Immigrazione, complessità, percorsi pedagogici interculturali
Transcript
Immigrazione, complessità, percorsi pedagogici interculturali
1 Agostino Portera Immigrazione, complessità, percorsi pedagogici interculturali L’educazione interculturale come risposta alla complessità1 Il presente contributo costituisce il terzo ed ultimo di una serie, iniziata trattando della situazione reale, bisogni, ostacoli e opportunità insiti alla presenza in classe di alunni stranieri. Dopo avere affrontato i reali problemi, “trappole”, sfide e strategie d’intervento, si cercherà ora di illustrare meglio contenuti, strategie e finalità dell’intervento educativo interculturale. Movendo da una breve cornice epistemologica della pedagogia interculturale, differenziandola dagli altri costrutti teorici, si cercherà specialmente di enucleare i contenuti altamente rivoluzionari di tale modalità d’intervento. Alunni stranieri da ostacolo a risorsa e opportunitá Gli interventi di “pronta accoglienza” realizzati in Italia per rispondere all’arrivo di alunni stranieri (vedi parte II) sono sicuramente comprensibili per gestire le situazioni di emergenza. A fronte però del mutamento del numero di immigrati (vedi parte I), è necessario passare dalla fase “compensatoria” o di gestione dell’emergenza ad una prettamente progettuale, laddove, pur nella consapevolezza di rischi e conflitti, si riesca a considerare la presenza di alunni stranieri in termini di risorsa e di opportunità per tutti. A tal fine, è anzitutto necessario coniugare programmi e obblighi scolastici e strategie didattiche con i reali bisogni fondamentali di tutti i soggetti, così come sono emersi dalla mia precedente ricerca2. In seguito alla comprensione dei bisogni insoddisfatti, per l’insegnante sarà più semplice discernere le lacune o difficoltà di apprendimento degli alunni stranieri, dalle carenze sul piano affettivo o sociale3. L’educazione interculturale come risposta alla sfida della complessità I concetti di educazione e di pedagogia interculturale, sviluppati in Europa (soprattutto Francia e Germania) all’inizio degli anni Ottanta, sono ormai entrati a far parte del linguaggio comune e trovano ampio riscontro nella normativa scolastica italiana. Talvolta però, anche in contesto educativo, persino fra insegnanti e responsabili della politica scolastica, essi sembrano essere divenuti solamente una moda o degli slogan, ricchi di enfasi ma svuotati di contenuti, adoperati in modo improprio o confusi con modalità d’intervento differenti4. Una prima differenziazione epistemologica necessaria concerne i concetti di Multi, meta e tanscultura. Mentre il termine metacultura si riferirebbe ad una “cultura situata al di là della cultura”, una sorta di “supra-cultura” (quindi non solo pedagogicamente improponibile, ma anche erroneo), degno di attenzione potrebbe essere il concetto di transcultura. Esso rimanda a qualcosa che attraversa la cultura e (come nel caso della “cross cultural psychology” o della psichiatria transculturale); in questo Pubblicato in: Agostino Portera, L’educazione interculturale come risposta alla complessità. In Scuola e didattica, Vol 50, Nr.11, 2005, pp. 9-12. 1 Fra i bisogni fondamentali individuati nel corso della mia ricerca vi sono: bisogno di benessere organico e sociale; bisogno di attaccamento e di separazione; bisogno di attenzione emozionale positiva (rispetto, accettazione, affetto, riconoscimento), di comprensione profonda (empatia), e di congruenza (coerenza, fedeltà interiore); bisogno di fiducia; bisogno di limiti e di struttura; bisogno di partecipazione attiva; bisogno di continuità. A. Portera, Tesori sommersi, Emigrazione, identità, bisogni educativi interculturali, Franco Angeli, Milano 20033 (I ed. 1997), pp. 173-178. 3 Per esempio, comprendendo che l’alunno straniero che disturba durante le lezioni, in fondo, richiede (e necessita) soprattutto di maggiore attenzione, accettazione e coinvolgimento, l’insegnante anziché reagire con rabbia o frustrazione potrà individuare delle soluzioni accettabili da tutta la classe. 4 Per maggiori approfondimenti circa sviluppo storico, chiarificazione semantica e strategie didattiche della pedagogia interculturale, Cfr. A. Portera, L’educazione interculturale nella teoria e nella pratica, Padova, Cedam, 2000; A. Portera (a cura di), Pedagogia interculturale in Italia e in Europa, Milano, Vita e pensiero, 2003; A. Portera (a cura di), Pedagogia interculturale nel contesto internazionale, Milano, Guerini, 2006; A. Portera, Globalizzazione e pedagogia interculturale, Trento, Erickson, 2006. 