La lunga notte di Calatrava

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La lunga notte di Calatrava
domenica 29 luglio 2007
il manifesto
Reportage
A Venezia posata la prima pietra del quarto ponte sul Canal Grande
Roberto Ferrucci
commento
S
ono qui, dice in perfetto
dialetto veneziano l'uomo al telefonino, probabilmente alla moglie. Sono bloccato da questo «cancaro» di ponte di Calatrava. Pochi
metri più in là, a Piazzale Roma, una squadra di tecnici sta
lentamente facendo combaciare il primo braccio del nuovo
ponte sul Canal Grande. Buona
parte dei veneziani sono come
questo tizio. Detestano tutto
quello che si cerca di fare in
questa città, soprattutto se intralcia la loro tranquillità, i loro
percorsi e, soprattutto, i loro affari. Per tutto questo, dunque,
sono poi del tutto - e colpevolmente - indifferenti allo scempio del Mose. Perché non li intacca direttamente, distrugge
solo la laguna, quello, non i loro immediati dintorni. Egoisti
sfrenati, i veneziani. Incapaci
anche solo di intuire l'evento
comunque epocale che in questi giorni Venezia sta vivendo.
Perché al di là di tutte le polemiche il ponte di Calatrava è un
evento epocale. Per gran parte
dei veneziani, invece, una rottura di balle. Non proprio per tutti, a dire il vero. Perché se stamattina, sabato, sono poche decine ad accompagnare di pupille il lento amplesso fra il braccio versante Piazzale Roma alla
spalla che lo sorreggerà per
sempre - un appropinquarsi
lentissimo come un corteggiamento fatale - erano in migliaia, la notte prima, a essersi dati
appuntamento lungo le rive
del Canal Grande e sopra ai
suoi altri tre ponti per veder
passare Susanna, una chiatta
lunga cinquanta metri e larga
sedici, sulla quale sono state
collocate le spalle del ponte, ottanta tonnellate l'una. La prima trasportata la notte fra venerdì e sabato, la seconda fra
sabato e domenica. Il 7 e 8 agosto toccherà poi al corpo centrale. Sì, una Venezia curiosa e
partecipe c'è ancora. Non c'è
solo chi spreme i turisti ma anche chi fa resistenza perché
questa città non imbocchi la deriva disneylandiana che sembra sempre più inevitabile. Allora immaginateveli, questi veneziani, darsi in parte, qualche
centinaio, appuntamento alla
Biennale Teatro, per vedere
«L'ultima casa», spettacolo
scritto da Tiziano Scarpa e portato in scena dalla compagnia
Pantakin nell'ambito della rassegna Goldoni e il teatro nuovo. Risate e applausi per
un'opera che racchiude in sé la
tradizione e la genialità di uno
scrittore, Scarpa, che ha fatto
sua - lo sanno bene i suoi lettori - non soltanto la lezione goldoniana. Applausi, dunque, e
dopo la terza chiamata in scena di attori, regista, Michele Casarin, e autore, tutti sul Ponte
dell'Accademia, ché sono quasi le ventitré e tra poco il pezzo
di ponte passerà qua sotto.
Questo, di legno, è già quasi
Cinque secoli di fallimenti
E ora il «valenciano»
Maurizio Giufrè
L
Compiuto il primo
passo nella
costruzione
del nuovo ponte
porgettato
dall’architetto
spagnolo. Migliaia
di veneziani hanno
atteso durante
la notte il
passaggio
della chiatta
«Susanna» con a
bordo le «spalle»
dell’opera, pesanti
80 tonnellate
l’una. E stasera
si replica
Foto Barbara Zanon
La lunga notte
di Calatrava
pieno di gente. Dell'altro, quello di Calatrava, si parla da anni.
Ritardi su ritardi, intoppi su intoppi, imprecazioni su imprecazioni, e stanotte, finalmente,
è la notte. L'atmosfera è quella
che respiri nelle feste popolari
(c'è stato il Redentore, qui, un
paio di sabati fa). C'è quella
complicità collettiva sempre
più rara, ormai. I turisti si domandano stupiti che cosa stiano guardando tutte quelle persone appoggiate al parapetto,
sguardo puntato, per ora, verso
il nulla. Qualcuno sfoggia il suo
più che improbabile inglese
per spiegare che un nuovo bridge nascerà stanotte. Sembra
vuoto, in effetti, il paesaggio davanti gli sguardi di chi è appoggiato al parapetto. E anche se
qualcuno domanda quando iniziano i Foghi (d'artificio, quelli
del Redentore), lo spettacolo
stupefacente è il Canal Grande
piatto, vagamente immobile,
del tutto privo del moto ondoso perpetuo che da sempre frastaglia il suo stare instabile.
