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Università Iuav di Venezia
Area di ricerca Il progetto di paesaggio
Unità di ricerca Il palinsesto paesaggio e la cultura progettuale
Convegno
Il palinsesto paesaggio e la cultura progettuale
1/12/2009 _ Ex Cotonificio _ Venezia
Universitˆ IUAV di Venezia
in collaborazione
AREA DI RICERCA
I L P R O G E T T O D I PA E S A G G I O
S C U O L A D O T T O R AT O I U A V
U N I V E R S I TÀ “ L A S A P I E N Z A ”
D I R O M A - D O T T O R AT O
DI RICERCA IN ARCHITET TURA
TEORIE E PROGE T TO
B I E N N A L E D E L PA E S A G G I O
DELLA PROVINCIA
DI REGGIO EMILIA
IL PALINSESTO
PAESAGGIO E
LA CULTURA
PROGETTUALE
convegno realizzato dallÕUnitˆ di ricerca ÒIl palinsesto paesaggio
e la cultura progettualeÓ coordinata da Renato Bocchi
a cura di Cristina Barbiani, Sara Marini, Francesca Rispoli
saluti
Alberto Ferlenga, Universitˆ Iuav di Venezia
Piero Ostilio Rossi, Universitˆ ÒLa SapienzaÓ di Roma
Annalisa Masselli, Biennale del Paesaggio - Provincia di Reggio Emilia
presentazione del convegno: Renato Bocchi
interventi
Cristina Barbiani, Renato Bocchi, Pier Luigi Cervellati,
Maria Pia Cunico, Agostino De Rosa, Emanuele Garbin, Alan Johnston,
Luigi Latini, Giulia Marabini, Sara Marini, Anna Marson, Michela Pasquali,
Renato Rizzi, Piero Ostilio Rossi, Angela Vettese
Verranno presentati alcuni
materiali multimediali frutto
di recenti esperienze didattiche
e di ricerca, visibili in mostra
nellÕatrio del cotoniÞcio
1.12.2009
cotoniÞcio
Santa Marta,
aula Gradoni
ore 9
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Il progetto di paesaggio
Renato Bocchi
Il progetto di paesaggio e il progetto di architettura relazionato col
paesaggio sono principalmente “progetti di relazioni”, architetture di
relazioni.
L’aspetto “relazionale” del progetto di paesaggio, insieme con la
centralità dei fattori tempo e movimento, conferiscono una spiccata
specificità a questo campo di ricerca progettuale, accentuando i valori
contestuali sia in senso geografico sia in senso storico-culturale (di rapporto con i luoghi e con le identità territoriali), quelli di variabilità temporale (i mutamenti stagionali, le relazioni con le condizioni climatiche), quelli di dinamismo e cinematismo (le spazialità lette secondo i
movimenti dell’osservatore-fruitore).
La nuova definizione di paesaggio data dalla Convenzione Europea
del Paesaggio chiede di rivedere il
bagaglio operativo della progettazione paesistica alla luce della
nuova immagine assunta dai territori.
La fortuna conosciuta in questi anni dal termine paesaggio si lega
ad un problema identitario e soprattutto di percezione, intesa come lettura da parte di chi vive ed attraversa i territori del vissuto delle realtà
territoriali.
Per leggere, capire e di conseguenza progettare il paesaggio è necessario cercare tra le pieghe del sapere, accogliere sguardi trasversali che
ragionano nel campo dell’arte o delle scienze per costruire una epistemologia del fenomeno-paesaggio
Il palinsesto si declina in questo senso, come superficie attiva in
grado di accogliere programmazioni temporanee e dinamiche, per promuovere quella diversificazione che da sempre rappresenta il senso di
urbanità ma anche il senso del paesaggio.
Perciò la ricerca non rinuncia a guardare ai materiali del pensiero
filosofico e dell’arte, con l’obiettivo finale di affrontare il tema del disegno del territorio sul piano del “progetto culturale”.
Il carattere relazionale e la centralità dei fattori tempo e movimento nel progetto di paesaggio – che affondano le proprie radici nella sto-
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ria dell’arte dei giardini, del progetto di spazio pubblico e della landscape architecture, a partire dalle esperienze della tradizione orientale fino alle esperienze del pittoresco settecentesco – connettono la stessa ricerca architettonica e artistica in questo settore a un filone di interessi strettamente legato al pensiero estetico-filosofico e scientifico, rintracciabile soprattutto nel campo della fenomenologia della percezione, della topologia e delle altre geometrie non-euclidee, delle esperienze architettoniche, artistiche, coreografiche e cinematografiche
legate allo spazialismo, alla sensorialità, all’apticità.
Questo tema generale di ricerca trova possibilità di estrinsecazione
e di verifica in alcuni campi applicativi trasversali all’attuale struttura
disciplinare delle tre facoltà dell’Iuav (architettura, design e arti, pianificazione) quali:
a) le ricerche sulla gnoseologia del paesaggio, ovvero sul rapporto
fra paesaggio e categorie del sapere e sugli archetipi del territorio;
b) le ricerche sulla “narratività” del progetto di paesaggio, nei rapporti con l’eredità culturale profonda dei territori;
c) le ricerche sulla percezione aptica dello spazio e del paesaggio,
nei rapporti arte-architettura e nei loro risvolti nel campo della rappresentazione;
d) le ricerche sul rapporto fra arte paesaggio e progetto, anche in
relazione al suo ruolo di catalizzazione sociale.
Il seminario in questione costituisce il primo terreno di confronto
delle varie componenti di ricercatori confluite nell’Unità di Ricerca Iuav
denominata “Il palinsesto-paesaggio e la cultura progettuale”, che prelude a un più vasto convegno internazionale su questi temi in preparazione per il prossimo anno.
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Prima sessione
Gli archetipi culturali nel progetto di paesaggio
Anna Marson
Archetipi di territorio e progetto di paesaggio
Renato Rizzi
Gnoseologia del paesaggio: sapere e paesaggio
Agostino De Rosa
Geografie Parallele.
Percorsi rituali nelle immagini del paesaggio
Mariaia Cunico
Alla ricerca del fascino del giardino
Pier Luigi Cervellati
paesaggio / ambiente / territorio
Progetto Video
Agostino De Rosa & Imago rerum team, regia e animazioni digitali ©
Maria Pia De Vito, Maurizio Giri e Michele Rabbia, soundtrack ©
La musica delle sfere nella luce: il Roden Crater project di James
Turrell
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Anna Marson
Archetipi di territorio e progetto di paesaggio
Anna Marson
La maggior parte dei processi di urbanizzazione contemporanea ha
prodotto e continua a produrre esiti di elevata uniformità e mediocrità, per ciò che attiene alle strutture e ai caratteri degli insediamenti,
in modo indipendente dai luoghi fisici, dalle culture sociali, dai patrimoni storici che ne configurano il contesto. L’urbanistica moderna e
contemporanea, intesa come disciplina finalizzata alla razionalizzazione della crescita, appare dunque obsoleta sia per la (scarsa) capacità di
governo dei risultati, sia per i modelli di insediamento proposti, che
anche quando realizzano le previsioni dei piani raramente configurano
ambienti che sceglieremo come luoghi per vivere.
Il successo riscontrato di recente dal tema del paesaggio può essere
interpretato come mossa laterale rispetto alla crescente ostilità politica nei confronti dell’urbanistica, ma anche come ricerca di nuove manifestazioni di quegli archetipi, o tipi originari, capaci di dar senso e
durata al nostro costruire e abitare luoghi.
Cosa significa per l’urbanistica cogliere la sfida del paesaggio? Se
consideriamo il paesaggio un modo specifico di guardare al territorio,
anziché una realtà, questo punto di vista ci aiuta a mettere a fuoco
almeno tre passaggi:
1. la consapevolezza della necessità di esplicitare e saper comunicare il progetto di territorio proposto (a fronte di piani che in gran parte
dei casi sono progetti impliciti di ottimizzazione funzionalista di alcune poste in gioco);
2. riscoprire e far scoprire la dimensione emozionale, l’esperienza
del sacro dei luoghi, la forma come dimensione necessaria anche alla
interazione sociale;
3. la capacità di narrare riti e promuovere culture, anziché proporre norme più o meno puntualmente disattese.
