglie un’energia
di fascio tale da poterla superare. Si deve altresì fare in modo che la reazione a due
corpi 19 F(α, p)22 Ne avvenga nel range di interesse astrofisico, tenendo però conto
del fatto che l’energia cinetica del moto relativo delle particelle 19 F e 6 Li deve essere
compensata dall’energia di legame α − d. Infatti la determinazione delle condizioni
di superamento della barriera coulombiana rappresenta solo il primo passo per la
scelta dell’energia di fascio: si deve fare anche in modo che l’energia nel sistema
del centro di massa dell nella condizione quasi libera (E q f ) sia il più possibile vicina
all’energia di Gamow (fattore b definito in 2.25 elevato al quadrato):
E q f = E A − E B(x−s) ≈ EGamow
(4.3)
dove E B(x−s) è l’energia di legame del cluster d in 6 Li e E A l’energia del fascio della
reazione a due corpi, calcolata nel sistema del centro di massa. Dall’equazione 4.3
possiamo ottenere l’energia di fascio nel sistema di riferimento del laboratorio:
$
%
m x + mA
E beam = [E B(x−s) + E q f ]
(4.4)
mx
in cui m x è la massa della particella spettatore (nel nostro caso il deuterio), mentre ma
è la massa del bersaglio. Nel caso in esame si è utilizzato un fascio di 6 Li incidente
su un bersaglio di
19
F. Data l’energia di legame del cluster (pari a 1.47 MeV), e
scegliendo E q f pari al picco di Gamow (≈ 750 keV se T = 2 · 108 K), l’equazione
4.4 restituisce un valore pari a E beam ≈ 4.41 MeV, valore di circa un MeV superiore
alla barriera coulombiana precedentemente trovata. Tenendo conto delle perdite di
energia delle particelle nei rivelatori e della necessaria presenza di un assorbitore
per i rivelatori a piccoli angoli, si è scelto un fascio di 6 Li con energia pari a 6 MeV.
Inoltre è importante estendere la misura a più alte energie, col fine di effettuare una
normalizzazione per confronto con i dati diretti.
74
4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali
4.1.1 Selezione delle condizioni cinematiche
Il metodo del Cavallo di Troia prevede la rivelazione di due delle tre particelle
in uscita; questo perchè, in una reazione a tre corpi nel canale di uscita, una volta
noti gli angoli di emissione di due particelle e l’energia di una di esse, si riescono a
determinare univocamente energia e angolo della terza.
Ci si aspetta dunque che il contributo quasi libero sia massimo in corrispondenza
di una coppia di angoli, determinabile a partire dalla condizione p s = 0, attorno a
cui la distribuzione per gli impulsi del deuterio all’interno di 6 Li ha un massimo.
Applicando principi di conservazione di energia ed impulso, si otterrà un sistema di
tre equazioni in quattro incognite:
E A + Q = E c + EC +
p2d f
2m
pA = pc cosϑc + pC cosϑC + pd f
(4.5)
0 = pc sinϑc + pC sinϑC
Fissando ora uno dei due angoli, l’altro viene determinato univocamente. Se la distribuzione di impulsi è tale che pd ! 0, come nel nostro caso (il break-up avviene
nel fascio), le coppie di angoli verranno determinate imponendo che pd rimanga invariato tra prima e dopo l’interazione, cioè il valore di pd all’interno del cluster di
6
Li e nel canale finale deve essere uguale; la determinazione di tali angoli è impor-
tante perché ci permette di trovare la configurazione ottimale per i nostri rivelatori.
Da analisi cinematiche condotte tramite una simulazione Monte Carlo si evince che
la rivelazione ottimale in condizioni di quasi-libero dovrebbe avvenire preferibilmente a piccoli angoli. Per evitare il problema della diffusione elastica, fenomeno
molto intenso in tale regione spaziale che potrebbe danneggiare rapidamente i rivelatori, e per questioni di ingombro dovute ai rivelatori stessi ed ai loro supporti
meccanici, si sono scelti i range angolari rappresentati in figura 4.2.
Una volta decise le condizioni angolari opportune, si può passare a calcolare l’andamento dell’energia del centro di massa in post collision prescription (ECM =
E p−22 Ne − Q2B
value ) tra le particelle rivelate in funzione del p s : scopo di questa pro-
cedura è quella di verificare che, in queste condizioni cinematiche, si possa avere
accesso a misure ad energie di interesse astrofisico. Tale calcolo verrà confrontato
con i dati sperimentali per verificare l’accordo tra dati sperimentali e distribuzione
di impulsi predetta per il deuterio.
75
4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali
Figura 4.2: Range angolari per le due particelle rivelate (i range angolari sono esplicitati in Tabella
4.2), le linee rosse rappresentano i centri dei rivelatori, mentre le linee blu e verdi gli
estremi; si è inoltre effettuato un taglio a p − S < 60
Una volta identificati i possibili angoli quasi liberi si passa, sempre tramite simulazioni Monte Carlo, a identificare a che energie queste particelle vengono emesse
(Fig 4.4), in modo da effettuare una opportuna scelta del numero e dello spessore
dei rivelatori da adoperare1 .
Si vede subito che è cruciale una ottimale calibrazione degli strumenti, in quanto la
regione di interesse è molto stretta; risulta altresì fondamentale essere sicuri di aver
rimosso dai dati sperimentali ogni possibile fonte di disturbo proveniente da reazioni concorrenti a quella in esame e che occorrono tra proiettile e bersaglio (oltre a
6
Li +
19
F anche 6 Li + 7 Li).
1
Le particelle devono infatti arrestarsi al loro interno in modo da migliorare la risoluzione in
energia
76
ECM(p-22Ne) [MeV]
4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali
3
14
2.5
2
12
1.5
10
1
8
0.5
0
6
-0.5
4
-1
2
-1.5
-2
0
10
20
30
40
50
60
70
0
p [MeV/c]
s
Figura 4.3: Spettro simulato di energie relative ECM(p−22 Ne) in funzione dell’impulso trasferito al deutone. In caso alle condizioni cinematiche si è scelto 23◦ < ϑ p < 54◦ e 2◦ < ϑd < 22◦ .
Praticamente tutto il quasi libero cade nella regione studiata
4.1.2 Meccanismi sequenziali
La reazione in esame non procede però prevalentemente attraverso il processo
quasi libero e la presenza di altri canali di reazione può rendere difficoltosa la rivelazione di meccanismi quasi liberi. È quindi necessario andare a verificare, in fase
di preparazione dell’esperimento, se tali processi concorrenti siano in qualche modo separabili, con lo scopo di discriminare il meccanismo quasi-libero e di estrarlo
dagli altri.
La reazione argomento di questa tesi
19
F + 6 Li →
22
Ne + d + p
(4.6)
potrebbe essere disturbata, in fase di rivelazione, dalla presenza di un fondo indesiderato, causato da meccanismi sequenziali2 i quali generano le stesse particelle in
uscita, pur non avvenendo tramite meccanismi di break-up quasi libero.
La 4.6 infatti può avvenire attraverso tre principali reazioni:
19
F + 6 Li →
19
19
2
22
F + 6 Li →
F + 6 Li →
Ne∗ + 3 He →
24
23
Na∗ + p →
Na∗ + d →
22
Ne + d + p
22
Ne + d + p
22
Ne + d + p
(4.7)
Per meccanismo sequenziale si intende un processo che passa attraverso la formazione di un
nucleo composto, che poi decadrà a sua volta in altre particelle
77
4.1 Preparazione dell’esperimento: Condizioni Sperimentali
Figura 4.4: Matrice bidimensionale Energia protoni vs. Energia deutoni, con i gli stessi tagli angolari
di Figura 4.3.
Dei tre possibili canali in esame, diciamo subito che il primo non è percorribile:
infatti non esistono in letteratura livelli eccitati del nucleo di 3 He [Firestone, 2007],
e quindi il decadimento 3 He → p + d non può avvenire alle energie qui conside-
rate. Per quanto riguarda invece il secondo meccanismo di 4.7, si deve verificare la
presenza di eventuali livelli del
24
Na al range di energia relativa E 22Ne−d popolata
dalla cinematica propria di questo esperimento, da 0.5 MeV a 4.5 MeV, corrisponde
a 14 ÷ 20 MeV (Fig. 4.5).
78
4.2 La reazione 6 Li(19 F, d22 Ne)p con il metodo del Trojan Horse
(a)
(b)
Figura 4.5: a)Plot bidimensionale ottenuto attraverso simulazioni Mote Carlo per la reazione 19 F +
6
Li → 24 Na∗ + p. Le linee rosse rappresentano gli ultimi stati eccitati di 24 Na che
possono essere popolate tramite decadimento sequenziale
b)Diagramma non in scala dei livelli corrispondenti alle linee rosse.
Non esistono però in letteratura [Firestone, 2007] livelli che superino i 12.5 MeV
(Fig 4.5), quindi non sono possibili interferenze da questo canale. Per quanto riguarda il terzo ed ultimo canale di reazione esposto in 4.7, esso non è a priori separabile dalla reazione quasi libera, in quanto il processo di nostro interesse prevede
un contributo risonante attraverso i livelli eccitati di
23
Na. Tale discriminazione
sarà operata nel prossimo capitolo, analizzando approfonditamente l’impulso dello
spettatore.
