MIZR 008-2016

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MIZR 008-2016
Direttore responsabile: Mauro Cerulli
MIZR é uno strumento di divulgazione
interna che presenta studi
sul Martinismo, la Libera Muratoria
e lo Gnosticismo.
Comitato scientifico: Fabrizio Fiorini
Luizio Capraro
Arrigo Gareffi
Antonino Bonanno
Vincenzo Malatesta
La raccolta (che non ha periodicità
ed é riservata ai soli membri della
Associazione Culturale MIZR)
non é in vendita
e può essere stampata in proprio
scaricandola gratuitamente.
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Pertanto non può essere
considerata una testata giornalistica
o un prodotto editoriale ai sensi
della legge n. 62 del 07.03.2001.
Apis - Editoriale
Pag. 1
ADM - La putrefazione
dell’anima: la Nigredo
Pag. 6
Anamji - Via Mistica
e Via Operativa
Pag. 18
Desfedam - Il Maestro Passato
ERAT, EST
Pag. 24
Hathor Go-Rex - Le qualità delle
Sephirot
Pag. 30
Heru Pha Khered - L’Arcobaleno
Mistico
Pag. 40
Howard Mat - La ricerca
di Dentice d’Accadia sulla
filosofia economica e sulla
mistica palombiana
Pag. 53
Igneus - Il mito
dell’ Illuminismo
Pag. 58
Yohannes - La Luce
Pag. 68
Eliael - Lege. Lege. Relege. Ora
et Labora
Pag. 76
Maathor - La prima donna
iniziata ad un rito egizio:
Eleonora Pimentel Fonseca
Pag. 79
Calendario Operativo 2016
Anno 2 - n. 8 - settembre 2016
EDITORIALE
Apis
Coloro che, alacremente, e mai deviando dal solco della Tradizione Perenne, Una ed
Indivisibile, lavorano per la riedificazione del Tempio dell’Uomo sanno che, inevitabilmente,
nonostante gli immancabili ostacoli che le forze avverse della contro-iniziazione porranno
sul loro cammino, i loro sforzi verranno premiati. Se le forze oscure operano, avendo una particolare fortuna in quest’epoca degenerata, allo stesso modo operano anche le Forze della
Luce le Quali ben conoscono torti e ragioni, indipendentemente dagli sforzi dialettici e dalle
falsità che intorbidiscono il c.d.“mondo esoterico”attuale. Chi vive nella Luce, inevitabilmente,
incontra e riconosce Coloro che compiono lo stesso cammino e che sono animati dai medesimi principi, dalla medesima logica e che perseguono gli stessi obbiettivi.
Così, il 9 luglio 2016 i Gran Jerofanti delle quattro Obbedienze della Libera Muratoria
Egizia del Mizraïm-Memphis, che vantano una LEGITTIMA discendenza dal Primitivo Sovrano Santuario“Superum”dell’Antico e Primitivo Rito Orientale di Mizraïm e Memphis, fondato a Venezia nel 1945 dal Fratello Marco Egidio Allegri, grazie alla unione delle Linee del
Memphis di Parigi-Palermo e del Mizraïm di Napoli-Venezia da Egli detenute nella Sua veste
di Gran Conservatore di quelle Filiazioni, si sono fraternamente e in forma Rituale incontrati
dando vita alla Federazione Massonica Internazionale dei Riti Egizi. Ciò vuole essere, in un’ottica futura, il primo passo verso una auspicabile riunificazione della Vera e Regolare Libera
Muratoria Egizia in un’unica coesa e numericamente rilevante Struttura mentre, nell’immediato, tale iniziativa si ripropone di operare nell’ottica di una difesa del Lascito Iniziatico della
Libera Muratoria Egizia contro i molti, troppi “mercanti nel Tempio” ed i vecchi e giovani impostori e avventurieri che offendono, sviliscono e depauperano la luminosa Via Egizia attraverso
la creazione di obbedienze “farlocche” e prive di qualunque legittimità Tradizionale ed Iniziatica.
Proprio grazie agli Illustrissimi Fratelli firmatari del Trattato di Costituzione della “Federazione
Massonica Internazionale” che pubblichiamo qui di
fianco, che hanno generosamente messo a nostra disposizione i loro ricchissimi archivi, ci è stato possibile
dare alle stampe il secondo volume dei Riti Egizi (essendo il primo stato pubblicato dalla casa editrice Mimesis nel novembre 2014) che sarà disponibile in
libreria tra poche settimane, e nel quale viene finalmente (e riteniamo DEFINITIVAMENTE) fatta chiarezza sul mondo, spesso nebuloso, della Libera
Muratoria Egizia.
Sempre nell’ottica di voler ristabilire la chiarezza e la verità nel panorama iniziatico contemporaneo, è stato pubblicata, il 14 luglio del 2016 dalla casa
editrice Jouvence, la prima traduzione italiana completa del libro di Saint-Martin“Eclair sur l’Association
humaine” (scritto dal Filosofo Incognito nel 1797,in
piena Rivoluzione ); il testo di Saint-Martin, brillan-
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temente tradotto dal nostro Direttore responsabile, avv. Mauro Cerulli, è preceduto da un
lungo saggio introduttivo, a cura dello scrivente Apis, dall’emblematico titolo di:“Louis Claude
de Saint-Martin e il Martinismo, alcune chiarificazioni necessarie”. Ne riportiamo l’inizio allo
scopo di far comprendere ai nostri affezionati lettori quale scopo ci ripromettiamo:
«Senza voler pretendere di trasformare questo saggio introduttivo in un vero e proprio libro
nel libro, riteniamo indispensabile chiarire alcuni punti essenziali relativamente al Martinismo, via
che seguiamo da ben 37 anni e nella quale abbiamo ricevuto la tremenda responsabilità di una Gran
Maestranza; questo unitamente ad alcuni cenni sulla personalità e sulla dottrina di colui a cui il
Martinismo si ispira e che ha concepito quest’opera immortale, ancorché molto poco conosciuta in
Italia. (...) Le chiarificazioni promesse risultano essere indispensabili dal momento che la Via Martinista è attualmente, per diversi motivi storici che vedremo, nei limiti del possibile, di approfondire,
non completamente chiara neppure a coloro che la seguono e che, addirittura, pretenderebbero di insegnarla ad altri. La maggior parte di coloro che si rivolgono all’esoterismo, infatti, lungi dal comprendere che soltanto lo studio e la pratica operativa rende l’Essere Umano diverso rispetto alla sua
ordinaria condizione di “uomo dei cinque sensi”, ritiene che, affidandosi passivamente a personaggi
che appaiono forti ai loro occhi soltanto perché urlano di più, possa essere compiuto quel cammino
di Ri-Generazione e di Re-Integrazione che è il fine ultimo del nostro transito terrestre.
In relazione a quanto abbiamo appena detto ci risulta appropriato inserire un brano scritto
dallo stesso Saint-Martin e contenuto nel suo libro forse più famoso, ovvero l’”Homme de Desir”:
“Non dite, mortali, che la vostra sete di verità vi è data solo per supplizio. La verità non punisce, migliora e perfeziona. La saggezza non punisce, istruisce. L’amore non punisce, prepara
con dolcezza le sue vie. E come potrebbe l’amore punire? Ecco, mortali, ciò che costituisce
l’essenza del vostro Dio. La saggezza non lascerebbe entrare in voi dei desideri veri, se non
avesse messo in voi anche dei mezzi sicuri per soddisfarli. Essa è la msura stessa, e non opera
con voi che in questa misura.
Ma voi, giudici imprudenti e insensati, voi turbate tale misura nei deboli mortali! Se
cominciate troppo presto a fare da maestri, non offrirete loro che dei frutti precoci o rubati, che finiranno per farvi confondere. Se esaltate troppo le
loro idee, darete loro dei desideri anticipati e pericolosi. Se piegate il loro spirito sopra delle cose
composte, farete sorgere in loro delle difficoltà traviatrici. Saggezza, saggezza, solo tu sai dirigee
l’uomo senza fatica e pericolo, nelle tranquille gradazioni della luce e della verità. Tu hai preso, come
tuo organo e tuo mediatore, il tempo; egli insegna
tutto, come te, in modo dolce, insensibile e conservando perennemente il silenzio, mentre gli uomini
non ci insegnano niente, con la loro continua ed
eccessiva abbondanza di parole.”
Riteniamo che tutti, ed a maggior ragione coloro che
si dicono martinisti, dovrebbero riflettere con molta attenzione su queste parole! Viceversa molti ritengono che
bastino due-tre anni di Martinismo, spesso praticato in
contesti discutibili, per ritenersi qualificati, in barba
agli ammonimenti del Filosofo Incognito che abbiamo
appena riportato, per fare da “maestri” a coloro che si
avvicinano al Martinismo e, comicamente, costoro pre-
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tenderebbero perfino di insegnare a chi ne sa molto più di loro, avendo percorso la Via Martinista
per diversi decenni ed in contesti ben più qualificati; le dinamiche del web e l’eccesso, quindi di
“stimoli informatici in ambito esoterico”, spiegano la particolare e gravissima situazione di confusione
in cui si dibatte oggi il Martinismo italiano. É cosa del resto nota che in quest’epoca buia la controiniziazione impera ed i falsi maestri abbondano come, profeticamente, ha scritto Renè Guenon in
“Iniziazione e Realizzazione Spirituale”:“Quel che aumenta ancor più la difficoltà, è che coloro
che pretendono di essere guide spirituali senza avere alcuna qualificazione per svolgere questa
funzione, non sono mai stati tanto numerosi come ai giorni nostri; e il pericolo che ne deriva
è tanto più grande quanto, di fatto, questa gente presenta in generale facoltà psichiche molto
potenti e più o meno anormali, il che non solo non prova niente dal punto di
vista dello sviluppo spirituale, anzi abitualmente è piuttosto un
indice sfavorevole, ma per di più è suscettibile di creare illusioni, e di imporle a tutti quelli che non sono abbastanza accorti da saper fare di conseguenza le
necessarie distinzioni.
Non si starà dunque mai abbastanza in guardia contro questi falsi
istruttori, che altro non possono se non
fuorviare quelli che si lasciano sedurre, i
quali dovranno ritenersi fortunati se non
succederà loro niente di peggio che perder
del tempo; che poi siano dei semplici ciarlatani, come attualmente ce ne sono
anche troppi, o che siano essi stessi
illusi ancor prima di illudere gli
altri, ciò non modifica assolutamente le conseguenze e anzi, in un
certo senso, quelli che sono più o meno completamente sinceri (perché anche qui possono
esserci diverse gradazioni) sono forse ancor più pericolosi per la loro stessa incoscienza. Si
aggiunga, ammesso che ce ne sia bisogno, che la confusione tra psichico e spirituale, disgraziatamente così diffusa fra i nostri contemporanei come in tante occasioni abbiamo denunciato, contribuisce largamente a rendere possibili i peggiori equivoci a questo proposito; se in
più si tiene presente l’attrattiva dei supposti“poteri”, e il gusto ai“fenomeni”più o meno stra-
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ordinari che vi si associano quasi inevitabilmente, si avrà nella fattispecie una spiegazione abbastanza completa del successo di
certi falsi istruttori.
Vi è tuttavia una caratteristica grazie
alla quale molti di costoro, se non tutti, possono essere riconosciuti abbastanza facilmente; e, benché si tratti in definitiva di una
conseguenza diretta e necessaria di tutto
quanto abbiamo costantemente spiegato a
proposito dell’iniziazione, non crediamo inutile di fronte agli interrogativi che negli ultimi
tempi ci sono stati posti riguardo a diversi
personaggi più o meno sospetti, precisarla in
modo ancora più esplicito. Chiunque si presenti come istruttore spirituale senza essere ricollegato ad una forma tradizionale determinata, o senza conformarsi alle regole da questa stabilite, non può avere veramente la qualità che si attribuisce; può essere, a seconda dei casi,
un volgare impostore o un “illuso” che ignora le reali condizioni dell’iniziazione; e in quest’ultimo caso, ancora più che nel primo, c’è da temere che sia troppo spesso, in definitiva,
niente più che uno strumento al servizio di qualcosa che egli stesso forse non sospetta neppure. Altrettanto possiamo dire (e questa caratteristica si confonde del resto necessariamente
in una certa misura con la precedente) di chiunque abbia la pretesa di dispensare indiscriminatamente un insegnamento di natura iniziatica ai primi venuti, ivi compresi dei semplici
profani, trascurando la necessità, come condizione prima della sua efficacia, del ricollegamento
ad un’organizzazione regolare, nonché di chiunque proceda secondo metodi non conformi a
quelli di qualsiasi iniziazione tradizionalmente riconosciuta. Se si sapessero applicare queste
poche indicazioni, e ad esse ci si attenesse sempre strettamente, i promotori di“pseudo-iniziazioni”, di qualsiasi forma rivestite, si troverebbero quasi immediatamente smascherati.“»
Proprio allo scopo di voler portare luce, ordine e verità dove regnano tenebre, confusione e menzogna, e preso atto della REALE natura di molte c.d.“Strutture Martiniste”italiane
il giorno 5 novembre 2016 celebreremo, in compagnia di alcuni Gran Maestri che riteniamo
essere l’espressione delle più autentiche e genuine Forze del Martinismo Italiano, un Convegno interamente dedicato a Gèrard Encausse (Papus) Fondatore del Martinismo contemporaneo. Recenti e poco felici esperienze ci suggeriscono di bandire nel modo più assoluto,
l’ipotesi di qualunque “sovrastruttura” del
resto aliena allo spirito dell’autentico Martinismo, ma riteniamo che debbano essere delineati alcuni punti fermi ed irrinunciabili allo
scopo di salvaguardare l’identità Martinista
impedendo che essa venga inquinata da dottrine, elementi, tecniche, personaggi, che con
il Martinismo, come codificato ed esposto da
Papus e dai Suoi Successori NULLA hanno a
che fare. n
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La Nigredo è un termine latino che significa colore nero o nerezza e denota, in alchimia,
la fase al Nero della Grande Opera, cioè il passo iniziale nel percorso di creazione della pietra filosofale, quello della putrefazione e decomposizione. È il primo momento, il più cruciale (simboleggiato da un corvo nero), in cui occorre "far morire" tutti gli ingredienti alchemici,
macerandoli e cuocendoli a lungo in una massa uniforme nera.
Il nero contiene inoltre un rimando all’etimologia stessa del termine Alchimia, in quanto
antica scienza sacerdotale egizia: uno dei significati di questa parola è, infatti, «terra nera» (alkimiya) come quella inondata dal Nilo.
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LA PUTREFAZIONE DELL’ANIMA:
LA NIGREDO
ADM
Io son metallo e non ho forma alcuna
Anzi ho tutte le forme e son miniera
Traggo dal Sole in ciel l’origin vera
Mi alimenta sotterra ognor la Luna
Qui al centro dell’acqua ho la mia cuna
Là nel centro del fuoco è la mia sfera
Esco lucido spirito in veste nera
Nudo corpo son preso all’aria pura
Pietra son, ma se m’apri io volo in vento
Vento son, ma se chiuso in Piombo ho male
Vapor se fervo, se m’agghiaccio argento
Oh miracol dell’arte, ella se vuole
Io di Fuoco che son, Acqua divento
D’Acqua mi cangio in Sal, di Sale in Sole
(Francesco Maria Santinelli, Sonetti alchemici)
La trasformazione del vile metallo in oro le fasi alchemiche del processo di cottura che finivano nella trasformazione della materia grezza in pietra filosofale e mercuriale, erano le premesse di cui si servivano gli alchimisti per sublimare la materia, la
physis, e infondere il Nous Primigenio.
La realizzazione dell’opus era per l’alchimista un percorso pregno di motivi simbolici: in tali si narrava del combattimento con un pericoloso drago, metaforicamente
la prima materia da cui l’alchimista esploratore veniva ingoiato oppure aveva la meglio
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su di esso ma non prima di venir morso
dal lupus o dal leone, averli combattuti,
ed aver condotto a nozze chimiche la
regina, antico simbolo della luna passionale ed incestuosa in regale coniunctio con il fratello sole adolescente, re e
infante.
Tutto il processo di queste nozze
chimiche era la trasformazione dei metalli, un percorso psichico che avveniva
nell’adepto, il creator del processo. Se
poi l’ignis della nigredo veniva trasformato in argentum vivum, nello sfondo
dell’acqua permamens sgorgata dalla
fontana mercuriale, simbolo di trasformazione e rinnovamento, ma anche di
avvelenamento ed intossicazione, il
tutto stava a identificare questa trasformazione alchemica con la duplice natura del mercurio: evasivo, pericoloso, ma anche
panacea dei peccati della materia.
Il Sol niger, o Sole nero, lo stato inconscio della materia dovrà attraversare le fasi
alchemiche di putrefactio, decomposizione, imbiancamento ed albedo per poi trasformarsi all’alba della rubedo o rosso porpora ed al tramonto nella fase della rebis, sposare
la luna-Regina nelle nuptiae chymicae e compiere alla fine di quest’avventura, quel Selbst
della totalità ermafrodita rappresentata da Re a due teste, il filuis regis.
Quel mercurio evasivo e pericoloso, quel drago Ouroboros della prima materia
non era altro che il lapis della luce mercuriale e volatile dello Spirito, lo spiritus il cervus
fugitivus. É per questo che gli alchimisti usano il motto: aurum nostrum non est aurum
vulgi. É chiaro che per “Oro” si intendesse la realizzazione di qualcosa di incorruttibile,
di immortale e di perennemente luminoso come, appunto, sono le
qualità dell’oro tra i metalli. Ma ciò che spesso ripetono gli alchimisti, soventemente, è che l’origine di questo “Lapis Occultum” è sicuramente di “misera” ed “infima” natura (“...la pietra che i costruttori
hanno scartato è diventata testata d’angolo...”).
Il lavoro alchemico è quindi basato tutto sulla purificazione e rettificazione di questa materia, dissolvendone il “corpo” e materializzandone lo “spirito”.
La materia si dissolve putrefacendosi e si realizza in tre fasi: Soluzione; Putrefazione; Distillazione.
L’adepto deve lottare contro la sua stessa natura, contro le leggi da
cui è composto, contro l’essenza stessa del suo istinto di sopravvivenza.
É la fase della scomposizione, la fase della morte, di tutto ciò che
è struttura, ditutto ciò che è identificazione e, apparentemente, individualità.
É una fase di abbandono, in cui l’apprendista si ritrova a dover
morire continuando a vivere.
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É un processo che richiede Forza e Volontà.
Da qui il suo accostamento alla fase di “Putrefazione”, fase in cui la materia
perde la sua linfa vitale e marcisce nell’oscurità della fredda terra.
Il corpo è sciolto nel Mercurio e putrefatto da Saturno, divinità del tempo, per
finire poi distillato nel flusso di Giove.
“Nigredo”: è il volto nero di Iside (Nigra sum sed formosa), dea delle trasformazioni, madre di Horus, il Dio (Oro) Luminoso, che testimonia la Vita poiché dalla
morte di Osiride, il dio nero (il cui corpo fu diviso in 13 pezzi, proprio
come il numero della tredicesima lama dei tarocchi: la Morte), Lei partorisce la Luce.
