L`incompatibilità tra le cariche di parlamentare e di

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L`incompatibilità tra le cariche di parlamentare e di
CONSULTA ONLINE
NICOLA DURANTE*
L’INCOMPATIBILITÀ TRA LE CARICHE DI PARLAMENTARE E DI
SINDACO INTRODOTTA DALLA CORTE COSTITUZIONALE:
PROBLEMATICHE APPLICATIVE**
1. La sentenza “additiva” 21 ottobre 2011, n. 277.
Con la sentenza in epigrafe, la Corte costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale degli articoli 1, 2, 3 e 4 della legge 15 febbraio
1953, n. 60, in materia di incompatibilità parlamentari, nella parte in cui
non è prevista l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di
sindaco di comune con popolazione superiore ai ventimila abitanti.
In tal modo, operando in senso additivo, essa ha colmato una lacuna
ordinamentale, in ragione della quale la medesima situazione soggettiva –
l’essere sindaco di un comune con popolazione superiore ai ventimila
abitanti – pur se ostativa all’elezione alla carica di deputato dall’articolo 7
del d.p.r.. n. 361 del 1957 e di senatore dall’articolo 5 del d.lgs. n. 533 del
1991, non è idonea a produrre alcun effetto sul mantenimento della
medesima carica, allorché sopravvenga.
Una simile evenienza è stata ritenuta del tutto ingiustificata dalla Corte,
perché in contrasto con il canone di tendenziale parallelismo e di naturale
biunivocità tra cause di ineleggibilità e di incompatibilità, evincibile dagli
articoli 3 e 51 della Costituzione e posto a salvaguardia del bene del libero
1
ed efficiente espletamento della funzione istituzionale, suscettibile di essere
messo a repentaglio dal cumulo di uffici particolarmente gravosi sulla
stessa persona.
La decisione – com’è naturale, anche dato il suo oggetto – ha riscosso
grande eco nell’opinione pubblica e molte attese si sono create in merito
alle possibili ricadute su situazioni in essere (ben undici parlamentari
versano nella condizione stigmatizzata dalla Consulta ed altri sono in
predicato di essere coinvolti, nella omologa veste di presidente di
provincia)1.
Il presente scritto, pertanto, senza la pretesa di pervenire ad approdi certi,
intende soffermarsi sulle delicate questioni interpretative ed applicative che
è pregiudiziale dipanare.
2. L’accertamento delle cause di incompatibilità.
Sul versante parlamentare, il regolamento per la verifica dei poteri del
Senato, all’articolo 18, fa carico ai singoli senatori di comunicare alla
Giunta delle elezioni, entro trenta giorni, le cariche e gli uffici dagli stessi
* Consigliere del T.A.R. Campania, Sezione staccata di Salerno.
** In corso di pubblicazione in “Giurisprudenza italiana”.
1
Sulla sentenza in commento si veda il commento a prima lettura di FABRIZZI, La
Corte costituzionale ed il cumulo dei mandati. Prime osservazioni su di una pronuncia
(apparentemente?) risolutiva ma (volutamente?) 'zoppa', in www.federalismi.it,
25.10.2011.
2
rivestiti in corso di legislatura, ai fini dell’accertamento di eventuali
incompatibilità col mandato parlamentare. L’esame è svolto da un apposito
Comitato, che formula alla Giunta le sue proposte. Ove la Giunta dichiari
l’incompatibilità, ne viene data comunicazione al senatore interessato, con
invito ad optare entro un termine perentorio. In caso di mancata opzione, la
Giunta dà inizio al procedimento per la dichiarazione di decadenza dal
mandato parlamentare, che è discussa dall’Aula in seduta pubblica e quindi
decisa dalla stessa Giunta, in camera di consiglio.
A sua volta, il regolamento della Giunta delle elezioni della Camera dei
deputati, agli artt. 15, 16 e 17, prevede che, quando un deputato assume una
carica od un ufficio successivamente alla proclamazione, deve renderne
dichiarazione alla Giunta entro trenta giorni. Sulla base della dichiarazione,
un Comitato interno svolge l’istruttoria e formula le proprie conclusioni
alla Giunta. Se la Giunta ravvisa l’incompatibilità della carica
sopravvenuta, ne dà immediata comunicazione al Presidente della Camera,
il quale invita il deputato ad optare entro trenta giorni tra il mandato
parlamentare e l’altro ufficio. Trascorso inutilmente tale termine, il
Presidente della Camera iscrive all’ordine del giorno dell’Assemblea la
proposta di dichiarazione di incompatibilità e la conseguente decadenza dal
mandato parlamentare. L’opzione per il mandato parlamentare non è
efficace se non è accompagnata dalle dimissioni dalla carica o dall’ufficio
incompatibile, mentre l’opzione per la carica giudicata incompatibile
3
comporta di per sé le dimissioni dal mandato parlamentare, delle quali
l’Assemblea prende atto.
