C come Magazine n. 22

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C come Magazine n. 22
ANNO 3 - NUMERO 22 - Dicembre 2011/Gennaio 2012
22 FREEPRESS di ENOGASTRONOMIA ABRUZZESE
22
C COME SPECIALE VERDE
L’Abruzzo che mangia vegetariano
C COME EMANUELA TOMMOLINI
Cucina naturale a Colonnella
C COME NATALE
I dolci tradizionali e il Galateo
Approved
Event
NQ U
E
DA
CI
R
O
TI
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U
B
P
O
TC
NTINE
N
>> Editore
Modiv s.n.c.
www.modiv.it - [email protected] - www.ccomemagazine.it
>> Direttore responsabile
Cristina Mosca (non fumatrice)
se volete dirle qualcosa fatelo a: [email protected]
>> Area marketing e commerciale
Daniele Di Vittorio (ex fumatore)
[email protected] - 388.7960830
>> Editore: Modiv s.n.c.
Viale Matrino 36, 65013 Marina di Città Sant’Angelo (Pe)
Tel/fax 085.959746 - cell. 388.7960830
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>> Ufficio fotografico
Ufficio fotografico: Modiv. Hanno collaborato a questo
numero: Mario Sabatini, Marco Di Edoardo, Antonella D’Orazio, Piergiorgio Greco, Nadia Miriello e Mario
Torreggianti
>> Stampa
AGP Arti Grafiche Picene - Maltignano (Ap)
Per questo numero di C come magazine hanno ricercato,
approfondito, provveduto, faticato, inseguito, perseguito,
amato insieme a noi Roberto Ardizzi, Marco Di Edoardo,
Maura Di Marco, Antonella D’Orazio, Massimo Giuliano,
Eleonora Mancinelli, Ludovica Persichitti, Alberto Presutti, e i cuochi Teresa e Carmine Cercone, Lucio D’Angelo,
Emanuela Tommolini, Lorenzo Pace
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31/03/2008
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Degustazione di prodotti tipici ed eventi
600
1200
MQ. DI MERCATO PRODOTTI TIPICI D’ABRUZZO
C COME SOMMARIO
05 >> C come Sommario
07 >> C come Editoriale
08 >> C come Fotoeventi
17 >> C come Informazione
18 >> C come Vi consigliamo
22 >> C come Food design
62 >> C come Ricette
64 >> C come News
C come SPECIALE ARIA
28 >> C come Stili Alimentari
34 >> C come Vegetarianismo
38 >> C come Emanuela Tommolini
C come ABRUZZO
24 >> C come Persone
52 >> C come Tipico
C come NATALE
42 >> C come Galateo
46 >> C come Tradizione
Foto copertina: Mario Sabatini
Cosa c’è nel numero Ventidue
C come RUBRICHE
magazine 5
C COME EDITORIALE
di Cristina Mosca, direttore responsabile C come magazine
C COME NON C’È LIMITE AL MEGLIO
La squadra che si è creata intorno a C come magazine è
proprio forte. Mai come in questo numero abbiamo avuto
prova così lampante dell’entusiasmo, della fiducia e della
dedizione che i nostri collaboratori, siano occasionali o siano
consolidati, traspirano da tutti i pori quando parlano con C,
di C, su C. È un’energia positiva che ricade come una fontana luminosa sul prodotto finale e irradia voglia di condividere
anche su chi lo legge, seduto in poltrona.
È una forza di cui non vorremmo mai fare a meno e da cui
C come magazine è stata sostenuta, puntellata, abbracciata soprattutto in questo numero, che ha faticosamente arrancato tra le mille altre “chiusure” e pareggi di conti di fine
anno. Nostri prodi, sotto i colpi del tempo tiranno abbiamo
avuto uno calo di pressione e voi ci avete sorretto sotto le
braccia. Lo avete fatto con tutto il corpo, dando il meglio
di voi, approfondendo ricerche, incontrando persone, dedicando tantissimo tempo e cura a quello che avete scritto, e
soprattutto amandolo. Ogni tanto ci chiediamo se davvero
vi meritiamo.
Che il 2012 sia un anno redditizio, per noi che facciamo da
testa d’ariete al progetto, per voi che ci mettete il cuore, e
per voi altri che ci leggete e che ci mettete il gusto, la fatica, la curiosità. Facciamo tutti parte di una grande, fortunata
squadra, che vuole solo fare meglio.
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C COME FOTOEVENTI
di Maura Di Marco - Foto: Modiv
Esperimenti in alta quota
Feudo Antico avvia la sperimentazione nel vigneto di
montagna più alto d’Abruzzo: situato a 800 metri di
altitudine a Castel di Sangro, è parte del progetto di Niko
Romito “Casadonna” e include la messa a dimora di uve
autoctone come il Pecorino, così come di uve innovative
per le nostre montagne, come Pinot nero, Riesling renano,
Sylvaner verde, Traminer e Veltliner. Lo studio condotto
da Feudo Antico su questi vigneti, esposti a Ovest su
una pendenza del 15%, su un terreno franco-argilloso, è
stato condotto dal team del professore Attilio Scienza
dell’Università di Milano. «La vera scommessa – ha
spiegato alla presentazione ufficiale del 22 novembre
Andrea Di Fabio, di Feudo Antico – è rappresentata dal
Pecorino: trattandosi di una varietà autoctona, la buona
riuscita del progetto rappresenterà un opportunità di
non poco rilievo per tutto l’Abruzzo».
Legumi Party
Ceci, fagioli, piselli, lenticchie, fave, farro, lupini e cicerchie:
i piatti poveri della cucina mediterranea ma tanto ricchi di
proprietà nutrizionali sono stati i gustosi protagonisti della
terza edizione del Legumi Party, organizzata al porto turistico
Marina di Pescara all’inizio di novembre. Le ricette della cucina
locale sono state rese ancora più appetitose dagli abbinamenti
di Santino Strizzi. Il tutto accompagnato da oli extravergini
d’oliva, vini, manufatti artigianali ed esibizioni folcloristiche, in
sintonia con l’impegno degli esperti dei Parchi abruzzesi che
stanno attuando una significativa rivalutazione della biodiversità
regionale anche per quanto riguarda la produzione dei legumi. La
rassegna è stata promossa dall’Agenzia Master 5 e dal format
televisivo Agricoltura Oggi, con i patrocini dell’assessorato
regionale all’Agricoltura, dell’ARSSA e della Camera di Commercio
di Pescara. (da www.agricolturaoggi.it)
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Bacco,
Venere
Trabocco
&
È andato bene il debutto
lancianese di ‘Bacco Trabocco
& Venere’, rassegna tematica
di
enogastronomia
sbarcata
nel
capoluogo
frentano
in
occasione
della
sua
quarta edizione. Quest’anno,
all’auditorium Diocleziano, sono
stati protagonisti i bocconotti
di Castel Frentano e i torroni di
Atessa; in passato era toccato
alla patata turchesa, al peperone
dolce di Altino e alla pizza
fritta. Oltre alle tradizionali
degustazioni (sugli scudi le
mitiche “sise delle monache”
di Guardiagrele), hanno tenuto
banco convegni, balli e momenti di
musica folkloristica abruzzese.
Per non farsi mancare proprio
nulla, ‘Bacco Trabocco &
Venere’ ha proposto anche un
raduno di auto d’epoca, che
hanno
percorso
l’itinerario
della Costa dei trabocchi, una
sfilata di bellezza e una mostra
fotografica dedicata al mare.
(Massimo Giuliano)
Il Gran Premio della pizza
A giudicare i partecipanti al Gran Premio della Pizza organizzato da bar.it
in collaborazione con www.compagniadellapizza.it e la Squadra Italiana
Pizzaioli Professionisti nell’ambito della fiera Abruzzo-Marche “Tech
& Food” a Centobuchi di Monteprandone (AP) siamo stati invitati anche
noi di C come magazine: a rappresentarci degnamente nella giuria Gusto e
Cottura c’era il nostro amico Mario Torreggianti, insieme a panificatori,
chef e pizzaioli. La categoria della pizza classica è stata vinta da
Emanuele Piancatelli di Macerata, ma al secondo posto si è classificato
il lancianese Nicola Salvatore, dell’associazione Pizz’Abruzzo doc.
Ad un abruzzese è andato anche il premio per la miglior conoscenza
tecnica: si tratta di Alberto Aceto, il pizzaiolo del Granchio Royal
(Lido delle Sirene) di Pescara. Durante il Gran Premio Della Pizza i
pizzaioli giuliesi della squadra italiana pizzaioli professionisti Valerio
Valle e Biagio Saccomandi , che hanno partecipato all’ evento come
giuria d’onore, hanno presentato fuori concorso la “Pizza liquida”, o
“Pizza al bicchiere”. (Foto: Mario Torreggianti)
I vincitori di Abruzzo Wine 2011
Una sesta edizione partecipata, quella di Abruzzo Wine 2011: la cerimonia di premiazione del concorso
organizzato dall’Ais di Pescara si è svolta nella sala consiliare del Comune di Pescara lo scorso
novembre. Ecco i vincitori, votati dai soci Ais con quasi duemila schede: per la categoria vino bianco
il Pecorino Costantini, per il Cerasuolo 2010 di Francesco Paolo Valentini, per il rosso giovane il
Montepulciano Tiberio, per il rosso maturo il “Bellovedere” Montepulciano 2006 “La Valentina”. Il
miglior vino da dessert è risultato il muffato Sauvignon “San Lorenzo”, il miglior vino spumante
quello dell’azienda “Dora Sarchese”. È stata giudicata l’etichetta più bella quella del vino “Pan”
di Cantina Bosco, mentre la migliore campagna pubblicitaria quella ideata dall’agenzia pubblicitaria
Dispenser per la Cantina Zaccagnini. Come azienda dell’anno è stata scelta la Cantina Masciarelli,
mentre l’enologo dell’anno è stato Gianni Pasquale. I migliori rapporti qualità-prezzo sono stati
riscontrati per la cococciola “Brilla” dell’azienda “Marchesi de’ Cordano”, il “Capestrano” Cerasuolo
d’Abruzzo di Pasetti e il Montepulciano d’Abruzzo “Lepore”. Siamo stati premiati anche noi di C
come magazine per la categoria giornalisti dell’anno, insieme a Paolo Castignani di Rete8, mentre come
miglior blog è stato indicato “Scatti di gusto”, nei suoi rappresentanti Vincenzo Pagano e Alessandro
Bocchetti. Il miglior vino biologico è stato il Montepulciano di Emidio Pepe e la Cantina Emergente
è la “Mastrangelo - Tenimenti del Grifone” (Vasto). La migliore enoteca? “La bottega del vino” di
Pescara, il miglior sommelier nel ristorante Paride D’Angelo e al Cultivar Itrana dell’azienda agricola
Baldassarre di Rosciano è andato il premio per il miglior olio. Ospiti speciali della manifestazione i
premiati fuori regione: il migliore vino (Tenuta San Leonardo Avio – Alto Adige), la migliore Cantina
(azienda vinicola “La Stoppa” di Piacenza - Emilia Romagna) e il miglior cinque grappoli Duemilavini 2012
(Pollenza Conte Aldo Maria Brachetti-Peretti, Tolentino Marche). Jonathan Nossiter è intervenuto
per ritirare il premio per il miglior libro, “Le vie del vino”.
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Le cene da Les Paillotes
Continuano gli appuntamenti al Cafè Les Paillotes di Pescara,
in cui chef rinomati si affiancano alla cucina del “resident
chef” Antonio Strammiello innescando confronti interessanti.
Dalla cena Chic per l’Unità d’Italia (Luca Collami, Alberto
Faccani, Roy Caceres e Antonio Strammiello) si è passati al
confronto con i piatti dell’entroterra di Peppino Tinari e con
un menu a base di pesce di fiume proposto da Sandro Serva
di Rivodutri di Rieti, che insieme al fratello Maurizio gestisce
il ristorante stellato “La trota”. Il 2011 si è concluso con
un ritorno a grande richiesta: sua maestà la pizza, con Luigi
Dell’Amura, pronipote dell’inventore della pizza al metro di
Vico Equense.
Una festa per la prima stella
La gioia di vedere ufficializzata una
stella che gli era stata annunciata
da almeno tre anni, Marcello Spadone
l’ha voluta condividere con un piccolo
gruppo di amici, clienti e colleghi. Su
“La Bandiera” di Civitella Casanova,
infatti, quest’anno è caduta la sua
prima stella Michelin: un ulteriore
stimolo a crescere in qualità e
precisione, con un profondo rispetto
per le materie prime e una formazione
continua. Uno stimolo che si aggiunge
a quello, che in realtà non è mai
venuto meno, dai suoi figli Alessio
e Mattia e da sua moglie Bruna sia
in sala sia in cucina. Nell’ambito
della serata non potevano mancare gli
arrosticini di Civitella Casanova.
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A Roma
d’Abruzzo
“Sapori
e
profumi
Lo scorso 13 dicembre l’associazione Qualità
Abruzzo ha organizzato a Roma un percorso
culinario per giornalisti e rappresentanti
dell’enogastronomia e del turismo nazionali.