Nell’antico Egitto altro simbolo importante legato all’Opera al
Nero è lo scarabeo, simbolo anch’esso, come Osiride, di resurrezione.
C.G. Jung riconosce le dinamiche inconsce di proiezione psichica,
che gli alchimisti riproducevano macro cosmicamente come riflesso di
un retroscena psichico e di un dramma simbolico, percorso individuale
dell’alchimista stesso. Identificò quindi la vita simbolica dell’alchimia alla psicologia
dei processi inconsci, l’analisi del transfert e l’analisi dei sogni.
Si percorreva quindi la via della nigredo, che in termini junghiani corrisponde
alla ricerca dell’Ombra. La Nigredo… che è certamente l’aspetto più traducibile in termini psicologici del procedimento alchemico, in quanto corrisponde con esattezza alla
fenomenologia della depressione e del confronto con l’Ombra stessa. Proprio la condi-
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zione d’estrema solitudine permette l’incontro con il
lato oscuro di noi stessi. L’incontro con il nero è la
prima scoperta di ciò che non ci piace. Durante il processo del trattamento psichico bisogna per forza confrontarsi con la propria ombra, con quella parte
oscura dell’anima della quale ci si sbarazza di volta
in volta mediante le proiezioni. L’Ombra è il rovescio
oscuro e negativo che la coscienza dell’Io proietta
all’esterno di sé.
Nella nigredo troviamo uno scurirsi degli elementi
che richiede l’auto purificazione del’adepto. Tale fase
alchemica indica che la vita psichica ristagna essendoci una mescolanza di identità nell’inconscio. In
questo stadio la personalità si amplia, è l’io che si unisce con successo con l’anima. Il nostro Io personale
muore lasciando spazio a una volontà superiore che
adesso opera attraverso di lui. E questo sarà il nostro nuovo vero Io.
Un “lutto” che bisogna celebrare per attingere successivamente alle gioie di una
vera e propria rinascita nella coscienza divina. Ancor più suggestiva è una delle tante
frasi che identificano l’Opera al Nero: “notte buia dell’anima”, una frase che racchiude
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in sè un significato che non lascia dubbi su cosa un essere umano deve affrontare per
poter rinascere forte come un Dio. In questa fase siamo chiamati alla scoperta di tutte quelle forze che agiscono nella e
verso la materia. Prima di avventurarsi verso mete più elevate
dobbiamo partire dal livello inferiore di noi stessi, dobbiamo
imparare a riconoscere queste forze che agiscono in noi e che
sono necessarie come tutto il resto all’equilibrio dell’Universo.
L’Opera al nero corrisponde nel tempo in cui l’anima psichica, “discende negli inferi”, di noi stessi, al fine di esplorare,
in forme individuali, le potenzialità del subconscio di restituire in forma emotiva, creativa e infine intellettiva gli esiti del contenimento del Drago
alchemico. É un viaggio di autoconoscenza che regala un effettivo potere di dominio
sulle pulsioni e una inaspettata capacità di creare “armonia, bellezza e verità” spinti
dal bisogno di comunicare il disagio, il conflitto e la sofferenza determinato dalla consapevole relazione con la realtà.
Si parte scendendo nella materia, nel VITRIOL, si perde ogni punto di riferimento e ci si trova a brancolare nel buio. Per questo è pericoloso, non si sa cosa si troverà
ma soprattutto non si sa se si potrà farne ritorno. Si iniziano dunque a riconoscere i
propri demoni sotterranei e piano piano ad usarli a proprio vantaggio invece di venirne
usati. Esclusa è la possibilità di eliminarli, perchè a quel punto l’equilibrio verrebbe
meno. É importante essere consapevoli che
non si uscirà mai dal Nero in questa realtà, la
tentazione sarà sempre presente e anzi, probabilmente più avanzeremo nel nostro personale cammino, più le tentazioni e le prove che
dovremmo affrontare saranno maggiori. Ma
è anche vero che più saremo avanti nel cammino e maggiore sarà anche la nostra capacità
di dominare e di usare a nostro vantaggio tali
forze, onde per cui l’equilibrio continuerà
sempre ad esistere.
Forze che tendono verso la materia: ciò significa che dobbiamo iniziare ad affrontare le nostre paure, l’odio, le nostre più profonde angosce. Ci sono, e sono forze
necessarie all’equilibrio della creazione; l’unico sistema è imparare a conoscerle e ad
usarle consapevolmente a proprio vantaggio “offrire ai demoni sotterranei” diceva Pitagora, vuol dire dare consapevolmente di cui nutrirsi a questi demoni quello che non ci
interessa, piuttosto che lasciarli liberi di prendersi quello che vogliono loro.
Se non impariamo a controllare
l’istinto e a bruciare simbolicamente l’anima
psichica sul fuoco della ragione, rischiamo di
rimanere prigionieri di meccanismi automatici di risposta alle sollecitazioni esterne e allo
stress che condizionano pesantemente la libertà di scelta e, di conseguenza, il libero arbitrio.
La misura della bravura con cui dobbiamo essere in grado di operare con la ma-
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teria, dentro e fuori di noi, è data dal progressivo identificarsi con lo
stato di coscienza divino. Più ci si abbandona al Superiore più
Quello è libero di agire attraverso di noi e quindi di operare trasmutazioni sempre più elevate. L’Io e Dio saranno allora una
cosa sola: il massimo dell’annullamento coinciderà con il massimo del Potere.
Dobbiamo lavorare sistematicamente tutti i giorni per
uccidere ciò che noi stessi siamo. La prima fase è infatti la più
ardua, lunga e delicata. L’Opera al Nero consiste in massima parte
nell’attenta e costante osservazione di sé condotta da noi stessi con
onestà e umiltà giorno dopo giorno. Un’osservazione distaccata, che non
è macchiata da alcun giudizio, né di compiacimento né di rifiuto nei confronti degli
aspetti del proprio carattere che inevitabilmente vengono alla luce.
Tutta questa prima lunga fase del Lavoro è conosciuta anche come
“dissociazione dei misti”, in quanto l’auto osservazione induce i
differenti Io a emergere allo scoperto ed è in questo momento
che dobbiamo prendere consapevolezza di essere una “legione”
e non un solo Io centrale.
Tutte le visioni astrali antecedenti questa fase riguardano
unicamente incursioni disordinate in un mondo nel quale noi
per il momento possiamo solo manifestare le stesse capacità di
percezione e discriminazione di un bimbo appena nato. Se non ci liberiamo dei legami mentali, emotivi e fisici della nostra natura inferiore
non potremo che vedere proiezioni astrali di tale natura, siano esse piacevoli o spiacevoli, e mai una verità oggettiva appartenente al piano dell’anima.
Per arrivare al nostro fine, alla trasmutazione dell’Io, il silenzio e la solitudine, la Maschera ed il Mantello, diventano gli
unici amici fraterni. In loro si osservano i difetti e vi si pone rimedio; le passioni si quietano e l’enfasi si appiattisce; si osserva
chi ci è attorno e si smette di giudicare. Cessa la smania di prevalere, cessa l’egoismo; tutto viene accettato e scusato.
Il dolore “muore”, ora la morte è la rinascita. Ora solo la
nostra interiorità ci guida e non più gli eventi esterni; ora la
MENTE non mente più; ora il seme si è corrotto e putrefatto nell’oscurità della fredda e umida terra coperta di candida neve. Nasce la
luce che inizia ad alimentarsi silenziosamente. Tutto è salvato, e presto sorgerà la stella
del mattino a diradare le nubi più plumbee che pesano sul cuore.
“Crederai di sognare: É il Diavolo, ti verrà di pensare, tu sei Satana o la più leggiadra delle sue creature! Cosa vuoi da me? Sono stato
un solerte ricercatore dell’oro alchemico, ma ho trovato soltanto solitudine e disperazione! Allora l’antico Figlio di Dio si manifesterà e
l’abisso scardinerà i suoi recinti. Sentendoti perso, griderai: Io sono
te!…Ed avverrà veramente: sarai trasmutato! Poi tutto si placherà e
tornerai un uomo comune. Ma non sarà che apparenza! Il grande mentitore sarà sconfitto, l’Angelo detterà i suoi patti e le condizioni di resa saranno accettate senza pietà! Il discepolo sarà trasformato in Maestro, costruito
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per se stesso e per diventare ancora in vita il pegno di
un Amore superiore” (Mario Krejis, Dialoghi).
L’anima nella morte: la morte dell’uomo,
anche secondo la Qabbalàh, non è che il suo passaggio ad una nuova forma d’esistenza. L’uomo è
chiamato a ritornare finalmente nel seno di Dio,
ma questa riunione non gli è possibile nel suo
stato attuale, in ragione della materialità grossolana del suo corpo; questo stato, come anche tutto
ciò che vi è di spirituale nell’uomo, deve dunque
subire una purificazione necessaria all’ottenimento del grado di spiritualità che la
nuova vita richiede. La Qabbalàh distingue due cause che possono recare la morte: la
prima consiste in ciò, che la Divinità diminuisce successivamente o sopprime bruscamente la propria influenza continua su Neshamàh e Rùach in modo che Nèfesh perde
la forza per mezzo della quale il corpo materiale è animato, e questo muore. Nel linguaggio dello Zòhar, si potrebbe chiamare questo primo genere “la morte dall’alto, o dal
di dentro al di fuori”. In opposizione a questa, la seconda causa della morte è quella che
si potrebbe chiamare “la morte dal basso, o dal di fuori al di dentro”. Essa consiste in ciò,
che il corpo, forma d’esistenza inferiore ed esteriore, disorganizzandosi sotto l’influenza
di qualche disturbo o di qualche lesione, perde la doppia proprietà di ricevere dall’alto
l’influenza necessaria e di eccitare Nèfesh, Rùach e Neshamàh al fine di farle discendere
a lui. D’altronde, poiché ognuno dei tre gradi d’esistenza dell’uomo ha, nel corpo
umano, la sua sede particolare e la sua sfera d’attività corrispondente al grado della
sua spiritualità, e poiché si son trovati tutt’e tre legati a questo corpo in differenti periodi
della vita, è anche in momenti differenti, e secondo un ordine inverso, che essi abbandonano il cadavere.
Se un uovo viene rotto
da una forza esterna,
la vita finisce
Se un uovo viene rotto
da una forza interna,
una nuova vita inizia
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“Horridas nostrae mentis purga tenebras”
(purifica le orride tenebre della nostra mente):
è ormai chiaro che l’opera prende avvio dalla
più profonda oscurità. Una delle immagini
più emblematiche di questo momento è l’annegamento del sole nel mare mercuriale, in
seguito al quale sopraggiungono le tenebre.
Nello stato di annerimento esercita il
suo potere l’anima media natura, corrispondente all’anima mundi platonica. Questa avvolge la sfera del sole e la oscura col suo abbraccio (sol niger). Ma la sfera nera è anche
il caput mortuum, o la testa del moro. Nel Rosarium Philosophorum la morte della coppia
alchemica è descritta attraverso la dolorosa separazione dell’anima dal corpo, che Jung
interpreta come assoluta estinzione della coscienza.
É ormai chiaro che la Nigredo è una dolorosa esperienza di morte e di separazione. Si ottiene mediante la separatio delle quattro radices o
elementi, ed il raggiungimento dello stato di Caos,
come parte essenziale e principio dell’opera. La
Nigredo significa mortificatio, putrefactio, solutio,
separatio, divisio ecc., dunque lo stato di dissoluzione e decomposizione che precede la sintesi.
L’esperienza della Nigredo è paragonabile
a quella della sepoltura, o della discesa sotto terra. A questo
punto sul fondo del vaso alchemico – simbolo dell’anima - si
deposita una massa oscura ed informe: “questa nerezza è
chiamata terra”. É la terra fertilissima che Adamo portò con
sé dal paradiso, “nera, più nera del nero” (“nigrum, nigrius, nigro”), chiamata anche
“antimonio”.
La Nigredo spesso viene paragonata ai tormenti dell’inferno: nel mito dell’eroe
questo stato corrisponde all’ingoiamento nel ventre della balena (o del drago): dove
regna di solito un calore tale che l’eroe perde i capelli, rinasce calvo, glabro, simile ad
un infante. Questo calore è l’ignis gehennalis, l’inferno nel quale è disceso anche Cristo
per trionfare della morte.
Da un lato nella fase al nero l’artefice sperimentava la componente passiva
della materia: i corpi si disfacevano nell’acqua mercuriale e con ciò se ne rivelava anche la “possibilità di non esistere”.
“Per tenebras ad lucem”: questo
può essere considerato un vero e proprio comandamento della tradizione alchemica. La ricerca alchemica di una
illuminazione passa per il nero abisso
del Nulla. L’adepto non si rivolge tanto
alla luce della rivelazione, ovvero cerca
questa stessa luce nell’oscurità della natura, quasi che questa fosse paradossal-
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mente un’altra luce – lumen naturae. Si potrebbe intendere tutta
l’alchimia come una “tecnica di
oscuramento”, per molti versi
analoga alla mistica... anzi, è
essa stessa una singolare
forma di misticismo.
Con la Nigredo era prodotto un progressivo annerimento della realtà attuale
della materia, per poi ottenere, ad un punto critico,
una subitanea illuminazione. Era una sorta di
“elastico negativo”: in termini psicologici potremmo dire che nella assoluta
incoscienza dello stato al nero finiva per riflettersi una coscienza superiore o più ampia.
La Nigredo non è infatti soltanto una condizione
della materia, ma è allo stesso tempo uno stato mentale
dell’artefice: la melancholia o umor nero. L’oscuro stato di disorientamento descritto dagli alchimisti è il parallelo della perdita dell’orientamento
psichico, e della caduta della tensione cosciente (“abbassement du niveau mental”). Lo
stato di disgregazione degli elementi è
il perfetto corrispondente della dissociazione e dissoluzione della coscienza
dell’Io.
Si rinasce con la legge dell’Armonia Equilibrio degli Opposti spirito-natura
sotto il dominio dell’essere vero, chiamato Oro o Dio, in cui si concilia il
mondo interiore con quello esteriore, il
mondo soggettivo con quello oggettivo,
lo Spirito e la Materia, la Natura Naturans e la Natura Naturata, l’Essere e il
Divenire. È questa la “pietra filosofale”
tanto cercata dall’alchimista.
“La putrefazione è così efficace che distrugge la vecchia natura e la vecchia forma
dei corpi in decomposizione, li trasmuta in
un nuovo stato dell’essere per dar loro un
frutto completamente nuovo. Tutto ciò che
vive, muore; tutto ciò che è morto si putrefà
e trova nuova vita”.
(Pernety, 1758) n
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VIA MISTICA E VIA OPERATIVA
Anamji
Cristo diceva:
”chi berrà l’acqua ch’io largisco,
si disseterà alla fonte della vita eterna”.
Qui si nasconde la perla della Rigenerazione.
Il chicco di grano non dà germoglio
se non è affondato nella terra:
perché le cose fruttifichino,
occorre che rientrino nella madre
che le ha generate
(Jacob Bohme).
La via di evoluzione Martinista viene spesso descritta attraverso una distinzione tra via mistica e via
operativa. In realtà nell’ambito del percorso di evoluzione spirituale di un singolo individuo, appare impossibile distinguere quanta attività vi sia di tipo
mistico, quanta di tipo teosofico e teurgico, anche con
riferimento a noti ed eminenti ricercatori, studiosi e spiritualisti.
Dinanzi all’obiettivo di raggiungere la Reintegrazione, la
comunione definitiva con l’Uno, gli insegnamenti del Martinismo
spiegano chiaramente che la sapienza, l’aiuto, il vero Spirito di verità, sono da ricercare
all’interno di ogni essere: si tratta di tirare fuori e manifestare la vera vita.
Dio è in ogni vita esistente nell’Universo e si tratta di imparare a riconoscerlo in
ogni manifestazione, senza fermarsi alla superficie e penetrando l’essenza di ogni cosa.
Tutto ciò che è esterno rappresenta un’occasione, uno strumento per comprendere la
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divinità tanto quanto spesso ne è anche un impedimento se riferito ad atteggiamenti
egocentrici.
L. C. de Saint Martin per noi Martinisti rappresenta il modello di alta moralità
ed il mistico che va al di là della scienza positiva, delle speculazioni, delle culture, delle
filosofie e delle religioni.
Proprio nel rappresentare la figura del nostro Filosofo Incognito si confonde
molto spesso il mistico con il teosofo, il teosofo con il teurgo. Ciò in quanto lo studioso
ha l’obiettivo di “aggettivare e catalogare”, cercando il profeta, il chiaroveggente, il
mago e sottovalutando nel caso specifico di Saint Martin, la realtà di uno spiritualista
ispirato che ha saputo fraternizzare nei giusti limiti con tutte queste discipline, trovando
la sua via e raccontandola senza mai descrivere neanche uno dei doni conquistati, lasciando solo messaggi rivelatori di una moralità
insita nell’uomo e valida nella storia di ogni
tempo.
Saint Martin era senza dubbio molto riservato
come si conviene ad un iniziato e per essere un
mistico la sua luce era ed è tutt’ora fonte di autenticità, concretezza, semplicità ed umiltà eppure la sua intera vita interiore se pure rivelatrice
di simili qualità, non ha lasciato trasparire rivelazioni straordinarie e metafisiche.
Tutti noi possiamo annotare nel nostro “diario
di viaggio”, intuizioni interne od esterne che
siano portatrici di verità di cui non siamo i creatori e che promanano da una fonte a noi intangibile ma legata a leggi eterne, assolute, universali
e supreme. Di conseguenza ogni intelligenza
normale e dedita alla ricerca spirituale è in uno
stato perenne di ispirazione e rivelazione, dunque non deve fare altro che ascoltare e vedere con il cuore.
Dalla dottrina di Martinez de Pasqually, Saint Martin non si distaccò completamente ma a sua volta diede impulso ad una ricerca mistica e ad una sorta di “teurgia
coscienziale”, declinata nella cosiddetta via cardiaca.
Essenzialmente ha evoluto una sua via, più aderente al suo essere ed ai suoi
doni, chiarendo ai suoi allievi che chiunque nei termini della propria evoluzione, può
aspirare a raggiungere un punto in cui, ritrovata la costante connessione con la sorgente, può fare a meno della teurgia e di ogni contenuto trasferito da scritti di vario
genere e provenienza.
Egli dice: “ tutti quelli che si trovano bene nello stato in cui l’anima è caduta e che non
conoscono la strada della sfera superiore alla quale apparteniamo per diritto primitivo, accettano
l’impero delle intelligenze astrali e si mettono in rapporto con esse. É la grande aberrazione di
coloro che praticano la magia, la teurgia, la necromanzia ed il magnetismo artificiale. Non tutto
è errore o menzogna in queste pratiche, ma bisogna diffidare di tutto in quanto tutto avviene in
una regione dove il bene e il male sono mescolati e confusi”.
