Introduzione all`Economia della Regolamentazione

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Introduzione all`Economia della Regolamentazione
Introduzione all’Economia della Regolamentazione
Giuseppe De Feo e Alfredo Del Monte
Maggio 2012
Versione preliminare
non citare senza il permesso degli autori
Contents
1 Introduzione
3
2 Ruolo del governo nell’economia
3
3 Una breve storia della regolamentazione
8
4 Strumenti e Istituzioni
8
4.1
Le istituzioni della regolamentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
4.1.1
Amministrazione del governo centrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
4.1.2
Le autorità indipendenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9
4.1.3
L’autoregolamentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10
5 Le autorità di regolamentazione in Italia
11
6 Richiami di economia del benessere
12
6.1
Diversi concetti di efficienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7 Analisi costi-benefici della regolamentazione
7.1
Considerazioni Intertemporali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
8 Teorie della regolamentazione
8.1
12
14
14
18
La teoria dell’interesse pubblico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
19
8.2
Economia politica della regolamentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
22
8.3
L’economia istituzionale della regolamentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . .
27
8.4
La nuova economia pubblica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
30
8.4.1
l’asimmetria informativa tra regolatore e impresa regolata . . . . . . . .
31
8.4.2
L’interesse personale del regolatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
32
8.4.3
Il problema della coerenza intertemporale della regolamentazione . . . .
32
2
1
Introduzione
In questo corso di Economia Pubblica ci interessiamo all’intervento dello stato nell’economia.
Governo e istituzioni pubbliche intervengono nei processi economici generalmente attraverso
molteplici canali. I corsi di Finanza Pubblica, ad esempio, analizzano il modo in cui i governi
raccolgono fondi attraverso la tassazione e articolano la spesa pubblica nei suoi molteplici
canali.
L’oggetto di questo corso è invece l’analisi dell’intervento diretto o indiretto dello stato
nella produzione e nel consumo di particolari beni e servizi e quindi l’ottica principale sarà
quella dell’Economia della Regolamentazione.
Analizzeremo i motivi e gli obiettivi di questo intervento cosı̀ come sono stati individuati
e descritti da differenti teorie economiche che hanno discusso l’interventi da diversi, e a volte
opposti, punti di vista.
Guarderemo agli strumenti utilizzati, dall’intervento diretto attraverso aziende pubbliche
nella produzione di beni e servizi, alla regolamentazione dei comportamenti delle aziende
private, fino anche alla regolamentazione del comportamento dei consumatori.
Analizzeremo l’intervento pubblico (cosı̀ come il mancato intervento pubblico) in termini
di efficienza ma anche di equità. O meglio, analizzeremo gli effetti redistributivi dell’intervento
pubblico o di cambiamenti delle politiche pubbliche.
2
Ruolo del governo nell’economia
La regolamentazione dell’attività economica definisce i limiti all’azione di imprese ed individui
nel contesto economico, ma non solo. Può essere definita come l’imposizione di limiti alla
discrezionalità delle scelte di individui ed organizzazioni che è sostenuta dalla minaccia di
sanzioni.
Selznick (1985) definisce la regolamentazione come un controllo continuo e concentrato
esercitato da un’autorità pubblica su attività che hanno un valoro per la collettività.1
La regolamentazione indica anche un insieme specifico di regole, in quanto regolamentare
implica la definizione di un insieme di regole vincolanti che devono essere applicate da un’organismo
1
P. Selznick, Focusing Organisational Research on Regulation, in R. Noll (ed.), Regulatory Policy and the
Social Sciences, Berkeley, CA, 1985), pag. 363.
3
designato. Ma la regolamentazione indica anche, in senso più generale, ogni deliberata influenza dello stato sul comportamento delle imprese e degli individui nella società, attraverso
non solo regole e norme rigide, ma anche attraverso la definizione di incentivi economici, assegnazione di diritti o risorse, la disponibilità di informazioni, o altre tecniche. In senso ancor più
generale si può indicare come regolamentazione ogni possibile forma di influenza economica
e sociale che non deriva necessariamente dallo stato, ma anche da altre fonti, come i mercati, le imprese stesse su base volontaria (autoregolamentazione), associazioni di categoria e
professionali, e altre organizzazioni volontarie.
Un esempio di regolamentazione del comportamento delle imprese è la fissazione del tetto di
incremento dei prezzi delle autostrade italiane che è determinato attraverso delibere del CIPE
che definiscono il quadro generale recepito poi dalle convenzioni tra ANAS e le società di
gestione delle autostrade approvati poi dai Ministeri dei Trasporti e dell’Economia. Un’ altro
esempio è la regolamentazione dell’accesso alla rete telefonica locate posseduta da Telecom
Italia che deve permettere l’utilizzo di parte di essa ai concorrenti. Esempi di modi diversi di
regolamentare sono la fissazione dei prezzi dei servizi di pubblica utilità, la regolamentazione
della produzione di sostanza inquinanti, la definizione di regole per l’allocazione di una risorsa
scarsa come le frequenze radio.
Un esempio di regolamentazione del comportamento degli individui è ad esempio l’assicurazione
obbligatoria per la responsabilità civile automobilistica o la pianificazione urbanistica ed ambiantale che limita e regolamenta l’utilizzo del territorio, del paesaggio e delle risorse naturali.
Ma anche l’obbligo delle cinture di sicurezza, il controllo della qualità e del prezzo di beni
destinati ai consumatori, la determinazione di standard di sicurezza e la regolamentazione
della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Questo corso si occuperà di alcuni aspetti di questa attività regolatoria, a partire dai
settori che tradizionalmente sono stati considerati oggetto di analisi dall’Economia della Regolamentazione, come i servizi di pubblica utilità. La regolamentazione di questi settori è
generalmente motivata dalla presenza di un monopolio nella fornitura dei beni e dei servizi
al consumatore. La Regolamentazione Economica ha quindi l’obiettivo di imporre dei
limiti l comportamento del monopolista al fine di limitarne il potere di mercato e di assicurare
soprattutto per quanto riguarda la fissazione dei prezzi, la disponibilità dei servizi e la qualità
degli stessi.
4
In generale, i mercati caratterizzati da concorrenza imperfetta sono generalmente sottoposti a due tipi di controllo da parte delle autorità pubbliche. Da un lato l’analisi antitrust
si occupa della tutela della concorrenza e di limitare gli effetti negativi del potere di mercato
delle grandi imprese. Tuttavia vi sono mercati in cui la concorrenza è limitata dalle caratteristiche strutturali dei processi produttivi che determina la presenza attiva sul mercato di
pochissime imprese, se non di una sola impresa. Queste imprese sono generalmente sottoposte
ad una regolamentazione delle attività molto rilevante, a partire dalla determinazione dei
prezzi da parte di specifiche istituzioni pubbliche. Altre volte l’intervento è diretto attraverso
aziende controllate dal governo o dipartimenti del governo. È qui interessante menzionare
una chiara differenza tra i due tipi di controllo: la regolamentazione economica e l’attività
antitrust. Mentre l’attività antitrust mira a prevenire la concentrazione per garantire la concorrenza, l’economia della regolamentazione considera come inevitabile la concentrazione (che
può essere addirittura desiderabile) e quindi necessaria una limitazione dei comportamenti
delle imprese al fine di ridurre inefficienze e distorsioni create dal potere di mercato di questa
imprese.
Il caso tipico in cui si necessita di regolamentazione è quello del monopolio naturale. In
prima approssimazione un’industria è considerata un monopolio naturale se la produzione di
un particolare bene o servizio da parte di un’unica impresa minimizza i costi di produzione.
Qusto vuol dire che è inefficiente e/o insostenibile la concorrenza tra due o più imprese. Il
caso più semplice di monopolio naturale è quello in cui esistono economie di scala che non si
esauriscono ai livelli di domanda del mercato. Di conseguenza il monopolista che serve l’intero
mercato ha costi medi inferiori a quelli che avrebbero due o più imprese che si dividessero il
mercato. L’intervento pubblico di regolamentazione si giustifica con l’impossibilità di conciliare l’efficienza economica (che imporrebbe in questi mercati la presenza di un’unica impresa)
con l’efficienza allocativa. Quest’ultima infatti è massima quando il prezzo di mercato è pari al
costo marginale delle imprese, un risultato ottenibile sul libero mercato solo in presenza di una
forte concorrenza tra le imprese. Ma se vi sono più imprese non vi è più efficienza produttiva.