4.2 La reazione 6Li(19F, d22Ne)p con il metodo del Trojan Horse
4.2.1 Descrizione dell’apparato sperimentale
Tenuto conto di quanto discusso sopra si è deciso di realizzare l’esperimento
presso il Rudjer Boskovic Institute di Zagabria, e si è usato, come detto nel paragrafo precedente, un fascio di 6 Li che incide su un target di 7 LiF, posizionato su un
backing di
12
C, realizzato presso il laboratorio target dei Laboratori Nazionali del
Sud. La scelta è ricaduta su questa composizione perché, da simulazioni effettuate,
79
4.2 La reazione 6 Li(19 F, d22 Ne)p con il metodo del Trojan Horse
si evince che la reazione dovrebbe essere ben isolata cinematicamente da altre eventuali reazioni che avvengono nel target. La scelta di usare un fascio di 6 Li è invece
stata fatta in quanto, come già detto in precedenza, esso presenta una struttura a cluster ben indagata e conosciuta. Il TANDEM forniva un fascio di 6 Li, inviato su un
target, dello spessore di 106 o di 141 µg/cm2 a seconda del run di misura (la maggior
parte dei dati sono ricavati con il primo) − con backing di carbonio rispettivamente
di spessore 29 µg e 23 µg − inviato ad una energia totale di 6 MeV ed intensità pari
a 5 nA, che corrisponde ad una energia rispettivamente di 5.96 MeV e 5.91 MeV a
causa della perdita di energia nella prima metà del bersaglio (supponendo che la
reazione avvenga a metà target).
Figura 4.6: Visione schematica dell’apparato sperimentale
L’apparato sperimentale è schematizzato in Fig. 4.6: sono stati utilizzati cinque
rivelatori al silicio sensibili alla posizione (PSD) da 500 µm di spessore, che lavorano in coincidenza (PSD1 con PSD 3-4-5 e PSD2 con PSD 3-4-5) e centrati in
corrispondenza degli angoli quasi liberi prima definiti. Per questo lavoro di tesi ci
si è concentrati sulla calibrazione dei PSD 1, 2 e 3, e all’analisi della coincidenza
PSD2-PSD3 (tutte le informazioni riguardanti distanze, posizioni e range angolari
sono riportate in Tabella 4.1).
Di fronte ai PSD 1 e 2 sono posizionati due sottili rivelatori al silicio di spessore
80
4.2 La reazione 6 Li(19 F, d22 Ne)p con il metodo del Trojan Horse
Rivelatore
PSD1
PSD2
PSD3
PSD4
PSD5
Centro riv. [◦ ]
32.3
12.3
-37.7
-81
-119.9
Distanze [cm]
17.63
20.61
10.3
10.3
9.1
Range [◦ ]
±7.21
±6.58
±12.4
±9.2
±11
∆Ω[mSr]
0.16
0.12
0.47
0.47
0.6
Tabella 4.1: Distanze, posizioni e range angolari dei rivelatori utilizzati
9 µm, posti rispettivamente 6 cm e 7.5 cm dal target, che ci permettono, fungendo da
stato ∆E, di applicare la tecnica di identificazione di particelle attraverso lo studio
delle perdite di energia (telescopio ∆E − E). Nel caso in esame vogliamo discriminare deuteri, quindi entrambi gli stadi E dei telescopi sono ottimizzati per l’identificazione di questi ultimi. Si è inoltre definita una finestra di coincidenza temporale
di 250 µs per limitare il numero dei processi di background. Per ridurre l’incidenza
dello scattering elastico sul PSD2, di fronte ad esso si è posizionato un assorbitore
di alluminio dallo spessore di 15µm, atto a minimizzare il contributo di scattering
elastico del fascio sul target che potrebbe danneggiare il rivelatore a causa della
sua intensità. Tale quantità da simulazione appare essere ≥ 4 kHz (per un fascio di
6 MeV con intensità di 5 nA,), valore non compatibile con i rivelatori utilizzati, che
viene soppressa in presenza dell’assorbitore.
Il target di 7 LiF è inclinato di 45◦ con il fine di massimizzare la statistica raccolta
dai PSD 1 e 2: con questa inclinazione infatti si riduce la lunghezza del cammino
che le particelle devono compiere all’interno del target dopo la reazione, cosa per
noi cruciale date le basse energie in gioco.
Come detto, ci si propone di studiare la reazione a due corpi
19
F(α, p)22 Ne at-
traverso la reazione 6 Li(19 F, p22 Ne)d; per fare ciò è necessario rivelare almeno due
delle particelle in uscita, quindi p, d o 22 Ne. Di queste tre il 22 Ne appare impossibile
da rivelare: l’energia che otterrebbe nella reazione, infatti, risulta da simulazione
(effettuata tramite il programma LISE++ [Tarasov and Bazin, 2008]) avere un massimo tra 0.5 e 1 MeV (Fig. 4.7). Un nucleo di neon con questa energia non riesce
nemmeno a oltrepassare il target. Inoltre la soglia di attraversamento del neon per
uno strato di silicio di 6µg è di circa 11 MeV, il che avrebbe reso impossibile la sua
identificazione. Si è quindi optato per la rivelazione di deuteri e protoni, con questi
ultimi che non possono essere identificati in carica a causa dell’ampio range e delle
basse energie proprie di questo esperimento.
81
COUNTS
4.3 Rivelatori ed elettronica
25000
20000
15000
10000
5000
0
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
E22Ne [MeV]
Figura 4.7: Distribuzione in energia per il 22 Ne. Anche questa simulazione è ricavata con il metodo
Monte Carlo
4.3 Rivelatori ed elettronica
4.3.1 Position Sensitive Detectors
I PSD (Position Sensitive Detectors)sono dei rivelatori a stato solido sensibili
alla posizione della particella carica che incide su di essi, utilizzando un metodo
detto a divisione di carica. Essi si compongono sostanzialmente di un diodo, con
un elettrodo resistivo sulla faccia opposta (Fig. 4.8) Per ogni particella incidente,
dal PSD vengono estratti due segnali distinti: uno relativo all’energia ed uno alla
posizione. Per quanto riguarda il primo, esso proviene dall’elettrodo a resistenza
minore, mentre il secondo verrà dall’elettrodo a resistenza maggiore, e proprio per
questo la risposta dipende dal punto di incidenza della particella rivelata. Se infatti una particella carica attraversa il rivelatore, essa viene rivelata ad una estremità.
Il segnale così prodotto sarà proporzionale all’energia della particella ed alla resistenza dell’elettrodo tra il contatto ed il punto di incidenza della stessa, mentre
sull’elettrodo inferiore sarà presente solo un segnale proporzionale all’energia. Tali
informazioni ci danno la possibilità di identificare la posizione del punto incidente
della particella. Se ad esempio una particella incide nel punto P, indicando con x la
distanza tra P ed A (4.6), la carica raccolta in B sarà uguale a:
Q x1 =
R2
QE
Rtot
(4.8)
dove QE è la carica totale prodotta, che viene estratta dall’elettrodo a bassa resistenza (segnale in energia), R2 = ρx/s (dove ρ ed s sono rispettivamente la resistività
82
4.3 Rivelatori ed elettronica
Figura 4.8: Schema di funzionamento di un PSD. La particella incidente, arrivando sul contatto B
porterà all’emissione di un segnale. Esso è proporzionale all’energia della particella ed
alla posizione (x) tra A e B. Sul contatto C invece il segnale è proporzionale all’energia.
e la superficie dell’elettrodo) e Rtot = ρL/x. Detto ciò l’equazione 4.8 si può scrivere
Q x1 =
x
QE
L
(4.9)
e cioè
x
E
(4.10)
L
Il segnale di posizione risulta quindi essere proporzionale all’energia della particella
P∝
incidente, poiché la carica totale prodotta è da essa dipendente. È quindi necessario
effettuare una calibrazione del segnale di posizione al fine di rimuovere tale dipendenza.
I PSD adoperati, prodotti dalla Micron Semiconductors, presentano superficie di
1 × 5 cm2 , risoluzione spaziale pari a 0.8 mm ed energetica dello 0.8 %.
4.3.2 Schema dell’elettronica
La catena di moduli elettronici utilizzati per la misura è schematizzata in figura
4.9. I segnali in energia ed in posizione in uscita dal PSD vengono inviati ad un
pre-amplificatore e successivamente ad un amplificatore, con lo scopo di aumentare
83
4.3 Rivelatori ed elettronica
il rapporto segnale-rumore e a formare il segnale nella migliore maniera possibile,
migliorando la risoluzione della misura. Da questi si passa ad un ADC (Analogic to
Digital Converter), che digitalizza i segnali e li invia all’acquisizione, registrandoli
su computer.
Il trigger3 per l’acquisizione è dato dalla coincidenza tra i segnali provenienti dal
PSD1 o dal PSD2, con quelli provenienti da PSD3, PSD4 o PSD5 (l’OR ci fornisce
lo start e lo stop nei due casi, con opportuno ritardo), situazione corrispondente al
caso in cui un nucleo di deuterio attraversa uno dei due telescopi ed un protone si
ferma e viene rivelato in uno degli altri tre rivelatori.
Da un punto di vista puramente esplicativo, conviene adesso spiegare schematicamente (Fig. 4.9) come è strutturata l’elettronica, anche se i moduli utilizzati in fase
di esperimento svolgono contemporaneamente molte delle funzioni indicate in figura. Il segnale in energia che esce dall’amplificatore viene sdoppiato in due componenti: una viene mandata direttamente all’ADC (componente lenta), mentre l’altra
segue l’elettronica come in figura (componente veloce). Il segnale di posizione si
comporta come la componente lenta dell’energia, così come quello proveniente dai
∆E (non rappresentato in figura).
Figura 4.9: Schema dell’elettronica impiegata: con PRE si indicano i pre-amplificatori di carica, con
AMP gli amplificatori lenti e con TFA quelli veloci, con DELAY i ritardi, con GG il gate
generator, con DISCR i discriminatori, con TAC il time to amplitude converter e con
TTL-NIM il convertitore TTL-NIM-TTL e con ADC il convertitore analogico-digitale
3
per trigger - termine inglese che vuol dire scatenare, dare il via - si intende quella tipologia di
eventi che fanno partire l’acquisizione
84
4.4 Calibrazione dei rivelatori
Per ogni evento in coincidenza, l’ADC opera la conversione e registra 13 parametri: energia e posizione dei PSD (dieci parametri), perdita di energia nei ∆E (due
parametri) ed il segnale proveniente dal TAC.
4.4 Calibrazione dei rivelatori
Nel paragrafo 4.3.1 si è spiegato come il segnale posizione dipenda dall’energia.
