MIZR 008-2016
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MIZR 008-2016
Direttore responsabile: Mauro Cerulli MIZR é uno strumento di divulgazione interna che presenta studi sul Martinismo, la Libera Muratoria e lo Gnosticismo. Comitato scientifico: Fabrizio Fiorini Luizio Capraro Arrigo Gareffi Antonino Bonanno Vincenzo Malatesta La raccolta (che non ha periodicità ed é riservata ai soli membri della Associazione Culturale MIZR) non é in vendita e può essere stampata in proprio scaricandola gratuitamente. www.mizr.eu Pertanto non può essere considerata una testata giornalistica o un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07.03.2001. Apis - Editoriale Pag. 1 ADM - La putrefazione dell’anima: la Nigredo Pag. 6 Anamji - Via Mistica e Via Operativa Pag. 18 Desfedam - Il Maestro Passato ERAT, EST Pag. 24 Hathor Go-Rex - Le qualità delle Sephirot Pag. 30 Heru Pha Khered - L’Arcobaleno Mistico Pag. 40 Howard Mat - La ricerca di Dentice d’Accadia sulla filosofia economica e sulla mistica palombiana Pag. 53 Igneus - Il mito dell’ Illuminismo Pag. 58 Yohannes - La Luce Pag. 68 Eliael - Lege. Lege. Relege. Ora et Labora Pag. 76 Maathor - La prima donna iniziata ad un rito egizio: Eleonora Pimentel Fonseca Pag. 79 Calendario Operativo 2016 Anno 2 - n. 8 - settembre 2016 EDITORIALE Apis Coloro che, alacremente, e mai deviando dal solco della Tradizione Perenne, Una ed Indivisibile, lavorano per la riedificazione del Tempio dell’Uomo sanno che, inevitabilmente, nonostante gli immancabili ostacoli che le forze avverse della contro-iniziazione porranno sul loro cammino, i loro sforzi verranno premiati. Se le forze oscure operano, avendo una particolare fortuna in quest’epoca degenerata, allo stesso modo operano anche le Forze della Luce le Quali ben conoscono torti e ragioni, indipendentemente dagli sforzi dialettici e dalle falsità che intorbidiscono il c.d.“mondo esoterico”attuale. Chi vive nella Luce, inevitabilmente, incontra e riconosce Coloro che compiono lo stesso cammino e che sono animati dai medesimi principi, dalla medesima logica e che perseguono gli stessi obbiettivi. Così, il 9 luglio 2016 i Gran Jerofanti delle quattro Obbedienze della Libera Muratoria Egizia del Mizraïm-Memphis, che vantano una LEGITTIMA discendenza dal Primitivo Sovrano Santuario“Superum”dell’Antico e Primitivo Rito Orientale di Mizraïm e Memphis, fondato a Venezia nel 1945 dal Fratello Marco Egidio Allegri, grazie alla unione delle Linee del Memphis di Parigi-Palermo e del Mizraïm di Napoli-Venezia da Egli detenute nella Sua veste di Gran Conservatore di quelle Filiazioni, si sono fraternamente e in forma Rituale incontrati dando vita alla Federazione Massonica Internazionale dei Riti Egizi. Ciò vuole essere, in un’ottica futura, il primo passo verso una auspicabile riunificazione della Vera e Regolare Libera Muratoria Egizia in un’unica coesa e numericamente rilevante Struttura mentre, nell’immediato, tale iniziativa si ripropone di operare nell’ottica di una difesa del Lascito Iniziatico della Libera Muratoria Egizia contro i molti, troppi “mercanti nel Tempio” ed i vecchi e giovani impostori e avventurieri che offendono, sviliscono e depauperano la luminosa Via Egizia attraverso la creazione di obbedienze “farlocche” e prive di qualunque legittimità Tradizionale ed Iniziatica. Proprio grazie agli Illustrissimi Fratelli firmatari del Trattato di Costituzione della “Federazione Massonica Internazionale” che pubblichiamo qui di fianco, che hanno generosamente messo a nostra disposizione i loro ricchissimi archivi, ci è stato possibile dare alle stampe il secondo volume dei Riti Egizi (essendo il primo stato pubblicato dalla casa editrice Mimesis nel novembre 2014) che sarà disponibile in libreria tra poche settimane, e nel quale viene finalmente (e riteniamo DEFINITIVAMENTE) fatta chiarezza sul mondo, spesso nebuloso, della Libera Muratoria Egizia. Sempre nell’ottica di voler ristabilire la chiarezza e la verità nel panorama iniziatico contemporaneo, è stato pubblicata, il 14 luglio del 2016 dalla casa editrice Jouvence, la prima traduzione italiana completa del libro di Saint-Martin“Eclair sur l’Association humaine” (scritto dal Filosofo Incognito nel 1797,in piena Rivoluzione ); il testo di Saint-Martin, brillan- 1 temente tradotto dal nostro Direttore responsabile, avv. Mauro Cerulli, è preceduto da un lungo saggio introduttivo, a cura dello scrivente Apis, dall’emblematico titolo di:“Louis Claude de Saint-Martin e il Martinismo, alcune chiarificazioni necessarie”. Ne riportiamo l’inizio allo scopo di far comprendere ai nostri affezionati lettori quale scopo ci ripromettiamo: «Senza voler pretendere di trasformare questo saggio introduttivo in un vero e proprio libro nel libro, riteniamo indispensabile chiarire alcuni punti essenziali relativamente al Martinismo, via che seguiamo da ben 37 anni e nella quale abbiamo ricevuto la tremenda responsabilità di una Gran Maestranza; questo unitamente ad alcuni cenni sulla personalità e sulla dottrina di colui a cui il Martinismo si ispira e che ha concepito quest’opera immortale, ancorché molto poco conosciuta in Italia. (...) Le chiarificazioni promesse risultano essere indispensabili dal momento che la Via Martinista è attualmente, per diversi motivi storici che vedremo, nei limiti del possibile, di approfondire, non completamente chiara neppure a coloro che la seguono e che, addirittura, pretenderebbero di insegnarla ad altri. La maggior parte di coloro che si rivolgono all’esoterismo, infatti, lungi dal comprendere che soltanto lo studio e la pratica operativa rende l’Essere Umano diverso rispetto alla sua ordinaria condizione di “uomo dei cinque sensi”, ritiene che, affidandosi passivamente a personaggi che appaiono forti ai loro occhi soltanto perché urlano di più, possa essere compiuto quel cammino di Ri-Generazione e di Re-Integrazione che è il fine ultimo del nostro transito terrestre. In relazione a quanto abbiamo appena detto ci risulta appropriato inserire un brano scritto dallo stesso Saint-Martin e contenuto nel suo libro forse più famoso, ovvero l’”Homme de Desir”: “Non dite, mortali, che la vostra sete di verità vi è data solo per supplizio. La verità non punisce, migliora e perfeziona. La saggezza non punisce, istruisce. L’amore non punisce, prepara con dolcezza le sue vie. E come potrebbe l’amore punire? Ecco, mortali, ciò che costituisce l’essenza del vostro Dio. La saggezza non lascerebbe entrare in voi dei desideri veri, se non avesse messo in voi anche dei mezzi sicuri per soddisfarli. Essa è la msura stessa, e non opera con voi che in questa misura. Ma voi, giudici imprudenti e insensati, voi turbate tale misura nei deboli mortali! Se cominciate troppo presto a fare da maestri, non offrirete loro che dei frutti precoci o rubati, che finiranno per farvi confondere. Se esaltate troppo le loro idee, darete loro dei desideri anticipati e pericolosi. Se piegate il loro spirito sopra delle cose composte, farete sorgere in loro delle difficoltà traviatrici. Saggezza, saggezza, solo tu sai dirigee l’uomo senza fatica e pericolo, nelle tranquille gradazioni della luce e della verità. Tu hai preso, come tuo organo e tuo mediatore, il tempo; egli insegna tutto, come te, in modo dolce, insensibile e conservando perennemente il silenzio, mentre gli uomini non ci insegnano niente, con la loro continua ed eccessiva abbondanza di parole.” Riteniamo che tutti, ed a maggior ragione coloro che si dicono martinisti, dovrebbero riflettere con molta attenzione su queste parole! Viceversa molti ritengono che bastino due-tre anni di Martinismo, spesso praticato in contesti discutibili, per ritenersi qualificati, in barba agli ammonimenti del Filosofo Incognito che abbiamo appena riportato, per fare da “maestri” a coloro che si avvicinano al Martinismo e, comicamente, costoro pre- 2 tenderebbero perfino di insegnare a chi ne sa molto più di loro, avendo percorso la Via Martinista per diversi decenni ed in contesti ben più qualificati; le dinamiche del web e l’eccesso, quindi di “stimoli informatici in ambito esoterico”, spiegano la particolare e gravissima situazione di confusione in cui si dibatte oggi il Martinismo italiano. É cosa del resto nota che in quest’epoca buia la controiniziazione impera ed i falsi maestri abbondano come, profeticamente, ha scritto Renè Guenon in “Iniziazione e Realizzazione Spirituale”:“Quel che aumenta ancor più la difficoltà, è che coloro che pretendono di essere guide spirituali senza avere alcuna qualificazione per svolgere questa funzione, non sono mai stati tanto numerosi come ai giorni nostri; e il pericolo che ne deriva è tanto più grande quanto, di fatto, questa gente presenta in generale facoltà psichiche molto potenti e più o meno anormali, il che non solo non prova niente dal punto di vista dello sviluppo spirituale, anzi abitualmente è piuttosto un indice sfavorevole, ma per di più è suscettibile di creare illusioni, e di imporle a tutti quelli che non sono abbastanza accorti da saper fare di conseguenza le necessarie distinzioni. Non si starà dunque mai abbastanza in guardia contro questi falsi istruttori, che altro non possono se non fuorviare quelli che si lasciano sedurre, i quali dovranno ritenersi fortunati se non succederà loro niente di peggio che perder del tempo; che poi siano dei semplici ciarlatani, come attualmente ce ne sono anche troppi, o che siano essi stessi illusi ancor prima di illudere gli altri, ciò non modifica assolutamente le conseguenze e anzi, in un certo senso, quelli che sono più o meno completamente sinceri (perché anche qui possono esserci diverse gradazioni) sono forse ancor più pericolosi per la loro stessa incoscienza. Si aggiunga, ammesso che ce ne sia bisogno, che la confusione tra psichico e spirituale, disgraziatamente così diffusa fra i nostri contemporanei come in tante occasioni abbiamo denunciato, contribuisce largamente a rendere possibili i peggiori equivoci a questo proposito; se in più si tiene presente l’attrattiva dei supposti“poteri”, e il gusto ai“fenomeni”più o meno stra- 3 ordinari che vi si associano quasi inevitabilmente, si avrà nella fattispecie una spiegazione abbastanza completa del successo di certi falsi istruttori. Vi è tuttavia una caratteristica grazie alla quale molti di costoro, se non tutti, possono essere riconosciuti abbastanza facilmente; e, benché si tratti in definitiva di una conseguenza diretta e necessaria di tutto quanto abbiamo costantemente spiegato a proposito dell’iniziazione, non crediamo inutile di fronte agli interrogativi che negli ultimi tempi ci sono stati posti riguardo a diversi personaggi più o meno sospetti, precisarla in modo ancora più esplicito. Chiunque si presenti come istruttore spirituale senza essere ricollegato ad una forma tradizionale determinata, o senza conformarsi alle regole da questa stabilite, non può avere veramente la qualità che si attribuisce; può essere, a seconda dei casi, un volgare impostore o un “illuso” che ignora le reali condizioni dell’iniziazione; e in quest’ultimo caso, ancora più che nel primo, c’è da temere che sia troppo spesso, in definitiva, niente più che uno strumento al servizio di qualcosa che egli stesso forse non sospetta neppure. Altrettanto possiamo dire (e questa caratteristica si confonde del resto necessariamente in una certa misura con la precedente) di chiunque abbia la pretesa di dispensare indiscriminatamente un insegnamento di natura iniziatica ai primi venuti, ivi compresi dei semplici profani, trascurando la necessità, come condizione prima della sua efficacia, del ricollegamento ad un’organizzazione regolare, nonché di chiunque proceda secondo metodi non conformi a quelli di qualsiasi iniziazione tradizionalmente riconosciuta. Se si sapessero applicare queste poche indicazioni, e ad esse ci si attenesse sempre strettamente, i promotori di“pseudo-iniziazioni”, di qualsiasi forma rivestite, si troverebbero quasi immediatamente smascherati.“» Proprio allo scopo di voler portare luce, ordine e verità dove regnano tenebre, confusione e menzogna, e preso atto della REALE natura di molte c.d.“Strutture Martiniste”italiane il giorno 5 novembre 2016 celebreremo, in compagnia di alcuni Gran Maestri che riteniamo essere l’espressione delle più autentiche e genuine Forze del Martinismo Italiano, un Convegno interamente dedicato a Gèrard Encausse (Papus) Fondatore del Martinismo contemporaneo. Recenti e poco felici esperienze ci suggeriscono di bandire nel modo più assoluto, l’ipotesi di qualunque “sovrastruttura” del resto aliena allo spirito dell’autentico Martinismo, ma riteniamo che debbano essere delineati alcuni punti fermi ed irrinunciabili allo scopo di salvaguardare l’identità Martinista impedendo che essa venga inquinata da dottrine, elementi, tecniche, personaggi, che con il Martinismo, come codificato ed esposto da Papus e dai Suoi Successori NULLA hanno a che fare. n 5 La Nigredo è un termine latino che significa colore nero o nerezza e denota, in alchimia, la fase al Nero della Grande Opera, cioè il passo iniziale nel percorso di creazione della pietra filosofale, quello della putrefazione e decomposizione. È il primo momento, il più cruciale (simboleggiato da un corvo nero), in cui occorre "far morire" tutti gli ingredienti alchemici, macerandoli e cuocendoli a lungo in una massa uniforme nera. Il nero contiene inoltre un rimando all’etimologia stessa del termine Alchimia, in quanto antica scienza sacerdotale egizia: uno dei significati di questa parola è, infatti, «terra nera» (alkimiya) come quella inondata dal Nilo. 6 LA PUTREFAZIONE DELL’ANIMA: LA NIGREDO ADM Io son metallo e non ho forma alcuna Anzi ho tutte le forme e son miniera Traggo dal Sole in ciel l’origin vera Mi alimenta sotterra ognor la Luna Qui al centro dell’acqua ho la mia cuna Là nel centro del fuoco è la mia sfera Esco lucido spirito in veste nera Nudo corpo son preso all’aria pura Pietra son, ma se m’apri io volo in vento Vento son, ma se chiuso in Piombo ho male Vapor se fervo, se m’agghiaccio argento Oh miracol dell’arte, ella se vuole Io di Fuoco che son, Acqua divento D’Acqua mi cangio in Sal, di Sale in Sole (Francesco Maria Santinelli, Sonetti alchemici) La trasformazione del vile metallo in oro le fasi alchemiche del processo di cottura che finivano nella trasformazione della materia grezza in pietra filosofale e mercuriale, erano le premesse di cui si servivano gli alchimisti per sublimare la materia, la physis, e infondere il Nous Primigenio. La realizzazione dell’opus era per l’alchimista un percorso pregno di motivi simbolici: in tali si narrava del combattimento con un pericoloso drago, metaforicamente la prima materia da cui l’alchimista esploratore veniva ingoiato oppure aveva la meglio 7 su di esso ma non prima di venir morso dal lupus o dal leone, averli combattuti, ed aver condotto a nozze chimiche la regina, antico simbolo della luna passionale ed incestuosa in regale coniunctio con il fratello sole adolescente, re e infante. Tutto il processo di queste nozze chimiche era la trasformazione dei metalli, un percorso psichico che avveniva nell’adepto, il creator del processo. Se poi l’ignis della nigredo veniva trasformato in argentum vivum, nello sfondo dell’acqua permamens sgorgata dalla fontana mercuriale, simbolo di trasformazione e rinnovamento, ma anche di avvelenamento ed intossicazione, il tutto stava a identificare questa trasformazione alchemica con la duplice natura del mercurio: evasivo, pericoloso, ma anche panacea dei peccati della materia. Il Sol niger, o Sole nero, lo stato inconscio della materia dovrà attraversare le fasi alchemiche di putrefactio, decomposizione, imbiancamento ed albedo per poi trasformarsi all’alba della rubedo o rosso porpora ed al tramonto nella fase della rebis, sposare la luna-Regina nelle nuptiae chymicae e compiere alla fine di quest’avventura, quel Selbst della totalità ermafrodita rappresentata da Re a due teste, il filuis regis. Quel mercurio evasivo e pericoloso, quel drago Ouroboros della prima materia non era altro che il lapis della luce mercuriale e volatile dello Spirito, lo spiritus il cervus fugitivus. É per questo che gli alchimisti usano il motto: aurum nostrum non est aurum vulgi. É chiaro che per “Oro” si intendesse la realizzazione di qualcosa di incorruttibile, di immortale e di perennemente luminoso come, appunto, sono le qualità dell’oro tra i metalli. Ma ciò che spesso ripetono gli alchimisti, soventemente, è che l’origine di questo “Lapis Occultum” è sicuramente di “misera” ed “infima” natura (“...la pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo...”). Il lavoro alchemico è quindi basato tutto sulla purificazione e rettificazione di questa materia, dissolvendone il “corpo” e materializzandone lo “spirito”. La materia si dissolve putrefacendosi e si realizza in tre fasi: Soluzione; Putrefazione; Distillazione. L’adepto deve lottare contro la sua stessa natura, contro le leggi da cui è composto, contro l’essenza stessa del suo istinto di sopravvivenza. É la fase della scomposizione, la fase della morte, di tutto ciò che è struttura, ditutto ciò che è identificazione e, apparentemente, individualità. É una fase di abbandono, in cui l’apprendista si ritrova a dover morire continuando a vivere. 