i giochi - Il Filo di Arianna

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i giochi - Il Filo di Arianna
INTRODUZIONE ALL’ANALISI DEL COPIONE
Possiamo brevemente definire il copione un piano di
vita, molto simile a un copione teatrale, che una
persona si sente costretta a recitare.
Un copione è legato alle decisioni e alle posizioni che
il bambino ha assunto nell’infanzia. E nello stato
dell’io Bambino ed è “scritto” a partire dalle
transazioni fra il bambino e i suoi genitori. I
giochi fanno parte del copione. Una volta
individuati posizione esistenziale giochi, si può
diventare più consapevoli del proprio copione.
I GIOCHI
I GIORNI DELLA DECISIONE
Prima degli otto anni il bambino si forma un concetto su quello che è il
proprio valore e formula delle idee sul valore degli altri; inoltre
cristallizza le sue esperienze, decidendo che significato rivestono
per lui, quale parte reciterà e come. Questi sono, per il bambino, i
giorni della decisione.
Quanto le decisioni su di sé e gli altri vengono prese nei primissimi anni
di vita, non sono probabilmente realistiche, ma distorte e irrazionali,
perché la percezione che i bambini hanno della vita si basa su pochi
elementi. Queste deformazioni possono dar luogo a certi gradi di
patologia che vanno dal disturbo lieve a quello grave. E tuttavia al
bambino, in quel momento, appaiono assolutamente logiche e
sensate.
I GIOCHI
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POSIZIONI PSICOLOGICHE
Quando una persona assume delle posizioni nei confronti di se
stessa, può concludere:
“Io sono intelligente – Io sono stupido”
“Io sono potente – Io sono inadeguato”
“Io sono gentile – Io sono insopportabile”
“Io sono angelo– Io sono diavolo”
“Io non faccio niente di giusto– Io non faccio niente di male”
“Io valgo quanto gli altri – Io non merito di vivere”
Quando assume delle posizioni nei confronti degli altri può
concludere:
“Mi daranno tutto quello che voglio – Nessuno mi darà mai nulla”
“Tutti mi amano – Nessuno mi ama”
“La gente è simpatica– Sono tutti cattivi”
GIOCARE DALLA PROPRIA
POSIZIONE ESISTENZIALE
In altre parole, tutte queste posizioni possono
venire riassunte con:
 Io sono OK - Io non sono OK
 Tu sei OK – Tu non sei OK”. Le posizioni
psicologiche assunte nei confronti di se stessi e
degli altri rientrano nei quattro modelli di base.
Il primo corrisponde alla posizione del vincente,
ma anche i vincenti possono occasionalmente
avere dei sentimenti che rientrano nei tre
modelli.
1° posizione “ Io non sono OK – Tu sei OK”
E’ la posizione universale ed iniziale che si stabilizza
(è anche l’evoluzione più comune). Quando
perdura indica un’accumulazione schiacciante di
stati d’animo negativi che conducono ad una
conclusione negativa su se stessi. Ci si sente alla
mercé degli altri. Si avverte un gran bisogno di
carezze o di riconoscimento.
Esistono tre modi per tentare di vivere reggendosi
su questa posizione:
seguire il copione che conferma il proprio NON
OK. Quindi vita ritirata, non esposizione agli
altri; è troppo penoso avere attorno delle persone
che sono OK! In questo caso, la persona può
cercare le carezze imbastendo delle finzioni e
conducendo un’esistenza del tipo se io e quando
io (compiacimento “passivo).
Ma questo produce un acuimento del proprio non
OK.
a)
b) Mettere in atto un controcopione che è: TU
PUOI ESSERE OK SE SEI COME ME.
una simile persona cerca amici, alleati
forniti di un grande carisma, perché essa ha
bisogno di grandi carezze, e quanto più
grande è l’ OK dell’altro, tanto migliori
sono le carezze che trova. Questa, in
genere, è una persona premurosa,
volenterosa che accondiscende alle pretese
altrui (compiacimento “attivo”).
c) Aiutare (vi sono svariate “ambientazioni”).
Per tenere a bada il proprio NON OK
bisogna trovare (ed anche produrre) NON
OK in ALTRI. Questo mi da la sensazione
di vincere il proprio non-ok. Il NON OK
deriva dal copione; la finzione dell’ OK
SE, deriva da controcopione.