Conoscendo l’equazione 4.10, abbiamo accesso ad informazioni fisiche come energia e posizione, ma dobbiamo prima tarare i rivelatori.
Si sono a questo scopo effettuate delle misure in cui il trigger è fornito dall’OR di
tutti i segnali in energia dei rivelatori: ogni segnale proveniente da un canale in energia attiva il sistema di acquisizione. Inoltre davanti a ciascun rivelatore si è posta
una griglia dotata di diciotto fenditure (Fig.4.10). Si sottolinea che, in fase di taratura, i rivelatori ∆E vengono rimossi.
Tramite teodolite vengono misurate le posizioni centrali dei rivelatori e di ogni fen-
Figura 4.10: Supporto per il PSD con griglia
ditura, ed i risultati così ottenuti si confrontano con i dati geometrici noti a priori sul
passo delle fenditure. La loro presenza in fase di calibrazione ci permette di poter
stabilire la corrispondenza tra gli angoli misurati con il segnale posizione prodotto
dal rivelatore. A tale scopo sono state effettuate misure di scattering elastico di:
• H su 197 Au a diverse energie (5, 4, 3, 2 MeV) (spessore target 104 µg/cm2 )
• H si CD2 a diverse energie (5, 4, 3, 2 MeV) (spessore target 97 µg/cm2 )
85
4.4 Calibrazione dei rivelatori
cercando di utilizzare, per ogni rivelatore, gli stessi eiettili da rivelare nel corso della
PCh
misura (ovvero p e d a seconda dei rivelatori).
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
0
500
1000
1500
2000
2500
3000
ECh
Figura 4.11: Esempio di matrice non calibrata (PSD 2, H su 197 Au con E p = 5 MeV). Si noti che non
sono visibili tutte le fenditure, ma solo 15
4.4.1 Calibrazione in posizione
Per eliminare la dipendenza dalla posizione dell’energia si utilizza la relazione
(basata sull’equazione 4.10):
P − P0
(4.11)
E − E0
con i che va da 1 a n, dove n numero di fenditure, mentre P0 , E 0 rappresentano
xi =
costanti da determinare tramite fit.
La presenza delle fenditure in questa fase genera una matrice posizione-energia non
tarata (Fig.4.11), in cui PCh ed ECh rappresentano il segnale in canali della posizione
e dell’energia. Come si vede da tale matrice, fissata la i-esima fenditura esiste una
dipendenza lineare tra il segnale di posizione e quello di energia. Si procede quindi,
per ogni fenditura, ad operare un fit lineare del tipo
PCh = a(ϑ)i + b(ϑi )ECh
(4.12)
dove i corrisponde alla fenditura che si sta analizzando.
Fatto questo, con lo scopo di ottenere una calibrazione che restituisca ϑPS D , si opera
un altro fit lineare sulle componenti ai e bi , e quindi
a(ϑ) = p1 ϑi , + p2
b(ϑ) = p3 ϑi , + p4
86
(4.13)
4.4 Calibrazione dei rivelatori
Le equazioni 4.14 restituiscono due funzioni che andranno sostituite nella 4.12 per
ottenere una relazione canale-angolo, associando ad ogni picco della variabile posizione della matrice il valore in angolo che abbiamo determinato sperimentalmente
col teodolite.
Infine si ottiene un best-fit, dipendente da ϑ e ECh e PCh ,
PCh = [p1 ϑ + p2 ] + [p3 ϑ + p4 ]ECh
(4.14)
Dalla 4.14 si può infine ricavare ϑ
ϑ=
PCh − p2 − p4 ECh
p1 + p3 ECh
(4.15)
equazione che restituisce l’angolo a cui le particelle vengono rivelate in funzione
dell’energia e della posizione
4.4.2 Calibrazione in energia
La corrispondenza tra l’energia della particella e la risposta del rivelatore è
anch’essa lineare, quindi:
E MeV = a + bECh
(4.16)
Per determinare a e b, attraverso fit, anche in questo caso si devono identificare i
picchi sulle matrici relative al canale energia ed associarvi i relativi valori, ricavati
tramite simulazioni relative alle cinematiche a due corpi per i processi di calibrazione: si opera cioè un confronto tra le cinematiche osservate e quelle calcolate, tenendo conto anche della perdita di energia del fascio nel target, considerando anche
le variazioni di spessore dovute all’angolo di uscita delle particelle e l’inclinazione
del target. L’energia da associare a ciascun punto di taratura è conosciuta tramite il
programma di calcolo cinematico LISE++ [Tarasov and Bazin, 2008].
A questo punto tramite best-fit si ricava la curva di taratura, e applicando la 4.15
e la 4.16 otteniamo una matrice bidimensionale (Fig.4.12), in cui si nota come la
procedura di calibrazione abbia eliminato correttamente la dipendenza dall’energia
del segnale di posizione.
87
4.4 Calibrazione dei rivelatori
Figura 4.12: Matrice calibrata per il PSD2. Le linee verdi indicano gli angoli centrali delle fenditure,
la linea rossa l’angolo centrale del rivelatore, mentre i punti rossi vengono da calcoli
cinematici per le reazioni di scattering di H su 197 Au e CD2 a diverse energie [Tarasov
and Bazin, 2008].
In tabella 4.2 sono riportati i parametri delle equazioni 4.15 e della 4.16 per i tre
rivelatori calibrati.
Bisogna ora tenere in conto che, in condizioni di misura, le particelle perdono enerRivelatore
PSD1
PSD2
PSD3
Parametri posizione [deg]
p2 = 151.8, p4 = −1.17
p1 = −3.3685, p3 = 0.052815
p2 = 97.665, p4 = −0.17381
p1 = −3.3443, p3 = 0.055534
p2 = 129.12, p4 = −0.62465
p1 = −2.2984, p3 = 0.029514
Parametri energia [MeV]
a = 0.0019247
b = −0.11463
a = −0.11291
b = 0.0018355
a = −0.12998
b = 0.0018423
Tabella 4.2: Tabella relativa a tutti i parametri di fit ricavati per la taratura
gia nell’attraversare non solo il target, ma anche lo strato di alluminio ed il rivelatore
∆E per il PSD2, mentre il PSD1 ha di fronte a se solo il rivelatore ∆E ed il PSD3
non ha nulla davanti (Fig.4.6). È quindi necessario tenere conto di questi spessori
nel momento in cui si deve associare al segnale in uscita l’energia rivelata “vera”.
Questa azione viene compiuta calcolando, sempre tramite LISE++, quanta energia
perde la particella in ogni strato che attraversa, tenendo anche conto dell’angolo a
cui essa viene emessa. Tale perdita di energia è funzione dell’energia residua rivelata dal rivelatore (∆E = f (E res )); alla fine avremo quindi che l’energia rivelata sarà
uguale a quella effettivamente registrata sommata ad un valore ∆E dipendente dagli
88
4.4 Calibrazione dei rivelatori
strati attraversati, cioè E = ∆E + E res .
Siamo adesso in grado di analizzare i dati che provengono dai rivelatori. Nel prossimo capitolo ci occuperemo all’analisi di tali dati.
89
CAPITOLO 5
Analisi Dati
Al completamento della procedura di calibrazione dei rivelatori siamo nelle condizioni di ricostruire informazioni relative all’energia ed alla posizione delle particelle incidenti. I rivelatori utilizzati sono scelti con lo scopo di ottimizzare la rivelazione delle particelle che ci interessano, cioè deuteri per il PSD2 e protoni per il
PSD3.
Nel prosieguo di questo capitolo passeremo ad illustrare la procedura di analisi: va
quindi selezionato, grazie alle coincidenze ∆E-E del PSD2, uno dei tre prodotti di
reazione che ci aspettiamo nel canale di uscita (nel nostro caso 2 H), per poi passare
all’identificazione del canale quasi libero di nostro interesse. Fatto questo si procederà all’estrazione della sezione d’urto per la reazione a due corpi 19 F(α, p)22 Ne a
partire dalla tre corpi 6 Li(19 F, p22 Ne)d secondo le prescrizioni del THM.
5.1 Selezione del canale di reazione
Le reazioni che possono aver luogo nel bersaglio sono molteplici: per prima cosa
si deve quindi selezionare il canale di reazione di interesse. L’apparato sperimentale ci consente una parziale identificazione delle particelle grazie alle coincidenze
∆E-E prima descritte. Attraverso l’analisi della matrice ∆E-E è infatti possibile selezionare le particelle emesse, aventi nel nostro caso Z=1, sfruttando la legge di
Bethe-Bloch
−
z Z2
dE
∝
dx
A v2
90
(5.1)
5.1 Selezione del canale di reazione
la quale ci dice che la perdita di energia di una particella in un mezzo è direttamente
proporzionale al quadrato del suo numero atomico Z moltiplicato per il numero atomico z del mezzo nel quale diffonde, ed inversamente proporzionale al prodotto del
quadrato della sua velocità v per il numero atomico del A mezzo stesso. Ricordando
poi che nel caso non relativistico abbiamo che
v2 =
2E
m
(5.2)
dove m è la massa della particella ed E la sua energia, combinando la 5.1 e 5.2
avremo che
dE
z mZ 2
−
∝
(5.3)
dx
A 2E
Per quanto detto finora, in una matrice ∆E-E gli ioni si dispongano su differenti rami
di iperbole a seconda delle loro Z e m, rendendo così possibile una separazione tra
le varie specie.
In figura 5.1 è mostrata la matrice ∆E − E, dove i vari prodotti sono distinguibili
in Z e A. Eseguendo il taglio grafico ivi riportato è stato possibile selezionare i dati
provenienti dal PSD2 corrispondenti ai deuteri (A=2, Z=1). Di questi soltanto dovremo selezionare gli eventi relativi alla reazione 19 F(6 Li,
verrà effettuata tramite l’esame dello spettro del Qvalue .