2 2 senso, le strategie educative mirerebbero allo sviluppo di elementi universali, comuni a tutti gli uomini. Ma mediante tale visione si rischia di mettere come umano tutto ciò che si vuole5. Oltre a non riuscire a tenere conto dei movimenti e dei processi di cambiamento in atto nei singoli sistemi culturali, c’è anche il pericolo di non considerare adeguatamente le differenze presenti nella vita culturale concreta e di alimentare una pedagogia “aculturale” o dell’assimilazione del minoritario. La pluricultura rimanda invece al concetto di irripetibilità e non componibilità di ciascuna cultura, nonché al diritto di una propria autonomia. L’intervento educativo, definito del multiculturalismo, parte dalla situazione di fatto, dalla presenza di due o più culture, e mira allo studio di comunanze e differenze. Pur avendo il merito di educare al rispetto, al riconoscimento dei diritti dei cittadini immigrati, tale approccio presenta il limite di considerare le culture in maniera rigida, statica, spesso anche gerarchica e talvolta l’intervento educativo è ridotto in presentazioni esotiche e folcloristiche. Il potenziale rivoluzionario della pedagogia interculturale scaturisce dal fatto che l’alterità, l’emigrazione, la vita in una società complessa e multiculturale non sono più considerate solamente come rischi di disagio o di malattie, ma come delle opportunità di arricchimento e di crescita individuale e collettiva. L’approccio interculturale «si colloca tra universalismo e relativismo, ma supera ambedue in una nuova sintesi»7. Esso tiene conto di punti di forza e limiti sia delle strategie multiculturali sia di quelle transculturali. Laddove la multi e la pluricultura richiamano a fenomeni di tipo descrittivo, riferendosi alla convivenza, più o meno pacifica, gli uni accanto agli altri, tipo “condominio”, di persone provenienti da culture diverse, l’aggiunta del prefisso “inter” presuppone la relazione, l’interazione, lo scambio di due o più elementi. Sono le società ad essere definite come “multiculturali”, nel senso che si rileva la presenza di soggetti portatori di usi, costumi, religioni, modalità di pensiero differenti, mentre la strategia d’intervento educativo è di tipo interculturale, nel senso di mettere in contatto, in interazione, le differenze. La pedagogia interculturale, in tal modo, rifiuta espressamente la staticità e la gerarchizzazione e può essere intesa nel senso di possibilità di dialogo, di confronto paritetico, senza la costrizione per i soggetti coinvolti di dover rinunciare a priori a parti significative della propria identità culturale8. Strategie didattiche di educazione interculturale Concretamente, all’interno dell’aula scolastica, prima di adottare interventi educativi a carattere interculturale, occorre anzitutto applicare alcune strategie indicate da D. Demetrio9: facilitare condizioni idonee perché i minori stranieri trovino l’habitat di accoglienza più adatto; evitare di trasmettere l’immagine del “povero” straniero; proporre argomenti che richiamino al prestigio delle culture “altre”; valorizzare la lingua dei paesi d’origine; invitare a scoprire che le differenze esistono e rappresentano un fattore positivo; aiutare ad individuare stereotipi e pregiudizi (anche in chiave ludica); presentare temi-guida rinvenibili nelle culture più diverse come il viaggio, la peregrinazione, la nostalgia, le radici, lo straniero. In classe, è inoltre indispensabile instaurare un clima impregnato di valori come l’accettazione dell’altro, in quanto portatore della dignità umana comune a tutti; dell’accoglienza, come vera apertura verso l’altro, oltre ogni ripulsa psicologica e comportamentale; della convivenza, cioè disponibilità ad accettare la coesistenza di valori diversi10. Ma ciò che sostanzia maggiormente l’educazione interculturale sono tutte le occasioni in cui, sia mediante unità didattiche ad hoc sia in ogni altra situazione di apprendimento, l’insegnante riesca a promuovere modalità: Cfr. anche C. Nanni, «Pedagogia interculturale: su che basi e in che senso?», in AA.VV. Pedagogia interculturale: problemi e concetti, Brescia, La Scuola, 1992, pp. 219-221. 6 D. Demetrio, Agenda interculturale, Roma, Meltemi, 1977, pp. 39-40. 7 M. Santerini, Cittadini del mondo, Brescia, La Scuola, 1994, p.185. 8 A. Portera, Identità culturale, in Enciclopedia pedagogica, in M LAENG, (a cura di) Enciclopedia pedagogica. Appendice A-Z, Brescia, La Scuola, 2003, pp. 1562-1563. 