Né il primo né il secondo, tuttavia, valgono a
procurare felicità o il senso durevole di
valere qualcosa, né producono autonomia
dell’altro. Qualunque delle due cose si
faccia …..IO SONO ANCORA NON OK.
2° posizione o posizione proiettiva
“ Io non sono OK – Tu non sei OK”
Ciò si verifica se le carezze ad un certo punto sono
scomparse. Entro il primo anno il bambino ha
cominciato a camminare e non ha più bisogno di
essere preso in braccio. Se la mamma (o il papà) è
una donna fredda e poco dispensatrice di carezze,
se durante il primo anno ha tollerato il bambino
solo perché vi è stata obbligata, allora le carezze
cessano completamente. In genere le punizioni e
le rigidità si amplificano e divengono intense e
severe. Il bambino conclude presto: IO NON
SONO OK, TU NON SEI OK. Si blocca la
crescita e la maturazione.
Un individuo che ha assunto tale atteggiamento si
arrende. Non ha speranza. Si lascia
completamente andare. Senza carezze non si
cresce e ci si ammala. Egli non ricorre neanche
più a se stesso in relazione ai rapporti con gli
altri. Se vi è la decisione che TU NON SEI OK
essa si riferisce a tutti gli altri, ed infine
l’individuo rifiuta la loro carezze (e qualsiasi
aiuto), per quanto possano essere sincere.
3° posizione o posizione introiettiva “ Io sono OK
– Tu non sei OK”
 In questo caso: dov’è la fonte delle carezze che
produce il mio OK se TU NON SEI OK? Dalla
possibilità di “autocarezze”. Dalla possibilità
di usare la ferita come risorsa, ma anche come
ricatto. E’ la sensazione piacevole che si prova
quando ci si autocompiace “leccandosi le
ferite”, ci si sente bene trovandosi da soli e
abbandonati, se non altro per la sofferenza
atroce provata dal NON OK dell’altro. “Se mi
lasciate solo starò benissimo. Io sono OK senza
bisogno di nessuno

Un bambino così sa cosa sia la brutalità del non
sentirsi accarezzato, ma anche cosa sia
sopravvivere. Non getta la spugna. Nel tempo,
però, potrebbe cominciare a restituire i colpi. Ha
visto la durezza e sa essere duro con licenza di
farlo. E’ sorretto dalla rabbia e dall’odio, anche
se può apprendere a tenere una maschera di
cortesia misurata. Persone che crescono nel
rapporto con gli altri convinti (per sopravvivere)
di essere sempre OK, indipendentemente da
quello che fanno, e che in ogni situazione la
colpa sia tutta degli altri. (es. “il sé maestoso” dei
narcisisti)
4° posizione “ Io sono OK – Tu sei OK”
E’ la speranza della costruzione di relazioni
interpersonali ed educative equilibrate e felici.
Le prime tre posizioni sono inconsce e derivano
direttamente dalle esperienze e dagli stati
assunti nella primissima infanzia. La prima,
poi, abbiamo visto essere inizialmente
universale fino al primo anno di vita (e quella
che con più facilità può perdurare).
Le prime tre posizioni si basano sui sentimenti.
Quest’ultima si fonda sul pensiero, la fiducia, la
posta in azione. Le prime tre rappresentano la
risposta a dei perché.
La premessa della quarta è; perché no?
Cioè, è l’uscita dal copione o dal controcopione,
verso un atteggiamento nuovo non lasciandosi
trasportare dalle cose, bensì decidendo di
adottarlo. E’ la dimensione più matura
dell’educarsi e dell’educare.
Non possiamo mettere in atto , però, un a ridecisione se non diveniamo consapevoli di come
(e del perché) andiamo in automatico in relazione
alle nostre prime esperienze di relazione.
Fortunati quei bambini che vengono subito aiutati
a scoprire di essere OK, grazie a ripetute
esposizioni ed esperienze in cui in grado di
dimostrare a se stessi i propri e gli altrui meriti.
