Inverno 2014 - Leggere per Crescere

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Inverno 2014 - Leggere per Crescere
PERIODICO DI FORMAZIONE E DI AGGIORNAMENTO PER OPERATORI
DELL’INFANZIA E LE FAMIGLIE
Anno X N. 2
Inverno 2014
IN QUESTO NUMERO
2 PSICOLOGIA PRENATALE
Ascolto e apprendimento prima
di nascere
4 LA NASCITA NON È IL PRINCIPIO DI TUTTO
L’attaccamento madre bambino prima
di nascere
8 LA VENUTA AL MONDO
La fatica di nascere e di crescere
10 I PROBLEMI DEL COMPORTAMENTO
Vado male a scuola, ma non è colpa mia
L’attaccamento
MADRE-BAMBINO
prima della nascita
13 LA FUNZIONE EDUCATRICE DELLA FAMIGLIA
Valori e disvalori dell’educazione
alla disciplina
23 IL LINGUAGGIO NELLO SVILUPPO DEL BAMBINO
Parlo, dunque sono
26 IL GIOCO NELLO SVILUPPO DELLA CREATIVITÀ
La fantasia per crescere
28 Lo sviluppo del Progetto
"Leggere per Crescere”
Illustrazione da: LA MAMMA - di Mariana Ruiz Johnson - Kalandraka, 2013.
30 Libri in vetrina
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PSICOLOGIA PRENATALE
S
Sono passati 16 anni da quando la psicologa americana Janet L. Hopson sul periodico Psychology Today faceva il punto
su quanto gli studiosi di sviluppo prenatale andavano scoprendo sui processi di
maturazione cui va incontro il prodotto del
concepimento, di settimana in settimana
lungo il corso delle circa 40 della gravidanza, non solo in termini di formazione
di organi e apparati, ma anche di comparsa di capacità percettive, psichiche ed
emotive. Nel tempo trascorso le evidenze scientifiche nel merito sono aumentate tanto da non consentire più dubbi sul
fatto che il feto, nel corso della vita endouterina, presenta gradualmente numerose funzioni (riassunte nella tabella 1)
per cui già a 32 settimane di gravidanza,
circa due mesi prima che il bambino sia
pronto per la nascita “a termine”, egli
possiede un patrimonio funzionale simile a quello di un neonato.
Tutto questo significa che la nascita non
è il principio di tutto: le capacità di sentire, di sognare e di gioire cominciano ben
prima, così come quella di apprendere.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
L’apprendimento
prima di nascere
Il processo mentale che guida i comportamenti in base alle esperienze apprese è
assai complesso e coinvolge diverse funzioni psichiche (intelligenza, creatività, memoria, affettività) e sensoriali (udire, vedere, gustare, odorare, percepire gli stimoli tattici, dolorifici, termici, di posizione delle parti superficiali e profonde del
corpo). Tenerne conto, in riferimento agli
do appreso che si tratta di un suono normale e amico.
Ma il feto è capace di molto di più: per
esempio, negli ultimi mesi di gestazione,
egli sviluppa la capacità di distinguere la
voce materna da quelle di altre persone,
il che significa averla ascoltata e memorizzata, così come la capacità di apprendimento prima della nascita è provata dal
fatto che una storia raccontata ripetutamente nelle ultime fasi della gravidanza
viene preferita rispetto a racconti diversi
narrati dopo la nascita.
Mariannina Amato, Legame materno.
Contatto comunicativo pre-natale,
Sovera Edizioni, 2008.
Cosa vuol dire “attendere un bambino?” Quale atteggiamento dovrebbe adottare la “donna in attesa” e “futura madre”? Su questi interrogativi si sviluppa il libro definendo inizialmente la vita del bambino nell’ambiente
uterino e nel primo mese di vita e le “competenze” che un bambino non ancora nato sviluppa nel periodo pre-perinatale.
In altre esperienze è stato rilevato che anche il bambino non ancora nato dimostra
di avere delle preferenze rispetto alle storie che gli vengono raccontate dalla mamma durante gli ultimi mesi di gravidanza:
quando si narrano storie che gli sono familiari, i battiti cardiaci rallentano, quando le storie non gli sono note, la frequenza
dei battiti cardiaci rimane immutata, come se quanto di non familiare gli viene
narrato non lo interessasse.
esseri umani non ancora nati, è importante, a vari livelli, lungo il percorso che
il prodotto del concepimento compie nel
corso del suo sviluppo intrauterino, a partire da attività rudimentali e automatiche
come per esempio l’attenuazione delle
reazioni di allarme a mano a mano che
gli stimoli che le hanno prodotte vengono ripetuti (come nel caso di un rumore
elevato). È quello che accade per la voce
materna: il feto la riconosce, la memorizza
e vi si abitua, in quanto ha in qualche mo-
La conclusione è che il feto ascolta, apprende, ricorda e ama il conforto e la sicurezza che derivano da esperienze che
gli sono divenute consuete.
Inoltre, tutto dimostra che, dai sei mesi di
gestazione in avanti, il bambino non ancora nato condivide gli stati emotivi della madre per stimoli che gli arrivano per
via ormonale e che creano una connessione fra quello che la madre prova, soffre o gioisce e quello che il feto sente. Infine, sembra di poter dire che il complesso
delle esperienze che il bambino vive nel
periodo della sua esistenza che precede
3
Un crescente numero di ricerche scientifiche conferma che, già
prima di nascere il bambino sviluppa gradualmente le capacità di sentire, di ascoltare, di sognare e anche di gioire.*
Migliorabile,
lo sviluppo prenatale?
Tutte queste considerazioni inducono a
chiedersi se non sia possibile intervenire
dall’esterno, durante la gestazione, per indirizzare in senso naturalmente migliorativo lo sviluppo prenatale del bambino e
della sua personalità.
Molti studiosi che ci hanno provato, ricorrendo a varie stimolazioni, affermano
che i loro figli, una volta nati, rispetto alla media, si sono dimostrati particolarmente brillanti, versati nelle arti, fisicamente performanti e socialmente meglio
adattati. Altri studiosi sono piuttosto scettici e non mancano di porsi il problema
se certe manovre stimolatrici non risultino alla fine dannose per il feto. Questo
naturalmente non significa che la gravidanza debba venire condotta nell’indifferenza verso il bambino che dovrà nascere e i suoi intuibili bisogni.
Per generare un bambino in buona salute fisica ed emotiva non basta che la madre abbia cura di salvaguardarlo dalle sostanze nocive come l’alcol e il fumo di tabacco o contenute in certi alimenti; occorre, come è noto intuitivamente da sempre, che lo protegga dai pensieri e dalle
emozioni “inquinanti” che possono danneggiare la sua sensibilità e compromettere lo sviluppo della sua personalità. ■
*Hopson J.L., “Fetal Psychology”, Psychology Today, 1998.
LE TAPPE DELLO SVILUPPO PRENATALE
Alla 9a settimana
Il feto puo girare la testa, aprire la bocca, deglutire il liquido amniotico in cui è immerso.
Alla 10a settimana
Le corde vocali sono completate e il bambino può piangere (silenziosamente); il cervello è completamente formato ed egli può avvertire
dolore e succhiarsi il pollice.
Alla 12a settimana
Il bambino può provare molte sensazioni e cominciare a comunicare con la madre, a cui e legato non solo fisicamente ma anche emotivamente, come si illustrerà nel prossimo capitolo dove verrà considerato in dettaglio il fatto che il bambino, non solo riceve le sostanze
che la madre ingerisce, ma anche i suoi sentimenti e le sue emozioni.
Alla 13a settimana
Di solito il bambino comincia a scalciare, mentre compaiono gli
organi di senso che gli consentono di avvertire i sapori.
Alla 16a settimana
Il feto presenta regolari intervalli di sonno e di veglia.
Alla 19a settimana
Il feto può sentire e riconoscere la voce della mamma e le voci di altre
persone, i suoni e i rumori nell’ambiente, con effetto calmante per
suoni ritmici ed eccitante per quelli stridenti.
Alla 21a settimana
Il feto reagisce ai sapori dolci, agri, amari.
Alla 26a settimana
Gli occhi sono completamente formati e le palpebre possono aprirsi.
Alla 27a settimana
Il bambino risulta sensibile alla luce, oltre che ai suoni, ai sapori,
agli odori.
Alla 28a settimana
Il sistema nervoso è maturato al punto che può controllare gli atti
respiratori per cui, se la nascita avvenisse a questo stadio,
il bambino potrebbe respirare autonomamente.
(7° mese)
Dalla 31a settimana Il bambino comincia a dare segni della propria personalità e di com-
portamenti intenzionali: non solo si muove al ritmo di una musica,
ma anche dimostra di preferirne un tipo rispetto ad un’altro.
Reagisce ai cambiamenti di luce e può seguire lo spostarsi nell’ambiente di intensi punti luminosi.
Alla 32a settimana
Il sistema nervoso è completamente formato e può operare in termini di messaggi, idee, decisioni, memoria.
Alla 35a settimana
Il feto si esercita in movimenti respiratori in preparazione alla necessità di respirare una volta nato.
Dalla 38a settimana Il bambino è pronto a nascere.
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la nascita costituisce, almeno in parte, il
nucleo psichico ed emotivo della sua personalità dopo la nascita.