8 É un processo che richiede Forza e Volontà. Da qui il suo accostamento alla fase di “Putrefazione”, fase in cui la materia perde la sua linfa vitale e marcisce nell’oscurità della fredda terra. Il corpo è sciolto nel Mercurio e putrefatto da Saturno, divinità del tempo, per finire poi distillato nel flusso di Giove. “Nigredo”: è il volto nero di Iside (Nigra sum sed formosa), dea delle trasformazioni, madre di Horus, il Dio (Oro) Luminoso, che testimonia la Vita poiché dalla morte di Osiride, il dio nero (il cui corpo fu diviso in 13 pezzi, proprio come il numero della tredicesima lama dei tarocchi: la Morte), Lei partorisce la Luce. Nell’antico Egitto altro simbolo importante legato all’Opera al Nero è lo scarabeo, simbolo anch’esso, come Osiride, di resurrezione. C.G. Jung riconosce le dinamiche inconsce di proiezione psichica, che gli alchimisti riproducevano macro cosmicamente come riflesso di un retroscena psichico e di un dramma simbolico, percorso individuale dell’alchimista stesso. Identificò quindi la vita simbolica dell’alchimia alla psicologia dei processi inconsci, l’analisi del transfert e l’analisi dei sogni. Si percorreva quindi la via della nigredo, che in termini junghiani corrisponde alla ricerca dell’Ombra. La Nigredo… che è certamente l’aspetto più traducibile in termini psicologici del procedimento alchemico, in quanto corrisponde con esattezza alla fenomenologia della depressione e del confronto con l’Ombra stessa. Proprio la condi- 9 10 zione d’estrema solitudine permette l’incontro con il lato oscuro di noi stessi. L’incontro con il nero è la prima scoperta di ciò che non ci piace. Durante il processo del trattamento psichico bisogna per forza confrontarsi con la propria ombra, con quella parte oscura dell’anima della quale ci si sbarazza di volta in volta mediante le proiezioni. L’Ombra è il rovescio oscuro e negativo che la coscienza dell’Io proietta all’esterno di sé. Nella nigredo troviamo uno scurirsi degli elementi che richiede l’auto purificazione del’adepto. Tale fase alchemica indica che la vita psichica ristagna essendoci una mescolanza di identità nell’inconscio. In questo stadio la personalità si amplia, è l’io che si unisce con successo con l’anima. Il nostro Io personale muore lasciando spazio a una volontà superiore che adesso opera attraverso di lui. E questo sarà il nostro nuovo vero Io. Un “lutto” che bisogna celebrare per attingere successivamente alle gioie di una vera e propria rinascita nella coscienza divina. Ancor più suggestiva è una delle tante frasi che identificano l’Opera al Nero: “notte buia dell’anima”, una frase che racchiude 11 in sè un significato che non lascia dubbi su cosa un essere umano deve affrontare per poter rinascere forte come un Dio. In questa fase siamo chiamati alla scoperta di tutte quelle forze che agiscono nella e verso la materia. Prima di avventurarsi verso mete più elevate dobbiamo partire dal livello inferiore di noi stessi, dobbiamo imparare a riconoscere queste forze che agiscono in noi e che sono necessarie come tutto il resto all’equilibrio dell’Universo. L’Opera al nero corrisponde nel tempo in cui l’anima psichica, “discende negli inferi”, di noi stessi, al fine di esplorare, in forme individuali, le potenzialità del subconscio di restituire in forma emotiva, creativa e infine intellettiva gli esiti del contenimento del Drago alchemico. É un viaggio di autoconoscenza che regala un effettivo potere di dominio sulle pulsioni e una inaspettata capacità di creare “armonia, bellezza e verità” spinti dal bisogno di comunicare il disagio, il conflitto e la sofferenza determinato dalla consapevole relazione con la realtà. Si parte scendendo nella materia, nel VITRIOL, si perde ogni punto di riferimento e ci si trova a brancolare nel buio. Per questo è pericoloso, non si sa cosa si troverà ma soprattutto non si sa se si potrà farne ritorno. Si iniziano dunque a riconoscere i propri demoni sotterranei e piano piano ad usarli a proprio vantaggio invece di venirne usati. Esclusa è la possibilità di eliminarli, perchè a quel punto l’equilibrio verrebbe meno. É importante essere consapevoli che non si uscirà mai dal Nero in questa realtà, la tentazione sarà sempre presente e anzi, probabilmente più avanzeremo nel nostro personale cammino, più le tentazioni e le prove che dovremmo affrontare saranno maggiori. Ma è anche vero che più saremo avanti nel cammino e maggiore sarà anche la nostra capacità di dominare e di usare a nostro vantaggio tali forze, onde per cui l’equilibrio continuerà sempre ad esistere. Forze che tendono verso la materia: ciò significa che dobbiamo iniziare ad affrontare le nostre paure, l’odio, le nostre più profonde angosce. Ci sono, e sono forze necessarie all’equilibrio della creazione; l’unico sistema è imparare a conoscerle e ad usarle consapevolmente a proprio vantaggio “offrire ai demoni sotterranei” diceva Pitagora, vuol dire dare consapevolmente di cui nutrirsi a questi demoni quello che non ci interessa, piuttosto che lasciarli liberi di prendersi quello che vogliono loro. Se non impariamo a controllare l’istinto e a bruciare simbolicamente l’anima psichica sul fuoco della ragione, rischiamo di rimanere prigionieri di meccanismi automatici di risposta alle sollecitazioni esterne e allo stress che condizionano pesantemente la libertà di scelta e, di conseguenza, il libero arbitrio. La misura della bravura con cui dobbiamo essere in grado di operare con la ma- 12 teria, dentro e fuori di noi, è data dal progressivo identificarsi con lo stato di coscienza divino. Più ci si abbandona al Superiore più Quello è libero di agire attraverso di noi e quindi di operare trasmutazioni sempre più elevate. L’Io e Dio saranno allora una cosa sola: il massimo dell’annullamento coinciderà con il massimo del Potere. Dobbiamo lavorare sistematicamente tutti i giorni per uccidere ciò che noi stessi siamo. La prima fase è infatti la più ardua, lunga e delicata. L’Opera al Nero consiste in massima parte nell’attenta e costante osservazione di sé condotta da noi stessi con onestà e umiltà giorno dopo giorno. Un’osservazione distaccata, che non è macchiata da alcun giudizio, né di compiacimento né di rifiuto nei confronti degli aspetti del proprio carattere che inevitabilmente vengono alla luce. Tutta questa prima lunga fase del Lavoro è conosciuta anche come “dissociazione dei misti”, in quanto l’auto osservazione induce i differenti Io a emergere allo scoperto ed è in questo momento che dobbiamo prendere consapevolezza di essere una “legione” e non un solo Io centrale. Tutte le visioni astrali antecedenti questa fase riguardano unicamente incursioni disordinate in un mondo nel quale noi per il momento possiamo solo manifestare le stesse capacità di percezione e discriminazione di un bimbo appena nato. Se non ci liberiamo dei legami mentali, emotivi e fisici della nostra natura inferiore non potremo che vedere proiezioni astrali di tale natura, siano esse piacevoli o spiacevoli, e mai una verità oggettiva appartenente al piano dell’anima. Per arrivare al nostro fine, alla trasmutazione dell’Io, il silenzio e la solitudine, la Maschera ed il Mantello, diventano gli unici amici fraterni. In loro si osservano i difetti e vi si pone rimedio; le passioni si quietano e l’enfasi si appiattisce; si osserva chi ci è attorno e si smette di giudicare. Cessa la smania di prevalere, cessa l’egoismo; tutto viene accettato e scusato. Il dolore “muore”, ora la morte è la rinascita. Ora solo la nostra interiorità ci guida e non più gli eventi esterni; ora la MENTE non mente più; ora il seme si è corrotto e putrefatto nell’oscurità della fredda e umida terra coperta di candida neve. Nasce la luce che inizia ad alimentarsi silenziosamente. Tutto è salvato, e presto sorgerà la stella del mattino a diradare le nubi più plumbee che pesano sul cuore. “Crederai di sognare: É il Diavolo, ti verrà di pensare, tu sei Satana o la più leggiadra delle sue creature! Cosa vuoi da me? Sono stato un solerte ricercatore dell’oro alchemico, ma ho trovato soltanto solitudine e disperazione! Allora l’antico Figlio di Dio si manifesterà e l’abisso scardinerà i suoi recinti. Sentendoti perso, griderai: Io sono te!…Ed avverrà veramente: sarai trasmutato! Poi tutto si placherà e tornerai un uomo comune. Ma non sarà che apparenza! Il grande mentitore sarà sconfitto, l’Angelo detterà i suoi patti e le condizioni di resa saranno accettate senza pietà! Il discepolo sarà trasformato in Maestro, costruito 13 per se stesso e per diventare ancora in vita il pegno di un Amore superiore” (Mario Krejis, Dialoghi). L’anima nella morte: la morte dell’uomo, anche secondo la Qabbalàh, non è che il suo passaggio ad una nuova forma d’esistenza. L’uomo è chiamato a ritornare finalmente nel seno di Dio, ma questa riunione non gli è possibile nel suo stato attuale, in ragione della materialità grossolana del suo corpo; questo stato, come anche tutto ciò che vi è di spirituale nell’uomo, deve dunque subire una purificazione necessaria all’ottenimento del grado di spiritualità che la nuova vita richiede. La Qabbalàh distingue due cause che possono recare la morte: la prima consiste in ciò, che la Divinità diminuisce successivamente o sopprime bruscamente la propria influenza continua su Neshamàh e Rùach in modo che Nèfesh perde la forza per mezzo della quale il corpo materiale è animato, e questo muore. Nel linguaggio dello Zòhar, si potrebbe chiamare questo primo genere “la morte dall’alto, o dal di dentro al di fuori”. In opposizione a questa, la seconda causa della morte è quella che si potrebbe chiamare “la morte dal basso, o dal di fuori al di dentro”. Essa consiste in ciò, che il corpo, forma d’esistenza inferiore ed esteriore, disorganizzandosi sotto l’influenza di qualche disturbo o di qualche lesione, perde la doppia proprietà di ricevere dall’alto l’influenza necessaria e di eccitare Nèfesh, Rùach e Neshamàh al fine di farle discendere a lui. D’altronde, poiché ognuno dei tre gradi d’esistenza dell’uomo ha, nel corpo umano, la sua sede particolare e la sua sfera d’attività corrispondente al grado della sua spiritualità, e poiché si son trovati tutt’e tre legati a questo corpo in differenti periodi della vita, è anche in momenti differenti, e secondo un ordine inverso, che essi abbandonano il cadavere. Se un uovo viene rotto da una forza esterna, la vita finisce Se un uovo viene rotto da una forza interna, una nuova vita inizia 15 “Horridas nostrae mentis purga tenebras” (purifica le orride tenebre della nostra mente): è ormai chiaro che l’opera prende avvio dalla più profonda oscurità. Una delle immagini più emblematiche di questo momento è l’annegamento del sole nel mare mercuriale, in seguito al quale sopraggiungono le tenebre. Nello stato di annerimento esercita il suo potere l’anima media natura, corrispondente all’anima mundi platonica. Questa avvolge la sfera del sole e la oscura col suo abbraccio (sol niger). Ma la sfera nera è anche il caput mortuum, o la testa del moro. Nel Rosarium Philosophorum la morte della coppia alchemica è descritta attraverso la dolorosa separazione dell’anima dal corpo, che Jung interpreta come assoluta estinzione della coscienza. É ormai chiaro che la Nigredo è una dolorosa esperienza di morte e di separazione. Si ottiene mediante la separatio delle quattro radices o elementi, ed il raggiungimento dello stato di Caos, come parte essenziale e principio dell’opera. La Nigredo significa mortificatio, putrefactio, solutio, separatio, divisio ecc., dunque lo stato di dissoluzione e decomposizione che precede la sintesi. L’esperienza della Nigredo è paragonabile a quella della sepoltura, o della discesa sotto terra. A questo punto sul fondo del vaso alchemico – simbolo dell’anima - si deposita una massa oscura ed informe: “questa nerezza è chiamata terra”. É la terra fertilissima che Adamo portò con sé dal paradiso, “nera, più nera del nero” (“nigrum, nigrius, nigro”), chiamata anche “antimonio”. La Nigredo spesso viene paragonata ai tormenti dell’inferno: nel mito dell’eroe questo stato corrisponde all’ingoiamento nel ventre della balena (o del drago): dove regna di solito un calore tale che l’eroe perde i capelli, rinasce calvo, glabro, simile ad un infante. Questo calore è l’ignis gehennalis, l’inferno nel quale è disceso anche Cristo per trionfare della morte. Da un lato nella fase al nero l’artefice sperimentava la componente passiva della materia: i corpi si disfacevano nell’acqua mercuriale e con ciò se ne rivelava anche la “possibilità di non esistere”. “Per tenebras ad lucem”: questo può essere considerato un vero e proprio comandamento della tradizione alchemica. La ricerca alchemica di una illuminazione passa per il nero abisso del Nulla. L’adepto non si rivolge tanto alla luce della rivelazione, ovvero cerca questa stessa luce nell’oscurità della natura, quasi che questa fosse paradossal- 16 mente un’altra luce – lumen naturae. Si potrebbe intendere tutta l’alchimia come una “tecnica di oscuramento”, per molti versi analoga alla mistica... anzi, è essa stessa una singolare forma di misticismo. Con la Nigredo era prodotto un progressivo annerimento della realtà attuale della materia, per poi ottenere, ad un punto critico, una subitanea illuminazione. Era una sorta di “elastico negativo”: in termini psicologici potremmo dire che nella assoluta incoscienza dello stato al nero finiva per riflettersi una coscienza superiore o più ampia. La Nigredo non è infatti soltanto una condizione della materia, ma è allo stesso tempo uno stato mentale dell’artefice: la melancholia o umor nero. L’oscuro stato di disorientamento descritto dagli alchimisti è il parallelo della perdita dell’orientamento psichico, e della caduta della tensione cosciente (“abbassement du niveau mental”). Lo stato di disgregazione degli elementi è il perfetto corrispondente della dissociazione e dissoluzione della coscienza dell’Io. Si rinasce con la legge dell’Armonia Equilibrio degli Opposti spirito-natura sotto il dominio dell’essere vero, chiamato Oro o Dio, in cui si concilia il mondo interiore con quello esteriore, il mondo soggettivo con quello oggettivo, lo Spirito e la Materia, la Natura Naturans e la Natura Naturata, l’Essere e il Divenire. È questa la “pietra filosofale” tanto cercata dall’alchimista. “La putrefazione è così efficace che distrugge la vecchia natura e la vecchia forma dei corpi in decomposizione, li trasmuta in un nuovo stato dell’essere per dar loro un frutto completamente nuovo. Tutto ciò che vive, muore; tutto ciò che è morto si putrefà e trova nuova vita”. (Pernety, 1758) n 17 18 VIA MISTICA E VIA OPERATIVA Anamji Cristo diceva: ”chi berrà l’acqua ch’io largisco, si disseterà alla fonte della vita eterna”. Qui si nasconde la perla della Rigenerazione. Il chicco di grano non dà germoglio se non è affondato nella terra: perché le cose fruttifichino, occorre che rientrino nella madre che le ha generate (Jacob Bohme). La via di evoluzione Martinista viene spesso descritta attraverso una distinzione tra via mistica e via operativa. In realtà nell’ambito del percorso di evoluzione spirituale di un singolo individuo, appare impossibile distinguere quanta attività vi sia di tipo mistico, quanta di tipo teosofico e teurgico, anche con riferimento a noti ed eminenti ricercatori, studiosi e spiritualisti. Dinanzi all’obiettivo di raggiungere la Reintegrazione, la comunione definitiva con l’Uno, gli insegnamenti del Martinismo spiegano chiaramente che la sapienza, l’aiuto, il vero Spirito di verità, sono da ricercare all’interno di ogni essere: si tratta di tirare fuori e manifestare la vera vita. Dio è in ogni vita esistente nell’Universo e si tratta di imparare a riconoscerlo in ogni manifestazione, senza fermarsi alla superficie e penetrando l’essenza di ogni cosa. Tutto ciò che è esterno rappresenta un’occasione, uno strumento per comprendere la 19 divinità tanto quanto spesso ne è anche un impedimento se riferito ad atteggiamenti egocentrici. L. C. de Saint Martin per noi Martinisti rappresenta il modello di alta moralità ed il mistico che va al di là della scienza positiva, delle speculazioni, delle culture, delle filosofie e delle religioni. Proprio nel rappresentare la figura del nostro Filosofo Incognito si confonde molto spesso il mistico con il teosofo, il teosofo con il teurgo. Ciò in quanto lo studioso ha l’obiettivo di “aggettivare e catalogare”, cercando il profeta, il chiaroveggente, il mago e sottovalutando nel caso specifico di Saint Martin, la realtà di uno spiritualista ispirato che ha saputo fraternizzare nei giusti limiti con tutte queste discipline, trovando la sua via e raccontandola senza mai descrivere neanche uno dei doni conquistati, lasciando solo messaggi rivelatori di una moralità insita nell’uomo e valida nella storia di ogni tempo. Saint Martin era senza dubbio molto riservato come si conviene ad un iniziato e per essere un mistico la sua luce era ed è tutt’ora fonte di autenticità, concretezza, semplicità ed umiltà eppure la sua intera vita interiore se pure rivelatrice di simili qualità, non ha lasciato trasparire rivelazioni straordinarie e metafisiche. Tutti noi possiamo annotare nel nostro “diario di viaggio”, intuizioni interne od esterne che siano portatrici di verità di cui non siamo i creatori e che promanano da una fonte a noi intangibile ma legata a leggi eterne, assolute, universali e supreme. Di conseguenza ogni intelligenza normale e dedita alla ricerca spirituale è in uno stato perenne di ispirazione e rivelazione, dunque non deve fare altro che ascoltare e vedere con il cuore. Dalla dottrina di Martinez de Pasqually, Saint Martin non si distaccò completamente ma a sua volta diede impulso ad una ricerca mistica e ad una sorta di “teurgia coscienziale”, declinata nella cosiddetta via cardiaca. Essenzialmente ha evoluto una sua via, più aderente al suo essere ed ai suoi doni, chiarendo ai suoi allievi che chiunque nei termini della propria evoluzione, può aspirare a raggiungere un punto in cui, ritrovata la costante connessione con la sorgente, può fare a meno della teurgia e di ogni contenuto trasferito da scritti di vario genere e provenienza. Egli dice: “ tutti quelli che si trovano bene nello stato in cui l’anima è caduta e che non conoscono la strada della sfera superiore alla quale apparteniamo per diritto primitivo, accettano l’impero delle intelligenze astrali e si mettono in rapporto con esse. É la grande aberrazione di coloro che praticano la magia, la teurgia, la necromanzia ed il magnetismo artificiale. Non tutto è errore o menzogna in queste pratiche, ma bisogna diffidare di tutto in quanto tutto avviene in una regione dove il bene e il male sono mescolati e confusi”. Come ulteriormente chiarito da Saint Martin in una lettera del 1797, attestante le sue nuove convinzioni da proporre agli iniziati mediante una via più “cardiaca”, il Filosofo Incognito non condanna la teurgia in generale se non quella che intende il ten- 20 tativo di governare le Potestà del