Tutto ciò significa altresì fare i conti con la fine di un’idea semplicistica, universale e lineare, di progresso. Il paesaggio diventa tale quando è osservato come paesaggio: non è dunque questione di sola materialità, ma di rapporto tra questa e la dimensione soggettiva dell’esperienza e della riflessione. Esso nasce dal senso di perdita, e dalla ricerca di compensarla con la ricostruzione di un patrimonio materiale e
Archetipi di territorio e progetto di paesaggio
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simbolico, di luoghi e loro immagini capaci di controbilanciare l’imperfezione del mondo. Per l’urbanistica e la pianificazione del territorio si
tratta d’un cambiamento di prospettiva consistente.
Anna Marson. Urbanista, insegna Pianificazione all’Università IUAV di Venezia. Tra le pubblicazioni Archetipi di territorio (2008) e Barba Zuchòn Town. Una
urbanista alle prese col Nordest (2001). Gli interessi di ricerca più recenti sono
orientati al "progetto di territorio".
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Renato Rizzi
Gnoseologia del paesaggio: sapere e paesaggio
Renato Rizzi
La parola paesaggio, come ormai ogni altra parola, non può essere
oggetto di studio o di analisi indipendentemente dal sapere. Ovvero,
non si può affrontare tale termine senza interrogare il sapere nel quale
siamo completamente immersi.
Paradossalmente invece riteniamo che si possa affrontare qualsiasi
tema generale, come il paesaggio, senza considerare le categorie generali o fondamentali (epistemiche) di appartenenza.
Ingenuamente, invece, crediamo che il sapere -in sé- appartenga a
strane categorie concettuali del tutto inutili o ininfluenti, quindi non
così importanti da essere interrogate. Mentre di nuovo usiamo le parole (paesaggio) come se esse fossero indipendenti, separate da quelle
categorie epistemiche del sapere al quale le nostre stesse parole appartengono e dipendono.
Le parole sono il riflesso del sapere. Portano con sé ed in sé i contenuti ed i significati del sapere. Per Benjamin sarebbero il veicolo che
connette l’estremo del theologico-simbolico all’altro estremo opposto
del reale-effettuale. La parola paesaggio, allora, si posizionerebbe come
medio tra il «noi» e il «sapere», quella condizione invalicabile che riflette il sapere nel reale e il reale nel sapere.
Infatti, la parola paesaggio produce significati radicalmente diversi, anzi opposti, se inscritta nell’orizzonte del paradigma nichilista (tecnico-scientifico) piuttosto che nel paradigma theologico (metafisicoontologico). Per questa ragione logica il sapere deve espandersi fino agli
estremi della conoscenza o del pensiero: tra ciò che possiamo ancora
considerare sacrale e reale.
L’ambito disgiuntivo del pragmatismo funzionale materialista non
può essere isolato dall’ambito unitivo del theologico-simbolico per una
ragione indiscutibile quanto innegabile. Il piano dell’estetico (e non
dell’estetica) è la condizione inviolabile e intangibile che lega e unisce
(in ogni caso) l’ambito disgiuntivo con l’ambito unitivo. Immanenzatrascendenza; fisico-metafisico; spirituale-reale; simbolo-segno,
ecc…sono condizioni coappartenenti in ogni cosa, in ogni ente.
Non si può dunque sottrarre la parola paesaggio al dualismo impli-
Gnoseologia del paesaggio: sapere e paesaggio
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cito di queste opposizioni se non si vuole perdere la sua intima e irriducibile autenticità ormai avvilita se non distrutta dalla nostra inconsapevolezza.
Renato Rizzi. Professore di progettazione all’IUAV. Attualmente impegnato
nella realizzazione del teatro Elisabettiano a Danzica. Ultima pubblicazione, “La
muraglia ebraica: l’impero eisenmaniano”, Mimesis 2009.
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Agostino De Rosa
Geografie Parallele.
Percorsi rituali nelle immagini del paesaggio
Agostino De Rosa
Il ritratto anamorfico del romito San Francesco di Paola raccolto in
preghiera, conservato presso il complesso conventuale della SS. Trinità
dei Monti (Roma), e attribuito ad Emmanuel Maignan, mostra come
attraverso il complesso rincorrersi di linee e grafismi dall’aspetto apparentemente incomprensibile, sia stato possibile nascondere l’immagine
violentemente deformata di un paesaggio, fisico e interiore. L’affresco,
durante l’attraversamento del corridoio subisce infatti una radicale trasformazione dal momento che il corpo del venerabile Santo, avvolto nel
suo saio e posto sotto un protettivo albero di ulivo, si tramuta alchemicamente, le linee che ne definiscono i contorni dilatandosi e i vari segni
e campiture, originariamente riconducibili a parti del personaggio,
distribuendosi sulla parete, fino a divenire profili orografici del paesaggio calabrese. Il dinamismo implicito nei due livelli fruitivi dell’immagine – quello obliquo e quello frontale – da’ luogo ad una vera e propria katastrophé scopica, sia in termini geometrici che metaforici, dal
momento che la posizione stanziale dell’osservatore, tipicamente rinascimentale, viene in quest’opera profondamente violata ed effranta.
Accostata all’affresco gemello, eseguito nello stesso complesso dal Minimo Jean-François Nicéron e raffigurante San Giovanni Evangelista che
scrive l'Apocalisse nell’isola di Patmo, l’opera sciorina un periplo fisico
e simbolico, squadernando un vero e proprio teatro della memoria: a
chi sappia leggere i segreti criptati nelle figure affrescate – rette e oblique -, appare chiaro il passaggio dall’epoca dell’origine (Alpha) dissimulato dal doppio ritratto del fondatore dell’Ordine dei Minimi (San
Francesco di Paola), a quello della storia, nell’astrolabio che, attraverso il ciclo diurno del Sole secolarizza lo spazio, incardinando così, attraverso il riflesso errante della sorgente luminosa, il vuoto al luogo. Il
viaggio si conclude quando l’osservatore – oramai un corpo divenuto
solo organo onniveggente – diviene testimone del tempo del Regno
escatologico (Omeg o nuova Alphaa), attraverso le rivelazioni dell’affresco ritraente, in simultanea, sia San Giovanni che gli episodi dell’Apocalisse.
Geografie parallele. Percorsi rituali nelle immagini del paesaggio
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Agostino De Rosa (Bari 1963), architetto, professore ordinario, insegna presso l’Università Iuav di Venezia. Coordina il gruppo di ricerca Imago rerum, con il
quale collabora con alcuni artisti internazionali legati al mondo della land art e
della sonic environmental art, quali James Turrell e John Luther Adams.
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Mariapia Cunico
Alla ricerca del fascino del giardino
Mariapia Cunico
La nostra epoca sta perdendo il senso e il valore dei confini tra le
cose, tra gli eventi, tra civiltà, tra le persone, in una totale sparizione
della figura del recinto.
Ma forse proprio partendo dall’inconscia fascinazione che il luogo
recintato ha in ciascuno di noi, si può capire ad esempio il motivo dell’interesse costante e crescente per la figura del giardino.
1- L’idea permanente e immanente in ciascuno di noi è quella del
recinto del giardino come archetipo, forma preesistente e primitiva di
un pensiero. Questa idea del giardino non può essere disgiunta dall’idea
del mito primordiale, dalla nostalgia connaturata all’uomo, per quei
luoghi recintati, i paradisi appunto, fecondi di piante e felici di bellezze. Paradisi in cui è riflessa l’immagine della divinità.
Un esempio fra i tanti è quello della figura del giardino del Mediterraneo, che si è tramandata nei secoli rimanendo un’icona pressoché
invariata e costante, dagli aranceti di Pantelleria agli agrumeti del
Marocco, luoghi recintati e coltivati dove la presenza dell’acqua riprende e continua la memoria dei giardini del mito.
2 - Il giardino come racconto di eventi naturali ma anche di memorie passate e presenti. L’arte del giardino come arte del racconto, racconto in cui si intrecciano tempi diversi, racconto senza fine, simbolo
della natura e della sua mutevolezza, della sua inesorabile adattabilità.
Nel rapporto tra progettista e giardino deve essere considerata ineluttabile questa continua mutevolezza e imprevedibilità che fa sì che il
racconto esca della consuetudine del racconto letterario o musicale per
definirsi come opera aperta.