Tabella 1
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LA NASCITA NON È IL PRINCIPIO DI TUTTO
I legami di attaccamento non
si formano soltanto dopo la
venuta al mondo, alimentati
dalla vicinanza fisica della
madre da cui il bambino
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
I
Il significato del termine attaccamento è intuitivo: si tratta, nell’infanzia, di un
legame duraturo con una o più persone
specifiche ed emotivamente significative,
in primo luogo la madre. Generalmente
si ritiene che i legami di attaccamento comincino a svilupparsi fra i 2 e i 7 mesi di
vita dell’infante, contemporaneamente alla capacità di riconoscere le persone familiari. Considerato dalla parte dei bambini, l’attaccamento è selettivo nel senso
che si concentra su persone specifiche e
non su altre. Inoltre, nel bambino è riscontrabile una forte ricerca della vicinanza
fisica della persona o delle persone oggetto dell’attaccamento, da cui ricava benessere e sicurezza. Infine, quando il legame di attaccamento viene interrotto, il
bambino va incontro al timore di perdere la persona amata e vissuta come indispensabile per il proprio Sé, causa della
possibile insorgenza della così detta “angoscia da separazione”. I legami di attaccamento rappresentano per il bambino un fondamentale punto di partenza
per intraprendere il proprio viaggio nella
vita e, nello stesso tempo, un “luogo” sicuro al quale poter ritornare in caso di incertezze, pericoli e frustrazioni.
L’attaccamento
materno-fetale
La teoria dell’attaccamento è dovuta allo psicologo inglese John Bowlby (19071990) che la introdusse all’inizio degli anni 50 del secolo scorso, influenzando profondamente la ricerca scientifica non solo nell’ambito della psicologia dell’età evolutiva, ma anche in altri campi come, per
esempio, l’etologia e la sociologia, fino ad
espandersi agli studi sui rapporti madrefeto in gravidanza considerati sia dalla parte materna sia da quella del bambino ancora non nato.
Di fatto numerose ricerche hanno dimostrato, non soltanto che legami di attaccamento materno-fetale sussistono, ma
anche che la natura e la qualità delle relazioni che si stabiliscono fra la gestante
e il bambino che deve nascere sono di
grandissima importanza perché influiscono sui rapporti di attaccamento madre-bambino non solo durante la gravidanza, ma anche dopo la nascita, soprattutto sullo sviluppo mentale e affettivo nel corso dell’infanzia e oltre. Una
parte non trascurabile è anche riconosciuta alla relazione fra padre e bambi-
riceve cure e protezione, ma
si sviluppano ancora prima
della nascita in quello che
viene denominato “attaccamento materno-fetale”.
Akira Ikegawa, Iniziazione all’Amore Prenatale. Genitori prima e dopo la nascita,
Edizioni Mediterranee, 2011.
Concepire un figlio è una delle grandi opere
della vita, che coinvolge corpo e anima, e le
mamme che custodiscono gelosamente il ricordo della lunga gravidanza, del parto e del
momento in cui finalmente hanno preso in
braccio il loro bambino, lo sanno bene.
E se quest’ultimo potesse ricordare il periodo trascorso nell’utero e la propria nascita?
Forse i più piccoli ne sono ancora capaci.
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Il bambino non nato
nell’immaginazione
dei genitori
In generale, come nota la psicologa Silvia Vegetti Finzi, “la donna tende ad immaginare il bambino ancora come parte
di se stessa, all’interno del suo corpo e della sua mente. Lo nutre di fantasie mutevoli, in gran parte inconsce, che si riallacciano alla sua stessa infanzia e ai suoi
sogni di bambina, quando fantasticava un
figlio per sé giocando alle bambole [...] E
se lo immagina già nato, un bambino ancora molto piccolo, da tenere racchiuso
fra le braccia, da nutrire, coprire, riscaldare, coccolare. Mentre l’uomo immagina di solito un bambino reale, già nato e
magari un po’ cresciuto, un trottolino con
le scarpine ai piedi, pronto a seguirlo nelle sue attività. Pensa di giocare con lui, di
tenerlo vicino mentre si dedica al bricolage [...]. Oppure di portarlo con sé allo stadio, in montagna, in barca, a pescare lungo un fiume [...]. Prima ancora che nasca,
proietta già il figlio in una realtà futura, dai
contorni precisi, come i comportamenti e
le azioni che lo legheranno al bambino. È
quindi un modo già molto attivo, concreto
di immaginare il figlio e la relazione con
lui, basato sul fare insieme”.1
Lo sviluppo dell’attaccamento è certamente favorito, da parte della maggioranza delle gestanti, dalla crescente consapevolezza che il bambino che portano in grembo, soprattutto a partire dal
secondo trimestre di gravidanza, è un essere attivo, sensibile, in grado di apprendere e di interagire con gli stimoli
provenienti dal corpo materno e dall’ambiente. Anche per questa ragione,
l’attaccamento non può essere considerato semplicemente il risultato di una
dipendenza di natura meramente biologica, bensì il costrutto di una relazione affettiva profonda tra madre e bambino ancora non nato.
I fattori che favoriscono
l’attaccamento
materno-fetale
Lo sviluppo dell’attaccamento prenatale
è sostenuto da numerosi fattori il cui contributo è stato valutato secondo varie scale di misura. Fra questi fattori, un ruolo
particolarmente importante è stato riconosciuto al sostegno emotivo, affettivo
e pratico, che viene garantito alla gestante nell’ambito della famiglia in termini di concordia e di solidarietà con il
coniuge e di buon rapporto con la madre, specialmente nelle gestanti in età
molto giovane. Una notevole importanza è anche riconosciuta, nello sviluppo dei
sentimenti di attaccamento, all’assistenza di accoglienti ed efficienti servizi sanitari e, in generale, ad un contesto sociale partecipe e solidale. I sostegni familiari e sociali risultano particolarmente critici nel favorire o compromettere i pro-
cessi di attaccamento materno-fetale.
Numerosi sono i fattori di rischio che possono compromettere l’attenzione, le cure, i pensieri, le emozioni, i sentimenti, le
fantasie, l’insieme insomma che sostanzia la natura e la qualità dell’attaccamento
fra madre e bambino ancora non nato.
Fra i fattori di rischio di dimostrata pericolosità in tal senso possono essere ricordati: la giovane età e l’inesperienza, le
condizioni economiche disagiate o precarie, il modesto livello culturale, le esperienze infantili negative, gli stati di stress
prolungati, le esperienze di violenza, i
comportamenti devianti come la tossicodipendenza, l’ansia, la depressione. Non
è infrequente che disturbi della personalità accompagnati da comportamenti devianti portino alcune gestanti ben lontane da un adeguato sviluppo dell’attaccamento verso il figlio che deve nascere,
con manifestazioni di insofferenza, di aggressività, di pensieri punitivi verso il feto, soprattutto quando le condizioni ambientali sono difficili dal punto di vista socioeconomico, morale e spirituale.
Un fattore di rischio verso lo sviluppo dell’attaccamento prenatale è frequentemente riscontrabile in precedenti esperienze di aborti o di morti immediatamente successive alla nascita. L’esperienza di un legame che si spezza bruscamente con la perdita del bambino lascia
i genitori in una situazione di perdita e di
lutto che può durare anni, compromettendo la possibilità di instaurare normali
processi di attaccamento in occasione di
una successiva gravidanza.
Naturalmente si tratta di fattori di rischio
di peso assai variabile da gestante a gestante e spesso con esiti contrastanti. Per
esempio, alcune ricerche sugli effetti della depressione, hanno dimostrato che in
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no che deve nascere, ma questa è meno studiata e comunque apparentemente
meno influente rispetto a quella fra madre e figlio. Infatti, mentre l’attaccamento
fra madre e bambino che deve nascere
cresce con il progredire della gestazione,
quello paterno si sviluppa prevalentemente nel primo trimestre di gestazione,
per mantenersi poi ad un livello costante fino alla sua fine.
Vi è poi da considerare la rilevante differenza riscontrabile fra le relazioni
mentali, emotive e pratiche della madre
verso il bambino che deve nascere e quelle del padre, sostenute dalle differenti immagini che i due genitori si creano del
figlio atteso.
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LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
alcune gestanti questo stato dell’umore
pregiudica l’attaccamento prenatale, in altre invece lo esalta. Queste situazioni e tutte quelle che possono compromettere l’instaurarsi e lo svilupparsi di una normale
relazione di attaccamento prenatale dovrebbero essere precocemente individuate non soltanto per il buon andamento
della gravidanza e a vantaggio del bambino ancora non nato, ma anche per costruire i presupposti per lo sviluppo dei
rapporti di attaccamento dopo la nascita
che finiranno per influenzare le capacità
emotive e sentimentali di tutta la vita.
Considerato dalla parte del bambino non
ancora nato, l’attaccamento materno-fetale,
da parte degli studiosi, è stato analizzato
da un numero elevato di punti di vista che,
per esemplificare, si possono riassumere nel
fondamentale quesito: nel periodo prenatale il bambino può “pensare” e condividere gli stati d’animo della madre?