Come ulteriormente chiarito da Saint Martin in una lettera del 1797, attestante
le sue nuove convinzioni da proporre agli iniziati mediante una via più “cardiaca”, il
Filosofo Incognito non condanna la teurgia in generale se non quella che intende il ten-
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tativo di governare le Potestà del piano astrale, sollecitando tutti i suoi
adepti ad andare più in alto nella regione pura, quella del Verbo, dei suoi Agenti
e delle sue Virtù.
In una lettera del 1794 egli scrisse:”…io credo che chi riceve delle comunicazioni esterne e gratuite … può benissimo non essere ingannato ma non ha
alcun mezzo per accertare la cosa … la potestà cattiva può tutto imitare, la potestà buona
intermediaria parla sovente come la stessa potestà suprema …”.
In altro punto della stessa lettera Saint Martin ammette di aver avuto anche del
fisico ossia di aver ricevuto manifestazioni sensibili ma considera che gli è
stato facile riconoscere che la sua parte è stata più intellettiva.
Egli non cerca la forma ma vuole la sostanza, così come ampiamente richiamato nei nostri Rituali e Salmi che operiamo cercando
di collegarci con l’Universo spirituale incorrotto che è il regno dei
cieli o la divinità trascendente, il centro di tutta la vita, unito alle
creature che da questo centro mai si separano.
Il nostro Universo materiale invece, è quello in cui Dio è presente
nel suo aspetto immanente in ogni creatura ed in ogni particella, per
dirigere l’essere caduto attraverso la sua divina energia procedendo dall’atomo ai mondi infiniti.
Il misticismo di Saint Martin, altro non evoca che la volontà della ricerca dell’aristocrazia dei cieli raggiungibile attraverso i più alti gradi di identificazione con Dio
che, si badi bene, sia concessa all’uomo di raggiungere.
Tutto è personale ed individuale, dice, nei rapporti dell’anima, nello sviluppo delle sue
potestà, nella rigenerazione di cui l’uomo ha bisogno e nell’elevazione che assume in
quest’opera di palingenesi.
Si noti quanto spesso in questa opera di nuova creazione o rinascita, l’uomo in cattiva
fede proietta nell’assoluto (piano in cui Dio E’) le piccole e distorte immagini del piano
relativo erigendosi a misura di tutte le cose e attribuendo a miracoli o fenomeni sopran-
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naturali l’essenza di fatti non concepibili per la mente umana, come se si potesse ridurre
l’assoluto nel relativo e la Divinità come misura di se stessi!
In breve sintesi, il misticismo di Saint Martin frutto di una profonda religiosità
non è identificabile nel misticismo cristiano, gnostico, buddista o musulmano, in quanto
tutto è concentrato in Dio e la sua più alta manifestazione il Cristo, regna in noi.
Inoltre, Saint Martin aspira unicamente alla saggezza divina e quindi attribuisce
scarsa importanza alle manifestazioni secondarie, quali apparizioni o visioni, lasciando
ogni sua più precisa esperienza o considerazione alla riservatezza, non per calcolo atto
a “stimolare una vana curiosità e lavorare più per la gloria dello scritto che per l’utilità del lettore” ma unicamente perché così è stata la sua vita, il suo pensiero, la sua educazione
ed il suo temperamento.
L.C. De Saint Martin, nella sua opera “Ecce Homo”, afferma: “tutte le volte che
l’uomo contemplerà i suoi rapporti con Dio, ritroverà in sé gli elementi indissolubili della sua
essenza originale ed i naturali indizi della sua gloriosa destinazione. Ed ancora: in Dio il desiderio è sempre volontà, mentre nell’uomo raramente il desiderio si realizza in volontà, senza la
quale nessuna operazione è possibile”.
Pertanto la via “mistica” che egli indica per l’uomo di desiderio non si sviluppa
attraverso l’attesa passiva di rivelazioni, bensì intende attivare le tre potenze dell’anima:
pensare, sentire e volere. Ed è proprio l’unità di queste tre facoltà che l’uomo deve operare in ogni istante, libero dai condizionamenti dei suoi sensi inferiori.
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La via mistica e la completa acquisizione coscienziale mediante il cuore, appare
indispensabile per ogni operazione volta alla rigenerazione di quell’uomo nuovo,
degno di tornare a dimorare nell’assoluto della sua forma gloriosa.
Quanto sopra espresso palesa la chiarezza e la semplicità interpretativa della via
Martinista, ispirata al Nostro Amato Filosofo Incognito e consacrata da Papus che pose
il primo seme da cui noi traiamo ancora frutti generosi di cui dobbiamo essere grati ma
anche assumerne la responsabilità di curare con profondo amore la pianta, affinché altri
dopo di noi possano coglierne il puro alimento.
Il nutrimento del Martinismo è nel Martinismo stesso con la sua storia e tradizione che resta strumento perfetto e completo in quanto cardiaco - operativo e non occorre tracciare chissà quali traiettorie per delineare collegamenti con filosofie, religioni,
autori mistici o teurghi che tuttavia rappresentano il necessario corredo culturale per
l’individuale ricerca della verità.
Il Martinismo dosa per tutti i suoi iniziati un percorso contestualmente sia cardiaco che operativo nei limiti di quanto assegnato dai nostri rituali dando, in estrema
libertà, indicazioni circa gli approfondimenti di varie materie, filosofie ed autori che
mai però ne divengono il fulcro
perché questo risiede esclusivamente nei tradizionali riferimenti storici ed istituzionali.
Il Nostro Amato Filosofo
Incognito, ha orientato tutto il
suo sapere per discernere e sacrificare le attività che ha ritenuto essere in contraddizione
con la vera scienza iniziatica,
non limitandosi ad una conoscenza solo intellettuale ma ricercando la coscienza in ogni
attività per giungere a “sentire”
Dio, è questa la completezza e
la grandezza ancora oggi del
nucleo fondante il Martinismo
la cui unica finalità è la reintegrazione individuale e di ogni
essere umano. Ciò con l’auspicio che per ciascuno questa vita
sia effetto e destino dell’evoluzione del proprio Essere, mediante la volontà incorruttibile
di purificare moralmente e raffinare lo strumento di visione interiore fino a quando, mano a
mano che la vista si renderà più
acuta, la Luce sarà intensa e mai
più abbagliante. n
23
Il Maestro Passato
ERAT, EST
Desfedam
Posso ora ricordare che aleggiava, nell’intera abitazione, nel mio involucro grossolano, una pesante ma non spiacevole aria di riposo: la dimora era adatta agli studi cui
era stata prescelta.
Tutto, al di fuori, era pronto. Non così al di dentro. L’anima deve abituarsi al luogo
e riempirsi della natura circostante; poiché la natura è la sorgente di ogni ispirazione.
Spesso mi fermavo, come anima vagante, dove il fogliame era più fiorente, per raccogliere
qualche fiore. Possono queste umili creature della natura, che nascono e muoiono in un
giorno, esser d’aiuto alla scienza dei più alti segreti?
Vi è dunque una farmaceutica per l’anima come per il corpo? Si applicano forse i
figli del regno vegetale anche alla mia immortalità spirituale?
La mia mente si lasciò più e più cullare nella divina tranquillità della contempla-
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zione: mi sentii più nobile,
nel silenzio dei miei sensi mi
parve di udire la voce
dell’anima. Era questo lo
stadio in cui il mio Maestro
Passato - quello che sentivo
più vicino interiormente nell’effettuare questa elementare iniziazione cercava di suggerire, di comunicare, poiché chi cerca di scoprire deve
prima arrendersi, in solenne e dolce cattività, alle facoltà
che contemplano e immaginano.
Non esiste, disse il Maestro Passato, arte alcuna con cui mettere la morte completamente
fuori dalla nostra scelta o sottrarla alla volontà celeste. Tutto quanto possiamo fare non è che questo:
trovare i segreti del corpo umano, sapere perché le parti si ossificano e il sangue stagna, e applicare
continui preventivi agli effetti del tempo.
Questa non è magia, è semplicemente l’arte della medicina ben compresa. Nella
nostra comunità, noi consideriamo nobili:
1. La conoscenza che eleva l’intelletto.
2. Quella che preserva il corpo fisico.
Tutto questo procede dal più nobile segreto cui bisogna soltanto accennare e cioè
quel così detto “calore” che, come Eraclito così saggiamente insegnò, è il principio primordiale della vita e può di questa esserne reso il perpetuo rinnovatore.
Quest’arte e questo segreto non possono essere propagandati in quanto se noi dovessimo impartire tutta la nostra sapienza in modo indiscriminato, cosa saremmo noi: benefattori o castigatori?
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Se uno straniero, in occasione di una
visita a una tribù nomade - constatando che
tutti i componenti non hanno conoscenza di
una sola delle proprietà che hanno le erbe avesse detto ai selvaggi che le erbe che quotidianamente calpestano sono dotate delle
più potenti virtù, come potrebbe essere considerato?
Che l’una avrebbe restituito la vita al
fratello morente, che l’altra avrebbe paralizzato nell’idiozia il loro capo più saggio, che
una terza avrebbe buttato al suolo il più potente guerriero, e che le lacrime, il riso, il vigore e la malattia sono racchiuse in quelle
foglie trascurate...
Che vi sono facoltà dentro di noi con
le quali certe erbe hanno affinità e sulle quali
hanno potere... Come lo avrebbero considerato: un mago, uno stregone o un grande sapiente?
Ecco apparire la vita che gode e la
vita che contempla: l’una quando raccoglie
erbe pensa solo ai suoi usi; l’altra si attarda ad ammirarne la bellezza.
Grave errore quello di certi filosofi che vogliono indirizzare, secondo il loro modello astratto, la vita dell’umanità: non si può beneficare alcuni senza nuocere ad altri, se
si desidera riformare la totalità degli esseri ebbene bisogna comprendere il livello dal
quale iniziare. È molto difficile abbassarsi a vivere in prima persona tutte le esperienze,
positive e negative.
Nella presente condizione evolutiva
della terra, il male è ancora un principio più
attivo del bene e, anzi, sta prevalendo.
È per questa ragione che noi siamo solennemente impegnati a insegnare la nostra
dottrina solo a coloro che non ne faranno
cattivo uso né la pervertiranno. Anche per
quanto riguarda i pochi candidati, il superamento di certe prove è destinato a purificare le passioni e a elevarne i desideri. La
natura in ciò ci controlla e ci assiste, poiché
pone terribili guardiani e barriere insormontabili tra l’ambizione del vizio e il cielo della
più alta scienza.
Quanto vanno soggette alle solenni influenze della natura le sorgenti del nostro
essere intellettuale!
Simile a un paziente lentamente e gradatamente riconoscevo ora nel mio cuore la
nascente forza di quel vasto e universale magnetismo che è la vita nella creazione che
lega l’atomo al tutto. Una strana e ineffabile coscienza di forza e di potere, di un qualcosa
di grande, vivente entro alla propria creta peritura, richiamava in me sentimenti oscuri e
gloriosi insieme, quasi un pallido ricordo di una precedente esistenza.
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Il Maestro Passato mi
posò la mano sul cuore, batteva
forte, ma coraggiosamente, regolarmente. Egli alla fine
chiese: allora di quale natura è la
conoscenza da ricercare senza incorrere nel pericolo di perdere il respiro e fermare il battito del cuore?
Qualsiasi conoscenza che
viola la natura non è reale, risposi, come non sono reali le
raffigurazioni
rosicruciane
delle silfidi, delle ondine, delle
salamandre, o degli gnomi.
Solo cercando dentro me
stesso la conoscenza può essere
acquisita completamente! Nell’invisibile vi sono milioni e milioni di esseri, non completamente spirituali però, poiché tutti hanno (simili all’animaletto invisibile a occhio nudo)
certe precise forme materiali, sebbene materia delicata e sottile ancor più di un velo, che
funziona come una rete di filamenti che ne avvolge lo spirito.
Nella goccia d’acqua tu vedi, disse il Maestro Passato, quanto possa variare l’animaletto,
quanti siano terribili alcuni di quei mostri-microbi abitanti l’atmosfera: alcuni di incalcolabile saggezza altri di orribile malignità; alcuni ostili o addirittura nemici dell’essere umano, altri come messaggeri tra cielo e terra.
Colui che volesse stabilire dei rapporti personali con tali esseri, assomiglierebbe al viaggiatore che
volesse penetrare in terre sconosciute. Nessuno ti può difendere dagli imprevisti ai quali il tuo viaggio
ti espone, una volta stabiliti i rapporti.
Io, diceva il Maestro Passato, ti potrei guidare verso lontani sentieri, protetto e difeso dai
più mortali nemici dell’uomo abitanti nello spazio. Devi invece da solo affrontare e azzardare tutto!
Ma se sei così attaccato alla vita fisica da preoccuparti solo di continuare a vivere, non importa per
quali scopi, non devi assolutamente affrontare i pericoli che ti verranno dagli esseri intermedi, tra
terra e cielo, poiché l’esperienza gloriosa acutizza così tanto i sensi che quelle larve dell’atmosfera ti
diverranno visibili e udibili, di modo ché, a meno di esserti allenato gradatamente a sopportare i fantasmi e a dominarli, la vita sarebbe la più terribile condanna.
Tra gli abitanti che si trovano al di qua della soglia
uno, di nome EGO, sorpassa in malignità tutti gli altri e il
cui potere sullo spirito umano aumenta precisamente in proporzione della paura che l’essere ne prova.
Un tempo, ogni Iniziato, prima di accingersi a
compiere qualcosa, osservava attentamente quali forze
e influenze planetarie presiedevano e dominavano al
momento, veniva a conoscenza che i dodici segni zodiacali erano assimilabili alle dodici lettere semplici dell’alfabeto ebraico, erano quindi i dodici geroglifici
dell’influsso solare diretto, detto Verbo.
Le loro posizioni nel corpo umano si rivelavano essere i centri fluidici del verbo solare della gran catena del
simpatico, che si proiettano sulla spina dorsale.
Nella cabala sacra, gli Eoni superiori presiede-
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vano a ogni rivelazione e assumevano un valore del
tutto particolare. Allora lo studio dei segni e dei simboli era un mistero che dall’universo riversava il suo
rapporto di conoscenza sulla natura umana, il cui risultato era simbolico, sì, ma era espressione di realtà
sensibile e quasi taumaturgica.
Così opera l’iniziazione virtuale nell’infinito
cammino verso l’iniziazione reale, nel prendere coscienza della realtà esteriore e interiore e della loro
nascosta unità, mentre il loro sviluppo e la loro ricorrenza ci rendono sempre più consapevoli delle
nostre esperienze, acquistandone nel contempo la padronanza. n
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INTRODUZIONE ALLA CABALA
LE QUALITÀ DELLE SEPHIROT
Hator Go-Rex
Tratto dall’interpretazione della Torah, ossia il Pentateuco, i primi cinque libri
dell’Antico Testamento scritti da Mosè in cui è esposta
la Legge divina, l’insegnamento cabalistico è sostanzialmente finalizzato alla comprensione della natura
di Dio attraverso lo studio della creazione e delle forze
che la governano. Penetrando il senso profondo e non
meramente letterale della Torah la narrazione biblica
si rivela, secondo la Cabala, come l’espressione completa della manifestazione divina, ogni verso, ricco di
arcano significato, cela una sfumatura della dinamica
interazione tra le potenze divine e il mondo, attuata
per la Cabala ebraica attraverso l’emanazione delle Sephirot. La loro origine, ossia il nocciolo primordiale
da cui nasce ogni cosa, l’Ain-Soph (senza fine), essendo un concetto umanamente inaccessibile anche alla contemplazione più profonda, è
quindi per noi deducibile unicamente attraverso lo studio della natura finita delle cose,
percorrendone a ritroso il movimento di esternazione fino all’origine e viceversa, poiché
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“Tutto proviene dall’Uno e tutto ritorna all’Uno’. La
spinta iniziale del principio creativo è denominata
Volontà infinita o primeva, scaturita dal desiderio divino di manifestarsi, precede quindi il pensiero attraverso cui, poi, si farà atto. La volontà si evolve
in idea e l’idea in azione, l’Ain-soph, l’unità emanante, in tal modo si separa rivelandosi via via
nella generazione delle Sephirot che rappresentano
i vari stadi d’irradiazione in cui Egli, man mano,
scopre se stesso dall’infinito al finito. Le Sfere,
emerse dalla sostanza divina nel suo traboccare,
sono quindi veri e propri ‘contenitori’ delle potenze
di Dio. Un’attenta traduzione della frase iniziale
della Genesi biblica “Beeshit Barà Elohim Et Ashmain
Veet Haaretz”, vede la parola Elohim come l’unione
di un articolo singolare el con un sostantivo plurale
ohim e tradotta quindi con “Egli-gli Dei”, analogamente il verbo Barà, sulla base dell’integrazione
masoretica e con un occhio rivolto ai principi qabbalistici, tradotto con emanò, come spiega
Apis nel saggio introduttivo del libro “Gli illuminati nella società umana”, delineano un significato quale: “Il Principio Primo creò, per emanazione, gli dei da cui furono formati cielo e
terra”. Tale concetto di emanatismo non è riscontrato solo nella Cabala ma ridonda in
varie dottrine, ad esempio nel sufismo, nella filosofia greca, nell’enoteismo egizio la cui
teologia menphitica vede Ptah come Principio Supremo Creatore da cui hanno origine
tutte le altre divinità.
Nel neoplatonismo, secondo Plotino, l’Ain-Soph, essendo perfetto, bastando a se
stesso e non avendo quindi alcuna necessità di creare, trova tale spinta nella sua fertile
sovrabbondanza, come una fonte che riempie il suo bacino e quando straripa da esso alimenta un'altra fonte,
che a sua volta riempie il proprio bacino e straripa,
spiega egregiamente il concetto Dion Fortune nel
suo scritto “La cabala mistica”. L’Uno tracima quindi
della sua sostanza che, dividendosi, perde la perfezione iniziale dando origine alle Sephirot che rappresentano la sequenzialità dei piani dell’esistenza,
dai più sottili e completi, ai più grossolani e imperfetti, intesi come stati differenti di consapevolezza
e percepiti in rapporto all’espansione coscienziale
raggiunta dell’essere. Le Sfere sono strumenti preziosi per l’evoluzione interiore, a ognuna viene corrisposto uno dei dieci nomi di Potere dell’Ineffabile
che, utilizzati nelle operazioni magiche, invocano
le potenze divine nella loro essenza più spirituale.
Per comprenderle al meglio va analizzata la
radice ebraica da cui proviene tale denominazione,
Sefirà, Sepiroth al plurale, deriva da Safar (Samekh
– Peh – Resh ‫ )רפס‬i cui tre significati principali
sono: numero, libro o storia, luce. Per quanto ri-
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guarda il numero (Mispar ‫ )רפסמ‬possiamo a esse
associare le qualità, intese come valore esoterico,
espresse nei primi dieci numeri interi; nell’aspetto
di libro (Sefer o racconto) ‫( פסמ‬Sippur ‫ )רפיס‬come
importanti testi contenenti miti, avvenimenti, simboli, tradizioni e quindi portatrici di tali saggezze;
nell’aspetto di luce o pietra preziosa (Sapir, zaffiro
‫ )ריפס‬come centri irradianti il riflesso della Coscienza Divina capaci di arricchire coloro che ne acquisiscono le proprietà.