“Sapori e profumi d’Abruzzo”, realizzato in
collaborazione con l’assessorato regionale
al Turismo, si è svolto presso il ristorante
“Convoglia” all’interno della stazione Termini
ed ha visto l’associazione dei tredici
ristoratori e dei tre pasticceri di tutte e
quattro le province abruzzesi rappresentata
quasi al completo. Lavoro di squadra e
sinergia sono state le due parole d’ordine
della serata, in cui sono stati presentati sia
in veste tradizionale sia in veste più giocosa
alcuni dei prodotti principali abruzzesi,
tra cui fagioli bianchi tondino del Tavo,
panocchie di retina, chioccioline di mare
e seppie dell’Adriatico, ventricina dell’alto
vastese, canestrato di Castel Del Monte,
patate del Fucino, zafferano dell’Aquila e
agnello dei parchi. A tavola sono stati serviti
i Fusilloro Verrigni e l’olio “Opera mastra”
di Peppe Ursini. www.qualitaabruzzo.it
Igles
Corelli
Giulianova
a
È
stato
un
percorso
accattivante
e
insolito,
accompagnato da tutti i
sapori del bosco, quello che
gli amici dell’associazione
enogastronomica
Chaine
des Rotisseurs - Bailliage
“Abruzzo Nord” ci hanno
proposto in uno dei loro
incontri
conviviali.
Lo
scorso
novembre
nella
cucina dell’hotel Cristallo
di Giulianova c’era Igles
Corelli, 2 stelle Michelin
e tre cappelli per la guida
L’Espresso. A tavola: oca,
colombaccio, Fischione e
Germano reale, accompagnati
da
Barbera
e
Nebbiolo
d’Alba, e da un Barolo 2007
dell’azienda Renato Ratti.
La presenza della Chaîne in
Italia risale al 1960, ma già
nel 1954 alcuni italiani avevano
ricevuto l’investitura a Rouen
nel corso di uno Chapitre di
Francia.
La guida Duemilavini del 2012
Sono quindici i vini abruzzesi ad aver
meritato i “Cinque Grappoli” secondo la
tredicesima edizione della guida Duemilavini
2012 dell’Ais: il Cerasuolo d’Abruzzo 2010
di Valentini, l’Edizione 11 Cinque autoctoni
2009 di Farnese, lo Jarno Rosso 2007
di Castorani, il Montepulciano d’Abruzzo
2008 di Emidio Pepe, il Montepulciano
d’Abruzzo Binomio 2007 de La Valentina,
il Montepulciano d’Abruzzo Cocciapazza
2008 di Torre de’ Beati. Quattro
Montepulciano Colline teramane: l’Adrano
2008 di Villa Medoro, il Celibe Riserva
2007 di Strappelli, il Neromoro Riserva
2007 di Nicodemi e il Pieluni Riserva
2007 di Dino Illuminati. Si chiude con
altri Montepulciano: il Nerodichiara 2007
di Contado Veniglio, il San Calisto 2008 di
Valle Reale, il Tonì 2008 di Cataldi Madonna,
il Villa Gemma 2007 di Masciarelli e lo
Zeus 2008 di Gentile. Avendo preso i
Cinque Grappoli per 27 volte, l’azienda
Masciarelli si rivela essere la migliore
abruzzese con due “tastevin” (un tastevin
è assegnato ogni dieci Cinque Grappoli),
seguita da Valentini (16 Cinque grappoli),
Dino Illuminati (11) e Farnese (10).
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I nostri più affezionati clienti.
La prima azienda mangimistica italiana con sistemi certificati
di gestione per la qualità e per l’ambiente.
Dal 1981 la SAGeM produce e fornisce mangime di prima qualità
per i propri clienti, senza trascurare le necessarie garanzie per i
nostri produttori. Il ciclo di produzione, denominato Natura Ciclo
Completo, avviene con un controllo attento e costante delle fasi
di semina e raccolto. Qualità e rispetto
processi di
etto dei naturali p
nutrimento sono i principi che guidano
lavoro.
no il nostro lavo
oro. L
L’accurata
selezione delle materie prime rende il
nostro mangime di qualità superiore.
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C COME INFORMAZIONE
di Roberto Ardizzi, consulente SGQ
L’UNIONE FA LA FORZA
Perché esistono i poli d’innovazione
La saggezza popolare riporta molti detti e proverbi, ma mai
come in questo periodo uno in particolare è di stringente
attualità: “L’unione fa la forza”.
Crisi economiche di lungo corso, eventi casuali e non
programmabili, mercati in fase deflattiva o – al contrario – aree
in decisa crescita, hanno portato alla necessità per le PMI del
nostro tessuto imprenditoriale a “fare gruppo”. In sostanza
è l’applicazione pratica del concetto di “sinergia”: la
sommatoria finale è maggiore della somma delle singole
parti. Ecco quindi che la Regione Abruzzo, direttamente e
attraverso i suoi bracci operativi (quali ad esempio “Abruzzo
Sviluppo”, società in-house della Regione), ha favorito la
nascita di 8 cosiddetti Poli d’innovazione: Servizi avanzati,
Automotive, Elettronica-Ict, Edilizia, Agroalimentare, Tessileabbigliamento, Turismo ed Economia sociale e civile.
Tali poli sono riconosciuti come “raggruppamenti d’imprese
indipendenti, start-up innovatrici, piccole, medie e grandi
imprese nonché organismi di ricerca attivi in un particolare
settore o ambito territoriale e destinati a stimolare l’attività
innovativa incoraggiando l’interazione intensiva, l’uso in
comune di installazioni e lo scambio di conoscenze ed
esperienze nonché, contribuendo in maniera effettiva al
trasferimento di tecnologie, alla messa in rete e alla diffusione
delle informazioni tra le imprese che costituiscono il Polo”.
La strategia che deve muovere verso questa scelta
si evidenzia in diverse attività: avere dei gruppi di
“organizzazioni” endogene che conoscono esigenze, punti
di forza e di criticità del territorio di riferimento e dell’ambito
“merceologico” di appartenenza; permettere una gestione
delle progettualità con “think tanks” (letteralmente, “serbatoi
di pensiero”) professionali ed agili; coinvolgere realtà
che – diversamente – avrebbero fatto esclusivamente da
spettatrici, come ci insegnano tante esperienze passate;
favorire l’accesso al credito e alla finanzia agevolata.
Quest’ultimo punto (croce e delizia d’ogni imprenditore)
è in realtà il target focus dell’iniziativa, dal momento che
è intenzione di permettere l’accesso all’Euro Finanza
esclusivamente da parte dei Poli stessi.
È superfluo ed inutile ricordare che la Regione Abruzzo è una
delle “meno attente” alla gestione e progettualità dei Fondi
Europei: si stima che – negli anni passati – una quota pari a
circa l’87% dei fondi disponibili non sia stata utilizzata nel
nostro territorio e, di conseguenza, reindirizzata ad altre aree.
Tuttavia la speranza legata all’attività dei Poli d’innovazione
è alta, anche in funzione dell’interesse da questi suscitato:
infatti già più di 700 imprese hanno deciso di aderire a questa
forma aggregativa.
Un ulteriore spinta deve venire dal fatto che siamo in
imminenza di chiusura del settennato dell’asse 2007-2013:
far trovare all’Europa una Regione Abruzzo strutturata e
dinamica da questo punto di vista potrebbe rappresentare
nuova benzina per far ripartire il nostro motore, e riprendere
la strada mai dimenticata del “Modello Adriatico di Sviluppo”.
Buon lavoro e…. tutti per uno!!
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C COME VI CONSIGLIAMO
Comunicazione istituzionale
Fattoria La Valentina
Via della Torretta 52
65010 Spoltore (PE)
Tel. e Fax + 39 085 4478158
www.lavalentina.it
ROSSO COME LA POTENZA
Così La Valentina produce il suo Montepulciano
Nel nostro viaggio sensoriale tra i vigneti de La Valentina,
dopo aver seguito gli uomini nella vendemmia delle uve a
bacca bianca a settembre siamo stati attirati dai profumi e dai
colori della vendemmia del Montepulciano. Abbiamo subito
constatato che le operazioni di vendemmia manuale e poi
di raccolta, diraspamento e pigiatura dell’uva a bacca rossa
viene messa la stessa cura dedicata alle sorelle bianche e
più delicate che abbiamo accompagnato questo autunno:
Pecorino, Trebbiano e Fiano.
A differenza di queste ultime, per il Montepulciano il percorso
è più lungo: i primi grappoli, destinati alla produzione del
Cerasuolo linea classica, vengono raccolti in una prima fase,
che quest’anno è caduta intorno al 10 settembre, mentre per
la linea classica del Montepulciano si attende ancora qualche
giorno, quando il colore dei tralci incomincia ad essere più
marroncino. A determinare il tempo di raccolta è, come per
le uve bianche, prima l’esperienza e poi lo stato delle analisi
dei grappoli presi a campione: l’obiettivo è raccogliere al
miglior punto di maturazione possibile.
Dal filare o dal tendone in cui è maturata fino all’azienda di
Spoltore, l’uva ha spesso un po’ di strada da fare dal territorio
che spesso la ospita da oltre trent’anni: accade ad esempio
a quella destinata allo “Spelt Montepulciano”, coltivata su
una superficie scelta di 20 ettari tra Spoltore, San Valentino
e Scafa, o a quella per il “Binomio”, un Montepulciano non
filtrato coltivato su 4 ettari nel Comune di San Valentino,
e nato dalla collaborazione tra la Fattoria La Valentina e
Stefano Inama. I profumi dell’uva destinata allo “Spelt
Montepulciano” saranno valorizzati poi dall’affinamento del
vino, in parte in botti di rovere da 25 hl e in parte in barrique
nuove e di secondo passaggio, con una fermentazione
malolattica spontanea ed affinamento per circa 18 mesi.
«Per il blending finale provvediamo ad un’accurata cernita,
botte per botte – assicura Sabatino Di Properzio, uno dei
tre titolari dell’azienda – e seguiamo ogni passaggio con
attenzione, fino al finale periodo di sosta in botti di rovere da
25 hl, prima di arrivare all’imbottigliamento almeno un anno
prima della commercializzazione». Il risultato è un vino che si
presenta con bell’abito rosso rubino molto carico, di grande
consistenza, che si apre con sentori speziati e mediterranei
e lascia percepire un piacevole tono minerale roccioso e una
nota di cioccolato che fa presagire una grande evoluzione.
Lo si può accostare ad un agnello delle montagne abruzzesi
al forno con erbe aromatiche oppure ad una polenta con
funghi porcini e foglie di basilico.
Le uve del cru “Bellovedere”, il più volte premiato
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Montepulciano Riserva che esprime tutta la raffinatezza
e la rotondità de La Valentina, vengono invece lasciate
a completare la maturazione anche una settimana in più
rispetto alle altre del vigneto di Spoltore, e poi trasportate
in azienda in cassetta. «Il “Bellovedere” è come lo si vede in
etichetta – spiega Sabatino Di Properzio – ha l’essenzialità
e la forza dell’ambiente pedemontano ingentilito dalle
brezze del mar Adriatico: ritrae il profilo del Gran Sasso
perché cresce esposto a Sud/Sud-Ovest, “guardandolo”.
Il mosto macera per circa 30 giorni in tini tronco conici
aperti, di rovere di Slavonia, e viene affinato per 18 mesi
in parte in barrique nuove, in parte in altri tini di rovere
di Slavonia, ed una piccola quota in tini di cemento. Il
travaso e l’imbottigliamento avvengono senza filtrazione
un anno prima della commercializzazione». Durante questi
passaggi, in cui sia manualmente sia meccanicamente
vengono “somministrati” rimontaggi e follature con la stessa
amorevolezza e costanza di quando ci si occupa di un
bambino piccolo, l’aria è allegra, vinosa e profumata.
«Mentre lo “Spelt” è un vino da invecchiamento, corposo,
destinato all’affinamento – spiega Michele Reale, l’enologo
che dall’interno dell’azienda completa la consulenza
dell’enologo toscano Luca D’Attoma – nel “Bellovedere”
constatiamo la potenza di questa Doc Riserva sottozona
“Terre dei Vestini”: la carica di tannini morbidi e vellutati
rimane alta anche per 10 anni». Si tratta di una qualità
selezionata di uva che proviene dalle rese bassissime anche
rispetto ai limiti di legge: tra i 50 e gli 80 quintali per ettaro
nel caso del “Bellovedere”, quando per legge si può arrivare
magazine 20
fino a 100, e solo 40/50 quintali ad ettaro per il “Binomio”,
che invece potrebbe toccare i 140. «“Binomio” viene da
un Montepulciano clone Casauria, anche detto Africa, che
prende il suo nome dalla forma del grappolo – continua
Michele Reale – è un vino che raggiunge a volte i 15 gradi
alcolici, potente, che riceve molto sole dall’allevamento a
tendone molto aperto e dall’operazione di diradamento che
effettuiamo durante l’invaiatura e in cui togliamo almeno la
metà dei grappoli, per favorire la maturazione di quelli che
restano».
Il risultato è un vino che al naso è molto intenso e fa pensare
a fragoline di bosco, mora, altri frutti rossi selvatici e spezie, e
che al palato si presenta potente, di spessore con un tannino
maturo e importante ma in grande equilibrio generale.
Chiude senza spigoli, fresco e con notevole persistenza
aromatica, rendendosi adatto ad un accostamento con una
pecora alla callara, carni da forno ed alla brace e formaggi
molto stagionati. La sua lavorazione è unica in azienda:
la macerazione e la fermentazione avvengono in tini inox
verticali, mentre l’affinamento dura anche 18 mesi e avviene
in barrique nuove e di secondo passaggio.