91
22
Nep)d: tale operazione
5.1 Selezione del canale di reazione
50
4000
45
3500
40
3000
35
2500
30
Channels
4500
25
2000
20
1500
15
1000
10
500
5
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
E [MeV]
Figura 5.1: Matrice ∆E-E per li PSD2 (angolo centrale 12.3◦), si riconoscono idrogenoidi (H,2 H) in
basso e particelle α in alto. In rosso li cut grafico per 2 H utilizzato nella presente analisi
dati
A tal fine, selezionati gli eventi caratterizzati dalla presenza di 2 H nello stato
finale per mezzo del suddetto cut grafico, ed una volta misurati la loro energia e
posizione in coincidenza con quello che arriva dal PSD3, è possibile costruire lo
spettro della variabile Qvalue per la coppia di rivelatori analizzata.
In Figura 5.2 si nota una evidenza molto debole rispetto ai processi concorrenti, possibilmente riconducibile alla reazione a tre corpi di interesse (Qvalue = 0.199
MeV). Tralasciando i picchi ad energia grandemente maggiore o minore, nella regione di nostro interesse (−1 ÷ 2 MeV) si osserva pure un picco molto intenso a
valori di Q negativi, la cui coda potrebbe interferire con il nostro canale.
Essendo il Qvalue una quantità indipendente dalle variabili cinematiche della reazione, un’ulteriore verifica della bontà della calibrazione eseguita consiste nello stabilire se esistono eventuali correlazioni tra tale valore e una variabile cinematica, ad
esempio l’angolo di emissione di una delle due particelle rivelate. Da tale studio
(Fig.5.3) si evince che tale correlazione non è presente, e ancora una volta si trova
che nella regione di interesse per il Qvalue gli eventi si distribuiscono attorno al valore
teorico. Si nota anche l’intensità con cui si presenta il picco ad energie negative di
cui sopra.
92
5.1 Selezione del canale di reazione
Counts
Qvalue
Entries
Mean
RMS
1400
1200
22223
2.016
2.271
1000
800
600
400
200
0
-4
-2
0
2
4
6
8
10
Q3B [MeV]
Q3B
[MeV]
value
Figura 5.2: Qvalue per il cut grafico in figura 5.1
10
8
7.5
8
7
6
6.5
6
4
5.5
2
5
4.5
0
4
-2
3.5
-4
4
6
8
10
12
14
16
18
20
3
žd [deg]
Figura 5.3: Matrice ϑd -Qvalue per la coppia di rivelatori in esame. Si nota la mancanza di correlazione
tra le due variabili, il che verifica l’indipendenza di Qvalue dall’angolo. La linea rossa
indica il valore teorico atteso per la nostra reazione a tre corpi
Come detto, il set-up sperimentale permette la rivelazione di soltanto due delle
particelle emesse. Pertanto, l’energia e l’angolo di emissione della particella non rivelata vengono ricostruite evento per evento, applicando i principi di conservazione,
nell’ipotesi che il numero di massa della particella non rivelata sia A = 22.
La verifica di tale assunzione può essere fatta studiando un plot x − y delle quantità
93
5.1 Selezione del canale di reazione
definite come [Costanzo et al., 1990]:
y = E beam − E d − E p
p222 Ne
x=
2u
(5.4)
(5.5)
(5.6)
dove u rappresenta l’unità di massa atomica espressa in MeV/c2 . Un plot dei dati
così ottenuti è presentato in Fig.5.4.
Ebeam-Ed-Ep [MeV]
Utilizzando tali parametri, si nota immediatamente come gli eventi si dispongano
5
14
4
12
3
10
2
8
1
6
4
0
2
-1
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
0
p222 /2u [MeV]
Ne
Figura 5.4: Identificazione della particella spettatrice in accordo con la procedura descritta in
[Costanzo et al., 1990]. La linea rossa corrisponde al Qvalue atteso
lungo una retta, che è parametrizzabile come
y=
1
A22 Ne
x − Qvalue
(5.7)
in cui A22 Ne è la massa della particella non rilevata. L’intercetta di tale retta con
l’asse y corrisponde al Qvalue teorico, che ripetiamo è pari a 0.199 MeV.
In questo modo abbiamo rimosso la possibilità che processi differenti da quello di
nostro interesse siano presenti: i dati che abbiamo selezionato provengono adesso
solo dalla reazione a tre corpi in esame, e non da errori di ricostruzione di una
reazione a due corpi. A riprova di ciò si pratica un taglio grafico attorno alla linea
rossa come in figura 5.4 e si riproduce l’andamento del Qvalue dei dati presenti al
suo interno; si ottiene la figura 5.5, nella quale il valore teorico del Q di reazione è
perfettamente riprodotto.
94
Counts
5.1 Selezione del canale di reazione
300
250
200
150
100
50
0
-0.8
-0.6
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
Q3B
[MeV]
value
Figura 5.5: Qvalue con i due tagli grafici sopra descritti. I dati sono stati fittati con una gaussiana
(valor medio 0.191 ± 0.008 MeV), mentre la linea blu rappresenta il valore teorico. Si
noti il buon accordo con la teoria.
Come ulteriore prova votata a stabilire se gli eventi selezionati derivino o meno
dalla reazione 6 Li(19 F, pd)22 Ne si è proceduto ad effettuare un confronto tra il luogo
cinematico ottenuto tramite simulazione Monte Carlo e quello ricavato sperimentalmente, per il quale si applicano i due cut grafici finora eseguiti. Si riporta a tale
scopo il luogo cinematico per le energie delle due particelle rivelate e si ottiene il
grafico in figura 5.6: si noti il sostanziale accordo tra simulazione e dati sperimen-
Ed [MeV]
tali. Nell’analisi successiva saranno considerati solo le particelle ricadenti nel cut
6
5.5
5
4.5
4
3.5
3
2.5
2
1.5
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
Ep [MeV]
Figura 5.6: Luogo cinematico per la coppia PSD2-PSD3. I punti neri rappresentano la simulazione
Monte Carlo mentre i triangoli rossi sono i dati sperimentali.
grafico in figura 5.3.
95
5.2 Selezione del Contributo quasi libero
5.2 Selezione del Contributo quasi libero
Il passo successivo dell’analisi sarà la discriminazione e selezione del contributo
quasi libero del canale selezionato. Tale procedura è fondamentale per la successiva
applicazione del THM: l’estrazione della sezione d’urto a due corpi di nostro interesse risulta, infatti, possibile solamente dopo una discriminazione del processo
quasi libero da tutti gli altri possibili meccanismi di reazione (decadimento sequenziale, break-up diretto, ecc...). Tale azione è possibile attraverso la selezione di
opportune coordinate cinematiche: a tale scopo si sono ricostruite le quantità E p−d ,
E p−22 Ne e E d−22 Ne , corrispondenti rispettivamente alle energie relative p − d, p −22 Ne
e d −22 Ne.
Con l’analisi di tali variabili risulta possibile individuare gli eventuali stati eccitati
E22Ne-p [MeV]
di nucleo composto di 3 He, 23 Na e 24 Na.
3.5
3
2.5
2
1.5
1
0.5
0
-1
-0.5
0
0.5
1
1.5
2
Ep-d [MeV]
Figura 5.7: Matrice bidimensionale per le energie relative del nucleo composto di 3 He
96
E22Ne-p [MeV]
5.2 Selezione del Contributo quasi libero
3.5
3
2.5
2
1.5
1
0.5
0
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
4.5
5
Ed-22Ne [MeV]
Figura 5.8: Matrice bidimensionale per le energie relative del nucleo composto di 24 Na
Ia entrambe le matrici bidimensionali (Figg.5.7 e 5.8) non si riscontrino luoghi
verticali, il che ci suggerisce la mancanza di livelli eccitati (rispettivamente dei nuclei di 3 He e 24 Na) alle energie a cui abbiamo condotto l’esperimento: ciò risulta in
accordo con quanto avevamo visto nel capitolo 4.1.3. Al contrario in esse si osserva
la presenza di un luogo orizzontale attorno da E d−22 Ne ≈ −1.5 MeV, corrispondente
quindi ad un livello eccitato di
23
Na, ed a una serie di altri livelli meno intensi e
non ben visibili tra 1.8 e 2.3 MeV, i quali, data la loro vicinanza sono però appena
risolvibili, oltre che poco visibili a causa della bassa statistica. Tale regione sarà
ogetto di successive analisi in quanto rappresenta, come vedremo a breve, la regione
di interesse astrofisico (5.13).
È adesso importante cercare di capire se il popolamento dei suddetti livelli sia avvenuto tramite meccanismo sequenziale (processo parassita agli scopi di questo lavoro) o tramite processo quasi libero. La sola presenza di questi livelli infatti non ci
assicura che gli stessi appartengano ad un meccanismo del tipo su cui stiamo ponendo la nostra attenzione. Un modo per ottenere ulteriori informazioni sulla natura del
popolamento dei livelli di 23 Na può essere quello di studiare il comportamento della
yield di coincidenza della reazione 6 Li(19 F, p22 Ne)d rispetto all’energia del centro
di massa ECM al variare dell’impulso della particella spettatrice p s , che ricordiamo
è un deutone.
Richiamiamo a tale scopo la fattorizzazione prevista dalla teoria di PWIA per i
97
5.2 Selezione del Contributo quasi libero
processi quasi liberi (3.33)
dσN
d3σ
∝ KF · |Φ(p s )|2
dΩc dΩC dE c
dΩ
(5.8)
che, opportunamente riscritta, diventa:
d3σ
dσN
1
·
∝ |Φ(p s )|2
dΩc dΩC dE c KF
dΩ
(5.9)
Dalla eq.5.9 si ottiene che in presenza di un processo quasi libero, la yield di coincidenza deve variare seguendo l’andamento della distribuzione di impulsi |Φ(p s )|2 .