3 - Il giardino come archetipo della relazione fra uomo e natura
nelle diverse fasi storiche.
Il rapporto tra uomo e natura ha prodotto giardini con determinati
e precisi caratteri, legati allo stile, alla cultura, all’architettura, al pensiero. Come tali i giardini esprimono le diverse concezioni del mondo e
della relazione tra uomo e natura. Ogni giardino realizzato è libro, luogo
di lettura del mondo passato che l’ha sotteso come del mondo presente, opera fragile ma immortale.
Alla ricerca del fascino del giardino
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Mariapia Cunico, è docente di Architettura del Paesaggio all’IUAV, responsabile scientifico di Master, Corsi di progettazione paesaggistica e restauro del giardino storico presso Università italiane e straniere. Tra i suoi più recenti lavori:
restauro del Parco delle Terme a Levico Terme ,del Giardino di Villa Badoer a Fratta Polesine, del Giardino della memoria nel cimitero di San Michele a Venezia.
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Pier Luigi Cervellati
paesaggio / ambiente / territorio
Pier Luigi Cervellati
Per la corte costituzionale (sentenza n. 367 del 2007) “paesaggio”,
“territorio” e “ambiente” sono equivalenti. Il legante multi disciplinare che unisce l’approccio progettuale alla sentenza della Corte è stato
cosi sintetizzato Il paesaggio come forma del territorio e aspetto visivo
dell'ambiente. La nozione di paesaggio si connette all’ambiente tramite il territorio. Il paesaggio indica la "morfologia del territorio", concerne l'"ambiente nel suo aspetto visivo": l'oggetto della sua tutela non
è costituito dalle "bellezze naturali", come si pensava (e si supponeva
di vincolare) ma dall’insieme “delle cose, beni materiali e loro composizioni" che insistono su un territorio e ne determinano la conformazione storico-geografica oltre a quella morfologica.
Rimane ugualmente un dubbio, che cos’è il paesaggio? Un fatto
estetico? E il territorio? L’ambiente era considerato fino a pochi decenni fa, appartenente alla sfera social letteraria. Geografi e costituzionalisti, storici e urbanisti, filosofi e “ambientalisti”, hanno discettato e
cavillato sul autentico significato di queste categorie. Non sarà una sentenza o un decreto a indirizzare i “paesaggisti”. A migliorare l’ambiente e a offrire soluzioni per il territorio.
I tecnici, coloro che adesso sono definiti “paesaggisti”, o “progettisti del paesaggio” -(neanche fossero Dio)- hanno ignorato da sempre
storie umane, forme, “concretezza” del territorio. La tutela tramite
“vincolo paesaggistico” non ha salvaguardato il territorio. Tanto meno
l’ambiente antropico o naturale. Ci vuole un “piano”, così si pensa, teso
a promuovere un assetto –condiviso- del territorio in cui il paesaggio
diventi protagonista dell’assetto stesso. Un piano che si potrebbe definire in termini maggiormente appropriati “piano paesistico del territorio”.
In definitiva: non c’è un piano, un progetto, una strategia, per il
paesaggio. Ci può essere semmai un contributo per l’assetto del territorio. Con molti limiti.
paesaggio / ambiente / territorio
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Pier Luigi Cervellati, per molti anni è stato professore ordinario di urbanistica e pianificazione, occupandosi di città (storiche e moderne) e di ambiente
("naturale", "antropico",ecc.). Oggi si occupa di territorio / ambiente /paesaggio
(che sono – a suo parere – quasi la stessa cosa).
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Agostino De Rosa & Imago rerum team
La musica delle sfere nella luce: il Roden Crater project di
James Turrell
Agostino De Rosa & Imago rerum team, regia e animazioni digitali ©
Maria Pia De Vito, Maurizio Giri e Michele Rabbia, soundtrack ©
Il Roden Crater project, situato in un remoto angolo nel Painted
Desert (Arizona) è un land-formed work al quale l’artista statunitense
James Turrell (Los Angeles, 1943) lavora da più di trent’anni. L’intento
del progettista è quello di trasformare un cono di ceneri estinto, generato da secoli di attività geologica, in un’opera d’arte a scala paesaggistica capace di intessere, per mezzo della luce, declinata in tutte le sue
possibili manifestazioni fisiche e metafisiche, un fitto dialogo con l’ambiente naturale che la circonda, sia a quota terrestre che celeste. Proprio dalla constatazione dei lunghi tempi previsti per il completamento del Roden Crater project è nata l’idea, maturata nel 2002 presso
l’Università Iuav di Venezia e da me coordinata scientificamente, di realizzare un modello digitale interattivo dell’intero complesso, grazie al
quale fosse possibile descrivere e documentare criticamente – sia dal
punto di vista figurativo che tecnico-scientifico – il ruolo che la luce,
l’ombra e la lettura dei fenomeni celesti svolgono e svolgeranno nella
definizione degli spazi architettonici progettati da James Turrell. I risultati di questa ricerca, condotti attraverso uno stretto contatto tra l’équipe veneziana e l’artista californiano, hanno costituito il nucleo di una
serie di mostre (Aula Gino Valle dell’Università IUAV di Venezia, ottobre
2007; Galleria e collezione Panza di Biumo, Varese, giugno-agosto 2008;
Palazzo Riso, Museo d'Arte Contemporanea della Sicilia, Palermo luglio
2009; e prossimamente, Lannan Foundation, Santa Fe, NM, USA, 2010
e Museo Solomon R. Guggenheim, New York 2012) e dei relativi cataloghi, in cui sono state (e saranno in futuro) esposte, oltre alle ricostruzioni digitali di ciascuna singola installazione, soprattutto gli inediti
metodi combinatori dei così tanti saperi coinvolti nell’opera di Turrell,
definendo i ruoli che il progetto e la sua rappresentazione geometrica
giocano all’interno di ambienti che si situano al confine tra architettura tout-court, progettazione paesistico-ambientale e archeo-astronomia. Le ambienze sonore del video che accompagna le mostre sono state
curate da un team di musicisti, provenienti dall’area dell’improvvisazione jazz e da quella della musica contemporanea ed elettro-acustica
La musica delle sfere nella luce: il Roden Crater project di James Turrell
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(Maria Pia De Vito, Maurizio Giri e Michele Rabbia), che hanno scritto e
improvvisato la colonna sonora di un video digitale, prodotto da Imago
rerum-Iuav, suggestivo dei futuri scenari - terrestri e celesti - visibili
nel sito.
Didascalie: Fig. 1 Veduta da sud ovest del Roden Crater, Arizona. Fig. 2 Interno dell’Alpha tunnel. Fig. 3 L’Alpha Space (East Portal) visto dall’ultimo tratto dell’Alpha Tunnel. Fig. 4 Alpha Space (East Portal). Roden Crater, Arizona. © Fotografie: Agostino De
Rosa
Agostino De Rosa & Imago rerum team
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Didascalie: Fig. 5 Veduta della copertura dell’Alpha Space (East Portal). Roden Crater, Arizona. Fig. 6 Veduta interna dell’Eye of the Crater. Roden Crater, Arizona. © Fotografie: Agostino De Rosa
Imago rerum è un collettivo creativo, afferente all’Università Iuav di Venezia, composto da docenti, ricercatori e cultori delle discipline della Rappresntazione, sviluppate nelle loro possibili intersezioni con l’arte e la musica contemporanea. Impiegando in modo inedito le tecnologie digitali, il team ha fin’ora
curato due esposizioni: Geometrie segrete. L’architettura e le sue ombre (Venezia 2004; catalogo edito dal il Poligrafo, Padova), e Geometrie di luce. Il Roden
Crater project di James Turrell (Venezia 2007; catalogo edito da Electa/Mondadori). Quest’ultima mostra sarà ripresentata, in forma ampliata, presso il Guggenheim Museum di New York (sulla costa orientale americana) e presso il Los Angeles County Museum (su quella occidentale) per le due antologica sull’artista americano previste per l’anno 2010.
titolo
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Seconda sessione
La narratività nel progetto di paesaggio
Luigi Latini
Giardino misura del paesaggio.
Vita del suolo e delle forme vegetali in uno spazio raccolto
Renato Bocchi
Le strutture narrative e il progetto di paesaggio.