Il segreto è non avere mai fretta: a La Valentina è il tempo
delle cose a comandare. Ecco che il ciclo di un “Binomio”
o di un “Bellovedere” dura almeno tre-quattro anni dalla
vendemmia: il “Binomio 2008” ed il Bellovedere 2007
stanno completando in questo momento l’affinamento in
bottiglia, mentre lo “Spelt Montepulciano 2007” è da poco in
commercio nella sua nuova veste: per la prima volta, per un
vino de La Valentina viene usata una borgognotta.
spelt
TIPO: rosso
VARIETÀ: Montepulciano
Caratteristiche dei vigneti
Comune: Spoltore, San Valentino, Scafa e paesi limitrofi
Superficie: scelta su 20 ettari
Altitudine: da circa 150 m fino a 400 m slm
Esposizione: prevalentemente Sud/Sud-Ovest
Natura del suolo: argilloso di medio impasto
Sistema di allevamento: tendone e filare
Densità: 1600-2000 piante / ettaro
Eta’ dei vigneti: da 27 anni
Rendimento dei vigneti: 50 hl / ettaro
Vendemmia: manuale
L’abbinamento
Capretto cacio e uova
di Teresa e Carmine Cercone, Taverna de Li Caldora Pacentro (Aq)
Ingredienti per 4 persone. 1 Kg di capretto tagliato a pezzi
grossolani, 1 rametti di rosmarino, 4 spicchi d’aglio rosso
schiacciati, ½ peperoncino, 1 dl di vino bianco Trebbiano
“La Valentina”, 1 dl di acqua, olio extravergine di oliva, sale
q.b., 2 uova intere, 50 gr di pecorino stagionato.
Soffriggere leggermente il capretto con gli odori,
aggiungere vino ed acqua e far evaporare. Salare.
Preparare un battuto con le uova ed il formaggio. A cottura
del capretto ultimata, togliere dal fuoco, aggiungere il
battuto di uova ed amalgamare il tutto sempre lontano dal
fuoco. Servire, possibilmente con peperoni arrosto.
magazine 21
magazine 22
C COME FOOD DESIGN
testo e foto di Ludovica Persichitti - [email protected]
VOI COME LO FATE… IL PACCO?
Confezioni originali per i doni fai-da-te
Lucine intermittenti, vetri appannati, aria frizzantina... Il Natale
è alle porte e che lo si voglia o meno è pronto a palesarsi un
pensiero fatto di carta da pacchi e riccioli colorati: i regali!
Un dono è tanto apprezzato quanto più lascia trasparire la
cura e l’attenzione impiegate nella sua ricerca: per questo,
per il calore e l’aspettativa emozionante che trasmettono,
molto spesso si regalano dolci o gustosi prodotti alimentari
andando a ripescare le tipicità della tradizione, nelle diverse
e originali proposte che il nostro ricco territorio offre. C’è
anche chi, amante della cucina o appassionato, si cimenta
personalmente nella produzione e realizzazione di genuini
dolcetti, panettoni, conserve o profumate marmellate,
magari adoperando i frutti del proprio orto.
Ma siccome anche l’occhio vuole la sua parte, è appropriato
che ogni dolce regalo abbia una confezione (packaging) che
ne rispetti il contenuto, sia dal punto di vista funzionale e
quindi che conservi intatto il prodotto e lo renda maneggevole,
sia da quello estetico, rispettandone genuinità e fantasia.
Allora perché non cimentarsi nella realizzazione di packaging
originali e personalizzati?
Quello che occorre sono colla, forbici e cartoncini rigidi,
meglio se riciclati, oltre a tutto ciò di inutilizzato che i cassetti
offrono: avanzi di carta da regalo, spago e pezze di stoffe.
Prima di tutto è bene valutare il contenuto del pacchetto:
la quantità, il peso e il tipo di alimento. Per esempio, se per
il nostro amico amante del cioccolato abbiamo pensato a
dolciumi completamente glassati, è bene che siano avvolti
con della carta velina prima di richiuderli nella confezione...
Non sarebbe piacevole aprire la scatola e scoprirne l’ interno
imbrattato di crema, zucchero a velo o cioccolato!
Vogliamo regalare un tris di marmellate o miele vari? Il
packaging più adatto non ha tagli né incollaggio sul fondo,
bensì un foglio unico piegato, i quali lati sono bloccati in alto
nelle asole. Magari ritagliamo anche due mezzelune, così da
creare una comoda maniglia per la presa.
Valutiamo bene anche le dimensioni e le quantità di quello
che vogliamo regalare; sarà più bello aprire una confezione
e trovarne l’interno ordinato e giustamente pieno. Evitiamo
pacchetti straripanti o scatole sproporzionatamente grandi
in cui il contenuto si possa spostare continuamente da
un lato all’altro nel trasporto. Alcuni semplici schemi per
realizzare originali packaging come quelli creati da me e
che vi mostriamo in foto e in video anche sul sito di C come
magazine (www.ccomemagazine.it)
magazine 23
magazine 24
C COME PERSONE
Foto e testo di Antonella D’Orazio
GIOVANNI SPAVENTA,
DECANO DEI CUOCHI ABRUZZESI
Da Villa Santa Maria all’hotel Cipriani di Venezia
Spesso i grandi chef diventano personaggi di un romanzo,
con le loro vite inaspettate, un avvicendarsi di esperienze
collezionate in diversi luoghi del mondo. Che siano animi
poetici o sanguigni, caratteri docili o scontrosi, per tutti
l’obiettivo è uno solo: dai mercati ai fornelli, trasformare il
cibo in piaceri della tavola.
Ho conosciuto Giovanni Spaventa tramite uno dei suoi
tanti allievi, Giuseppe Finamore, oggi chef alla Camera dei
Deputati. Mi ha raccontato
la sua carriera mostrandomi
tantissimi documenti e
fotografie che tirava fuori
da semplici scatole. Li
ho trovati incantevoli: un
susseguirsi di parole e
colori, di scritti e immagini
che raccontano la vita di un
uomo, di uno chef.
Un’illustrazione in particolare è ammirabile. Un menù
personalizzato, realizzato dalla pittrice Liselotte Höhs: la cena
in onore dell’Accademia Internazionale della Gastronomia.
Come non perdersi nella fantasia di emozioni che si
mescolano fra loro fino a fondersi? I coloratissimi disegni
“
descrivono le ricette e li immagino come una liaison con la
gente. Giovanni racconta che aveva ed ha tuttora un credo:
raggiungere l’armonia tra prodotti “giusti”, cotti e conditi
al punto “giusto”. Si conservano solo così i sapori originali
di ciascun ingrediente e quindi se ne rispettano i gusti. Un
elogio alla semplicità. Nel lavoro ha sempre amato il rigore,
la disciplina. «Non bisogna sbagliare mai e, soprattutto in
cucina, bisogna dimenticarsi l’orologio». Affascina, nella
sua semplicità, quando
racconta che una sera
ha
aspettato
fino
a
mezzanotte tra i fornelli per
servire il branzino bollito
al Presidente Carter. È
stato secondo e poi primo
chef nelle cucine dell’hotel
Cipriani a Venezia, dove
lo ha chiamato un altro chef di Villa Santa Maria, Angelo
Maiocco, e dove ha lavorato, con diverse mansioni, per 24
anni. La sua carriera, come tanti villesi, l’ha iniziata a Napoli,
ed in particolare alla NATO di Bagnoli come lavapiatti. Ha
seguito le orme di suo padre Nicola Spaventa, chef presso
nobili famiglie francesi di cui conserva ancora i menù
La sua cucina: un elogio
alla semplicita
”
magazine 25
delle ricette che aveva inventato. Un articolo del critico
gastronomico Guagnini a lui dedicato descrive perfettamente
la sua passione, il suo lavoro: “Lo Chef Giovanni Spaventa
non ha paura di nessuno”. Mentre continuiamo a spulciare
tra questi meravigliosi ricordi spunta il testo di Mario Borrini,
“Cucina pratica professionale”: una guida a cui lui si è
affidato perché rispecchia molto il suo modo di intendere
la cucina. Per mangiare bene bisogna trovare prodotti di
qualità e cucinarli rispettandone il sapore. Il non badare
alle apparenze, forse insegnamento di Giuseppe Cipriani,
è sicuramente abitudine della sua quotidianità, prestando
sempre attenzione alla sostanza e parlando di cucina al
sapore. Ama più il salato che il dolce, non ama le cucine
bizzarre o estreme. Tra gli ingredienti essenziali che predilige
e di cui non può fare a meno c’è il burro. Tra le spezie ci sono
il coriandolo, finocchio selvatico, timo e maggiorana. Nelle
sue cucine di abruzzese ha portato soprattutto la precisione,
la puntualità e la laboriosità che caratterizzano la gente della
nostra terra “forte e gentile”. Ma anche le verdure e il modo
di cuocerle, lasciandole croccanti in modo da conservare
tutti i loro valori nutrizionali. Gli chiedo quali sono i piatti
tipici della cucina villese a cui è più legato, lui mi parla di
“sagne a pezz”, maccheroni alla chitarra, “pizz e foie”. Piatti
di una cucina povera, piatti di una cucina tradizionale. Sono
tutti fatti con alimenti naturali, certo con tocchi magistrali da
chef. Impariamo a mangiare e capire i prodotti quando siamo
bambini e quei profumi, quei sapori li lasciamo assopire nella
nostra mente per poi riconoscerli e gustarli ogni volta che li
ritroviamo. Come in uno scrigno segreto, di quel prezioso ed
immenso bagaglio culturale uno chef ne fa tesoro e come
SPAVENTA E DI GARBO DECANI DEI CUOCHI ABRUZZESI
Dal 14 al 16 ottobre 2011 si è svolta a Villa S. Maria (Ch) la 33 esima edizione della Rassegna dei cuochi. Nell’ambito della
kermesse culinaria l’Unione cuochi abruzzesi ha insignito gli chef Nicolò Di Garbo e Giovanni Spaventa (al centro nella
foto) dell’onorificenza di “Decano dei cuochi abruzzesi”. Entrambi, oltre ad essere valenti professionisti, sono stati dirigenti
dell’Unione fin dalla sua costituzione, instancabili animatori delle attività associative e divulgatori dell’arte culinaria, sempre
impegnati per la crescita professionale dei cuochi abruzzesi. Nicolò Di Garbo (80 anni) è stato il primo insegnate di cucina
dell’Istituto alberghiero di Pescara e uno dei fondatori dell’Associazione cuochi della stessa città, ricoprendone il ruolo di
presidente per 10 anni. Giovanni Spaventa (78 anni) “mitico” chef della “Patria dei cuochi”, oltre ad aver ricoperto la carica
di presidente dell’associazione cuochi Valle del Sangro, è stato primo chef dell’Hotel Cipriani di Venezia per 7 anni, in un
rapporto di lavoro che è cominciato nel 1966 ed è finito nel 1990. Nella foto, da sinistra: Domenico Di Nucci, presidente
dell’associazione Cuochi Valle del Sangro; Lorenzo Pace, presidente associazione Cuochi di Pescara; Leo Giacomucci,
presidente onorario dell’Unione cuochi abruzzesi; Nicolò Di Garbo e Giovanni Spaventa, decani dei cuochi abruzzesi; Andrea
Di Felice, presidente Unione regionale cuochi; Giuseppe Finamore, consigliere Unione cuochi abruzzesi. .
magazine 26
per magia lo elabora nella sua cucina, dosandolo insieme a
incontri, viaggi, esperienze di lavoro. È così che fa nascere
l’essenza della gastronomia: le emozioni. «Uno chef – dice
Giovanni Spaventa – quando cucina, quando crea, mette
sempre nei suoi piatti i gusti e i concetti di “quel sapere”.
Quest’alchimia, questa artigianalità, questa manualità ti
catturano e ti crescono dentro. La diversità tra un giorno e un
altro, i piatti, i colori, gli ospiti che cambiano, rendono questo
mestiere avvincente tanto da non farlo essere mai monotono
e banale. Forse, per uno chef, solo i clienti che non sono
curiosi, che non vogliono scoprire cose nuove, possono far
venir meno la voglia di apprezzare questo mestiere». Ogni
ingrediente è un piatto particolare. Puoi capitare a casa sua
un banalissimo giovedì di novembre e sentire il profumo della
sua cucina. Schietta, ma dove la cura e l’attenzione fanno
diventare ogni elemento un piatto particolare. Lui mi dice
sempre che ogni piatto ha la sua personalità e che il successo
lo ha ottenuto soprattutto per il suo impegno costante, per la
sua onesta e lealtà verso i clienti e verso le persone. La sua
è una eccellente maestria culinaria e tra i piatti che hanno
riscontrato più successo ci sono sicuramente le “Rosette
di vitello alla Cipriani”, un piatto che ha rielaborato e che
è diventato subito il cavallo di battaglia del ristorante. Ogni
volta che passo a casa sua mi affaccio in salotto e guardo
il quadro con cui lo hanno omaggiato nell’hotel dove ha
lavorato per una vita. Un quadro dipinto da un grande artista.
Mi piace guardarlo: è il ritratto di uno chef in divisa bianca e
medaglione color bronzo. I tratti sono semplici e i colori vivi.
L’ultimo sguardo mi cade sempre sulle mani che tiene unite:
quelle mani abili che “sanno”.
ROSETTE DI VITELLO
ALLA CIPRIANI
di Giovanni Spaventa
Ingredienti: 500 g di filetto o lombo di vitello, tagliato
in fettine tonde e sottili; 1 litro di latte, 4 o 5 cucchiai di
farina, 75 gr di burro, tartufo, 50 gr di funghi porcini
tritati finemente, 60 gr di prosciutto cotto tritato finemente, 100 gr di Emmenthal tritato finemente, cinque
tuorli d’uovo, sale, marsala, pan grattato, prezzemolo.
Preparare una besciamella con la farina, il burro e il latte. Prestare
attenzione alla consistenza: deve essere piuttosto dura. Far
saltare in una padella i funghi e il prosciutto bagnati col marsala,
unire il tartufo e aggiungere il tutto alla besciamella. Aggiungere
anche il formaggio e per ultimo il prezzemolo tritato. Infarinare
le rosette di carne e scottarle in un tegame di rame con burro e
olio. Appena scottate, bagnare con un po’ di Marsala, asciugare
e raffreddare. Aggiungere i tuorli alla besciamella, e quando è
bollente immergervi le rosette. Questo passaggio va eseguito
con molta attenzione: prendere la rosetta con due forchette alle
estremità, immergerla nella salsa e disporla su una teglia unta.