Le dieci Sephirot sono ripartite nell'albero
cabalistico su tre colonne, sulle due laterali quelle
corrispondenti alle funzionalità energetiche, maschili nel pilastro della misericordia e femminili in
quello della severità, mentre le Sfere collocate sul
pilastro centrale i livelli di consapevolezza raggiunti nell'equilibrio delle suddette forze opposte;
Daath, la Sephirot occulta, posta tra Kether e Tiphereth nel così detto abisso, è la porta di
passaggio allo stato di coscienza più elevato raggiungibile dall’anima umana in cui il sapere e l’Essere si fondono nell’emersione del Sé e nella vera e propria comunione con il
Divino.
Tale disposizione macrocosmica si rispecchia in un preciso riferimento microcosmico, come viene detto nel secondo capitolo della Genesi Dio creò infatti l’uomo a sua
immagine e somiglianza e l’albero cabalistico delinea appunto l’Adam Qadmon, l’uomo
primordiale.
Il triangolo formato dalle prime tre Sfere Kether, Cokhmah e Binah, detto superno
corrisponde alla testa che, assieme alla coppia successiva Chesed e Geburah, le braccia,
delineano l'Io Superiore; Tipharet, la quinta Sfera, si trova nel centro del glifo ed è il tronco
microcosmico, il punto di contatto con l'io inferiore o personalità, composto da Netzach,
Hod, le gambe, Yesod è il fallo, il pilastro cosmico e generatore in cui tutte le potenze superiori vengono incanalate per prendere forma in Malkuth, il Regno, culmine e obbligatorio passaggio per risalire al Divino come suggerisce lo Zohar “Chi entra, deve farlo
attraverso questa porta”.
Le triadi sono formate da coppie di Sephirot le cui forze opposte si equilibrano
nella terza. I quattro inferiori rappresentano tutto ciò che è ingabbiato nella forma mentre
i sei superiori i loro principi archetipali e metafisici. Le Sfere, che nell'insieme formano il
glifo dell'Albero della Vita, sono collegate le une alle altre da 22 linee chiamate sentieri,
corrispondenti alle 22 lettere dell’alfabeto ebraico, non a caso lo studio della Ghematria è
fondamentale per ogni cabalista; tali vie (22 sentieri+10 Sephirot) sono i canali attraverso
cui Dio scende nell’uomo e viceversa, nel percorso inverso di reintegrazione, con cui
l’uomo può ascendere alla Divinità.
L'Albero, considerato da un punto di vista iniziatico, è il nesso tra il microcosmo, che è
l'uomo, e il macrocosmo, che è Dio reso manifesto nella Natura, spiega Dion Fortune nella sua
opera “La Cabala mistica”.
Le Sephirot sono talvolta paragonate a dei veli o delle vesti che man mano coprono,
attenuando, la luce dell’Ain-Soph poiché l’uomo, allo stato attuale di coscienza, non è in
grado di sopportarne la diretta intensità luminosa se non attraverso un’ascesa graduale,
di Sfera in Sfera, come fossero gradini di una scala ciascuno rappresentante un grado su-
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periore di illuminazione. Ogni Sephirot è
un mondo a sé, pur rispecchiandosi le une
nelle altre si differenziano tra loro dalle
forze archetipali contenute. La loro difficoltà interpretativa, dovuta alle molteplici
interazioni e agli altrettanto diversi raggruppamenti in cui possono essere considerate, rende il loro simbolismo dinamico
e poliedrico, in quanto non può limitarsi a
quello della singola Sfera ma va osservato
in un modo più ampio e relativo allo
schema di differente correlazione preso in
esame. Essenzialmente sono almeno sei gli
aspetti da considerare per comprendere in
modo completo ciascuna: la sua facciata indipendente, quella della Sfera emanante,
l’influenza di quest’ultima, le proprietà
delle Sephirot che la precedono e in essa
quindi contenute, il suo potere di emanazione in base all’insieme di questi fattori e
il suo aspetto contenuto nella Sephirot da
lei emanata; da queste correlazioni si intuisce che, oltre il flusso di emanazione discendente dall’alto verso il basso, ve ne sia anche uno inverso e ascendente,
un’interconnessione ritmica tra causa che si fa effetto e da effetto che ritorna come causa.
Inoltre ogni Sephirot ha un ulteriore quadruplice natura rispettiva ai quattro mondi cabalistici intesi come quattro diverse fasi della Creazione: Atziluth, il Mondo Archetipale,
Divino, del puro spirito o delle Emanazioni dove vengono concepite le idee che daranno
vita al Cosmo - Briah, Il Mondo della Creazione, chiamato anche Khorsia, il Mondo dei
Troni, la mente archetipale della nel quale avviene la progettazione - Yetzirah, il Mondo
della Formazione e degli Angeli, dell’immagine e della coscienza astrale dove tali progetti
vengono disegnati- Assiah, il Mondo dell'Azione, della Materia, nel suo aspetto denso e
sottile e dove ogni cosa prende forma; tali mondi non sono da intendere come separati
bensì compenetranti l’uno nell’altro.
Vediamo ora l'ordine di emanazione dall’alto verso il basso, le denominazioni e le
caratteristiche principali di ognuna.
1) Kether è “l’Uno”, la prima manifestazione dell’Ain-Soph, il senza forma in cui
non vi è dualità, è l’immoto equilibrio raggiunto degli opposti; viene chiamato Corona e
corrisponde microcosmicamente al Shamsara Chakra, il loto dei mille petali che
si trova appunto sopra il capo, anello di congiunzione tra corpo e mondo
spirituali, e nel parallelo sephirotico tra il cosmo e l’infinito. Lo stato dell’essere corrispondente a tale Sfera è il fine ultimo, ossia la comunione
con il Creatore, il limite consentito di ogni esperienza mistica poiché al
di là di essa vi è l’infinito, insondabile e incomprensibile per qualsiasi
coscienza umana. Kether è il punto di concentrazione dell’Ain-Soph da
cui traboccano tutte le Sue forze, è la Sfera che contiene in sé tutto il
mondo manifesto e ogni suo stato dell’essere. La virtù di Kether quindi è,
parlando in termini alchemici, il compimento della Grande Opera. Eheieh, Io Sono
Colui Che Sono, puro essere, è il nome di Dio in Kether.
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2) Cokhmah la saggezza; se Kether è il potenziale la sua prima manifestazione sarà
una forza dinamica, attiva, fecondatrice. Cokhmah è quindi il Padre archetipale, il maschile, l’energia generatrice ma per comprenderla appieno va considerata nell’interazione
con la terza Sephirot, Binah, l’organizzatrice della forza, il femminile, colei che stabilizza
e dà forma a tale energia, l’utero primordiale e metafisico. Da queste due
Sfere, e quindi dalla prima congiunzione tra le forze contrarie dei Superni,
si intesse tutta la vita del cosmo, sono poste al vertice dei due pilastri laterali quello positivo della grazia, intesa come forza creatrice, e quello
negativo della severità, intesa come costruttrice di forma mediante la
delimitazione dell’energia in un contenitore.
In Chokmah vige quindi l’azione fecondatrice, la Parola intesa
come Verbo, la matrice vitale che si impianta nell’utero cosmico da cui
viene organizzata e costruita. A tale Sephirot viene attribuito il nome di Dio
Jehova, il Testo yetziratico chiama Chokmah “Intelligenza Illuminante”, possiamo associarla
alle parole bibliche “Sia fatta la Luce”, a un lampo, un’intuizione che fa brillare l’intelletto.
3) Binah "intelligenza o comprensione”; è la terza Sephirot del triangolo superno,
rappresenta il femminile, la matrice delle forme archetipali stabilizzante la forza creativa
di Chokmah. Posta al vertice del pilastro della severità essa la rappresenta in quanto disciplinante un’energia che altrimenti si perderebbe nel cosmo senza manifestarsi, in Binha
nascono gli archetipi della materia che troveranno sviluppo finale nella sfera di Malkuth.
A tale Sfera viene inoltre attribuita la generazione della fede poiché contiene una verità
esistente ma non ancora manifesta, parallelamente la fede è per l’appunto un'adesione
fondata su di una realtà invisibile che si ritiene possibile, seppur sconosciuta.
A Binah corrisponde la virtù del silenzio, della ricettività, il cui vizio, inteso come avarizia, sta nel suo eccesso divenendone la qualità negativa.
Il nome di potere a lei attribuito è Jehovah Elohim.
Da ciò fin ora esposto si evince la complementarietà delle due
Sfere, ciascuna contenente una potenzialità essenziale affinchè si manifesti, nella loro congiunzione, l’aspetto creativo. Per intenderci meglio
potremmo paragonare Chokmah alla benzina e Binah al motore, e comprendere in tale familiare metafora come l'impulso energetico andrebbe perduto se non trovasse un contenitore in cui venire raccolto, organizzato e quindi trasmesso;
lo stesso raffronto si può fare con l'apparato riproduttivo dove la qualità generatrice maschile, necessita di fecondare quella incubatrice femminile affinché avvenga la nascita. Il
signore ha fatto la donna dalla saggezza dell'uomo e così lei è l'incarnazione della saggezza animata
dal sentimento d'amore; ed il sentimento d'amore è la vita stessa, così la donna è la scintilla della
vita nella saggezza, mentre l'uomo è la saggezza, scrive Emanuel Swedemborg nella sua opera
“Conversazioni con gli angeli”, riferendosi proprio al maschile e al femminile nella loro massima espressione metafisica, quella delle due Sephirot.
4) Chesed, grazia; la quarta sfera contiene la grazia equilibrante la severità di Geburah, in essa ha inizio il mondo manifesto e, diversamente dai tre precedenti
superni solamente intuibili, Chesed è uno stato di consapevolezza raggiungibile attraverso una vera e propria esperienza. Da qui il concetto astratto
formulato in Binah comincia a concretizzarsi, l'idea archetipale si sviluppa nell'immagine di un atto futuro che verrà via via realizzato nella
discesa dei piani. In tale stato coscienziale si ricevono le influenze dei
Maestri non incarnati, tali ispirazioni si indirizzano al favore collettivo
e non individuale e per farsene tramite indispensabile è quindi avere sacrificato completamente il proprio egoismo. La quarta Sephirot viene detta
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dell’intelligenza Coesiva, la sua virtù è l’obbedienza, il nome di Potere è El.
5) Geburah, forza, severità; per comprendere la quinta sfera, chiamata anche il Sacerdote sacrificale o il Distruttore e le sue qualità apparentemente negative, va capito innanzitutto il significato più profondo della parola sacrificio, inteso come la libera e
cosciente rinuncia a un qualcosa per beneficiarne un altra, un necessario coraggioso abbandono paragonabile metaforicamente alla potatura di una
pianta. Proviamo a pensare come l'eccesso di ogni qualità divenga deleterio, persino negativizzante, ad esempio una smisurata indulgenza sfocerebbe in buonismo, la troppa pazienza in debolezza, una smodata
passione in follia, l'eccessiva forza in crudeltà ed è proprio qui che interviene la severità di Geburah, nel limitare o incrementare l'una o l'altra
mantenendo l’equilibrio attraverso la disciplina, poiché tutto necessita del
giusto rigore, anche l'amore. Questa Sephirot ci mostra due importanti valori,
l'obbedienza e la rinuncia, da comprendere attraverso le esperienze restrittive che la vita
ci offre, distruttive in apparenza per ciò che riguarda la realtà temporale, ma costruttive
al servizio di ciò che è eterno, essa insegna inoltre la giusta visione e manipolazione del
potere e della potenza. Il nome ineffabile a Lei corrisposto è Elohim Gebor.
6) Tipharet, bellezza o compassione; posta al centro dell’Albero rappresenta il punto
di contatto tra l'Io superiore e quello inferiore, a essa sono correlati i Misteri della Crocefissione poiché Dio vi discende manifestandosi nella consapevolezza umana tramite il figlio Gesù-Cristo. In questa Sephirot si esplica la comprensione del sacrificio inteso come
morte eroica, atto sprigionante una forza di redenzione necessaria a riequilibrare e redimere le forze avverse del Regno. Per comprenderne meglio il significato dobbiamo prendere nuovamente in esame la qualità del sacrificio già
riscontrata in Geburah nel suo senso magico-trasmutatorio, ossia come
trasformazione dell'energia liberata da una forma, affinchè ne componga un'altra in un fine non egoistico, un dare per gli altri, e nell'apice
del suo significato, un donare se stessi partecipando all'ideale più elevato, quello della reintegrazione universale; per opposto il vizio assegnato a Tipharet è l'orgoglio. Trovandosi sul pilastro centrale, indica uno
stato di consapevolezza, un’illuminazione superiore e non più relativa alle
esperienze sensoriali, caratteristica delle quattro Sephirot sottostanti. Nel raggiungere tale
sfera si acquisisce la vera veggenza udendo la voce dell'Io superiore, e quindi dello stesso
Creatore essendo Tipharet il riflesso di Kether, nonchè l’intermediario tra macrocosmo e
microcosmo; in ebraico significa bellezza, intesa come armonia delle proporzioni. Il suo
nome ineffabile è Tetragrammaton Aloah Va Daath.
7) Nezach, costanza, vittoria; detta anche Sfera di Venere, rappresenta gli istinti emozionali, da essa genera la forza primaria che muove ogni essere, l’istinto naturale, le energie sessuali, capaci sia di elevare che frammentare l’individuo a seconda dello stato
superiore o infimo che le pervade. In questa Sfera ha sede l’amore in tutte le sue variegate
sfumature, dalle più spirituali alle più fisiche. Netzach e Hod, la Sfera che la
segue, parallelamente alle coppie superiori, rappresentano energia e struttura agenti stavolta non su di un piano puramente metafisico ma su
quello della manifestazione. Hod rappresenta l’intelletto, e Netzach la
forza che in esso si attiva creando delle vere e proprie forme pensiero,
senza questa energia che dinamizza la mente immaginifica, vivificandola, Hod rimarrebbe sterile, teorica. Il suo nome di potere è Jehovah
Tzabaoth, il Signore degli Eserciti.
8) Hod, maestà, gloria; come abbiamo visto è strettamente correlata a
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Netzach, le due Sephirot agiscono e si muovono nel piano astrale, ossia quello emotivo
originando, attraverso la loro unione, il desiderio. Il flusso discendente di tale emanazione,
una volta raggiunto Malkuth, risale portando in esse il riflesso delle esperienze sensoriali
tratte dal Regno, da ciò si intuisce quanto le Sfere ne siano influenzate e come il piano
astrale di conseguenza sia un vero e proprio ricettacolo di psico-creature generate dalla mente dell’uomo, assioma che ricorda e ridonda nella Tavola
di smeraldo: “Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come
ciò che è in basso, per fare il miracolo di una cosa sola”.
Hod ha la capacità di sublimare, direzionare, controllare la forza
dinamica di Netzach inibendo la natura animale e istintiva attraverso il
raziocinio. In lingua ebraica significa gloria, poiché proprio in essa le
forze naturali prendono forma e l’iniziato, raggiunta tale sfera di consapevolezza, riuscirà a scorgere in ogni elemento della natura lo splendore e quindi
la gloria di Dio. Hod è la sfera attribuita a Mercurio-Ermete, dio della scienza e dei libri,
dell’intelletto e quindi della Verità celata in ogni cosa, il suo vizio in opposizione è quindi
l’imbroglio, l’illusione, la falsità. Il suo appellativo ineffabile è Elohim Tzabaoth, il Dio
delle Schiere.
9) Yesod, fondamento; questa Sfera è il vero e proprio trasmettitore nonchè il ricettacolo di tutte le emanazioni precedenti che culminano attraverso di essa nel regno, Malkuth. Viene infatti descritta come la sfera che regola il meccanismo dell'universo la cui
base, partecipe sia del mondo materiale che mentale, è l'Akasha o l'Etere del Saggio, il
quinto elemento, non manifesto, in cui trovano spiegazione gli altri quattro. Magicamente,
ogni operazione il cui effetto deve trovare riscontro nel mondo fisico, va effettuata attraverso Yesod, poichè essa, e quindi il piano astrale, è il tramite
tra Spirito e materia, in quanto l'uno non può agire direttamente sull'altro, ma solo attraverso la mente, tramite l'etere, il regno riceve gli influssi
divini. Yesod è chiamata anche Sfera della Luna, e collegata quindi all'astro che parallelamente riflette la luce solare in Malkuth, questi influssi, dette maree lunari, crescono e decrescono in un ciclo di ventotto
giorni raggiungendo l'apice della loro intensità al plenilunio, regolando in
ampia misura sia i processi fisiologici che le operazioni magiche. Il suo nome
di potere è Shaddai el Chai, l'Onnipotente Dio Vivente.
10) Malkhut, regno; si può notare dal glifo che, diversamente dalle precedenti, questa Sfera non fa parte di alcuna triade, posizionata all’estremità del pilastro centrale, a cui
convergono anche i due laterali, contiene e condensa l’insieme di tutte le emanazioni precedenti e va considerata in particolare relazione con l'unica a lei direttamente collegata,
Yesod. Malkuth viene denominata Madre inferiore in quanto, come Binah (Madre superiore) fa con Cokhmah, è in grado di racchiudere le energie vitali di Yesod donando loro
in tal modo una forma. Malkuth è il nadir dell'evoluzione, ma esso dovrebbe essere considerato
non come l'infimo abisso della materialità, ma come la boa di virata di una regata. Qualsiasi yacht
prenda la via di casa prima di aver girato la boa viene squalificato. Lo stesso è dell'anima, spiega metaforicamente Dion Fortune nella sua “Cabala Mistica”
volendo indicare la caduta come un processo necessario alla risalita in
quanto l’animo umano, proprio attraverso le esperienze sensoriali, avrà
modo di imparare a disciplinarsi, correggersi, dominarsi e infine trascendere la materia ascendendo verso l'Unità con consapevolezza. Da
questo si intuisce l'estrema importanza che le varie incarnazioni posseggono in tale processo essendo quindi l'unico modo in cui trarre i giusti
insegnamenti per la nostra rettificazione, le prove che la vita ci offre altro
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non sono che gradini per un’evoluzione spirituale. Il nome di potere di Malkuth è Adonai
Melekh o Adonai ha Aretz.
Da quanto fin ora detto si intuisce come l'emanazione esplichi una continuità tra
emanatore ed emanato e come perciò ogni essere sia parte della divinità, il limite nel comprendere tale verità risiede quindi nella mancata e scarsa cognizione mentale, incapace
di scorgere la reale essenza di ogni cosa. L’idea che “Dio sia l’anima delle anime” ne dichiara
la consustanzialità a quella umana, seppur intesa come neshamah, ossia nella sua parte
più alta (nefesh) non contingente al corpo, che non discende affatto nei mondi inferiori
ma che li irradia e incapace di peccare, un modus operandi che vede quindi Dio in essa, e
quindi nel mondo ma allo stesso tempo fuori da esso. L’uomo tuttavia non percepisce il
divino che è in lui finché non comincia la propria rettificazione e il conseguente percorso
di ascesa, un riavvicinamento che man mano darà così modo al Creatore di svelarsi. La
possibilità di correggerci viene data solo nel regno di Malkuth, ovvero dove le forze impure scaturite dai piaceri del mondo sensibile possono agire, venire comprese, contrastate
e trascese attraverso gli insegnamenti della sofferenza, lo studio, la meditazione, fino alla
completa catarsi delle passioni, dissoluzione dell’ego e conseguente volontaria obbedienza ai precetti del Creatore. L’uomo è l’unico essere in grado di discernere il male, respingerlo e rettificare così i propri desideri, solo in tal modo potrà ottenere l’intercessione
divina, l’unica capace di redimerlo interiormente e che può agire solo previa il consenso
dell’umana volontà, quando l’individuo avrà compreso e rifiutato la sua natura egoistica
e opposta a quella del Creatore. L’Ineffabie trova piacere nel dare, l’uomo, al contrario,
nel ricevere, è infatti questo divario che da Lui ci allontana poiché le affinità dipendono
dalle vicinanze spirituali, non fisiche e l’unico modo di reintegrarci è quello di acquisire
le qualità divine.