Tracce per un racconto
Piero Ostilio Rossi
Il giardino come narrazione
Alan Johnston
Visual Thinking: Drawing a Shadow
Progetti video
Dottorato di ricerca in Architettura. Teorie e progetto dell’Università di Roma “La Sapienza”
Racconti per la Ninfa Egeria.
Un giardino letterario nel Parco dell’Appia Antica
Emanuele Garbin
Il parco dell’Ariosto e del Boiardo.
Progetti di paesaggio sulle tracce di Orlando
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Luigi Latini
Giardino misura del paesaggio.
Vita del suolo e delle forme vegetali in uno spazio raccolto
Luigi Latini
Si può usare la parola giardino per alludere all’esperienza tangibile
di un luogo che esprime, in una dimensione “esteticamente raccolta”,
la misura e il significato di un paesaggio all’interno del quale si vive. La
dimensione palpabile che il giardino contiene può dunque offrire un
punto di partenza utile e trasparente per maturare una percezione estesa, meno cerebrale e meno estetizzante di un paesaggio che riconosciamo come parte della nostra esistenza.
La costruzione tradizionale di un giardino ha spesso generato la
messa a punto di figure che alludono al paesaggio in forma di rappresentazione analogica, di richiamo alle sue componenti simboliche, di
celebrazione in forma scenica, ad esempio, di un ideale sociale o di un
programma ideologico. L’esperienza del “moderno”, nel secolo scorso
ha introdotto benefiche forme di semplificazione nel fare giardini e per
questo una sottile, inedita vena di rispetto per il paesaggio che non è
stata sempre compresa.
La ricerca di un processo di sintesi formale, di semplificazione degli
elementi narrativi ha indotto in questo modo giardinieri e paesaggisti
a un meditato esercizio di lettura dei luoghi attraversati, dei paesaggi
visti, dei cambiamenti sociali che si è dovuto interpretare. Diciamo che
in certi giardini “moderni” si capisce dove siamo nella misura in cui si
gode della dimensione spaziale e sensoriale del giardino, senza dover
contemplare niente, tanto meno decifrare qualcosa di preciso.
Ci sono stati facitori di giardini che hanno ragionato su questo procedimento, con l’arte di manipolare le forme vegetali o la pratica di
tracciamento del suolo dedotte sia dalle forme di coltivazione agricola
che dalle tecniche di cura delle piante. Attraverso l’uso moderno di pratiche apparentemente rigide come, ad esempio, l’ars topiaria, il giardino assume un’articolazione spaziale e una dimensione sensoriale che
nella sua sperimentazione diretta, poco si discosta da quella di muoversi liberamente nel paesaggio del quale si sperimentano qui in anticipo misure e sostanza.
Questo processo può essere studiato seguendo il doppio registro
dello sguardo alle opere realizzate e dell’indagine sull’esperienza vis-
Giardino misura del paesaggio
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suta di figure che incarnano un’attitudine progettuale nella quale un
ricco patrimonio di conoscenze converge su forme di semplificazione che
esprimono un percezione estesa di paesaggi nei quali l’uomo costruisce
un ambiente di vita raccolto. Tra queste figure vengono prese ad esempio il fiorentino Pietro Porcinai, i danesi Gudmund Nyeland Brandt e
Carl Theodor Sørensen, il californiano Thomas Church e il giapponese
Mirei Shigemori.
Didascalia: Firenze, Villa Il Roseto, particolare del giardino pensile. Pietro Porcinai, 1960-65 (fotografia di Luigi Latini)
Luigi Latini (San Miniato, 1956) è docente di Architettura del paesaggio presso l’IUAV e presso il Master in paesaggistica dell’Università di Firenze. Ha lavorato presso la Fondazione Benetton Studi Ricerche, di cui è attualmente consulente scientifico. È autore di numerosi saggi su giardino e paesaggio.
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Renato Bocchi
Le strutture narrative e il progetto di paesaggio.
Tracce per un racconto
Renato Bocchi
1. Il paesaggio come racconto
“Vorrei istituire un parallelismo tra architettura e narratività, in cui
l’architettura sarebbe per lo spazio ciò che il racconto è per il tempo,
vale a dire un’operazione “configurante”; un parallelismo tra costruire,
vale a dire edificare nello spazio, e raccontare, cioè intrecciare nel
tempo” (Paul Ricoeur).
“C’è un io in movimento che descrive un paesaggio in movimento,
e ogni elemento del paesaggio è carico di una sua temporalità … Una
descrizione di paesaggio, essendo carica di temporalità, è sempre racconto” (Italo Calvino).
2. Il paesaggio come palinsesto
Il linguaggio con cui è scritto il mondo quotidiano è “come un
mosaico di linguaggi, come un muro pieno di graffiti, carico di scritte
tracciate l’una addosso all’altra, un palinsesto la cui pergamena è stata
grattata e riscritta più volte, un collage di Schwitters, una stratificazione d’alfabeti, di citazioni eterogenee, di termini gergali, di scattanti
caratteri come appaiono sul video di un computer” (Italo Calvino).
La costruzione di esperienze immersive nello spazio da parte di Cristina Iglesias avviene attraverso una struttura sequenziale fortemente
narrativa, che costruisce itinerari sensoriali sull’onda di canovacci o sceneggiature letterarie - nella fattispecie, la riproduzione geroglifica di
un testo descrittivo di paesaggi contemporanei di J.G.Ballard, dal suo
libro Crystal World, nella texture intrecciata di fili di ferro che vela e
rende vibranti gli sguardi e i giochi di luce ed ombra nei suoi Suspended Corridors: sono palinsesti multipli di paesaggio, tracciati da diaframmi bidimensionali, tessili, dotati di una propria trama decorativa
e di potenza calligrafica.
3. Architettura come spazio mentale, racconto come immagine mentale.
“L’architettura è spazio mentale costruito - diceva il mio vecchio
amico, l’architetto Keijo Petäjä”: un aforisma semplice e complesso
Le strutture narrative e il progetto di paesaggio
Didascalia: Cristina Iglesias, Suspended Corridor
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Renato Bocchi
come un haiku, questo riferito da Juhani Pallasmaa.
Vale a dire: l’architettura come luogo che esprime e incarna
un’esperienza spaziale e di vita. Lo spazio mentale, per Pallasmaa, non
può materializzarsi se non in forme corporee, per il tramite dei sensi, e
di quella sintesi dei sensi che è nell’apticità.
“E’ per mezzo del tatto che apprendiamo lo spazio, trasformando il
contatto in un’interfaccia di comunicazione. In quanto interazione sensoriale, l’aptico è legato anche alla cinestesia, ossia all’abilità del nostro
corpo di percepire il movimento nello spazio” (Giuliana Bruno).
La corporeità, la materia dell’architettura – in un’accezione fenomenologica, sulla scia di Merleau-Ponty – è nell’immersione “vissuta”
dentro l’esperienza spaziale, è nel cristallizzarsi di uno spazio mentale, è nell’inverarsi - attraverso le capacità percettive totalizzanti dell’apticità - del significato mentale, di idee, presente nelle cose.
In ciò l’architettura, come il paesaggio, è concetto profondamente
umanistico: “Tutti i paesaggi e tutti gli edificî sono mondi condensati,
rappresentazioni microcosmiche” (Juhani Pallasmaa).
“L’opera di architettura come chora è una materia-spazio, domanda una sintesi delle immaginazioni materiali e spaziali” (Alberto PerezGomez).
Per converso: alla base di un racconto c’è spesso un’immagine mentale.
“L’unica cosa di cui ero certo – mi riferisco alle mie storie fantastiche – era che all’origine d’ogni mio racconto c’era un’immagine visuale” (Italo Calvino).
“Il metodo seguito da Calvino in questi testi è fondato principalmente sulla analogia e sulla metafora, che sono figure tipiche del pensiero visivo, ma anche di quello visionario” (Marco Belpoliti).
4. Lo spazio cinematico e l’architettura peripatetica
Poiché l’esperienza umana di qualsiasi spazio, di qualsiasi luogo, è
in continuo divenire, è facile derivare che l’architettura e il paesaggio
sono universi spazio-temporali fondati sul cinematismo, non certo sulla
staticità prospettica, e sulla topologia, non certo sulla geometria eucli-
Le strutture narrative e il progetto di paesaggio
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dea; universi nient’affatto immobili o congelati, ma piuttosto universi
da esperire in movimento e dentro il tempo, in cui l’uomo-utente-fruitore ha un posto privilegiato.