9 D Demetrio, G. Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale, pp 32-33. 10 L. Secco, Educazione umanistica della pedagogia interculturale: fondamenti teorici e problemi pratici, in L. Secco e A. Portera (a cura di), L’educazione umanistica interculturale nelle agenzie educative, Padova, CEDAM, 1999, pp. 7-8. 5 3 • • • • • di ascolto attivo (nel senso di apertura, accettazione e rispetto, atteggiamento non preconcetto; non interrompere, porre domande di comprensione, saper cogliere anche i segnali non verbali, i bisogni insoddisfatti); di dialogo (in termini non solo di imparare a comunicare il proprio pensiero verbalmente in maniera chiara, concisa e strutturata, ma anche di saper riconoscere e gestire i propri sentimenti, le emozioni e le sensazioni corporee); di incontro (come capacità e possibilità di contatto autentico, sullo stesso piano, da persona a persona nel senso di M. Buber o C. Rogers); di confronto (riuscire a pensare con la propria testa, accettando anche l’autonomia di pensiero dell’altro; una partita dove le regole sono chiare – il rispetto reciproco e il rapporto paritetico – ma la fine è aperta: può essere il pareggio, la vittoria dell’ uno e la sconfitta dell’altro, ma anche la vincita di entrambi); di interazione ( vera “perla pedagogica”: rapporto educativo caratterizzato da attività nell’attività). Se intesa e gestita in tal modo, la presenza in classe di alunni con differenze etniche o culturali, potrebbe rappresentare un’occasione di arricchimento non solo per tutti gli alunni, ma anche per l’insegnante: migliorare curricoli formativi, stili comunicativi, struttura e finalità stesse dei percorsi di insegnamento. Come ricompensa al maggiore impegno, l’insegnante accrescerebbe la propria competenza professionale e umana. Persino l’incertezza diventerebbe una risorsa, stimolando a partire non da soluzioni precostituite, ma da un interrogativo, da un bisogno di cercare percorsi innovativi. Un insegnante pedagogicamente competente e umanamente ricco potrebbe persino assumere il ruolo di mediatore interculturale, non solo nel senso di saper dialogare con l’alunno straniero, ma anche di saper facilitare la relazione fra alunni immigrati e autoctoni in classe, fra scuola e famiglia, persino fra genitori diversi11. In ultima analisi, per attuare appropriati interventi pedagogici interculturali, occorre un lavoro di formazione incentrato su uno schema inverso a quello abituale: per regolare la rappresentazione degli altri, è necessario agire innanzitutto sulla rappresentazione di sè, «la questione che si pone non è più chi è l’altro ma chi sono io stesso in rapporto all’altro»12; ogni problema riguardante l’altro dev’essere raddoppiato con l’interrogativo sul me. La globalizzazione, l’interdipendenza, l’avvento di società pluralistiche e multiculturali sono processi ormai inarrestabili. Dopo il crollo dell’impero sovietico non esiste una sola civiltà (quella occidentale), da propagare sull’intero pianeta e da proteggere dagli attacchi esterni13. Nel mondo post guerra fredda si attesta l’esistenza e la nascita di molte altre civiltà non occidentali, in parte nuove, in parte altrettanto antiche e assiologicamente radicate (come quelle di Asia orientale, Giappone, stati islamici, religione ortodossa, sud America). Perciò la grande sfida del XXI° secolo è (e sarà sempre più) di riuscire a gestire i conflitti di natura religiosa, economica, culturale, sociale e comportamentale che ineludibilmente scaturiscono dal contatto e dalla convivenza -talvolta forzata- fra persone differenti (vedi, per esempio, Irak, Israele e Palestina). Per svolgere bene il proprio compito educativo (oltre che istruttivo), l’insegnante non potrà non prepararsi adeguatamente alla presenza di bambini e giovani immigrati. Prendersi cura di loro, riuscire a coglierne i rischi e le opportunità, non vuol dire solamente aiutare alcuni soggetti “bisognosi” ad inserirsi meglio, ma acquisire competenze ed abilità indispensabili per la propria vita privata e professionale: «l’altro mi guarda e mi riguarda» (E. Levinas). Rispetto alle strategie educative interculturali in famiglia, cfr. A. Portera, Educazione interculturale in famiglia, La Scuola, Brescia, 2004. 12 A. Perotti, Migration et société pluriculturelle en Europe, Paris, L’Harmattan 1996, p. 150. 13 S.P. Huntington, Lo scontro delle civiltà, Milano, Garzanti, 2000, p.17. 11