Gli studiosi di psicologia fetale lo sostengono, basandosi su varie risultanze scientificamente verificate, fra cui si possono
ricordare quelle che hanno dimostrato che
il feto “condivide” gli stati d’animo della madre, a partire all’incirca dal sesto mese di gravidanza. I pensieri, gli stati dell’umore, i sentimenti materni passano al
bambino non ancora nato per via ormonale. Una madre sottoposta a stress intensi
e prolungati, per esempio, produce certi
ormoni che, attraverso la placenta, possono passare al feto e influenzarne addirittura la personalità. Bambini nati da madri a lungo emozionalmente provate hanno mostrato personalità con tratti disturbati nella sfera emotiva; mentre bambini
nati da madri che hanno potuto gestire
la loro gravidanza in sicurezza e tranquillità, in un ambiente familiare e sociale sereno e solidale, sono risultati immuni da
problemi emotivi.
LA NASCITA NON È IL PRINCIPIO DI TUTTO
Naturalmente, alle tesi degli studiosi che
sostengono la formazione di significativi
legami di attaccamento materno-fetale
non sono mancate le critiche. I critici sostengono che l’originale teoria di Bowlby
è stata costruita sull’attaccamento, risultato dell’interazione madre-bambino,
esaminabile dopo la nascita, mentre, durante la gravidanza, quello che si può studiare veramente è il sentire della madre
e non quello del feto. In realtà, queste critiche sembrano non avere fondamento.
Infatti, se questo era indubbiamente vero al tempo di Bowlby è anche provato
che, nei decenni successivi, i ricercatori
hanno potuto valersi di un numero crescente di metodi e di mezzi di indagine
grazie ai quali sono stati in grado di affinare le conoscenze sullo sviluppo fisico
prenatale del prodotto del concepimento, ma anche il progredire intrautero delle sue capacità di condividere gran parte
delle esperienze psicologiche ed emotive
della madre. Basti ricordare gli strumenti di indagine per immagini e di stimolazione del feto per rendersi conto della validità del pensiero di Bowlby e della miriade di ricercatori che ne hanno confermato e sviluppato le tesi, e per sottrarre
alle critiche il terreno su cui poggiano.
La disponibilità di sofisticati strumenti di
indagine, in primo luogo l’ecografia, ha
consentito dunque l’osservazione diretta, nel corso della vita fetale, non solo
dello sviluppo di organi e di apparati, ma
anche della comparsa e della evoluzione di capacità percettive e di reazioni psichiche ed emotive che fanno del bambino che deve ancora nascere, verso la
fine della 32ma settimana di gestazione, un essere preparato per entrare nel
mondo, già dotato delle medesime capacità del neonato.
In altre e semplici parole, si può dire che
la vita intelligente del bambino comincia
quando è ancora nel grembo materno. Lo
si può dimostrare in base all’osservazione di alcuni fondamentali elementi: la veglia e il sonno, i movimenti fetali, le capacità sensoriali – l’udito, il gusto, la vista, il tatto, l’olfatto – le capacità di attenzione e di apprendimento, che abbiamo già esaminato, la comparsa di tratti
che definiscono la personalità.
Il sonno e la veglia
Il feto, alla 32ma settimana di gestazione, dorme per il 90-95% della giornata,
di un sonno in parte profondo, in parte
in uno stato indeterminato che non si riscontra né nel bambino dopo la nascita
né nell’adulto, in parte in quello che è stato chiamato sonno REM, un tipo di sonno proprio del bambino e dell’adulto. REM
è la sigla, in inglese, per Rapid Eye Movements (Movimenti Rapidi degli occhi) ed
è peculiare di uno stadio del sonno in cui
sono registrabili rapidi movimenti degli occhi, isolati o a gruppi, in cui l’attività cerebrale è simile allo stato di veglia. È in
questa fase che si sogna. Che cosa può
sognare un bambino non ancora nato?
Probabilmente sognerà esperienze relative agli stimoli che riceve dall’ambiente intrauterino in cui cresce. Nei brevi intervalli
di sonno REM che compaiono nel corso
dei lunghi sonni, il feto dimostra qualche
cosa che assomiglia ad uno stato di attenzione, condizione importante per ogni
processo di apprendimento. Infine, si può
avanzare l’ipotesi che, come accade nel
bambino e nell’adulto, anche nel feto vi
sia un rapporto tra memoria e sonno REM.
I movimenti fetali
Addormentato o sveglio, il feto si muove in continuazione, cinquanta e più volte ogni ora; movimenti che variano di nu-
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Continua, inoltre, è l’autostimolazione
che il feto compie, quasi in esplorazione delle fattezze del proprio corpo (si tocca la faccia con le mani; intreccia una mano con l’altra; si afferra i piedi, il cordone ombelicale e così via) e dell’ambiente in cui vive, lambendo tutto intorno le
pareti dell’utero che lo accoglie facendo
forza sui piedi e le gambe.
Il gusto
Non sorprende constatare come il neonato riconosca, preferisca e ricerchi il latte materno rispetto al latte di un’altra
mamma e ancor più rispetto al latte sostitutivo somministrato con il biberon. Il
fatto è che il feto impara presto a riconoscere le caratteristiche gustative dei
“prodotti materni”, in quanto già alla
13ma-15ma settimana di gestazione egli
presenta gli abbozzi delle terminazioni
nervose destinate a raccogliere le stimolazioni gustative apportate dalle sostanze ingerite dalla madre che giungono nel
liquido amniotico in cui egli è immerso e
che, nell’ultimo trimestre di gravidanza,
deglutisce in ragione di più di un litro al
giorno. In questo senso il sapore del liquido amniotico rappresenta un ponte
verso quello del latte materno.
L’udito
È un’esperienza molto comune di ogni gestante avvertire un sobbalzo del feto in oc-
intense può danneggiare lo sviluppo cerebrale nell’area della funzione visiva.
La personalità
Roberto Scarponi, Sviluppo psicologico del
feto nelle 40 settimane di gravidanza,
http://robertoscarponiroma.wix.com/roberto-scarponi-ec
Il nascituro percepisce secondo schemi complessi e transmodali, geneticamente definiti.
Egli è capace di trasferire l’informazione rilevata da un modello sensoriale ad un altro.
casione di un forte e improvviso rumore
come lo sbattere di una porta o il passaggio di una rumorosa motocicletta. È
la prova che l’udito è una funzione ben
presente nella vita fetale e con rilevanti
effetti sul bambino che deve nascere. Per
fare un solo esempio, basti ricordare che
la voce calma della mamma fa rallentare
il battito cardiaco del feto ottenendo un
effetto tranquillizzante e distensivo rispetto ad altre voci che il feto pur percepisce.
La vista
La capacità di vedere è l’ultima funzione
sensoriale a comparire, anche se comunque si attiva ben prima della nascita. Il fatto è che all’ambiente intrauterino in cui il feto cresce la luce arriva, sia
pure filtrata dai tessuti materni. Di questo è importante tener conto perché
esporre prematuramente il feto a luci eccessivamente intense può provocare danni alla retina. Inoltre, ancora a sei mesi di
gestazione, il feto non è ancora preparato
a trasmettere segnali luminosi alla parte
del cervello in cui essi vengono elaborati e integrati; per cui esporre il feto troppo presto a stimolazioni luminose molto
Personalità, carattere, temperamento sono concetti espressi in termini considerati di uguale significato anche se gli ultimi
due, per indicare il nucleo più profondo
delle caratteristiche psichiche e comportamentali di ogni essere umano, sono caduti in disuso, nella psicologia moderna,
a partire almeno dagli anni trenta del secolo scorso. È un fatto di comune esperienza che già alla nascita si possono apprezzare, in termini di comportamento,
differenze spesso vistose fra un neonato
e un altro, differenze nei comportamenti le cui radici affondano nella vita prenatale: feti molto attivi in utero tendono
spesso ad essere bambini irritabili; feti con
cicli veglia-sonno irregolari sono spesso
bambini con disturbi del sonno. Questi
esempi, e altri che si potrebbero fare, inducono a considerare i fattori che possono
influire sulla formazione della personalità durante la vita fetale. Non è difficile immaginare che il feto venga profondamente
influenzato nella formazione della sua personalità dall’ambiente, immerso come è
per così lungo tempo in uno spazio in cui
si riversa quanto di più vario proviene dall’esterno, soprattutto attraverso la madre:
sostanze alimentari, ormoni, tossine, tensioni, piaceri e gratificazioni. Tanto che gli
studiosi si chiedono se, più dei fattori genetici, non siano quelli ambientali ad avere la maggiore influenza nel determinare,
per esempio, quell’importante componente della personalità che è il quoziente
di intelligenza.
■
1. Vegetti Finzi S., Battistin A.M., A piccoli
passi. La psicologia dei bambini dall’attesa
ai cinque anni, Mondadori Editore, 1997.
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mero e di intensità a seconda delle stimolazioni da cui viene sollecitato. Osservazioni ecografiche sperimentali hanno dimostrato, per esempio, che se la
madre ride, il feto accelera i suoi movimenti compiendo vere e proprie capriole che aumentano ancor più se la madre
aumenta la sua ilarità.
8
L
La nascita di un bambino rappresenta una tappa fondamentale nella vita di
ogni donna, una fonte di profondi mutamenti fisici, mentali, emotivi e sociali.