Chi si trova nella prima posizione pensa: “La mia vita
non vale molto”. Chi si trova nella seconda pensa:
“ La vita non ha nessun valore”. Chi si trova nella
terza pensa: “La tua vita non vale molto”. Chi si
trova nella quarta pensa: “Vale la pena di vivere”.
SESSUALITA’ E POSIZIONI
PSICOLOGICHE
Le posizioni psicologiche hanno anche un lato
sessuale. Nella fase di identificazioni, una
persona prende due posizioni esistenziali, una
di carattere generale, l’altra più
specificatamente nella sfera sessuale. Talora
queste due posizioni sono simili; talora invece
sono differenti.
Ad esempio, alcune persone assumono una posizione
OK su se stessi come studenti, lavoratori,
lavoratrici e così via; ma una posizione non OK
su se stessi in quanto maschio o femmina. In
questi casi giocheranno probabilmente a
“violenza carnale” e “bacio da lontano”.
Si riflette in questa doppia identificazione l’antico
mito di Cadmo. Cadmo riuscì a costruire alla
perfezione l’antica città di Tebe, ma fu un
fallimento nei suoi ruoli sessuali nell’ambito della
propria famiglia. I suoi discendenti andarono a
numerose tragedie: il famoso Edipo era uno di
essi.
Molte affermazioni sono indicative di una posizione
psicologica relativa a un particolare sesso.
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“Non avrò mai un uomo (una donna)”
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“Non sarò mai un uomo (una donna)
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“Sono bello (bella)”
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“Non ci si può fidare delle donne (uomini)
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“Le donne sono dolci e tenere”
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“Gli uomini mi proteggeranno”
Alcuni assumono la posizione per la quale un sesso è OK e
l’altro non lo è:
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“Gli uomini sono intelligenti, le donne invece sono
stupide”.
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“Gli uomini sono degli sporcaccioni, le donne sono
pure”
Una volta presa una posizione, la persona si porta
dietro questa sua prevedibile realtà rinforzandola.
Questa diventa quindi una posizione esistenziale
della quale nascono i giochi e secondo la quale
viene recitato il copione; più grave è la patologia,
più il soggetto si sente spinto a rafforzarla. Tale
processo può essere espresso come segue:
Esperienze
Decisioni
Posizioni psicologiche
Comportamento che rafforza il copione
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
Tutti i giochi hanno un inizio, una serie di regole
fisse e un tornaconto finale. I giochi psicologici
hanno, inoltre una motivazione nascosta; non
sono giocati per divertirsi (naturalmente questo
può essere anche il caso di alcune partite di
poker).
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
Berne definisce il gioco psicologico come “una
serie ricorrente di transazioni, spesso ripetitive,
superficialmente razionali, con una motivazione
nascosta, o per usare termini più semplici, una
serie di transazioni con trucco”.
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
Perché un insieme di transazioni possa essere
definito gioco sono necessari tre specifici
elementi:
* una serie di transazioni complementari
plausibili a livello sociale;
* una transazione ulteriore che ha il messaggio
nascosto del gioco;
* un tornaconto finale prevedibile che conclude il
gioco e ne costituisce lo scopo reale.
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
I giochi impediscono i rapporti aperti, intimi e leali
fra le persone; e tuttavia si gioca per occupare il
tempo, attirare l’attenzione, rinforzare vecchie
opinioni su sé e sugli altri e confermare una
sensazione di fatalità.
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
I giochi psicologici vengono fatti per vincere, ma una
persona che se ne fa uno stile di vita non è un
vincente. Talora per vincere il suo gioco una
persone può agire da perdente.
Per esempio:
Studente: Ieri sera ho fatto tardi e oggi non sono
preparato (transazione ulteriore; sono uno svogliato,
prendimi a calci).
Insegnante: Sei proprio sfortunato, questo è
l’ultimo giorno che interrogo (messaggio ulteriore;
si, sei proprio uno svogliato, eccoti il calcio che
volevi).
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
Sebbene lo neghiamo, le persone abituate a fare
questo tipo di gioco cercano altri disposti a
giocare il ruolo complementare e vogliono
proprio un “calcio” come risposta.
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
Ogni gioco ha una prima mossa. Qualche volta questa
non è verbale, ad esempio : girare le spalle
freddamente, sfarfalleggiare con le ciglia, scuotere
l’indice in modo accusatore, sbattere una porta.