“Il nostro cuore è la somma dei nostri desideri egoistici e il piccolo punto che si trova al
suo interno è parte del desiderio spirituale e altruistico che vi è stato inserito dall’Alto, dal Creatore
stesso. È nostro compito nutrire questo embrione di desiderio spirituale, nella misura in cui possa
(lui e non la nostra natura egoistica) determinare tutte le nostre aspirazioni. Allo stesso tempo, il
desiderio egoistico del cuore si arrenderà, si contrarrà, appassirà e alla fine scomparirà.
Dopo essere nato nel nostro mondo, l’uomo è obbligato a cambiare la natura del proprio cuore da
egoistica ad altruistica, mentre vive nel mondo. Questo è lo scopo della sua vita, la ragione della
sua presenza nel mondo e lo scopo di tutta la creazione”. (Zohar, la luce della Kabbalah – traduzione e commento del Prof. Michael Laitman). n
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L’ARCOBALENO MISTICO
Heru Pha Khered
“Non si leggono i testi Ermetici
per ottenere informazioni
su procedure alchemiche,
si leggono per formarsi
una mentalità ed una percezione…”
Schwaller de Lubicz (1887- 1961)
Alla morte di Isaac Newton (1643 – 1727), Alexander Pope (1688 – 1744) scrisse di
lui: “la natura e le sue leggi erano sepolte nella notte; Dio disse: che Newton sia! E fu luce ovunque”. Probabilmente Newton non sarebbe stato totalmente d’accordo con l’amico Pope.
Seppur vero che sia stato uno dei precursori nella scienza del suo tempo, non dobbiamo dimenticare che prima di tutto fu un grande alchimista, nonché massone, e dunque
è mia convinzione che avrebbe rifiutato l’epitaffio in quanto, da alchimista, aveva sicuramente indagato sulla natura e le tradizioni ermetiche che parlavano della luce, nel senso
mistico; tradizioni precedenti alla sua nascita e fonte di culture che, in quanto ad alchimia,
non avevano niente da imparare.
Quando parliamo di alchimia istintivamente la colleghiamo alla ricerca della Pietra
Filosofale e ai tre gradi simbolo dell’Opera alchemica: Nigredo, Albedo e Rubedo.
Se proveremo ad approfondire le nostre conoscenze, potremmo scoprire che
l’Opera in Rosso, da molti esperti ritenuta il culmine dell’alchimia, in effetti non è altro
che il punto di partenza per la ricerca mistico-alchemica dell’Oro Interiore.
Per poter sperare di arrivare alla sua conoscenza occorre trasmutare moltissimi
altri stadi; convenzionalmente quelli, oramai, ritenuti primari sono, oltre ai tre accennati
sopra, altri quattro anche se Renè Guenon afferma che non sono sette i
colori dell’iride, ma sei (rosso, arancione, giallo, verde, blu e viola).
L’indaco è un’aggiunta moderna che potrebbe aver sostituito
qualche denominazione più antica e che la sfumatura corrispondente all’indaco sia stata, in una certa epoca, sostituita
a un’altra per completare il settenario comune dei colori.
(“Simboli della Scienza sacra”, I sette raggi e l’arcobaleno). Ciò
non toglie che fin dall’antichità il simbolismo orientale si
sia basato su sette colori sui quali hanno basato i principali centri di energia dell’essere umano.
Questi sette corrispondono alla scala di gradazione
dei colori dell’iride e i precursori nella loro qualificazione
furono gli Indiani che in essi fecero corrispondere i sette Chakra principali dell’essere umano e i mistici Arabi dei quali approfondiremo il discorso con questo lavoro. Dunque, per entrare
nell’ambito, dobbiamo per prima cosa tenere presente che, sebbene
la luce sia il simbolo archetipico della Saggezza, è attraverso la trasmutazione dei vari
stadi di luce che possiamo tentare di arrivare allo stadio dell’Oro Interiore; questi stadi,
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o lunghezze d’onda sono i colori ovvero le tonalità archetipiche delle varie frequenze
della luce.
Si potrebbe, ovviamente, credere che tutto ciò sia il risultato dell’immaginazione
e dunque irreale, ma come vedremo in seguito l’immaginazione allontana dalla meta. Il
termine che si dovrebbe utilizzare è “l’immaginale” e anche di questo avremo modo di
parlare più avanti.
Tornando a Newton che, certamente, aveva nozioni alchemiche superiori a chi
scrive, avrebbe trovato un modo più elegante per dare l’incipit a questo Lavoro; la frase
messa al principio è il modo più semplice che ho trovato per spiegarmi, e provare a spiegare, l’alchimia mistica della luce e dei colori, dei loro archetipi e di come essi siano stati
utilizzati, dalla cultura di cui andrò a trattare, per cercare un mezzo che potesse permettere di arrivare, oltre che alla saggezza, ad essere un tutt’uno con l’Universo o, se vogliamo, col Divino.
Alchimia è una parola che deriva dall’arabo - AL
CHEMA’- e che significa “il Segreto” o “il Nero” ovvero
“il mezzo che vnce l’oscurità e che porta alla Luce”; sembra
che questa parola derivi dal termine Kemì, terra nera,
ossia il nome che gli antichi egizi davano al loro paese.
Era il modo in cui “in quelle terre indicavano quella
scienza, o quell’arte che pretendeva di insegnare il segreto di
convertire mediante fusione i metalli ignobili in oro, comporre
medica- menti atti a guarir tutti i mali e prolungare la vita”. Queste parole
appartengono a Giulio Firmico Materno, uno scrittore romano di età tardo imperiale.
Forse Giulio Materno, che si era precedentemente convertito al cristianesimo e considerava i culti e i misteri di origine orientale tutte falsità, non aveva compreso l’essenza
dell’Al Chemà, ovvero la filosofia mistica attraverso la quale si ricercava l’evoluzione
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dell’essere umano. L’Islam, la religione dei popoli arabi,
non è sempre sinonimo di integralismo; la traduzione del
termine significa “sottomissione (a Dio)” o, meglio ancora
“Essere Salvato”.
Il profeta dell’Islam è Maometto (Muhammad) considerato dai musulmani l’ultimo e definitivo profeta inviato da Dio al mondo intero (dove per mondo intero
bisognerebbe intendere Umanità).
Dunque la parte mistica dell’Islam, quella che si inSELKIT,
teressava della salvezza dell’uomo attraverso la conodea
egizia
della magia
scenza della luce (del Dio invisibile, ma insito nell’Essere),
dava un’interpretazione particolare anche al Profeta (la parte mistica dell’Essere) interpretandolo come il mezzo attraverso il quale Dio, insito nell’uomo, gli parlava affinché il
profeta (anch’esso parte integrante dell’uomo) manifestasse la divinità all’Uomo.
Questo giro di parole vuole soffermare la nostra attenzione su un concetto: il “Mohammad del Tuo Essere”.
La spiegazione, per quanto in modo confuso, riportata sopra dovrebbe essere utile
a farci comprendere meglio il significato che i mistici dell’Islam davano a questo concetto.
Tra coloro che lo utilizzarono i più assidui furono i mistici del Sufismo Iraniano.
L’Al Chemà iraniana basa le sue principali forme di spiritualità sul rapporto tra
luce e colori attraverso i quali l’iniziato, percependo e facendo propri i vari archetipi delle
frequenze d’onda, dovrebbe interiorizzarle traendone “nutrimento per lo spirito” al fine di
percepire la Voce di Dio attraverso il “Mohammad del Tuo Essere”.
In altre parole si tratta di percepire la “Vita oltre l’esistenza”, o meglio, crescere in
spirituale per dare un senso al materiale.
La massima espressione per poter comprendere il discorso fatto fino a questo
Nasir-al-Mulk-moschea a Fars in Iran
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punto si trova in un dettame suggerito nel “Ta’Wil”; è un dettame dell’ermeneutica spirituale praticata dagli iniziati dell’Islam. Attraverso di essa si
cerca un’interpretazione dei testi classici religiosi
che consenta un “ritorno alle origini”, non tanto in
senso storico, ma piuttosto trascendente. In questo
tipo di ermeneutica si rivolge inoltre particolare
attenzione ad un “libro”, quello interiore dell’uomo. In questo caso il Ta’wil si presenta come
una vera e propria pratica alchemica che tende ad
“occultare l’apparente” per “manifestare il velato”;
l’individuo che riesce ad entrare profondamente
nel linguaggio di un simbolo è in grado di cogliere
il potere “ispirativo” insito in esso.
Così facendo è possibile “risalire la corrente”; letteralmente Ta’Wil significa “ricondurre
una cosa alla sua fonte, al suo archetipo, alla sua realtà
vera”. Ricondurre il tempo tangibile al tempo psichico, quello del mondo dell’anima. Secondo Semnani, un maestro del sufismo, esiste infatti un “tempo degli orizzonti” avente direzione
orizzontale, fisico-storica, ed un “tempo del polo” di natura verticale, tendente alla spiritualità in cui può essere attuata l’esegesi spirituale del Ta’Wil. In essa ci si avvale dell’immaginazione spirituale che, a differenza dell’immaginazione orizzontale, tangibile, non
costruisce dell’irreale, ma invece “svela il reale nascosto”. Giungendo a quell’origine inconoscibile del simbolo avente propria forma e modello.
Atto interiore, quindi, assolutamente sacro, che pone l’essere umano nella condizione di svolgere pienamente il proprio “compito”:
quello di ponte di congiunzione e di scambio tra la natura manifestata e la sua radice immanifesta.
In questo modo gli archetipi dischiudono la loro intrinseca bellezza, Bellezza Divina se è vero, per usare le
parole di Agostino, che questi risultano essere i modi
stessi in cui Dio concepisce il proprio logos, e tramite i
quali si vengono a costituire i modelli delle cose create.
Ma attraverso quale processo l’essere umano può
giungere ad un tale traguardo cognitivo-consapevole?
Nella meta fisiologia della luce propria del sufismo
iraniano si parla di un raggiungimento in similitudine
luminosa.
Parimenti all’alchimia che vuole il simile “aspirato” dal
simile, solo colui che riesce a liberare le proprie “particelle
di luce” dalla prigione materiale-arimanica, può sentirsi “aspirato”, cioè attirato, dalla fonte
luminosa, suprema, che lo richiama a Sé; solo chi riesce, faticosamente, a porre fine a una
visione strettamente materialista del reale può giungere a cogliere quello “spazio spirituale
interiore”, spazio che così potrà Operare la personale “invocazione” di Luce.
Ogni Simbolo rimarrà decisamente latente se proveremo a conoscerlo solo con la
mente e non con l’anima.
Come simbolo il colore è sicuramente tra i più ricchi di significati, sia a livello psicologico che spirituale, essendo un fenomeno legato alla luce in quanto una sua espressione
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qualitativa.
I colori si differenziano in cromatici, colori che hanno
una personale tonalità e colori acromatici; il bianco,
tanto per fare un esempio, è un colore acromatico non
esprimendo una tinta, ma inglobandole tutte.
La luce del sole è Bianca ed è solo la sua disgregazione
nello spettro fa in modo che risultino visibili il rosso,
l’arancione, il giallo, il verde, l’azzurro, l’indaco ed il
violetto.
Anche il nero, esprimendo la totale assenza di luce; e il
grigio, frutto dell’unione del bianco e del nero, assumono caratteristica acromatica.
Il simbolismo dei colori acromatici, visto in senso strettamente esoterico, tende a scostarsi in modo considerevole da quello degli altri colori. Si potrebbe affermare
che i colori dello spettro rappresentano degli archetipi
aventi propensione manifestativa, mentre i colori acromatici esprimono degli archetipi “essenziali”, inerenti
principalmente al “mistero” intrinseco della luce.
Fisicamente la luce visibile è un particolare tipo di onda elettromagnetica che si
differenzia dagli altri tipi di onde elettromagnetiche (onde radio, raggi X, ultravioletti,
ecc) per il fatto di essere percepita dall’occhio umano.
Dunque la luce non è altro che il segno evidente di un processo di trasformazione
della materia in cui viene liberata energia (cosa che succede ad ogni tipo di vibrazione
energetica).
Questo processo può essere chimico (fiamma di una candela), fisico (il fulmine),
oppure termonucleare (eruzioni solari).
In ogni caso c’è una stretta relazione tra luce ed energia, energia e materia; inoltre
la luce presenta un duplice aspetto: ondulatorio e corpuscolare
Con il termine ondulatorio si definisce il concetto di continuità, mentre con quello
corpuscolare s’intende la “quantizzazione” della luce come aggregato di unità singole chiamate fotoni; le due teorie hanno permesso alla fisica di determinare la distribuzione dei
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fotoni che cadono sopra un corpo in determinate condizioni (nozione d’onda).
Se affrontiamo queste capacità della Luce in chiave simbolica, possiamo constatare
come l’andamento fisico della luce rifletta un archetipo che unisce in se stesso sia la natura
duplice che quella unitaria della luce manifestata.
La Tavola di Smeraldo espone in questi termini la creazione del mondo: “La prima
cosa che apparve fu la luce della Parola di Dio. Essa dette nascita all’azione, l’azione al movimento
e questo al colore”.
È la descrizione in Genesi del “Yehi Or” (= La Luce Sia!), una sorta di Luce-Amore
divino, dove il colore può essere preso come riferimento alla manifestazione della luce
ovvero il Dio-Cristo-Uomo che Jakob Bohme, filosofo e mistico tedesco (1575-1624) cresciuto in ambito luterano, sviluppò in seguito in molte sue opere (“Aurora Consurgens” o
il “Rosseggiare del mattino in ascesa” (1620), “Cristosofia o la via a Cristo” (1624) attraverso
un suo pensiero: “la luce si libera dal fuoco come il desiderio d’amore si libera dalla volontà di
Dio e si fa Uomo”.
Lo stesso Bohme era solito dire di sé: “Ho letto un solo libro, il mio libro dentro di me”;
era convinto che l’uomo avesse la capacità di comprendere il “mistero di Dio”, da lui concepito come
una realtà informe e originaria da cui prendeva vita
la creazione mirabilmente descritta nella Tavola di
Smeraldo.
Dunque il suo pensiero è molto simile al pensiero orientale dove si parla di una Luce da percepire
senza “rifrazione”, cioè senza intermediazioni deformanti, per intuizione diretta, - affinché possa aver luogo
il “miracolo” dell’Illuminazione -.
Appare evidente che i mistici fanno riferimento
ad una Luce unitaria che, come pura espressione divina, esprime una forza creativa, onnipervasiva che
“riempie di Sé” quello che prima “non c’era”.
Ma la luce è paragonabile anche a un’onda che rappresenta l’incessante fluire della
vita frammentato dalle forme, dalle creature, da tutte quelle manifestazioni quantitative
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aventi propria singolarità.
Questi frammenti compongono l’aspetto corpuscolare della luce che i fisici chiamano “Quantum”.
Anche noi, esseri umani, essendo creature esistenti, rappresentiamo una specie di
quantum all’interno dell’”eterno fluire della vita”.
Ovviamente quest’onda luminosa e pura sebbene limitata dai fenomeni, al tempo
stesso, non ne è soggetta, perché, istante per istante, l’incessante fluire
della vita ricrea l’universo; dunque ogni uomo è sempre e continuamente
una nuova creazione così come lo è ogni quantum di luce.
Si potrebbe affermare che con questa visione l’archetipo luminoso dell’onda diventa espressione dello Spirito, cioè di quella manifestazione del divino avente continuo movimento ed eterno divenire.
A questo punto lo Yehi Or diventa il “Respiro dell’Universo”, composto da un flusso continuo di luce e colori, dove possiamo paragonare
l’espirazione alla discesa nella molteplicità e l’inspirazione al ritorno all’unità.
Attraverso questo fluire l’Essere Umano può scegliere di seguire il
percorso verso la reintegrazione oppure no.
A seconda della scelta fatta si crea quella differenziazione tra sacro e
profano o, se vogliamo esoterico ed essoterico; infatti se i fenomeni, qualunque essi siano, derivanti dal fluire continuo della vita, vengono vissuti
dall’essere umano come un assoluto, l’unico aspetto della luce che verrà
accettato sarà quello corpuscolare (essoterismo).
Si perderà così, necessariamente, quell’”apertura” dell’anima possibile solo in uno
stato di “continuo flusso di luce”, dunque ondulatorio (esoterismo).
Dobbiamo, tuttavia, considerare la “condizione umana” come assolutamente essenziale per quello che viene definito “stato di illuminazione”; dunque il vivere solo lo stato
ondulatorio della luce, privandosi di quello della manifestazione densa, produrrà ugualmente un “danno”: si perde la possibilità di individuazione in “stato d’essere cosciente”
propria dell’esperienza apportata dalla manifestazione umana.
Nella realtà che ci circonda tutto è apparentemente distinto, separato, molteplice;
il superamento di questa dimensione con “pienezza di luce”, ossia da “Essere Risvegliato”, dunque partecipando in piena totalità l’archetipo, ci proietteremmo in quello
“spazio nuovo”, dove l’esistenza è proiettata, da quest’onda di luce, sempre in avanti,
verso un ritorno all’UNO Unico.
L’archetipo della luce, in questa visione, risulta andare oltre i semplici colori, infatti
si potrebbe dire che ne è insieme l’origine, la causa, e il raggiungimento ultimo; dunque
il colore, per la luce stessa, è definibile come una sorta di qualità in continua evoluzione
esperienziale.
Se le ipotesi esternate possono avere valore,
viene da chiederci perché all’occhio umano è data la
capacità di distinguere i colori? E se per la luce stessa
il colore è una qualità in continua evoluzione, qual è
l’esperienza evolutiva che è chiesta all’essere umano
reso capace di distinguere i colori?
Non possiamo dimenticare che la maggioranza
dei mammiferi possiede una visione cromatica mediocre, se non del tutto assente; mentre altre specie come
gli uccelli e gli insetti percepiscono i colori benissimo
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e alcuni rettili superano la visione umana arrivando alla percezione degli infrarossi.