Fare lo stesso con tutta la carne e far sì che la salsa copra tutta
la rosetta. Mettere in frigo e lasciar raffreddare un paio d’ore.
Prima di servire, passare all’uovo battuto e pan grattato, lavorare
con molta delicatezza (come per una Milanese) e friggere.
Accorgimento: panare e friggere non appena tirate fuori dal
frigo, altrimenti perdono di consistenza. Servire le rosette con
zucchine fritte e patate fiammifero, magari accompagnate da
salsa perigourdine.
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Speciale Verde
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Speciale Verde
C COME STILI ALIMENTARI
Testo e foto di Nadia Miriello
«MANGIO BIODINAMICO!
ANZI DIVENTO VEGANO. O…»
Un po’ di chiarezza su filosofie e diete
Non è questione di esser buoni o cattivi. Per una volta
sforziamoci di scavalcare facili pregiudizi e luoghi comuni
per scoprire cosa c’è davvero dietro una consapevole
scelta vegetariana, al di là della volontà etica di evitare la
consumazione di carne a tavola per puro amore e rispetto
degli animali.
Due
chiacchiere
in
confidenza con l’amico
Michele
Meomartino,
presidente dell’associazione
VEGetariANA
abruzzese,
ci aiuterà senz’altro a
fare un po’ di chiarezza
sull’argomento.
Michele, classe ’60, vive a Montesilvano in un casolare
di campagna che ospita il suo vivace Circolo Olis per la
divulgazione delle discipline olistiche. È scultore, oltre ad
essere conosciuto come uno degli attivisti più vulcanici e
poliedrici del mondo dell’associazionismo locale, ormai
da una trentina d’anni a questa parte. Per entrare nel vivo
della nostra chiacchierata snocciola dati recentissimi che
confermano quanto il tema vegetariano coinvolga oggi una
“
buona fetta degli italiani. Pare infatti che il nostro Paese sia
al primo posto in Europa per numero di adepti di questo stile
alimentare ed esistenziale, diventati oggi ben 5 milioni contro
i 500mila del 1985, anno in cui Michele ha abbracciato questa
scelta di vita e di pensiero. «Eppure – si rammarica – tra gli
abruzzesi c’è ancora molta
ignoranza, a differenza
delle altre regioni del
Centro Sud, dove si registra
una maggiore sensibilità.
Per molti i vegetariani sono
ancora degli strampalati
che campano d’erba!».
Il
vegetarianismo
(o
vegetarismo) implica diete a base vegetale che fanno largo
impiego, ad esempio, di frutta e verdura, con l’esclusione
della carne (carne rossa, pollame e pesce). In alcuni casi
sono banditi dal piatto anche i latticini e/o le uova, mentre
le diete vegetariane più rigorose tagliano dal menù perfino
sottoprodotti animali, come caglio e gelatina di origine
animale.
«La scelta vegetariana – sottolinea Meomartino – sconta a
Diventare vegetariani
comporta una profonda,
anche se graduale,
trasformazione dei nostri stili
di vita
”
magazine 29
Speciale Verde
magazine 30
Speciale Verde
tutt’oggi diversi pregiudizi, a cominciare dalla convinzione
che questo tipo di alimentazione produca gravi carenze
nutrizionali. Invece ho conosciuto personalmente vegetariani
da cinque generazioni che godono di ottima salute! Ma la
decisione di diventarlo
va
assolutamente
accompagnata da una
profonda,
anche
se
graduale, trasformazione
dei nostri stili di vita, che va
coniugata con il benessere
integrale della persona e
soprattutto con una maggiore qualità della vita per tutti. Il
che non può non chiamarci in causa come cittadini attivi
nel perseguire il bene comune, soprattutto se consideriamo
che la scelta vegetariana è perfettamente coerente con i
comportamenti ecologici e sostenibili. Basti pensare che le
implicazioni dell’elevato consumo di carne a livello mondiale,
dall’uso dell’acqua alla produzione di foraggio per gli
animali, sono tra i principali responsabili dell’inquinamento
da anidride carbonica».
Occhio, in ogni caso a non fare confusione con le altre
classificazioni dei variegati e particolari regimi, stili e filosofie
alimentari. Oltre ai vegetariani classici, infatti, esistono i
latto-ovo-vegetariani, i latto-vegetariani, gli ovo-vegetariani,
i fruttariani, i vegani e i crudisti.
«I vegani – precisa Michele - sono quelle persone che oltre a
non mangiare “cadaveri” (carne e pesce, n.d.r.) e perciò non
consumano neppure le uova, il miele, il latte e suoi derivati.
I crudisti addirittura ingeriscono i cibi così come sono
senza ricorrere alla cottura, e per forza di cose si nutrono
prevalentemente di verdura, germogli, frutta, semi e cereali
“
in ammollo».
Discorso a parte vale per la sempre più praticata dieta
macrobiotica, che «è invece un modello alimentare ideato
dal giapponese George Oshawa all’inizio del 1900, secondo il
quale – spiega Meomartino
– ogni cibo appartiene ad
una delle due energie Yin e
Yang. La scelta di diventare
macrobiotici non comporta
necessariamente
quella
di essere al contempo
vegetariani. Conosco tanti
macrobiotici che mangiano carne e pesce».
A Pescara, per l’esattezza in via Isonzo, opera il Circolo
culturale “Un Punto Macrobiotico”: uno dei nodi della rete
macrobiotica più presente in Italia, nata da un’idea di Mario
Pianesi (pioniere della Macrobiotica Italiana), fondata come
associazione nel 1980 e che oggi conta in Italia 69 negozi
e 52 ristoranti, più cinque laboratori alimentari, tre centri
commerciali, due case editrici, due sale da the, sette forni
a legna, un ostello, laboratori specifici per le produzioni
di abbigliamento, calzature e arredamento naturali,
un laboratorio di vernici vegetali e persino una mensa
universitaria. Un altro negozio della catena è in via Migliori a
Giulianova. A Spoltore c’è invece “Biopolis”, supermercato
di prodotti biologici e biodinamici in attività dal 2000.
Due parole anche per chiarire l’iper-inflazionato termine
biologico: «L’agricoltura biologica, in estrema sintesi, si
distingue dalla tradizionale perché non fa uso di sostanze
chimiche, bensì ricorre solo a preparati naturali sia nella
produzione sia nella trasformazione dei prodotti. Regola che
vale, naturalmente, anche per la zootecnia».
La dieta macrobiotica è
un modello alimentare
che non richiede di essere
vegetariani
”
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Speciale Verde
Biologico e vegetariano vanno senza dubbio a braccetto,
quindi, ma per i vegetariani non è indispensabile che nel
piatto finiscano frutta e verdura bio. Spesso queste due
concezioni del viver sano si ritrovano fianco a fianco tra
gli scaffali dei punti vendita specializzati, come l’Emporio
“Primo Vere” di Pescara, megabottega del bio, dell’equo
solidale e dei prodotti a Km zero in via San Donato che
ospita l’associazione VEGetariANA, o il “Maggiociondolo” in
via Arapietra, il primo supermercato bio di Pescara. In questo
negozio è possibile trovare anche alimenti biodinamici, i cui
principi di base fanno un passo ancora oltre i dettami del
biologico. L’agricoltura biodinamica fa fede alla filosofia di
Rudolf Steiner, il filosofo austriaco padre della concezione
naturale della vita, che ha ispirato una parte considerevole
delle filosofie del certiquality. Frutta, verdura, latticini, carni
e formaggi vengono prodotti passando attraverso la filiera
agroalimentare senza modificare né la naturalezza del
metodo né i ritmi: la certezza dei biodinamico è quella di
recuperare il lato “sano” del produrre il cibo.
Nonostante quella dei VEGetariANI sia l’unica realtà
associativa in Abruzzo a dichiararsi esplicitamente
vegetariana, in regione vivono e transitano tanti vegetariani
che non hanno tessera alcuna. Senza contare associazioni
come la Lav (Lega Anti Vivisezione), che sposano la causa da
altre prospettive, come quella animalista. Un sottobosco così
variegato e in crescente fermento incoraggia degustazioni in
piazza, corsi di cucina, feste e rassegne culturali.
Altra buona nuova, soprattutto per la gioia dei nostalgici
della “Taverna delle mille erbe” di Strada Fonte Borea, il
primo e per lungo tempo unico ristorante vegetariano di
Pescara, a fine settembre in via L’Aquila ha aperto “Profumo
di Sole”, il primo vegetable bar abruzzese, punto d’incontro
per appassionati e non di frutta e verdura fresche.
«Mi piacerebbe – confessa Meomartino – che il cibo
diventasse per tutti motivo di gioia e convivialità e non, come
invece accade sovente, un mero pretesto per lunghe ed
inutili discussioni. Ai non vegetariani chiederei una maggiore
attenzione verso questo “mondo” e verso le tante ragioni che
sono alla base delle sue scelte, che non sono solo di natura
personale, religiosa, spirituale, etica e filosofica, ma anche e
soprattutto sociali, ecologiche ed economiche. Ai vegetariani
e ai vegani consiglierei, d’altro canto, di essere tolleranti e
meno intransigenti con coloro che hanno fatto e fanno scelte
differenti. Infine a tutti, me compreso, ricordo che, anche se
il cibo con tutte le sue implicazioni è fondamentale per la
vita dell’uomo, come disse circa 2000 anni fa un falegname
ebreo “Non si vive di solo pane…”».
magazine 33
Speciale Verde
magazine 34
Speciale Verde
C COME VEGETARIANISMO
di Maura Di Marco – Foto: Mario Sabatini/Nadia Miriello
«MANGIO BIODINAMICO!
ANZI DIVENTO VEGANO. O…»
Un po’ di chiarezza su filosofie e diete
Onnivori, carnivori, vegetariani o vegani? Molti di noi
non avrebbero dubbi eppure è importante sapere che
«un’alimentazione senza carne non è un’alternativa bensì
un punto di partenza». Esordisce così la dottoressa Serena
Luciani, nutrizionista biologa a Pescara, una delle pochissime
abruzzesi iscritte alla Società scientifica di nutrizione
vegetariana. «Mangiare bene significa partire da una base
vegetariana per aggiungere, strada facendo, cibi in grado
di darci il giusto apporto proteico e vitaminico, misurato
sul
nostro
fabbisogno
alimentare».
Le
conseguenze
di
un’alimentazione
iperproteica
sono
più
o meno conosciute a
tutti
nonostante
basti
poco per cancellarne la
memoria: aumento di peso,
malfunzionamento dell’apparato renale, affaticamento del
fegato, ipercolesterolemia e, in casi più gravi, comparsa di
patologie tumorali. Secondo Veronesi, ognuno di noi non
dovrebbe assumere più di 70 grammi al giorno di proteine,
di cui metà di origine vegetale e metà di origine animale.
«Basta un dato per capire quanto siamo lontani da questo
presupposto scientifico – prosegue la dottoressa – 100
grammi di carne contengono, all’incirca, 20-25 gr di proteine
e noi ne mangiamo, in media, almeno 200-300 al giorno».
“
L’alimentazione vegetariana prevede una serie di alimenti
base come i legumi, i cereali integrali, la frutta secca ed i
semi oleaginosi (sesamo, lino e girasole) che vanno assunti
secondo un certo ordine: «È per questo importante, nel
passaggio da un’alimentazione all’altra, l’assistenza di un
esperto, altrimenti si rischia di incorrere nella comparsa di
alcuni disturbi particolarmente gravi come, per esempio,
l’anemia. È consigliabile assumere, oltre ai cereali integrali
ed in alternativa ai legumi, il seitan (alimento ricco di glutine
proveniente dal grano), il
tofu e il tempeh nonché le
alghe che, diversamente da
quanto si possa credere,
sono
gustosissime
e
possono essere consumate
in mille modi». Ci sono,
poi,
delle
integrazioni
obbligatorie da fare: la
vitamina B12 che si trova soltanto in tracce negli animali e si
può prendere sotto forma di pasticche; la vitamina D che si
otterrebbe esponendo al sole viso ed avambracci per 15 min
al giorno ma che si assume, a sufficienza, con la tintarella
estiva; infine, la vitamina A, che si ottiene dalla conversione,
per opera del nostro organismo, dei carotenoidi contenuti
nei vegetali.
Altra notizia da sapere è che vegetariani non si nasce ma
ci si può diventare sin da piccoli (a meno che il bimbo non
Vegetariani non si nasce
ma ci si può diventare sin
da piccoli
”
magazine 35
Speciale Aria
Speciale Verde
ami molto mangiare, circostanza in cui è consigliabile o un
maggiore apporto di latte, derivati e uova o, in casi particolari,
l’integrazione con carne e pesce) e lo si può essere durante
tutta la vita, compreso il periodo della gravidanza. Anzi, come
“
Occorre integrare
l’alimentazione vegetariana
abruzzese con seitan, tofu,
tempeh e vitamine
”
sottolinea la dottoressa, «il passaggio al vegetarianismo o al
veganismo è auspicabile durante l’adolescenza, quando le
nostre papille gustative non sono ancora troppo abituate ai
sapori della carne, sebbene esse siano comunque in grado
di riadattarsi a qualsiasi età. È ad ogni modo fondamentale
– rimarca – fare molto attenzione che una scelta del genere
da parte di ragazzi non sia in realtà il segnale d’allarme di un
disturbo alimentare».
In sostanza, diventare vegetariani significa sposare una
filosofia di vita sana, un credo di pensiero, più che di forma,
non facile ma comunque possibile. La crisi economica e la
vita fuori casa mal si combinano con questo modo d’essere.