Di qui l’interesse per la lettura cinematica degli spazi, delle sequenze percettive, delle geometrie emozionali, che meglio d’ogni altra arte
il cinema incarna. Di qui anche l’interesse per i rapporti architetturaletteratura, per le capacità introspettive e narrative dei fenomeni spazio-temporali messe in campo dalla letteratura.
Nelle letture e interpretazioni del cinema o della letteratura – condotte per sequenze di immagini o per descrizioni narrative ed emozionali – si ritrova l’essenza della materia architettonico-spaziale.
E’ così che l’Orlando Furioso dell’Ariosto, con la sua struttura narrativa “ipertestuale” e la sua evocazione di immagini fantastiche, può
essere traccia, idea-guida, canovaccio, di un progetto di paesaggio:
forse.
Renato Bocchi (Trento, 1949) è professore ordinario di Composizione architettonica e urbana all’Iuav. Studia principalmente il rapporto tra architettura,
città e paesaggio. Il suo ultimo libro, in corso di stampa nella collana “Spazio
paesaggio architettura” che dirige presso Gangemi, Roma, si intitola: Progettare lo spazio e il movimento.
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Piero Ostilio Rossi
Il giardino come narrazione
Piero Ostilio Rossi
Con l’attivazione del 24° ciclo, Il Dottorato di ricerca in Architettura. Teorie e progetto della Sapienza ha ampliato l’offerta dei suoi curricula con l’introduzione di un profilo formativo indirizzato allo studio
teorico e sperimentale dell’architettura del paesaggio in contesti urbani e territoriali. All’interno di questo profilo, il seminario “Arte, natura
e architettura. Un approccio multidisciplinare al tema del Paesaggio” ha
assunto un ruolo d’indirizzo formativo, con l’obiettivo di introdurre il
tema dell’architettura del paesaggio nella sua complessità e nelle sue
componenti: teoriche, metodologiche, strumentali e sperimentali. Per
questo il seminario si è articolato in tre sezioni: una introduttiva, una
operativa e una progettuale; le prima e la terza si sono svolte a Roma,
la seconda in Valsugana, con base nel Centro di Studi Alpino dell’Università della Tuscia a Pieve Tesino. Al Seminario hanno preso parte 17
dottorandi (del primo e del secondo anno di Corso), 4 dei quali stranieri.
Il seminario si è concluso con un workshop sul tema di un giardino
letterario alla sorgente della Ninfa Egeria nella Valle della Caffarella –
uno dei luoghi più suggestivi del Parco dell’Appia Antica - che è stato
scelto, più che per la sua vocazione ad essere modificato, perché ci è
sembrato capace di mettere in gioco simultaneamente molti dei temi
con i quali il progetto di paesaggio tradizionalmente si confronta: una
vegetazione ricca ed articolata in differenti elementi morfolologici, il
sistema delle acque, la geometria dei tracciati, le variazioni orografiche, le memorie del passato.
Scopo del workshop, quello di saggiare, in forma scritta e disegnata, le capacità di trasferire sul piano evocativo - uno dei possibili registri del progetto di paesaggio - figure, temi o immagini tratte da un
esercizio di lettura mirato a fornire stimoli e impulsi alla fase d‘avvio
del processo creativo. Ciascuno dei dottorandi ha scelto il testo letterario su cui costruire il progetto di giardino e la porzione di sito ad esso
dedicata.
I progetti ruotano prevalentemente intorno al tema del giardino
come narrazione attraverso un processo di concettualizzazione che dall’interpretazione del testo letterario definisce temi e figure morfogene-
Il giardino come narrazione
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Piero Ostilio Rossi
tiche, in grado di essere trasferite nell’impianto figurativo del giardino.
Altri lavori giocano sul dispositivo della messa in scena dell’opera, altri
ancora rimandano invece alle trame delle singole opere ricostruendole
attraverso una sequenza di quadri e di scene.
I testi scelti sono i seguenti:
Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse, 1930 (Francesca Barone);
Orlando di Virginia Woolf, 1928 (Giuditta Benedetti); Al di là dello specchio di Lewis Carrol, 1865 (Daniele Carfagna); Il guardiano di greggi di
Fernando Pessoa, 1957 (Lucia De Vincenti); I fiori blu di Raymond Queneau, 1965 (Carlo Gamboni); Fedra di Ghiannis Ritsos, 1970 (Antonino
Di Raimo); Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare,
1595 (Valentina Donà); Un mundo para Julius di Alfredo Bryce Echenique, 1970 (Cristina Dreifuss, Perù); I limoni di Eugenio Montale, 1925
(Anna Esposito); Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino,
1979 (Zhai Fei, Cina); Taglia e cuci di Marjane Satrapi, 2003 (Roberto
Filippetti); Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani, 1962 (Raffaella Gatti); Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare,
1595 (Alessia Maggio); Siddharta di Hermann Hesse, 1922 (Marco Marrocchi); Il giardino dei sentieri che si biforcano di Jorge Luis Borges,
1944 (Paolo Rodorigo); Tre poesie di J.M.R. Molana, F. Farrokhzad e M.A.
Sales (Majid Shahbazi, Iran); Fondazione e Impero di Isaac Asimov, 1952
(Belula Tecle, Eritrea).
Piero Ostilio Rossi. Ordinario di Composizione architettonica e urbana nella
Facoltà di Architettura “Ludovico Quaroni” dell’Università di Roma “La Sapienza”, è Coordinatore del Dottorato di Ricerca in Architettura. Teoria e progetto. Dal
2004 fa parte, su designazione del Sindaco di Roma, del Comitato scientifico
della “Casa dell’Architettura”.
Alan Johnston
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Visual Thinking: Drawing a Shadow
Alan Johnston
“This is a green world, with animals comparatively few and small,
and all dependent on the leaves. By leaves we live. Some people have
strange ideas that they live by money. They think energy is generated by
the circulation of coins. Whereas the world is mainly a vast leaf colony,
growing on and forming a leafy soil, not a mere mineral mass: and we
live not by the jingling of our coins, but by the fullness of our harvests.”
Patrick Geddes
This is my first visit to Venice; I hope that does not shock too much
of the audience. But my closest interest in this once ancient republic
was finding a great and sympathetic spirit in the city’s 20th Century
‘Visual Thinker’, Carlo Scarpa. Scarpa a son of the city as I am of Edinburgh he had, as I do a deep interest in Japan. An interest grounded,
as for me, in this the native place. The place where in my case Patrick
Geddes built on and led a sense of what is deeply and profoundly local.
It has led to looking at similarities despite distance, looking at the patterns of people, at the forms created, built and continued. Yet the travel and wandering in ‘Askesis’ which you may have noted from my list
of global activities in peregrination brought me to a particular context
in Japan, looking on a ‘Visual Thinking’ where a familiar geometric
sense of form which has a fundamental tactile nature. A kind of living
geometry incipient in the landscape itself. Finding through the great
American artist and scholar the work of Sesshu, the artist and landscaper, where manipulation of ‘The Void’ provoked a lasting and intriguing
involvement in a ‘Tactile Vision’, a form of anti form, or as Charles
Esche has described,
‘Alan Johnston’s work is, at times, almost invisible but almost is not
invisible at all. At a time when our lives are saturated by commodified
images, looking at a simple drawing that relies so much on what we,
as viewers bring to it, becomes a test not just of our perception but of
our whole system of value. What we see how we see it and even whether we register it all are consciously determined a mirror of our private self in a way and a measure of our understanding of order, space and
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Alan Johnston
structure. It is the economical way in which this act of self awareness
is achieved that make Johnston’s work so extraordinary and effective’.
Yet in this as a parallel there has been a deep fascination for forms
that at first seem hidden in fact placeless. With this has come an interest in the East as a way finding the place of self, and is closely reflected in an observation of the American writer John Barth when describing the Odyssean notion of the nature of place and travel.
‘There’s no mystery in Oedipus the King, that quintessential Western
Drama. East has so far been East; West. But, as the mythic model
demonstrates, it is one voyage after all, and its philosophical hemispheres impinge at two interesting places. One is down there at Axis Mundi,
where as Odysseus tells his shipmates, on that, Wine Dark Sea, ‘East and
West mean Nothing’.