Nessun altro evento fisiologico comporta tanta sofferenza, tanto stress emotivo, tanto rischio di possibili complicazioni, tali e tanti cambiamenti nella vita
di ogni giorno, tali e tante responsabilità derivanti dalla necessità di dedicare ingenti risorse psicologiche, materiali e morali alle esigenze e ai diritti irrinunciabili di un essere che per molti mesi sarà indifeso e totalmente dipendente. Non è
dunque strano che, alla nascita di un
bambino, all’impegno materno venga riservata una considerazione particolare.
Al piccolo vengono generalmente dedicate tutte le attenzioni di accudimento
materiale e affettivo, ma assai spesso non
quelle che riguardano le sue difficoltà di
venire al mondo e di adattarvisi. Che non
sono né poche né irrilevanti.
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Dalla quiete
intrauterina
al trambusto della
nascita
Per nove mesi il bambino ha condotto la
propria esistenza immerso nel liquido amniotico, in una relativa oscurità, al caldo,
sostanzialmente in una condizione di benessere. Ma giunge l’ora di venire al mondo, il momento del parto. Non è certamente un’esperienza facile: il canale del
parto, lungo il quale egli deve transitare
per passare dall’interno dell’utero all’esterno, è uno spazio molto stretto in cui
LA VENUTA AL MONDO
viene spinto, schiacciato con forza, spesso per ore, mentre l’ossigeno che gli arriva dal cordone ombelicale diminuisce e
il nascituro subisce una parziale asfissia,
fino a quando, al termine del tragitto,
può finalmente respirare per conto proprio, iniziando così la sua vita in un mondo di cui sa poco o nulla, fatto di rumori, di luci abbaglianti, di superfici rigide,
di sbalzi di temperatura. Quella del nascere è un’esperienza che ci si può ben
immaginare non priva di effetti più o meno lesivi, pure nei parti del tutto normali, anche se vi è la tendenza a parlare di
“trauma della nascita”, in relazione soltanto ai danni fisici e psichici che si possono verificare quando il parto è avvenuto
con difficoltà.
A prescindere dagli eventuali traumi fisici cui il bambino può andare incontro durante il parto, normale o meno, sul piano psichico vi sono studiosi che considerano il processo della nascita causa di un
“trauma primario” che, a sua volta, sarebbe generatore di uno stato di angoscia determinante per le reazioni non solo nel neonato, ma anche nelle successive età della vita. Questo punto di vista non
riscuote un consenso unanime. Lo psicologo Umberto Galimberti, nel suo Dizionario di Psicologia, ricorda che lo psicanalista ungherese Sándor Ferenczi
(1873-1933) ebbe a scrivere: “Più osservo, e più mi rendo conto che nessun sviluppo e nessun cambiamento apportato
dalla vita trova l’individuo così ben preparato come lo è per la nascita”.1 Scegliere fra queste due diverse impostazioni è difficile in quanto del bambino pic-
colissimo possono essere osservati i comportamenti, ma non conoscere il suo vissuto psichico.
Il pediatra Marcello Bernardi, che considera l’angoscia il primo protagonista della vita di tutti, nel suo bel libro L’avventura di crescere. Una guida per i genitori di oggi scrive: “[…] l’angoscia, prodotta
da una qualsiasi sensazione di dispiacere, non fa nascere alcun ‘pensiero’, ma
scatena semplicemente una reazione di
panico incontrollato con movimenti
globali di tutto il corpo che aggravano
il dispiacere e quindi l’angoscia, fino a che
il panico e il relativo senso di impotenza
raggiungono una tale intensità da dare
una contrazione generalizzata e da bloccare ogni movimento. Come quando ci
accade, in sogno, di imbatterci in un pericolo spaventoso dal quale non riusciamo a scappare perché abbiamo le gambe paralizzate […] Ma qui, alla nascita, si
inserisce l’elemento risolutore […] verso
il superamento dell’angoscia. Questo elemento è l’intervento affettivo della figura materna”.2
Il superamento del
trauma della nascita
L’intervento affettivo della madre verso il
bambino può esprimersi in vario modo:
nell’allattarlo, nell’accudirlo, nel cullarlo e
così via; tutto può concorrere alla formazione del primo, rassicurante legame tra
madre e bambino, ma fondamentale è il
contatto degli occhi e la posizione “viso
a viso”. Nelle prime fasi della vita, infatti, lo sguardo è fondamentale per lo sviluppo dell’attaccamento e della capacità
9
La venuta al mondo comporta per il bambino un’esperienza difficile, un vero e proprio trauma che può essere causa di angoscia
non solo in prossimità della nascita ma anche nelle successive età
della vita, per il cui superamento centrale è il rapporto con la madre ed essenziale quello con il padre.
Nello sguardo della madre, il bambino percepisce come viene a sua volta percepito, desiderato e amato; inoltre, come in
uno specchio, il bambino, nello sguardo
della madre, può riconoscere riflessa
molta parte di sé. Lo scambio degli sguardi rappresenta insomma il più importante fondamento della possibilità di riconoscere i reciproci stati d’animo e di condividerli, in quella che è stata definita “sintonizzazione affettiva”.3
L’importanza evolutiva della sintonizzazione affettiva varierà in funzione dell’età del bambino e della sua capacità di utilizzare questa forma di percezione sociale.
Intorno ai nove mesi circa il bambino inizia a fare gradualmente la scoperta fondamentale di possedere una mente separata e che anche le altre persone sono
dotate di menti separate. L’intersoggettività diventa possibile. È a questo punto
dello sviluppo che il bambino comincia allora ad attribuire stati mentali agli altri. Si
inizia a rendere conto e ad aspettarsi che
i suoi stati mentali e quelli degli altri coincidano. Egli arriva a formulare la teoria
che le menti possono avere un’interfaccia comune, possono allinearsi fra loro.
Nel campo degli affetti, la capacità di allinearsi è proprio ciò che viene descritto
come sintonizzazione, la capacità di entrare in relazione a livello intersoggettivo
che, a un certo punto dello sviluppo, è
uno strumento dell’evoluzione sociale. La
posta in gioco per il bambino è enorme:
ha a che fare con il problema di cosa e
fino a che punto ciò che appartiene al
mondo delle sensazioni soggettive potrà
essere condivisibile e diventare una base
per l’intimità. Ciò con cui non ci si può
sintonizzare rimarrà privato e sarà vissuto come incomunicabile.
Nella sintonizzazione affettiva, molta
parte ha anche l’ascolto della voce materna. Sempre il pediatra Marcello Bernardi, nel libro già citato, rivolto alle madri, scrive: “[Il bambino non solo vi guarda, ma vi ascolta.] La voce umana lo affascina. Se vi sente parlare, si immobilizza, come se quel suono fosse per lui la
cosa più importante del mondo. Si comporta così anche se parla qualcun altro,
per il vero. Ma si direbbe proprio che la
vostra voce, per lui, sia ‘speciale’. Si direbbe che tutto, di voi, stia diventando
speciale”.4 Alla fine, quando il bambino,
sempre più chiaramente, percepisce che,
al bisogno, può contare su una figura a
lui dedita, si apre per lui una nuova prospettiva, la realtà si divide in due: da una
parte lui stesso e la propria madre in un
unico e stretto legame, dall’altra il mondo in cui, protetto, è entrato.
Dalla centralità della
madre all’essenzialità
del padre
I compiti fondamentali attribuiti alle madri, almeno fino ai tre anni di vita del bambino, sono numerosi e complessi: vanno
dalla nutrizione all’accudimento materiale,
spirituale e morale in un contesto di prestazioni caratterizzate da attenzione, sollecitudine, protezione e costante senso di
responsabilità, alimentato dalla preoccupazione che l’interruzione anche soltanto temporanea del rapporto madre-figlio
possa deprimere il bambino, indurre relazioni d’ansia e, alla fine, in qualche modo rallentare il suo sviluppo psicoaffettivo. Riuscire a soddisfare ininterrottamente
i bisogni fisici e affettivi del proprio bambino farebbe di una donna una “madre
perfetta” oggi impossibile per la donna
che lavora. Fortunatamente, il bambino
per crescere bene non ha bisogno di una
madre perfetta, ma soltanto di una
“mamma buona abbastanza”.5 Infatti la
madre disponibile in ogni momento a soddisfare le necessita e le richieste del proprio bambino in realtà finisce per limitarne lo sviluppo. Al contrario la “madre
buona abbastanza” che, pur provvedendo ai bisogni del proprio bambino, lascia
uno spazio di tempo crescente fra le sue
richieste e la loro soddisfazione lo aiuta
meglio a crescere.
Ma accanto a una madre “buona abbastanza” è di rilevante utilità, quasi una necessità, che vi sia anche un padre “buono abbastanza”. Di che padre ha bisogno
il bambino? Prima di tutto, il padre buono abbastanza deve sentirsi tale e coinvolgersi in ogni evento che riguarda l’esistenza del proprio bambino, ancor prima che nasca, quando già percepisce e
distingue le voci: parlargli in modo gentile e affettuoso lo familiarizzerà con la figura che incontrerà quando sara nato,
Continua a pagina 29
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
di instaurare rassicuranti relazioni umane
e il neonato, già nei primi otto-dieci giorni di vita, è in grado di incontrare quello
della madre a una ventina di centimetri
di distanza.