L’ABC di questo tipo di alimentazione è dato da cibi che
devono essere, rigorosamente, freschi, di stagione e locali
e tutti sappiamo quanto questo può arrivare a costare. Ma è
anche vero che «mangiare carne solo due volte a settimana
comporta un risparmio di spesa che può essere indirizzato
ad un acquisto più coscienzioso». Più difficile è trovare una
soluzione ai consumi fuori casa o alle cene di lavoro. «Nel
primo caso – ci suggerisce la dottoressa – c’è bisogno di un
pizzico in più di organizzazione per poter preparare il pranzo
prima di uscire; nel secondo caso, bisogna ammettere che,
a volte, è dura persino andare in un ristorante e trovare una
semplice insalata di stagione».
I benefici, però, sono davvero tanti: ci si sente meglio, grazie
anche ad un aumento della qualità del sonno, e si sta meglio,
non solo da un punto di vista medico ma anche estetico,
con pelle più liscia e capelli più forti. E per gli irriducibili al
piacere di costolette, salsicce e costate, basta ricordarsi
una piccola formula per ridurre i rischi: carne solo 2 volte
a settimana moltiplicato per verdure fresche, locali e di
stagione. Ricordatevelo, ricordiamocelo. Firmato: una ex
convinta carnivora.
magazine 37
Speciale Verde
magazine 38
C COME EMANUELA TOMMOLINI
Speciale Verde
di Cristina Mosca – Foto: Mario Sabatini
UNA CUCINA CON L’ACCENTO SULLA I
A Colonnella si mangia pensando al benessere
Un luogo legato al benessere e all’alimentazione, sì, ma che
desse spazio anche alla ricerca e alla curiosità: qualcosa
di diverso da quello che già esiste, insomma. Quando
Emanuela Tommolini ha cominciato il percorso che l’ha
portata ad aprire a Colonnella il ristorante “Esprì” insieme a
Fabio De Cristofaro, aveva in mente una specie di laboratorio
in cui predominasse lo spirito vegetariano, visto che lei ha
sposato questa filosofia a 20 anni. Propone cucina naturale
con un tocco di brio: un modo divertente e amichevole di
rapportarsi con il cibo, reso con allegria da quell’accento
impunemente messo alla parola francese “esprit”, “spirito”,
per far intuire al mondo dei vivi che il vegetarianismo non è
natura morta bensì l’apice dei suoi colori e dei suoi significati.
Ampliare il menu con carni biologiche e pesce dell’Adriatico,
per andare incontro un po’ a tutti, è stato necessario, ma
non va mai in contraddizione con l’obiettivo principale di
questi due trentaduenni impavidi: «Quando arriva un mio
piatto, desidero si capisca che si riceverà del bene già solo
guardandolo – afferma Emanuela – mi piace pensare al
benessere che passa attraverso l’alimentazione e raggiunge
un’altra persona, che terminerà il pasto con un bel ricordo.
Per noi la cucina naturale rappresenta un modo di nutrirsi che
valorizza le virtù degli alimenti, ne rispetta i tempi e procede
in sintonia con l’ambiente». Una volontà che ha preso forma
compiuta, tra inevitabili tentativi ed errori, in appena due anni,
che ha potuto vedere la luce grazie ad un progetto approvato
dall’agenzia “Sviluppo Italia” e che ha calamitato l’attenzione
del giornalista Antonio Paolini, che ci ha segnalato questa
realtà nuova, coraggiosa e di qualità. Decisivo per entrambi
è stato il mese di stage nel novembre 2010: Fabio nella sala
del ristorante “Reale” di Niko Romito, Emanuela nella cucina
del ristorante vegetariano “Joia” di Milano, al fianco di Pietro
Leeman. Il resto lo stanno facendo i libri, l’esperienza, la
voglia di conoscere e di perfezionarsi, qualche dritta dei
papà (un noto nutrizionista giuliese quello di Fabio, un noto
ristoratore di Martinsicuro quello di Emanuela) e l’armonica
collaborazione in cucina con altre due donne, Cinzia Fazzini
e Rosella Scarpantoni. I prodotti sono i migliori in termini di
qualià: la maggior parte risponde ai criteri della filiera corta,
il resto alle eccellenze italiane. «Crediamo si possa cogliere
l’”esprit” del cibo e del vino – conclude Fabio, che è anche
sommelier – solo attraverso una cucina della spontaneità
che nutre l’anima e il corpo». Dalla leggerezza dei movimenti
e dalla semplicità del piatto si intuisce che la forza, infatti, sta
dentro: e che la natura non è solo vitalità e completezza, ma
è soprattutto perfezione.
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Speciale Verde
Ciclo vitale:
composizione di semi, radici, foglie, germogli,
fiori e frutti
Ingredienti
Semi (mandorle, noci, semi di girasole, zucca, lino…); foglie (cuori di gentilina bianca e nera, lattuga, radicchio, barba di frate, riccia…); erbe aromatiche
fresche (finocchietto, basilico, menta, maggiorana, origano, erba cipollina); cuori di sedano; finocchi; lupini sbucciati e dissalati; radici (carote, ravanelli,
daikon…); germogli freschi; petali di fiori eduli; coriandoli di cavolo rosso; frutta di stagione (chicchi di melograno, spicchi di arancio pelato a vivo, mela
verde, pera…). Per il gomasio: sette cucchiai di semi di sesamo, 1 cucchiaio di sale marino. Per la vinaigrette al miele: 10 gr di aceto di mele, 40 gr di olio
extravergine d’oliva, 1 gr di sale, 1 cucchiaio di miele d’acacia.
Preparazione
Lavare ed asciugare bene tutti gli ingredienti. Selezionare le foglie più piccole e tenere in modo da lasciarle intere per preservarne
la forma naturale, gli altri ingredienti possono essere affettati con l’aiuto di una mandolina. Creare una composizione armoniosa
con tutti gli ingredienti in base alla propria fantasia e sensibilità. Condire con gomasio e vinaigrette al miele. Servire l’insalata
accompagnata da un panino alla zucca e noci. Per il gomasio: Tostare i semi di sesamo, aggiungere il sale e pestare grossolanamente il tutto al mortaio. Per la vinaigrette al miele: sciogliere il sale nell’aceto, aggiungere l’olio e il miele, sbattere energicamente
con una piccola frusta finché gli ingredienti non risultano ben emulsionati.
magazine 40
Speciale Verde
Uovo morbido in crosta di pane alle erbe
con fonduta di patate e zafferano
Ingredienti per 4 persone
4 uova, 1 patata media, olio, sale e pepe. Per la panatura: 1 uovo sbattuto, farina 00. Per la fonduta di patate e zafferano: 300 gr di patate, 100 gr di cipolla,
2 gr di zafferano in polvere, 10 gr di olio extravergine di oliva, 1 rametto di timo, sale e pepe. Per il pane alle erbe: 300 gr pane bianco raffermo privato della
crosta, 200 gr di erbe fresche miste, sale e pepe, un pizzico di Parmigiano Reggiano
Preparazione
Per la fonduta di patate e zafferano: stufare a fuoco lento la cipolla tagliata a julienne in una pentola con l’olio (freddo), un pizzico
di sale e il rametto di timo, senza farle prendere colore. Quando la cipolla è ben appassita e “suda”, aggiungere le patate pelate e
tagliate a fettine molto sottili. Coprire con l’acqua e portare a cottura. A questo punto eliminare il timo, aggiungere lo zafferano e
passare al mixer, setacciare con un colino a maglia sottile e aggiustare di sale e pepe. Per il pane alle erbe: passare tutti gli ingredienti al mixer e setacciare con un colino a maglia fine. Lessare la patata, sbucciarla e passarla allo schiacciapatate, condirla con
olio e sale. Cuocere le uova con il guscio per 5 minuti e 15 secondi in acqua bollente, raffreddarle in acqua e ghiaccio e sbucciarle.
Impanarle passandole prima nella farina, poi nell’uovo sbattuto ed infine nel pane alle erbe. Ripetere questa operazione due volte.
Friggere in olio a 150° per tre minuti. Salare leggermente. Mettere in un piatto fondo due cucchiai di fonduta di patate e zafferano,
posizionare al centro un nido di schiacciata di patate, adagiarvi sopra l’uovo fritto, finire con una macinata di pepe.
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magazine 42
C COME GALATEO
del Maestro Alberto Presutti, www.albertopresutti.it – Foto: Mario Sabatini
A TAVOLA CON BUONGUSTO
Il bon ton delle feste “perfette”
Per tradizione cattolica e per consuetudini gastronomiche
noi italiani amiamo trascorrere le festività natalizie seguendo
un rituale che, di anno in anno, poco lascia alle mode e si
replica nel suo cerimoniale
famigliare, tanto atteso sia
per convivialità sia per il
gusto di decorare la casa.
Il Natale e la tavola
costituiscono un binomio
inscindibile e curatissimo.
Apparecchiare è un’arte
che come tutte le altre si
può sempre imparare.
Il Bon Ton consiglia, innanzitutto, di evitare di
cadere nell’esibizionismo referenziale, in particolare
nell’esposizione dei “gioielli di famiglia” come servizi di
argento, porcellana, cristallo di Boemia. Soprattutto non
è bene seguire tendenze stravaganti suggerite da mass
media in cerca di scoop ed è importante saper disporre con
attenzione ed eleganza, unite alla semplicità, tutti gli elementi
“
che si hanno a disposizione. Per il Bon Ton e il buongusto
non sono derogabili la scelta e il mantenimento di un tema o
di un accostamento di colori predominanti in eventi come la
cena della Vigilia o il pranzo
di Natale. Decorare la casa
non significa abbandonarsi
al folclore degli addobbi
natalizi, ma impreziosire
solo pochi punti importanti,
come l’ingresso e la sala
da pranzo, senza eccedere
oltre.
L’albero, che è il simbolo
del Natale, sia pure ricco nelle decorazioni, nei “capelli
d’angelo” che lo avvolgono e nelle luci che lo fanno scintillare
a sera, ma al contempo non sia un monumento barocco e
sovraccarico di palle e luminarie, che predomina aggressivo
nella sala da pranzo.
Il cerimoniale prevede di iniziare con la vestizione della
tavola, che non può prescindere dalla scelta dei colori: verde,
Apparecchiare è un’arte
”
magazine 43
rosso, oro, argento e bianco, sempre classici, ovviamente
abbinati due a due. Di colore rosso sia il tovagliato, mentre il
bianco è imprescindibile per la ceramica dei piatti. I bicchieri
siano in cristallo, naturalmente: trasparenti per godere delle
tonalità dei vini.
È essenziale non commettere l’errore di vanità di poggiare
sulla tavola un centrotavola che per dimensioni spicchi per
altezza, coprendo così la reciproca visuale ai commensali
che si saranno seduti ai loro posti seguendo le indicazioni
di graziosi segnaposto in cartoncino, ingentiliti dal tratto del
pennino della stilografica. Immancabili siano i candelieri, il
cui numero dipenderà dalla lunghezza della tavola, muniti di
candele a tortiglione, rosse o color oro, abbellite con fiocchi
di raso colorato. Per quanto concerne le posate, siano
disposte secondo Bon Ton (forchette a sinistra, cucchiaio e
coltello a destra) ricordando la buona regola che ne prevede
l’utilizzo a principiare da quelle più esterne al piatto e man
mano “a scalare”. …E poiché a Natale le portate sono
numerose, la posateria mancante si aggiungerà via via,
all’occorrenza, per non
gravare l’ospite di imbarazzi
ma anche per semplificare
l’allestimento della tavola
che, come afferma il Bon
Ton, è più raffinata quanto
meno complessa.
Sulla
tavola
natalizia
troveranno posto vini sia
rossi che bianchi, e ne
conseguirà che i bicchieri
saranno in numero relativo, posti alla destra del piatto, a
scalare a partire da quello dell’acqua. Per i vini d’annata si
provvederà ad ossigenarli, in tavola, con un decanter.
Come di regola, in tutte le sale da pranzo non si deve
saturare l’ambiente con profumi o incensi dall’odore forte
che inquinerebbero l’olfatto e il gusto, danneggiando i sapori
delle pietanze oltre a rischiare di provocare allergie tra i
commensali.
“
e trepidanti attendevamo l’arrivo di Babbo Natale e dei
suoi doni, rito liberatorio di un anno intero di aspettative e
buoni comportamenti. Pertanto da adulti sta a noi portare in
casa quelle stesse vibrazioni di magia e serenità, e poiché
l’educazione è fatta anche di consuetudini e tradizioni, non
dobbiamo discostarcene, anzi coltivandole piacevolmente
rivivremo ricordi unici che al cuore fanno molto bene!
I regali.
Il Natale ha il suo aspetto “commerciale”, e l’acquisto dei
regali che orneranno la base dell’albero, divenendone
l’apertura il momento clou della festa, spesso complica
giorni già pieni di incombenze.
Il Bon Ton consiglia semplicità e buon gusto anche nella
scelta dei regali più costosi.
Innanzitutto, mai lasciarsi trascinare nel comprare oggetti
suggeriti dalle tendenze dell’ultimissima moda, che poi di
moda passeranno altrettanto velocemente. Per individuare il
regale confacente è indispensabile stabilire quale confidenza
si abbia con il destinatario,
valutando la spesa in
proporzione alle nostre
tasche: è Natale e di regali
se ne devono fare diversi.
Chi li riceve, accetti i regali
col sorriso anche quando
non sono di specifico
gradimento, mai pensando
a come e quando, e
soprattutto a chi, riciclarli
a posteriori, perché questo oltre ad essere imperdonabile è
pure il modo migliore per incorrere in imperdonabili gaffe!
È sbagliato, infine, assecondare i bambini in richieste
capricciose e impertinenti, ed abituarli all’”erba voglio” con
la scusa delle Feste quali il Natale o l’Epifania.
La buona educazione è
fatta anche di consuetudini
In famiglia.