Comunque le risposte alle domande
che mi pongo sono forse impossibili da avere;
resta ovvio che l’essere umano non è solo in
grado di percepire e distinguere attraverso gli
occhi le diverse lunghezze d’onda (o frequenze) della luce visibile, ma riesce a trarne
“esperienza”, a collocarle cioè su di un piano
percettivo-elaborativo
L’oriente ci ha portato i più grandi insegnamenti in questa materia fino ad arrivare
a valutare la capacità dell’essere umano, attraverso questa percezione-elaborazione, di
trarre “nutrimento” dalle varie frequenze luminose (Chakra) a beneficio sia fisico che spirituale; dunque si potrebbe ipotizzare (per
non usare affermare) che attraverso la capacità
dell’essere umano consapevole (risvegliato) di
partecipare totalmente gli archetipi luminosi
si raggiunge quella richiesta fatta dal neofita
che bussa alle porte del Tempio: “la Luce”.
Un altro attributo del colore è la Luminosità (Brillanza) che coincide con la nostra
sensazione di cupezza o di chiarezza di un colore rispetto ad un altro; ad esempio potremmo percepire un’impressione di cupezza
per un viola od un blu scuro, oppure di brillantezza per un giallo o un verde chiaro.
Passando su un piano simbolico possiamo valutare come questo attributo esprima
la modalità di rapporto tra il colore manifestato e il suo archetipo: il suo “linguaggio”.
I colori di frequenza maggiore (vicini all’ultravioletto, come il blu e il viola) esprimono una comunicazione interiorizzante e intima, mentre le frequenze basse e medie
dello spettro visibile la producono aperta e esteriorizzante; naturalmente è una comunicazione simbolica, una suggestione che non proviene dalla sola osservazione razionale;
ad essa ci si avvicina attraverso un contatto “intimo”, immaginale; questa comunicazione,
facilmente udibile al bambino, finisce per essere dimenticata in età adulta, a vantaggio
della concezione razionale e immaginativa.
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Il Vangelo di Marco spiega in modo tanto semplice quanto profondo questo concetto
nel momento in cui leggiamo: “Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli
li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me e
non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso”.(Marco 10, 13-15).
Nel Pensiero mistico iranico-islamico, l’immaginale corrisponde ad una reale facoltà dell’anima. Facoltà sottile d’intermediazione tra le percezioni che derivano dal
mondo sensibile e quelle che provengono dal mondo spirituale inintelligibile. Il suo
“luogo” manifestativo è il “mondo di mezzo”, il mondo animico, secondo la Kabbalah, della
Sephirah Malkut.
L’immaginale non è l’immaginazione che, al contrario fa parte esclusivamente
della razionalità; si potrebbe definire una sua elaborazione per lasciare una “valvola di
sfogo” ai contenuti desiderati o repressi dell’essere umano adulto; dunque la nostra fantasia potrebbe creare delle immagini attraverso le quali l’uomo varca quel confine legale
imposto dalla morale, ma noi, seppur potremmo provare uno sfogo a quello che definiamo “tabù”, nemmeno per un attimo
pensiamo che queste immagini possano elevarsi alla realtà.
I bambini invece lo fanno. Spesso le loro
“produzioni immaginarie” si sostituiscono al
reale oppure si mescolano ad esso.
Il margine tra il mondo raziocinante (logico), e quello immaginativo (fantastico), è per
loro ancora fragile sul piano emotivo e, solo
crescendo, piano piano, questi due mondi cominceranno a trovare una loro collocazione
unitaria, separata, riconoscibile.
Il simbolo, l’archetipo, riunisce questi due mondi nell’attuale, creando un ponte
di contatto tra il mondo immaginario e quello reale.
L’essere umano, l’individuo percepisce questi due mondi in modo del tutto personale, quindi ogni uomo ha la sua visione di ciò che
è reale e ciò che è fantasia; ma l’Iniziato, il Risvegliato che è riuscito attraverso il simbolo a riunire i due
mondi non è più di fronte alla fusione infantile, bensì ad
un ricongiungimento cosciente, evoluto tra essi.
L’immaginale simbolico della filosofia mistica iranico-islamica rappresenta questo scambio, questo “mondo di mezzo”
espresso in un ambito divino imperscrutabile all’essere umano
e, tuttavia, a lui indispensabile in quanto conduce i “Valori
del Reale”, percepiti da ognuno in modo diverso, ad assumere un significato mistico in un piano interiore pur sempre personale.
Questo processo simbolico che trasforma dunque
l’immaginale in valori intimi, in seguito, li veicola (o
dovrebbe veicolarli) a manifestarsi sul piano reale non
più come immagini fantastiche, ma elaborate intimamente dalla nostra parte divina, pura, come mezzi di
evoluzione nel continuo flusso vitale; quel “Respiro del-
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l’Universo”, lo Yehi Or ovvero il ritorno al Verbo divino, alla Luce primordiale.
L’approccio con gli archetipi dei colori della luce procede sempre per fasi conoscitive, che si susseguono, relative al livello mistico interiore raggiunto, ma non dobbiamo
scordare che per raggiungere o cercare di raggiungere un certo tipo di livello occorre uno
sforzo di volontà.
Comunque, la vibrazione congiunta ed essenziale degli archetipi dei colori e l’interiorizzazione degli stessi, da parte dell’Iniziato, potremmo considerarla come lo stadio
finale dell’Opera conoscitivo-trasmutativa del colore identificabile nello stato Aureo dell’alchimia; l’Oro filosofale raggiunto, il compimento della
Grande Opera; la trasmutazione di tutti gli stati coscienziali, i metalli della condizione materiale, in consapevolezza completa (Oro/Luce).
Dunque potrei azzardare che l’Oro interiore, questo stadio finale, corrisponde ai colori dell’Arcobaleno che,
come ho detto, sono con-vibranti con quei centri energetici
interiori che, comunemente, si definiscono Chakra.
A conferma di questo, oltre al sufismo iranico, troviamo nella Bibbia: “E Dio disse: - Ecco il segno del patto che
io faccio tra me e voi per tutte le generazioni a venire. Io pongo
il mio arco nella nuvola, e servirà da segno del patto fra me e la terra.” (Genesi,9:12-13).
“L’arco dunque sarà nelle nuvole, e io lo guarderò per ricordarmi del patto perpetuo fra
Dio e ogni essere vivente. E Dio disse a Noè: - Questo è il segno del patto che io ho stabilito tra me
e ogni carne che è sulla terra -”. (Genesi,9:16-17)
Quindi potrei affermare che un Iniziato deve corrispondere ad uno stato interiore
che convibra con i sette colori dell’Iride (il patto tra Dio e l’uomo), e questo stato corrisponde al “Mohammad del Tuo Essere” del sufismo iraniano, o allo Yehi Or ebraico.
Dall’utilizzo del simbolo del colore, come metodologia di indagine e di successiva,
eventuale trasmutazione coscienziale, saremo in grado di operare una autovalutazione
che, se sincera, potrà fornirci preziose indicazioni sul nostro “reale stato evolutivo”.
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L’obiettivo dell’Iniziato è aspirare ad essere “Uomo di Luce”, una luce mistica composta dai sette colori energetici principali che, amalgamandosi in perfetta armonizzazione,
riflettono l’Oro Filosofale.
L’Uomo che si realizza opera quella condizione di interezza, la reintegrazione, tra
materialità e spiritualità, quel cammino che lo riporta alla sua origine divina.
Fatto questo, constatando quanto siamo più o meno “lontani” dall’ottenimento
“dell’Arcobaleno Interiore”, spetterà a noi, alla nostra “volontà di ascesa”, di “bussare
alla porta”.
A conclusione di questo lavoro spero sia più chiaro a noi tutti il compito iniziatico
che abbiamo assunto e, se così sarà, anche certi passaggi dei nostri Rituali acquisteranno
un valore diverso.
Potremmo percepire, considerando la nostra condizione di Eterni Apprendisti, con
maggior consapevolezza alchemica il passaggio del Rituale Massonico che avviene durante l’iniziazione a Libero Muratore:
Maestro Venerabile: “Fratello Primo Sorvegliante che cosa chiedete per il Candidato?”
Primo Sorvegliante: “La Luce, Maestro Venerabile”
Maestro Venerabile: “Che sia data la Luce al terzo colpo del mio maglietto!”
… wajj’omer ‘elohim jehi ‘or wajjehi ‘or …
“Il Saggio dopo aver scalato il Sentiero dell’Arcobaleno e aver trovato l’Unità, varca la
Porta e inizia la Vera Vita”.
(Anonimo) n
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LA RICERCA DI DENTICE D’ACCADIA
SULLA FILOSOFIA ECONOMICA
E SULLA MISTICA PALOMBIANA
Howard Mat
La ricerca di Antonio Dentice d’Accadia sull’economista Giuseppe Palomba è
l’apripista per un campo inedito e inesplorato, la regione filosofica in cui convergono
amalgamandosi due scienze da sempre credute inconciliabili: l’economia e il sacro, con
una raffinatezza e completezza logico-dialettica ben distante dal semplicismo moralista.
Il lavoro entusiasma da subito per l’originalità e pretende maggiore attenzione
man mano che dispiega inconsuete particolarità e l’evidente genialità eretica di un pensiero ancora all’avanguardia che ha sconcertato e disorientato gli altri economisti del Novecento.
L’autore della ricerca ci offre dettagliata argomentazione degli sviluppi riguardanti
anche le prossime pubblicazioni e chiarisce dei punti in ombra anticipando alcune evoluzioni.
Si studia e commenta il pensiero economico e filosofico di Giuseppe Palomba
(1908, Caserta - 1986, Napoli) tra i massimi scienziati italiani del Novecento e caso particolarissimo. Egli era nel contempo il legittimo discendente della scuola economica di Vilfredo Pareto (attraverso Luigi Amoroso) e il massimo rappresentante in Italia del mistico
e sufo Frithjof Schuon (a propria volta figlio iniziatico di Guénon). Non ci riferiamo a un
personaggio minore del secolo scorso, ma a un pilastro del mondo accademico italiano
(ha insegnato nelle Facoltà di Catania, Napoli e Roma), socio delle più importanti istitu-
Il Dott. Antonio Dentice d’Accadia, autore della ricerca citata
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zioni (i Lincei, la Tiberina, la Pontaniana, ecc.) e premiato da ben due Presidenti della Repubblica (Pertini e Leone).
Palomba ha scritto una trentina di opere con la particolarità straordinaria di essere
una sintesi sincretica e inter-disciplinare tra scienza economica, sociologia, filosofia e
scienze sacre. In tale quadro il mondo accademico si offre
interfaccia del mondo spirituale. Le numerose opere dell’economista (ormai quasi introvabili) costituiscono un corpus disorganico dalla lettura assai complessa. Ad esempio
nella “Morfologia economica” si inizia dai principi taoisti
(Yin-Yang) e attraverso la storia economica e la sociologia
del Pareto ci si riconduce al significato della moneta nel
rapporto simbolico tra umano e divino. In Palomba il tutto
è espresso anche attraverso un linguaggio fisico, matematico e geometrico rendendolo ostico non solo per l’ampio
pubblico, ma anche per gli studiosi del settore costretti a
transitare per i concetti orientali (tra Nirvana, Samsara, Satori, buddhità, ecc.) al fine di coglierne le riflessioni strettamente scientifiche.
La ricerca di Dentice d’Accadia si pone come bussola e sintesi organica di tutto il
pensiero palombiano, rendendolo chiaro e assimilabile anche dall’ampio pubblico e mostrandone l’attualità in due principali applicazioni: il metodo economico e la formulazione
filosofica. Il lavoro dell’autore si esprime in due pubblicazioni del 2013: “Giuseppe Palomba.
Tra scienza ed esoterismo” (Tipheret Editore) e “L’economista Giuseppe Palomba. Metafisica
dell’economia” (Bonanno Editore). Altri due volumi sono in corso d’opera, il terzo riguarderà la filosofia mistica di Palomba nel suo periodo finale e il quarto lavoro definirà l’organizzazione categoriale del pensiero economico e sociale. Le quattro opere costituiranno
il pilastro fondamentale per la comprensione della totalità palombiana godendo alla base
di una imponente collaborazione: economisti, scienziati, teologi, letterati, sufi, iniziati alle
correnti orientali, occidentali e latine (tant’è vasto Palomba).
Già soffermandoci al puro pensiero economico ci troviamo di fronte a una vera e
propria “anomalia” concettuale. Esso è la “terza via” che passa marginalmente al pensiero
liberista di Vilfredo Pareto e alle osservazioni anticapitaliste di Marx e li abbraccia tutti
cercandone congiunzione. Spingendoci oltre si arriva a quello che Dentice d’Accadia definisce il “paradigma fondamentale”: la dimensione economica è un modo di essere di quella
politica e la dimensione politica è a propria volta un modo di essere della dimensione
sacro-metafisica. É lo studio del trascendente nella storia economica cercando soluzioni
alle attuali problematiche.
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I principali campi di ricerca di Palomba sono:
l’etica dell’economia e la filosofia economica, la sociologia, la storia
economica, il rapporto tra
fisica-matematica-economia
e la filosofia-mistica come antiporta per la metafisica.
Discendendo nel cuore
del sistema economico si spalancano le porte di una concezione
spirituale dalle proporzioni insolite. Ecco che vi troviamo nozioni
legate alla Via Cardiaca del Martinismo, al setaccio del Buddhismo, alla
gerarchia Induista, al Taoismo, ai processi alchemici, all’estasi del Sufismo,
ai principi massonici e tutto è infine ricondotto a una personalissima visione
della mistica del Cristianesimo.
Dentice d’Accadia attraverso gli scritti
di Palomba ci descrive il percorso raccontato
dallo scienziato. Egli ha iniziato dal puro studio accademico per impelagarsi nella crisi
scientifica ed economica. Erano tramontati l’Homo oeconomicus, il principio utilitaristico e i principi smithiani. In questo scenario di
profondo malessere e di disorientamento Giuseppe Palomba si dedicava allo studio di
tutte le religioni con l’intenzione di comprendere l’uomo nella propria totalità con la necessità di estendersi ben oltre il razionalismo. Dalle religioni era passato allo studio dell’esoterismo (diventando massone e martinista) e per un periodo della sua vita si era
convertito all’Islam iniziandosi al Sufismo nella Tariqua del Maestro Schuon. Palomba era
tornato al Cristianesimo dopo una intesa “esperienza spirituale” rimanendo comunque
il massimo rappresentante in Italia di Schuon. Nel ritorno al Cristo egli portava con sé
tutte le nozioni, le connessioni e il bagaglio iniziatico appreso nei vari percorsi generando
un proprio sistema spirituale che faceva da
base alle espressioni scientifiche.
Volendo muovere alcuni esempi
della formulazione di Palomba troviamo: 1)
la tripartizione spirituale dell’essere umano
(Corpo, Anima e Spirito) a ispirare le correzioni della residualità nella sociologia del
Pareto; 2) i principi della termodinamica
connessi alla teologia di Teilhard de Chardin e alla dialettica filosofica; 3) l’analisi
tensoriale applicata sia alla mistica che al
rapporto tra aree iper e ipo-sviluppate con
un occhio particolare per il Meridione e i
problemi della globalizzazione; 4) gli operatori matriciali nei processi iniziatici; 5) gli
archetipi planetari alchemico-ermetici che
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definiscono le categorie della sociologia palombiana nella “Regressione verticale delle intenzioni
estetiche”; 6) la critica a Marx e Nietzsche nella
differenza tra “psichismo” e “maggiore spiritualità”; 7) la dialettica materialista integrata
nella Teoria della meta-argomentazione; 8) il
programma di riunificazione geometrica di
Felix Klein coniugato con la filosofia Buddhista
di Nagarjuna; 9) I Trigrammi di Fo-Hi alla base
del “Libro dei mutamenti” letti anche in chiave
dell’Estetica dell’arte; 10) il ragionamento in
termini di “economia euclidea e non euclidea” per indicare le falle nel ragionamento
scientifico proiettato all’iper-razionalismo slegato dalla concreta fenomenologia sociale.
Nel volume del 2013 “Giuseppe Palomba. Tra scienza ed esoterismo” Dentice d’Accadia
in seguito a un particolare sigillo ritrovato nell’ex-archivio privato dell’economista ha ipotizzato un qualche collegamento tra Palomba e l’Ordine Osirideo Egizio. L’autore ci anticipa
che in seguito al risveglio dell’A:.O:.E:. e alle informazioni ricevute da UNAS (attuale Pontefice Massimo) il terzo volume riporterà anche due integrazioni rilevanti: 1) la differenza
tra la commissione di controllo (Ordine Osirideo Egizio) e l’Antiquus Ordo Aegypti; 2) la
conferma del collegamento tra Giuseppe Palomba e l’Ordine, nel senso che l’ascendente
Nicola Palomba fu alla guida dell’A:.O:.E:. dopo Vincenzo di Sangro (figlio del fondatore
Raimondo) e favorì la sopravvivenza dell’Ordine insignendo della Patente di 90° l’ufficiale
francese Gad Bedarride (i cui figli costituirono in Francia il “Rito di Misraïm”).
In seguito alle prime due pubblicazioni di Dentice d’Accadia sono nate numerose
iniziative in Italia (basate sulla ricerca), tra cui una tesi universitaria alla Facoltà di Economia di Capua (Seconda Università degli Studi di Napoli), una tesi all’Istituto Superiore di
Scienze Religiose di Nola “Duns Scoto”, la costituzione dell’archivio on-line “Giuseppe Palomba”, le lezioni all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli, all’I.S.S.R. “San Pietro” di Caserta e numerosi convegni tra
la Lombardia e la Campania.
Parliamo di un pluri-iniziato la cui ascendenza familiare influenzò rilevanti assetti storico-internazionali
nel campo spirituale e che ha percorso numerose dottrine orientali e occidentali trovandosi a organizzare
un nuovo pensiero pretendente inedite soluzioni politico-economiche. Il focus dell’economista si spostava
gradualmente nei seguenti termini: società iniziatiche,
gli iniziati e gli auto-iniziati man mano che si ricollegava alla matrice cristiana. Al centro del percorso c’è
l’Uomo vissuto come Universale oltre la limitazione razionale e irrazionale, nello studio del sacro e della trascendenza come presupposto d’ogni mutamento sociale.
L’ipercritico René Guénon “nonno iniziatico” di Palomba
addirittura ha scritto: «Ci felicitiamo vivamente con il professor Palomba
per il coraggio di cui dà prova reagendo così, in pieno ambiente universitario, alle idee moderne e ammesse ufficialmente, e possiamo solo consigliare
la lettura del suo libro a tutti quelli che si interessano a questi problemi e
conoscono la lingua italiana, poiché ne trarranno grande profitto» (Recensioni, Edizioni all’insegna del Veltro, Parma, 1981, pag. 97).n
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IL MITO DELL’ILLUMINISMO
Igneus
Ogni generazione reinterpreta la storia secondo le sue particolari ideologie predominanti e secondo le pulsioni del presente, che pur avendo radici in ogni lontanissimo
passato ha alcune sue specificità, secondo la forma che la società umana ha assunto.
Nella storia del pensiero e degli accadimenti umani difficilmente si può determinare ciò che è veramente originale in un determinato periodo storico. Forse le idee fondamentali dell’umanità sono presenti nel contempo in ogni era e solo il più lungo
permanere od il più rapido tramontare di alcune di loro forma l’essenza di un’epoca.