Qualcuno la guarda incantato,
la superficie dorata non più
graffiata ma accarezzata di luci, tirarsi via compatta, liscia e
nitida, da qua sotto fino alla Salute. Mai vista, prima. Ma la
gente è concentrata sul fondo,
l'imbocco del canale, Punta del-
la Dogana. Da lì apparirà Susanna, la chiatta e il suo pezzo
di ponte sopra. Intanto, i lampeggianti blu della polizia municipale sono il segnale di qualcosa di imminente. Ecco vedi,
dice qualcuno, laggiù. Ma laggiù è una motonave in arrivo
da Punta Sabbioni. C'è l'ansia
per l'evento o forse l'urgenza di
raggiungere finalmente il letto.
Nemmeno qua sopra soffia un
filo d'aria. Ci si fa vento con ciò
che capita e le due ragazze col
ventaglio sono le più circondate. Alle 23.53, eccolo, esclama
qualcuno. All'improvviso appare il corteo, aperto da Francesca, la barca d'assistenza. Si
chiama come me, sorride una
ragazza qua vicino, orgogliosa
di partecipare per interposto
natante all'evento epocale. Dietro, la superchiatta, ma non c'è
nessuna Susanna, nei dintorni,
a rivendicarne l'omonimia.
L'equipaggio di tecnici è schierato a prua, caschetti gialli, tute
arancione, pettorine rosse.
Sembrano i Village People, ride
Francesca. Ma l'evento è in atto, con tutta la sua simbologia.
La gente cerca di riconoscere il
pezzo di ponte. Qualcuno dice
che brutto colore, è rossonero.
Ma non sarà quello il colore finale, credo. La velocità è al ralenty. Ognuno può godersi in
tempi più che dilatati il passaggio di questo urbanistico «c'ero
anch'io».
In coda, a chiusura del corteo, il tanto evocato sindaco
Cacciari, camicia grigia, pantaloni beige, capelli e barba che
sembrano farsi un baffo dell'afa atroce. «Abbiamo previsto
l'imprevedibile», ha ripetuto in
questi ultimi giorni. E cioè il
passaggio sotto al Ponte di Rialto, manovra che richiederà un
paio d'ore, roba da notte inoltrata e arrivo in Piazzale Roma
alle cinque e trenta del mattino
Chissà chi porterà cappuccino
e brioche agli abilissimi piloti
di quegli enormi cosi. I più vanno a letto. Speriamo di non sentire un botto, verso le due, dice
qualcuno. Se viene giù lo faranno rifare a Calatrava pure quello, esclama un altro.
E invece eccolo qua, la mattina dopo. Penetrazione perfetta
fra braccio e spalla poco dopo
mezzogiorno, addirittura in anticipo sulle tabelle. Ponte di
Rialto sempre lì, calpestato da
migliaia di sandali e infradito.
Stanotte si replica, settimana
prossima pure. E a Ferragosto
sandali e infradito non si negheranno nemmeno a quel «cancaro» di Ponte di Calatrava. Che
sarà bellissimo, statene certi.
www.robertoferrucci.com
L’opera della discordia comincia a prendere forma. Dopo anni di polemiche e costi lievitati, i veneziani osservano
La città lagunare lancia un ponte verso il futuro
Orsola Casagrande
Il primo pezzo del ponte della discordia è stato dunque messo in
posa. Venezia avrà il suo quarto
ponte sul Canal Grande, il quattrocentotrentunesimo complessivamente. Disegnato dall’architetto spagnolo Santiago Calatrava
dopo undici anni di polemiche,
«baruffe», gioie e dolori, il ponte
sta per diventare finalmente realtà (non prima di ottobre). Il progetto, da profani, è davvero mozzafiato. Il ponte infatti sarà in acciaio, vetro e pietra d’Istria. I costi di realizzazione fanno per la
verità altrettanto sobbalzare: oltre 10 milioni di euro contro i
due previsti undici anni fa.
La polemica più decisa è stata
quella delle associazioni delle
persone diversamente abili. Infatti il progetto non prevedeva, e
questo non ha fatto onore a Calatrava, l’accesso per chi deve muoversi in carrozzina. Alla fine si è risolto con una ovovia che trasporterà da una riva all’altra chi non
può camminare.
Il nuovo ponte sarà il primo
sul Canal Grande dopo più di un
secolo dalla costruzione ad opera degli Austriaci dell’ultimo ponte che attraversa il canale principale di Venezia, il ponte degli
Scalzi di fronte alla stazione di
Santa Lucia. L’idea iniziale, della
prima giunta Cacciari, era quella
di collegare Piazzale Roma, luogo d’accesso intermodale di mezzi pubblici e privati su gomma e
su acqua, alla ferrovia, che oggi è
una ferrovia di testa e nel futuro
sarà anche il punto d’arrivo di
un nuovo servizio regionale di
"metropolitana a cielo aperto".
Attraverso una gara internazionale di appalto, indetta dalla giunta
Cacciari e basata sulla selezione
non di un’idea progettuale ma
del curriculum del progettista.