La regolamentazione è di conseguenza una risposta a questo problema in quanto cerca di coniugare la presenza di un monopolio economicamente efficiente con un controllo del prezzo che
aumenti l’efficienza allocativa legandolo ai costi di produzione. Tuttavia anche questa politica
di regolamentazione ha i suoi effetti negativi in quanto riduce qualsiasi incentivo all’efficienza
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per il monopolista. Infatti, se i prezzi sono legati ai costi di produzione, qualsiasi guadagno
di efficienza viene dal regolatore automaticamente trasformato in riduzione dei prezzi per i
consumatori al fine di mantenere un’elevata efficienza allocativa. Ma questo fa mancare qualsiasi incentivo economico per il monopolista regolamentato che non ricaverà alcun profitto
dagli sforzi per ottenere guadagni di efficienza. Al contrario, potrebbe generarsi un incentivo
all’inefficienza visto che il regolatore stabilirà comunque i prezzi in modo da coprire i costi
di produzione. Una regolamentazione tutta tesa a legare il prezzo ai costi di produzione può
avere effetti negativi nel lungo periodo; è per questo motivo che le forme più evolute di regolamentazione tendono a contemperare l’esigenza di efficienza allocativa con quella di efficienza
dinamica costruendo dei meccanismi incentivanti che permettono alle imprese di incamerare,
almeno in parte, i profitti derivanti da guadagni di efficienza.
Gli ultimi decenni hanno visto anche la regolamentazione particolarmente impegnata a
circoscrivere i mercati regolamentati e ad aprire alla concorrenza settori prima caratterizzati
dalla presenza di un monopolista verticalmente integrato. Il caso delle telecomunicazioni è
particolarmente interessante da questo punto di vista. Il settore è stato a lungo caratterizzato
dalla presenza di un monopolista verticalmente integrato. Tuttavia l’evoluzione tecnologica
e l’ampliarsi della domanda ha portato alla riduzione elle attività caratterizzate da economie
di scala e costi irrecuperabili. È stato quindi possibile aprire alla concorrenza i segmenti
come le chiamate interurbane, i servizi informativi, ed l’accesso ad internet. Lo scopo della
regolamentazione si è man mano trasformato: non più focalizzato sulla regolamentazione del
prezzo finale per i consumatori, ma sempre più interessato a definire le condizioni per favorire
e tutelare la concorrenza. In settori come quelli telefonici e, più in generale, dei servizi a
rete, favorire la concorrenza significa essenzialmente garantire l’accesso a tutti i concorrenti
l’accesso alle infrastrutture di rete essenziali, come la rete telefonica locale che ancora
conservano le caratteristiche di monopolio naturale.
l’analisi economica riveste un ruolo particolarmente rilevante nella regolamentazione economica. La fissazione dei prezzi regolamentati è di non facile soluzione soprattutto quando
i costi fissi dei segmenti non concorrenziali devono essere coperti con i ricavi devianti dalla
fruizione dei diversi beni e servizi. La determinazione dei prezzi regolamentati è inoltre rilevante anche per l’effetto sugli incentivi all’efficienza e all’innovazione. La determinazione
di questi obiettivi, la costruzione di meccanismi dei incentivo appropriati e la definizione
6
dell’organizzazione istituzionale appropriata costituiscono un’ambito di applicazione molto
rilevante per l’analisi economica.
La Regolamentazione finanziaria si occupa invece della regolamentazione dei mercati e
dei servizi finanziari (banche, assicurazioni, fondi pensione, e mercati finanziari) con l’obiettivo
di prevenire e correggere i problemi informativi che caratterizzano questi mercati e di sostenere
la stabilità del sistema finanziario per le rilevanti esternalità che si generano sul resto dei settori
produttivi. Un esempio è dato dalla definizione di requisiti di patrimoniali minimi e di limiti
al leverage (moltiplicatore del credito).
• problemi di asimmetrie informative con i conseguenti
– aumenti del costo e problemi di razionamento del credito
– difficoltà di analisi del rischio di prodotti finanziari complessi
• problemi di esternalità (rischio sistemico) legati a:
– globalizzazione dei mercati finanziari
– interconnessione delle maggiori istituzioni finanziarie
– innovazioni finanziarie (derivati) che permettono di immettere sui mercati finanziari
internazionali attività rishiose prima non commerciabili (mutui, prestiti al consumo,
etc.)
Regolamentazione sociale e ambientale
• Questa è generalmente riferita alla regolamentazione di imprese la cui attività economica
– genera esternalità (ad es. inquinamento)
– è caratterizzata da problemi informativi (relativi alla sicurezza, alla salute, alla
tutela dell’ambiente)
• Generalmente attuata attraverso strumenti di regolazione diretta invece che con incentivi
economici.
• i principali ambiti di applicazione sono
– l’ambiente
7
– il cibo che mangiamo
– il lavoro che facciamo
– i beni di consumo che compriamo
• uno dei problemi principali è la definizione dei benefici e dei costi di questa attività come
as esempio la valutazione del rischio di morte
3
Una breve storia della regolamentazione
Vedere il libro The Regulated Economy A Historical Approach to Political Economy
• Fine ’800: Istituzione della Interstate Commerce Commission e regolamentazione delle
tariffe ferroviarie
• All’inizio del XX secolo: istituzione della Federal Communication Commission e della
Security ed Exchange Commission
• Cambiamenti significativi a partire dagli anni ’80
– Processi di deregolamentazione e liberalizzazione delle public utilities: meno regolamentazione economica
– Aumento della regolamentazione ambientale, della sicurezza alimentare, dei beni di
consumo e sui luoghi di lavoro.
4
Strumenti e Istituzioni
Gli strumenti della regolamentazione
• incentivi economici: e.g., meccanismi di prezzo per i servizi di pubblica utilità, tasse o
sussidi per aumentare o diminuire la profittabilità o l’utilità derivante da alcune attività;
• Regolamentazione diretta: definizione di requisiti, obblighi, divieti, procedure, e dei relativi controlli.
8
4.1
Le istituzioni della regolamentazione
L’attività di regolamentazione è generalmente affidata al governo stesso, nelle sue varie articolazioni, ad autorità indipendenti o a istituzioni di autogoverno dei soggetti regolamentati. Ad
esempio l’attività di regolamentazione per le normative di sicurezza sul lavoro è svolta direttamente dal governo, mentre la regolamentazione dei settori energetici è affidata ad un’autorità
indipendente: l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. Gli ordini professionali, infine, rappresentano gli organi di autoregolamentazione delle categorie interessate.
4.1.1
Amministrazione del governo centrale
La delega dell’attività regolatoria a dipartimenti dell’amministrazione centrale dello stato (ad
esempio dipartimenti ministeriali) si caratterizza per il forte controllo che il Parlamento può
esercitare sull’attività di regolamentazione. Queste amministrazioni centrali sono infatti responsabili (direttamente o indirettamente attraverso il governo) dinanzi al parlamento per la
propria attività. Se questo da un lato può rappresentare un punto di forza in quanto rende
più facile da parte dei rappresentati eletti del popolo la supervisione dell’attività di regolamentazione, dall’altro evidenzia una serie di limiti che hanno favorito lo sviluppo di autorità
indipendenti che nell’ultimo quarto di secolo hanno man mano sostituito le amministrazioni
centrali dello stato nel ruolo di regolatori. Questi limiti sono stati individuati nella difficoltà di
definire piani e progetti di lungo periodo, nella possibile politicizzazione di scelte che dovrebbero invece essere basate solo su ragioni di efficienza (come nella scelta tra le diverse richieste
nell’assegnazione di qualche licenza), nella difficoltà di sviluppare esperienza e specializzazione
relative al particolare settore regolamentato, e nel definire una struttura disegnata sulle esigenze specifiche della regolamentazione di quel particolare settore.
4.1.2
Le autorità indipendenti
Questa forma di regolamentazione ha origine negli Stati Uniti dove si sono sviluppate a partire
dal 1887 con la creazione della Inter-state Commerce Commission per limitare il potere di
mercato delle compagnie ferroviarie.
In Europa, questa modalità di regolamentazione fu introdotta a partire dagli anni ’50 del
XX secolo quando fu istituita la Idependent Television Authority che era caratterizzata da un
certo grado di indipendenza dal governo e dallo svolgimento di compiti non solo regolatori ma
9
anche giudiziari. A partire dall’esperienza dell’ITA, una serie di autorità di regolamentazione
furono create negli anni ’60 e ’70 al fine di regolamentare i settori monopolistici, l’aviazione
civile, le relazioni industriali, i giochi d’azzardo e la sicurezza sul lavoro. A partire dagli anni
’80, per effetto della ventata liberista che investı̀ il Regno Unito, la privatizzazione di diverse
public utilities che precedentemente erano monopoli pubblici produsse una nuova ondata di
regolamentazioni e una serie di nuove autorità indipendenti quali: OFTEL, istituita nel 1984
per la regolamentazione del settore delle telecomunicazioni; OFGAS, istituita nel 1986 per la
regolamentazione del mercato del gas; OFFER, istituita nel 1989 per la regolamentazione del
settore elettrico; OFWAT istituita nel 1990 per la regolamentazione dei servizi idrici; ORR,
istituito nel 1993 per la regolamentazione del settore ferroviario.