Fra tutti i miti che l’umanità ha conosciuto il più incerto è certamente quello d’evoluzione e progresso, che partendo da parametri precostituiti è arrivato fino alla nostra epoca.
Oggi quei parametri sono soggetti a dubbi e ripensamenti ed il mito esaltato ai
primi del secolo con il “ballo Excelsior” mostra la rada trama con cui stato tessuto. L’unico
metro di giudizio certo è sempre e comunque l’uomo e noi non possiamo purtroppo ipotizzare che vi sia stato un ulteriore miglioramento da quando l’umanità, con la razionalità
e l’auto-coscienza, scoprì il suo io, perdendo però così quelle superiori qualità d’istintualità ed intuività che ancora ricerca con inconscia nostalgia.
Tutto ciò che di primitivo, bestiale, crudele, accusiamo negli uomini di un lontano
passato è ancora presente in quelli d’oggi, paradossalmente assieme a tutte quelle meravigliose qualità quasi divine che i più arcaici testi del passato ci hanno tramandato.
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Ben poco sappiamo di là da cinque/seimila anni di storia, ma ciò che possiamo
intravedere ci dimostra l’assoluta omogeneità dell’uomo di ieri con quello dell’oggi, sia
nei suoi lati negativi che in quelli positivi. Ciò che ha caratterizzato la nostra era è soprattutto l’attesa messianica di una società razionale e più giusta attraverso l’evoluzione della
coscienza del rapporto sociale e quella tecnico scientifica.
Questa speranza, spillante da svariatissime fonti confluite da ogni secolo nel XVIII,
è ciò che si chiama illuminismo. Per quanto questa richiesta di razionale umanesimo sia
stata sempre presente nella storia del pensiero umano, solo alla metà del diciottesimo secolo diventa una filosofia elitaria che si fece strada fra i più larghi strati borghesi della società fino ad arrivare alla coscienza popolare.
LA FILOSOFIA ILLUMINISTA E LA MASSONERIA
Per quanto sia necessario nel nostro contesto esaminare brevemente l’illuminismo di
per sè, la nostra domanda fondamentale riguarda essenzialmente la storia della Massoneria.
La Massoneria si è identificata effettivamente in questo movimento di pensiero? Ha
ideato realmente alcune operazioni politiche e sociali per l’affermazione di questi ideali ?
Si può affermare intanto che, curiosamente, il mito della massoneria complottante
per gli scopi illuministi - il che, d’altro canto, non può che renderci onore - ci proviene proprio dagli avversari della Massoneria, che negli anni della Restaurazione le si scagliarono
con violenza contro attribuendogli sia il complotto rivoluzionario che gli eccessi di questo.
Caratteristico di questa critica politica e religiosa alla massoneria è il prudente rispetto portato alla massoneria inglese, che non è mai attaccata (al contrario è lodata) per
i suoi pur tiepidi contributi politici all’illuminismo, dato l’appoggio dato alla contro-rivoluzione dai monarchi inglesi e nonostante il suo essere fondamentalmente protestante.
Quando il Barruél critica nella massoneria continentale il cosiddetto “segreto” che
indicava nella predicazione dell’uguaglianza e della libertà (come supporto al rovesciamento dei troni e degli altari) salva il “buon senso” della massoneria inglese quando afferma: ”I Massoni inglesi, per la più parte, non riconoscono che i primi tre gradi; fuori
dell’imprudente interpellanza sull’obbedienza al Gran Maestro dell’Ordine, non vi ha che la spie-
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gazione giacobina sull’uguaglianza e sulla libertà, che rende il loro segreto pericoloso. Il buon senso
degli inglesi ha fatto loro rigettare questa spiegazione. Ho pure inteso parlare di una risoluzione,
presa dai loro primari Massoni, di scacciate tutti coloro che cercano di introdurre l’uguaglianza e
la libertà dei rivoluzionari”.
In realtà l’Inghilterra fu la patria d’origine dell’illuminismo. Isaac Newton (16421727) n’è considerato il padre, assieme a Locke (1632-1704). Sir Newton, scienziato e filosofo, pur codificando il pensiero scientifico sperimentale
della scuola italiana, ebbe l’intuizione che si poteva applicarlo anche all’uomo. Questa metodologia di nuova conoscenza umana non comportò in
Newton, come poi nei più radicali illuministi, una posizione anti-metafisica,
dati anche i suoi interessi teologici
(arianesimo) ed alchemici, ma nei successivi elaboratori delle sue premesse
filosofiche (Toland, Collins e Tindall)
la tradizione metafisica e quella reliLocke
giosa sono duramente criticate. Nasce
qui la concezione deista della “ragione” naturale come solo
Newton
criterio per stabilire la validità della ragione e della morale.
Da queste premesse nasce il rifiuto delle religioni rivelate, dei dogmi, dei misteri,
dei miracoli e soprattutto della necessità di “intermediazione” ecclesiastica fra l’uomo ed
il piano divino. I deisti ammettono soltanto che Dio esiste, che l’universo è una sua creazione, che in un’altra vita un premio attende i buoni ed un castigo, i cattivi.
Si può affermare senza ombra di dubbio che questi principi illuministi sono nel
contempo quelli della riforma massonica d’Anderson e Desaguliers, quando statuiscono
l’adesione alla religione naturale, (...la religione nella quale tutti gli uomini convengono...) la
Desaguliers
Anderson
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credenza in un Grande Architetto dell’Universo non altrimenti definito e nell’immortalità
e nella trascendenza dell’anima.
Nelle nostre attuali concezioni il concetto filosofico di Fratellanza sembra comportare in sè quello d’uguaglianza,
ma è dubbio che in una società
dove il maggiorascato produceva effettive disuguaglianze
anche fra i fratelli carnali, questo potesse diventare un concetto sociologico. Per quanto
riguarda l’altro gran pilastro
massonico, quello della libertà,
i pragmatici Landmark d’Anderson escludono la possibilità
che l’Ordine possa esser comunque coinvolto in tentativi
d’eversione sociale, e predicano
la sottomissione ai poteri civili, ma non esclude in alcun modo dalla Fratellanza i membri
che si ribellino alle autorità.
Da questa fraterna solidarietà morale ai Fratelli non graditi al potere, pur senza
compromettere l’Ordine nella benevolenza dei governanti, deriva quella sublime ambiguità psicologica del massone, che sa
essere conservatore nei periodi rivoluzionari e rivoluzionario
nei periodi di reazione. La Massoneria inglese ha preteso e pretende tuttora la primogenitura latomistica dalle Logge che nel
XVIII secolo costituirono a Londra una Gran Loggia. Ma
quest’ipocrita cecità storica nei confronti della secolare latomistica continentale non vela tuttavia l’originalità della riviviscenza massonica inglese del 1717.
Quest’originalità consisté nel distacco dalla tradizione
di sottomissione religiosa al cristianesimo che caratterizzava
ogni confraternita di mestiere da tempo immemorabile, non
tanto a favore del movimento protestante, come spesso si è
Emmanuel Kant
detto, ma a favore di un deismo astratto e filosofico che si era
appena affacciato alle soglie del pensiero europeo assieme a dei primi concetti di libertà
nella ricerca della conoscenza.
Queste idee, che i primi illuministi inglesi limitavano al piano razionale della ricerca etica, scientifica e teologica, senza eccessivi sconfinamenti socio-politici,
proprio per la relativa libertà e giustizia che godevano nella liberale Inghilterra, ebbero un’ulteriore evoluzione fra i “Philosophes” continentali.
L’Aufklärung tedesco, che è ritenuto decisamente minore, essendo
meno radicale di quello inglese e francese, ha al contrario, per la storia del
pensiero esoterico, un’importanza maggiore. Le correnti di pensiero che il
ciclo storico del XVIII secolo comportava, in Germania furono mediate ed
equilibrate
dal permanere dell’interesse tedesco per la metafisica, a causa del
Wolff
carattere nordico contrassegnato dalla fermezza spirituale e dalla società più
tradizionalmente gerarchica.
Già in Christian Wolff (1679-1754) le due vie per giungere alla conoscenza sono
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esclusivamente l’esperienza e la ragione, ma l’intelletto non è rivolto solo al potere sul
reale, ma ad ogni “possibile”, quindi anche al campo della metafisica dove l’uomo, senza
intermediari, può arrivare alla conoscenza sovrasensibile.
Inoltre, l’esperienza e la ragione non sono volte ad una catarsi di tipo sociale, ma
al miglioramento, individuale e collettivo dei “costumi”. Questo concetto ha
influito profondamente sull’essenzialità massonica che considera la catarsi etica e sociale dell’umanità non tanto nell’evolversi della società
quanto dell’umanità per mezzo dell’uomo, non nell’espressione
d’ideologie transeunti quanto in quelle
di una spiritualità che trova nell’interiorità umana i soli mezzi necessari.
Ancor più l’illuminismo di Gotthold
Ephraim Lessing (1729-1781) si confonde
con quello insito nella Massoneria quando
afferma che l’essenza della religione consiste
nella morale, in quanto l’uomo è stato fatto per
l’azione, non per escogitare sofismi, e per la natura, quindi la
migliore religione rivelata o positiva è quella che contiene il
minimo d’aggiunte convenzionali alla religione naturale.
Da ciò deriva che tutte le religioni positive e rivelate sono
quindi ugualmente vere ed ugualmente false. Con Lessing la
Lessing
metafisica della Massoneria ha il suo contraltare con il dubbio,
che assume esso stesso una valenza metafisica, com’espressione di quel Nulla o Zero o
Uno o Tutto in cui consiste l’indefinibile piano divino. L’uomo non può raggiungere nella
sua limitatezza la verità assoluta e definitiva. La verità non può consistere nel suo stesso
possesso, ma solo nella sua ricerca, quindi l’uomo ricerca e non possiede la verità. L’illuminismo razionalista, da cui discesero poi il materialismo ed il positivismo, qui superato
da una visione metafisica in cui non vi è più l’esaltazione della sola ragione, ma il ricorrere
ad un’intelletto superumano che solo può sorpassarle. Il celebre passo di Lessing, che
espone questo concetto, rappresenta la forma più profondamente massonica dell’illuminismo: “Se Dio tenesse chiusa nella sua mano destra tutta la verità e nella sua mano sinistra unicamente il sempre vivo amore per la verità, benché con l’aggiunta di andar errando sempre ed in
eterno, e mi dicesse scegli! Io mi precipiterei con umiltà alla sua sinistra e direi: Padre, dammi
questo! La pura verità è riservata soltanto per te!”
In Lessing è ancora caratteristica quella
“passione” per l’uomo che l’illuminismo tedesco
trasferì poi nella cultura europea attraverso il Romanticismo, padre di tutti i miti moderni.
Un caso a parte rappresenta Fichte la cui
“Filosofia della Massoneria” ha dei caratteri più preromantici che illuministici e che meriterebbero
una più ampia trattazione. In Francia gli Illuministi trasferirono con più decisione il ricorso alla
ragione nella causa della libertà ed inserirono
nella storia gli elementi determinanti della rivoluzione americana prima e di quella francese ed
Fichte
europea poi. La diretta appartenenza massonica
di alcuni fra i maggiori illuministi francesi ci porta poi ad ulteriori considerazioni sul mito
dell’illuminismo massonico così come si creò durante la restaurazione europea.
63
64
IL MITO DELL’ILLUMINISMO MASSONICO
Per quanto vi siano delle affinità sostanziali fra la filosofia dell’illuminismo, in particolare quello tedesco e i principi della massoneria, non è esatto assimilare completamente questa a quelli. La Massoneria si lega al piano storico attraverso dei principi etici
fondati sull’uomo e sull’umanità che questi dovrebbe raggiungere perfezionandosi.
Ma la sua essenzialità conosce dei principi metafisici che esulano da qualsiasi filosofia e ideologia contingente, rivolgendosi ad una metastoria in cui gli avvenimenti
umani sono solo dei simboli d’avvenimenti cosmici ed
universali che superano qualsiasi classificazione ideologica o filosofica. É proprio dal suo essere portatrice
di valori superiori a quelli puramente religiosi o politici
che deriva la secolare denigrazione dell’Ordine.
Il mito dell’illuminismo massonico, visto in
chiave negativa, fu usato dai suoi avversari, come appoggio della restaurazione europea dopo l’immane
conflitto sociale ed ideologico portato dalla rivoluzione. Per quanto accusata di aver cospirato contro il
trono e l’altare, di aver preparato e compiuto la rivoluzione, la Massoneria aveva in tal senso solo alcune responsabilità morali in quanto aveva propagato idee
d’eguaglianza e libertà che non erano appannaggio del
solo secolo XVIII, ma sono state un patrimonio ideale d’ogni epoca e lo saranno purtroppo
ancora per molto, in quanto la sola evoluzione materiale e tecnologica dell’umanità non
è sufficiente alla sua rigenerazione totale.
Nell’arco temporale della rivoluzione la Massoneria era in totale crisi, in quanto i
suoi membri erano dispersi in ogni fazione, aristocratica, moderata o giacobina che sia. I
Fratelli si ghigliottinarono a vicenda senza alcuna remora, seguendo la propria passione
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politica e le proprie Nessun complotto, nessuna finalizzazione comunitaria poté in realtà
portare ad un’azione massonica comune, nemmeno per salvare i Fratelli dal carnefice.
L’Abate Barruél ed i suoi emuli fecero opera d’efficace contro-informazione, per
usare un termine moderno, confondendo alcuni termini, come illuminismo, illuminati ed
illuminati di Baviera che fra di loro, in realtà, avevano ben poco in comune. Pur nella limitatezza di questa breve ricerca, che avrebbe in realtà necessità di maggior approfondimento, si può cercare di definire nella loro realtà storica l’essenza contrastante di questi
termini, per contestarne l’interessata assimilazione.
GLI ILLUMINATI OD IL REALE ILLUMINISMO MASSONICO
.
Queste pratiche che sono nate all’alba dell’umanità e che sono e saranno sempre
presenti, si basano su dei procedimenti metafisici super-razionali che sono forse il contrario del procedimento illuminista filosofico, che respinge la metafisica in quanto sfuggente alla ragione. Tali procedimenti, incomprensibili
alla rozzezza del potere politico e religioso, comportano
la liberazione interiore e la libertà esteriore e sono sempre stati quindi invisi alla tirannia ed alla prevaricazione di coloro che per scopi personali ricercano il
controllo assoluto della società. Per quanto la politica e
la religione in tale contesto non abbiano alcuna importanza ideologica o teologica, chiaramente la necessità
fisica e morale della sopravvivenza dei suoi adepti presuppone l’esistenza di una società libera ed evoluta.
Alla libertà interiore necessitando quindi la libertà
esteriore molto spesso gli illuminati hanno operato
anche storicamente e socialmente, senza che per questo
in ciò si possa intravedere quel complotto che gli alfieri
dell’assolutismo ipocritamente affermano.
L’Abate Barruél in particolare cita, a sostegno delle
sue tesi, due Ordini illuministici, le cui finalità sono in realtà opposte, quello degli Illuminati di Baviera e quello Martinista.
Il primo fu una setta che propugnava l’eversione sociale ed il comunismo e che
solo impropriamente si chiama massonico, in quanto cercò di copiare ed usare le strutture
dell’Ordine per le proprie finalità.
Il secondo fu introdotto in Francia, su patente degli Stuart, da Martinez de Pasqually de las Casas, che propagò prima a Bordeaux un sistema massonico chiamato dei
Supremi Giudici Incogniti o dei Filosofi Incogniti, basato su pratiche teurgiche di tipo magico-rituale e kabbalistico, cui aderirono notevoli personaggi far cui
Louis Claude de Saint Martin, Bacon de la Chevalerie e Jean Baptiste
Willermoz, che a loro volta fondarono dei sistemi analoghi.
D’origine Martinista e di particolare importanza massonica
fu il Rito Scozzese Rettificato di Willermoz, che riuscì ad inglobare
nella più ortodossa massoneria la Stretta Osservanza Templare di
Von Hund, che in un certo qual modo rappresentava la volontà
egemonica della massoneria tedesca su quella europea.
L’importanza politica del Martinismo, al di fuori di quella interna alla Massoneria, era inesistente ed i suoi scopi esulavano da qualsiasi tipo d’eversione sociale. La motivazione delle assurde accuse del Barruél poteva
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consistere soltanto nell’odio per la sua metafisica, che
ritorceva come una specie d’apologia segreta dell’empietà e della ribellione.
Riportiamo un passo della sua “Storia del Giacobinismo” solo per far notare la veemenza calunniatoria e l’interpretazione surrettizia delle dottrine
Martiniste per i consueti scopi denigratori e di controinformazione: “Io però ricavo la sua dottrina (del De Saint
Martin) ed il suo grande oggetto dei suoi scritti, da quello
che ne ha fatto l’Apocalisse de suoi seguaci, nella sua famosa
opera “Degli errori e della verità”. Io so quanto costa il
decifrare gli enigmi di quest’opera tenebrosa; ma conviene
bene aver per la verità la costanza, che i suoi seguaci hanno
per la menzogna. Vi vuol pazienza per discoprire tutto il
complesso del codice Martinista fra il gergo misterioso dei
numeri e degli enigmi. Risparmiamo per quanto possibile,
Von Hund
questa fatica al lettore. L’eroe di questo codice, il famoso
Saint Martin si mostri all’aperto; ed ipocrita al pari del suo maestro egli non sarà più che un vile
copista delle inezie dello schiavo eresiarca, generalmente noto con il nome di Manete. Con tutti i
suoi raggiri egli non conduce meno i suoi seguaci negli stessi sentieri e loro ispira il medesimo odio
agli altari del cristianesimo e al trono de’sovrani, ed ancora d’ogni governo politico.”
In questo brano si sintetizza tutta la verità antimassonica di quell’epoca e non solo
di quella. La preoccupazione dei denigratori dell’Ordine non deriva che da un solo elemento, il mantenimento del controllo sociale da parte delle due tirannie: quella politica e
quella religiosa, che sono a volte contrapposte ma purtroppo molto spesso unite.
La Massoneria, sia nei suoi concetti filosofici che in quelli metafisici, è comunque
portatrice di libertà, indipendentemente dalla sua azione che solo in alcuni periodi storici
relativamente recenti è stata politica. É il suo portare nei propri geni questo principio etico
essenziale, che porta a sua volta in sè la tolleranza per l’altrui libertà e la fraterna “passione” per l’uomo, ciò che unisce Massoneria ed Illuminismo al là dei miti creati dall’odio
e dall’intolleranza, ma anche di là dalla storia e della filosofia, in quel piano metafisico
dove si pone l’infinito ed indefinibile Grande Architetto dell’Universo. n
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LA LUCE
Yohannes
Nell ‘iniziazione al grado di Apprendista, ad un certo punto del rituale, il Maestro
Venerabile chiede al profano: “che cosa volete da noi?” ed il profano risponde: “La Luce...”.