10
I PROBLEMI DEL COMPORTAMENTO
Nella pratica pediatrica odierna bambini seriamente malati alla vecchia maniera, soprattutto di malattie infettive
gravi, non ve ne sono praticamente più, mentre affollano
gli ambulatori bambini con crescenti problemi comportamentali. L’attenzione verso i bambini che presentano comportamenti problematici deve essere rivolta alla ricerca
di eventuali fattori di rischio ambientale e/o educativi che
sono spesso evitabili oppure possono essere contenuti.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
È
È frequente che le preoccupazioni dei
genitori siano prevalentemente rivolte alla protezione della salute fisica del bambino, soprattutto nell’infanzia e talvolta
fino alle soglie della pubertà e oltre. Questo non significa che bambini e ragazzi
non presentino esigenze di salvaguardia,
oltre l’aspetto fisico, che comprendano
anche quelle psicologiche che frequentemente possono manifestarsi sia come
malattie organiche sia, molto spesso, anche come disturbi del comportamento:
dalle malattie fittizie a quelle di inganno, dai dolori funzionali, compresa l’emicrania, a quelli dell’alimentazione come la perdita di appetito o la fame esagerata, dalle condizioni che favoriscono
o addirittura determinano l’insuccesso
scolastico, dalla stanchezza cronica all’iperattività e così via. In questa sede si
prenderà in esame un caso molto significativo: l’insuccesso scolastico.
L’assenza
del guaritore interno
Prima di affrontare l’esempio dell’insuccesso scolastico è utile acquisire un concetto senza il quale la posizione dell’adulto rispetto al bambino sofferente perde un elemento fondamentale e quindi
ogni azione sia essa educativa, terapeutica, riabilitativa non può che risultare deficitaria: la consapevolezza non solo dei
problemi che possono affliggere il bambino, ma anche delle risorse di cui egli
realmente dispone per farvi personalmente fronte nelle varie fasi del suo sviluppo.
“Ciascuno di noi costruisce (con l’aiuto
degli altri) una struttura al tempo stesso
razionale e affettiva che gli consente di
affrontare la sconfitta e di superare la disperazione o la malattia. Il codice morale, l’esistenza di persone care, il confidare
nelle cure dei medici o nella solidarietà
del prossimo, il sentirsi parte di una società, o anche solo di un gruppo, il sapere che c’è un destino comune, il conforto di una fede rappresentano il guaritore interno che, nello stesso tempo, ci
preserva (relativamente) dalle malattie e
ci sottrae alla disperazione; che ci consente, a noi così come a Socrate o a Marco Aurelio, di non soffrire o di soffrire di
meno.”1
Questa struttura rappresenta il filtro intellettuale attraverso il quale vengono selezionati gli elementi che consentono all’uomo di spiegare a se stesso il perché
delle cose, mettendosi così nelle condizioni
di accettarle. “Il bambino non ha ancora
maturato [questo] filtro culturale e quindi è esposto senza difese agli effetti del
male, della paura, dell’abbandono; questa mancanza del guaritore interno, dei
riflessi condizionati di difesa, esalta il ruo-
11
L’insuccesso scolastico
Nel corso dell’esistenza di ogni bambino,
le occasioni di subire esperienze di fallimenti certo non mancano, ma uno degli
scacchi maggiori è rappresentato dall’insuccesso scolastico, condizione che molto frequentemente infligge una grave ferita all’autostima. Le sue ragioni possono
essere tanto numerose quanto molto
spesso non tenute in adeguata considerazione o addirittura rifiutate dai genitori. Prima fra tutte, che il proprio bambino non abbia, per così dire, i numeri, l’intelligenza per riuscire a stare al passo con
i coetanei. Invece è una possibilità tutt’altro che remota, dal momento che viene stimato che almeno il 25% della popolazione possieda un Quoziente di Intelligenza (QI) fra 70 e 90, intervallo che
può procurare, nella scuola prima e nella vita poi, un non trascurabile svantaggio intellettivo. Vi sono naturalmente anche altri fattori che possono causare insuccesso scolastico e non occorre dire che
uno stato sociale della famiglia confinato nella povertà e/o nel degrado rappresenta un handicap rilevante nell’ambito
dell’esperienza scolastica, a prescindere
Masal Pas Bagdadi, Dizionario affettivo,
Adulto-bambino. Bambino-adulto,
Giunti, 2011.
dal quoziente di intelligenza. Rimanere,
per una ragione o per un’altra, scolasticamente indietro, comporta inevitabilmente una marcata diminuzione delle
motivazioni, della fiducia in se stessi: alla fine, disinteresse per lo studio ed emarginazione finale nel “recinto dei scolasticamente falliti”.
Accanto alle cause socioeconomiche e
culturali sono da ricordare le cause specifiche del fallimento scolastico. Fra queste, si impone spesso, fra altre condizioni di svantaggio, la presenza del diffuso
“Deficit di Attenzione con Iperattività”,3
fattore causale dell’insuccesso scolastico,
tanto maggiore quanto più si intreccia con
bassi livelli di intelligenza e con condizioni
socioeconomiche sfavorevoli.
Vi sono poi da ricordare, fra le cause specifiche, le carenze settoriali che possono
incidere negativamente sulle possibilità di
apprendimento, come la molto frequente difficoltà di lettura (dislessia) che, nelle sue varie forme (difficoltà a leggere parole rare piuttosto che parole note, difficoltà a capire la frase piuttosto che a leggere la singola parola oppure, al contrario, difficoltà a riconoscere lettere o sequenze di lettere simili ecc.), può manifestarsi in circa il 3% della popolazione
scolastica italiana, pur in presenza di una
intelligenza e di comportamenti del tutto normali. La dislessia, come altri disturbi settoriali dell’apprendimento, costituisce una importante causa di autodisistima e autodemotivazione. Queste cause
minano fin dalle fondamenta la volontà
di impegnarsi scolasticamente in modo da
evitare l’insuccesso negli studi che può incidere, fortunatamente non obbligatoriamente, sulla riuscita nella vita pratica
dell’adulto.
Qualunque sia la causa, o meglio il complesso delle cause che possono condurre all’insuccesso scolastico, si può comunque dire che ciò che più conta non
è solo “il restare indietro” nel curricolo degli studi, ma soprattutto il fatto che l’insuccesso favorisce lo svilupparsi, nel
bambino e nel ragazzo, di un atteggiamento mentale di rinuncia, di disinteresse sia nei confronti della scuola sia nei confronti del sapere in generale e del saper
fare che, a loro volta, non possono non
incidere sul saper essere in se stessi e nel
mondo.
Di qui un incitamento a quanti, nelle famiglie e nelle scuole, hanno a che fare con
bambini e ragazzi tendenzialmente avviati
all’insuccesso scolastico, a non contribuire – con un proprio disimpegno intellettuale, affettivo e pedagogico – all’emarginazione di questi bambini e ragazzi o,
ancor peggio, alla loro colpevolizzazione
come di soggetti che “non hanno voglia,
non si applicano” bensì di ricorrere ad opportuni mezzi di contenimento delle
condizioni che possono innescare o aggravare quei processi di deterioramento
che prevedibilmente portano all’insuccesso scolastico, mettendo in atto, nel
contempo, prestazioni adeguate a favorire il superamento delle singole difficoltà sulla via dell’apprendimento e, soprattutto, puntando sulle risorse ancora
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
lo degli eventi esterni negativi che si traducono o in malattia psicosomatica o in
disturbo del comportamento.”2 Quando
dunque ci si pone di fronte ad un bambino in difficoltà, si deve tener conto che
egli è un essere indifeso per cui, sempre
per esemplificare, disturbi fittizi o da inganno non sono manifestazioni da “smascherare”, il bambino non deve essere
considerato un impostore da sbugiardare, ma un malato vero da comprendere
e da aiutare nel processo di guarigione dal
suo male interiore, che egli esprime in forma di disturbi fisici o di comportamenti
anomali.
12
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
disponibili e che in ogni bambino non
mancano mai, anche se spesso è difficile
portarle alla luce e valorizzarle.
Di fronte a disagi o veri e propri disturbi
del comportamento e del rendimento sociale, di cui quello scolastico è una parte
importante, in età evolutiva si pone ovviamente il problema di che cosa fare per
affrontarli, contenerli prima e poi possibilmente eliminarli. In sostanza, là dove
le situazioni non sono tanto gravi da dover ricorrere a dei professionisti, i genitori hanno tutti i mezzi, magari con il sostegno del pediatra di famiglia, per provvedervi in proprio, in una prospettiva di
più attenta opera educativa. L’impegno
naturalmente può essere tutt’altro che facile e comunque abbisogna di una premessa che alla fine è di semplice buon
senso.
Il proposito e l’utilità di migliorare le competenze dei genitori non possono assumere valenze didattiche, nel senso di far
diventare il compito di educare convenientemente i propri figli un’impresa da
specialisti in cui degli “esperti” insegnano come operare e che cosa fare nei confronti dei bambini in difficoltà: la maggior
parte dei genitori conosce i propri bambini più di qualunque altro e spesso meglio di tutti riesce a soddisfarne i bisogni.
Un’eccessiva “intrusione” nei compiti genitoriali può addirittura costituire un pericolo in quanto possibile causa di diminuzione dell’autostima delle madri e dei
padri, compromettendo il rapporto spontaneo con i loro bambini.