Ma cosa vuol dire autorità indipendenti? Con questo termine si vuole sottolineare che
queste agenzie di regolamentazione non sono sottoposte al governo ma, nel caso italiano,
rispondono del proprio operato solo “al Parlamento che ha stabilito i poteri, definito lo statuto
ed eletto i componenti”(Agcom.it). L’indipendenza è generalmente ricercata da un lato attraverso l’autonomia organizzativa, finanziaria e contabile di queste istituzioni e dall’altro
mettendola “al riparo, nell’esercizio delle sue funzioni, da qualsiasi intervento esterno o pressione politica che potrebbe compromettere la sua imparzialità di giudizio nelle questioni che
è chiamata a dirimere”.(Commissione europea, Direttiva 2009/140/CE).
Perché autorità indipendenti? Per garantire imparzialità di giudizio ed “un’applicazione
più efficace del quadro normativo, rafforzare la loro autorità e assicurare una maggiore prevedibilità delle loro decisioni”(Commissione europea, Direttiva 2009/140/CE). L’idea è che la
politica abbia la possibilità di definire priorità e direttrici d’intervento con le leggi la cui applicazione deve però avvenire attraverso autorità indipendenti con un principio che ricorda la
separazione dei poteri tra Parlamento e Magistratura.
4.1.3
L’autoregolamentazione
L’autoregolamentazione è generalmente caratterizzata dalla definizione di standard, di procedure, di regole di accesso, ma a volte anche di politiche di prezzo, da parte di un’organizzazione
che regolamenta in tal modo il comportamento dei suoi membri. A volte questo tipo di regolamentazione è totalmente volontaria come nel caso della definizione di codici di autoregolamentazione da parte di associazioni di categoria (vedi il caso del settore pubblicitario). In altri casi
10
invece non è possibile esercitare la propria attività se non si è membri dell’organizzazione che
in questo caso, sotto la vigilanza del governo e del Parlamento, esercita funzioni pubbliche.
Questo è il caso degli ordini professionali in Italia che gestiscono l’accesso alle professioni,
cosı̀ come stabilito dalle leggi istitutive e regolamentano il comportamento dei propri membri. Queste istituzioni hanno origine almeno medievali quando le corporazioni e le gilde erano
lo strumento di autogoverno delle arti e dei mestieri ed regolavano le condizioni di lavoro, i
salari, i livelli di produzione e gli standard qualitativi delle produzioni. Il problema principale
posto da questo tipo di regolamentazione è legato alla natura pubblica delle attività svolte
da questi organismi privati, di categoria. Mentre la funzione pubblica risiede essenzialmente
nell’assicurare gli standard qualitativi dei servizi erogati dai membri degli ordini professionali, la loro natura di organismo di autogoverno della professione può rendere problematica la
considerazione di interessi diversi da quelli dei propri membri, rendere difficile la gestione dei
procedimenti contro i membri stessi, favorirne la trasformazione gruppo di pressione in favore
dei propri membri.
5
Le autorità di regolamentazione in Italia
• l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) a cui è demandata l’applicazione
della normativa antitrust;
• l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) che ha, tra i vari compiti, quello di
regolamentare i settori delle comunicazioni. Questa attività include la regolamentazione
dei servizi e delle infrastrutture per la telefonia fissa e mobile, per accesso ad Internet,
il settore postale, i servizi radiotelevisivi e l’editoria.
• La Commissione nazionale per le società e la Borsa (CONSOB) costituita nel 1974
• L’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di Interesse Collettivo (ISVAP) è
stato istituito nel 1982. Esercita funzioni di vigilanza nei confronti delle imprese di assicurazione e riassicurazione nonché di tutti gli altri soggetti sottoposti alla disciplina sulle
assicurazioni private, compresi gli agenti e i mediatori di assicurazione. L’ISVAP svolge
le sue funzioni sulla base delle linee di politica assicurativa determinate dal Governo.
• Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas costituita nel 1995 con funzioni di regolazione
11
e di controllo dei settori dell’energia elettrica e del gas.
• Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (COVIP) istituita nel 1993 ed operativa
del 1996. E’ un’autorit‘a amministrativa che ha il compito di vigilare sul funzionamento
dei fondi pensione complementari
6
Richiami di economia del benessere
Se ci trovassimo in un mondo che funzionasse secondo il paradigma della concorrenza perfetta ci sarebbe una necessità molto limitata di politiche antitrust e di regolamentazione. Se
tutti i mercati fossero caratterizzati dalla presenza di un grande numero di produttori,
se i consumatori cosı̀ come le imprese fossero perfettamente informati sulle conseguenze
dell’acquisto o della vendita di tutti i beni o servizi, se il consumo di tutti i beni e servizi fosse
caratterizzato da escludibilità e rivalità e se non vi fossero esternalità nella produzione e
nel consumo, allora in questo mondo economico idealizzato senza imperfezioni non ci sarebbe
bisogno di un intervento di regolamentazione.
Perché è necessaria la regolamentazione?
Sfortunatamente ci sono una serie di fallimenti di mercato:
• un piccolo numero di grandi imprese (a volta una sola) può dominare il mercato, specialmente per i servizi di pubblica utilità;
• esternalità possono generarsi dalla produzione o dal consumo di alcuni beni;
• può esserci una mancanza di interesse da parte di soggetti privati alla fornitura di beni
pubblici;
• l’informazione relativa a prodotti rischiosi per la salute, ad attività lavorative pericolose,
ma anche a prodotti finanziari complessi, e a caratteristiche personali rilevanti per la
stipula di polizze assicurative o pensionistiche può essere imperfetta e asimmetrica;
che portano ad inefficienze nei mercati.
6.1
Diversi concetti di efficienza
• efficienza tecnica:
un’impresa è tecnicamente efficiente se per produrre una determinata quantità utilizza il
12
minimo indispensabile di fattori produttivi.
• efficienza economica (o produttiva):
un’impresa è economicamente efficiente se è tecnicamente efficiente ed utilizza la combinazione dei fattori che minimizza i costi totali.
• efficienza Paretiana:
Un’allocazione di risorse è efficiente nel senso definito da Pareto se non è possibile
migliorare il benessere di un individuo senza ridurre il benessere di qualcun altro nella
società. Di conseguenza un’allocazione è Pareto superiore se tutti i membri della società
hanno almeno lo stesso livello di benessere ed almeno un individuo aumenta la propria
utilità. Come si vede, il concetto di efficienza Paretiana è essenzialmente individualista
e non considera il problema dell’equità. Un’allocazione è preferibile ad un’altra anche se
le disuguaglianze aumentano, anche in maniera estrema.
• efficienza allocativa:
un mercato è efficiente dal punto di vista allocativo quando è massimizzato il beneficio
sociale netto derivante dall’uso delle risorse. In particolare, quando il beneficio sociale
marginale è pari al costo marginale, il surplus sociale è massimizzato. Infatti, fino a
quando il beneficio marginale è maggiore del costo marginale, vi sono consumatori che
sono disposti a pagare più dl costo di produzione, ma non riescono ad acquistare il bene
o servizio. Risulta chiaro che, mentre il concetto di efficienza Paretiano è individualista,
quello di efficienza allocativa guarda alla società nel suo complesso. Tuttavia il legame
tra i due concetti esiste e riguarda la giustificazione dell’utilizzo del concetto di efficienza
allocativa sviluppato da Hicks e Kaldor. Essi sostengono che, poiché è difficile che si
verifichino le condizioni affinché vi sia un miglioramento Paretiano, una allocazione che
genera un surplus sociale maggiore di un’altra è preferibile perché, almeno in potenza, il
miglioramento Paretiano è possibile in quanto coloro che guadagnano possono, almeno
in via di principio, compensare coloro che soffrono una perdita. È da sottolineare come
questa compensazione è solo potenziale e non è necessario che si realizzi.
• efficienza dinamica:
è la capacità delle imprese di migliorare l’allocazione delle risorse attraverso innovazioni
che introducono nuovi prodotti e nuovi processi produttivi che aumentano il beneficio
13
sociale netto.