piano astrale, sollecitando tutti i suoi adepti ad andare più in alto nella regione pura, quella del Verbo, dei suoi Agenti e delle sue Virtù. In una lettera del 1794 egli scrisse:”…io credo che chi riceve delle comunicazioni esterne e gratuite … può benissimo non essere ingannato ma non ha alcun mezzo per accertare la cosa … la potestà cattiva può tutto imitare, la potestà buona intermediaria parla sovente come la stessa potestà suprema …”. In altro punto della stessa lettera Saint Martin ammette di aver avuto anche del fisico ossia di aver ricevuto manifestazioni sensibili ma considera che gli è stato facile riconoscere che la sua parte è stata più intellettiva. Egli non cerca la forma ma vuole la sostanza, così come ampiamente richiamato nei nostri Rituali e Salmi che operiamo cercando di collegarci con l’Universo spirituale incorrotto che è il regno dei cieli o la divinità trascendente, il centro di tutta la vita, unito alle creature che da questo centro mai si separano. Il nostro Universo materiale invece, è quello in cui Dio è presente nel suo aspetto immanente in ogni creatura ed in ogni particella, per dirigere l’essere caduto attraverso la sua divina energia procedendo dall’atomo ai mondi infiniti. Il misticismo di Saint Martin, altro non evoca che la volontà della ricerca dell’aristocrazia dei cieli raggiungibile attraverso i più alti gradi di identificazione con Dio che, si badi bene, sia concessa all’uomo di raggiungere. Tutto è personale ed individuale, dice, nei rapporti dell’anima, nello sviluppo delle sue potestà, nella rigenerazione di cui l’uomo ha bisogno e nell’elevazione che assume in quest’opera di palingenesi. Si noti quanto spesso in questa opera di nuova creazione o rinascita, l’uomo in cattiva fede proietta nell’assoluto (piano in cui Dio E’) le piccole e distorte immagini del piano relativo erigendosi a misura di tutte le cose e attribuendo a miracoli o fenomeni sopran- 21 naturali l’essenza di fatti non concepibili per la mente umana, come se si potesse ridurre l’assoluto nel relativo e la Divinità come misura di se stessi! In breve sintesi, il misticismo di Saint Martin frutto di una profonda religiosità non è identificabile nel misticismo cristiano, gnostico, buddista o musulmano, in quanto tutto è concentrato in Dio e la sua più alta manifestazione il Cristo, regna in noi. Inoltre, Saint Martin aspira unicamente alla saggezza divina e quindi attribuisce scarsa importanza alle manifestazioni secondarie, quali apparizioni o visioni, lasciando ogni sua più precisa esperienza o considerazione alla riservatezza, non per calcolo atto a “stimolare una vana curiosità e lavorare più per la gloria dello scritto che per l’utilità del lettore” ma unicamente perché così è stata la sua vita, il suo pensiero, la sua educazione ed il suo temperamento. L.C. De Saint Martin, nella sua opera “Ecce Homo”, afferma: “tutte le volte che l’uomo contemplerà i suoi rapporti con Dio, ritroverà in sé gli elementi indissolubili della sua essenza originale ed i naturali indizi della sua gloriosa destinazione. Ed ancora: in Dio il desiderio è sempre volontà, mentre nell’uomo raramente il desiderio si realizza in volontà, senza la quale nessuna operazione è possibile”. Pertanto la via “mistica” che egli indica per l’uomo di desiderio non si sviluppa attraverso l’attesa passiva di rivelazioni, bensì intende attivare le tre potenze dell’anima: pensare, sentire e volere. Ed è proprio l’unità di queste tre facoltà che l’uomo deve operare in ogni istante, libero dai condizionamenti dei suoi sensi inferiori. 22 La via mistica e la completa acquisizione coscienziale mediante il cuore, appare indispensabile per ogni operazione volta alla rigenerazione di quell’uomo nuovo, degno di tornare a dimorare nell’assoluto della sua forma gloriosa. Quanto sopra espresso palesa la chiarezza e la semplicità interpretativa della via Martinista, ispirata al Nostro Amato Filosofo Incognito e consacrata da Papus che pose il primo seme da cui noi traiamo ancora frutti generosi di cui dobbiamo essere grati ma anche assumerne la responsabilità di curare con profondo amore la pianta, affinché altri dopo di noi possano coglierne il puro alimento. Il nutrimento del Martinismo è nel Martinismo stesso con la sua storia e tradizione che resta strumento perfetto e completo in quanto cardiaco - operativo e non occorre tracciare chissà quali traiettorie per delineare collegamenti con filosofie, religioni, autori mistici o teurghi che tuttavia rappresentano il necessario corredo culturale per l’individuale ricerca della verità. Il Martinismo dosa per tutti i suoi iniziati un percorso contestualmente sia cardiaco che operativo nei limiti di quanto assegnato dai nostri rituali dando, in estrema libertà, indicazioni circa gli approfondimenti di varie materie, filosofie ed autori che mai però ne divengono il fulcro perché questo risiede esclusivamente nei tradizionali riferimenti storici ed istituzionali. Il Nostro Amato Filosofo Incognito, ha orientato tutto il suo sapere per discernere e sacrificare le attività che ha ritenuto essere in contraddizione con la vera scienza iniziatica, non limitandosi ad una conoscenza solo intellettuale ma ricercando la coscienza in ogni attività per giungere a “sentire” Dio, è questa la completezza e la grandezza ancora oggi del nucleo fondante il Martinismo la cui unica finalità è la reintegrazione individuale e di ogni essere umano. Ciò con l’auspicio che per ciascuno questa vita sia effetto e destino dell’evoluzione del proprio Essere, mediante la volontà incorruttibile di purificare moralmente e raffinare lo strumento di visione interiore fino a quando, mano a mano che la vista si renderà più acuta, la Luce sarà intensa e mai più abbagliante. n 23 Il Maestro Passato ERAT, EST Desfedam Posso ora ricordare che aleggiava, nell’intera abitazione, nel mio involucro grossolano, una pesante ma non spiacevole aria di riposo: la dimora era adatta agli studi cui era stata prescelta. Tutto, al di fuori, era pronto. Non così al di dentro. L’anima deve abituarsi al luogo e riempirsi della natura circostante; poiché la natura è la sorgente di ogni ispirazione. Spesso mi fermavo, come anima vagante, dove il fogliame era più fiorente, per raccogliere qualche fiore. Possono queste umili creature della natura, che nascono e muoiono in un giorno, esser d’aiuto alla scienza dei più alti segreti? Vi è dunque una farmaceutica per l’anima come per il corpo? Si applicano forse i figli del regno vegetale anche alla mia immortalità spirituale? La mia mente si lasciò più e più cullare nella divina tranquillità della contempla- 25 zione: mi sentii più nobile, nel silenzio dei miei sensi mi parve di udire la voce dell’anima. Era questo lo stadio in cui il mio Maestro Passato - quello che sentivo più vicino interiormente nell’effettuare questa elementare iniziazione cercava di suggerire, di comunicare, poiché chi cerca di scoprire deve prima arrendersi, in solenne e dolce cattività, alle facoltà che contemplano e immaginano. Non esiste, disse il Maestro Passato, arte alcuna con cui mettere la morte completamente fuori dalla nostra scelta o sottrarla alla volontà celeste. Tutto quanto possiamo fare non è che questo: trovare i segreti del corpo umano, sapere perché le parti si ossificano e il sangue stagna, e applicare continui preventivi agli effetti del tempo. Questa non è magia, è semplicemente l’arte della medicina ben compresa. Nella nostra comunità, noi consideriamo nobili: 1. La conoscenza che eleva l’intelletto. 2. Quella che preserva il corpo fisico. Tutto questo procede dal più nobile segreto cui bisogna soltanto accennare e cioè quel così detto “calore” che, come Eraclito così saggiamente insegnò, è il principio primordiale della vita e può di questa esserne reso il perpetuo rinnovatore. Quest’arte e questo segreto non possono essere propagandati in quanto se noi dovessimo impartire tutta la nostra sapienza in modo indiscriminato, cosa saremmo noi: benefattori o castigatori? 26 Se uno straniero, in occasione di una visita a una tribù nomade - constatando che tutti i componenti non hanno conoscenza di una sola delle proprietà che hanno le erbe avesse detto ai selvaggi che le erbe che quotidianamente calpestano sono dotate delle più potenti virtù, come potrebbe essere considerato? Che l’una avrebbe restituito la vita al fratello morente, che l’altra avrebbe paralizzato nell’idiozia il loro capo più saggio, che una terza avrebbe buttato al suolo il più potente guerriero, e che le lacrime, il riso, il vigore e la malattia sono racchiuse in quelle foglie trascurate... Che vi sono facoltà dentro di noi con le quali certe erbe hanno affinità e sulle quali hanno potere... Come lo avrebbero considerato: un mago, uno stregone o un grande sapiente? Ecco apparire la vita che gode e la vita che contempla: l’una quando raccoglie erbe pensa solo ai suoi usi; l’altra si attarda ad ammirarne la bellezza. Grave errore quello di certi filosofi che vogliono indirizzare, secondo il loro modello astratto, la vita dell’umanità: non si può beneficare alcuni senza nuocere ad altri, se si desidera riformare la totalità degli esseri ebbene bisogna comprendere il livello dal quale iniziare. È molto difficile abbassarsi a vivere in prima persona tutte le esperienze, positive e negative. Nella presente condizione evolutiva della terra, il male è ancora un principio più attivo del bene e, anzi, sta prevalendo. È per questa ragione che noi siamo solennemente impegnati a insegnare la nostra dottrina solo a coloro che non ne faranno cattivo uso né la pervertiranno. Anche per quanto riguarda i pochi candidati, il superamento di certe prove è destinato a purificare le passioni e a elevarne i desideri. La natura in ciò ci controlla e ci assiste, poiché pone terribili guardiani e barriere insormontabili tra l’ambizione del vizio e il cielo della più alta scienza. Quanto vanno soggette alle solenni influenze della natura le sorgenti del nostro essere intellettuale! Simile a un paziente lentamente e gradatamente riconoscevo ora nel mio cuore la nascente forza di quel vasto e universale magnetismo che è la vita nella creazione che lega l’atomo al tutto. Una strana e ineffabile coscienza di forza e di potere, di un qualcosa di grande, vivente entro alla propria creta peritura, richiamava in me sentimenti oscuri e gloriosi insieme, quasi un pallido ricordo di una precedente esistenza. 27 Il Maestro Passato mi posò la mano sul cuore, batteva forte, ma coraggiosamente, regolarmente. Egli alla fine chiese: allora di quale natura è la conoscenza da ricercare senza incorrere nel pericolo di perdere il respiro e fermare il battito del cuore? Qualsiasi conoscenza che viola la natura non è reale, risposi, come non sono reali le raffigurazioni rosicruciane delle silfidi, delle ondine, delle salamandre, o degli gnomi. Solo cercando dentro me stesso la conoscenza può essere acquisita completamente! Nell’invisibile vi sono milioni e milioni di esseri, non completamente spirituali però, poiché tutti hanno (simili all’animaletto invisibile a occhio nudo) certe precise forme materiali, sebbene materia delicata e sottile ancor più di un velo, che funziona come una rete di filamenti che ne avvolge lo spirito. Nella goccia d’acqua tu vedi, disse il Maestro Passato, quanto possa variare l’animaletto, quanti siano terribili alcuni di quei mostri-microbi abitanti l’atmosfera: alcuni di incalcolabile saggezza altri di orribile malignità; alcuni ostili o addirittura nemici dell’essere umano, altri come messaggeri tra cielo e terra. Colui che volesse stabilire dei rapporti personali con tali esseri, assomiglierebbe al viaggiatore che volesse penetrare in terre sconosciute. Nessuno ti può difendere dagli imprevisti ai quali il tuo viaggio ti espone, una volta stabiliti i rapporti. Io, diceva il Maestro Passato, ti potrei guidare verso lontani sentieri, protetto e difeso dai più mortali nemici dell’uomo abitanti nello spazio. Devi invece da solo affrontare e azzardare tutto! Ma se sei così attaccato alla vita fisica da preoccuparti solo di continuare a vivere, non importa per quali scopi, non devi assolutamente affrontare i pericoli che ti verranno dagli esseri intermedi, tra terra e cielo, poiché l’esperienza gloriosa acutizza così tanto i sensi che quelle larve dell’atmosfera ti diverranno visibili e udibili, di modo ché, a meno di esserti allenato gradatamente a sopportare i fantasmi e a dominarli, la vita sarebbe la più terribile condanna. Tra gli abitanti che si trovano al di qua della soglia uno, di nome EGO, sorpassa in malignità tutti gli altri e il cui potere sullo spirito umano aumenta precisamente in proporzione della paura che l’essere ne prova. Un tempo, ogni Iniziato, prima di accingersi a compiere qualcosa, osservava attentamente quali forze e influenze planetarie presiedevano e dominavano al momento, veniva a conoscenza che i dodici segni zodiacali erano assimilabili alle dodici lettere semplici dell’alfabeto ebraico, erano quindi i dodici geroglifici dell’influsso solare diretto, detto Verbo. Le loro posizioni nel corpo umano si rivelavano essere i centri fluidici del verbo solare della gran catena del simpatico, che si proiettano sulla spina dorsale. Nella cabala sacra, gli Eoni superiori presiede- 28 vano a ogni rivelazione e assumevano un valore del tutto particolare. Allora lo studio dei segni e dei simboli era un mistero che dall’universo riversava il suo rapporto di conoscenza sulla natura umana, il cui risultato era simbolico, sì, ma era espressione di realtà sensibile e quasi taumaturgica. Così opera l’iniziazione virtuale nell’infinito cammino verso l’iniziazione reale, nel prendere coscienza della realtà esteriore e interiore e della loro nascosta unità, mentre il loro sviluppo e la loro ricorrenza ci rendono sempre più consapevoli delle nostre esperienze, acquistandone nel contempo la padronanza. n 29 INTRODUZIONE ALLA CABALA LE QUALITÀ DELLE SEPHIROT Hator Go-Rex Tratto dall’interpretazione della Torah, ossia il Pentateuco, i primi cinque libri dell’Antico Testamento scritti da Mosè in cui è esposta la Legge divina, l’insegnamento cabalistico è sostanzialmente finalizzato alla comprensione della natura di Dio attraverso lo studio della creazione e delle forze che la governano. Penetrando il senso profondo e non meramente letterale della Torah la narrazione biblica si rivela, secondo la Cabala, come l’espressione completa della manifestazione divina, ogni verso, ricco di arcano significato, cela una sfumatura della dinamica interazione tra le potenze divine e il mondo, attuata per la Cabala ebraica attraverso l’emanazione delle Sephirot. La loro origine, ossia il nocciolo primordiale da cui nasce ogni cosa, l’Ain-Soph (senza fine), essendo un concetto umanamente inaccessibile anche alla contemplazione più profonda, è quindi per noi deducibile unicamente attraverso lo studio della natura finita delle cose, percorrendone a ritroso il movimento di esternazione fino all’origine e viceversa, poiché 31 “Tutto proviene dall’Uno e tutto ritorna all’Uno’. La spinta iniziale del principio creativo è denominata Volontà infinita o primeva, scaturita dal desiderio divino di manifestarsi, precede quindi il pensiero attraverso cui, poi, si farà atto. La volontà si evolve in idea e l’idea in azione, l’Ain-soph, l’unità emanante, in tal modo si separa rivelandosi via via nella generazione delle Sephirot che rappresentano i vari stadi d’irradiazione in cui Egli, man mano, scopre se stesso dall’infinito al finito. Le Sfere, emerse dalla sostanza divina nel suo traboccare, sono quindi veri e propri ‘contenitori’ delle potenze di Dio. Un’attenta traduzione della frase iniziale della Genesi biblica “Beeshit Barà Elohim Et Ashmain Veet Haaretz”, vede la parola Elohim come l’unione di un articolo singolare el con un sostantivo plurale ohim e tradotta quindi con “Egli-gli Dei”, analogamente il verbo Barà, sulla base dell’integrazione masoretica e con un occhio rivolto ai principi qabbalistici, tradotto con emanò, come spiega Apis nel saggio introduttivo del libro “Gli illuminati nella società umana”, delineano un significato quale: “Il Principio Primo creò, per emanazione, gli dei da cui furono formati cielo e terra”. Tale concetto di emanatismo non è riscontrato solo nella Cabala ma ridonda in varie dottrine, ad esempio nel sufismo, nella filosofia greca, nell’enoteismo egizio la cui teologia menphitica vede Ptah come Principio Supremo Creatore da cui hanno origine tutte le altre divinità. Nel neoplatonismo, secondo Plotino, l’Ain-Soph, essendo perfetto, bastando a se stesso e non avendo quindi alcuna necessità di creare, trova tale spinta nella sua fertile sovrabbondanza, come una fonte che riempie il suo bacino e quando straripa da esso alimenta un'altra fonte, che a sua volta riempie il proprio bacino e straripa, spiega egregiamente il concetto Dion Fortune nel suo scritto “La cabala mistica”. L’Uno tracima quindi della sua sostanza che, dividendosi, perde la perfezione iniziale dando origine alle Sephirot che rappresentano la sequenzialità dei piani dell’esistenza, dai più sottili e completi, ai più grossolani e imperfetti, intesi come stati differenti di consapevolezza e percepiti in rapporto all’espansione coscienziale raggiunta dell’essere. Le Sfere sono strumenti preziosi per l’evoluzione interiore, a ognuna viene corrisposto uno dei dieci nomi di Potere dell’Ineffabile che, utilizzati nelle operazioni magiche, invocano le potenze divine nella loro essenza più spirituale. Per comprenderle al meglio va analizzata la radice ebraica da cui proviene tale denominazione, Sefirà, Sepiroth al plurale, deriva da Safar (Samekh – Peh – Resh )רפסi cui tre significati principali sono: numero, libro o storia, luce. Per quanto ri- 32 guarda il numero (Mispar )רפסמpossiamo a esse associare le qualità, intese come valore esoterico, espresse nei primi dieci numeri interi; nell’aspetto di libro (Sefer o racconto) ( פסמSippur )רפיסcome importanti testi contenenti miti, avvenimenti, simboli, tradizioni e quindi portatrici di tali saggezze; nell’aspetto di luce o pietra preziosa (Sapir, zaffiro )ריפסcome centri