Dice un proverbio popolare, “Natale con i tuoi, Pasqua con
chi vuoi”. Le rimpatriate famigliari sono come certi minestroni:
dentro c’è di tutto, e proprio per questo bisogna imparare
a sorbirle, senza essere troppo schizzinosi o bisbetici. Le
“solite” chiacchiere con i parenti, i “soliti” aneddoti sentiti
ripetere per l’ennesima volta, le “solite” fisime degli anziani,
la “solita” confusione.
Per il Bon Ton è doveroso condividere questa umanità e
questi ricordi, che coincidono con quando eravamo bambini
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”
Il Capodanno.
Il cenone di Capodanno diviene l’ultima occasione per
“abbuffarsi” prima di ripromettersi di iniziare, con l’anno
nuovo, una dieta rigenerante, che in ogni caso non dovrà
mai essere sbandierata né imposta a familiari. Purtroppo,
il Capodanno spesso costituisce l’occasione per eccessi
di qualunque natura, a partire dall’utilizzo sconsiderato di
fuochi di artificio, girandole e petardi, passando per il gettare
oggetti “vecchi”, secondo tradizione, dalle finestre, magari
centrando in testa qualcuno, fino allo sparare con fucili in
aria, con il rischio di colpire di rimbalzo chi se ne sta tranquillo
a terra. Il Bon Ton impone, invece, il massimo rispetto per i
vicini di casa e per le persone anziane.
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magazine 46
C COME TRADIZIONE
Testo e foto di Marco Di Edoardo
Esecutori: Cristian Pierannunzi, Antonietta Fulgenzi e Cristina Di Pietro
CALCIONETTI DA MANGIARE
IN UN BOCCON…OTTO!
Due classicità del Natale abruzzese
Come recita una famosa pubblicità, il Natale quando
arriva arriva e insieme alle renne, ai regali e al simpatico
vecchierello barbuto vestito di rosso arrivano anche tutte le
tradizioni culinarie di questo periodo. Dal cenone della Vigilia
al pranzo di Natale vero e proprio, tutto è caratterizzato da
pietanze tipiche dei vari territori italiani, ma soprattutto da
dolci artigianali “fatti in casa”, che molto spesso variano di
ingredienti e preparazione, a distanza anche di pochissimi
chilometri.
L’Abruzzo vanta una grandissima varietà di dolci artigianali
natalizi, tutti preparati seguendo rigorosamente le antiche
ricette tramandate di generazione in generazione. In
questi giorni, vicino al fuoco del camino, nelle case delle
province abruzzesi le massaie sono tutte intente a preparare
calcionetti, bocconotti, sfogliatelle, pepatelli, parrozzi, “cilli
ripieni”, torcinelli dolci e tante altre leccornie. Fra tutte
queste prelibatezze, che fanno venire l’acquolina in bocca
solo a nominarle, due in particolare ultimamente stanno
attirando l’attenzione del panorama culinario italiano e
stanno iniziando ad avere il successo che meritano anche
fuori regione: i calcionetti e i bocconotti. Friggete o infornate
a 180 gradi il vostro Natale 2011, cospargetelo di zucchero
e conciatelo bene per le feste: se dolce è sempre più buono!
I calcionetti: quando la povertà diventa bontà!
Non si conosce molto della storia dei calcionetti, queste
piccole bontà natalizie di cui vanno pazzi piccoli e grandi: pare
comunque che il nome derivi dalla loro forma assomigliante
a dei piccoli panzerotti (“cavzun”, “cavzunitte”). Sono dolci a
forma di piccole mezze lune, appunto, fatti di pasta morbida
fritta preparata con farina olio e vino e ripieni di un impasto
che nella versione teramana (li caggiunitte) è costituito da
purea di castagne e/o ceci, zucchero, cacao, cedro e polvere
di caffè. I vari ingredienti sono mescolati tra loro facendo
attenzione a non coprire troppo l’aroma della castagna, che
ne costituisce l’ingrediente base.
L’origine dei calcionetti è sicuramente da ricercarsi
nell’alimentazione povera delle popolazioni contadine e
montane che cercavano di impiegare in tutti i modi qualsiasi
frutto che la terra potesse offrire, in questo caso castagne
nelle zone di montagna e ceci in quelle di pianura. La loro
forma buffa e paffuta, inoltre, si sposa perfettamente con
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NEL TERAMANO SI FANNO COSÌ
Ingredienti: Per la pasta: 1 kg di farina, 2 bicchieri di vino bianco,
1 bicchiere di olio d’oliva. Per il ripieno: 1 kg di castagne, 250 gr di
zucchero, 200 gr di mandorle tritate, 250 gr di cioccolato fondente
tritato, 2 cucchiai di cacao amaro, ¼ di litro di rum per dolci, 2
cucchiai di polvere di caffè
Disporre la farina a fontana sulla spianatoia e, nel mezzo, versare
il vino bianco e l’olio di oliva. Impastare con le mani fino ad ottenere una pasta che risulti omogenea e non troppo morbida, per
evitare che durante la frittura possa rompersi. Coprire l’impasto
e lasciarlo riposare per una mezz’ora circa.
Nel frattempo lessare le castagne sgusciate e passarle fino ad ottenere una purea. Mescolare le castagne con lo zucchero, il cedro, le mandorle, il cioccolato fondente, il caffè, il cacao ed il
rum.
Passare l’impasto nella macchina stendipasta 2 o 3 volte per renderlo più liscio e sottile possibile, tagliarlo in rettangoli e, dopo
averlo passato di nuovo nella stendipasta, formare delle strisce;
con l’aiuto di due cucchiai disporre sulla sfoglia delle palline di
ripieno, chiudere a libro pressando bene i bordi e con la rotellina
tagliare i calgionetti a mezza luna. Friggere rapidamente in olio
bollente e subito dopo cospargere di zucchero. Lasciar raffreddare e gustare!
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l’atmosfera gioiosa e celebrativa del Natale. In alcune zone
abruzzesi, perlopiù nell’entroterra chietino e pescarese,
l’impasto dei calcionetti prevede anche le uova a e il ripieno
è costituito prevalentemente da marmellata di uva.
Il bocconotto: da privilegio aristocratico a prodotto
tradizionale
I bocconotti vengono preparati in tutto il territorio abruzzese
e le loro varianti sono davvero molte.
La storia narra che l’origine di questo dolce sia collocata
intorno agli inizi del 1700, quando il cioccolato sbarcò in
Europa, e che la sua nascita sia avvenuta a Castel Frentano,
cittadina a pochi chilometri da Lanciano, e che qui si sia
diffuso tra i palazzi aristocratici della nobiltà locale fino a
diventare il dolce preferito del filosofo e politico abruzzese
Bertrando Spaventa, nativo di Bomba, nella Val Di Sangro.
Solo agli inizi del secolo scorso la bontà del prodotto
frentano ha raggiunto anche i palati della gente comune.
Da questo momento in poi ci hanno pensato le massaie del
circondario lancianese a custodire gelosamente la ricetta e
a reclamarne l’autenticità.
Il bocconotto probabilmente deve il suo nome alla sua
antica natura, cioè quella di poter essere mangiato in un
sol boccone, ed è una tartelletta di pasta frolla farcita di
forma troncoconica rovesciata, data dalle apposite formette
utilizzate per la cottura in forno, in alluminio o acciaio inox
(inizialmente erano di rame) con il diametro massimo di 10
cm e con altezze di 2 o 3 cm. L’esterno del bocconotto è
interamente di pasta frolla che in seguito alla cottura assume
un bel colore dorato ed è ricoperto, nella parte superiore, da
un abbondante strato di zucchero a velo. La farcitura interna
è di colore scuro, di consistenza compatta e dal profumo
fragrante di cioccolato, cannella e mandorle tostate. Su
proposta della delegazione di Lanciano dell’Accademia
italiana di cucina, accolta e patrocinata dall’amministrazione
comunale, la ricetta del bocconotto castellino è stata
codificata con rogito notarile e il bocconotto di Castel
Frentano ha ottenuto la certificazione P.A.T. (prodotto
agroalimentare tradizionale), tanto che la sua ricetta originale
e la sua dscrizione possono essere consultate sul sito www.
comunedicastelfrentano.it.
Oggi ne troviamo diverse varianti nel territorio abruzzese: nel
Pescarese ad esempio nel ripieno viene aggiunto il liquore
Centerba, in altre zone si usa il mosto cotto, mentre nella
zona di Montorio al Vomano, in provincia di Teramo, il ripieno
viene preparato con marmellata di uva, cioccolato, scorza
di limone e mandorle tostate ed il dolce assume il nome di
“bocconotto reale”, poiché le formine dove viene preparato
sono simili a piccole coroncine.
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LA RICETTA UFFICIALE DEL BOCCONOTTO DI CASTEL
FRENTANO, CODIFICATA CON ROGITO NOTARILE
Ingredienti (per 100 bocconotti): Per la pasta: 40 rossi d’uovo, 1 kg di
zucchero, ½ litro di olio d’oliva, un bicchiere di liquore dolce, le bucce
di due limoni grattugiate, farina al bisogno (avendo cura che la pasta
non sia troppo dura). Per il ripieno: 3 litri d’acqua, 1 kg di zucchero, 1
kg di cioccolato fondente, 1 kg di mandorle tostate e tritate, aroma di
cannella, 20 rossi d’uovo
Per il ripieno far bollire i tre litri di acqua col chilo di zucchero e far
sciroppare il tutto; a questo punto aggiungere il chilo di cioccolato, il
chilo di mandorle tostate e la cannella. Quando si raffredda, unire i
20 rossi d’uovo e far sbollentare; quindi aggiungere la cannella macinata. Per la pasta frolla montare i 40 rossi d’uovo con lo zucchero,
aggiungere il mezzo litro d’olio, le bucce dei limoni grattugiate e il
liquore. Aggiungere infine un paio di bianchi d’uovo montati a neve e
la farina necessaria affinché l’impasto non risulti troppo duro. Quindi
ungere con l’olio o con burro le pareti interne delle formette e mettere
della pasta frolla all’interno di esse. La pasta deve aderire in uno strato
sottile alle pareti: in questa sottile camicia di pasta frolla versare il
ripieno. Compiuta questa operazione, coprire ogni formetta con un
dischetto di pasta frolla, che faccia da coperchio al bocconotto; ora
resta solo da infornare a 180 gradi. La cottura termina quando i bocconotti assumono un colore ambrato: una volta raffreddati, estrarli
dalle formette e ricoprirli di un fitto strato di zucchero a velo.
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BOCCONOTTO REALE
Ingredienti (solo ripieno): 400 gr di marmellata di uva, 250 gr di mandorle tostate e tritate, la scorza di 1 limone grattugiato, 100 gr di cioccolato fondente
Dopo aver imburrato le formine sistemarle in una teglia, con le mani formare
delle piccole sfere d’impasto e posizionarle dentro ogni formina. Con l’aiuto
delle dita allargare l’impasto e farlo aderire bene ai bordi. Dopo aver mescolato bene gli ingredienti per il ripieno,
depositarne una piccola quantità all’interno di ogni formina. Successivamente
formare dei dischetti con altro impasto
e coprire ogni formina eliminando l’eccedenza di pasta e schiacciando bene
i bordi per evitare che il ripieno possa
fuoriuscire durante la cottura. Bagnare
i bocconotti con un po’ d’acqua e cospargerli con dei granelli di zucchero
affinché vengano glassati. Infornare a
180° per 20 minuti circa.
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C COME TIPICO
di Eleonora Mancinelli – Foto: Piergiorgio Greco
QUEL LEGAME IMPRESCINDIBILE
Prodotti e territorio, un binomio vincente
L’Abruzzo è una delle regioni più belle d’Italia, incontaminata,
baciata dal sole ed espressione di una secolare cultura
contadina e pastorale e contraddistinta da sapori tipici ed
intensi. La Majella, i monti innevati, i Parchi lussureggianti,
l’”Adriatico selvaggio”, le verdi colline, i pascoli: tutt’intorno
l’Abruzzo ci parla di sé e della sua storia, ed è impossibile
non fare due più due e riconoscere che la qualità dei suoi
prodotti è data dal loro forte legame con il territorio. La
nostra regione si colloca, infatti, tra le prime tre nel reparto
dell’agriturismo ed è la
prima in Italia a spendere
soldi in cibo: è stato rivelato
lo scorso 22 settembre a
Pescara durante la tavola
rotonda “L’agriturismo nel
sistema turistico italiano:
oltre la crisi, prospettive
in Abruzzo”, promossa da
Confagricoltura.
Gli operatori del sistema agrituristico hanno espresso in
questa occasione le problematiche legate all’agricoltura,
derivanti dalla duplice crisi, nazionale e regionale,
quest’ultima dovuta al terremoto che ha penalizzato le zone
interne.
Gli esponenti delle maggiori associazioni turistiche
concordano sul fatto che i pubblici organismi dimostrano una
“
conoscenza miope del territorio e sull’evidente difficoltà di
autoveicolazione del patrimonio culturale abruzzese: perché
l’entroterra abruzzese è un polmone di capienza turistica
enorme, ma non consapevole della propria grandezza e delle
proprie potenzialità .
«Il nesso tra agricoltura e turismo è potenzialmente rilevante
– è stato precisato – ma l’Abruzzo dimostra scarse capacità
autopromozionali: la sfida è portare ricettività e presenza
nell’entroterra rurale anche con metodi anticonvenzionali,
che destino l’interesse
del turista affascinandolo
e
suggestionandolo
attraverso il recupero di
identità e cultura locale».
Per questo motivo, cultura
e
ambiente
diventano
motori di sviluppo per
l’attivazione di una filiera
produttiva dalle potenzialità
quasi illimitate, in grado di competere a livello nazionale, a
condizione che si individuino (e si mettano in pratica) politiche
di programmazione ispirate al principio dell’integrazione e
del fare sistema.