7
Analisi costi-benefici della regolamentazione
L’obiettivo della regolamentazione: aumentare il surplus sociale
– Dal punto di vista dell’efficienza economica l’obiettivo della regolamentazione è
quello di massimizzare il beneficio netto (Benefici - costi) della regolamentazione
– Se i costi sono maggiori dei benefici, la regolamentazione non si deve implentare
– L’obiettivo è l’efficienza allocativa
– il principio su cui si basa l’efficienza allocativa è quello di compensazione potenziale
proposto da Hicks e Kaldor: i beneficiari di una politica devono poter “potenzialmente” compensare i perdenti
– Questo concetto si utilizza in sostituzione del’efficienza Paretiana in quanto è molto
difficile individuare miglioramenti in senso Paretiano
7.1
Considerazioni Intertemporali
Come fare se i costi e i benefici della regolamentazione sono distribuiti nel tempo?
Scontare il futuro? non cosı̀ ovvio
– argomenti a favore dello sconto
– argomenti contrari: le future generazioni
– A volte si sostiene che non si dovrebbe scontare il futuro per l’analisi di politiche
con effetti di lungo periodo (politiche ambientali e per la salute)
– esempio: benefici dello stoccaggio di scorie nucleari
Quale tasso di sconto impiegare?
– il costo opportunità del capitale cosı̀ come misurato dal rendimento dei Buoni del
Tesoro.
– questa è anche una misura delle preferenze intertemporali
14
Figure 1: Un esempio: la scelta della politica ambientale ottima. Da Viscusi et al. (2004).
– tuttavia questa è una misura del tasso di rendimento privato
– il tasso di rendimento sociale, che misura le preferenze intertemporali della società
potrebbe essere diverso, ma anche difficile da misurare
– per l’Office of Management and Budget (OMB) in USA utilizzato per giudicare le
proposte di regolamentazione è (era?) il 7%
– la scelta del tasso di sconto può influenzare profondamente il giudizio sulla regolamentazione in oggetto
– quanto vale domani un’euro risparmiato oggi?
1+r
– qual è il valore presente di 1 euro che otterrò l’anno prossimo?
P V = δ × 1 dove δ =
15
1
1+r
– si assuma che questo non avvenga con certezza, ma vi sia una probabilità ρ che
questo non si avveri:
P V = δ̂ × 1 dove δ̂ =
1−ρ
1+r
– qual è il valore presente di un’euro tra due anni invece che tra un anno?
1−ρ 2
2
P V = δ̂ × 1 =
1+r
flussi in(de)finiti di costi e ricavi nel futuro
– si assuma che ogni anno questa regolamentazione dia un beneficio pari a 5
2
3
P V = 5 + δ5 + δ 5 + δ 5 + ... =
∞
X
δi5
i=0
– Si noti che:
2
3
4
δP V = δ5 + δ 5 + δ 5 + δ 5 + ... =
∞
X
δi5
i=1
– Sottraendo l’una all’altra:
(1 − δ) P V =
∞
X
δi −
i=0
∞
X
δi5
i=1
– da cui:
5
1−δ
PV =
Applicazione alla regolamentazione
– si assuma un flusso futuro di costi per la regolamentazione Ci ∀i = 1, 2, ..., ∞
– il valore presente dei costi è:
P VC =
∞
X
δ i Ci
i=0
– si assuma un flusso futuro di benefici per la regolamentazione Bi ∀i = 1, 2, ..., ∞
P VB =
∞
X
δ i Bi
i=0
– l’uso del tasso di sconto permette di ottenere un valore sintetico
P VB−C =
∞
X
i=0
16
δ i (Bi − Ci )
Applicabilità dell’Analisi Costi Benefici Non è sempre chiara la rilevanza dell’analisi costi
benefici.
Ad esempio:
– Qual è il costo opportunità di una vita?
L’OMB non approva regolamentazioni con un costo implicito per vita salvata superiore ai $100 milioni
– Ma la legge sulla sicurezza sul lavoro USA recita:“OSHA assures so far as possible
every man and woman in the nation safe and healthful working condition”
– quindi la fattibilità è la regola e non l’efficacia in termini di costi
– l’efficacia in termini di costi permetterebbe comunque di promuovere una regolamentazione finalizzata ai fini, piuttosto che ai mezzi utilizzati. Tuttavia questo non
è facile da implementare
17
8
Teorie della regolamentazione
L’economia della regolamentazione si interessa di diversi aspetti dell’intervento delle istituzioni
pubbliche nel funzionamento dei mercati. La teoria economica può contribuire alla determinazione degli obiettivi della regolamentazione e alla scelta degli interessi sociali da tutelare
cosı̀ come è fondamentale per la definizione dei casi in cui la regolamentazione ha un effetto
positivo sull’efficienza dei mercati. Anche la scelta di cosa deve essere regolamentato e cosa
non deve essere regolamentato nei settori in cui si decide di intervenire deve rispondere ad
una coerente logica economica. La scelta delle modalità attraverso le quali tale regolamentazione deve essere attuata, la verifica delle alternative disponibili alla regolamentazione e la
congruenza degli strumenti agli obiettivi è oggetto di studio dei diversi contributi all’economia
della regolamentazione.
Waterson (1988) tuttavia identifica due questioni fondamentali circa la regolamentazione:
• La regolamentazione dei mercati supportata da argomentazioni economiche rilevanti?
• La regolamentazione funziona?
Le risposte a queste due domande sono varie ed articolate e possono essere raggruppate in
quattro filoni teorici principali:2
1. La teoria dell’interesse pubblico
2. La teoria Economia della Regolamentazione
3. Economia istituzionale della Regolamentazione
4. Nuova economia pubblica
Le diverse teorie della regolamentazione si distinguano anche per l’approccio diverso, normativo o positivo, dei diversi contributi all’economia della regolamentazione. L’approccio
normativo promuove l’intervento pubblico perché si assume che le istituzioni pubbliche e il
governo devono promuovere l’efficienza nelle sue diverse accezioni attraverso la regolamentazione. L’approccio positivo non si pone l’obiettivo di definire le politiche che le istituzioni
pubbliche devono perseguire, ma al contrario cerca di spiegare ciò che accade nella realtà anche
attraverso la formulazione di ipotesi empiricamente verificabili che discendono logicamente da
un insieme di premesse (assunzioni).
2
Questa classificazione, cosı̀ come l’analisi delle ultime due sezioni si rifà a Lévêque (2004).
18
8.1
La teoria dell’interesse pubblico
La teoria dell’interesse pubblico, le cui origini si fanno risalire al lavoro di Pigou sull’economia
del benessere,3 rappresenta l’approccio normativo tradizionale alla regolamentazione dei mercati. Nell’ottica dell’economia del benessere, le cause di fallimento del mercato rappresentano una motivazione fondamentale a sostegno e a giustificazione dell’intervento pubblico
nell’economia.
Se ci trovassimo in un mondo che funzionasse secondo il paradigma della concorrenza
perfetta ci sarebbe una necessità molto limitata di politiche antitrust e di regolamentazione.
Se tutti i mercati fossero caratterizzati dalla presenza di un grande numero di produttori,
se i consumatori cosı̀ come le imprese fossero perfettamente informati sulle conseguenze
dell’acquisto o della vendita di tutti i beni o servizi, se il consumo di tutti i beni e servizi fosse
caratterizzato da escludibilità e rivalità e se non vi fossero esternalità nella produzione e
nel consumo, allora in questo mondo economico idealizzato senza imperfezioni non ci sarebbe
bisogno di un intervento di regolamentazione.
Queste condizioni di fallimento del mercato sono il monopolio naturale; la presenza di esternalità nella produzione o nel consumo; i beni pubblici;4 ed infine, l’informazione asimmetrica
che può dare luogo a problemi di azzardo morale e di selezione avversa. Essendo impossibile
per il mercato ottenere in tali condizioni un’allocazione efficiente delle risorse, i poteri pubblici devono intervenire per imporre regole e restrizioni all’azione soprattutto delle imprese,
ma anche dei consumatori. Quando la mano invisibile evocata da Adam Smith non è in grado
di agire per promuovere l’efficienza, la mano ben più visibile dello stato deve avere il compito
di indirizzare i comportamenti di imprese e consumatori al perseguimento del bene comune.
Quindi la presenza di imperfezioni nel funzionamento dei mercati fa in modo che la concorrenza non porti alla massimizzazione del benessere sociale e quindi la regolamentazione può
rendere possibili miglioramenti potenziali in senso Paretiano, ovvero aumentare l’efficienza allocativa del mercato. È ciòè possibile che coloro che traggono beneficio dall’introduzione della
3
4
Pigou (1920), The Economics of Welfare.
Il bene pubblico è sia non escludibile che non rivale, mentre il bene privato è sia escludibile che rivale. Se
il bene è escludibile ma non rivale si avrà un bene di club, mentre se il bene è rivale ma non escludibile avremo
un bene comune.