irradianti il riflesso della Coscienza Divina capaci di arricchire coloro che ne acquisiscono le proprietà. Le dieci Sephirot sono ripartite nell'albero cabalistico su tre colonne, sulle due laterali quelle corrispondenti alle funzionalità energetiche, maschili nel pilastro della misericordia e femminili in quello della severità, mentre le Sfere collocate sul pilastro centrale i livelli di consapevolezza raggiunti nell'equilibrio delle suddette forze opposte; Daath, la Sephirot occulta, posta tra Kether e Tiphereth nel così detto abisso, è la porta di passaggio allo stato di coscienza più elevato raggiungibile dall’anima umana in cui il sapere e l’Essere si fondono nell’emersione del Sé e nella vera e propria comunione con il Divino. Tale disposizione macrocosmica si rispecchia in un preciso riferimento microcosmico, come viene detto nel secondo capitolo della Genesi Dio creò infatti l’uomo a sua immagine e somiglianza e l’albero cabalistico delinea appunto l’Adam Qadmon, l’uomo primordiale. Il triangolo formato dalle prime tre Sfere Kether, Cokhmah e Binah, detto superno corrisponde alla testa che, assieme alla coppia successiva Chesed e Geburah, le braccia, delineano l'Io Superiore; Tipharet, la quinta Sfera, si trova nel centro del glifo ed è il tronco microcosmico, il punto di contatto con l'io inferiore o personalità, composto da Netzach, Hod, le gambe, Yesod è il fallo, il pilastro cosmico e generatore in cui tutte le potenze superiori vengono incanalate per prendere forma in Malkuth, il Regno, culmine e obbligatorio passaggio per risalire al Divino come suggerisce lo Zohar “Chi entra, deve farlo attraverso questa porta”. Le triadi sono formate da coppie di Sephirot le cui forze opposte si equilibrano nella terza. I quattro inferiori rappresentano tutto ciò che è ingabbiato nella forma mentre i sei superiori i loro principi archetipali e metafisici. Le Sfere, che nell'insieme formano il glifo dell'Albero della Vita, sono collegate le une alle altre da 22 linee chiamate sentieri, corrispondenti alle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, non a caso lo studio della Ghematria è fondamentale per ogni cabalista; tali vie (22 sentieri+10 Sephirot) sono i canali attraverso cui Dio scende nell’uomo e viceversa, nel percorso inverso di reintegrazione, con cui l’uomo può ascendere alla Divinità. L'Albero, considerato da un punto di vista iniziatico, è il nesso tra il microcosmo, che è l'uomo, e il macrocosmo, che è Dio reso manifesto nella Natura, spiega Dion Fortune nella sua opera “La Cabala mistica”. Le Sephirot sono talvolta paragonate a dei veli o delle vesti che man mano coprono, attenuando, la luce dell’Ain-Soph poiché l’uomo, allo stato attuale di coscienza, non è in grado di sopportarne la diretta intensità luminosa se non attraverso un’ascesa graduale, di Sfera in Sfera, come fossero gradini di una scala ciascuno rappresentante un grado su- 33 periore di illuminazione. Ogni Sephirot è un mondo a sé, pur rispecchiandosi le une nelle altre si differenziano tra loro dalle forze archetipali contenute. La loro difficoltà interpretativa, dovuta alle molteplici interazioni e agli altrettanto diversi raggruppamenti in cui possono essere considerate, rende il loro simbolismo dinamico e poliedrico, in quanto non può limitarsi a quello della singola Sfera ma va osservato in un modo più ampio e relativo allo schema di differente correlazione preso in esame. Essenzialmente sono almeno sei gli aspetti da considerare per comprendere in modo completo ciascuna: la sua facciata indipendente, quella della Sfera emanante, l’influenza di quest’ultima, le proprietà delle Sephirot che la precedono e in essa quindi contenute, il suo potere di emanazione in base all’insieme di questi fattori e il suo aspetto contenuto nella Sephirot da lei emanata; da queste correlazioni si intuisce che, oltre il flusso di emanazione discendente dall’alto verso il basso, ve ne sia anche uno inverso e ascendente, un’interconnessione ritmica tra causa che si fa effetto e da effetto che ritorna come causa. Inoltre ogni Sephirot ha un ulteriore quadruplice natura rispettiva ai quattro mondi cabalistici intesi come quattro diverse fasi della Creazione: Atziluth, il Mondo Archetipale, Divino, del puro spirito o delle Emanazioni dove vengono concepite le idee che daranno vita al Cosmo - Briah, Il Mondo della Creazione, chiamato anche Khorsia, il Mondo dei Troni, la mente archetipale della nel quale avviene la progettazione - Yetzirah, il Mondo della Formazione e degli Angeli, dell’immagine e della coscienza astrale dove tali progetti vengono disegnati- Assiah, il Mondo dell'Azione, della Materia, nel suo aspetto denso e sottile e dove ogni cosa prende forma; tali mondi non sono da intendere come separati bensì compenetranti l’uno nell’altro. Vediamo ora l'ordine di emanazione dall’alto verso il basso, le denominazioni e le caratteristiche principali di ognuna. 1) Kether è “l’Uno”, la prima manifestazione dell’Ain-Soph, il senza forma in cui non vi è dualità, è l’immoto equilibrio raggiunto degli opposti; viene chiamato Corona e corrisponde microcosmicamente al Shamsara Chakra, il loto dei mille petali che si trova appunto sopra il capo, anello di congiunzione tra corpo e mondo spirituali, e nel parallelo sephirotico tra il cosmo e l’infinito. Lo stato dell’essere corrispondente a tale Sfera è il fine ultimo, ossia la comunione con il Creatore, il limite consentito di ogni esperienza mistica poiché al di là di essa vi è l’infinito, insondabile e incomprensibile per qualsiasi coscienza umana. Kether è il punto di concentrazione dell’Ain-Soph da cui traboccano tutte le Sue forze, è la Sfera che contiene in sé tutto il mondo manifesto e ogni suo stato dell’essere. La virtù di Kether quindi è, parlando in termini alchemici, il compimento della Grande Opera. Eheieh, Io Sono Colui Che Sono, puro essere, è il nome di Dio in Kether. 35 2) Cokhmah la saggezza; se Kether è il potenziale la sua prima manifestazione sarà una forza dinamica, attiva, fecondatrice. Cokhmah è quindi il Padre archetipale, il maschile, l’energia generatrice ma per comprenderla appieno va considerata nell’interazione con la terza Sephirot, Binah, l’organizzatrice della forza, il femminile, colei che stabilizza e dà forma a tale energia, l’utero primordiale e metafisico. Da queste due Sfere, e quindi dalla prima congiunzione tra le forze contrarie dei Superni, si intesse tutta la vita del cosmo, sono poste al vertice dei due pilastri laterali quello positivo della grazia, intesa come forza creatrice, e quello negativo della severità, intesa come costruttrice di forma mediante la delimitazione dell’energia in un contenitore. In Chokmah vige quindi l’azione fecondatrice, la Parola intesa come Verbo, la matrice vitale che si impianta nell’utero cosmico da cui viene organizzata e costruita. A tale Sephirot viene attribuito il nome di Dio Jehova, il Testo yetziratico chiama Chokmah “Intelligenza Illuminante”, possiamo associarla alle parole bibliche “Sia fatta la Luce”, a un lampo, un’intuizione che fa brillare l’intelletto. 3) Binah "intelligenza o comprensione”; è la terza Sephirot del triangolo superno, rappresenta il femminile, la matrice delle forme archetipali stabilizzante la forza creativa di Chokmah. Posta al vertice del pilastro della severità essa la rappresenta in quanto disciplinante un’energia che altrimenti si perderebbe nel cosmo senza manifestarsi, in Binha nascono gli archetipi della materia che troveranno sviluppo finale nella sfera di Malkuth. A tale Sfera viene inoltre attribuita la generazione della fede poiché contiene una verità esistente ma non ancora manifesta, parallelamente la fede è per l’appunto un'adesione fondata su di una realtà invisibile che si ritiene possibile, seppur sconosciuta. A Binah corrisponde la virtù del silenzio, della ricettività, il cui vizio, inteso come avarizia, sta nel suo eccesso divenendone la qualità negativa. Il nome di potere a lei attribuito è Jehovah Elohim. Da ciò fin ora esposto si evince la complementarietà delle due Sfere, ciascuna contenente una potenzialità essenziale affinchè si manifesti, nella loro congiunzione, l’aspetto creativo. Per intenderci meglio potremmo paragonare Chokmah alla benzina e Binah al motore, e comprendere in tale familiare metafora come l'impulso energetico andrebbe perduto se non trovasse un contenitore in cui venire raccolto, organizzato e quindi trasmesso; lo stesso raffronto si può fare con l'apparato riproduttivo dove la qualità generatrice maschile, necessita di fecondare quella incubatrice femminile affinché avvenga la nascita. Il signore ha fatto la donna dalla saggezza dell'uomo e così lei è l'incarnazione della saggezza animata dal sentimento d'amore; ed il sentimento d'amore è la vita stessa, così la donna è la scintilla della vita nella saggezza, mentre l'uomo è la saggezza, scrive Emanuel Swedemborg nella sua opera “Conversazioni con gli angeli”, riferendosi proprio al maschile e al femminile nella loro massima espressione metafisica, quella delle due Sephirot. 4) Chesed, grazia; la quarta sfera contiene la grazia equilibrante la severità di Geburah, in essa ha inizio il mondo manifesto e, diversamente dai tre precedenti superni solamente intuibili, Chesed è uno stato di consapevolezza raggiungibile attraverso una vera e propria esperienza. Da qui il concetto astratto formulato in Binah comincia a concretizzarsi, l'idea archetipale si sviluppa nell'immagine di un atto futuro che verrà via via realizzato nella discesa dei piani. In tale stato coscienziale si ricevono le influenze dei Maestri non incarnati, tali ispirazioni si indirizzano al favore collettivo e non individuale e per farsene tramite indispensabile è quindi avere sacrificato completamente il proprio egoismo. La quarta Sephirot viene detta 36 dell’intelligenza Coesiva, la sua virtù è l’obbedienza, il nome di Potere è El. 5) Geburah, forza, severità; per comprendere la quinta sfera, chiamata anche il Sacerdote sacrificale o il Distruttore e le sue qualità apparentemente negative, va capito innanzitutto il significato più profondo della parola sacrificio, inteso come la libera e cosciente rinuncia a un qualcosa per beneficiarne un altra, un necessario coraggioso abbandono paragonabile metaforicamente alla potatura di una pianta. Proviamo a pensare come l'eccesso di ogni qualità divenga deleterio, persino negativizzante, ad esempio una smisurata indulgenza sfocerebbe in buonismo, la troppa pazienza in debolezza, una smodata passione in follia, l'eccessiva forza in crudeltà ed è proprio qui che interviene la severità di Geburah, nel limitare o incrementare l'una o l'altra mantenendo l’equilibrio attraverso la disciplina, poiché tutto necessita del giusto rigore, anche l'amore. Questa Sephirot ci mostra due importanti valori, l'obbedienza e la rinuncia, da comprendere attraverso le esperienze restrittive che la vita ci offre, distruttive in apparenza per ciò che riguarda la realtà temporale, ma costruttive al servizio di ciò che è eterno, essa insegna inoltre la giusta visione e manipolazione del potere e della potenza. Il nome ineffabile a Lei corrisposto è Elohim Gebor. 6) Tipharet, bellezza o compassione; posta al centro dell’Albero rappresenta il punto di contatto tra l'Io superiore e quello inferiore, a essa sono correlati i Misteri della Crocefissione poiché Dio vi discende manifestandosi nella consapevolezza umana tramite il figlio Gesù-Cristo. In questa Sephirot si esplica la comprensione del sacrificio inteso come morte eroica, atto sprigionante una forza di redenzione necessaria a riequilibrare e redimere le forze avverse del Regno. Per comprenderne meglio il significato dobbiamo prendere nuovamente in esame la qualità del sacrificio già riscontrata in Geburah nel suo senso magico-trasmutatorio, ossia come trasformazione dell'energia liberata da una forma, affinchè ne componga un'altra in un fine non egoistico, un dare per gli altri, e nell'apice del suo significato, un donare se stessi partecipando all'ideale più elevato, quello della reintegrazione universale; per opposto il vizio assegnato a Tipharet è l'orgoglio. Trovandosi sul pilastro centrale, indica uno stato di consapevolezza, un’illuminazione superiore e non più relativa alle esperienze sensoriali, caratteristica delle quattro Sephirot sottostanti. Nel raggiungere tale sfera si acquisisce la vera veggenza udendo la voce dell'Io superiore, e quindi dello stesso Creatore essendo Tipharet il riflesso di Kether, nonchè l’intermediario tra macrocosmo e microcosmo; in ebraico significa bellezza, intesa come armonia delle proporzioni. Il suo nome ineffabile è Tetragrammaton Aloah Va Daath. 7) Nezach, costanza, vittoria; detta anche Sfera di Venere, rappresenta gli istinti emozionali, da essa genera la forza primaria che muove ogni essere, l’istinto naturale, le energie sessuali, capaci sia di elevare che frammentare l’individuo a seconda dello stato superiore o infimo che le pervade. In questa Sfera ha sede l’amore in tutte le sue variegate sfumature, dalle più spirituali alle più fisiche. Netzach e Hod, la Sfera che la segue, parallelamente alle coppie superiori, rappresentano energia e struttura agenti stavolta non su di un piano puramente metafisico ma su quello della manifestazione. Hod rappresenta l’intelletto, e Netzach la forza che in esso si attiva creando delle vere e proprie forme pensiero, senza questa energia che dinamizza la mente immaginifica, vivificandola, Hod rimarrebbe sterile, teorica. Il suo nome di potere è Jehovah Tzabaoth, il Signore degli Eserciti. 8) Hod, maestà, gloria; come abbiamo visto è strettamente correlata a 37 Netzach, le due Sephirot agiscono e si muovono nel piano astrale, ossia quello emotivo originando, attraverso la loro unione, il desiderio. Il flusso discendente di tale emanazione, una volta raggiunto Malkuth, risale portando in esse il riflesso delle esperienze sensoriali tratte dal Regno, da ciò si intuisce quanto le Sfere ne siano influenzate e come il piano astrale di conseguenza sia un vero e proprio ricettacolo di psico-creature generate dalla mente dell’uomo, assioma che ricorda e ridonda nella Tavola di smeraldo: “Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola”. Hod ha la capacità di sublimare, direzionare, controllare la forza dinamica di Netzach inibendo la natura animale e istintiva attraverso il raziocinio. In lingua ebraica significa gloria, poiché proprio in essa le forze naturali prendono forma e l’iniziato, raggiunta tale sfera di consapevolezza, riuscirà a scorgere in ogni elemento della natura lo splendore e quindi la gloria di Dio. Hod è la sfera attribuita a Mercurio-Ermete, dio della scienza e dei libri, dell’intelletto e quindi della Verità celata in ogni cosa, il suo vizio in opposizione è quindi l’imbroglio, l’illusione, la falsità. Il suo appellativo ineffabile è Elohim Tzabaoth, il Dio delle Schiere. 9) Yesod, fondamento; questa Sfera è il vero e proprio trasmettitore nonchè il ricettacolo di tutte le emanazioni precedenti che culminano attraverso di essa nel regno, Malkuth. Viene infatti descritta come la sfera che regola il meccanismo dell'universo la cui base, partecipe sia del mondo materiale che mentale, è l'Akasha o l'Etere del Saggio, il quinto elemento, non manifesto, in cui trovano spiegazione gli altri quattro. Magicamente, ogni operazione il cui effetto deve trovare riscontro nel mondo fisico, va effettuata attraverso Yesod, poichè essa, e quindi il piano astrale, è il tramite tra Spirito e materia, in quanto l'uno non può agire direttamente sull'altro, ma solo attraverso la mente, tramite l'etere, il regno riceve gli influssi divini. Yesod è chiamata anche Sfera della Luna, e collegata quindi all'astro che parallelamente riflette la luce solare in Malkuth, questi influssi, dette maree lunari, crescono e decrescono in un ciclo di ventotto giorni raggiungendo l'apice della loro intensità al plenilunio, regolando in ampia misura sia i processi fisiologici che le operazioni magiche. Il suo nome di potere è Shaddai el Chai, l'Onnipotente Dio Vivente. 