Altre volte la prima mossa è verbale, come:
“Hai un’aria così melanconica, lì tutto solo….”
“Come fai ad andare a scuola vestito così!”
“Quello ti critica. Cosa intendi fare?”
“Ho un problema terribile…”
“Non è terribile che….”
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
I giochi tendono ad essere ripetitivi. Ci si ritrova
infatti a ridire nello stesso modo le stesse cose:
cambia solo il “dove” e il “quando”. Ed è così
che ci si ritrova a dire: “Ho l’impressione che
questo sia già successo”.
A CHE GIOCO GIOCHIAMO?
Le persone giocano a vari gradi o livelli di intensità;
dal livello socialmente accettabile, senza tensione, al
livello criminale e del suicidio o dell’omicidio.
Secondo Berne:
il gioco di primo grado è quello socialmente
accettabile nell’ambiente del giocatore.
Il gioco di secondo grado è quello che non provoca
danni permanenti o irrimediabili, ma che i giocatori
preferiscono tenere nascosto.
Il gioco di terzo grado è quello fatto una volta per
tutte e che si conclude in sala operatoria, in tribunale
o in obitorio.
Alcuni giochi…
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La chiave perduta
Si…però
Sgridami perché sono cattivo
Fa presto, metticela tutta
Vedi che cosa ho fatto per colpa tua?
La gamba di legno
Goffo pasticcione
Violenza carnale
Ti ho beccato figlio di puttana!
Prendimi a calci
RIEPILOGO
Oggi molte persone indossano maschere e
corazze di vario genere che limitano la loro
visione della realtà, fino a nasconderla del
tutto anche a se stessi. La possibilità di
affrontare la propria realtà – cioè di imparare
a conoscersi – può destare paura e
frustrazione. Molti si aspettano di scoprire il
peggio, ma hanno anche il segreto timore di
scoprire il meglio. Scoprire il peggio
significa prendere la decisione di continuare
o meno a vivere seguendo gli stessi modelli.
Scoprire il meglio significa decidere se vivere
o no a questo livello.
Ogni scoperta può comportare un cambiamento,
e quindi provocare ansietà. Questa può essere
tuttavia un’ansietà creativa eccitante:
l’eccitazione di essere in grado di accrescere
le proprie possibilità di diventare un vincente.
L’A.T. è uno strumento che può aiutare a
conoscersi meglio, a conoscere come ci
mettiamo in rapporto con gli altri, che giochi
giochiamo, a scoprire il corso drammatico
che la nostra vita sta prendendo.
L’unità di struttura della personalità è lo stato dell’io.
Divenendo consapevoli dei nostri stati dell’io
siamo in grado di distinguere fra varie fonti di
pensieri, di sentimenti e modelli di comportamento.
Possiamo scoprire le armonie e le disarmonie nella
nostra personalità. E possiamo divenire più
consapevoli delle opzioni che ci si offrono.
L’unità di misura dei rapporti interpersonali è la
transazione. Analizzando le nostre transazioni,
possiamo raggiungere un più consapevole
controllo del nostro agire nei confronti degli altri
e di come gli altri agiscono nei nostri confronti.
Possiamo determinare quando le nostre
transazioni sono complementari, quando
incrociate o ulteriori; e possiamo anche scoprire i
nostri “giochi”.
RIDECIDERSI E’ POSSIBILE!
L’A.T. è un pratico schema di riferimento con il quale
possiamo prendere in esame vecchie decisioni e
comportamenti e cambiare le cose che vogliamo
cambiare.
In ultima analisi, possiamo RIDECIDERE LA NOSTRA
VITA, QUINDI L’EDUCAZIONE RICEVUTA.
•
Rifiutando aspetti che sentiamo non appartenerci.
•
Integrando aspetti che riteniamo importanti, ma che
necessitano di una declinazione diversa,
•
Accettando gli aspetti che ci sono stati trasmessi e che
valgono, ancora oggi anche per noi.
RIDECIDERE NON E’ SEMPLICEMENTE METTERE IN
ATTO UN CONTROCOPIONE, CHE RAPPRESENTA
ANCORA LA DIPENDENZA DA UN COPIONE SOLO
“EDITATO A ROVESCIO”.