19
regolamentazione possono compensare coloro che perdono e mantenere ancora un beneficio
netto.
Nel caso di un monopolio naturale, ad esempio, il mercato viene ad essere caratterizzato
dalla presenza di un’unica impresa monopolista che, se non limitata nella sua libertà di fissare prezzi e la quantità venduta sul mercato, potrà sfruttare il proprio potere di mercato
e massimizzare i profitti aumentando i prezzi con un danno all’intera collettività. I prezzi
risulteranno inefficientemente elevati, la quantità che i consumatori acquisteranno sarà inefficientemente bassa, e il risultato sarà una perdita netta di surplus sociale.
La regolamentazione serve anche quando la concorrenza c’è ed è forte. Consideriamo il
caso in cui la produzione di un bene (ad esempio l’energia) generi inquinamento atmosferico.
Questo caso rappresenta un caso di esternalità negative nella produzione ed è quindi un esempio di fallimento del mercato. Le forze della domanda e dell’offerta di energia, se lasciate
libere, determinerebbero una produzione eccessiva di elettricità in quanto il costo in termini
di inquinamento atmosferico semplicemente non entra nei costi né dei consumatori, né delle
imprese. L’introduzione di imposte sulla produzione di energia o la creazione di un mercato
di permessi per le emissioni inquinanti, crea un costo aggiuntivo per le imprese produttrici
di elettricità (che si riverbera ovviamente sui prezzi per i consumatori). Se ben congegnati,
questi meccanismi regolatori porteranno la produzione di energia e quindi di emissioni nocive
a livelli socialmente ottimali.
Secondo l’approccio della teoria dell’interesse pubblico il regolatore è solo interessato al
raggiungimento di un’allocazione efficiente delle risorse e alla correzione delle imperfezioni dei
mercati. Si assume che egli sia insensibile alle pressioni di gruppi di interesse, alle gratificazioni
e alla corruzione. Ad esempio i regolatori sono disinteressati e non lavorerebbero mai per le
imprese che hanno regolato in passato.
Inoltre essi sono anche neutrali rispetto alla ripartizione dei benefici delle regolamentazione;
sono interessati solo all’efficienza perché il loro obiettivo è solo quello di accrescere le risorse
disponibili per la collettività, mentre la redistribuzione è una decisione propria della politica.
L’assunzione implicita è che sia sempre possibile disgiungere il problema dell’efficienza da
quello della redistribuzione, come se la ripartizione del surplus non influenzasse la produzione
del surplus. Questa approccio fornisce anche la base logica e teorica alla separazione tra le
autorità di regolamentazione e le istituzioni di governo, con le prime interessate esclusivamente
20
all’efficienza, e le seconde alla redistribuzione.
La regolamentazione secondo la teoria dell’interesse pubblico è giustificata se passa un test
di fallimento del mercato caratterizzato da tre elementi (Church and Ware, 2000).
1. Determinare l’esistenza e la dimensione dell’inefficienza che si genera in assenza di regolamentazione;
2. Valutare la fattibilità dell’intervento per correggere il fallimento del mercato. In questa
fase necessita si procede all’identificazione delle modalità e dei meccanismi di regolamentazione che permettono di aumentare l’efficienza tenendo conto del comportamento
dell’impresa tendente a massimizzare il profitto con le nuove regole introdotte dalla
regolamentazione.
3. Infine è necessario dimostrare che i benefici superano i costi, sia quelli diretti che quelli
indiretti, della regolamentazione. I costi diretti includono le spese per creare e far funzionare l’agenzia di regolamentazione ed i costi per le imprese e gli altri soggetti coinvolti.
I costi indiretti includono tutte le inefficienze che si generano per effetto della regolamentazione. La regolamentazione può indurre infatti una allocazione inefficiente delle risorse
quando non c’è una completa armonizzazione tra gli obiettivi dell’impresa (profitto) e
della società nel suo complesso (surplus totale). Come si vedrà nell’analisi del monopolio
naturale, il superamento di una tipologia di regolamentazione basata sul recupero dei
costi a vantaggio di varie forme di regolamentazione incentivante è giustificato proprio
dal riconoscimento che la prima determina incentivi perversi che spingono l’impresa a
non minimizzare i costi di produzione.
L’introduzione di un test cosı̀ articolato parte dal riconoscimento che i fallimenti del mercato sono una condizione necessaria ma non sufficiente per giustificare l’introduzione della
regolamentazione. Coase (1960) criticò infatti un approccio basato solo sul riconoscimento del
fallimento di mercato, come se l’intervento di regolamentazione fosse senza costo e necessariamente indirizzato alla massimizzazione del benessere sociale. In pratica, tuttavia, l’intervento
pubblico ha i sui costi diretti ed è fonte esso stesso di inefficienze e distorsioni. Di conseguenza
Coase sottolinea come il paragone rilevante non sia tra mercati ideali e regolamentazione ideale, ma tra meccanismi imperfetti, costosi, ma realistici di mercato e di regolamentazione.
Vedremo in seguito come quest’analisi è alla base della definizione dei fallimenti del governo
21
(Wolf, 1988) e dell’approccio comparativo alle istituzioni (Demsetz, 1969).
Inoltre, sia la difficoltà di spiegare quale sia il meccanismo di political conomy che permette
l’introduzione della regolamentazione utile ma evita l’introduzione di una regolamentazione
dannosa, sia l’evidenza empirica che mostra come la regolamentazione sia presente anche
in settori per i quali è difficile individuare motivazioni di efficienza e fallimenti del mercato
(autotrasporto, taxi, etc.) indeboliscono il punto di vista della teoria dell’interesse pubblico
ed aprono la stada ad approcci alternativi.
8.2
Economia politica della regolamentazione
Questo approccio positivo alla teoria della regolamentazione introduce un’analisi dell’intervento
pubblico basato sull’assunzione che tutti gli agenti coinvolti nella regolamentazione sono egoisti
e cercano di massimizzare la propria funzione obiettivo.
L’analisi di Stigler contribuisce a cambiare radicalmente l’analisi economica della regolamentazione. Già in Stigler and Friedland (1966) il contributo della regolamentazione al
benessere sociale era messo in dubbio dall’osservazione che il prezzo dell’elettricità negli stati
USA dove esso era regolato non era significativamente inferiore a quello praticato negli stati
dove non era regolamentato. Si poneva dunque la domanda di comprendere il motivo della regolamentazione ed i suoi reali beneficiari. Il contributo più significativo è senza dubbio Stigler
(1971). In quest’articolo Stigler evidenzia come una teoria economica della regolamentazione
debba individuare: (i) i beneficiari della regolamentazione e coloro che invece sono svantaggiati
dalla regolamentazione; (ii) la forma e la natura dell’intervento regolatorio; (iii) gli effetti della
regolamentazione sull’allocazione delle risorse; (iv) i settori che con più probabilità vengono
regolamentati.
Egli propone un modello in cui la regolamentazione è un servizio scambiato sul mercato
con un lato della domanda, costituito dai gruppi di pressione, associazioni di categoria e lobby,
ed un lato dell’offerta costituito dal regolatore, sia esso un organismo politico come il Congresso o un’autorità indipendente. La premessa della sua analisi è che il potere principale
dello stato consiste nella coercizione e che qualunque gruppo in grado di influenzare l’uso
della forza ne può approfittare a proprio vantaggio. Ad esempio, lo stato può imporre tasse su
alcune categorie ed utilizzarne i proventi per sussidiare la lobby vincente. Inoltre la regolamentazione può essere utilizzata per limitare l’ingresso con barriere all’entrata, oppure limitare le
22
capacità competitive di produttori di beni sostituti, o anche regolamentare il prezzo riducendo
la concorrenza a vantaggio delle imprese già presenti sul mercato.
Nell’analisi di Stigler la regolamentazione rappresenta solo uno strumento di redistribuzione
del surplus tra diversi gruppi sociali senza alcun impatto positivo sull’efficienza dei mercati.
Questo rappresenta il punto più chiaro di contrasto con la Teoria dell’Interesse Pubblico per
cui la regolamentazione non si occupa della redistribuzione ma solo di aumentare l’efficienza
dei mercati.
Smessa la visione del regolatore benevolente, per Stigler tutti perseguono esclusivamente
i propri interessi. I politici, ad esempio, tendono a massimizzare le chance di essere rieletti.