Nel Tempio massonico, tre sono le luci; il Maestro Venerabile, il Primo ed il Secondo Sorvegliante. Durante lo svolgimento del Rito, il Maestro Venerabile, come è detto nel rituale: ‘sedendo all ‘Oriente per dirigere
i lavori, istruisce i fratelli con il lume della propria scienza muratoria
‘. Pertanto, da Esso, posto sotto il simbolo di Minerva fluisce,
in direzione del Primo e del Secondo Sorvegliante, quella sapienza, luce di saggezza, che poi di rimando viene riflessa
in direzione dei Fratelli posti tra le colonne di Settentrione e
di Mezzodì, rispettivamente, gli uni sotto il simbolo di Ercole: il vigore, e gli altri sotto il simbolo di Venere: la bellezza.
Quindi, dall ‘osmosi del vigore, espresso come forza di
volontà, con la bellezza, intesa come bellezza dei pensieri, si perviene al sentire, cioè ai “pensieri del cuore” e di cui l ‘Ara, posta al centro della stella a cinque punte, determinata dal moto generato dalle forze inizialmente emesse dal Maestro
Venerabile, né è l ‘“Atanor “, il crogiolo. Stella a cinque punte, proiezione orizzontale dell
‘uomo con le braccia e le gambe divaricate rappresentante il vero Tempio da erigere alla
Gloria del Grande Architetto dell ‘Universo.
Sull ‘Ara, come già detto, al centro della stella e quindi dell ‘uomo, sono poste le
Sacre Scritture e su di esse e precisamente sul Prologo del Vangelo di Giovanni, giacciono
la squadra e il compasso. Al versetto 4 e seguenti del Prologo è detto:
In lui era la vita
E la vita era la luce degli uomini:
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l ‘hanno accolta.
Come dunque pervenire alla Luce? Come ritrovare perciò la Vita? La luce che noi
tutti vediamo, e cioè la luce solare, non è che un simbolo, visibile ad Oriente alle spalle
del Maestro Venerabile. Simbolo della vera Luce che l ‘uomo è sempre sul punto di vedere,
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ma che al momento di coglierla la
perde, e questo perderla e ciò che lui
vede come luce fisica e come conseguenza vede le cose; pertanto egli
vede le cose ed il mondo mediante il
morire della Luce stessa.
La Luce è la sostanza essenziale, la matrice e l ‘essere segreto
delle cose e degli enti; la materia che
noi fisicamente vediamo, è apparenza e quindi tenebra; tenebra dominata dalla Luce.
La Luce incontrando la materia, cade, si dona, sacrificandosi ad essa perché possa
avvenire la sua resurrezione: pertanto le cose illuminate dalla luce del sole sono sempre
sul punto di riaccendersi della Luce originaria.
L ‘uomo nel guardare cerca sempre la Luce, e tutto ciò che coglie con lo sguardo è
il momento del risorgere della Luce; della Luce però che sul punto di risorgere muore;
muore come Luce del mondo, per cui egli vede forme e colori e non la Luce, la Luce vera.
Ne consegue che il morire è sempre il fluire ulteriore della vita; per cui l ‘Io, dimentico di avere in sé il principio della vita, teme la morte: deve conoscere la morte dell
‘irreale, cioè della materia, della tenebra a cui l ‘anima si vincola, per conoscere se stesso.
L ‘uomo per sperimentare le forze della vita, per ritrovare la vita che durante la
sua esistenza non percepisce, ma che conosce soltanto nei suoi effetti sensibili, deve sperimentare la morte per comprendere alfine che chi muore non è lui, ma il suo supporto.
Deve quindi attraversare la tenebra, portarsi oltre la tenebra stessa per conoscere la Luce.
Ecco perché il profano durante l ‘iniziazione procede attraverso serie di momenti
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di morte oltre i quali risorge; ma perché
ciò avvenga realmente e non virtualmente, è necessario all ‘Io attingere quelle
forze di vita che ogni giorno esso è, e
senza le quali non sarebbe; deve perciò
compiere l ‘Opera al nero della tradizione
ermetica, cioè deve sprofondare con l ‘lo
nel mondo dell ‘essere primordiale, che è
il senso della discesa all ‘inferno di Dante.
Ma qui sta la grande difficoltà, a
causa della perenne contraddizione in cui
l ‘uomo vive: egli infatti, evita di essere l ‘Io che sostanzialmente è, pur
tuttavia usando le forze dell ‘Io per le sue necessità esistenziali. Guardando ciò che esiste, non sa darsi una spiegazione: se osserva le proprie
idee, i propri pensieri che produce movendosi incontro alle cose per conoscerle, sente che essi giungono da una zona ignota; ma questa zona
ignota può essere scoperta.
Questa zona ignota è nell ‘uomo e sta a lui giungervi indagando in se stesso - l
‘Opera al nero di cui si è detto - senza paura di superare con la forza del volere e la bellezza
del pensare, i limiti del pensiero stesso, per aprirsi, una volta pervenuti al sentire del cuore,
a ciò che è oltre tali limiti, bruciando al fuoco ridestato nell ‘Atanor le scorie della sua personalità, del sé individuato, volendo donarsi oltre esso per amore del proprio essere: che
è essere il mondo, le cose, gli altri oltre il proprio io, la Saggezza fluente, la Luce, la Vita,
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il Logos solare, l ‘Amore.
E questo è il senso ultimo della vita, l ‘evoluzione dell
‘umano-terrestre sino alla capacità di fondare con le forze
redente dell ‘Io il Cosmo dell ‘Amore. C ‘è chi ha affermato quanto segue: “l ‘uomo è la meta delle Gerarchie, ciò
che deve essere realizzato è l ‘uomo voluto dagli Dei”.
Ma per compiere tutto ciò, ricordiamoci che saremo soli, soli con noi stessi, e nessuno potrà aiutarci;
questo è l ‘unico momento in cui un muratore, pur alzando le proprie mani sopra la testa e esclamando “A me
Figli della Vedova!”, non vedrà accorrere nessuno.
A∴G∴ D∴ G∴ A∴ D∴U∴
Dai ‘Quaderni di Simbologia Muratoria ‘, Ivan Mosca, a cura del G.O.I. (pag. 50 e 51)
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GLI UFFICIALI E DIGNITARI COLLOCATI NEI 12 SEGNI ZODIACALI
COLLOCAZIONE ANALOGICA DEI 12 DIGNITARI E UFFICIALI
La Terna di Fuoco, come si rileva, ha le seguenti corrispondenze:
Ariete – M. Ven.; Leone - l° Sorv.; Sagittario – 2° Sorv.
La Terna di Acqua:
Cancro - M. delle Cerim.; Scorpione - 2° Esperto; Pesci - Ospitaliere.
La Terna di Aria:
Gemelli – Oratore; Bilancia - Copr. int.; Acquario - Segretario.
La Terna di Terra:
Toro – Tesoriere; Vergine – 1° Esperto; Capricorno - Grande Esp. Terribile.
Ciò significa che al di là della collocazione fisica di Ufficiali e Dignitari in Loggia, è
analogicamente deducibile una “collocazione interiore” per ognuna delle 12 funzioni citate.
Ogni Fratello Maestro, quando sia chiamato a ricoprire una carica, oltre a svolgere
quanto ad essa è inerente in base alle Costituzioni e ai Regolamenti, può enucleare inte-
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riormente lo “stato di coscienza” e la qualità energetica propri del segno zodiacale sotto
il cui presidio analogico si colloca.
COLLOCAZIONE ANALOGICA DEI 12 DIGNITARI E UFFICIALI
Nel Tempio, senza confonderla con la collocazione fisica ed effettiva, la collocazione interiore del 12 Ufficiali e Dignitari può essere così raffigurata per essere analizzata,
sia pure con accenni. n
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LEGE. LEGE. RELEGE.
ORA ET LABORA
Eliael
Nel suo recente libro “ALCHIMIE, ce qu‘en disent les adeptes...” Frédéric Garnier
offre, da vero Saggio, una chiave sul modo di indagare i segreti dell‘Alchimia.
Ne forniamo qui alcuni brevissime sequenze, che non necessitano di commento, e
che fanno pregustare la lettura dell‘intero testo (ARQA éditions/les petit livres de la Sagesse).
In un prossimo numero di MIZR presenteremo un lungo articolo di Eliael su questo tema,
di cui egli è uno studioso molto noto.
L‘alchimia è un ambito di conoscenza ermeticamente chiuso ai profani, come continuamente dichiara la maggioranza dei trattati classici.
Artéphius si esprime senza mezzi termini: “Si ignora che la nostra è un‘arte cabalistica? Cioè misteriosa e destinata esclusivamente alla trasmissione orale.
Povero imbecille!
Come puoi credere che t‘insegneremo alla luce del sole il più grande dei segreti? Ti garantisco che, se qualcuno volesse spiegare il segreto
dei filosofi con il senso letterale delle parole, s‘intrappolerebbe nei meandri di un labirinto, da cui
non potrebbe mai uscire perché non dispone del
filo d‘Arianna che lo guida”.
É anche vero che alcuni generosi
adepti possono hanno fornito alcune indicazioni sul modo di espugnare la fortezza
degli ermetisti e di scoprire il segreto
dell‘alchimia.
Messer Bernardo Conte della Marca
Trevigiana (più noto come Bernardo Trevisano), nel trattato “Filosofia Naturale dei Metalli”, mette in guardia da ciarlatani e falsi
alchimisti - che vediamo ancora oggi spasmodicamente indaffarati a produrre CD,
DVD, libri, conferenze, seminari: “Diffidate
dai falsi alchimisti e dai loro seguaci. Quello che
per caso voi potreste scoprire nei vostri libri, essi
si sentirebbero in dovere di metterlo in piazza tra
menzogne e falsi sacramentari, e giunti al punto,
non sapendo cos‘altro dire, pronuncerebbero la
fatidica frase: “Io l‘ho fatto, è così”.
Io dico che, se non prendi le distanze da
costoro, è difficile che tu possa ricavarne qualcosa di buono, perché, quello che i trattati ti
danno da una parte, questi ciarlatani t‘impedirebbero di raggiungerlo con le loro affermazioni e i
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loro discorsi.
E, Mon Dieu! io stesso, quando ricevetti queste Scienza, la conobbi almeno due anni prima
di poterla realizzare, e prima ancora di sperimentarla e di metterla in cantiere. Ma come ho già detto,
quando casualmente venivo avvicinato da questi ciarlatani, detestabili pendagli da forca, e dalle loro
chiacchiere per farmi deviare dalla giusta via scoperta nei trattati, essi giuravano e spergiuravano
che quelle cose non erano vere. Proprio a me, che conoscevo la verità e che, nel mio furore l‘avevo già
sperimentata come tale.
Ma non potevo di conseguenza rivelare le mie opinioni.
Li lasciavo là, dove si trovavano, e mi dedicavo sempre di più allo studio della materia, perché,
chi vuole imparare deve frequentare i Saggi, non i parolai.
I Saggi, da cui puoi apprendere qualcosa, sono i libri...”
La congiura degli imbecilli, dei ciarlatani e dei Saggi ha avuto un perfetto successo.
Questo complotto aveva lo scopo di nascondere la verità. Gli uni e gli altri hanno servito
questa grande causa, ciascuno con i propri mezzi: gli imbecilli con l‘ignoranza, i ciarlatani
con la menzogna, i Saggi con il segreto.
“Lavora dunque con coraggio, figliolo, prega Dio, leggi assiduamente i testi, perché in un
libro troverai la chiave per aprire il successivo. Pensa bene a questo”. [Arthéphius]. n
(Rec. Antares)
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LA PRIMA DONNA INIZIATA AD UN RITO EGIZIO
ELEONORA PIMENTEL FONSECA
Maathor
Eleonora (Anna Felicia Teresa) de Fonseca Pimentel Chavez è stata poetessa, scienziata, intellettuale, giornalista, patriota: una delle figure più rilevanti della
breve e sventurata esperienza della Repubblica Napoletana del 1799. Nata
“marchesa” muore da rivoluzionaria sul patibolo di piazza del Mercato a
Napoli, vittima della vendetta di Maria Carolina e di Ferdinando di Borbone. È il 20 agosto del 1799, le armate del Cardinale Ruffo hanno riconquistato la città, il breve tentativo repubblicano è ormai terminato e
dinanzi alla marmaglia festante di lazzari e ai corpi esamini degli altri
condannati, privata della possibilità di essere ghigliottinata in quanto nobile, prima di essere impiccata pronuncia la frase «forsan et haec olim meminisse juvabit» (forse un giorno gioverà ricordare tutto questo).
Nasce a Roma il 13 gennaio 1752 da Don Clemente Henriquez de Fonseca Pimentel Chavez de Beja ed ha 8 anni quando, a causa delle frizioni tra Portogallo e Stato della Chiesa, le famiglie Lopez e Fonseca si trasferiscono a Napoli.
Un’educazione straordinaria le permette di essere accolta, giovanissima, nei migliori
salotti napoletani. Poetessa di grande valore, nel 1768 scrive il poema epico “Il tempio della
gloria”, così perfetto da essere ammessa nell’Accademia dei Filateti con il nome di Epolnifenora Olcesamante, e poi a quella dell’Arcadia col nome di Altidora Esperetusa.
A sedici anni era già una stimata studiosa di scienze matematiche e fisiche, di filosofia, economia e diritto pubblico; scrisse sull’abolizione della chinea e contro il feudalesimo, ed espose persino progetti di riforme economiche. Affascinata dalla poesia del
Metastasio, Eleonora ebbe con il poeta ormai settantaquattrenne uno scambio epistolare.
Lo stesso Voltaire, anche lui corrispondente con Eleonora, le dedicherà alcuni versi databili
intorno al 1775 («Beau rossignol de la belle Italie/[…]/ Auprès de vous à Naples il va se rendre/
S’il peut vous voir, s’il peut vous entendre/ Il réprendra tout ce qu’il a perdu»).
Giornalista di grande rigore, tenne a battesimo la "Repubblica" e, quando a Napoli si
formò la Repubblica Partenopea, per cinque mesi scrisse accesi articoli in cui sferzava violentemente i borbonici sul giornale rivoluzionario repubblicano il "Monitore Napoletano",
convinta assertrice dell’uguaglianza dei diritti dei cittadini e della necessità di educare la
plebe e di migliorarne le condizioni.
All’arrivo della flotta francese a Napoli, nel dicembre 1792 per il riconoscimento
della neonata Repubblica francese, Eleonora è tra gli ospiti dell’ammiraglio Latouche Treville unitamente, tra gli altri, a Carlo Lauberg, Emanuele De Deo, Antonio Jerocades; è probabile che l’attenzione poliziesca sulla De Fonseca si sia appuntata anche a seguito di tale
frequentazione, ma di certo già nel 1794 il suo nome risulta iscritto tra i “rei di Stato” per
aver parteggiato per un tentativo di rivolta giacobina interrotta con la condanna a morte
dei colpevoli (tra cui il sopra citato Emanuele De Deo). Già bibliotecaria della regina Maria
Carolina d’Asburgo-Lorena, con lei aveva tuttavia frequentato i salotti degli illuministi napoletani, in un primo tempo sostenuti dalla stessa sovrana. Tra questi, particolare fondamentale è la conoscenza e la frequentazione con gli eredi spirituali del principe de Sangro
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che porteranno Eleonora Pamintel - prima donna in assoluto - ad essere iniziata nel 1792 alla Massoneria di Rito
Egizio (l’AOE, l’Antiquus Ordo Aegypti , fondato nel 1747
da Don Raimondo) e divenendo perciò membro della
Loggia La Perfetta Unione.
Ma tali attività non sfuggirono alla polizia borbonica che, sicura della sua partecipazione a riunioni segrete, la fece sorvegliare da spie governative che la colsero
in flagrante, trovando le prove della colpevolezza in una
sua corrispondenza epistolare. E così, nel 1798, fu arrestata e condotta nelle Carceri criminali della Vicaria, esattamente nella prigione del Panaro, che raccoglieva tutti i
criminali, dalla quale uscirà solo un anno dopo per essere
poi nuovamente imprigionata insieme ad altri Fratelli appartenenti all’Antiquus Ordo Aegypti. Su pressioni di un
eminente esponente della Chiesa Apostolica Romana (il
Cardinale Ruffo di Calabria), furono tutti processati fretEleonora Fonseca Pimentel
tolosamente e, nonostante avessero avvocati valenti, fusaluta i suoi Fratelli, assassinati
rono riconosciuti rei di tradimento. Tra gli altri illustri sul patibolo, prima della sua esecuzione
nella piazza del mercato di Napoli.
personaggi spiccano Gennaro Serra, Giuliano Colonna,
(Illustrazione
di Tancredi Scarpelli
Francesco Caracciolo, Mario Pagano, Domenico Cirillo e
apparsa
su
“Storia d'Italia
il principe di Torella, tutti martiri della Perfetta Unione.
narrata al popolo” da Paolo Giudici,
Salì per ultima al patibolo: “Morirono de’ più noti
Ed. G. Nerbini, 1929)
del regno…e furono dell’infelice numero Caraffa, Riario, Colonna, Caracciolo… ed altri venti d’illustre casato; a fianco dei quali si vedevano uomini chiarissimi
per lettere o scienze… e donna rispettabile la Pimentel…”(‘Storia del reame di Napoli’, Pietro Colletta). Era il 20 agosto 1799.
Se la “Perfetta Unione”, e quindi la Libera Muratoria Egizia, ebbe dagli eventi del
1799 un colpo quasi mortale, pur tuttavia il Deposito Egizio riuscì a sopravvivere: due giovani adepti alla Muratoria Egizia riuscirono infatti a fuggire all’estero.
Erano Domenico Bocchini e Orazio De Attelis, marchese di Sant’Angelo. n
Domenico Battaglia, “perquisizione in casa di Eleonora Pimentel Fonseca”
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TRADUZIONE
DI UN TESTO EGIZIO
INTAGLIATO SULLA PORTA
DI UN ANTICO E SACRO SITO
Finalmente ho raggiunto il MIO traguardo
e risolto il segreto della MIA anima:
io sono QUELLO a cui rivolgevo le preghiere,
QUELLO a cui chiedevo aiuto.
Sono QUELLO che ho cercato.
Sono la stessa vetta della MIA montagna.
Guardo la creazione come una pagina del MIO stesso libro.
Sono infatti l’UNICO che produce i molti,
della stessa sostanza che prendo da ME.
Poichè TUTTO è ME,
non vi sono due, la creazione è ME STESSO,
dappertutto.
Quello che concedo a ME stesso, lo prendo da ME stesso
e lo do a ME stesso,
l’UNICO, poichè sono il Padre ed il Figlio.
Quanto a quello che voglio,
non vedo altro che i MIEI desideri, che sgorgano da ME.
Sono infatti il conoscitore, il conosciuto,
il soggetto, il governante ed il trono.
Tre in UNO è quello che sono e l’inferno è solo un argine
che ho messo al MIO stesso fiume,
allorchè sognavo durante un incubo.
Sognai che non ero il SOLO unico e così IO stesso iniziai il dubbio,
che fece il suo corso, finchè non mi svegliai.
Trovai così che IO avevo scherzato con ME stesso.
Ora che sono sveglio, riprendo di sicuro il MIO trono
e governo il MIO regno che è ME stesso,
il Signore per l’Eternità.