Stante la prerogativa di autodichia, le decisioni assunte dai rami del
Parlamento non sono opponibili dinanzi all’autorità giudiziaria2.
Sul versante comunale e provinciale, la procedura volta alla rimozione di
una causa di incompatibilità si trova stabilita agli artt. 69, 69 e 70 del testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con d.lgs. 18
agosto 2000, n. 267.
A tal fine, è previsto che la causa di incompatibilità, sia che esista al
momento della elezione sia che sopravvenga ad essa, importa la decadenza
dalla carica di amministratore locale, salvo non sia volontariamente
rimossa entro dieci giorni dalla data in cui si è concretizzata (art. 68).
In carenza di rimozione volontaria, due sono i rimedi apprestati dal testo
unico.
Il primo è di carattere amministrativo (art. 69) e presuppone la
contestazione dell’incompatibilità ad opera del consiglio di cui l’interessato
fa parte, il che può avvenire d’ufficio o su istanza di un qualsiasi elettore.
2
DE CESARE, Verifica dei poteri, in Enc. giur., Roma, 1994; ELIA, Elezioni politiche
(contenzioso), in Enc. dir., Milano, 1965; MAZZIOTTI
DI
CELSO, Osservazioni sulla
natura dei rapporti fra la Giunta delle elezioni e la Camera dei deputati, in Giur. Cost.,
1958, 428; P. VIRGA, La verifica dei poteri, Palermo, 1949. In giurisprudenza: Cass.
civ., 17 ottobre 1980, n. 5583.
4
L’amministratore può formulare osservazioni od eliminare la causa ostativa
entro i successivi dieci giorni, scaduti i quali, il consiglio, nei dieci giorni
ancora seguenti, delibera in via definitiva e, se ritiene la contestazione
fondata, invita l’amministratore che non vi abbia ancora provveduto a
rimuoverla od ad esprimere, se del caso, l’opzione per la carica che intende
conservare. Se costui resta inadempiente per i successivi dieci giorni, il
consiglio lo dichiara decaduto. Contro la deliberazione del consiglio è
ammesso ricorso giurisdizionale al tribunale ordinario competente per
territorio, da parte di chi ne abbia interesse.
Il secondo rimedio ha natura giurisdizionale (Art. 70) e postula un
ricorso davanti al tribunale ordinario, da parte di un cittadino elettore, del
prefetto o di chiunque altro vi abbia interesse, per il quale non è previsto
alcun termine decadenziale di proposizione. Dalla data di notificazione del
ricorso, decorre, per l’amministratore locale, il termine di dieci giorni
previsto per eliminare la causa in contestazione. All’accoglimento del
gravame, segue la pronuncia di decadenza dalla carica di amministratore
locale.
Per giurisprudenza pacifica, il decorso del termine di dieci giorni resta
insensibile ad eventi o scelte processuali anche del ricorrente medesimo e
financo alla rinuncia prima del decimo giorno della domanda, tanto più che
essa
non
comporterebbe
l’immediata
ed
automatica
estinzione
dell’instaurato giudizio, del quale è parte pure il pubblico ministero e nel
5
quale possono intervenire altri cittadini elettori interessati alla sua
prosecuzione3.
Inoltre, l’azione volta ad ottenere la pronuncia di incompatibilità è
proponibile dinanzi al giudice ordinario indipendentemente dalle iniziative
assunte dal consiglio e senza che sia necessario il previo esperimento del
relativo procedimento amministrativo, corrispondendo la concorrenza di
tali rimedi ad esigenze ordinamentali diverse4.
3. Le difficoltà applicative della sentenza n. 277 del 2011.
Molte sono le problematiche che si aprono laddove si cerchi di calare il
precetto affermato dalla Corte costituzionale alle fattispecie concrete
maturate sotto il precedente regime; a maggior ragione a quelle rimaste
estranee al giudizio che ha determinato la pronuncia incidentale
d’illegittimità.
Una prima questione la offre la lettera dell’articolo 69 del testo unico
sugli enti locali, in base alla quale il consiglio contesta le condizioni
costituenti causa di ineleggibilità o di incompatibilità previste «dal presente
capo».