La variazione della yield per un certo livello energetico al variare di p s deve essere
quindi indice della correlazione tra E p−22 Ne e p s , a patto che si assume dσn debolmente variabile con ECM . Tale dipendenza appare chiara nelle figure 5.9a, 5.9b e
5.9c. Queste tre figure sono ottenute dividendo gli spettri ricavati sperimentalmente per una simulazione Monte Carlo con adeguati tagli angolari che riproducano i
constraint angolari occupati dai rivelatori, in cui è anche presente un taglio per il
contributo nello spazio delle fasi (KF) con lo scopo di rimuovere i puri effetti cinematici dovuti ad una selezione nello spazio delle fasi stesso, secondo la 5.9.
Tenendo adesso in considerazione il fatto che tali spettri rappresentano la funzione
di eccitazione per la reazione a tre corpi, la diminuzione del numero di conteggi
mostrato in figura 5.9, nell’intervallo energetico di interesse e per valori di p s > 60
MeV/c, è indice della correlazione tra i livelli in esame e l’impulso del deuterio, il
che costituisce una condizione necessaria per la presenza di meccanismi quasi liberi.
98
arb.units
arb.units
5.2 Selezione del Contributo quasi libero
0.5
1.2
1
0.4
0.8
0.3
0.6
0.2
0.4
0.1
0.2
0
0
-2
-1.5
-1
-0.5
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
-2
-1.5
-1
-0.5
0
0.5
1
1.5
2
ECM [MeV]
arb.units
(a) 20 < p s < 40
(b) 40 < p s < 60
6
5
4
3
2
1
0
-2
-1.5
-1
-0.5
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
ECM [MeV]
(c) 60 < p s < 80
Figura 5.9: Andamento della funzione di eccitazione in ECM della reazione a tre corpi al variare
dell’impulso della particella spettatrice
Ciò però non basta ad essere sicuri che le particelle che stiamo rivelando provengano da meccanismi quasi liberi. Un modo atto a corroborare ulteriormente tale
ipotesi consiste nell’analizzare la distribuzione di impulsi della particella spettatrice.
Ricaviamo a tale scopo la variabile |Φ(p s )|2 dalla 5.9
|Φ(p s )|2 ∝
d3σ
" $ 2 %o f f #−1
d σ
dΩc dΩC dE c KF
dΩ
(5.10)
dσ
si possa considerare costante.
dΩ
In tale zona il rapporto tra la yield di coincidenza ed il fattore KF dovrebbe ripro-
Prendiamo quindi una regione energetica dove
durre, in presenza di meccanismo quasi libero ed entro gli errori sperimentali, la
distribuzione di impulsi del deuterio nel 6 Li.
99
2.5
3
ECM [MeV]
5.2 Selezione del Contributo quasi libero
Per fare questo per prima cosa confrontiamo quanto riportato in figura 4.3 con
i dati sperimentali ed otterremo quanto rappresentato in figura 5.10, nella quale si
nota il sostanziale accordo tra dati sperimentali e simulazione Monte Carlo.
Applicando adesso la 5.10, avendo calcolato KF con una opportuna simulazione
Figura 5.10: Confronto della matrice bidimensionale in figura 4.3 con i dati sperimentali. Si noti
come essi si sovrappongano bene con la simulazione nella regione di interesse.
Monte Carlo, si ottiene la distribuzione d’impulsi riportata in figura 5.11. Tale distribuzione è stata confrontata con quella attesa teoricamente, in questo caso una
funzione di Hankel (equazione 5.11),avente la forma [Pizzone et al., 2005]
"
#
sinks Rc cosks Rc
1
+
N 2
(ks + β2 )2
ks
β
(5.11)
in cui ks = p s /", Rc è il raggio di cutoff e β = (2µE B /"2 )1/2 , con µ massa ridotta.
Per completezza è riportato il confronto con una gaussiana di parametri opportuni; si noti la quasi indistinguibilità delle due funzioni d’onda nella regione in p s
considerata: entrambe avranno un massimo per |p s | = 0 MeV/c e, come si vede in
Fig.5.11, FWHM sostanzialmente equivalenti e pari a 50 MeV/c. Tale condizione è
fondamentale per la presenza del processo quasi libero. Per la successiva analisi, e
seguendo quanto prescritto dal THM [Spitaleri et al., 2001] si è ristretta l’attenzione
all’interno della regione 30 < p s < 55 MeV/c.
100
arb.units
5.2 Selezione del Contributo quasi libero
8
7
6
5
4
3
2
1
0
25
30
35
40
45
50
55
60
65
ps [MeV/c]
Figura 5.11: Impulso dello spettatore (deuterio): in rosso il fit gaussiano in blu quello ricavato tramite
la funzione di Hankel
Un ulteriore test dell’applicabilità della PWIA è rappresentato dallo studio della correlazione tra la FWHM, indicata con W(q) della distribuzione d’impulsi in
oggetto, e l’impulso trasferito definito dall’equazione [Pizzone et al., 2009]
W(qt ) = f0 [1 − exp(−qt /q0 )]
(5.12)
dove
p p + p22 Ne
(5.13)
2
mentre pbeam , p p e p22 Ne sono gli impulsi del proiettile, del protone e di 22 Ne rispetqt = pbeam −
tivamente (gli ultimi due sono ricavati teoricamente). Nnella 5.12 f0 = 73 MeV
rappresenta la larghezza asintotica della funzione e q0 = 122 ± 3.5 MeV è un pa-
rametro di fit. Nel nostro caso avremo qt = 190 MeV/c e W(qt ) = 50 MeV/c.
Riportando in un grafico (Fig. 5.12), questo dato insieme agli altri presenti in letteratura per il break-up del 6 Li si manifesta un notevole accordo entro gli errori
sperimentali[Pizzone et al., 2005].
101
5.3 Funzione di eccitazione
Figura 5.12: FWHM della distribuzione d’impulsi sperimentale in funzione dell’impulso trasferito
alla particella spettatrice. I punti si riferiscono a vari esperimenti [Pizzone et al., 2005],
mentre il punto in blu rappresenta il caso in esame.
5.3 Funzione di eccitazione
Approfondiamo adesso lo studio dei livelli in E p−22 Ne che si evidenziano nelle
23
figure5.7 e 5.8. A tale scopo andiamo a studiare la variabile E eccNa = E p−22 Ne + 8.794
MeV, ovvero l’energia di eccitazione del nucleo composto di 23 Na, come riportato
in figura 5.13. Si noti che, per energie relative p −22 Ne nulle (E p−22 Ne = 0), avremo
Na
E ecc
= 8.794.
102
5.3 Funzione di eccitazione
19
8.794 MeV
F+_
10.464 MeV
p+22Ne
23
Na
Figura 5.13: regione energetica di nostro interesse: la parte con righe trasversali corrisponde alla
regione di energia esplorata.
Operando adesso la somma di fit gaussiani riportati in figura su di essa, è stato
possibile confrontare tali picchi con livelli di 23 Na presenti in letteratura [Firestone,
2007] (Tabella 5.1), nella finestra di energia relativa di nostro interesse. Notiamo
che la risoluzione sperimentale (dell’ordine di 60 keV) è molto più grande della
larghezza propria dei livelli, che in questo caso è dell’ordine del keV [Firestone,
2007].
103
COUNTS
5.4 Sezione d’urto
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
10
10.2
10.4
10.6
10.8
11
11.2
Eecc [MeV]
Figura 5.14: Funzione di eccitazione per il nucleo composto di 23 Na. I centroidi delle gaussiane ed i
livelli corrispondenti sono specificati in tabella 5.1
E*(23 Na)th [keV]
9850
10169
10353
10616
10770
Jπ
1+ /2
5+ /2
3+ /2
3+ /2, 5+ /2
5+ /2, 3+ /2
lmin
0
2
2
2
2
E*(23 Na)exp [keV]
9859
10151
10350
10647
10774
∆ E th−exp [keV]
-9
-18
3
-31
-4
Tabella 5.1: Livelli possibili della reazione di interesse [Firestone, 2007]
5.4 Sezione d’urto
d3σ
è pridΩ p dΩd dECM
nelle condizioni di post collision
Per studiare nel dettaglio la sezione d’urto differenziale
ma necessario definire cosa si intenda per ECM
prescription; in questo caso essa si definisce come:
ECM = E p−22 Ne − Q2B
value
(5.14)
Va indagato inoltre l’andamento della variabile ϑCM , cioè dell’angolo di emissione
del protone nel sistema di riferimento del centro di massa tra il
22
Ne e il protone,
calcolata attraverso la formula [Slaus et al., 1977]
ϑCM = arccos
(v19 F − vα ) · (x22 Ne − vp )
|v19 F − vα | · |x22 Ne − vp |
(5.15)
Considerando l’andamento della suddetta variabile in funzione di ECM (Fig. 5.15),
si ottiene che la regione angolare coperta dall’apparato sperimentale è pari a 120◦ <
104
5.4 Sezione d’urto
ϑCM < 160◦ . Non è però stato possibile ricavare distribuzioni angolari a causa della
bassa statistica (per migliorarla andrebbero sommate gli eventi provenienti dalle
ECM [MeV]
coincidenze PSD1-3 e PSD2-3).
2
1.5
1
0.5
0
-0.5
-1
-1.5
-2
100
110
120
130
140
150
160
170
180
žCM [deg]
Figura 5.15: Matrice bidimensionale ϑCM vs ECM .
Limitandoci, come detto, per l’analisi successiva agli eventi aventi 30 ≤ p s ≤ 55
MeV/c, così da selezionare la regione dello spazio delle fasi in cui il contributo
proveniente dal meccanismo quasi libero è massimo, possiamo andare a misurare la
d3σ
, presentata in figura 5.16.
sezione d’urto differenziale
dΩ p Ωd dECM
105
d3m
d1pd1ddECM
5.4 Sezione d’urto
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
ECM [MeV]
Figura 5.16: Sezione d’urto triplamente differenziale rispetto alle variabili dΩ p , dΩd , dECM , in unità
arbitrarie (30 < p s < 55 MeV/c). I fit gaussiani in figura corrispondono a quelli in
figura 5.12
Come descritto nel capitolo 3.3, l’Idea del THM è quella di derivare la sezione
d’urto per la reazione a due corpi a partire da una misura della sezione d’urto a tre
corpi nello stato finale. Nel formalismo PWIA, la sezione d’urto sarà ricavata da
3.31, ovvero potrà essere scritta come
$
dσ
dΩ
%o f f
∝
d3σ
· [KF|Φ(p s )|]−1
dΩ p dΩ22 Ne dECM
(5.16)
dipendente quindi dall’inverso del fattore cinematico moltiplicato per l’impulso della particella spettatrice all’interno del nucleo Cavallo di Troia.