Stigler riprende infatti l’analisi del mercato politico sviluppata da Buchanan e Tollison (1972)
e dagli altri esponenti della teoria economica che analizza le scelte pubbliche secondo cui
l’obiettivo dei partiti politici è quello di massimizzare il numero dei voti al fine di permettere
ai propri dirigenti di massimizzare i vantaggi derivanti dall’esercizio del potere. L’obiettivo dei
funzionari e dei membri delle autorità indipendenti è invece quello di massimizzare i benefici
personali derivanti dalla propria carica, come ad esempio il passaggio all’industria regolamentata una volta smessi i panni del regolatore. Il loro obiettivo può essere perseguito aumentando
l’artività di regolamentazione al solo scopo di aumentare l’importanza della propria amministrazione, i mezzi messi a loro disposizione e la propria influenza.5
Il lato della domanda di regolamentazione è invece caratterizzato dalle imprese che vogliono
essere protette dalla concorrenza, in particolare quella proveniente dall’estero. In contropartita
per il vantaggio che ottengono dalla regolamentazione, le imprese sono disposte a finanziare
le campagne elettorali dei politici o ad offrire lavori nell’industria a funzionari e burocrati.
Le grandi imprese vinceranno costantemente questa gara. La logica si rifà essenzialmente
al contributo di Olson (1965) sull’azione collettiva che mette in evidenza il vantaggio dei gruppi
più piccoli su quelli grandi, composti da un numero maggiore di membri. Le grandi imprese,
infatti, possono ottenere grandi benefici dall’azione collettiva. Essendo un piccolo gruppo e
generalmente omogeneo, hanno minori difficoltà ad organizzare un’azione collettiva. Le piccole
imprese non riescono ad organizzarsi altrettanto bene poiché i benefici che ciascuna di essa
ottiene sono piccoli. I consumatori hanno difficoltà ancora maggiori in quanto i benefici che
ciascuno di essi ottiene dall’azione collettiva sono ancora minori. I problemi di free riding en5
Si veda a tal proposito anche Tullock (1978).
23
fatizzano ancor di più la maggiore capacità delle grandi imprese di organizzarsi per influenzare
la regolamentazione. Quando il numero dei membri di una coalizione è ridotto, è più facile
controllare eventuali defezioni da parte di coloro cercheranno di non pagare i costi e beneficiare gratuitamente dell’azione collettiva per ottenere vantaggi dalla regolamentazione. La
regolamentazione infatti rappresenta generalmente un bene pubblico per i membri del gruppo
e quindi la sua produzione soffre delle inefficienze tipiche di tutti i beni pubblici. Una regolamentazione come quella che riduce le importazioni dall’estero darà benefici a tutte le imprese
domestiche attive in quel settore (non rivalitaà) e non sarà possibile escludere alcuna impresa,
anche se non ha contribuito ai costi per promuovere la regolamentazione (non escludibilità). Di
conseguenza gruppi di grandi dimensioni si trovano in una posizione di svantaggio sia perché
i benefici derivanti dalla regolamentazione possono non essere molto superiori ai costi, sia
perché è più difficile controllare il comportamento da free rider dei propri membri.
In generale, l’economia politica della regolamentazione individua quattro fattori che favoriscono la partecipazione individuale ai gruppi di pressione.6 Il primo è la dimensione dei
possibili vantaggi derivanti dall’attività di lobby: maggiori sono i guadagni, più attiva sarà
la partecipazione ai gruppi di pressione. La seconda è la dimensione del gruppo interessato:
più piccolo il gruppo, più facile è il controllo per prevenire il comportamento da free rider. Il
terzo elemento è costituito dal grado di omogeneità degli interessi dei membri della coalizione
d’interessi: più le mprese sono omogenee, maggiori sono le possibilità che si mettano d’accordo
sul tipo di regolamentazione da richiedere. L’ultimo elemento è relativo al grado di incertezza
circa gli effetti della regolamentazione in termini di benefici per i membri dell’industria. Maggiore è il grado di incertezza, minore è l’incentivo a partecipare attivamente alla emphlobby.
Essendo più facile farsi un’idea dei costi derivanti dall’introduzione di una nuova regolamentazione piuttosto che dei potenziali benefici, Si spiega perché è più alta la partecipazione
all’attività di gruppi di pressione che cercano di ridurre i costi di una nuova regolamentazione
(ad esempio ambientale).
L’analisi di Stigler costruisce un primo importante contributo allo sviluppo della teoria
della cattura del regolatore, ovvero dell’idea che i regolatori siano catturati dalle stesse
imprese che dovrebbero controllare. In cambio di voti, risorse finanziarie o della promessa
di futuri incarichi, i regolatori utilizzano il proprio potere al servizio delle imprese e non per
6
Si veda Noll e Owen (1983).
24
controllarne i comportamenti.
L’analisi di Stigler è estesa da Posner (1971) ed altri che focalizzano l’analisi più sul lato
dell’offerta, che aveva ricevuto scarsa attenzione nel lavoro originario di Stigler. Il contributo
di Pelzman (1976) cerca di aggiornare la teoria di Stigler al fine di analizzare in maniera
più approfondita il lato dell’offerta nel mercato della regolamentazione. In particolare egli
si sofferma sui motivi che possono spingere i regolatori ad intervenire anche a favore dei
consumatori e non solo dei produttori. Pelzman ha essenzialmente in mente un legislatore che
ha come obiettivo la massimizzazione delle probabilità di essere rieletto. Il punto di partenza di
questo contributo è la constatazione empirica che, a differenza di quanto previsto dalla teoria di
Stigler, il Congresso degli Stati Uniti ha approvato regolamentazioni che danneggiano le grandi
imprese. Egli formalizza un modello partendo dalle seguenti ipotesi: (i) la regolamentazione
serve a ridistribuire la ricchezza; (ii) il regolatore desidera di essere rieletto e quindi approva
norme che massimizzano le sue probabilità di essere rieletto; (iii) i gruppi sociali competono
per ottenere una legislazione a loro favorevole offrendo in cambio supporto politico (sia il voto
che le risorse economiche).
Se, Ad esempio, una proposta di regolamentazione dovesse aumentare i prezzi in un’industria,
si avrebbe un duplice effetto sul supporto politico al legislatore. I produttori beneficiari della
regolamentazione aumenterebbero il loro sostegno al legislatore, mentre i consumatori che
devono pagare di più ridurrebbero il loro sostegno. Di conseguenza il regolatore sceglierà in
equilibrio un livello dei prezzi tale da massimizzare il supporto politico.
Questa analisi ci permette anche di comprendere quali industrie sono regolate con maggiore probabilità. Si consideri un mercato in cui vi siano due gruppi sociali: i produttori e i
consumatori, con i primi che prendono le proprie decisioni politiche sulla base dei profitti che
ottengono con la regolamentazione, mentre le decisioni dei i secondi si basano sul livello dei
prezzi.
Si consideri la seguente funzione di supporto politico M (P, π) dove P è il prezzo e π sono
i profitti delle imprese. M (P, π) è crescente in π e decrescente in P in quanto all’aumentare
del prezzo i consumatori riducono il supporto politico al legislatore, mentre all’aumentare dei
profitti i produttori aumentano il loro supporto politico.
Inoltre è anche possibile stabilire una relazione tra P e π dove π(P ) indica la funzione di
profitto delle imprese. In particolare π(P ) è crescente in P quando P < P m , dove P m è il
25
prezzo di monopolio, ed è decrescente in P per ogni P > P m .
Avendo stabilito questa relazione tra prezzo e profitto, è chiaro che il regolatore quando
aumenta il prezzo riduce il supporto politico dei consumatori ma, se p < P m riceverà un
supporto maggiore da parte delle imprese.
È possibile quindi caratterizzare l’equilibrio, la scelta del legislatore che massimizza il suo
supporto politico M (P, π) sotto il vincolo di π = π(P ).
Figure 2: Scelta ottima del prezzo da parte di un legislatore che massimizza il supporto politico
Nella figura 8.2, M1 , M2 , M3 sono delle curve di indifferenza per il regolatore, ovvero identificano tutte quelle combinazioni di prezzo e profitti che danno il medesimo livello di supporto
politico al legislatore.
Si consideri un au,ento della protezione fornita ai produttori che genera un incremento
marginale del prezzo. Fino a quando il beneficio marginale per il regolatore di aumentare
la protezione dei produttori è maggiore del suo costo marginale allora al regolamentatore
converrà aumentare questa protezione. Definiamo questi costie benefici marginali:
• Benefici marginali: l’incremento della protezione fornita all’industria genera quel tipo di
benefici descritto da Stigler(1971), come ad esempio contributi alle campagne elettorali,
eccetera. Questi benefici possono essere solo eventuali e quindi devono essere pesati per
la probabilità che tale supporto venga effettivamente erogato.