Una volta scelto e affidato il progetto a Calatrava, l’architetto spagnolo ha proceduto seguendo alcune direttive esplicite indicate
dal comune di Venezia. Prima di
tutto c’era l’indicazione di un
ponte che fosse collegamento tra
mezzi di trasporto diversi ma
che si inserisse armonicamente
nell’ambiente particolare di Venezia.
Lo scoglio più difficile si è rivelato, giustamente, quello dell’accessibilità che doveva essere per
tutti. Così nel 2003, di fronte alle
proteste, l’allora sindaco Costa e,
con maggiore reticenza, Calatrava hanno invitato le associazioni
a presentare idee di accessibilità
che si potessero applicare al progetto originale. Sul tavolo dell’architetto sono arrivate sette pro-
poste elaborate da una squadra
di trenta progettisti.
Con la messa in posa ieri notte
dei primi due conci laterali le polemiche possono dirsi concluse.
«Un’operazione di indubbia
complessità, ma anche di grande
fascino», ha detto l’assessore comunale ai Lavori pubblici di Venezia, Mara Rumiz. Ora si attende il trasporto del concio centrale - lungo 60 metri e pesante 270
tonnellate - che avverrà nella notte tra il 7 e l’8 agosto e sarà posizionato l’11 e il 12 agosto. Mara
Rumiz ha ricordato anche che la
posa sul Canal Grande di una
grande opera di architettura contemporanea è un preciso segnale per Venezia, a non guardare
soltanto al suo glorioso passato,
ma a calarsi nel contemporaneo,
anzi a proporsi come città-modello del contemporaneo, proiettata al futuro.
a storia, a volte, si ripete, come
nel caso dell'architettura veneziana. Cinque secoli fa il progetto di Andrea Palladio per il ponte
di Rialto fu abbandonato perché la «risoluzione ben ferma di non cangiar nulla
allo stato attuale delle cose» - come scrisse Antoine Rondelet nel suo «Saggio storico sul ponte di Rialto in Venezia» del
1841 - risultasse la «principal causa» dell'abbandono di una così «splendida soluzione» riducendola, nel 1587, al solo
disegno inciso per «I Quattro libri dell'architettura» dell'architetto vicentino. Fortuna migliore non l'ebbe neppure Tommaso Temanza che, ideati nel 1780, non
vide mai realizzati i suoi tre ponti per la
sistemazione della Riva degli Schiavoni.
Analoga sorte ha riguardato, infine, anche il ponte in pietra degli ingegneri Torres e Briazza, sostituito dal 1933 da quello «provvisorio» dell'ingegnere Eugenio
Miozzi.
La vicenda del ponte di Santiago Calatrava si inscrive in questa lunga serie di
fallimenti che hanno la loro origine nelle complesse relazioni instaurate tra i
poteri pubblici, sempre più autoreferenziali, e i processi che concorrono agli affidamenti degli incarichi sia dei progetti
sia dell'esecuzione delle opere. Se si
scorre, però, la cronaca dell'architettura
dal dopoguerra ad oggi i fallimenti nel
capoluogo lagunare sono stati di ben altra misura, al punto che quello del ponte in questione risulta di scarsa rilevanza. I progetti non realizzati del Masieri
Memorial sul Canal Grande di Frank
Lloyd Wright, dell'ospedale di Le Corbusier e del centro congressi per la Biennale di Louis Kahn sono gli emblematici
esempi che nessuna architettura contemporanea in programma - dal Nuovo
Palazzo del Cinema alla «Venice Gateway» di Frank Gehry - potrà mai risarcire.
Il ponte di Santiago Calatrava, asciutto ed essenziale, non ha nulla delle dissonanze della sua Shadow Machine che
nel 1993 accompagnò la sua prima presenza in laguna: una copertura di dodici
elementi di calcestruzzo armato che si
muovevano lentamente come le costole
di un immaginario organismo vertebrato. Dove mai è approdata la sua ricerca
sul movimento delle strutture, l'elasticità e l'equilibrio dei materiali, cardini della ricerca espressiva dell'architetto valensiano, è difficile dirlo. Anche i suoi recenti ponti italiani nello snodo autostradale di Reggio Emilia risentono di questa riduzione espressiva, indice di un
collaudato e ormai ripetitivo repertorio
tecnologico e formale pronto all'uso in
qualsiasi contesto.
All'inizio degli anni novanta i suoi
ponti strallati, ad arco o a pilone componevano una casistica che assumeva un
altissimo carattere distintivo nel paesaggio urbano. Quegli studi che coniugavano sapiente riflessione sulla tecnica dell'acciaio e ricerca estetica sembrano oggi essersi esauriti in soluzioni scontate,
insistendo sui componenti hi-tech dal
candido effetto tonale, e come per Palladio il «non cangiar nulla» dimostra a volte di essere fatale.