John Barth. ‘Mystery and Tragedy. The Twin Motions of Ritual
Heroism’. 1984.
Visual Thinking: Drawing a Shadow
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Alan Johnston is an Edinburgh-based artist and Professor at the Edinburgh
College of Art, Edinburgh, Scotland. He is specially interested in the ways in which
spatial depth is experienced and marked out, and mindful of the fact that this
depends as much upon our perception of the voids between objects as our perception of objects themselves; for his recent work, see: http://www.northernmirror.com/
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Dottorato di ricerca Università di Roma “La Sapienza”
Racconti per la Ninfa Egeria.
Un giardino letterario nel Parco dell’Appia Antica
Dottorato di ricerca in Architettura. Teorie e progetto dell’Università
di Roma “La Sapienza”
Il video presenta una sequenza di immagini tratte dai progetti elaborati dai dottorandi che hanno partecipato nel 2008 al Seminario
“Arte, natura e architettura. Un approccio multidisciplinare al tema del
Paesaggio”. Il workshop conclusivo proponeva il tema del giardino letterario da collocarsi in una radura compresa tra la sorgente della Ninfa
Egeria e il fiume Almone, nella Valle della Caffarella.
Diversi sono stati gli atteggiamenti nello stabilire un rapporto tra
l’opera letteraria e il progetto del giardino. Alcuni sono riferibili a temi
e figure evocative del testo: il tema del recinto come sintesi della separazione o il senso del dramma dell’amore nell’immagine di un drappo
in movimento. Altri invece, stimolati dalla conformazione dell’area,
indagano il tema del doppio: il rapporto maschile/femminile; la ragione contrapposta ai sensi; il terreno arido e il labirinto vegetale; la coesistenza conflittuale tra diversi gruppi sociali; il bosco come incantesimo e la radura come salvezza.
Un secondo gruppo di progetti è costruito sull’idea di mettere in
scena l’opera letteraria: la tensione tra il bisogno di ordine e la incapacità di comprendere un mondo estraneo; i differenti racconti intorno alla storia di un luogo; i giardini tematici come stanze per raccontare; il giardino di frammenti, dieci inizi per altrettante storie; la figura del labirinto e la necessità del ritorno; il tema dell’acqua e la figurazione quadripartita; la dimensione del sogno e della realtà; l’attraversamento, la confidenza, l’evocazione e i riferimenti allo spazio urbano; il tema del viaggio come percorso esistenziale.
Un ultimo progetto infine gioca sul registro dell’allusione alla trama
dell’opera attraverso il sentiero che si fa narrazione degli eventi.
Video a cura di Francesca Romana Castelli (QART Laboratorio per lo studio di
Roma contemporanea) e realizzazione di Rosalba Belibani, Luca Fabbri, Alessandro Santamaria Ferraro, Marco Donato (LaMA Laboratorio Multimediale di Architettura) del DiAR Dipartimento di Architettura della Università di Roma “La
Sapienza” (w3.uniroma1.it/diar).
Racconti per la Ninfa Egeria. Un giardino letterario nel Parco dell’Appia Antica
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Emanuele Garbin
Il parco dell’Ariosto e del Boiardo.
Progetti di paesaggio sulle tracce di Orlando
Video di Emanuele Garbin, Silvia Bortolato, Federica Crestani, Filippo De Francesco, con la collaborazione di Carlo Ferro – LAR. Elaborati del
Laboratorio di Paesaggio 1.
La possibilità della sorpresa e della meraviglia sembra aver abbandonato da tempo il paesaggio contemporaneo, tanto quello reale quanto quello che ci sforziamo di immaginare per l’immediato futuro. L’attesa di un’apparizione imprevista è una disposizione ormai ingiustificabile nell’esplorazione di un bosco vero o di una sua mappa. La perfetta consapevolezza della propria posizione e della misura del proprio
intorno ha reso ogni tragitto troppo piccolo per la dismisura e la paura,
ha colmato ogni abisso e la rimozione di ogni rischio spaziale è talmente compiuta da non poter essere più percepita, né tantomeno lamentata.
Ad una contrazione dei margini d’incertezza negli itinerari reali,
meno il risultato di una colonizzazione che di un’omologazione dei
sistemi di coordinate ideali, corrisponde una analoga riduzione dell’incertezza e dello spessore del tratto grafico che riproduce il nuovo
mondo, prodotto da processi che si caratterizzano per la totale determinabilità dei risultati.
Il rimpianto per la perdita del senso e del segno della meraviglia ci
può portare ad interrogazioni radicali, magari alla scoperta di una condizione e un destino disperanti. È anche vero che l’avventura inizia
spesso in spazi angustissimi, aprendo radure in fessure microscopiche.
Quando ingrandiamo molte volte un’immagine digitale scopriamo
quanto frustrante e vicino sia il limite della ‘misura’ di un pixel. Quando sprofondiamo nelle parti scure di una foto o di una scansione tocchiamo rapidamente il fondo della percentuale nulla di colore. Il pixel
e l’azzeramento delle componenti cromatiche di solito ci respingono
verso la superficie delle forme e dei colori riconoscibili. Nulla però ci
impedisce davvero di trattenerci a contemplare, forse un po’ stupidamente, quelle distribuzioni indecifrabili di quadrati neri, appena più
chiari, appena più colorati, e di immaginare cosa nasconde la barriera
di quella griglia e di quella soglia luminosa. In questa condizione di stupita attesa si sosta di fronte alle scacchiere policrome o ai paesaggi
Il parco dell’Ariosto e del Boiardo
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perennemente sfuocati di Gerhard Richter, come davanti alle linee e alle
fessure verticali di Barnett Newmann, veri e propri paesaggi ‘totali’.
Si può allora provare ad immaginare, proprio a partire dall’esercizio particolare del ritratto di un paesaggio, delle strategie o degli stratagemmi grafici che recuperino nel tratto digitale quello spessore di
indeterminatezza in cui si trattiene una folla di forme potenziali. Nei
margini confusi di questi bordi si può ancora celare l’immagine riflessa di una meraviglia interiore capace di proiettarsi nel mondo reale.
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Emanuele Garbin
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Emanuele Garbin, architetto, svolge attività di ricerca nel campo della teoria e dei metodi della rappresentazione grafica presso l’università IUAV di Venezia, dove insegna dal 2001. I suoi studi più recenti riguardano principalmente il
tema dell’autenticità e della materia delle simulazioni nell’architettura e nelle
arti figurative. Con Malvina Borgherini ha fondato nel 2007 il Me.La, il laboratorio multimediale dello IUAV.
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Terza sessione
Arte e paesaggio: per il sociale
Cristina Barbiani
“The process is the purpose”: Anna e Lawrence Halprin
Sara Marini
Architetture in fieri
Michela Pasquali
Eterogeneità e temporaneità nei nuovi giardini urbani
Progetto video
LIVING DEVICES LAB, Giulia Marabini, Chiara Buffa
LIVING DEVICES: Coltivare il paesaggio fluviale. Strategie creative
per una rigenerazione ecologica
Emanuele Braga / Balletto Civile
LANDESCAPE
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Cristina Barbiani
“The process is the purpose”: Anna e Lawrence Halprin
Cristina Barbiani
Fin dagli anni Cinquanta Anna e Lawrence Haprin lavorano all’ideazione di nuove pratiche analitiche del paesaggio e alla creazione di
strumenti per la gestione della creatività. Attraverso i progetti dei giardini da vivere e non solo da contemplare, che invitavano il visitatore a
“calpestare l’erba”, ma anche attraverso gli studi sul corpo, la natura e
la forma, si andava costituendo una nuova idea di spazio. Tecniche di
“percezione cinestetica”, “passeggiate sensibili” o i “taking part workshops” rompono decisamente i canoni tradizionali della ricerca e dell’analisi del territorio. Sconfinando nella modalità della pratica performativa, la città e il paesaggio naturale vengono osservati attraverso
strumenti appartenenti ad altre discipline. Gli Halprin si scambiano gli
strumenti del mestiere, alterano i ruoli, principalmente con lo scopo di
esaminare e decostruire il processo creativo. L’idea di usare il corpo e
le tecniche sperimentali di notazione per il movimento, come strumenti per la lettura del paesaggio, nasce quindi da una volontà precisa: è
il tentativo di ricondurre l’attenzione verso una concezione dello spazio di tipo sensibile, a partire da risorse come la capacità percettiva del
corpo, il riconoscimento delle pratiche d’uso fino alla concezione di
modelli per la gestione della creatività collettiva. La forma è il risultato di un processo, che nasce non solo da ragioni interne all’oggetto stesso, ma anche come equilibrio con il soggetto che la percepisce e la vive.