Quello che gli esperti possono offrire è un
supporto alle risorse genitoriali e a un loro più consapevole e più efficiente utilizzo. A questo fine si possono valorizzare
alcuni concetti non sempre ben presenti
alla mente dei genitori. Per esempio, quello di ricordare sempre che il neonato e il
I PROBLEMI DEL COMPORTAMENTO
bambino nei primi mesi di vita sono già
esseri sociali capaci di interagire con la madre e con le altre persone che si prendono cura di loro. Ricordare significa, naturalmente, tenerne conto, considerare
che “un neonato, fin dai primi momenti, si mostra diverso dagli altri, ha una sua
personalità e una propria abilita nel toccare, annusare, ascoltare e guardare; si lascia consolare tenendolo tra le braccia e
cullandolo, parlandogli e cantandogli; fa
capire che i suoi pianti possono avere una
diversa causa e diversi effetti ed è in grado di utilizzare le manovre con cui viene accudito per maturare il suo adattamento al nuovo mondo extrauterino”.4
Naturalmente questa esigenza di “essere tenuti in conto” si estende lungo tutto il corso dell’infanzia e della fanciullezza e oltre.
I genitori, e quanti si occupano di bambini, possono essere aiutati nei loro
compiti di accudimento evolutivo che presentano delle particolarità critiche, dei
punti salienti del tutto caratteristici a seconda delle varie età in corrispondenza
dei quali il comportamento del bambino
si disorganizza, comportando spesso, da
parte dei genitori, un rilevante disorientamento nei loro compiti educativi e di accudimento. “Sono questi momenti prevedibili, che precedono un salto nello sviluppo comportamentale, motorio, cognitivo ed emotivo, e costituiscono un periodo di riorganizzazione prima del salto
maturativo successivo e costituiscono ‘una
rilevante opportunità per la crescita del sistema bambino-genitore e un’occasione
per promuovere la salute e prevenire possibili distorsioni relazionali’.”5
Lo sviluppo del bambino è un processo
complesso in cui non vi sono fasi, tappe, competenze precise in relazione al-
l’eta; tuttavia, vi è la possibilità di collocare nel tempo con buona approssimazione i “momenti sensibili” e quindi
rendere disponibile una “guida anticipata” che consenta di prepararsi per meglio agire e interagire positivamente. Per
fare un esempio assai semplice: se si sa
che nella fase dello sviluppo intorno ai
4-5 mesi è opportuno per lo sviluppo psicomotorio del bambino che egli sia e si
senta libero di muoversi e di esplorare
l’ambiente, sarà elementare predisporre una superficie senza ostacoli pericolosi che gli consenta di muoversi in piena sicurezza. La possibilità, da parte di
genitori ed educatori, di agire nei confronti dei figli anche in funzione dei loro stadi di sviluppo, è parecchio affidata all’acquisizione della relative conoscenze, reperibili molto facilmente in numerose e qualificate pubblicazioni fra le
quali merita in particolare quella segnalata nelle fonti di questo capitolo ad
opera dei due pediatri americani Brazelton e Greenspan che dei punti salienti
sono fra i più noti espositori.6
■
1. Panizon F., “La sindrome del Deficit dell’Attenzione con Iperattività”, in AA. VV.,
Professione Medico, vol. 10, Utet, 2000.
2. Ibidem.
3. “La comprensione dei bambini disattenti e iperattivi”, Leggere per Crescere,
Anno VII n. 3 – 2011.
4. Rapisardi G., Davidson A., “La promozione dello sviluppo neonatale e infantile: l’approccio Brazelton”, Medico e
Bambino, v. 22, n. 3, 3 marzo 2003, pagg.
171-175.
5. Ibidem.
6. Brazelton T.B., Greenspan S.I., I bisogni irrinunciabili dei bambini. Ciò che un
bambino deve avere per crescere e imparare, Raffaello Cortina Editore, 2001.
13
Valori e disvalori
dell’ EDUCAZIONE
alla DISCIPLINA
Tra eccessiva permissività ed eccesso di autoritarismo, i migliori risultati educativi vengono conseguiti con metodi basati sul rispetto della personalità dei bambini e sull’induzione alla disciplina mediante misure improntate alla tenerezza e soprattutto all’esempio.
L
L’EDUCAZIONE DEI BAMBINI è un tema quanto mai complesso, a partire dalla definizione stessa di edu-
cazione, termine in cui solitamente viene compreso tutto ciò che influisce sulla formazione della personalità individuale e sociale di ogni individuo, che concorre a costruirla sul piano psicologico, affettivo e
morale, ed è finalizzata a farlo entrare nel mondo e a farne attivamente parte.
Il termine educazione viene anche complicato dagli eventuali aggettivi cui può venire associato diversificandone il significato: educazione morale, educazione religiosa, educazione politica e così via significano cose diverse, diverse impostazioni mentali, diversi comportamenti, diversi sentimenti. Tutto questo
per dire che l’affrontare il problema dell’educazione dei bambini e dei ragazzi è differente a seconda del
tipo di educazione che si vuole attuare e del contesto ambientale in cui si opera, a partire dalla famiglia,
che certamente conserva ancora il primo posto rispetto ad altre importanti istituzioni e ad altri notevoli
strumenti educativi quali la scuola, la chiesa, la società, i mezzi di comunicazione di massa ecc. La famiglia, infatti, nei rapporti educativi genitori-figli, resta, nonostante tutto, l’ambito in cui il bambino e il
ragazzo dovrebbero trovare gli elementi fondamentali per costruire quel modello primario di se stessi che
informerà la loro personalità e gran parte dei loro comportamenti. Il superamento dell’egocentrismo
infantile, le basi dell’altruismo, l’amore, la capacità di affrontare e superare le difficoltà dell’esistenza, di
vivere con gli altri: tutto, o quasi tutto, viene appreso innanzitutto e precocemente in famiglia. Di qui due
■ considerare criticamente le caratteristiche della famiglia in cui il bambino viene educato chiedendosi
se sono congruenti con l’educazione che si vuole impartire e se il bambino vi troverà quegli esempi
che gli sono indispensabili per sviluppare la capacità di distinguere fra bene e male, fra vero e falso,
fra ciò che si può e ciò che non si deve fare;
■ riconoscere e rispettare nel bambino le esigenze e le reali potenzialità fisiche, mentali ed emotive, a
seconda dei diversi e successivi stadi del suo sviluppo.
L’educazione è un percorso lungo il quale il bambino deve essere “tenuto per mano” fino a quando non
sarà in grado di camminare da solo nella propria vita e di interagire con quella degli altri: bisogna che la
mano che lo sostiene sia nello stesso tempo ferma, ma non autoritaria, e che chi conduce sappia che
non sono le proprie attese, le proprie speranze, le proprie ambizioni che devono essere perseguite, bensì
un’aspirazione essenziale per ognuno: diventare un uomo o una donna liberi, soprattutto in grado di
ragionare con la propria testa, e un tale libero essere umano il bambino non lo potrà diventare se non
ricevendo una onesta educazione perché egli, come ha detto il filosofo tedesco Immanuel Kant (17241804), sarà in gran parte quello che l’educazione avrà fatto di lui.
■
LEGGERE PER CRESCERE • PRIMAVERA 2014
necessità da osservare per impostare un processo educativo efficace:
14
Valori e14disvalori
dell’Educazione
alla Disciplina
■ EDUCARE A PENSARE CON LA PROPRIA TESTA
L’impegno educativo dei genitori nei confronti dei propri bambini e quello delle istituzioni (la scuola in primo luogo) verso tutti i bambini implica la necessità di chiedersi a
quale tipo ideale di bambino si vuole o si può tendere, ponendo da una parte il modello offerto dalla famiglia e, dall’altra, le influenze, il condizionamento della società. Realisticamente non si può non sottolineare che il bambino un
po’ mitico vagheggiato dalle sostanzialmente agiate società occidentali di oggi “non va nel senso di una infanzia autentica, in quanto le rappresentazioni collettive attuali dell’infanzia lo vedono come un bambino raro, prezioso e relativamente tardivo nella vita di coppia, [...] che gli chiede
inconsciamente di essere perfetto e di diventare in tutto sufficientemente autonomo”.1 Il problema è assai complesso:
tuttavia lo si può considerare, in via esemplificativa, dal punto di vista fondamentale dell’educazione all’indipendenza
vista come guida all’entrata nel mondo, all’adattamento, all’integrazione del bambino nella società di oggi con i suoi
valori e le sue regole, senza tuttavia compromettere nel contempo la possibilità di sviluppare una propria individualità
e soprattutto la capacità di pensare con la propria testa.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
Il disorientamento e la solitudine nelle famiglie
contemporanee
La famiglia di un tempo, fonte di autorità, con i suoi positivi aspetti protettivi ma anche a volte negativamente oppressivi, non esiste più, non solo e non tanto nelle rilevazioni statistiche quanto e soprattutto nella percezione della collettività e nelle rappresentazioni dei mezzi di comunicazione di massa.