Il calcolo di KF|Φ(p s )|2 , nelle condizioni sperimentali è stato effettuato tramite si$ %o f f
dσ
mulazione Monte Carlo; è stato dunque possibile ricavare tale sezione d’urto
dΩ
(Fig. 5.17), che mette in evidenza la presenza di numerose strutture, per altro
identiche a quelle evidenziate dalla figura 5.14.
106
5.4 Sezione d’urto
dm [arb.units]
d1
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
-0.4
-0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
ECM [MeV]
Figura 5.17: Andamento della sezione d’urto differenziale per la reazione a tre corpi. I punti rappresentano i dati sperimentali. L’errore orizzontale è associato al bin utilizzato mentre
quello verticale è di natura statistica. Notare che ancora si vedono i due picchi sopra
soglia di figura 5.14. Anche qui i fit gaussiani si rifanno ai dati esposti in tabella 5.1
Una volta effettuata un’integrazione dei dati in figura 5.17 sull’angolo solido
spaziato dai rivelatori saremo in grado di ottenere una misura della sezione d’urto in
unità arbitrarie.
Con riferimento alle sole risonanze sopra soglia, che da adesso in poi saranno argomento della nostra analisi in quanto la regione astrofisica di nostro interesse si
trova ad ECM positivi, per tenere conto delle barriere coulombiana e centrifuga si è
proceduto a calcolare il fattore di penetrabilità tramite le equazioni 2.20, utilizzando
quindi le cosiddette funzioni d’onda regolare ed irregolare di Coulomb (equazione
2.21), tenendo presente che tutte le risonanze che stiamo considerando presentano
lmin = 2. Fatto ciò si perviene ad una misura della sezione d’urto di nucleo nudo.
107
5.4 Sezione d’urto
m [barn]
1
10-1
-5
10
-9
10
-13
10
10-17
10-21
-25
10
-29
10
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
1.2
1.4
1.6
ECM [MeV]
Figura 5.18: Sezione d’urto normalizzata ai dati di R-Matrix. Si nota che i punti sperimentali (triangoli rossi) sono in accordo con questi ultimi (punti neri) e all’interno delle incertezze di
questi ultimi (linee nere tratteggiate). Le linee tratteggiate verticali indicano la regione
di interesse astrofisico
In figura 5.17 si nota che quasi tutte le misure da noi effettuate si trovano nella
regione ECM < 1 MeV. Sappiamo già (capitolo 2.8), che le misure dirette a più
bassa energia adesso disponibili non arrivano al di sotto di 1.1 ÷ 1.3 MeV, mentre
attraverso calcolo di R−Matrix, si è potuto scendere fino a 660 keV di energia nel
sistema centro di massa [Lugaro et al., 2004; Ugalde et al., 2005, 2008].
Al fine di ottenere una sezione d’urto in unità fisicamente utilizzabili (barn), si è
proceduto alla normalizzazione dei dati da noi ricavati ai dati diretti nella regione
dove entrambi sono presenti (660 ÷ 800 keV). Si effettua quindi una media tra le
misure di R-maxrix presenti in tale regione e li si divide per la media delle misure
sperimentali ivi ottenute. Si ottiene così un fattore di normalizzazione che andrà
moltiplicato per questi ultimi: in questo modo otterremo finalmente una misura per
la sezione d’urto in barn, non solo nella regione tra 660 e 2000 keV, ma anche nella
regione tra 0 e 660 keV, range in cui non sono ad oggi presenti misure in letteratura.
Il procedimento finora esposto porta alla figura 5.18.
108
Conclusioni
In questo lavoro di tesi si è studiata la reazione a due corpi
19
F(α, p)22 Ne ap-
plicando il metodo del Trojan Horse alle energie di interesse astrofisico (ECM =
390 ÷ 800), regione energetica nella quale ancora non esistono in letteratura infor-
mazioni sulla sezione d’urto se non tramite estrapolazioni teoriche di R-matrix. Tale
calcolo ha comunque come limite inferiore della regione energetica spaziata pari a
circa 660 keV, sempre nel sistema del centro di massa. Risulta evidente come una
misura a più basse energie possa risultare di fondamentale importanza nello studio
della nucleosintesi del Fluoro.
A tale scopo si è condotta una campagna di misura al Rudjer Boskovic Institute di
Zagabria, dove la reazione argomento di questa tesi è stata studiata tramite la tre corpi 6 Li(19 F, p22 Ne)d, in cui si ha break-up virtuale del fascio di 6 Li, corrispondente
al decadimento di una particella di 23 Na in un protone e in un nucleo di 22 Ne emesso
nel suo stato fondamentale: esso è considerato il canale principale di reazione per
la distruzione di fluoro in stelle AGB (sito principale per la sua produzione) in ambiente ricco di elio (He-intershell).
L’analisi dati è stata condotta rivelando il deuterio, particella spettatrice nelle prescrizioni del break-up quasi libero a basse energie, tramite un telescopio ∆E − E,
in cui per lo stato E si è utilizzato un rivelatore al silicio sensibile alla posizione
(PSD), e lo stato ∆E da un rivelatore al silicio sottile. L’altra particella analizzata,
il protone, è stata rivelata tramite un altro rivelatore PSD, posto dal lato opposto del
fascio rispetto al precedente. Una volta calibrati i rivelatori, il primo passo dell’analisi prevede la selezione del canale di reazione, isolato tramite tagli grafici sulla
matrice ∆E − E e su un plot bidimensionale atto a rimuovere eventuali contributi
109
Conclusioni
dovuti a reazioni a due corpi parassite [Costanzo et al., 1990] . Si è quindi proceduto alla verifica della presenza del processo quasi libero e di eventuali altri contributi
provenienti da reazioni a tre corpi parassite nella regione energetica spaziata.
Attraverso tale studio si è potuto stabilire che il contributo del processo quasi libero
alla sezione d’urto della tre corpi 6 Li(19 F, p22 Ne)d è presente e distinguibile da altri
processi, ed è pertanto stato possibile procedere all’estrazione della sezione d’urto
d3σ
a partire dai dati selezionati. Dal confronto dei livelli
differenziale
dECM dΩ p dΩd
da noi evidenziati per il nucleo di 23 Na con quanto presente in letteratura [Firestone,
2007], è stato evidenziato il livello a 9.85 MeV con lmin = 0 e quelli a 10.160 MeV,
10.353 MeV, 10.616 MeV e 10.77 MeV aventi lmin = 2.
Si è poi proceduto a integrare la sezione d’urto a tre corpi su tutto l’angolo solido
ΩCM , ottenendo evidenze di risonanze nella regione di ECM = 0 ÷ 800 keV, la quale
non è mai stata indagata tramite misure dirette. Si è infine proceduto a normalizzare
ai dati di R−matrix quelli da noi ottenuti nella regione in cui essi sono entrambi presenti, ottenendo così una sezione d’urto a due corpi per il processo. Tale conoscenza
potrebbe rivelarsi di fondamentale importanza per meglio comprendere l’abbondanza di fluoro nelle stelle AGB, le quali ricordiamo sono le principali produttrici di
quest’ultimo, nelle quali esso risulta fortemente sottostimato nella maggior parte
dei casi.
110
Ringraziamenti
Bla bla bla...
111
Bibliografia
Abia, C., Recio-Blanco, A., de Laverny, P., Cristallo, S., Dominguez, I., and Straniero, O. (2009). Fluorine in Asymptotic Giant Branch Carbon Stars Revisited.
The Astrophysical Journal, 694:971–977.
Adelberger, E. G., Austin, S. M., Bahcall, J. N., Balantekin, A. B., Bogaert, G.,
Brown, L. S., Buchmann, L., Cecil, F. E., Champagne, A. E., de Braeckeleer,
L., Duba, C. A., Elliott, S. R., Freedman, S. J., Gai, M., Goldring, G., Gould,
C. R., Gruzinov, A., Haxton, W. C., Heeger, K. M., Henley, E., Johnson, C. W.,
Kamionkowski, M., Kavanagh, R. W., Koonin, S. E., Kubodera, K., Langanke,
K., Motobayashi, T., Pandharipande, V., Parker, P., Robertson, R. G., Rolfs, C.,
Sawyer, R. F., Shaviv, N., Shoppa, T. D., Snover, K. A., Swanson, E., Tribble,
R. E., Turck-Chieze, S., and Wilkerson, J. F. (1998). Solar fusion cross sections.
Reviews of Modern Physics, 70:1265–1291.
Aliotta, M., Raiola, F., Gyürky, G., Formicola, A., Bonetti, R., Broggini, C., Campajola, L., Corvisiero, P., Costantini, H., D’Onofrio, A., Fülöp, Z., Gervino, G.,
Gialanella, L., Guglielmetti, A., Gustavino, C., Imbriani, G., Junker, M., Moroni,
P. G., Ordine, A., Prati, P., Roca, V., Rogalla, D., Rolfs, C., Romano, M., Schümann, F., Somorjai, E., Straniero, O., Strieder, F., Terrasi, F., Trautvetter, H. P.,
and Zavatarelli, S. (2001). Electron screening effect in the reactions 3 He(d,p)4 He
and d(3 He,p)4 He∗ . Nuclear Physics A, 690:790–800.
Aoki, W., Beers, T. C., Christlieb, N., Norris, J. E., Ryan, S. G., and Tsangarides,
S. (2007). Carbon-enhanced Metal-poor Stars. I. Chemical Compositions of 26
Stars. The Astrophysical Journal, 655:492–521.
113
Bibliografia
Asplund, M., Grevesse, N., Sauval, A. J., and Scott, P. (2009).