10) Malkhut, regno; si può notare dal glifo che, diversamente dalle precedenti, questa Sfera non fa parte di alcuna triade, posizionata all’estremità del pilastro centrale, a cui convergono anche i due laterali, contiene e condensa l’insieme di tutte le emanazioni precedenti e va considerata in particolare relazione con l'unica a lei direttamente collegata, Yesod. Malkuth viene denominata Madre inferiore in quanto, come Binah (Madre superiore) fa con Cokhmah, è in grado di racchiudere le energie vitali di Yesod donando loro in tal modo una forma. Malkuth è il nadir dell'evoluzione, ma esso dovrebbe essere considerato non come l'infimo abisso della materialità, ma come la boa di virata di una regata. Qualsiasi yacht prenda la via di casa prima di aver girato la boa viene squalificato. Lo stesso è dell'anima, spiega metaforicamente Dion Fortune nella sua “Cabala Mistica” volendo indicare la caduta come un processo necessario alla risalita in quanto l’animo umano, proprio attraverso le esperienze sensoriali, avrà modo di imparare a disciplinarsi, correggersi, dominarsi e infine trascendere la materia ascendendo verso l'Unità con consapevolezza. Da questo si intuisce l'estrema importanza che le varie incarnazioni posseggono in tale processo essendo quindi l'unico modo in cui trarre i giusti insegnamenti per la nostra rettificazione, le prove che la vita ci offre altro 38 non sono che gradini per un’evoluzione spirituale. Il nome di potere di Malkuth è Adonai Melekh o Adonai ha Aretz. Da quanto fin ora detto si intuisce come l'emanazione esplichi una continuità tra emanatore ed emanato e come perciò ogni essere sia parte della divinità, il limite nel comprendere tale verità risiede quindi nella mancata e scarsa cognizione mentale, incapace di scorgere la reale essenza di ogni cosa. L’idea che “Dio sia l’anima delle anime” ne dichiara la consustanzialità a quella umana, seppur intesa come neshamah, ossia nella sua parte più alta (nefesh) non contingente al corpo, che non discende affatto nei mondi inferiori ma che li irradia e incapace di peccare, un modus operandi che vede quindi Dio in essa, e quindi nel mondo ma allo stesso tempo fuori da esso. L’uomo tuttavia non percepisce il divino che è in lui finché non comincia la propria rettificazione e il conseguente percorso di ascesa, un riavvicinamento che man mano darà così modo al Creatore di svelarsi. La possibilità di correggerci viene data solo nel regno di Malkuth, ovvero dove le forze impure scaturite dai piaceri del mondo sensibile possono agire, venire comprese, contrastate e trascese attraverso gli insegnamenti della sofferenza, lo studio, la meditazione, fino alla completa catarsi delle passioni, dissoluzione dell’ego e conseguente volontaria obbedienza ai precetti del Creatore. L’uomo è l’unico essere in grado di discernere il male, respingerlo e rettificare così i propri desideri, solo in tal modo potrà ottenere l’intercessione divina, l’unica capace di redimerlo interiormente e che può agire solo previa il consenso dell’umana volontà, quando l’individuo avrà compreso e rifiutato la sua natura egoistica e opposta a quella del Creatore. L’Ineffabie trova piacere nel dare, l’uomo, al contrario, nel ricevere, è infatti questo divario che da Lui ci allontana poiché le affinità dipendono dalle vicinanze spirituali, non fisiche e l’unico modo di reintegrarci è quello di acquisire le qualità divine. “Il nostro cuore è la somma dei nostri desideri egoistici e il piccolo punto che si trova al suo interno è parte del desiderio spirituale e altruistico che vi è stato inserito dall’Alto, dal Creatore stesso. È nostro compito nutrire questo embrione di desiderio spirituale, nella misura in cui possa (lui e non la nostra natura egoistica) determinare tutte le nostre aspirazioni. Allo stesso tempo, il desiderio egoistico del cuore si arrenderà, si contrarrà, appassirà e alla fine scomparirà. Dopo essere nato nel nostro mondo, l’uomo è obbligato a cambiare la natura del proprio cuore da egoistica ad altruistica, mentre vive nel mondo. Questo è lo scopo della sua vita, la ragione della sua presenza nel mondo e lo scopo di tutta la creazione”. (Zohar, la luce della Kabbalah – traduzione e commento del Prof. Michael Laitman). n 39 40 L’ARCOBALENO MISTICO Heru Pha Khered “Non si leggono i testi Ermetici per ottenere informazioni su procedure alchemiche, si leggono per formarsi una mentalità ed una percezione…” Schwaller de Lubicz (1887- 1961) Alla morte di Isaac Newton (1643 – 1727), Alexander Pope (1688 – 1744) scrisse di lui: “la natura e le sue leggi erano sepolte nella notte; Dio disse: che Newton sia! E fu luce ovunque”. Probabilmente Newton non sarebbe stato totalmente d’accordo con l’amico Pope. Seppur vero che sia stato uno dei precursori nella scienza del suo tempo, non dobbiamo dimenticare che prima di tutto fu un grande alchimista, nonché massone, e dunque è mia convinzione che avrebbe rifiutato l’epitaffio in quanto, da alchimista, aveva sicuramente indagato sulla natura e le tradizioni ermetiche che parlavano della luce, nel senso mistico; tradizioni precedenti alla sua nascita e fonte di culture che, in quanto ad alchimia, non avevano niente da imparare. Quando parliamo di alchimia istintivamente la colleghiamo alla ricerca della Pietra Filosofale e ai tre gradi simbolo dell’Opera alchemica: Nigredo, Albedo e Rubedo. Se proveremo ad approfondire le nostre conoscenze, potremmo scoprire che l’Opera in Rosso, da molti esperti ritenuta il culmine dell’alchimia, in effetti non è altro che il punto di partenza per la ricerca mistico-alchemica dell’Oro Interiore. Per poter sperare di arrivare alla sua conoscenza occorre trasmutare moltissimi altri stadi; convenzionalmente quelli, oramai, ritenuti primari sono, oltre ai tre accennati sopra, altri quattro anche se Renè Guenon afferma che non sono sette i colori dell’iride, ma sei (rosso, arancione, giallo, verde, blu e viola). L’indaco è un’aggiunta moderna che potrebbe aver sostituito qualche denominazione più antica e che la sfumatura corrispondente all’indaco sia stata, in una certa epoca, sostituita a un’altra per completare il settenario comune dei colori. (“Simboli della Scienza sacra”, I sette raggi e l’arcobaleno). Ciò non toglie che fin dall’antichità il simbolismo orientale si sia basato su sette colori sui quali hanno basato i principali centri di energia dell’essere umano. Questi sette corrispondono alla scala di gradazione dei colori dell’iride e i precursori nella loro qualificazione furono gli Indiani che in essi fecero corrispondere i sette Chakra principali dell’essere umano e i mistici Arabi dei quali approfondiremo il discorso con questo lavoro. Dunque, per entrare nell’ambito, dobbiamo per prima cosa tenere presente che, sebbene la luce sia il simbolo archetipico della Saggezza, è attraverso la trasmutazione dei vari stadi di luce che possiamo tentare di arrivare allo stadio dell’Oro Interiore; questi stadi, 41 o lunghezze d’onda sono i colori ovvero le tonalità archetipiche delle varie frequenze della luce. Si potrebbe, ovviamente, credere che tutto ciò sia il risultato dell’immaginazione e dunque irreale, ma come vedremo in seguito l’immaginazione allontana dalla meta. Il termine che si dovrebbe utilizzare è “l’immaginale” e anche di questo avremo modo di parlare più avanti. Tornando a Newton che, certamente, aveva nozioni alchemiche superiori a chi scrive, avrebbe trovato un modo più elegante per dare l’incipit a questo Lavoro; la frase messa al principio è il modo più semplice che ho trovato per spiegarmi, e provare a spiegare, l’alchimia mistica della luce e dei colori, dei loro archetipi e di come essi siano stati utilizzati, dalla cultura di cui andrò a trattare, per cercare un mezzo che potesse permettere di arrivare, oltre che alla saggezza, ad essere un tutt’uno con l’Universo o, se vogliamo, col Divino. Alchimia è una parola che deriva dall’arabo - AL CHEMA’- e che significa “il Segreto” o “il Nero” ovvero “il mezzo che vnce l’oscurità e che porta alla Luce”; sembra che questa parola derivi dal termine Kemì, terra nera, ossia il nome che gli antichi egizi davano al loro paese. Era il modo in cui “in quelle terre indicavano quella scienza, o quell’arte che pretendeva di insegnare il segreto di convertire mediante fusione i metalli ignobili in oro, comporre medica- menti atti a guarir tutti i mali e prolungare la vita”. Queste parole appartengono a Giulio Firmico Materno, uno scrittore romano di età tardo imperiale. Forse Giulio Materno, che si era precedentemente convertito al cristianesimo e considerava i culti e i misteri di origine orientale tutte falsità, non aveva compreso l’essenza dell’Al Chemà, ovvero la filosofia mistica attraverso la quale si ricercava l’evoluzione 42 dell’essere umano. L’Islam, la religione dei popoli arabi, non è sempre sinonimo di integralismo; la traduzione del termine significa “sottomissione (a Dio)” o, meglio ancora “Essere Salvato”. Il profeta dell’Islam è Maometto (Muhammad) considerato dai musulmani l’ultimo e definitivo profeta inviato da Dio al mondo intero (dove per mondo intero bisognerebbe intendere Umanità). Dunque la parte mistica dell’Islam, quella che si inSELKIT, teressava della salvezza dell’uomo attraverso la conodea egizia della magia scenza della luce (del Dio invisibile, ma insito nell’Essere), dava un’interpretazione particolare anche al Profeta (la parte mistica dell’Essere) interpretandolo come il mezzo attraverso il quale Dio, insito nell’uomo, gli parlava affinché il profeta (anch’esso parte integrante dell’uomo) manifestasse la divinità all’Uomo. Questo giro di parole vuole soffermare la nostra attenzione su un concetto: il “Mohammad del Tuo Essere”. La spiegazione, per quanto in modo confuso, riportata sopra dovrebbe essere utile a farci comprendere meglio il significato che i mistici dell’Islam davano a questo concetto. Tra coloro che lo utilizzarono i più assidui furono i mistici del Sufismo Iraniano. L’Al Chemà iraniana basa le sue principali forme di spiritualità sul rapporto tra luce e colori attraverso i quali l’iniziato, percependo e facendo propri i vari archetipi delle frequenze d’onda, dovrebbe interiorizzarle traendone “nutrimento per lo spirito” al fine di percepire la Voce di Dio attraverso il “Mohammad del Tuo Essere”. In altre parole si tratta di percepire la “Vita oltre l’esistenza”, o meglio, crescere in spirituale per dare un senso al materiale. La massima espressione per poter comprendere il discorso fatto fino a questo Nasir-al-Mulk-moschea a Fars in Iran 43 punto si trova in un dettame suggerito nel “Ta’Wil”; è un dettame dell’ermeneutica spirituale praticata dagli iniziati dell’Islam. Attraverso di essa si cerca un’interpretazione dei testi classici religiosi che consenta un “ritorno alle origini”, non tanto in senso storico, ma piuttosto trascendente. In questo tipo di ermeneutica si rivolge inoltre particolare attenzione ad un “libro”, quello interiore dell’uomo. In questo caso il Ta’wil si presenta come una vera e propria pratica alchemica che tende ad “occultare l’apparente” per “manifestare il velato”; l’individuo che riesce ad entrare profondamente nel linguaggio di un simbolo è in grado di cogliere il potere “ispirativo” insito in esso. Così facendo è possibile “risalire la corrente”; letteralmente Ta’Wil significa “ricondurre una cosa alla sua fonte, al suo archetipo, alla sua realtà vera”. Ricondurre il tempo tangibile al tempo psichico, quello del mondo dell’anima. Secondo Semnani, un maestro del sufismo, esiste infatti un “tempo degli orizzonti” avente direzione orizzontale, fisico-storica, ed un “tempo del polo” di natura verticale, tendente alla spiritualità in cui può essere attuata l’esegesi spirituale del Ta’Wil. In essa ci si avvale dell’immaginazione spirituale che, a differenza dell’immaginazione orizzontale, tangibile, non costruisce dell’irreale, ma invece “svela il reale nascosto”. Giungendo a quell’origine inconoscibile del simbolo avente propria forma e modello. Atto interiore, quindi, assolutamente sacro, che pone l’essere umano nella condizione di svolgere pienamente il proprio “compito”: quello di ponte di congiunzione e di scambio tra la natura manifestata e la sua radice immanifesta. In questo modo gli archetipi dischiudono la loro intrinseca bellezza, Bellezza Divina se è vero, per usare le parole di Agostino, che questi risultano essere i modi stessi in cui Dio concepisce il proprio logos, e tramite i quali si vengono a costituire i modelli delle cose create. Ma attraverso quale processo l’essere umano può giungere ad un tale traguardo cognitivo-consapevole? Nella meta fisiologia della luce propria del sufismo iraniano si parla di un raggiungimento in similitudine luminosa. Parimenti all’alchimia che vuole il simile “aspirato” dal simile, solo colui che riesce a liberare le proprie “particelle di luce” dalla prigione materiale-arimanica, può sentirsi “aspirato”, cioè attirato, dalla fonte luminosa, suprema, che lo richiama a Sé; solo chi riesce, faticosamente, a porre fine a una visione strettamente materialista del reale può giungere a cogliere quello “spazio spirituale interiore”, spazio che così potrà Operare la personale “invocazione” di Luce. Ogni Simbolo rimarrà decisamente latente se proveremo a conoscerlo solo con la mente e non con l’anima. Come simbolo il colore è sicuramente tra i più ricchi di significati, sia a livello psicologico che spirituale, essendo un fenomeno legato alla luce in quanto una sua espressione 44 qualitativa. I colori si differenziano in cromatici, colori che hanno una personale tonalità e colori acromatici; il bianco, tanto per fare un esempio, è un colore acromatico non esprimendo una tinta, ma inglobandole tutte. La luce del sole è Bianca ed è solo la sua disgregazione nello spettro fa in modo che risultino visibili il rosso, l’arancione, il giallo, il verde, l’azzurro, l’indaco ed il violetto. Anche il nero, esprimendo la totale assenza di luce; e il grigio, frutto dell’unione del bianco e del nero, assumono caratteristica acromatica. Il simbolismo dei colori acromatici, visto in senso strettamente esoterico, tende a scostarsi in modo considerevole da quello degli altri colori. Si potrebbe affermare che i colori dello spettro rappresentano degli archetipi aventi propensione manifestativa, mentre i colori acromatici esprimono degli archetipi “essenziali”, inerenti principalmente al “mistero” intrinseco della luce. Fisicamente la luce visibile è un particolare tipo di onda elettromagnetica che si differenzia dagli altri tipi di onde elettromagnetiche (onde radio, raggi X, ultravioletti, ecc) per il fatto di essere percepita dall’occhio umano. Dunque la luce non è altro che il segno evidente di un processo di trasformazione della materia in cui viene liberata energia (cosa che succede ad ogni tipo di vibrazione energetica). Questo processo può essere chimico (fiamma di una candela), fisico (il fulmine), oppure termonucleare (eruzioni solari). In ogni caso c’è una stretta relazione tra luce ed energia, energia e materia; inoltre la luce presenta un duplice aspetto: ondulatorio e corpuscolare Con il termine ondulatorio si definisce il concetto di continuità, mentre con quello corpuscolare s’intende la “quantizzazione” della luce come aggregato di unità singole chiamate fotoni; le due teorie hanno permesso alla fisica di determinare la distribuzione dei 45 46 fotoni che cadono sopra un corpo in determinate condizioni (nozione d’onda). Se affrontiamo queste capacità della Luce in chiave simbolica, possiamo constatare come l’andamento fisico della luce rifletta un archetipo che unisce in se stesso sia la natura duplice che quella unitaria della luce manifestata. La Tavola di Smeraldo espone in questi termini la creazione del mondo: “La prima cosa che apparve fu la luce della Parola di Dio. Essa dette nascita all’azione, l’azione al movimento e questo al colore”. È la descrizione in Genesi del “Yehi Or” (= La Luce Sia!), una sorta di Luce-Amore divino, dove il colore può essere preso come riferimento alla manifestazione della luce ovvero il Dio-Cristo-Uomo che Jakob Bohme, filosofo e mistico tedesco (1575-1624) cresciuto in ambito luterano, sviluppò in seguito in molte sue opere (“Aurora Consurgens” o il “Rosseggiare del mattino in ascesa” (1620), “Cristosofia o la via a Cristo” (1624) attraverso un suo pensiero: “la luce si libera dal fuoco come il desiderio d’amore si libera dalla volontà di Dio e si fa Uomo”. Lo stesso Bohme era solito dire di sé: “Ho letto un solo libro, il mio libro dentro di me”; era convinto che l’uomo avesse la capacità di comprendere il “mistero di Dio”, da lui concepito come una realtà informe e originaria da cui prendeva vita la creazione mirabilmente descritta nella Tavola di Smeraldo. Dunque il suo pensiero è molto simile al pensiero orientale dove si parla di una Luce da percepire senza “rifrazione”, cioè senza intermediazioni deformanti, per intuizione diretta, - affinché possa aver luogo il “miracolo” dell’Illuminazione -. Appare evidente che i mistici fanno riferimento ad una Luce unitaria che, come pura espressione divina, esprime una forza creativa, onnipervasiva che “riempie di Sé” quello che prima “non c’era”. Ma la luce è paragonabile anche a un’onda che rappresenta l’incessante fluire della vita frammentato dalle forme, dalle creature, da tutte quelle manifestazioni quantitative 47 aventi propria singolarità. Questi frammenti compongono l’aspetto corpuscolare della luce che i fisici chiamano “Quantum”. Anche noi, esseri umani, essendo creature esistenti, rappresentiamo una specie di quantum all’interno dell’”eterno fluire della vita”. Ovviamente quest’onda luminosa e pura sebbene limitata dai fenomeni, al tempo stesso, non ne è soggetta, perché, istante per istante, l’incessante fluire della vita ricrea l’universo; dunque ogni uomo è sempre e continuamente una nuova creazione così come lo è ogni quantum di luce. Si potrebbe affermare che con questa visione l’archetipo luminoso dell’onda diventa espressione dello Spirito, cioè di quella manifestazione del divino avente continuo movimento ed eterno divenire. A questo punto lo Yehi Or diventa il “Respiro dell’Universo”, composto da un flusso continuo di luce e colori, dove possiamo paragonare l’espirazione alla discesa nella molteplicità e l’inspirazione al ritorno all’unità. Attraverso questo fluire l’Essere Umano può scegliere di seguire il percorso verso la reintegrazione oppure no. A seconda della scelta fatta si crea quella differenziazione tra sacro e profano o, se vogliamo esoterico ed essoterico; infatti se i fenomeni, qualunque essi siano, derivanti dal fluire continuo della vita, vengono vissuti dall’essere umano come un assoluto, l’unico aspetto della luce che verrà accettato sarà quello corpuscolare (essoterismo). Si perderà così, necessariamente, quell’”apertura” dell’anima possibile solo in uno stato di “continuo flusso di luce”, dunque ondulatorio (esoterismo). Dobbiamo, tuttavia, considerare la “condizione umana” come assolutamente essenziale per quello che viene definito “stato di illuminazione”; dunque il vivere solo lo stato ondulatorio della luce, privandosi di quello della manifestazione densa, produrrà ugualmente un “danno”: si perde la possibilità di individuazione in “stato d’essere cosciente” propria dell’esperienza apportata dalla manifestazione umana. Nella realtà che ci circonda tutto è apparentemente distinto, separato, molteplice; il superamento di questa dimensione con “pienezza di luce”, ossia da “Essere Risvegliato”, dunque partecipando in piena totalità l’archetipo, ci proietteremmo in quello “spazio nuovo”, dove l’esistenza è proiettata, da quest’onda di luce, sempre in avanti, verso un ritorno all’UNO Unico. L’archetipo della luce, in questa visione, risulta andare oltre i semplici colori, infatti si potrebbe dire che ne è insieme l’origine, la causa, e il raggiungimento ultimo; dunque il colore, per la luce stessa, è definibile come una sorta di qualità in continua evoluzione esperienziale. Se le ipotesi esternate possono avere valore, viene da chiederci perché all’occhio umano è data la capacità di distinguere i colori? E se per la luce stessa il colore è una qualità in continua evoluzione, qual è l’esperienza evolutiva che è chiesta all’essere umano reso capace di distinguere i colori? Non possiamo dimenticare che la maggioranza dei mammiferi possiede una visione cromatica mediocre, se non del tutto assente; mentre altre specie come gli uccelli e gli insetti percepiscono i colori benissimo 48 e alcuni rettili superano la visione umana arrivando alla percezione degli infrarossi. Comunque le risposte alle domande che mi pongo sono forse impossibili da avere; resta ovvio che l’essere umano non è solo in grado di percepire e distinguere attraverso gli occhi le diverse lunghezze d’onda (o frequenze) della luce visibile, ma riesce a trarne “esperienza”, a collocarle cioè su di un piano percettivo-elaborativo L’oriente ci ha portato i più grandi insegnamenti in questa materia fino ad arrivare a valutare la capacità dell’essere umano, attraverso questa percezione-elaborazione, di trarre “nutrimento” dalle varie frequenze luminose (Chakra) a beneficio sia fisico che spirituale; dunque si potrebbe ipotizzare (per non usare affermare) che attraverso la capacità dell’essere umano consapevole (risvegliato) di partecipare totalmente gli archetipi luminosi si raggiunge quella richiesta fatta dal neofita che bussa alle porte del Tempio: “la Luce”. Un altro attributo del colore è la Luminosità (Brillanza) che coincide con la nostra sensazione di cupezza o di chiarezza di un colore rispetto ad un altro; ad esempio potremmo percepire un’impressione di cupezza per un viola od un blu scuro, oppure di brillantezza per un giallo o un verde chiaro. Passando su un piano simbolico possiamo valutare come questo attributo esprima la modalità di rapporto tra il colore manifestato e il suo archetipo: il suo “linguaggio”. I colori di frequenza maggiore (vicini all’ultravioletto, come il blu e il viola) esprimono una comunicazione interiorizzante e intima, mentre le frequenze basse e medie dello spettro visibile la producono aperta e esteriorizzante; naturalmente è una comunicazione simbolica, una suggestione che non proviene dalla sola osservazione razionale; ad essa ci si avvicina attraverso un contatto “intimo”, immaginale; questa comunicazione, facilmente udibile al bambino, finisce per essere dimenticata in età adulta, a vantaggio della concezione razionale e immaginativa. 