Anche il tempo e il movimento entrano a far parte della rappresentazione, in quanto componenti essenziali di un modo nuovo di guardare lo spazio non più oggettivo e statico, ma soggettivo e dinamico.
“Stiamo andando verso un esistenza cinetica spazio-temporale,
verso una consapevolezza delle forze e delle loro relazioni reciproche
che definiscono l’intera esistenza, per le quali non abbiamo conoscenze e non abbiamo ancora la terminologia esatta per parlarne” aveva
scritto Moholy Nagy nel suo libro “Vision in motion” prefigurando e in
qualche modo determinando molti studi e ricerche a lui successive.
I progetti maturi di Lawrence Halprin traducono queste premesse in
operazioni spettacolari che trasformano lo spazio in luoghi di natura
performativa in cui la presenza delle persone diventa un elemento
essenziale e imprescindibile.
“The process is the purpose”: Anna e Lawrence Halprin
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Didascalia: Ira Keller Fountain, Portland, (1965-70). Lawrence Halprin. Foto della
fontana dall'alto
Cristina Barbiani è laureata in Architettura e in Progettazione e Produzione
delle Arti Visive, presso l’Università Iuav di Venezia. Si occupa di relazioni fra
architettura, paesaggio e arti performative. Nel 2003 è stata “visiting student”
presso la New York University e nel 2006 presso l’MIT di Boston. Nel 2009 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in “Storia dell’Architettura e della Città,
Scienze delle arti, Restauro” presso la Scuola di Studi Avanzati in Venezia con una
tesi su Anna e Lawrence Halprin. Dal 2004 collabora con la Facoltà di Design e
Arti dell’Università Iuav di Venezia.
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Sara Marini
Architetture in fieri
Sara Marini
Echi del nuovo senso di ‘paesaggio’ fissato dalla Convenzione Europea risuonano in modelli progettuali e strategie relazionali in grado di
risignificare il concetto di spazio pubblico. Strati di un’attenzione che
riemerge a sostenere il ruolo di connettore del paesaggio in dialoghi
intermittenti tra architettura e territorio. Nel 1985 alla terza Mostra
Internazionale di Architettura di Venezia le tre macchine presentate da
Daniel Libeskind sottolineano la possibilità per l’architettura di farsi
ingranaggio capace di restituire il senso dei luoghi, delle trasformazioni che li attraversano e di porre in essere la partecipazione di coloro che
attivano i dispositivi e che assistono al loro movimento.
Il valore del “paesaggio” come sistema operazionale si traduce in
architettura in disponibilità di accoglienza: The Weather Project, allestito da Olafur Eliasson nel 2003, investe lo spazio ospitante della Tate
Modern componendo un nuovo paesaggio dichiaratamente artificiale
che proietta i visitatori in una dimensione altra, modificandone i comportamenti. L’architettura sperimenta la possibilità che il proprio ventre non venga terminato ma, lasciato come spazio in attesa, come ad
esempio nel Palais de Tokyo di Lacaton e Vassal, si renda disponibile ad
accogliere nuove finite identità. Proprio all’interno di questo spazio
museale l’installazione Abandon di Tony Matelli evidenzia come, oltre
alle scenografie dell’arte, significate dalle reazioni dello spettatore, un
ulteriore elemento vivo, il verde incolto che sopraggiunge in seguito
all’abbandono, possa colonizzare l’architettura. Anche lo spazio privato non è esente da occupazioni “spontanee”. La presenza del verde non
è più un accessorio al quale attribuire uno spazio determinato ma
ingloba la casa stessa, come testimoniano le sperimentazioni degli
R&Sie(n) in Francia e di Fujimori in Giappone: un’invasione vegetale preordinata che sposta l’orologio biologico della casa, la colloca in un
tempo a venire, mette in cortocircuito quelli che sono i limiti tra le proprietà e lo spazio condiviso, li rende ambigui. Il risultato di questi
intrecci tra dispositivo progettuale e scene effimere o in naturale evoluzione è una totale interazione con il fruitore. Gli edifici pubblici oggi
mettono in esercizio questa possibilità di trasformazione continua, a
restituire un senso del luogo fluttuante: la stratificazione costruita e
Architetture in fieri
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trovata permane in uno stato di ininterrotto assestamento operando
fittizie deformazioni dello spazio. Questi luoghi, non più progettati
come semplici contenitori di funzioni ma come spazi paesaggisticamente significativi, restituiscono un senso del palinsesto architettonico che
acquisisce identità grazie all’azione filmica, al racconto del fluire del
tempo, alle presenze che lo attraversano. L’architettura supera la sua
staticità a favore di letture intrecciate dei territori e della loro storia.
Didascalia: Robert Kusmirowski, Une cabine, Palais de Tokyo, Exposition Charing
Napoleon, Paris 2009. Foto Sara Marini
Sara Marini, dottore e assegnista di ricerca in Composizione Architettonica.
Docente a contratto presso l’Università Iuav di Venezia, l’Università degli Studi di
Trieste, l’Università degli Studi di Camerino. La ricerca Palinsesti e scarti sviluppata come assegnista è in fase di pubblicazione presso Quodlibet.
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Michela Pasquali
Eterogeneità e temporaneità nei nuovi giardini urbani
Michela Pasquali
All’inizio degli anni settanta nelle aree abbandonate di Loisaida, un
piccolo quartiere di Manhattan, numerosi giardini sono stati creati grazie all’iniziativa della comunità locale. Un insieme di culture, lingue,
religioni e abitudini, che si sovrappongono e spesso si ritrovano nei
nomi scelti per ciascuno dei giardini: El Sol Brillante, Brisas del Caribe,
Miracle Garden, Jardin de la Esperanza, Creative Little Garden. Il processo di creazione che ha dato vita a ciascuno di questi giardini non costituisce un’esperienza a sé e non è, in nessun caso, oggetto di mestiere;
rientra invece tra le tante espressioni della quotidianità, come il modo
di vestirsi, di parlare, di cucinare. Ogni giardino tende a configurarsi
come territorio-possedimento, dove i segni dell’appropriazione fisica e
simbolica si manifestano attraverso la disposizione di piante e fiori, la
scelta e la collocazione di oggetti.
Da allora in tante città la flessibilità, la leggerezza sul territorio, la
varietà, l’attenzione sociale sono le particolari qualità dell’agire temporaneo insieme alla sperimentazione e alla ricerca di nuove forme.
L’uso di spazi abbandonati nelle zone marginali delle città, la temporaneità e l’eterogeneità di tanti progetti, la libertà creativa assoluta,
l’uso di materiali poveri e di piante rustiche, sono i comuni denominatori di nuovi spazi urbani, giardini che crescono e si evolvono in una
dinamica continua, che si compongono in sistemi originali, rivelando i
bisogni e le esigenze di chi li vive.
Instabili e di incerta durata, mutano e si evolvono nel corso del
tempo, i nuovi giardini urbani sono il prodotto di bricoleur che agiscono all’insegna dell’improvvisazione, senza i mezzi e le conoscenze convenzionali. Estranei alla cultura ufficiale, creano giardini colonizzando
spazi intermedi o interstiziali, appropriandosi di terre di nessuno. Così,
nel segno della spontaneità e dell’istinto, nuovi spazi verdi si manifestano anche come un’analogia e una ricorrenza del fare artistico: la
natura precaria come un’installazione, ma, soprattutto, come traccia
del dimorare, dell’abitare, dell’aver cura.
Eterogeneità e temporaneità nei nuovi giardini urbani
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Michela Pasquali, paesaggista, é direttrice della collana Oltre i giardini della
casa editrice Bollati Boringhieri. Ha pubblicato il libro I giardini di Manhattan.