E’ per contro evidente che il capo II del titolo III del testo unico n. 267
del 2000 non contiene la previsione di incompatibilità tra le cariche di
3
Cass. civ., Sez. I, 24 luglio 2006, n. 16889.
4
Cass. civ., Sez. I, 2 novembre 2002, n. 15368.
6
parlamentare e di sindaco di comune con popolazione superiore ai
ventimila abitanti, in quanto l’unico atto normativo interpolato dalla
Consulta è rappresentato dalla legge n. 60 del 1953, non essendosi fatta
applicazione dell’effetto estensivo di cui all’articolo 27 della Legge 11
marzo 1953, n. 87, nei confronti di altre norme la cui illegittimità deriva
come conseguenza dalla decisione adottata5.
Dunque, solo uno sforzo interpretativo in senso teleologico, sempreché
coerente col principio di legalità che presiede la materia, può permettere il
superamento del chiaro dato testuale.
E non è tutto: a ben vedere, infatti, potrebbe non essere peregrino
sostenere che, in termini di stretto diritto, per il parlamentare eletto sindaco
prima della pubblicazione della decisione n. 277 del 2011, il cumulo delle
cariche non sia propriamente inquadrabile né come causa di incompatibilità
sopravvenuta, né come causa di incompatibilità originaria.
Non si classificherebbe come sopravvenuta, perché il munus di sindaco è
senz’altro preesistente all’assunzione della carica di parlamentare. Ma
altrettanto incerta sarebbe la sussunzione tra le cause originarie, posto che,
al momento in cui la condizione di cumulo si è materialmente realizzata,
essa non costituiva ragione legale di incompatibilità.
5
Tale potere della Corte, in un ottica maggiormente sostanzialista, volta ad
assicurare parità di trattamento a situazioni del tutto omologhe, avrebbe forse potuto
essere speso per dichiarare l’illegittimità della normativa rimessa, nella parte in cui non
prevede l’incompatibilità del parlamentare che sia anche presidente di provincia.
7
Quest’ultima considerazione vale anche per il sindaco, la cui
incompatibilità con la carica di parlamentare dovrebbe avere natura
originaria e non sopravvenuta, perché ad essere sopraggiunta non è la
condizione di fatto, ma la sua qualificazione in termini di divieto.
Ma pure a volersi ritenere meramente formalistiche – e dunque
superabili – le anzidette questioni, non è che, passando oltre, l’approccio
alla vicenda diventi molto più agevole o spedito.
Come dianzi richiamato, l’esito della mancata rimozione di una causa
d’incompatibilità consiste nella decadenza dell’interessato dalla carica e
quindi nell’applicazione di una sanzione, come conseguenza negativa, sulla
persona del trasgressore, della violazione di un precetto.
Ma se così è, non può trascurarsi come, in ossequio ai principi di
legalità, tassatività ed irretroattività che informano le materie dell’illecito
amministrativo e civile6, la condotta censurata deve inevitabilmente riferirsi
alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità di
una disciplina posteriore, anche se più favorevole7.
6
Sulle specifiche materie dell’illecito amministrativo e civile: PALLIERO-TRAVI, La
sanzione amministrativa, Milano, 1988; GIANNINI-POGLIANI, La responsabilità da
illecito civile, Milano, 1966.
7
Cass. civ., Sez. II, 18 gennaio 2010, n. 659 e 28 gennaio 2008, n. 1789; Cons. di
Stato, Sez. VI, 3 giugno 2010, n. 3497.
8
Quando è invece indiscutibile che, per le ipotesi di cumulo maturate
prima della decisione della Consulta, la disciplina del tempo era nel senso
della totale compatibilità.
E’ ben vero che, a stretto rigore, si potrebbe obiettare che la decadenza
non sanziona direttamente il cumulo degli incarichi, ma semmai la mancata
opzione da parte del titolare. E tuttavia, un siffatta replica, improntata al
rigido formalismo, stride con la struttura della violazione, dov’è evidente
che il disvalore considerato consiste nel concomitante esercizio di due
funzioni particolarmente onerose e si realizza all’atto della proclamazione
alla seconda carica, mentre l’opzione rappresenta semmai un rimedio,
spontaneo o coartato, riguardo ad una situazione già di aperto contrasto con
l’ordinamento giuridico.