Turismo del benessere, balneare, paesaggistico, dei borghi,
religioso, termale, dei parchi, culturale… il turismo è unico
ma serve solidarietà tra le parti per ottenere ritorni economici.
La sfida è destare l’interesse
del turista, anche con metodi
anticonvenzionali
”
magazine 53
magazine 54
«L‘agriturismo ed il turismo tutto – è stato concluso – devono
poter contare su una politica snella, e l’accesso al credito
deve essere costante, in grado di recepire le richieste
“
L’agriturismo deve
poter contare su
politiche snelle e su
buone infrastrutture
”
dell’imprenditore e di promuovere profitto a livello locale e
a livello delle infrastrutture, incentivando il turismo rurale e
creando strutture d’eccellenza. I tempi commerciali non
corrispondono ai tempi politici, ma la politica deve sorreggere
il turismo rassicurando gli imprenditori e favorendo il
sostegno bancario tra piccole imprese e banche, rifuggendo
il turismo di massa e ancorandosi al turismo di qualità».
Quello delle infrastrutture è un problema molto sentito,
infatti è stato rilanciato anche alla fine di novembre anche
dalla Europ Invest in collaborazione con il Città Sant’Angelo
Village: al dibattito “Destinazione turismo: infrastrutture
e servizi” sono intervenuti anche l’assessore regionale al
turismo Mauro Di Dalmazio e il docente di Economia delle
imprese di trasporto della Facoltà di Scienze manageriali
Armando Della Porta. Prendere per mano il turista post
moderno attraverso la riscoperta dell’urbs locale e degli
odori e sapori delle contrade natie, mostrando attenzione
alla tipicità, si rivela un atteggiamento vincente per un
turismo virtuoso e più competitivo. Nell’immaginario del
turista infatti, il patrimonio artistico viene associato anche a
quello enogastronomico e i prodotti di nicchia si ammantano
di cultura e storia.
Il prodotto tipico è un prodotto caratteristico, con un
forte legame con l’area geografica in cui nasce e con
caratteristiche qualitative molto specifiche, dovute anche ai
processi artigianali di lavorazione tramandati da generazioni.
Verso questa tipologia di prodotti si sono orientati da tempo i
consumatori, sempre più alla ricerca, in un mercato che tende
alla standardizzazione dei gusti, di un’offerta che si basi
maggiormente sulla genuinità della tavola, sulla esclusività
dei prodotti tipici, su ciò che di significativo e unico una
località può offrire. Su questa specificità si è concentrato
il convegno tenutosi il 24 settembre a Tornareccio,
nell’ambito della nona edizione di “Tornareccio Regina di
miele” (vedi box): promuovere il prodotto tipico in quanto
magazine 55
rappresentante della nostra storia, con un occhio al futuro
in un periodo di incertezza. I prodotti tipici sono detentori di
valori specifici ed irripetibili del nostro territorio e conservano
una ricchezza economica e culturale, in grado di contribuire
sia allo sviluppo sia alla scoperta di molte località della
nostra provincia, non ancora sufficientemente conosciute.
«Occorrerebbe diventare orgogliosi del marchio italiano,
comprare prodotti nazionali o regionali – ha affermato con
veemenza Gioacchino Bonsignore, ospite d’onore – Invece
il made in italy viene sottovalutato in Italia, Paese che quasi
nasconde le proprie origini contadine. Arriviamo al punto
che i produttori sono i primi a non credere pienamente
nell’eccellenza del territorio e dei propri prodotti, mentre
spetta proprio a loro, in comunione con la politica, offrire
un solido sostegno per realizzare un industria turistica che
dia la possibilità di produrre ricchezza ed occupazione a
livello locale». Anche le scelte dei consumatori pesano nello
sviluppo del turismo abruzzese: «La rivoluzione comincia a
I VINCITORI DI BUONGUSTO 2011
Sono stati quaranta gli espositori ad aver partecipato alla sesta edizione di Buongusto, la rassegna dei formaggi che ogni
settembre si svolge a Gessopalena: un altro esempio di lungimiranza e di fidelizzazione degli appassionati, che colgono
l’occasione per acquistare prodotti latteo-caseari artigianali provenienti da tutta la regione. Sempre molto competitivo anche
il concorso “I formaggi del Buon Gusto”, che negli anni è diventato un vero e proprio indicatore di qualità per i consumatori.
Una giuria di esperti degustatori presieduta da Paola Ippoliti dell’Onaf ha selezionato il miglior prodotto per ognuna delle
10 tipologie di formaggio in gara, attraverso le quali si sono confrontati i produttori. Al pubblico è spettato il compito di
segnalare il prodotto preferito tra le “Fantasie casearie” assaggiando le proposte dei produttori in una gara di formaggi non
riconducibili ad altre categorie. I migliori Fior di latte sono risultati quelli delle aziende di Andrea Spica (primo classificato),
Mario Verna e Vincenzo Cianflocca, le migliori giuncate quelle di Nicola Alimonti, dell’azienda “I formaggi di Rosella” e di
Mario Verna. Nella categoria Caciotta vaccina (dai 15 ai 30 giorni di stagionatura) sono saliti sul podio le aziende “Fattorie del
Vomano”, “Sammartino” e quella di Mario Verna, mentre per il Caciocavallo l’azienda “La Grancia di Sant’Angelo”, seguita
da “Fonte La Spogna” e “Spica Andrea”. Le più buone Scamorze appassite? Quelle di “Fattorie del Vomano”, di Vincenzo
Cianflocca e della “Fonte La Spogna”. I migliori Pecorini stagionati fino a 90 giorni, sono de “I sapori del Gran Sasso”,
di Gino Illuminati e di “Santa Caterina”, mentre i migliori Pecorini stagionati oltre i 90 giorni sono de “La mascionara”,
“Cantalupo” e “Santa Caterina”. Per la categoria dei Caprini si sono classificati primi tre l’azienda “La tua fattoria”, “I sapori
del Gran Sasso” e quella di Giuseppe Muscente, mentre il giudizio del pubblico ha decretato vincitori dei Formaggi fantasia
il caseificio “San Giovanni” con lo yogurt vaccino, “I sapori del Gran Sasso” con il Caprino stracchinato e l’azienda di Gino
Illuminati con il Pecorino di Fossa. (Foto: Meta) .
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tavola – ha commentato l’esperto di prodotti tipici Tino Di
Sipio – I consumatori abruzzesi devono diventare i primi
consumatori dei propri prodotti locali e solo successivamente
pensare di esportare il turismo altrove. Lo stesso prodotto
tipico che un tempo era considerato un piatto di povertà,
oggi diventa raro perché storico e testimone di un passato e
viene investito di genuinità e di particolarità».
Contro la logica delle grandi lobbies e della politica
delle Grande Distribuzione Organizzata che ci vorrebbe
massificati, Tino Di Sipio lancia la sua personale chiamata
alle armi: «Bisogna consumare, rivendicare e riscoprire i
prodotti della propria terra».
Nel frattempo, l’Unesco ha decretato la Dieta mediterranea
come patrimonio culturale immateriale dell’umanità…
Consumatori d’Abruzzo, unitevi!
TUTTI PAZZI PER IL MIELE
Un buon lavoro in termini di legame tra prodotto e territorio lo sta senz’altro facendo da diversi anni il Comune di Tornareccio,
e lo sta facendo al di là dell’alternarsi delle opposte correnti politiche, a conferma della comunione di intenti che può rendere
grande un piccolo luogo. Il lavoro di promozione e di sensibilizzazione dentro e fuori la regione comincia nel 2002 con la
ratificazione dell’adesione all’associazione Città del miele, da parte dell’allora sindaco Nicola Berardi e consolidata da colui
che ne aveva intuito il valore, Luigi Iacovanelli, oggi ex sindaco, e che viene confermata degnamente dal sindaco attuale
Nicola Pallante. Una delle prime azioni della nuova amministrazione comunale è stata infatti avviare le procedure per far
riconoscere il miele come De.C.o., Denominazione comunale d’origine. Quest’anno c’eravamo anche noi alla nona edizione
di “Tornareccio Regina di Miele”, manifestazione che si svolge alla fine di settembre e che, favorita stavolta da condizioni
atmosferiche dignitose, ha calamitato oltre 6mila persone, anche da fuori regione. Tra stand dolcissimi ed eventi a tema è
stato molto partecipato e sentito il convegno “Il prodotto tipico: una storia che parla al futuro”, presieduto da Gioacchino
Bonsignore, giornalista del Tg5, insieme all’esperto di prodotti tipici Tino Di Sipio, al presidente dell’associazione Res Tipica
Fabrizio Montepara, allo stesso sindaco Pallante e al presidente della provincia di Chieti Enrico Di Giuseppantonio.
All’inizio di novembre, inoltre, il miele di Tornareccio è stato il protagonista del concorso nazionale “Il miele in cucina”,
promosso dall’associazione Le Città del Miele: due giovani allievi dell’Istituto Alberghiero “Giovanni Marchitelli” di Villa
Santa Maria hanno vinto un premio per la loro capacità di gestire la versatilità di questo prodotto. Giancarlo Guglielmo e
i suoi Spaghettoro “Verrigni” al miele di castagno in ragù bianco d’agnello mantecato alla ricotta di pecora, hanno vinto il
primo premio della sezione “pasta secca”; Andrea Iannarelli, con il cocktail “Piramide di Miele” a base di miele di millefiori
shakerato con gin, cointreau, succo di limone e rondelle di zenzero, ha invece ottenuto il premio speciale nella sezione bar.
(Foto: Agenzia ArsNova) .
magazine 59
C COME RICETTE
a cura dell’Unione cuochi abruzzesi
LA FAVATA DI SANT’ANTONIO
di Lorenzo Pace
Ingredienti per 4 persone: 300 g di
fave secche decorticate, 50 g d’olio
extravergine d’oliva aquilano, 1 foglia di alloro, 1 spicchio d’aglio rosso
di Sulmona, sale q.b.
Lessare le fave e salarle 5 minuti prima del
termine della cottura. Appassire nell’olio
l’aglio schiacciato e l’alloro e eliminarli.
Unire le fave scolate, lasciarle insaporire, aggiungere 150 g d’acqua di cottura e
continuare a cuocere per alcuni minuti.
Mettere la Favata nei piatti fondi, spolverare con il prezzemolo e irrorare con un
filo d’olio extravergine d’oliva.
Il 17 gennaio si festeggia Sant’Antonio Abate, particolarmente venerato dai contadini abruzzesi in quanto protettore degli animali, e per l’occasione in tutta la regione si organizzano eventi e cerimonie in suo onore. Dal
1657 a Villavallelonga, piccolo paesino della Marsica, secondo una consolidata tradizione familiare, per rinnovare un voto fatto dai suoi antenati a Sant’Antonio Abate Pietro Paolo Serafini distribuiva ad amici, parenti e
poveri una minestra di fave lesse, chiamata “La Favata”, e “La Panetta”, una pasta pane lievitata con l’aggiunta
di uova e anice. La leggenda a cui fa onore racconta infatti che Sant’Antonio salvò un neonato dalle fauci di un
lupo su implorazione della madre del bimbo: per la grazia ricevuta, la donna fece il voto di dedicare al Santo
una “festa di fuoco”: appunto la “Panarda a fuoco”. Dall’anno successivo la donna ogni 16 gennaio accendeva
dei falò e cuoceva le fave dentro a delle grandi caldaie in rame, distribuendole ad avventori e poveri insieme
alla “Panetta”. Da secoli le fave sono considerate simbolo di fertilità, a causa della loro forma, ma anche un cibo
propiziatorio per riti sacrali: anticamente si credeva che le fave nascondessero le anime dei defunti. Più realisticamente si può affermare che le fave, legumi prodotti in grandi quantità, tra i primi in primavera, consumabili
sia freschi che secchi, nonché unico cibo reperibile in tempi di carestia, abbiano rappresentato per i contadini
un alimento indispensabile per la loro sopravvivenza. Con il passare degli anni e con il susseguirsi delle generazioni, il luculliano banchetto della Panarda fu trasferito nelle case e celebrato la sera del 15 gennaio, preceduto
dall’orazione a Sant’Antonio e inframezzato dal rosario e dai canti che ripercorrono le gesta dell’eremita.
magazine 62
LU SERPENDONE
[Il Serpentone]
di Lucio D’Angelo
Ingredienti per 5/6 serpentoni: Per il ripieno: 1,5 Kg di scrucchijata (confettura d’uva con buccia); 200 gr di noci sgusciate; 200 gr
di cioccolato fondente; 100 gr di mandorle; 15 gr di buccia d’arancia; un pizzico di cannella tritata. Per la frolla: 1 Kg di Farina
“00”; 200 gr di zucchero; 130 gr di olio extravergine d’oliva; 150 gr di vino bianco; 4 uova; 1 buccia grattata di limone; 2 gr di vanillina. Per la glassa al cioccolato: 50 gr di cacao amaro, 100 gr di zucchero, 150 gr di acqua. Per la glassa bianca: 50 gr di albume,
150 gr di zucchero a velo, 10 gocce di succo di limone.
Per il ripieno: Riscaldare la scrucchijata, unire il cioccolato e lasciare fondere rimestando continuamente. Aggiungere le noci, le mandorle
tritate, amalgamare, unire la buccia d’arancia tritata finemente, la cannella e lasciare raffreddare completamente. Per la frolla: Disporre la
farina a fontana versare al centro tutti gli ingredienti, impastare e lasciare riposare per circa 15 minuti. Per la glassa al cioccolato: Mettere lo
zucchero e il cacao in un pentolino, possibilmente in rame, mischiare bene in modo da non formare grumi, diluire lentamente con l’acqua,
mettere sul fuoco e portare a ebollizione, lasciare cuocere fino a raggiungere la densità della colatura a filo. Per la glassa bianca: Versare tutti
gli ingredienti nella planetaria e montare per pochi minuti, senza renderla spumosa.