The Chemi-
cal Composition of the Sun. Annual Review of Astronomy and Astrophysics,
47:481–522.
Assenbaum, H., Langanke, K., and Rolfs, C. (1987). Effects of electron screening on low-energy fusion cross sections. Zeitschrift fur Physik A Atomic Nuclei,
327(4):461–468.
Azhari, A., Burjan, V., Carstoiu, F., Gagliardi, C. A., Kroha, V., Mukhamedzhanov,
A. M., Nunes, F. M., Tang, X., Trache, L., and Tribble, R. E. (2001). Asymptotic
normalization coefficients and the 7 Be(p,γ)8 B astrophysical S factor. Physical
Review C, 63(5):055803.
Bao, Z. Y. and Kappeler, F. (1987). Neutron Capture Cross Sections for s-Process
Studies. Atomic Data and Nuclear Data Tables, 36:411.
Barbarino, S., Lattuada, M., Riggi, F., Spitaleri, C., and Vinciguerra, D. (1980).
Impulse distribution of the α-d motion in 6 Li. Physical Review C, 21:1104–1106.
Baur, G. and Rebel, H. (1994). Coulomb dissociation studies as a tool of nuclear
astrophysics. Journal of Physics G Nuclear Physics, 20:1–33.
Berggren, T. and Tyren, H. (1966). Quasi-free scattering. Annual Review of Nuclear
Science, 16(1):153–182.
Bertulani, C. A. (1994). The astrophysical reactions c12(α,γ)16o and be7(p,γ)8b
and coulomb dissociation experiments. Physical Review C, 49:2688–2694.
Brehm, K., Becker, H., Rolfs, C., Trautvetter, H., Kappeler, F., and Ratynski, W.
(1988). The cross section of14n(n, p)14c at stellar energies and its role as a neutron poison fors-process nucleosynthesis. Zeitschrift fur Physik A Atomic Nuclei,
330(2):167–172.
Broggini, C., Bemmerer, D., Guglielmetti, A., and Menegazzo, R. (2010). LUNA:
Nuclear Astrophysics Deep Underground. Annual Review of Nuclear and Particle
Science, 60:53–73.
Burbidge, E. M., Burbidge, G. R., Fowler, W. A., and Hoyle, F. (1957). Synthesis
of the elements in stars. Review of Modern Physics, 29:547–650.
114
Bibliografia
Busso, M., Gallino, R., and Wasserburg, G. J. (1999). Nucleosynthesis in Asymptotic Giant Branch Stars: Relevance for Galactic Enrichment and Solar System
Formation. Annual Review of Astronomy and Astrophysics, 37:239–309.
Castellani, V. (1985).
Cherubini, S., Kondratyev, V. N., Lattuada, M., Spitaleri, C., Miljanic, D., Zadro,
M., and Baur, G. (1996). Indirect Investigation of the d + 6 Li Reaction at Low
Energies Relevant for Nuclear Astrophysics. The Astrophysical Journal, 457:855.
Chew, G. F. and Wick, G. C. (1952). The Impulse Approximation. Physical Review,
85:636–642.
Clayton, D. D. (1983). Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis. The
University Chigago Press.
Costanzo, E., Lattuada, M., Romano, S., Vinciguerra, D., and Zadro, M. (1990).
A procedure for the analysis of the data of a three body nuclear reaction. Nuclear Instruments and Methods in Physics Research Section A: Accelerators,
Spectrometers, Detectors and Associated Equipment, 295(3):373 – 376.
Cristallo, S., Piersanti, L., Straniero, O., Gallino, R., Domínguez, I., Abia, C., Di
Rico, G., Quintini, M., and Bisterzo, S. (2011). Evolution, Nucleosynthesis, and
Yields of Low-mass Asymptotic Giant Branch Stars at Different Metallicities. II.
The FRUITY Database. The Astrophysical Journal Supplement Series, 197:17.
Cristallo, S., Straniero, O., Gallino, R., Piersanti, L., Dominguez, I., and Lederer, M. T. (2009). Evolution, nucleosynthesis, and yields of low-mass asymptotic giant branch stars at different metallicities. The Astrophysical Journal,
696(1):797.
Crowther, P. A. (2007). Physical Properties of Wolf-Rayet Stars. Annual Review of
Astronomy and Astrophysics, 45:177–219.
Cunha, K., Smith, V. V., Lambert, D. L., and Hinkle, K. H. (2003). Fluorine abundances in the large magellanic cloud and ω centauri: Evidence for neutrino
nucleosynthesis? The Astronomical Journal, 126(3):1305.
D’Orazi, V., Lucatello, S., Lugaro, M., Gratton, R. G., Angelou, G., Bragaglia, A.,
Carretta, E., Alves-Brito, A., Ivans, I. I., Masseron, T., and Mucciarelli, A. (2013).
115
Bibliografia
Fluorine Variations in the Globular Cluster NGC 6656 (M22): Implications for
Internal Enrichment Timescales. The Astrophysical Journal, 763:22.
Engstler, S., Raimann, G., Angulo, C., Greife, U., Rolfs, C., Schroder, U., Somorjai,
E., Kirch, B., and Langanke, K. (1992). Isotopic dependence of electron screening
in fusion reactions. Zeitschrift fur Physik A Hadrons and Nuclei, 342:471–482.
Fiorentini, G., Kavanagh, R., and Rolfs, C. (1995).
ground accelerator research.
Prospects for under-
Zeitschrift fur Physik A Hadrons and Nuclei,
350(4):289–301.
Firestone (2007). Nuclear data sheets.
Forestini, M. (1992). Astronomy and Astrophysics.
Fowler, W. A., Caughlan, G. R., and Zimmerman, B. A. (1967). Thermonuclear
reaction rates. Annual Review of Astronomy and Astrophysics, 5(1):525–570.
Frost, C. and Lattanzio, J. (1996). AGB Stars: What Should Be Done ? ArXiv
Astrophysics e-prints.
Fujimoto, M. Y., Ikeda, Y., and Iben, Jr., I. (2000). The Origin of Extremely Metalpoor Carbon Stars and the Search for Population III. The Astrophysical Journal
Letters, 529:L25–L28.
Gray, D. (2005). Cambridge University Press.
Greife, U., Gorris, F., Junker, M., Rolfs, C., and Zahnow, D. (1995). OppenheimerPhillips effect and electron screening in d+ d fusion reactions. Zeitschrift fur
Physik A Hadrons and Nuclei, 351:107–112.
Hass, M. (1999). Physics Letters B, 462:237–242.
Heger, A., Kolbe, E., Haxton, W., Langanke, K., Martinez-Pinedo, G., and Woosley,
S. (2005). Neutrino nucleosynthesis. Physics Letters B, 606:258–264.
Iliadis, C. (2007). Wiley-VCH.
Iwasa, N., Boué, F., Surowka, G., Summerer, K., Baumann, T., Blank, B., Czajkowski, S., Forster, A., Gai, M., Geissel, H., Grosse, E., Hellstrom, M., Koczon, P.,
Kohlmeyer, B., Kulessa, R., Laue, F., Marchand, C., Motobayashi, T., Oeschler,
116
Bibliografia
H., Ozawa, A., Pravikoff, M. S., Schwab, E., Schwab, W., Senger, P., Speer, J.,
Sturm, C., Surowiec, A., Teranishi, T., Uhlig, F., Wagner, A., Walus, W., and Bertulani, C. A. (1999). Measurement of the Coulomb Dissociation of 8 B at 254 MeV
/nucleon and the 8 B Solar Neutrino Flux. Physical Review Letters, 83:2910–2913.
Izzard, R. G. and Tout, C. A. (2003). Nucleosynthesis in Binary Populations.
Publications of Astronomical Society of Australia, 20:345–350.
Jacob, G. and Maris, T. A. J. (1966). Quasi-free scattering and nuclear structure.
Review of Modern Physics, 38:121–142.
Jain, M., Roos, P. G., Pugh, H. G., and Holmgren, H. D. (1970). The (p, pα) and (α,
2α) reactions on 6 Li and 7 Li at 60 MeV. Nuclear Physics A, 153:49–81.
Joachain, C. (1987). Quantum Collision Theory. North Holland.
Jorissen, A., Smith, V. V., and Lambert, D. L. (1992). Fluorine in red giant stars Evidence for nucleosynthesis. Astronomy and Astrophysics, 261:164–187.
Kippenhahn, R. and Weigert, A. (1990). Springer-Verlag.
Lamers, H., Maeder, A., Schmutz, W., and Cassinelli, J. P. (1991). Wolf-Rayet
stars as starting points or as endpoints of the evolution of massive stars? The
Astrophysical Journal, 368:538–544.
Lane, A. M. and Thomas, R. G. (1958). R-matrix theory of nuclear reactions. Review
of Modern Physics, 30:257–353.
Lattuada, M., Pizzone, R. G., Typel, S., Figuera, P., Miljanic, D., Musumarra, A.,
Pellegriti, M. G., Rolfs, C., Spitaleri, C., and Wolter, H. H. (2001). The Bare
Astrophysical S(E) Factor of the 7 Li(p, α)α Reaction. The Astrophysical Journal,
562:1076–1080.
Li, H. N., Ludwig, H.-G., Caffau, E., Christlieb, N., and Zhao, G. (2013). Fluorine abundances of galactic low-metallicity giants. The Astrophysical Journal,
765(1):51.
Lucatello, S., Masseron, T., Johnson, J. A., Pignatari, M., and Herwig, F. (2011).
Fluorine and sodium in c-rich low-metallicity stars. The Astrophysical Journal,
729(1):40.
117
Bibliografia
Lucatello, S., Tsangarides, S., Beers, T. C., Carretta, E., Gratton, R. G., and Ryan,
S. G. (2005). The Binary Frequency Among Carbon-enhanced, s-Process-rich,
Metal-poor Stars. The Astrophysical Journal, 625:825–832.