49 Il Vangelo di Marco spiega in modo tanto semplice quanto profondo questo concetto nel momento in cui leggiamo: “Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”.(Marco 10, 13-15). Nel Pensiero mistico iranico-islamico, l’immaginale corrisponde ad una reale facoltà dell’anima. Facoltà sottile d’intermediazione tra le percezioni che derivano dal mondo sensibile e quelle che provengono dal mondo spirituale inintelligibile. Il suo “luogo” manifestativo è il “mondo di mezzo”, il mondo animico, secondo la Kabbalah, della Sephirah Malkut. L’immaginale non è l’immaginazione che, al contrario fa parte esclusivamente della razionalità; si potrebbe definire una sua elaborazione per lasciare una “valvola di sfogo” ai contenuti desiderati o repressi dell’essere umano adulto; dunque la nostra fantasia potrebbe creare delle immagini attraverso le quali l’uomo varca quel confine legale imposto dalla morale, ma noi, seppur potremmo provare uno sfogo a quello che definiamo “tabù”, nemmeno per un attimo pensiamo che queste immagini possano elevarsi alla realtà. I bambini invece lo fanno. Spesso le loro “produzioni immaginarie” si sostituiscono al reale oppure si mescolano ad esso. Il margine tra il mondo raziocinante (logico), e quello immaginativo (fantastico), è per loro ancora fragile sul piano emotivo e, solo crescendo, piano piano, questi due mondi cominceranno a trovare una loro collocazione unitaria, separata, riconoscibile. Il simbolo, l’archetipo, riunisce questi due mondi nell’attuale, creando un ponte di contatto tra il mondo immaginario e quello reale. L’essere umano, l’individuo percepisce questi due mondi in modo del tutto personale, quindi ogni uomo ha la sua visione di ciò che è reale e ciò che è fantasia; ma l’Iniziato, il Risvegliato che è riuscito attraverso il simbolo a riunire i due mondi non è più di fronte alla fusione infantile, bensì ad un ricongiungimento cosciente, evoluto tra essi. L’immaginale simbolico della filosofia mistica iranico-islamica rappresenta questo scambio, questo “mondo di mezzo” espresso in un ambito divino imperscrutabile all’essere umano e, tuttavia, a lui indispensabile in quanto conduce i “Valori del Reale”, percepiti da ognuno in modo diverso, ad assumere un significato mistico in un piano interiore pur sempre personale. Questo processo simbolico che trasforma dunque l’immaginale in valori intimi, in seguito, li veicola (o dovrebbe veicolarli) a manifestarsi sul piano reale non più come immagini fantastiche, ma elaborate intimamente dalla nostra parte divina, pura, come mezzi di evoluzione nel continuo flusso vitale; quel “Respiro del- 50 l’Universo”, lo Yehi Or ovvero il ritorno al Verbo divino, alla Luce primordiale. L’approccio con gli archetipi dei colori della luce procede sempre per fasi conoscitive, che si susseguono, relative al livello mistico interiore raggiunto, ma non dobbiamo scordare che per raggiungere o cercare di raggiungere un certo tipo di livello occorre uno sforzo di volontà. Comunque, la vibrazione congiunta ed essenziale degli archetipi dei colori e l’interiorizzazione degli stessi, da parte dell’Iniziato, potremmo considerarla come lo stadio finale dell’Opera conoscitivo-trasmutativa del colore identificabile nello stato Aureo dell’alchimia; l’Oro filosofale raggiunto, il compimento della Grande Opera; la trasmutazione di tutti gli stati coscienziali, i metalli della condizione materiale, in consapevolezza completa (Oro/Luce). Dunque potrei azzardare che l’Oro interiore, questo stadio finale, corrisponde ai colori dell’Arcobaleno che, come ho detto, sono con-vibranti con quei centri energetici interiori che, comunemente, si definiscono Chakra. A conferma di questo, oltre al sufismo iranico, troviamo nella Bibbia: “E Dio disse: - Ecco il segno del patto che io faccio tra me e voi per tutte le generazioni a venire. Io pongo il mio arco nella nuvola, e servirà da segno del patto fra me e la terra.” (Genesi,9:12-13). “L’arco dunque sarà nelle nuvole, e io lo guarderò per ricordarmi del patto perpetuo fra Dio e ogni essere vivente. E Dio disse a Noè: - Questo è il segno del patto che io ho stabilito tra me e ogni carne che è sulla terra -”. (Genesi,9:16-17) Quindi potrei affermare che un Iniziato deve corrispondere ad uno stato interiore che convibra con i sette colori dell’Iride (il patto tra Dio e l’uomo), e questo stato corrisponde al “Mohammad del Tuo Essere” del sufismo iraniano, o allo Yehi Or ebraico. Dall’utilizzo del simbolo del colore, come metodologia di indagine e di successiva, eventuale trasmutazione coscienziale, saremo in grado di operare una autovalutazione che, se sincera, potrà fornirci preziose indicazioni sul nostro “reale stato evolutivo”. 51 L’obiettivo dell’Iniziato è aspirare ad essere “Uomo di Luce”, una luce mistica composta dai sette colori energetici principali che, amalgamandosi in perfetta armonizzazione, riflettono l’Oro Filosofale. L’Uomo che si realizza opera quella condizione di interezza, la reintegrazione, tra materialità e spiritualità, quel cammino che lo riporta alla sua origine divina. Fatto questo, constatando quanto siamo più o meno “lontani” dall’ottenimento “dell’Arcobaleno Interiore”, spetterà a noi, alla nostra “volontà di ascesa”, di “bussare alla porta”. A conclusione di questo lavoro spero sia più chiaro a noi tutti il compito iniziatico che abbiamo assunto e, se così sarà, anche certi passaggi dei nostri Rituali acquisteranno un valore diverso. Potremmo percepire, considerando la nostra condizione di Eterni Apprendisti, con maggior consapevolezza alchemica il passaggio del Rituale Massonico che avviene durante l’iniziazione a Libero Muratore: Maestro Venerabile: “Fratello Primo Sorvegliante che cosa chiedete per il Candidato?” Primo Sorvegliante: “La Luce, Maestro Venerabile” Maestro Venerabile: “Che sia data la Luce al terzo colpo del mio maglietto!” … wajj’omer ‘elohim jehi ‘or wajjehi ‘or … “Il Saggio dopo aver scalato il Sentiero dell’Arcobaleno e aver trovato l’Unità, varca la Porta e inizia la Vera Vita”. (Anonimo) n 52 LA RICERCA DI DENTICE D’ACCADIA SULLA FILOSOFIA ECONOMICA E SULLA MISTICA PALOMBIANA Howard Mat La ricerca di Antonio Dentice d’Accadia sull’economista Giuseppe Palomba è l’apripista per un campo inedito e inesplorato, la regione filosofica in cui convergono amalgamandosi due scienze da sempre credute inconciliabili: l’economia e il sacro, con una raffinatezza e completezza logico-dialettica ben distante dal semplicismo moralista. Il lavoro entusiasma da subito per l’originalità e pretende maggiore attenzione man mano che dispiega inconsuete particolarità e l’evidente genialità eretica di un pensiero ancora all’avanguardia che ha sconcertato e disorientato gli altri economisti del Novecento. L’autore della ricerca ci offre dettagliata argomentazione degli sviluppi riguardanti anche le prossime pubblicazioni e chiarisce dei punti in ombra anticipando alcune evoluzioni. Si studia e commenta il pensiero economico e filosofico di Giuseppe Palomba (1908, Caserta - 1986, Napoli) tra i massimi scienziati italiani del Novecento e caso particolarissimo. Egli era nel contempo il legittimo discendente della scuola economica di Vilfredo Pareto (attraverso Luigi Amoroso) e il massimo rappresentante in Italia del mistico e sufo Frithjof Schuon (a propria volta figlio iniziatico di Guénon). Non ci riferiamo a un personaggio minore del secolo scorso, ma a un pilastro del mondo accademico italiano (ha insegnato nelle Facoltà di Catania, Napoli e Roma), socio delle più importanti istitu- Il Dott. Antonio Dentice d’Accadia, autore della ricerca citata 53 54 zioni (i Lincei, la Tiberina, la Pontaniana, ecc.) e premiato da ben due Presidenti della Repubblica (Pertini e Leone). Palomba ha scritto una trentina di opere con la particolarità straordinaria di essere una sintesi sincretica e inter-disciplinare tra scienza economica, sociologia, filosofia e scienze sacre. In tale quadro il mondo accademico si offre interfaccia del mondo spirituale. Le numerose opere dell’economista (ormai quasi introvabili) costituiscono un corpus disorganico dalla lettura assai complessa. Ad esempio nella “Morfologia economica” si inizia dai principi taoisti (Yin-Yang) e attraverso la storia economica e la sociologia del Pareto ci si riconduce al significato della moneta nel rapporto simbolico tra umano e divino. In Palomba il tutto è espresso anche attraverso un linguaggio fisico, matematico e geometrico rendendolo ostico non solo per l’ampio pubblico, ma anche per gli studiosi del settore costretti a transitare per i concetti orientali (tra Nirvana, Samsara, Satori, buddhità, ecc.) al fine di coglierne le riflessioni strettamente scientifiche. La ricerca di Dentice d’Accadia si pone come bussola e sintesi organica di tutto il pensiero palombiano, rendendolo chiaro e assimilabile anche dall’ampio pubblico e mostrandone l’attualità in due principali applicazioni: il metodo economico e la formulazione filosofica. Il lavoro dell’autore si esprime in due pubblicazioni del 2013: “Giuseppe Palomba. Tra scienza ed esoterismo” (Tipheret Editore) e “L’economista Giuseppe Palomba. Metafisica dell’economia” (Bonanno Editore). Altri due volumi sono in corso d’opera, il terzo riguarderà la filosofia mistica di Palomba nel suo periodo finale e il quarto lavoro definirà l’organizzazione categoriale del pensiero economico e sociale. Le quattro opere costituiranno il pilastro fondamentale per la comprensione della totalità palombiana godendo alla base di una imponente collaborazione: economisti, scienziati, teologi, letterati, sufi, iniziati alle correnti orientali, occidentali e latine (tant’è vasto Palomba). Già soffermandoci al puro pensiero economico ci troviamo di fronte a una vera e propria “anomalia” concettuale. Esso è la “terza via” che passa marginalmente al pensiero liberista di Vilfredo Pareto e alle osservazioni anticapitaliste di Marx e li abbraccia tutti cercandone congiunzione. Spingendoci oltre si arriva a quello che Dentice d’Accadia definisce il “paradigma fondamentale”: la dimensione economica è un modo di essere di quella politica e la dimensione politica è a propria volta un modo di essere della dimensione sacro-metafisica. É lo studio del trascendente nella storia economica cercando soluzioni alle attuali problematiche. 55 I principali campi di ricerca di Palomba sono: l’etica dell’economia e la filosofia economica, la sociologia, la storia economica, il rapporto tra fisica-matematica-economia e la filosofia-mistica come antiporta per la metafisica. Discendendo nel cuore del sistema economico si spalancano le porte di una concezione spirituale dalle proporzioni insolite. Ecco che vi troviamo nozioni legate alla Via Cardiaca del Martinismo, al setaccio del Buddhismo, alla gerarchia Induista, al Taoismo, ai processi alchemici, all’estasi del Sufismo, ai principi massonici e tutto è infine ricondotto a una personalissima visione della mistica del Cristianesimo. Dentice d’Accadia attraverso gli scritti di Palomba ci descrive il percorso raccontato dallo scienziato. Egli ha iniziato dal puro studio accademico per impelagarsi nella crisi scientifica ed economica. Erano tramontati l’Homo oeconomicus, il principio utilitaristico e i principi smithiani. In questo scenario di profondo malessere e di disorientamento Giuseppe Palomba si dedicava allo studio di tutte le religioni con l’intenzione di comprendere l’uomo nella propria totalità con la necessità di estendersi ben oltre il razionalismo. Dalle religioni era passato allo studio dell’esoterismo (diventando massone e martinista) e per un periodo della sua vita si era convertito all’Islam iniziandosi al Sufismo nella Tariqua del Maestro Schuon. Palomba era tornato al Cristianesimo dopo una intesa “esperienza spirituale” rimanendo comunque il massimo rappresentante in Italia di Schuon. Nel ritorno al Cristo egli portava con sé tutte le nozioni, le connessioni e il bagaglio iniziatico appreso nei vari percorsi generando un proprio sistema spirituale che faceva da base alle espressioni scientifiche. Volendo muovere alcuni esempi della formulazione di Palomba troviamo: 1) la tripartizione spirituale dell’essere umano (Corpo, Anima e Spirito) a ispirare le correzioni della residualità nella sociologia del Pareto; 2) i principi della termodinamica connessi alla teologia di Teilhard de Chardin e alla dialettica filosofica; 3) l’analisi tensoriale applicata sia alla mistica che al rapporto tra aree iper e ipo-sviluppate con un occhio particolare per il Meridione e i problemi della globalizzazione; 4) gli operatori matriciali nei processi iniziatici; 5) gli archetipi planetari alchemico-ermetici che 56 definiscono le categorie della sociologia palombiana nella “Regressione verticale delle intenzioni estetiche”; 6) la critica a Marx e Nietzsche nella differenza tra “psichismo” e “maggiore spiritualità”; 7) la dialettica materialista integrata nella Teoria della meta-argomentazione; 8) il programma di riunificazione geometrica di Felix Klein coniugato con la filosofia Buddhista di Nagarjuna; 9) I Trigrammi di Fo-Hi alla base del “Libro dei mutamenti” letti anche in chiave dell’Estetica dell’arte; 10) il ragionamento in termini di “economia euclidea e non euclidea” per indicare le falle nel ragionamento scientifico proiettato all’iper-razionalismo slegato dalla concreta fenomenologia sociale. Nel volume del 2013 “Giuseppe Palomba. Tra scienza ed esoterismo” Dentice d’Accadia in seguito a un particolare sigillo ritrovato nell’ex-archivio privato dell’economista ha ipotizzato un qualche collegamento tra Palomba e l’Ordine Osirideo Egizio. L’autore ci anticipa che in seguito al risveglio dell’A:.O:.E:. e alle informazioni ricevute da UNAS (attuale Pontefice Massimo) il terzo volume riporterà anche due integrazioni rilevanti: 1) la differenza tra la commissione di controllo (Ordine Osirideo Egizio) e l’Antiquus Ordo Aegypti; 2) la conferma del collegamento tra Giuseppe Palomba e l’Ordine, nel senso che l’ascendente Nicola Palomba fu alla guida dell’A:.O:.E:. dopo Vincenzo di Sangro (figlio del fondatore Raimondo) e favorì la sopravvivenza dell’Ordine insignendo della Patente di 90° l’ufficiale francese Gad Bedarride (i cui figli costituirono in Francia il “Rito di Misraïm”). In seguito alle prime due pubblicazioni di Dentice d’Accadia sono nate numerose iniziative in Italia (basate sulla ricerca), tra cui una tesi universitaria alla Facoltà di Economia di Capua (Seconda Università degli Studi di Napoli), una tesi all’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Nola “Duns Scoto”, la costituzione dell’archivio on-line “Giuseppe Palomba”, le lezioni all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, all’I.S.S.R. “San Pietro” di Caserta e numerosi convegni tra la Lombardia e la Campania. Parliamo di un pluri-iniziato la cui ascendenza familiare influenzò rilevanti assetti storico-internazionali nel campo spirituale e che ha percorso numerose dottrine orientali e occidentali trovandosi a organizzare un nuovo pensiero pretendente inedite soluzioni politico-economiche. Il focus dell’economista si spostava gradualmente nei seguenti termini: società iniziatiche, gli iniziati e gli auto-iniziati man mano che si ricollegava alla matrice cristiana. Al centro del percorso c’è l’Uomo vissuto come Universale oltre la limitazione razionale e irrazionale, nello studio del sacro e della trascendenza come presupposto d’ogni mutamento sociale. L’ipercritico René Guénon “nonno iniziatico” di Palomba addirittura ha scritto: «Ci felicitiamo vivamente con il professor Palomba per il coraggio di cui dà prova reagendo così, in pieno ambiente universitario, alle idee moderne e ammesse ufficialmente, e possiamo solo consigliare la lettura del suo libro a tutti quelli che si interessano a questi problemi e conoscono la lingua italiana, poiché ne trarranno grande profitto» (Recensioni, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1981, pag. 97).n 57 58 IL MITO DELL’ILLUMINISMO Igneus Ogni generazione reinterpreta la storia secondo le sue particolari ideologie predominanti e secondo le pulsioni del presente, che pur avendo radici in ogni lontanissimo passato ha alcune sue specificità, secondo la forma che la società umana ha assunto. Nella storia del pensiero e degli accadimenti umani difficilmente si può determinare ciò che è veramente originale in un determinato periodo storico. Forse le idee fondamentali dell’umanità sono presenti nel contempo in ogni era e solo il più lungo permanere od il più rapido tramontare di alcune di loro forma l’essenza di un’epoca. Fra tutti i miti che l’umanità ha conosciuto il più incerto è certamente quello d’evoluzione e progresso, che partendo da parametri precostituiti è arrivato fino alla nostra epoca. Oggi quei parametri sono soggetti a dubbi e ripensamenti ed il mito esaltato ai primi del secolo con il “ballo Excelsior” mostra la rada trama con cui stato tessuto. L’unico metro di giudizio certo è sempre e comunque l’uomo e noi non possiamo purtroppo ipotizzare che vi sia stato un ulteriore miglioramento da quando l’umanità, con la razionalità e l’auto-coscienza, scoprì il suo io, perdendo però così quelle superiori qualità d’istintualità ed intuività che ancora ricerca con inconscia nostalgia. Tutto ciò che di primitivo, bestiale, crudele, accusiamo negli uomini di un lontano passato è ancora presente in quelli d’oggi, paradossalmente assieme a tutte quelle meravigliose qualità quasi divine che i più arcaici testi del passato ci hanno tramandato. 