Stendere la pasta frolla con il matterello allo spessore di circa 3 mm, larga 15 cm e lunga 45 cm. Sistemare il ripieno, aiutandosi con un
cucchiaio sul bordo lungo, arrotolare e formare un tronco di circa 6 cm, modellare a forma di serpente arrotolato con un diametro di circa
18 cm. Cuocere in forno a 180° per circa 30 minuti, appena cotto spennellare con la glassa al cioccolato ancora calda, per la glassa bianca
lasciare raffreddare. A piacimento sulla glassa bianca si possono aggiungere anche delle codette di zucchero.
‘Lu serpendone’ (il serpentone) è un tipico dolce di Fara Filiorum Petri (Ch) che veniva preparato anticamente
in coincidenza della macellazione del maiale in quanto per la farcitura di questo prodotto veniva impiegato
il Sanguinaccio (oggi sostituito con la srucchijate). Attualmente la preparazione è strettamente connessa alla
festività di Sant’Antonio Abate il 17 gennaio. Il 16 gennaio giorno in cui si svolge la cerimonia delle “farchie”,
altissimi fasci di canne preparate dalle diverse contrade, lasciate ardere tutta la notte in memoria del miracolo
di Sant’Antonio che salvò il paese dall’assedio francese nel 1799. La forte connotazione religiosa e di devozione
al Santo che assume la festa delle farchie lascia spazio anche ad una simbologia sacrale del dolce che rimanda
alla connotazione malefica del serpente come alterego del male. Ma la sua reificazione sotto forma di dolce in
onore del Santo ne annulla la maleficità.
magazine 63
C COME NEWS
Un patto per lo sviluppo rurale
Campagna amica arriva a CSA
Le patate e le carote marsicane
Lo scorso 9 dicembre la Provincia di
Pescara ha chiamato a raccolta tutti
i sindaci per la firma del Patto per lo
sviluppo rurale, un’intesa che coinvolge ogni municipalità del territorio assegnando a ciascuna un ruolo di primo
piano nella valorizzazione dell’agricoltura. Hanno risposto 32 dei 46 sindaci
invitati, accolti dal presidente Guerino
Testa e l’assessore Angelo D’Ottavio: a
loro è stato chiesto, attraverso il Patto, di aderire alle previsioni della Carta
di Matera, il manifesto programmatico
proposto dalla Cia ai Comuni italiani
per “un futuro con più agricoltura”. Le
amministrazioni si impegnano a “sostenere e difendere in tutte le sedi i
benefici economici, sociali e territoriali
che l’agricoltura porta con sé” in nome
della “rivalutazione dell’attività agricola in tutte le sue forme, la salvaguardia
del suolo e dell’ambiente e la valorizzazione del rapporto tra cibo e territorio,
non dimenticando la diffusione prioritaria dei servizi e la semplificazione della
macchina burocratica”. La sottoscrizione è avvenuta alla presenza di Claudio Sarmiento (Cia) e Beatrice Tortora
(“Donne in campo”).
Il mercato agroalimentare a chilometro
zero promosso dalla Coldiretti è arrivato anche a Città Sant’Angelo. Grazie ad
una convenzione stipulata tra il Comune e la Federazione provinciale della
Coldiretti, da domenica 18 dicembre
in piazza della Marina “Campagna
amica” proporrà ogni domenica dalle
8 alle 13 i prodotti agricoli provenienti
dalla provincia pescarese e dalle campagne angolane. I circa venti produttori
presenti avranno dalle confetture agli
ortaggi freschi, dal pane alla pasta,
dall’olio al vino passando per miele
e cereali. Presto, sempre attraverso
l’associazione Agrimercato d’Abruzzo,
verrà attivato anche il mercato contadino nel centro storico di uno dei Borghi
più belli d’Italia, il sabato mattina. All’inaugurazione erano presenti il sindaco
di Città Sant’Angelo Gabriele Florindi,
il direttore regionale Coldiretti Simone
Ciampoli, la presidente di Coldiretti
Pescara Chiara Ciavolich, il presidente
dell’associazione Agrimercato Pierluigi
Di Mascio, il coordinatore regionale di
Campagna Amica David Falcinelli e il
segretario di zona Coldiretti Mauro Del
Ponte.
Gli iter per il riconoscimento DOP per
la patata dell’Altopiano del Fucino e
per la certificazione IGP della carota
del Fucino sono in dirittura d’arrivo. Il
10 novembre scorso il Consorzio del
Fucino ha protocollato presso il Ministero dell’Agricoltura le modifiche alla
certificazione IGP della carota, scaturite anche dall’apporto scientifico
realizzato dal Centro ricerca Crab di
Avezzano per garantirne sul mercato la
qualità e il Marchio, così da definire il
nuovo Disciplinare. «I produttori sono
a conoscenza che le modifiche sono
state inevitabili – spiega l’assessore
regionale all’agricoltura Mauro Febbo
– affinché il betacarotene e le proteine
rispettassero i parametri e limiti consentiti per legge. Sono convinto che
per fine anno o inizio 2012 si concluderà questo lavoro, con una pubblica
audizione e sopralluogo del Ministero
dell’Agricoltura». Il ministero delle Politiche agricole si è inoltre impegnato a
stanziare 7,5 milioni di euro per il settore pataticolo, che, come ricorda l’assessore, produce ogni anno 2 milioni di
quintali di patate, ben 1/3 della produzione nazionale.
magazine 64
Censimento dell’agricoltura
Ritorno alle… Origini
La I assemblea “Collegium Cocorum”
È stato presentato dall’assessorato
regionale il 6° Censimento Generale dell’Agricoltura, riferito ad aziende
agricole e zootecniche. I numeri dicono
per esempio che, alla data del 24 ottobre 2010, a fronte di un aumento delle
grandi aziende del 16,87% in Italia, in
Abruzzo siamo arrivati al 60,89%. Se
il numero totale delle aziende diminuisce, è anche vero che nel Paese siamo
ad un -32,2%, ma nella nostra regione
il dato è del -13,6%. In Abruzzo abbiamo oltre 67 mila aziende e sempre più
donne a capo di imprese agricole: diminuisce del 29,2% la presenza delle
donne capoazienda in Italia, in Abruzzo
invece cresce del +6%, e aumenta in
generale anche il titolo di studio di chi
investe nel comparto agricolo. Qualche problema lo abbiamo nel comparto zootecnico, dove si è registrato un
-14,2%, rispetto al -8,2% nazionale.
Hanno espresso pareri sul censimento,
che è da perfezionare tenendo conto
di tante variabili, i rappresentanti della
Struttura speciale di supporto-Sistema
informativo e delle 4 organizzazioni
professionali regionali: Coldiretti, Copagri, Confagricoltura e Cia.
È stata presentata il 13 dicembre a Pescara l’associazione Origini, con l’aiuto
dell’enologo Vittorio Festa. L’evento “In
alto i calici” ha visto la partecipazione
del giornalista Luca Maroni e la degustazione dei vini delle aziende associate.
Tra le abruzzesi: Agri-Bio di Stefania
Pepe (Torano Nuovo), Belfiore (Loreto
Aprutino), Cantina Eredi Legonziano
(Lanciano), Cantine Bove ( Avezzano),
Cantine Ciampoli (Ortona), Cantina
Sangro (Fossacesia), Cantina Sociale
(Ari), Cantina Sociale (Paglieta), Cantine Dragani (Ortona), Cantina Chiarieri
(Pianella), Colle del Sole (Francavilla al
Mare), Colle Rotondo (Ofena), Fattoria
Teatina (Chieti), Jasci Donatello (Vasto),
Jasci&Marchesani (Vasto), La Cascina
del Colle (Villamagna), Marchesi de’
Cordano (Loreto Aprutino), Palazzo
Centofanti (Giuliano Teatino), Praesidium (Prezza), Tenuta dei Tigli (Casacanditella), Tenuta Magna (Villamagna),
Tenuta Oderisio (Monteodorisio), Cantina Terzini (Tocco da Casauria), Cantina Rivomaris (Vasto), Vigne di More
(Thione degli Abruzzi), Vigneti Radica
(Tollo), Vini del Golfo (Vasto).
Mercoledì 14 dicembre 2011 la prima assemblea regionale degli insigniti
abruzzesi del “Collegium Cocorum” è
stata ospitata dal ristorante “Villa Majella” a Guardiagrele e ha rappresentato un importante momento di riflessione e di stimolo per i circa 50 cuochi
professionisti presenti, con il “collare”
e non, provenienti da tutta la regione.
Al tavolo di confronto si sono seduti il
vicepresidente della Fic nazionale Giacomo Giancaspro, il presidente regionale dell’Unione cuochi abruzzesi Andrea Di Felice e il delegato abruzzese
dell’Accademia italiana della cucina
Mimmo D’Alessio. Tutti hanno stimolato la categoria ad adeguarsi ai tempi,
«prima che siano i tempi a prendere il
sopravvento», condividendo la propria
professionalità ma evitando la tentazione di spettacolarizzare il proprio lavoro
«dimenticando di essere operatori di
salute». L’incontro si è concluso con
una conversazione sui tagli dell’ovino
abruzzese, guidata da Peppino Tinari,
titolare di “Villa Majella”, e dal direttore
dell’Ara Francesco Cortesi, che ha illustrato l’importanza del marchio “Buon
Gusto Agnello d’Abruzzo”.
magazine 65
C COME NEWS
Le nuove chiocciole
Le stelle Michelin in Abruzzo
Michele Ottalevi vince a Milano
Nella guida delle Osterie d’Italia 2012
presentata all’hotel Miramare di Città
Sant’Angelo il 28 novembre, l’Abruzzo
è rappresentato da 47 osterie di mare
e di terra – 7 delle quali inserite nello
speciale capitolo degli arrosticini – con
4 novità e 6 “Chiocciole”. Sono state
le 6 osterie premiate a curare la cena:
“Sapori di Campagna” di Ofena - Aq
(Crema di fagioli bianchi poverelli con
salsa di broccoletti, polpettine di salsiccia e crostini di pane); “Taverna de
li Caldora” - Pacentro Aq (Straccetti di
agnello dorati e fritti con marinata di
verdurine); “Vecchia Marina” – Roseto
degli Abruzzi Te (Gnocchetti con panocchie e mazzancolle); “Font’Artana”
– Picciano Pe (Fracchiata); “Zenobi” di
Colonnella – Te (Coniglio in padella con
olive e rape); e “Taverna 58” – Pescara (Pizza dolce e torta croccante). Alla
presentazione sono intervenuti Raffaele Cavallo, presidente Slow Food
Abruzzo-Molise; Alessandro Nicodemi,
presidente Consorzio Colline Teramane Docg; Marco Bolasco e Eugenio
Signoroni, curatori della guida e Massimo Di Cintio, coordinatore per Abruzzo
e Molise. (Foto:CdG)
Sempre grazie alla diretta web di Dissapore.com abbiamo appreso in tempo reale la bella notizia: l’Abruzzo mantiene tutte le stelle Michelin e anzi ne
guadagna due.
È stata confermata la doppia stella
al ristorante “Reale” di Niko Romito, che come sappiamo si è trasferito
quest’anno a Castel di Sangro, ed è
stata confermata anche la stella a “Les
Paillotes” di Pescara e a “Villa Majella”
di Guardiagrele (Ch).
Come già raccontato nei foto eventi “La Bandiera” di Marcello Spadone
ha portato la prima stella a Civitella
Casanova, in provincia di Pescara, e
“Magione papale” di William Zonfa l’ha
portata a L’Aquila. Zonfa è stato infatti
lo chef di “Vinalia”, il locale gourmet di
Marzia Buzzanca che ha dovuto chiudere i battenti a causa del terremoto del 2009, perché era proprio nella
“zona rossa”.
Il caso ha voluto che entrambi riaprissero la loro attività nell’estate dopo il
terremoto: lei in via Leosini, in pieno centro storico, e lui nel ristorante
dell’hotel “Magione papale”, in via Porta Napoli.
Michele Ottalevi, uno dei due chef
dell’”Osteria dei tempi andati” di Francavilla, è stato fra i quattro premiati del
concorso individuale di cucina calda
per le unioni regionali italiane organizzato dalla Fic.
Il tema del concorso era “Cucine d’Italia tra il pane e il vino’’. I suoi sponsor
erano Cantina Tollo e Despan attrezzature alberghiere.
Il piatto “Parrozzo di pane cotto cacio
e uova allo zafferano Dop dell’Aquila
su ristretto di pomodoro, cubi di tonno
mediterraneo scottato con erbe della
Majella e salsa ai lamponi, giardiniera
di patate carciofi e cipolla di Tropea in
agrodolce con riduzione all’aceto balsamico di Modena e spuma di vino rosso raboso” è stato accompagnato da
Cococciola di Cantina Tollo.
Michele Ottalevi è anche consigliere
dell’Associazione Cuochi Pescara.
Il concorso si è tenuto per la prima volta in Italia all’interno della prestigiosissima fiera Host di Milano “Salone internazionale dell’ospitalità professionale”
in programma dal 21 al 25 ottobre.
magazine 66
www.dececco.it
Da
125
anni salvaguardiamo
un grande patrimonio del nostro Paese.
La pasta è tra le più grandi tradizioni
del nostro Paese. E noi di De Cecco
la manteniamo intatta dal mulino alla
tavola. Il cuore del grano viene macinato e
impastato a freddo con acqua purissima.
La pasta viene trafilata al bronzo ed
essiccata lentamente, seguendo un
metodo antico e sapiente. Per questo di
De Cecco ce n’è una sola, da 125 anni.