Oggi non esiste praticamente più la cosiddetta famiglia estesa in cui erano presenti componenti appartenenti a generazioni diverse: prima di tutto i nonni, portatori di valori tradizionali e di consolidate regole antiche. Oggi prevale la famiglia nucleare, coniugale oppure di convivenza, costituita
dal padre, dalla madre e da uno o due figli. A questa si devono assimilare le famiglie costituite da un solo genitore con
un figlio. È necessario poi ricordare, per l’importanza che
possono assumere nei rapporti che si stabiliscono al loro interno fra bambini e adulti, le famiglie e/o le convivenze che
si vengono a formare fra persone separate o divorziate con
la comparsa della figura del cosiddetto terzo genitore, il cui
ruolo e la cui stessa identità possono essere vissute dal bambino come una vera e propria usurpazione nei confronti del
genitore naturale. E non si possono non ricordare le cosid-
dette famiglie ricomposte, in cui i bambini vivono con il genitore al secondo, e, talvolta, terzo matrimonio, convivendo quindi con adulti differenti dai genitori naturali, spesso
con fratelli e sorelle che lo sono soltanto a metà, per parte
di madre o di padre. Per non dire della presenza di nuovi
nonni, zii e cugini che si sommano a quelli che appartengono al nucleo familiare originario.
Infine, non si possono non annoverare le famiglie, come
quelle degli immigrati, in cui i bambini nella quotidianità vivono le contraddizioni (spesso stridenti) derivanti dal condividere sostanzialmente due culture, quella dei genitori e
del gruppo etnico di appartenenza in famiglia, e quella della società di accoglienza a scuola e nei luoghi sociali esterni alla famiglia.
In questi frequenti contesti non è difficile immaginare il
disorientamento del bambino e dell’adolescente, che non
può non accentuarsi quando si considera la società tecnologica che oggi ci circonda.
Senza mitizzare il passato, va riconosciuto che nelle società tradizionali erano stati elaborati criteri di comportamento e valori etici, religiosi, di convivenza che avevano ispirato forme di vita sociale e personale in cui era possibile valorizzare le facoltà e le capacità dell’uomo tese a costruire
e a vivere un’esistenza propria e in quanto tale libera e per
questo autentica. L’avvento della rivoluzione industriale prima e di quella, attualissima, tecnologica, se da una parte ha
comportato un enorme sviluppo sociale, dall’altro ha minato
alla base gran parte della libertà individuale di elaborare percorsi mentali personali. In sostanza, in larga misura, la libertà dell’uomo di oggi, della sua famiglia, delle istituzioni
in cui è inserito, si limita a inseguire pensieri e consumi dettati dal sistema, che sembra avere nei consumi di massa la
sua stessa, vitale, insostituibile ragion d’essere.
La razionalità di cui l’uomo dispone, in questo mondo tecnologicamente avanzato, da forza critica diviene passiva
disponibilità ad adeguarsi a quello che la società dei consumi gli impone e lo fa in modo destabilizzante perché tutto rapidamente cambia, nulla rimane abbastanza a lungo per
divenire un punto di riferimento, una pausa per pensare a
se stessi e ritrovarsi come individui, per vivere almeno un
po’ un’esistenza propria, non semplice riflesso di un universo
costellato di prodotti da consumare e di emozioni indotte
dal mercato.
15
educatrice della famiglia
I principali stili educativi genitoriali e i loro effetti
o schema di classificazione degli stili genitoriali più largamente utilizzato emerge dai lavori della studiosa americana Diana Blumberg Baumrind (1927). Per mezzo di interviste e osservazioni, la Baumrind ha ottenuto dei dati
sugli stili educativi delle madri e dei padri di 134 bambini in età prescolare, riscontrando una serie di combinazioni
di comportamenti che hanno consentito di delineare i seguenti principali stili genitoriali.
■
■
■
■
Stile genitoriale autoritario, contrassegnato dall’affermazione del potere parentale e da un’attitudine distaccata. Questi genitori raramente sollecitano l’opinione del bambino, raramente apprezzano o mostrano piacere
per i risultati che ottiene, tendono ad essere direttivi ed esigenti usando atteggiamenti intimidatori per controllare il piccolo. Essi pretendono che si obbedisca ai loro ordini senza dover dare spiegazioni. Il risultato che frequentemente viene ottenuto da questa modalità educativa è un bambino poco rispettoso, sgarbato, insolente,
socialmente incompetente.
Stile genitoriale permissivo, caratterizzato da amore e affetto ma anche dall’esercizio di un controllo piuttosto limitato. Questi genitori richiedono meno risultati ai loro figli, sono meno severi rispetto alle regole, tendono
a essere poco coerenti in merito alla disciplina e generalmente consultano il bambino sulle decisioni e spiegano
le ragioni delle regole familiari. Nell’insieme, si considerano come una risorsa che il bambino può utilizzare e non
come degli agenti attivi responsabili della correzione del suo comportamento. I bambini di genitori permissivi
sono più spesso privi di obiettivi, poco motivati, generalmente non interessati a conseguire risultati socialmente
significativi.
Stile genitoriale autorevole, in cui sono combinati livelli relativamente elevati sia di sollecitudine sia di richiesta di risultati. Questi genitori, pur esercitando un risoluto controllo sul bambino, usano maniere non punitive,
incoraggiando gli scambi verbali e rispettando i suoi desideri. Essi comunicano i criteri di condotta in modo chiaro, ma non limitano il bambino con restrizioni eccessive e, per raggiungere i loro obiettivi, usano tanto la ragione quanto il potere. Si riscontrano espressioni di affetto più frequenti e più calorose di quelle osservabili negli altri
gruppi. I bambini di genitori autorevoli risultano i più capaci: rispetto ai bambini degli altri gruppi, tendono a essere più fiduciosi nelle proprie possibilità, interessati ai risultati delle proprie azioni, socialmente responsabili, contenti, dotati di autocontrollo e collaboranti nei confronti sia degli adulti sia dei compagni.
Stile genitoriale trascurante e di rifiuto, questi genitori non sono né ricettivi né esigenti nei confronti dei loro
bambini. Non ne controllano le attività, non sono di sostegno e tendono a fornire loro pochi strumenti di comprensione del mondo o delle regole sociali necessarie per viverci. Essi possono sia trascurare sia rigettare le
responsabilità educative insite nel ruolo di genitore. I figli dei genitori che rifiutano o trascurano le proprie responsabilità tendono a essere i meno maturi di tutti per quanto riguarda sia la sfera del pensiero sia quella sociale.*
In questo contesto: “Chi sono i bambini nella società adulta? Degli attori di video pubblicitari che si pensa siano capaci di commuovere gli adulti e orientarli alla scelta dei consumi? Dei potenziali consumatori che la società cerca di sedurre per impadronirsi del loro potere d’acquisto?”.2
Per focalizzare su un solo, fondamentale punto, la finalità
dell’educazione, si potrebbe dire che genitori ed educatori
dovrebbero, partendo da se stessi, mettere una rinnovata capacità critica per fare in modo di evitare di affondare nella
rassegnazione, di rinunciare alla speranza di una propria rea-
lizzazione individuale e questo è attuabile attraverso il rifiuto di gran parte di ciò che viene proposto con finalità consumistiche (cose, idee, passioni...) dai mezzi di comunicazione di massa (la televisione in primo luogo), dall’industria
del divertimento e dell’informazione, dalla moda e le sue
merci. Soprattutto, l’educazione dovrebbe mirare a fornire
gli strumenti dell’intelligenza capaci di far distinguere la realtà dall’illusione, per conseguire la consapevolezza che: “Non
c’è vera vita nella falsa” (T. Adorno), ma che non è del tutto impossibile sottrarvisi.
●
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
* Schaffer H.R., Lo sviluppo sociale del bambino, Raffaello Cortina, 1998, per gentile concessione dell’editore.
16
Valori e16disvalori
dell’Educazione
alla Disciplina
■ IL RUOLO DEI GENITORI
Quando in una famiglia nasce un bambino, l’azione
dei genitori viene impegnata su tre principali livelli:
■
assicurare la vita e lo sviluppo fisico del nuovo venuto fino al raggiungimento della sua piena autonomia, che convenzionalmente viene fatta coincidere con il passaggio
dall’adolescenza all’età adulta;
■
sostenere il bambino prima e l’adolescente poi lungo il
percorso che li porterà ad entrare e vivere nel mondo adattandosi alla cultura di appartenenza e a partecipare attivamente alla vita sociale;
■
trasmettere conoscenze, valori, capacità che consentano
la realizzazione, da parte dei bambini e dei ragazzi, delle loro potenzialità intellettuali, morali e di successo individuale.
Sopravvivenza, socializzazione e autorealizzazione sono
dunque i tre principali obiettivi dell’azione educativa dei genitori dei quali, tuttavia, non sono i soli responsabili: concorre al loro conseguimento l’intero contesto familiare e sociale in cui il bambino viene allevato ed educato.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
Nell’ambito della famiglia, pur rimanendo cruciale l’azione
diretta dei genitori, una parte rilevante può essere assunta
dai nonni, dai fratelli, dai parenti.
All’esterno della famiglia, invece, un ruolo educativo fondamentale è assolto dalla scuola, a partire da quella dell’infanzia e, prima ancora, dall’asilo nido; ma non si può sottovalutare l’influenza della chiesa, dalla radio e della televisione, delle associazioni, degli amici.