A ciò si aggiunga che la tesi dell’inapplicabilità della norma
sopravvenuta pare senza dubbio la più coerente con il principio, sempre di
rango costituzionale, di tutela dell’affidamento e della certezza delle
situazioni giuridiche8, che, nel caso in esame, assume portata bivalente:
come affidamento e certezza del candidato e come affidamento e certezza
del Corpo elettorale in ordine alla futura cumulabilità dei due incarichi.
8
Più di recente, sul punto: Corte cost., 1° aprile 2010, n. 124.
9
Infine, un’ultima notazione. E’ noto che le sentenze di annullamento
della Corte costituzionale, pur avendo efficacia retroattiva, non
determinano conseguenze sui rapporti esauriti9.
Va pertanto verificato se, in base ai principi ordinamentali, la condizione
del parlamentare eletto sindaco prima dell’entrata in vigore della norma
sull’incompatibilità possa o meno atteggiarsi alla stregua di un rapporto
esaurito.
A tal riguardo, il Consiglio di Stato, in sede consultiva, ha osservato che
«le regole del procedimento elettorale assumono una determinante
influenza ai fini dell’attività preparatoria delle operazioni di voto, donde la
necessità che siano conosciute con esattezza e precisione fin dall’inizio del
procedimento. Questa esigenza di certezza, posta a garanzia del compiuto
esercizio del diritto di elettorato attivo e passivo, esclude che possano
9 Secondo ZAGREBELSKY, voce «Processo costituzionale», in Enc. Dir., XXXVI,
Milano, 1987, 635, «il problema della delimitazione dei rapporti esauriti, e quindi della
portata retroattiva delle decisioni di annullamento della Corte, non è di diritto
costituzionale. La sua risoluzione dipende dai limiti - mobili in una certa misura, nel
rispetto cioè degli articoli 3, 24, 113 Cost. - che la legislazione ordinaria prevede in
ordine alla possibilità di discussione e definizione giudiziale di determinati rapporti [...].
Perciò, mentre gli effetti per il futuro e quelli relativi al processo a quo hanno un
fondamento costituzionale negli articoli 136 Cost. e 1 l. cost. n. 1 del 1948, gli effetti
“retroattivi” ulteriori dipendono dalle norme legislative ordinarie che configurano
l'“esaurimento” dei rapporti».
10
trovare applicazione le modificazioni statutarie e di procedura entrate in
vigore dopo l’indizione delle elezioni»10.
Il principio è stato affinato in sede giurisdizionale, in relazione alla
problematica dell’applicabilità ad una competizione elettorale di una legge
regionale disciplinante le modalità di raccolta delle sottoscrizioni a
sostegno delle liste, entrata in vigore dopo l’apertura dei comizi, mediante
l’affermazione
- in primo grado di giudizio che: «ogni fase o atto del procedimento
riceve disciplina, per quanto riguarda la struttura, i requisiti ed il ruolo
funzionale, dalle disposizioni di legge e regolamento vigenti alla data in
cui ha luogo ogni sequenza procedimentale (cfr. Consiglio di Stato,
Sezione V, 19 ottobre 2006, n. 6211). Pertanto, con riferimento alla fase
della presentazione ed ammissione delle liste, si deve ritenere
immediatamente applicabile la norma sopravvenuta»11;
- in grado d’appello che: «il decreto di convocazione dei comizi elettorali
dà l’avvio al procedimento elettorale, stabilendo il dies a quo ai fini del
corretto e regolare svolgimento delle successive fondamentali fasi volte
all’esercizio del diritto di elettorato passivo e attivo (ammissione delle liste
alla competizione, preparazione dei seggi, corretta compilazione degli
elenchi degli aventi diritto al voto, etc.), senza tuttavia indicare e fissare in
10
Cons. di Stato, Sez. I, 12 gennaio 2005, parere n. 12036/2004, corsivo aggiunto.
11
T.A.R. Calabria, Catanzaro, Sez. I, 19 luglio 2010, n. 1738, corsivo aggiunto.
11
maniera immutabile ed irreversibile una determinata normativa applicabile
all’intero procedimento… [pertanto]… ben poteva il legislatore regionale
introdurre disposizioni riguardanti in particolare, per quanto qui interessa,
le modalità di presentazione delle liste elettorali, esonerando dall’obbligo
delle firme di presentazione quelle liste che possedessero i requisiti
previsti. Invero l’unico limite logico-giuridico all’applicabilità della nuova
normativa deve rinvenirsi nell’eventuale avvenuta apertura della fase (sub
procedimentale) di ammissione delle liste, circostanza non sussistente nel
caso di specie»12.