26
• Costi marginali: l’aumento della protezione dei produttori, aumenta il prezzo per i
consumatori e quindi ne riduce il surplus. In effetti si genera una tassa implicita che
dipende dalla dimensione del beneficio per i produttori, il numero dei consumatori, e
l’elasticità della domanda. Esso deve comunque essere pesato per la probabilità che
ciascun consumatore effettivamente cambi la propria decisione di voto per effetto di
questo trasferimento di rendita ai produttori.
L’equilibrio si ottiene quando il costo marginale (atteso) eguaglia il beneficio marginale
(atteso).
Il risultato è che il generale il prezzo di equilibrio non sarà nè quello di concorrenza, nè
quello di monopolio. Questa osservazione permette anche di definire un’ipotesi testabile empiricamente per cui i mercati dov’è più probabile che si intervenga con la regolamentazione
sono quelli più competitivi (con una regolamentazione a favore delle imprese) e quelli monopolistici (con una regolamentazione a favore dei consumatori). I mercati dove è meno probabile
l’intervento di regolamentazione sono quelli in cui i profitti ed i prezzi sono intermedi (oligopolio).
Questa analisi di Pelzman introduce rispetto a Stigler una maggiore formalizzazione dell’attività
del regolatore. Tuttavia questo viene caratterizzato esclusivamente come legislatore politico,
mentre gran parte delle regolamentazioni sono implementate da apparati amministrativi e non
dal parlamento direttamente. Contributi successivi hanno tuttavia enfatizzato l’importanza
dell’interazione tra potere burocratico e legislativo nella produzione delle regolamentazioni.
8.3
L’economia istituzionale della regolamentazione
La caratteristica fondamentale dell’approccio di questa scuola è quello di considerare molte
possibili soluzioni per rimediare ai problemi di esternalità, monopolio naturale, e dei beni
pubblici. Compresa la possibilità di non intervenire quando i rimedi possibili sono più costosi
per la collettività del male che si vuole evitare. Questa scuola nasce dal lavoro di Coase (1960)
che ha influito su molti ambiti della teoria economica inclusa la teoria della regolamentazione.
Coase porta avanti una critica radicale dell’analisi delle cause dell’intervento pubblico
sviluppata da Pigou (1932) cosı̀ come delle soluzioni da lui proposte. Prima di esporrequesta
critica conviene richiamare la definizione di costo di transazione, che occupa un posto centrale
nella sua analisi. Questo concetto riflette l’idea che il coordinamento tra gli agenti economici
27
comporta dei costi. L’utilizzo del mercato per coordinare le azioni degli agenti economici
(scambio di beni e servizi, scrittura dei contratti, attività di ricerca) ha dei costi che non
sono sempre più bassi di quelli che caratterizzano altre modalità di coordinamento di questi
comportamenti. Le transazioni tra agenti economici si svolgono anche in seno alle imprese
dove si osservano degli scambi di beni e servizi tra divisioni diverse dell’impresa, prestazioni di
lavoro legate alla stipula di contratti di lavoro tra salariati e datori di lavoto, eccetera. Se certi
scambi hanno luogo all’interno dell’impresa e non sul mercato, questo dipende dal fatto che
il loro costo relativo è inferiore e l’impresa ha dunque l’interesse ad organizzare le transazioni
all’interno invece che sul mercato. Le transazioni in generale possono aver luogo anche in
altri contesti oltre all’impresa e al mercato, come ad esempio le associazioni volontarie o le
amministrazioni pubbliche. In generale si può definire costo di transazione il costo di funzionamento di un meccanismo di coordinamento. Più concretamente i costi di transazione possono
essere assimilati ai costi di redazione e di negoziazione dei contratti in senso ampio, inclusa la
ricerca di informazioni preliminare al contratto ed i mecanismi di sorveglianza degli impegni
presi. Si consideri il caso della regolamentazione del monopolio. Questa regolamentazione
attribuisce l’esclusiva della produzione del particolare bene o servizio ad un’unica impresa che
si impegna a rispettare delle tariffe regolamentate. Questa da luogo a dei costi di transazione
legati all’elaborazione delle leggi e dei decreti che istituiscono il monopolio e descrivono glio
bblighi del produttore. Si generano cosı̀ anche dei costi di transazione legati al funzionamento dell’amministrazione incaricata di fissare le tariffe e di controllare la loro applicazione.
L’economia pubblica della regolamentazione non considera l’insieme di questi costi, cosa che è
considerata da Calabrese (1968), Dalhman (1979) e Coase (1988) come un’ipotesi irrealistica
che genera una analisi sbagliata. L’argomentazione è la seguente. Se si adotta l’ipotesi di
costi di transazione nulli, questi si devono applicare alla regolamentazione ma anche ad altre
soluzioni di coordinamento. Di conseguenza, in un mondo immaginario di costi di transizione
nulli, l’intervento pubblico diventa inutile poiché gli agenti stessi possono mettersi d’accordo
per trovare una soluzione ottimale. Infatti, se i loro costi di transazione sono nulli, allora la
negoziazione, la redazione e il rispetto di un contratto non costano nulla alle parti contraenti.
Gli agenti economici si potranno quindi organizzare in una contrattazione senza costi fino al
punto in cui nessuno potrà migliorare la propria posizione senza peggiorare quella di qualcun altro. Un equilibrio Pareto efficiente sarebbe quindi ottenibile spontaneamente. In altre
28
parole, se i costi di transazione fossero nulli, i fallimenti del mercato non esisterebbero.
Quindi l’analisi dei problemi di fallimento del mercato non ha senso se non con l’ipotesi di
costi di transazione positivi. In tal caso, la necessità dell’intervento pubblico non si impone
se non a due condizioni. È innanzitutto necessario che i costi di transazione siano inferiori
al costo delle soluzioni alternative; vi è infatti un chiaro interesse della collettività a scegliere
la soluzione meno costosa. Inoltre, i costi devono essere inferiori ai benefici dell’intervento,
altrimenti l’intervento pubblico condurrebbe a una riduzione del benessere sociale. Il lavoro
di Coase evidenzia quindi i limiti dell’analisi di Pigou e ne circoscrive l’ambito in cui essa
può essere ritenuta valida. In un mondo con costi di transazione positivi le tesi di Pigou
sono quindi valide solo se le due condizioni prima enunciate sono rispettate. Di conseguenza
l’intervento pubblico nel caso di fallimenti di mercato non riveste più un carattere obbligatorio.
In particolare, niente esclude a priori che i problemi risultanti non possano essere risolti dagli
stessi agenti economici attraverso la negoziazione. Solo un esame caso per caso dei costi e dei
benefici delle diverse soluzioni, incluso il non intervento, può portare a giustificare l’intervento
pubblico.
Il metodo per la valutazione dell’intervento pubblico proposto da Coase è fondato sull’analisi
comparativa. Ma non si tratta di paragonare una situazione imperfetta con una perfetta come
nell’approccio di Pigou che confronta i casi di fallimento di mercato con il riferimento ideale
dell’ottimo Paretiano. Il metodo proposto dalla scuola istituzionalista è quello di confrontare
tra loro le diverse soluzioni possibili. Come affermato da Demsetz (1969), far riferimento
a un mondo economico perfetto ma irraggiungibile non ha senso. Inoltre, in questa analisi
comparativa, tutti i costi per ciascuna soluzione possibile devono essere considerati. Assumere a priori che i costi di transazione dell’intervento pubblico sono trascurabili mentre
quelli dell’iniziativa privata sono elevati determina di fatto la scelta di regolamentare a prescindere dal caso specifico da considerare. L’insistenza sullo studio concreto delle soluzioni e
sul funzionamento delle organizzazioni è un aspetto qualificante dell’approccio della teoria istituzionale della regolamentazione e della critica ad un approccio meno concreto e realistico di
altre teorie economiche. Un esempio emblematico di questa critica è la polemica sorta intorno
al caso concreto dei fari marittimi, citati da Mill (1848) come bene pubblico per eccellenza
per cui solo l’intervento pubblico può assicurare la costruzione. Tuttavia, fino al contributo di
Coase (1974), nessuna analisi concreta di come i fari fossero stati costruiti e gestiti era stata
29
elaborata. Con riferimento alla Gran Bretagna, egli dimostra come il servizio dei fari sia stato
assicurato dall’iniziativa privata per tutto il XIX secolo.7
Qual è il metodo pratico corrispondente ai principi generali enunciati? In che modo, ad
esempio, il problema dell’esternalità creata dalle api di un apicoltore che impollinano gli alberi
di un agricoltore può essere affrontato? Qual è il modo migliore per massimizzare il surplus
creato dalle due attività? Quello per il quale i due imprenditori negoziano un sistema di
compensazione delle esternalità? Oppure quello che comporta l’integrazione delle due attività?