Lugaro, M., Ugalde, C., Karakas, A. I., Gorres, J., Wiescher, M., Lattanzio, J. C.,
and Cannon, R. C. (2004). Reaction rate uncertainties and the production of 19f
in asymptotic giant branch stars. The Astrophysical Journal, 615(2):934.
Maeder, A. and Meynet, G. (1994).
New models of Wolf-Rayet stars and
comparison with data in galaxies. Astronomy and Astrophysics, 287:803–816.
Masseron, T., Johnson, J. A., Plez, B., van Eck, S., Primas, F., Goriely, S., and
Jorissen, A. (2010). A holistic approach to carbon-enhanced metal-poor stars.
Astronomy and Astrophysics, 509:A93.
Meynet, G. and Arnould, M. (1993). Synthesis of
19
F in the He-burning zones of
massive stars. In Kaeppeler, F. and Wisshak, K., editors, Nuclei in the Cosmos 2,
pages 503–508.
Meynet, G. and Arnould, M. (2000).
Synthesis of
19
F in Wolf-Rayet stars.
Astronomy and Astrophysics, 355:176–180.
Motobayashi, T., Iwasa, N., Ando, Y., Kurokawa, M., Murakami, H., Ruan (Gen),
J., Shimoura, S., Shirato, S., Inabe, N., Ishihara, M., Kubo, T., Watanabe, Y., Gai,
M., France, R. H., Hahn, K. I., Zhao, Z., Nakamura, T., Teranishi, T., Futami,
Y., Furutaka, K., and Delbar, T. (1994). Coulomb dissociation of 8 B and the
7
Be(p,γ)8 B reaction at low energies. Physical Review Letters, 73:2680–2683.
Mukhamedzhanov, A. M., Clark, H. L., Gagliardi, C. A., Lui, Y.-W., Trache, L.,
Tribble, R. E., Xu, H. M., Zhou, X. G., Burjan, V., Cejpek, J., Kroha, V., and Carstoiu, F. (1997). Asymptotic normalization coefficients for 10 B→9 Be+p. Physical
Review C, 56:1302–1312.
Nollett, K. M., Busso, M., and Wasserburg, G. J. (2003). Cool bottom processes
on the thermally pulsing asymptotic giant branch and the isotopic composition of
circumstellar dust grains. The Astrophysical Journal, 582(2):1036.
Palmerini, S., Cristallo, S., Busso, M., Abia, C., Uttenthaler, S., Gialanella, L., and
Maiorca, E. (2011a). Deep Mixing in Evolved Stars. II. Interpreting Li Abundan118
Bibliografia
ces in Red Giant Branch and Asymptotic Giant Branch Stars. The Astrophysical
Journal, 741:26.
Palmerini, S., La Cognata, M., Cristallo, S., and Busso, M. (2011b). Deep Mixing
in Evolved Stars. I. The Effect of Reaction Rate Revisions from C to Al. The
Astrophysical Journal, 729:3.
Pizzone, R. G., Spitaleri, C., Cherubini, S., La Cognata, M., Lamia, L., Miljanic‘,
D., Musumarra, A., Romano, S., Tumino, A., Tudisco, S., and Typel, S. (2005).
Influence of the α-d motion in 6 Li on Trojan horse applications. Physical Review
C, 71(5):058801.
Pizzone, R. G., Spitaleri, C., Mukhamedzhanov, A. M., Blokhintsev, L. D., Bertulani, C. A., Irgaziev, B. F., Cognata, M. L., Lamia, L., and Romano, S. (2009).
Effects of distortion of the intercluster motion in H2, He3, H3, Li6, and Be9 on
Trojan horse applications. Physical Review C, 80(2):025807.
Recio-Blanco, A., de Laverny, P., Worley, C., Santos, N., Melo, C., and Israelian, G. (2012). Fluorine abundances in dwarf stars of the solar neighbourhood.
Astronomy and Astrophysics, 538:A117.
Renda, A., Fenner, Y., Gibson, B., Karakas, A., Lattanzio, J., Campbell, S., Chieffi,
A., Cunha, K., and Smith, V. (2004). On the origin of fluorine in the Milky Way.
Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, 354:575–580.
Renda, A., Fenner, Y., Gibson, B., Karakas, A., Lattanzio, J., Campbell, S., Chieffi,
A., Cunha, K., and Smith, V. V. (2005). The Evolution of Fluorine in Galactic
Systems. Nuclear Physics A, 758:324–327.
Rolfs, C.E.and Rodney, W. (1988). University of Chicago Press.
Ryan, S. G., Aoki, W., Norris, J. E., and Beers, T. C. (2005). The Origins of
Two Classes of Carbon-enhanced, Metal-poor Stars. The Astrophysical Journal,
635:349–354.
Santos, N., Israelian, G., Randich, S., Garcia Lopez, R., and Rebolo, R. (2004).
Beryllium anomalies in solar-type field stars.
Astronomy and Astrophysics,
425:1013–1027.
Satchler, G. (1990). Introduction to Nuclear Reaction. Oxford University Press.
119
Bibliografia
Schaerer, D. and Vacca, W. D. (1998). New models for wolf-rayet and o star
populations in young starbursts. The Astrophysical Journal, 497(2):618.
Slaus, I., Allas, R. G., Beach, L. A., Bondelid, R. O., Petersen, E. L., Lambert,
J. M., Treado, P. A., and Moyle, R. A. (1977). Quasifree processes in the 2 H +
3
He interaction. Nuclear Physics A, 286:67–88.
Sousa, S., Santos, N., Israelian, G., Mayor, M., and Monteiro, M. (2006). Spectroscopic parameters for a sample of metal-rich solar-type stars. Astronomy and
Astrophysics, 458:873–880.
Spitaleri, C., Typel, S., Pizzone, R. G., Aliotta, M., Blagus, S., Bogovac, M., Cherubini, S., Figuera, P., Lattuada, M., Milin, M., Miljanic, D., Musumarra, A.,
Pellegriti, M. G., Rendic, D., Rolfs, C., Romano, S., Soic, N., Tumino, A., Wolter, H. H., and Zadro, M. (2001). “Trojan horse” method applied to 2 H(6 Li,α)4 He
at astrophysical energies. Physical Review C, 63(5):055801.
Stancliffe, R., Lugaro, M., Ugalde, C., Tout, C., Gorres, J., and Wiescher, M. (2005).
The effect of the
19
F(α, p)22 Ne reaction rate uncertainty on the yield of fluori-
ne from Wolf-Rayet stars. Monthly Notices of the Royal Astronomical Society,
360:375–379.
Straniero, O., Gallino, R., and Cristallo, S. (2006). s process in low-mass asymptotic
giant branch stars. Nuclear Physics A, 777:311–339.
Tarasov and Bazin (2008). LISE++.
Trache, L., Azhari, A., Clark, H. L., Gagliardi, C. A., Lui, Y.-W., Mukhamedzhanov, A. M., Tribble, R. E., and Carstoiu, F. (1998). Asymptotic normalization
coefficients for 13 C+p→14 N. Physical Review C, 58:2715–2719.
Tumino, A., Spitaleri, C., di Pietro, A., Figuera, P., Lattuada, M., Musumarra, A.,
Pellegriti, M. G., Pizzone, R. G., Romano, S., Rolfs, C., Tudisco, S., and Typel,
S. (2003). Validity test of the “Trojan horse” method applied to the 6 Li(p,α)3 He
reaction. Physical Review C, 67(6):065803.
Tuthill, P., Monnier, J., and Danchi, W. (1998). Diffraction-Limited Infrared Imaging of M-Giants at Keck. In Bradley, P. A. and Guzik, J. A., editors, A Half
Century of Stellar Pulsation Interpretation, volume 135 of Astronomical Society
of the Pacific Conference Series, page 322.
120
Bibliografia
Typel, S. and Wolter, H. H. (2000). Extraction of Astrophysical Cross Sectionsin
the Trojan-Horse Method. Few-Body Systems, 29:75–93.
Ugalde, C., Azuma, R., Couture, A., Gorres, J., Heil, M., Scheller, K., Stech, E.,
Tan, W., and Wiescher, M. (2005). The reaction rate for the destruction of fluorine
in AGB stars. Nuclear Physics A, 758:577–580.
Ugalde, C., Azuma, R. E., Couture, A., Gorres, J., Lee, H. Y., Stech, E., Strandberg,
E., Tan, W., and Wiescher, M. (2008). Thermonuclear rate for the F19(α,p)Ne22
reaction at stellar temperatures. Physical Review C, 77(3):035801.
Uttenthaler, S., Aringer, B., Lebzelter, T., Kaufl, H. U., Siebenmorgen, R., and
Smette, A. (2008). The fluorine abundance in a galactic bulge agb star measured
from crires spectra. The Astrophysical Journal, 682(1):509.
Wasserburg, G. J., Boothroyd, A. I., and Sackmann, I.-J. (1995). Deep circulation
in red giant stars: A solution to the carbon and oxygen isotope puzzles? The
Astrophysical Journal Letters, 447(1):L37.
Williams, W. (1991). Nuclear and Particle Physics. Clarendon Press - Oxford.
Woosley, S., Hartmann, D., Hoffman, R., and Haxton, W. (1990). The nu-process.
The Astrophysical Journal, 356:272–301.
Woosley, S. and Haxton, W. (1988). Supernova neutrinos, neutral currents and the
origin of fluorine. Nature, 334:45–47.
Woosley, S. E. and Bloom, J. S. (2006).
The Supernova Gamma-Ray Burst
Connection. Annual Review of Astronomy and Astrophysics, 44:507–556.
Zadro, M., Miljanic, D., Lattuada, M., Riggi, F., and Spitaleri, C. (1987). Quasifree processes in 6 Li( 3 He, pα) 4 He reaction at low energies. Nuclear Physics A,
474:373–380.
Zadro, M., Miljanić, D., Spitaleri, C., Calvi, G., Lattuada, M., and Riggi, F. (1989).
Excitation function of the quasifree contribution in the h2(7li,αα)n reaction at
e0=28–48 mev. Physical Review C, 40:181–185.
121