Dunque, sulla base delle su viste statuizioni, le esigenze di certezza ed
univocità che contraddistinguono la materia elettorale impongono che le
regole sull’esercizio attivo e passivo del diritto di voto vengano dettate
comunque entro un periodo di tempo predeterminato, a pena di
inapplicabilità di una normativa eventualmente sopravvenuta.
Esiste, cioè, un momento oltrepassato il quale i nuovi precetti non
possono più regolare situazioni definitivamente conformatesi alla stregua
della legislazione previgente: superando indenne quel momento, la
posizione soggettiva, seppur contraria all’assetto normativo sopraggiunto,
non è più scalfibile da una nuova legge o – deve pure ritenersi – da una
sentenza della Corte costituzionale resa inter alios, la quale ha valore di
legge.
12
Cons. di Stato, Sez. V, 21 marzo 2011, n. 1717, corsivo aggiunto.
12
Orbene, nella vicenda in esame, l’irreversibile consolidamento della
situazione giuridica si verifica, al più tardi, con la decisione di uno dei due
organi competenti13 che, in vigenza della precedente disciplina, stabilisca in
forma definitiva secondo il proprio ordinamento l’insussistenza della causa
di incompatibilità14.
Perché la decisione sia definitiva è necessario che l’autorità procedente
si sia espressa in ultima istanza e che non ne sia seguita opposizione nelle
forme di legge. Il che ovviamente vale solo per le deliberazioni del
consiglio comunale, tramite ricorso al tribunale ordinario nei trenta
giorni15, posto che, per le decisioni parlamentari, la tesi dottrinaria
prevalente sostiene la natura giurisdizionale dell’attività della Giunta delle
elezioni, mutuabile già dalla formulazione dell’articolo 66 della
Costituzione, nel punto in cui afferma che ciascuna Camera «giudica» dei
titoli di ammissione dei suoi componenti 16.
13
14
Giunta per le elezioni o consiglio comunale.
Stante il principio di prevenzione e di non contraddizione nell’ambito della
disciplina applicabile alla stessa fattispecie, appare sufficiente la pronuncia anche di uno
solo dei due organi.
15
Ai sensi dell’articolo 82 D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, recante il testo unico delle
leggi per la composizione e l’elezione degli organi delle amministrazioni comunali.
16
Per una rassegna completa delle opinioni in materia: IANNUZZI, Attualità della
verifica della regolare composizione delle Camere, in Studi parlamentari e di politica
costituzionale, 1/2003.
13
Né serve il richiamo all’istituto dell’autotutela, non vertendosi in ipotesi
di provvedimento adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di
potere o da incompetenza (come invece prevede, ai fini dell’annullamento,
l’articolo 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241) e, comunque,
trattandosi di una prerogativa propria degli organi di amministrazione attiva
e non di quelli di controllo e garanzia, il cui potere si consuma al momento
stesso dell’esercizio, restando salva solo la possibilità di correzione di
eventuali errori17.
Nel caso anzidetto, la situazione che si viene così a determinare, mutatis
mutandis, non è di molto dissimile rispetto a quella valutata dalla Corte di
cassazione in relazione ad altra causa di incompatibilità, riguardante il
valido esercizio della funzione giurisdizionale, pure introdotta in via
additiva della Corte costituzionale.
Infatti, allorché con sentenza n. 131 del 1996 si è stabilita
l’incompatibilità del giudice pronunciatosi de libertate a decidere anche il
merito, la Corte di cassazione ha enunciato il principio di diritto secondo
cui, se da una sentenza della Corte costituzionale si determini un caso di
incompatibilità corrispondente ad una situazione prodottasi in un grado di
giudizio ormai esaurito, nessun effetto processuale può derivare
relativamente a tale giudizio, poiché le sentenze della Consulta, sebbene
dotate di efficacia retroattiva, non determinano conseguenze sui rapporti
17
Cons. di Stato, Sezione IV, 7 aprile 1989, n. 224.
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processuali esauriti ed in particolare non espandono effetti su gradi di
giudizio sul punto ormai definiti 18.
Laddove, per l’appunto, la consonanza tra le due ipotesi in discorso sta
nel fatto che anche il giudizio di incompatibilità tra le cariche istituzionali
di parlamentare e di sindaco si è interamente definito dinanzi all’autorità
competente, secondo le regole in quel momento applicabili e si è
cristallizzato in difetto di specifica impugnazione, sempreché consentita.
18
Cass. pen., Sez. I, 25 settembre 1997, n. 164 e Sez. VI, 30 settembre 1996, n. 1318.
15