Oppure è preferibile un intervento amministrativo che fissi il numero di alveari? Oppure,
semplicemente, è preferibile che le due parti si ignorino non considerando l’effetto di un’attività
sull’altra? L’approccio di Coase impone di caratterizzare tutte le possibili soluzioni, che in
questo caso sono: la negoziazione bilaterale, l’integrazione orizzontale e la regolamentazione
amministrativa. Inoltre bisogna definire i costi dell’applicazione delle diverse soluzioni ed
analizzare come questi variano con la dimensione della transazione. Il lavoro di Cheung (1973)
sull’analisi delle relazioni contrattuali tra agricoltori ed apicoltori nello stato di Washington
rappresenta un’applicazione di questa metodologia proposta dall’economia istituzionale della
regolamentazione.
8.4
La nuova economia pubblica
La nuova economia pubblica, chiamata anche nuova economia della regolamentazione (Laffont
e Tirole, 1993) si pone l’obiettivo di caratterizzare i fallimenti della regolamentazione con
l’obiettivo di correggerli. Quest’analisi si basa sulla teoria dei contratti e degli incentivi che
analizza i comportamenti degli agenti in presenza di asimmetria informativa. I principali
fallimenti della regolamentazione che sono analizzati da quest’approccio sono: l’asimmetria
informativa tra regolatore e impresa regolata; l’interesse personale del regolatore; i problemi
di credibilità del regolatore.
7
Si veda tuttavia il lavoro di Bertrand (2006) che evidenzia come l’intervento del potere coercitivo dello
stato sia stato fondamentale per il supporto alla gestione dei fari marittimi, con l’affidamento ai proprietari del
potere di tassare tutte le imbarcazioni che entravano nel porto servito dal faro.
30
8.4.1
l’asimmetria informativa tra regolatore e impresa regolata
L’impresa regolamentata ha generalmente un vantaggio informativo rispetto al regolatore in
quanto detiene delle informazioni che sono necessarie al regolatore, ma che non ha interesse
a comunicare. Ad esempio il regolatore vorrebbe avere informazioni relative ai costi di produzione del servizio idrico gestito da un monopolista, ma l’impresa non ha alcun interesse
a comunicare i propri costi, soprattutto se sono bassi, in quanto al fine di massimizzare il
proprio profitto ha sempre interesse a mentire e sovrastimare i propri costi di produzione al
fine di ottenere tariffe più elevate. allo stesso modo il concessionario autostradale ha interesse
a far sapere che egli si impegna al massimo al fine di ridurre i rischi di incidenti o che si
impegna moltissimo a ridurre i rischi di blocco in caso di neve anche se nei fatti egli ha ridotto
il numero di mezzi spargisale e spazzaneve. Per dare i giusti incentivi a rivelare i veri costi
di produzione o a comunicare l’effettivo impegno a ridurre gli incidenti stradali o i blocchi
in caso di neve il regolamentatore deve quindi definire dei meccanismi contrattuali efficaci.
Diversi meccanismi sono stati proposti dalla teoria economica i cui principi di fondo sono i
seguenti.8 Innanzitutto si tratta di evitare che le comunicazioni tra regolatore ed impresa
regolata siano senza conseguenze, il problema è chiamato cheap talk in letteratura. Poiché
l’impresa sa che il regolatore sa che l’impresa mentirà se in tal modo può aumentare i profitti,
allora l’impresa regolata non darà alcuna informazione al regolatore in quanto quest’ultimo
non ne terrà conto. Al fine di ottenere delle informazioni, il regolatore può definire, prima di
instaurare una relazione contrattuale con l’impresa regolata, una serie di opzioni che dipenderanno dalle comunicazioni effettuate dal monopolista (ad esempio consentire un prezzo e/o
definire un possibile trasferimento a favore dell’impresa che dipendono dal costo di produzione
comunicato dall’impresa. In tal modo la comunicazione effettuata dall’impresa non è più senza
conseguenze. In secondo luogo queste opzioni contrattuali devono essere definite in modo tale
che l’impresa ha sempre un incentivo a dire la verità e che, quando dice la verità, ha interesse
a produrre il bene o servizio di cui è unico fornitore. Quando l’impresa accetta di produrre
diremo che il suo vincolo di partecipazione è rispettato, cosı̀ come diremo che quando l’impresa
ha incentivo a dire la verità è il suo vincolo di incentivo che è rispettato.
8
Si veda ad esempio il testo di Armstrong, Covan e Vickers (1994).
31
8.4.2
L’interesse personale del regolatore
A differenza dell’impostazione classica di Pigou, la nuova economia pubblica non considera
il regolatore come un essere disincarnato e disinteressato, il cui fine ultimo è l’interesse generale. Al contrario, il regolatore è considerato come un qualsiasi altro agente economico ce
persegue i propri interessi di potere e di carriera. Ma, al contrario di altre teorie critiche
delle regolamentazione, l’interesse generale come guida dell’azione pubblica non scompare
dall’analisi. Lo Stato non è considerato come un sol blocco, ma come un’organizzazione gerarchica caratterizzata da relazioni di agenzia in cui il regolatore si trova a un estremo, mentre
all’estremo opposto si trovano i parlamentari e i membri del governo che sono i depositari
ultimi dell’interesse generale. Il regolatore è quindi inquadrato in una relazione simile a quella
che ha lui con l’impresa regolata. Rispetto l’autorità pubblica superiore, il regolatore si trova
in posizione di vantaggio informativo che cercherà di sfruttare a proprio vantaggio, invece di
perseguire gli obiettivi stabiliti dalla legge. L’effetto di ciascuna di queste asimmetrie esistenti
a tutti i livelli della gerarchia istituzionale, ed in particolare tra elettori ed eletti, e tra il
potere legislativo e il potere esecutivo, è quello di allontanare sempre di più il raggiungimento
di un’allocazione ottimale delle risorse.
La definizione della struttura istituzionale è il mezzo privilegiato per riconciliare l’interesse
del regolatore con quello generale. È infatti proprio nella struttura istituzionale che sono che
sono definite le responsabilità decisionali, il budget di spesa a disposizione, le modalità di
controllo e l’estensione del potere discrezionale dei diversi livelli istituzionali. Questi possono
essere gli strumenti per ridurre il comportamento opportunistico del regolatore e di evitare che
egli sia catturato da gruppi di pressione al fine di perseguire i propri interessi personali. Un
esempio di tale strategia istituzionale è rappresentato dal divieto fatto ai regolatori di passare
all’industria che ha regolamentato una volta finito il mandato di regolatore.
8.4.3
Il problema della coerenza intertemporale della regolamentazione
Se si ammette che il regolatore può adottare un comportamento opportunistico nei confronti
dell’autorità a cui è sottoposto, egli può agire allo stesso modo nei confronti delle imprese regolamentate. L’evoluzione delle preferenze dei consumatori, e quindi della domanda, l’andamento
del progresso tecnologico non possono essere previsti con precisione in anticipo. Quindi, il
regolatore, quando prende una decisione, non può prevedere tutte le eventualità e la rego32
lamentazione deve necessariamente prevedere delle revisioni e delle rinegoziazioni successive.
Ad esempio, la definizione delle tariffe per l’accesso alle infrastrutture di telecomunicazioni
può successivamente rivelarsi molto lontana dalla nuova realtà produttiva. Il regolamentatore
potrebbe essere quindi tentato di rivedere le sue decisioni ed abbassare le tariffe prima definite.
Tuttavia questa possibilità può avere l’effetto di ritardare o anche ridurre gli investimenti infrastrutturali che sono generalmente costi fissi irrecuperabili. Questi sono per definizione
investimenti che, una volta realizzati, non possono essere rilocalizzati o ridimensionati. Il
regolatore che si impegna a permettere prezzi che permettono di remunerare l’investimenti irrecuperabile, può, una volta che l’investimento è stato effettuato, ridurre tali prezzi, in modo
che essi coprano solo i costi variabili e non l’investimento. L’impresa non sarà più in grado
di recuperare i costi dell’investimento anche se non lascerà l’industria, visto che il prezzo
permette comunque di ridurre le perdite. Se il regolatore non vuole o non può limitare ex
ante la propria capacità di manovra ex post, l’impresa potrebbe decidere di non investire più.
L’incapacità di prevenire rinegoziazioni nel futuro determinano quindi un livello subottimale
di investimento. Questo caso di fallimento delle regolamentazione è particolarmente difficile
da evitare in quanto hanno a che vedere con la libertà politica di riconsiderare le decisioni
della regolamentazione prese nel passato, possibilmente da altri partiti politici.
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