59 Ben poco sappiamo di là da cinque/seimila anni di storia, ma ciò che possiamo intravedere ci dimostra l’assoluta omogeneità dell’uomo di ieri con quello dell’oggi, sia nei suoi lati negativi che in quelli positivi. Ciò che ha caratterizzato la nostra era è soprattutto l’attesa messianica di una società razionale e più giusta attraverso l’evoluzione della coscienza del rapporto sociale e quella tecnico scientifica. Questa speranza, spillante da svariatissime fonti confluite da ogni secolo nel XVIII, è ciò che si chiama illuminismo. Per quanto questa richiesta di razionale umanesimo sia stata sempre presente nella storia del pensiero umano, solo alla metà del diciottesimo secolo diventa una filosofia elitaria che si fece strada fra i più larghi strati borghesi della società fino ad arrivare alla coscienza popolare. LA FILOSOFIA ILLUMINISTA E LA MASSONERIA Per quanto sia necessario nel nostro contesto esaminare brevemente l’illuminismo di per sè, la nostra domanda fondamentale riguarda essenzialmente la storia della Massoneria. La Massoneria si è identificata effettivamente in questo movimento di pensiero? Ha ideato realmente alcune operazioni politiche e sociali per l’affermazione di questi ideali ? Si può affermare intanto che, curiosamente, il mito della massoneria complottante per gli scopi illuministi - il che, d’altro canto, non può che renderci onore - ci proviene proprio dagli avversari della Massoneria, che negli anni della Restaurazione le si scagliarono con violenza contro attribuendogli sia il complotto rivoluzionario che gli eccessi di questo. Caratteristico di questa critica politica e religiosa alla massoneria è il prudente rispetto portato alla massoneria inglese, che non è mai attaccata (al contrario è lodata) per i suoi pur tiepidi contributi politici all’illuminismo, dato l’appoggio dato alla contro-rivoluzione dai monarchi inglesi e nonostante il suo essere fondamentalmente protestante. Quando il Barruél critica nella massoneria continentale il cosiddetto “segreto” che indicava nella predicazione dell’uguaglianza e della libertà (come supporto al rovesciamento dei troni e degli altari) salva il “buon senso” della massoneria inglese quando afferma: ”I Massoni inglesi, per la più parte, non riconoscono che i primi tre gradi; fuori dell’imprudente interpellanza sull’obbedienza al Gran Maestro dell’Ordine, non vi ha che la spie- 60 gazione giacobina sull’uguaglianza e sulla libertà, che rende il loro segreto pericoloso. Il buon senso degli inglesi ha fatto loro rigettare questa spiegazione. Ho pure inteso parlare di una risoluzione, presa dai loro primari Massoni, di scacciate tutti coloro che cercano di introdurre l’uguaglianza e la libertà dei rivoluzionari”. In realtà l’Inghilterra fu la patria d’origine dell’illuminismo. Isaac Newton (16421727) n’è considerato il padre, assieme a Locke (1632-1704). Sir Newton, scienziato e filosofo, pur codificando il pensiero scientifico sperimentale della scuola italiana, ebbe l’intuizione che si poteva applicarlo anche all’uomo. Questa metodologia di nuova conoscenza umana non comportò in Newton, come poi nei più radicali illuministi, una posizione anti-metafisica, dati anche i suoi interessi teologici (arianesimo) ed alchemici, ma nei successivi elaboratori delle sue premesse filosofiche (Toland, Collins e Tindall) la tradizione metafisica e quella reliLocke giosa sono duramente criticate. Nasce qui la concezione deista della “ragione” naturale come solo Newton criterio per stabilire la validità della ragione e della morale. Da queste premesse nasce il rifiuto delle religioni rivelate, dei dogmi, dei misteri, dei miracoli e soprattutto della necessità di “intermediazione” ecclesiastica fra l’uomo ed il piano divino. I deisti ammettono soltanto che Dio esiste, che l’universo è una sua creazione, che in un’altra vita un premio attende i buoni ed un castigo, i cattivi. Si può affermare senza ombra di dubbio che questi principi illuministi sono nel contempo quelli della riforma massonica d’Anderson e Desaguliers, quando statuiscono l’adesione alla religione naturale, (...la religione nella quale tutti gli uomini convengono...) la Desaguliers Anderson 61 credenza in un Grande Architetto dell’Universo non altrimenti definito e nell’immortalità e nella trascendenza dell’anima. Nelle nostre attuali concezioni il concetto filosofico di Fratellanza sembra comportare in sè quello d’uguaglianza, ma è dubbio che in una società dove il maggiorascato produceva effettive disuguaglianze anche fra i fratelli carnali, questo potesse diventare un concetto sociologico. Per quanto riguarda l’altro gran pilastro massonico, quello della libertà, i pragmatici Landmark d’Anderson escludono la possibilità che l’Ordine possa esser comunque coinvolto in tentativi d’eversione sociale, e predicano la sottomissione ai poteri civili, ma non esclude in alcun modo dalla Fratellanza i membri che si ribellino alle autorità. Da questa fraterna solidarietà morale ai Fratelli non graditi al potere, pur senza compromettere l’Ordine nella benevolenza dei governanti, deriva quella sublime ambiguità psicologica del massone, che sa essere conservatore nei periodi rivoluzionari e rivoluzionario nei periodi di reazione. La Massoneria inglese ha preteso e pretende tuttora la primogenitura latomistica dalle Logge che nel XVIII secolo costituirono a Londra una Gran Loggia. Ma quest’ipocrita cecità storica nei confronti della secolare latomistica continentale non vela tuttavia l’originalità della riviviscenza massonica inglese del 1717. Quest’originalità consisté nel distacco dalla tradizione di sottomissione religiosa al cristianesimo che caratterizzava ogni confraternita di mestiere da tempo immemorabile, non tanto a favore del movimento protestante, come spesso si è Emmanuel Kant detto, ma a favore di un deismo astratto e filosofico che si era appena affacciato alle soglie del pensiero europeo assieme a dei primi concetti di libertà nella ricerca della conoscenza. Queste idee, che i primi illuministi inglesi limitavano al piano razionale della ricerca etica, scientifica e teologica, senza eccessivi sconfinamenti socio-politici, proprio per la relativa libertà e giustizia che godevano nella liberale Inghilterra, ebbero un’ulteriore evoluzione fra i “Philosophes” continentali. L’Aufklärung tedesco, che è ritenuto decisamente minore, essendo meno radicale di quello inglese e francese, ha al contrario, per la storia del pensiero esoterico, un’importanza maggiore. Le correnti di pensiero che il ciclo storico del XVIII secolo comportava, in Germania furono mediate ed equilibrate dal permanere dell’interesse tedesco per la metafisica, a causa del Wolff carattere nordico contrassegnato dalla fermezza spirituale e dalla società più tradizionalmente gerarchica. Già in Christian Wolff (1679-1754) le due vie per giungere alla conoscenza sono 62 esclusivamente l’esperienza e la ragione, ma l’intelletto non è rivolto solo al potere sul reale, ma ad ogni “possibile”, quindi anche al campo della metafisica dove l’uomo, senza intermediari, può arrivare alla conoscenza sovrasensibile. Inoltre, l’esperienza e la ragione non sono volte ad una catarsi di tipo sociale, ma al miglioramento, individuale e collettivo dei “costumi”. Questo concetto ha influito profondamente sull’essenzialità massonica che considera la catarsi etica e sociale dell’umanità non tanto nell’evolversi della società quanto dell’umanità per mezzo dell’uomo, non nell’espressione d’ideologie transeunti quanto in quelle di una spiritualità che trova nell’interiorità umana i soli mezzi necessari. Ancor più l’illuminismo di Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) si confonde con quello insito nella Massoneria quando afferma che l’essenza della religione consiste nella morale, in quanto l’uomo è stato fatto per l’azione, non per escogitare sofismi, e per la natura, quindi la migliore religione rivelata o positiva è quella che contiene il minimo d’aggiunte convenzionali alla religione naturale. Da ciò deriva che tutte le religioni positive e rivelate sono quindi ugualmente vere ed ugualmente false. Con Lessing la Lessing metafisica della Massoneria ha il suo contraltare con il dubbio, che assume esso stesso una valenza metafisica, com’espressione di quel Nulla o Zero o Uno o Tutto in cui consiste l’indefinibile piano divino. L’uomo non può raggiungere nella sua limitatezza la verità assoluta e definitiva. La verità non può consistere nel suo stesso possesso, ma solo nella sua ricerca, quindi l’uomo ricerca e non possiede la verità. L’illuminismo razionalista, da cui discesero poi il materialismo ed il positivismo, qui superato da una visione metafisica in cui non vi è più l’esaltazione della sola ragione, ma il ricorrere ad un’intelletto superumano che solo può sorpassarle. Il celebre passo di Lessing, che espone questo concetto, rappresenta la forma più profondamente massonica dell’illuminismo: “Se Dio tenesse chiusa nella sua mano destra tutta la verità e nella sua mano sinistra unicamente il sempre vivo amore per la verità, benché con l’aggiunta di andar errando sempre ed in eterno, e mi dicesse scegli! Io mi precipiterei con umiltà alla sua sinistra e direi: Padre, dammi questo! La pura verità è riservata soltanto per te!” In Lessing è ancora caratteristica quella “passione” per l’uomo che l’illuminismo tedesco trasferì poi nella cultura europea attraverso il Romanticismo, padre di tutti i miti moderni. Un caso a parte rappresenta Fichte la cui “Filosofia della Massoneria” ha dei caratteri più preromantici che illuministici e che meriterebbero una più ampia trattazione. In Francia gli Illuministi trasferirono con più decisione il ricorso alla ragione nella causa della libertà ed inserirono nella storia gli elementi determinanti della rivoluzione americana prima e di quella francese ed Fichte europea poi. La diretta appartenenza massonica di alcuni fra i maggiori illuministi francesi ci porta poi ad ulteriori considerazioni sul mito dell’illuminismo massonico così come si creò durante la restaurazione europea. 63 64 IL MITO DELL’ILLUMINISMO MASSONICO Per quanto vi siano delle affinità sostanziali fra la filosofia dell’illuminismo, in particolare quello tedesco e i principi della massoneria, non è esatto assimilare completamente questa a quelli. La Massoneria si lega al piano storico attraverso dei principi etici fondati sull’uomo e sull’umanità che questi dovrebbe raggiungere perfezionandosi. Ma la sua essenzialità conosce dei principi metafisici che esulano da qualsiasi filosofia e ideologia contingente, rivolgendosi ad una metastoria in cui gli avvenimenti umani sono solo dei simboli d’avvenimenti cosmici ed universali che superano qualsiasi classificazione ideologica o filosofica. É proprio dal suo essere portatrice di valori superiori a quelli puramente religiosi o politici che deriva la secolare denigrazione dell’Ordine. Il mito dell’illuminismo massonico, visto in chiave negativa, fu usato dai suoi avversari, come appoggio della restaurazione europea dopo l’immane conflitto sociale ed ideologico portato dalla rivoluzione. Per quanto accusata di aver cospirato contro il trono e l’altare, di aver preparato e compiuto la rivoluzione, la Massoneria aveva in tal senso solo alcune responsabilità morali in quanto aveva propagato idee d’eguaglianza e libertà che non erano appannaggio del solo secolo XVIII, ma sono state un patrimonio ideale d’ogni epoca e lo saranno purtroppo ancora per molto, in quanto la sola evoluzione materiale e tecnologica dell’umanità non è sufficiente alla sua rigenerazione totale. Nell’arco temporale della rivoluzione la Massoneria era in totale crisi, in quanto i suoi membri erano dispersi in ogni fazione, aristocratica, moderata o giacobina che sia. I Fratelli si ghigliottinarono a vicenda senza alcuna remora, seguendo la propria passione 65 politica e le proprie Nessun complotto, nessuna finalizzazione comunitaria poté in realtà portare ad un’azione massonica comune, nemmeno per salvare i Fratelli dal carnefice. L’Abate Barruél ed i suoi emuli fecero opera d’efficace contro-informazione, per usare un termine moderno, confondendo alcuni termini, come illuminismo, illuminati ed illuminati di Baviera che fra di loro, in realtà, avevano ben poco in comune. Pur nella limitatezza di questa breve ricerca, che avrebbe in realtà necessità di maggior approfondimento, si può cercare di definire nella loro realtà storica l’essenza contrastante di questi termini, per contestarne l’interessata assimilazione. GLI ILLUMINATI OD IL REALE ILLUMINISMO MASSONICO . Queste pratiche che sono nate all’alba dell’umanità e che sono e saranno sempre presenti, si basano su dei procedimenti metafisici super-razionali che sono forse il contrario del procedimento illuminista filosofico, che respinge la metafisica in quanto sfuggente alla ragione. Tali procedimenti, incomprensibili alla rozzezza del potere politico e religioso, comportano la liberazione interiore e la libertà esteriore e sono sempre stati quindi invisi alla tirannia ed alla prevaricazione di coloro che per scopi personali ricercano il controllo assoluto della società. Per quanto la politica e la religione in tale contesto non abbiano alcuna importanza ideologica o teologica, chiaramente la necessità fisica e morale della sopravvivenza dei suoi adepti presuppone l’esistenza di una società libera ed evoluta. Alla libertà interiore necessitando quindi la libertà esteriore molto spesso gli illuminati hanno operato anche storicamente e socialmente, senza che per questo in ciò si possa intravedere quel complotto che gli alfieri dell’assolutismo ipocritamente affermano. L’Abate Barruél in particolare cita, a sostegno delle sue tesi, due Ordini illuministici, le cui finalità sono in realtà opposte, quello degli Illuminati di Baviera e quello Martinista. Il primo fu una setta che propugnava l’eversione sociale ed il comunismo e che solo impropriamente si chiama massonico, in quanto cercò di copiare ed usare le strutture dell’Ordine per le proprie finalità. Il secondo fu introdotto in Francia, su patente degli Stuart, da Martinez de Pasqually de las Casas, che propagò prima a Bordeaux un sistema massonico chiamato dei Supremi Giudici Incogniti o dei Filosofi Incogniti, basato su pratiche teurgiche di tipo magico-rituale e kabbalistico, cui aderirono notevoli personaggi far cui Louis Claude de Saint Martin, Bacon de la Chevalerie e Jean Baptiste Willermoz, che a loro volta fondarono dei sistemi analoghi. D’origine Martinista e di particolare importanza massonica fu il Rito Scozzese Rettificato di Willermoz, che riuscì ad inglobare nella più ortodossa massoneria la Stretta Osservanza Templare di Von Hund, che in un certo qual modo rappresentava la volontà egemonica della massoneria tedesca su quella europea. L’importanza politica del Martinismo, al di fuori di quella interna alla Massoneria, era inesistente ed i suoi scopi esulavano da qualsiasi tipo d’eversione sociale. La motivazione delle assurde accuse del Barruél poteva 66 consistere soltanto nell’odio per la sua metafisica, che ritorceva come una specie d’apologia segreta dell’empietà e della ribellione. Riportiamo un passo della sua “Storia del Giacobinismo” solo per far notare la veemenza calunniatoria e l’interpretazione surrettizia delle dottrine Martiniste per i consueti scopi denigratori e di controinformazione: “Io però ricavo la sua dottrina (del De Saint Martin) ed il suo grande oggetto dei suoi scritti, da quello che ne ha fatto l’Apocalisse de suoi seguaci, nella sua famosa opera “Degli errori e della verità”. Io so quanto costa il decifrare gli enigmi di quest’opera tenebrosa; ma conviene bene aver per la verità la costanza, che i suoi seguaci hanno per la menzogna. Vi vuol pazienza per discoprire tutto il complesso del codice Martinista fra il gergo misterioso dei numeri e degli enigmi. Risparmiamo per quanto possibile, Von Hund questa fatica al lettore. L’eroe di questo codice, il famoso Saint Martin si mostri all’aperto; ed ipocrita al pari del suo maestro egli non sarà più che un vile copista delle inezie dello schiavo eresiarca, generalmente noto con il nome di Manete. Con tutti i suoi raggiri egli non conduce meno i suoi seguaci negli stessi sentieri e loro ispira il medesimo odio agli altari del cristianesimo e al trono de’sovrani, ed ancora d’ogni governo politico.” In questo brano si sintetizza tutta la verità antimassonica di quell’epoca e non solo di quella. La preoccupazione dei denigratori dell’Ordine non deriva che da un solo elemento, il mantenimento del controllo sociale da parte delle due tirannie: quella politica e quella religiosa, che sono a volte contrapposte ma purtroppo molto spesso unite. La Massoneria, sia nei suoi concetti filosofici che in quelli metafisici, è comunque portatrice di libertà, indipendentemente dalla sua azione che solo in alcuni periodi storici relativamente recenti è stata politica. É il suo portare nei propri geni questo principio etico essenziale, che porta a sua volta in sè la tolleranza per l’altrui libertà e la fraterna “passione” per l’uomo, ciò che unisce Massoneria ed Illuminismo al là dei miti creati dall’odio e dall’intolleranza, ma anche di là dalla storia e della filosofia, in quel piano metafisico dove si pone l’infinito ed indefinibile Grande Architetto dell’Universo. n 67 68 LA LUCE Yohannes Nell ‘iniziazione al grado di Apprendista, ad un certo punto del rituale, il Maestro Venerabile chiede al profano: “che cosa volete da noi?” ed il profano risponde: “La Luce...”