Storie di guerrilla gardens, Bollati Boringhieri, 2009, e il suo lavoro sui giardini
spontanei urbani prosegue su www.criticalgarden.com. Insegna alla Fundacion
Fernando De Castro per l’ultimo anno di Architettura della Universidad Politécnica de Madrid e al Master di Architettura dello IED di Torino.
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LIVING DEVICES LAB, Giulia Marabini, Chiara Buffa
LIVING DEVICES: Coltivare il paesaggio fluviale.
Strategie creative per una rigenerazione ecologica
LIVING DEVICES LAB, Giulia Marabini, Chiara Buffa
in collaborazione con Masa Grbic, Vuk Valter
montaggio video Michele Marchetti
LIVING DEVICES LAB nasce in occasione di una collaborazione con la
regista Valeria Panfili durante la realizzazione del documentario CONTROCORRENTE, racconto di un viaggio in canoa dal delta alla sorgente
attraverso un percorso a ritroso lungo il fiume Po.
Reinterpretando l’uso dello strumento video che del paesaggio rileva soprattutto ció che é percepito dallo sguardo, la nostra esplorazione
é un tentativo di svelare una dimensione del paesaggio fluviale quasi
invisibile allo stato attuale.
É possibile sovvertire un’immagine consolidata? E`possibile tornare
a percepire una dimensione latente di cui restano soltanto isolati, fragili ed indecifrabili frammenti?
Un lungo processo di antropizzazione iniziato 5000 anni fa ha trasformato la Pianura Padana, bacino idrografico del Fiume Po, in una
macchina di produzione agricola e successivamente industriale, erodendo progressivamente sistemi naturali complessi ed incredibilmente ricchi dal punto di vista della biodiversità ambientale.
I LIVING DEVICES sono micro-dispositivi progettati ed autocostruiti
per far riemergere da uno stato di amnesia due biotopi: la foresta igrofila planiziaria ed i paesaggi acquatici.
Questi dispositivi accolgono al loro interno una preziosa componente biologica e possono essere interpretati sia come gusci che tutelano la
sopravvivenza di specie viventi condannate dai processi corrosivi nei
confronti della natura, sia come schegge proiettate nel futuro, primi
innesti di un processo di rinaturalizzazione dell’intero bacino idrografico.
Sono oggetti artificiali, astratti, geometrici che si manifestano nell’orizzonte del paesaggio come surreali ed enigmatiche alterità.
La loro realizzazione é stata supportata dalla consulenza del prof.
Graziano Rossi e della dott.ssa Valeria Dominione, del Dipartimento di
Ecologia del Territorio dell’Università di Pavia.
Il manuale di costruzione e le istruzioni d’uso dei LIVING DEVICES
LIVING DEVICES: Coltivare il paesaggio fluviale
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saranno disponibili online sul sito www.livingdevices.net: queste piccole architetture che combinano natura e artificio, sono concepite come
strumenti d’azione alla portata di chiunque sia interessato a costruire
un nuovo spazio di relazione fra l’uomo e l’ambiente naturale.
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LIVING DEVICES LAB, Giulia Marabini, Chiara Buffa
LIVING DEVICEs LAB è un gruppo di ricerca fondato nel 2008 da Chiara Buffa
(architetto, laureata all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia nel 2002;
attualmente sta elaborando una tesi sul rapporto fra scienze ecologiche e progetto di paesaggio con la prof. Maria Goula all’interno del programma di Dottorato del Dipartimento di Urbanistica della ETSAB di Barcellona) e Giulia Marabini
(architetto, laureata all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia nel 1993,
ha il suo studio Polo1116 a Venezia dove svolge una multidisciplinare attività
professionale di progettazione tra architettura, urbanistica, paesaggio e design,
collabora alla didattica presso lo IUAV alla Laurea Specialistica del Paesaggio) in
collaborazione con Masa Grbc e Vuk Valter (laureandi presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia stanno elaborando una tesi di laurea sul fiume Po).
Il video presentato: frammenti di backstage montaggio di Michele Marchetti.
LANDESCAPE
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LANDESCAPE
Ideazione e coreografia Emanuele Braga, con Emanuele Braga, Emanuela Serra e Paolino, riprese Simone Pecorari prodotto da Balletto Civile di Michela Lucenti in collaborazione con Uovo Quadrato.
Sono colpito dal fatto che nelle isole residuali c’è tutto il mondo, c’è
il migliore dei mondi possibili.
Ecco.
E allora vorrei provare a fare uno spettacolo in cui il teatro è un giardino.
Avevo scritto in una mail a Gill Clement due annetti fa…
Il quale mi risponde dopo un po’:
Pour imaginer un spectacle avec les plantes , le mieux c'est quand
même de se trouver à l'extérieur , dans un jardin .
Ciò che mi preme in primo luogo è questo problema del FUTURO,
connesso a una certa critica al post-moderno. La storia non è finita,
credo, il passato non sta perdonando il presente. Sono contro questo
generico sentire, per cui tutto è naturale, i conflitti appianati, chiunque può dire, ma meglio se non si ha nulla da dire. Il futuro è blindato. È una saracinesca o una nebbia... perché pochi sono interessati a
dargli un volto e ad agirlo, o anche solo a parlarne…
In secondo luogo, si, questa immagine, abbiamo la sensazione di
aver fatto un festino in casa dei nostri genitori… ci hanno lasciato la
casa per il weekend e noi la abbiamo distrutta. Decostruire tutto e
mischiarlo a un po’ di emozione esistenziale è stato il modo prevalente con cui ci si è tenuti impegnati negli ultimi anni. E ci è rimasta solo
un po’ di nausea perché ora possiamo fare più o meno tutto a condizione che non serva a niente.
Insomma bisogna creare qualcosa che sposta la percezione del
mondo in una direzione…
(fosse facile… ma ci si prova)
Allora questo progetto ha come tema gli spazi residuali. Cioè quegli
spazi dove le costruzioni sono mezze abbandonate, la vegetazione
comincia a riguadagnare terreno, e l’uomo rimane ma ha capito che
non è il protagonista.
Non si tratta di un manifesto ambientalista… vorrei piuttosto par-
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Emanuele Braga / Balletto Civile
lare dei veri rapporti di forza… dove l’uomo pensa ad un modo per sottrarsi…
È come se la costruzione di qualcosa di abitabile avesse a che fare
con il lasciare che ciò che ci circonda abbia veramente la sua autonomia.
E che questo concetto non ha niente a che fare con un generico vivere bucolico, amore per il bio, o multirazzismo e rispetto delle differenze alla “united colors” ma che contenga una lotta molto violenta e animale e un mistero inquietante.
È come se noi fossimo imprigionati in una storia bloccata perché ciò
che vediamo è uno spazio astratto di comodità indotte che in una logica negativa ci disabitua ad agire. Mi piace citare questo libro (per colpa
non so di chi, mai tradotto in italiano) del prezioso pensatore marxista
francese Henry Lefebvre che analizza il concetto di produzione dello spazio nell’ideologia contemporanea.
“Differences endure or arise on the margins of the homogenized
realm, either in the form of resistances or in the form of externalities
(lateral heterotopical, heterological). What is different is, to begin with,
what is excluded: the edges of the city, shanty towns, the spaces of forbidden games, of guerrillia war, of war. Sooner or later, however, the
existing centre and the forces of homogenization must seek to absorb
all such differences, and they will succeed if these retain a defensive
posture and no counterattack is mounted from their side. In the latter
event, centrality and normality will be tested as to the limits of their
power to integrate, to recuprate, or to destroy whatever has transgressed. Appropriation of a remarkably high order is to be found here. The
spontaneous architecture and planning (wild forms, according to a
would-be elegant terminology) prove greatly suprior to the organization
of space by specialists who effectively translate the social order into territorial reality with or without direct orders from economic and political authorities.” The production of space, Henry Lefebvre
In questa messa in scena vorrei parlare di un’arte della fuga da questo meccanismo.
LANDESCAPE
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Emanuele Braga è confondatore di Balletto Civile, compagnia di danza e teatro diretta da Michela Lucenti. Il gruppo lavora su una personale ricerca nel
campo della danza contemporanea e del teatro fisico, con una particolare attenzione a mettere in relazione questo linguaggio con i temi, le contraddizioni e la
realtà concreta del mondo in cui viviamo.