. Nel Tempio massonico, tre sono le luci; il Maestro Venerabile, il Primo ed il Secondo Sorvegliante. Durante lo svolgimento del Rito, il Maestro Venerabile, come è detto nel rituale: ‘sedendo all ‘Oriente per dirigere i lavori, istruisce i fratelli con il lume della propria scienza muratoria ‘. Pertanto, da Esso, posto sotto il simbolo di Minerva fluisce, in direzione del Primo e del Secondo Sorvegliante, quella sapienza, luce di saggezza, che poi di rimando viene riflessa in direzione dei Fratelli posti tra le colonne di Settentrione e di Mezzodì, rispettivamente, gli uni sotto il simbolo di Ercole: il vigore, e gli altri sotto il simbolo di Venere: la bellezza. Quindi, dall ‘osmosi del vigore, espresso come forza di volontà, con la bellezza, intesa come bellezza dei pensieri, si perviene al sentire, cioè ai “pensieri del cuore” e di cui l ‘Ara, posta al centro della stella a cinque punte, determinata dal moto generato dalle forze inizialmente emesse dal Maestro Venerabile, né è l ‘“Atanor “, il crogiolo. Stella a cinque punte, proiezione orizzontale dell ‘uomo con le braccia e le gambe divaricate rappresentante il vero Tempio da erigere alla Gloria del Grande Architetto dell ‘Universo. Sull ‘Ara, come già detto, al centro della stella e quindi dell ‘uomo, sono poste le Sacre Scritture e su di esse e precisamente sul Prologo del Vangelo di Giovanni, giacciono la squadra e il compasso. Al versetto 4 e seguenti del Prologo è detto: In lui era la vita E la vita era la luce degli uomini: la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l ‘hanno accolta. Come dunque pervenire alla Luce? Come ritrovare perciò la Vita? La luce che noi tutti vediamo, e cioè la luce solare, non è che un simbolo, visibile ad Oriente alle spalle del Maestro Venerabile. Simbolo della vera Luce che l ‘uomo è sempre sul punto di vedere, 69 ma che al momento di coglierla la perde, e questo perderla e ciò che lui vede come luce fisica e come conseguenza vede le cose; pertanto egli vede le cose ed il mondo mediante il morire della Luce stessa. La Luce è la sostanza essenziale, la matrice e l ‘essere segreto delle cose e degli enti; la materia che noi fisicamente vediamo, è apparenza e quindi tenebra; tenebra dominata dalla Luce. La Luce incontrando la materia, cade, si dona, sacrificandosi ad essa perché possa avvenire la sua resurrezione: pertanto le cose illuminate dalla luce del sole sono sempre sul punto di riaccendersi della Luce originaria. L ‘uomo nel guardare cerca sempre la Luce, e tutto ciò che coglie con lo sguardo è il momento del risorgere della Luce; della Luce però che sul punto di risorgere muore; muore come Luce del mondo, per cui egli vede forme e colori e non la Luce, la Luce vera. Ne consegue che il morire è sempre il fluire ulteriore della vita; per cui l ‘Io, dimentico di avere in sé il principio della vita, teme la morte: deve conoscere la morte dell ‘irreale, cioè della materia, della tenebra a cui l ‘anima si vincola, per conoscere se stesso. L ‘uomo per sperimentare le forze della vita, per ritrovare la vita che durante la sua esistenza non percepisce, ma che conosce soltanto nei suoi effetti sensibili, deve sperimentare la morte per comprendere alfine che chi muore non è lui, ma il suo supporto. Deve quindi attraversare la tenebra, portarsi oltre la tenebra stessa per conoscere la Luce. Ecco perché il profano durante l ‘iniziazione procede attraverso serie di momenti 70 di morte oltre i quali risorge; ma perché ciò avvenga realmente e non virtualmente, è necessario all ‘Io attingere quelle forze di vita che ogni giorno esso è, e senza le quali non sarebbe; deve perciò compiere l ‘Opera al nero della tradizione ermetica, cioè deve sprofondare con l ‘lo nel mondo dell ‘essere primordiale, che è il senso della discesa all ‘inferno di Dante. Ma qui sta la grande difficoltà, a causa della perenne contraddizione in cui l ‘uomo vive: egli infatti, evita di essere l ‘Io che sostanzialmente è, pur tuttavia usando le forze dell ‘Io per le sue necessità esistenziali. Guardando ciò che esiste, non sa darsi una spiegazione: se osserva le proprie idee, i propri pensieri che produce movendosi incontro alle cose per conoscerle, sente che essi giungono da una zona ignota; ma questa zona ignota può essere scoperta. Questa zona ignota è nell ‘uomo e sta a lui giungervi indagando in se stesso - l ‘Opera al nero di cui si è detto - senza paura di superare con la forza del volere e la bellezza del pensare, i limiti del pensiero stesso, per aprirsi, una volta pervenuti al sentire del cuore, a ciò che è oltre tali limiti, bruciando al fuoco ridestato nell ‘Atanor le scorie della sua personalità, del sé individuato, volendo donarsi oltre esso per amore del proprio essere: che è essere il mondo, le cose, gli altri oltre il proprio io, la Saggezza fluente, la Luce, la Vita, 71 74 il Logos solare, l ‘Amore. E questo è il senso ultimo della vita, l ‘evoluzione dell ‘umano-terrestre sino alla capacità di fondare con le forze redente dell ‘Io il Cosmo dell ‘Amore. C ‘è chi ha affermato quanto segue: “l ‘uomo è la meta delle Gerarchie, ciò che deve essere realizzato è l ‘uomo voluto dagli Dei”. Ma per compiere tutto ciò, ricordiamoci che saremo soli, soli con noi stessi, e nessuno potrà aiutarci; questo è l ‘unico momento in cui un muratore, pur alzando le proprie mani sopra la testa e esclamando “A me Figli della Vedova!”, non vedrà accorrere nessuno. A∴G∴ D∴ G∴ A∴ D∴U∴ Dai ‘Quaderni di Simbologia Muratoria ‘, Ivan Mosca, a cura del G.O.I. (pag. 50 e 51) 73 GLI UFFICIALI E DIGNITARI COLLOCATI NEI 12 SEGNI ZODIACALI COLLOCAZIONE ANALOGICA DEI 12 DIGNITARI E UFFICIALI La Terna di Fuoco, come si rileva, ha le seguenti corrispondenze: Ariete – M. Ven.; Leone - l° Sorv.; Sagittario – 2° Sorv. La Terna di Acqua: Cancro - M. delle Cerim.; Scorpione - 2° Esperto; Pesci - Ospitaliere. La Terna di Aria: Gemelli – Oratore; Bilancia - Copr. int.; Acquario - Segretario. La Terna di Terra: Toro – Tesoriere; Vergine – 1° Esperto; Capricorno - Grande Esp. Terribile. Ciò significa che al di là della collocazione fisica di Ufficiali e Dignitari in Loggia, è analogicamente deducibile una “collocazione interiore” per ognuna delle 12 funzioni citate. Ogni Fratello Maestro, quando sia chiamato a ricoprire una carica, oltre a svolgere quanto ad essa è inerente in base alle Costituzioni e ai Regolamenti, può enucleare inte- 74 riormente lo “stato di coscienza” e la qualità energetica propri del segno zodiacale sotto il cui presidio analogico si colloca. COLLOCAZIONE ANALOGICA DEI 12 DIGNITARI E UFFICIALI Nel Tempio, senza confonderla con la collocazione fisica ed effettiva, la collocazione interiore del 12 Ufficiali e Dignitari può essere così raffigurata per essere analizzata, sia pure con accenni. n 75 78 LEGE. LEGE. RELEGE. ORA ET LABORA Eliael Nel suo recente libro “ALCHIMIE, ce qu‘en disent les adeptes...” Frédéric Garnier offre, da vero Saggio, una chiave sul modo di indagare i segreti dell‘Alchimia. Ne forniamo qui alcuni brevissime sequenze, che non necessitano di commento, e che fanno pregustare la lettura dell‘intero testo (ARQA éditions/les petit livres de la Sagesse). In un prossimo numero di MIZR presenteremo un lungo articolo di Eliael su questo tema, di cui egli è uno studioso molto noto. L‘alchimia è un ambito di conoscenza ermeticamente chiuso ai profani, come continuamente dichiara la maggioranza dei trattati classici. Artéphius si esprime senza mezzi termini: “Si ignora che la nostra è un‘arte cabalistica? Cioè misteriosa e destinata esclusivamente alla trasmissione orale. Povero imbecille! Come puoi credere che t‘insegneremo alla luce del sole il più grande dei segreti? Ti garantisco che, se qualcuno volesse spiegare il segreto dei filosofi con il senso letterale delle parole, s‘intrappolerebbe nei meandri di un labirinto, da cui non potrebbe mai uscire perché non dispone del filo d‘Arianna che lo guida”. É anche vero che alcuni generosi adepti possono hanno fornito alcune indicazioni sul modo di espugnare la fortezza degli ermetisti e di scoprire il segreto dell‘alchimia. Messer Bernardo Conte della Marca Trevigiana (più noto come Bernardo Trevisano), nel trattato “Filosofia Naturale dei Metalli”, mette in guardia da ciarlatani e falsi alchimisti - che vediamo ancora oggi spasmodicamente indaffarati a produrre CD, DVD, libri, conferenze, seminari: “Diffidate dai falsi alchimisti e dai loro seguaci. Quello che per caso voi potreste scoprire nei vostri libri, essi si sentirebbero in dovere di metterlo in piazza tra menzogne e falsi sacramentari, e giunti al punto, non sapendo cos‘altro dire, pronuncerebbero la fatidica frase: “Io l‘ho fatto, è così”. Io dico che, se non prendi le distanze da costoro, è difficile che tu possa ricavarne qualcosa di buono, perché, quello che i trattati ti danno da una parte, questi ciarlatani t‘impedirebbero di raggiungerlo con le loro affermazioni e i 77 loro discorsi. E, Mon Dieu! io stesso, quando ricevetti queste Scienza, la conobbi almeno due anni prima di poterla realizzare, e prima ancora di sperimentarla e di metterla in cantiere. Ma come ho già detto, quando casualmente venivo avvicinato da questi ciarlatani, detestabili pendagli da forca, e dalle loro chiacchiere per farmi deviare dalla giusta via scoperta nei trattati, essi giuravano e spergiuravano che quelle cose non erano vere. Proprio a me, che conoscevo la verità e che, nel mio furore l‘avevo già sperimentata come tale. Ma non potevo di conseguenza rivelare le mie opinioni. Li lasciavo là, dove si trovavano, e mi dedicavo sempre di più allo studio della materia, perché, chi vuole imparare deve frequentare i Saggi, non i parolai. I Saggi, da cui puoi apprendere qualcosa, sono i libri...” La congiura degli imbecilli, dei ciarlatani e dei Saggi ha avuto un perfetto successo. Questo complotto aveva lo scopo di nascondere la verità. Gli uni e gli altri hanno servito questa grande causa, ciascuno con i propri mezzi: gli imbecilli con l‘ignoranza, i ciarlatani con la menzogna, i Saggi con il segreto. “Lavora dunque con coraggio, figliolo, prega Dio, leggi assiduamente i testi, perché in un libro troverai la chiave per aprire il successivo. Pensa bene a questo”. [Arthéphius]. n (Rec. Antares) 78 LA PRIMA DONNA INIZIATA AD UN RITO EGIZIO ELEONORA PIMENTEL FONSECA Maathor Eleonora (Anna Felicia Teresa) de Fonseca Pimentel Chavez è stata poetessa, scienziata, intellettuale, giornalista, patriota: una delle figure più rilevanti della breve e sventurata esperienza della Repubblica Napoletana del 1799. Nata “marchesa” muore da rivoluzionaria sul patibolo di piazza del Mercato a Napoli, vittima della vendetta di Maria Carolina e di Ferdinando di Borbone. È il 20 agosto del 1799, le armate del Cardinale Ruffo hanno riconquistato la città, il breve tentativo repubblicano è ormai terminato e dinanzi alla marmaglia festante di lazzari e ai corpi esamini degli altri condannati, privata della possibilità di essere ghigliottinata in quanto nobile, prima di essere impiccata pronuncia la frase «forsan et haec olim meminisse juvabit» (forse un giorno gioverà ricordare tutto questo). Nasce a Roma il 13 gennaio 1752 da Don Clemente Henriquez de Fonseca Pimentel Chavez de Beja ed ha 8 anni quando, a causa delle frizioni tra Portogallo e Stato della Chiesa, le famiglie Lopez e Fonseca si trasferiscono a Napoli. Un’educazione straordinaria le permette di essere accolta, giovanissima, nei migliori salotti napoletani. Poetessa di grande valore, nel 1768 scrive il poema epico “Il tempio della gloria”, così perfetto da essere ammessa nell’Accademia dei Filateti con il nome di Epolnifenora Olcesamante, e poi a quella dell’Arcadia col nome di Altidora Esperetusa. A sedici anni era già una stimata studiosa di scienze matematiche e fisiche, di filosofia, economia e diritto pubblico; scrisse sull’abolizione della chinea e contro il feudalesimo, ed espose persino progetti di riforme economiche. Affascinata dalla poesia del Metastasio, Eleonora ebbe con il poeta ormai settantaquattrenne uno scambio epistolare. Lo stesso Voltaire, anche lui corrispondente con Eleonora, le dedicherà alcuni versi databili intorno al 1775 («Beau rossignol de la belle Italie/[…]/ Auprès de vous à Naples il va se rendre/ S’il peut vous voir, s’il peut vous entendre/ Il réprendra tout ce qu’il a perdu»). Giornalista di grande rigore, tenne a battesimo la "Repubblica" e, quando a Napoli si formò la Repubblica Partenopea, per cinque mesi scrisse accesi articoli in cui sferzava violentemente i borbonici sul giornale rivoluzionario repubblicano il "Monitore Napoletano", convinta assertrice dell’uguaglianza dei diritti dei cittadini e della necessità di educare la plebe e di migliorarne le condizioni. All’arrivo della flotta francese a Napoli, nel dicembre 1792 per il riconoscimento della neonata Repubblica francese, Eleonora è tra gli ospiti dell’ammiraglio Latouche Treville unitamente, tra gli altri, a Carlo Lauberg, Emanuele De Deo, Antonio Jerocades; è probabile che l’attenzione poliziesca sulla De Fonseca si sia appuntata anche a seguito di tale frequentazione, ma di certo già nel 1794 il suo nome risulta iscritto tra i “rei di Stato” per aver parteggiato per un tentativo di rivolta giacobina interrotta con la condanna a morte dei colpevoli (tra cui il sopra citato Emanuele De Deo). Già bibliotecaria della regina Maria Carolina d’Asburgo-Lorena, con lei aveva tuttavia frequentato i salotti degli illuministi napoletani, in un primo tempo sostenuti dalla stessa sovrana. Tra questi, particolare fondamentale è la conoscenza e la frequentazione con gli eredi spirituali del principe de Sangro 79 che porteranno Eleonora Pamintel - prima donna in assoluto - ad essere iniziata nel 1792 alla Massoneria di Rito Egizio (l’AOE, l’Antiquus Ordo Aegypti , fondato nel 1747 da Don Raimondo) e divenendo perciò membro della Loggia La Perfetta Unione. Ma tali attività non sfuggirono alla polizia borbonica che, sicura della sua partecipazione a riunioni segrete, la fece sorvegliare da spie governative che la colsero in flagrante, trovando le prove della colpevolezza in una sua corrispondenza epistolare. E così, nel 1798, fu arrestata e condotta nelle Carceri criminali della Vicaria, esattamente nella prigione del Panaro, che raccoglieva tutti i criminali, dalla quale uscirà solo un anno dopo per essere poi nuovamente imprigionata insieme ad altri Fratelli appartenenti all’Antiquus Ordo Aegypti. Su pressioni di un eminente esponente della Chiesa Apostolica Romana (il Cardinale Ruffo di Calabria), furono tutti processati fretEleonora Fonseca Pimentel tolosamente e, nonostante avessero avvocati valenti, fusaluta i suoi Fratelli, assassinati rono riconosciuti rei di tradimento. Tra gli altri illustri sul patibolo, prima della sua esecuzione nella piazza del mercato di Napoli. personaggi spiccano Gennaro Serra, Giuliano Colonna, (Illustrazione di Tancredi Scarpelli Francesco Caracciolo, Mario Pagano, Domenico Cirillo e apparsa su “Storia d'Italia il principe di Torella, tutti martiri della Perfetta Unione. narrata al popolo” da Paolo Giudici, Salì per ultima al patibolo: “Morirono de’ più noti Ed. G. Nerbini, 1929) del regno…e furono dell’infelice numero Caraffa, Riario, Colonna, Caracciolo… ed altri venti d’illustre casato; a fianco dei quali si vedevano uomini chiarissimi per lettere o scienze… e donna rispettabile la Pimentel…”(‘Storia del reame di Napoli’, Pietro Colletta). Era il 20 agosto 1799. Se la “Perfetta Unione”, e quindi la Libera Muratoria Egizia, ebbe dagli eventi del 1799 un colpo quasi mortale, pur tuttavia il Deposito Egizio riuscì a sopravvivere: due giovani adepti alla Muratoria Egizia riuscirono infatti a fuggire all’estero. Erano Domenico Bocchini e Orazio De Attelis, marchese di Sant’Angelo. n Domenico Battaglia, “perquisizione in casa di Eleonora Pimentel Fonseca” 80 TRADUZIONE DI UN TESTO EGIZIO INTAGLIATO SULLA PORTA DI UN ANTICO E SACRO SITO Finalmente ho raggiunto il MIO traguardo e risolto il segreto della MIA anima: io sono QUELLO a cui rivolgevo le preghiere, QUELLO a cui chiedevo aiuto. Sono QUELLO che ho cercato. Sono la stessa vetta della MIA montagna. Guardo la creazione come una pagina del MIO stesso libro. Sono infatti l’UNICO che produce i molti, della stessa sostanza che prendo da ME. Poichè TUTTO è ME, non vi sono due, la creazione è ME STESSO, dappertutto. Quello che concedo a ME stesso, lo prendo da ME stesso e lo do a ME stesso, l’UNICO, poichè sono il Padre ed il Figlio. Quanto a quello che voglio, non vedo altro che i MIEI desideri, che sgorgano da ME. Sono infatti il conoscitore, il conosciuto, il soggetto, il governante ed il trono. Tre in UNO è quello che sono e l’inferno è solo un argine che ho messo al MIO stesso fiume, allorchè sognavo durante un incubo. Sognai che non ero il SOLO unico e così IO stesso iniziai il dubbio, che fece il suo corso, finchè non mi svegliai. Trovai così che IO avevo scherzato con ME stesso. Ora che sono sveglio, riprendo di sicuro il MIO trono e governo il MIO regno che è ME stesso, il Signore per l’Eternità.