Nelle società di un tempo, sostanzialmente stabili, famiglia
e istituzioni promuovevano nei bambini e negli adolescenti un adattamento imitativo e ripetitivo di valori e di comportamenti tradizionali; oggi, con una società fortemente dinamica, carente di riferimenti stabili (nei rapporti familiari
e sociali) l’educazione è diventata un’impresa molto complessa, caratterizzata da una crescente incertezza negli obiettivi, nei metodi e nei mezzi per conseguirli, tanto da rendere necessario ripensare in modo nuovo, continuamente
aggiornate, le funzioni educative dei genitori, partendo dalle esigenze dei bambini e degli adolescenti e non soltanto
dalle aspettative dei genitori.
Il riconoscimento del bambino come persona
In generale, si può dire innanzitutto che il bambino di oggi (un oggi che ormai copre diversi decenni) è ben diverso
da quello rappresentato nell’Ottocento, secondo un modello
che ha sostanzialmente resistito fino agli anni Sessanta del
Novecento: un soggetto prevalentemente passivo al quale
si dovevano impartire lezioni istruttive e moraleggianti, al
fine di farne un buon bambino e un buon ragazzo rispettosi delle regole del vivere civile, premessa per ottenerne
adulti disposti ad adeguarsi alla mentalità, alle opinioni, ai
modi di vita prevalenti (o imposti) nella società in cui erano destinati a condurre la loro esistenza.
A quel modello è subentrata una figura ben diversa: il bambino oggi è da considerare, anche nei primi anni di vita, un
soggetto attivo, competente, capace di emozioni e di sentimenti complessi, dotato di una sua propria logica e di un
proprio inconscio. Il mondo degli adulti che, a vari titoli professionali (pediatri, educatori ecc.), ha a che fare con i bambini, è ben consapevole di questa nuova realtà infantile e
adolescenziale, mentre questa consapevolezza molto spesso sfugge alla comune società degli adulti e delle famiglie.
Infatti, permane sotto traccia, soprattutto a livello genitoriale, una percezione del bambino non dissimile da quella
diffusa in passato.
Sulla base di queste considerazioni, si può dire che l’azione educativa deve innanzitutto tenere conto che un bisogno primario di ogni bambino e di ogni adolescente è quello di essere considerati, presi sul serio e rispettati per quello che essi sono in ogni momento della loro crescita, nei loro sentimenti, nelle loro sensazioni e nelle loro manifestazioni, fin da quando sono lattanti. Ha scritto la psicoanalista di origine polacca Alice Miller (1923-2010): “Ogni bambino ha il legittimo bisogno di essere guardato, capito, preso sul serio e rispettato dalla propria madre. Deve poter
disporre della madre nelle prime settimane e nei primi mesi di vita, usarla, rispecchiarsi in lei. Un’immagine di Winnicott illustra benissimo la situazione: la madre guarda il
bambino che tiene in braccio, il piccolo guarda la madre in
volto e vi si ritrova… a patto che la madre guardi davvero
quell’esserino indifeso nella sua unicità, e non osservi invece le proprie attese e paure, i progetti che imbastisce per
il figlio, che proietta su di lui. In questo caso nel volto del-
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educatrice della famiglia
Miniguida alla genitorialità
■
Dimostrare sempre al bambino che lo si ama. Le
dimostrazioni di affetto producono sicurezza nei bambini in quanto sono la prova di essere stati voluti, di
essere accettati, di essere amati. Anche quando i figli
non saranno più bambini e ragazzi, anche quando
lasceranno la casa, essi avranno sempre bisogno dei
consigli dei genitori, della loro esperienza, della loro
disponibilità a condividere le loro vicende della vita, nel
bene e nelle sventure.
■
Compensare con piccoli regali, possibilmente non
consumistici, il credito che il bambino pensa di avere
per il tempo non dedicato a lui, ma al lavoro e alle attività che non lo coinvolgono.
■
Far rispettare le figure genitoriali. Una relazione
improntata al rispetto reciproco dei coniugi assicura ai
bambini che la condividono un forte senso di sicurezza,
anche quando padre e madre non vivono insieme.
■
Dedicare tempo al bambino quanto è possibile,
anche breve, ma sempre ricco di vera disponibilità, in
modo che il bambino lo possa vivere come una reale
prova di essere amato.
■
Parlare al bambino quanto più possibile, in modo che
egli abbia la prova che ci si interessa di lui, che lo si considera la cosa più importante della propria vita.
■
Guidare costantemente, ma senza imporre: tutti i
bambini hanno un intimo bisogno di disciplina, di sentire e di sapere che vi sono dei limiti da rispettare.
■
Porsi come modelli e alimentare il senso del giusto e
dell’ingiusto, della lealtà e della slealtà, della generosità
e dell’egoismo, per porre le fondamenta di personalità
equilibrate, capaci di affrontare le prove dell’esistenza,
anche le più difficili.
■
Condividere i pasti con i bambini: è una pratica che
cementa l’unità familiare, offre ai bambini la possibilità
di parlare distesamente dei loro interessi e dei loro
piani, ricercando, nei propri genitori, comprensione,
guida ed aiuto.
La costruzione dell’autostima
L’azione educativa verso i bambini dovrebbe pertanto prendere l’avvio dal rispetto della loro persona: essi non dovrebbero essere considerati dei giocattoli, manipolabili e indottrinabili come gli adulti spesso sconsideratamente fanno, senza risponderne a nessuno. Questo principio non è esclusiva
conquista della cultura occidentale, né di tempi recenti.
In alcune culture dell’Africa nera si attribuiscono al bambino origini sovrannaturali: egli viene dal mondo degli antenati e attraverso la sua persona uno spirito o un antenato
ritorna nel mondo dei vivi. Affinché il bambino possa umanizzarsi e lasciare definitivamente il mondo da cui proviene – un universo estremamente armonioso e meraviglioso
– bisognerà che gli esseri umani lo seducano, lo convincano, gli dimostrino che la vita sulla Terra è qualcosa che vale la pena di vivere, altrimenti il bambino deciderà di ritornare nel mondo dell’aldilà e questo vorrà dire che gli umani che lo hanno accolto nel mondo non si saranno comportati
verso di lui come avrebbero dovuto, non avranno mostrato
nei suoi confronti il rispetto dovuto ad un antenato tornato sulla Terra. E per comportarsi bene, da parte dei genitori, cruciali sono i primi due anni di vita. Infatti, in due anni, il bambino impara a camminare e soprattutto a parlare:
sino a che non si è in possesso del linguaggio in quelle culture non si può essere definiti umani.4
Quando il bambino viene costretto a rinunciare ad essere
se stesso e, per essere accettato, si adegua ai desideri, alle
attese, ai progetti, alle ambizioni dei propri genitori, finisce
spesso per pagare un prezzo elevato in termini di sviluppo
della propria personalità. Infatti, nell’adattarsi alle richieste
genitoriali e ambientali, il bambino finisce per dar luogo a
un falso Io: “un Io inautentico perché costruito sulle aspettative di altre persone per cui accanto a un Io autentico cresce un falso Io che riflette ciò che gli altri vogliono e si aspettano. Questo falso Io, docile e conciliante, obbliga l’individuo a vivere come una risposta ad altri”.5
È dunque un errore educativo non trascurabile, quello, per
esempio, di collocare il bambino in un mondo di esperien-
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
la madre il bambino non troverà se stesso, ma le esigenze
della madre. Rimarrà allora senza specchio e per tutta la vita continuerà invano a cercarlo”.3
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Valori e18disvalori
dell’Educazione
alla Disciplina
ze in cui egli è preteso, da parte dei genitori, vincente in tutto ciò che intraprende; mentre egli, invece, ha bisogno di sbagliare, di affrontare il fatto di non essere sempre il migliore, di fare proprio il concetto che la perfezione e il successo sono traguardi legittimi, ma non assolutamente necessari: vivere se stessi nella norma con dignità e autenticità di
pensieri e di sentimenti, questo è l’obiettivo che egli deve
essere educato a ritenere meritevole di essere raggiunto nella propria esistenza quotidiana.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
Il compito educativo dei genitori è guidare,
non dirigere
Il compito dei genitori è quello di guidare il bambino, ma
senza la pretesa di determinarne il destino; è opportuno sfatare la convinzione che lo possano fare e che pertanto ne
siano totalmente responsabili e perciò tenuti a perseguire
a tutti i costi tale ambizioso obiettivo. La funzione dell’educatore deve essere intesa nel senso che il verbo educare
ha nella sua origine latina: exducere che vuol dire appunto
guidare, condurre, (ex) verso l’esterno.
In proposito, secondo l’Accademia Americana di Pediatria:
“I genitori, in realtà, non possono determinare la riuscita dei
loro bambini. Inevitabilmente, i bambini affermano la loro
autonomia creandosi una propria nicchia separata dai loro
genitori. Nello stesso tempo, molti fattori esterni sia alla famiglia sia ai bambini possono influenzare il modo in cui questi ultimi si sviluppano. Anche nella stessa famiglia, vi possono essere grandi differenze individuali fra i fratelli: nell’intelligenza, nell’umore, nella socievolezza.
I genitori hanno la responsabilità di garantire ad ogni bambino la certezza di essere amato e accettato, di aiutarlo a conseguire gli obiettivi di ogni fase del suo sviluppo, di far sì
che egli cresca certamente nel rispetto delle regole e nell’accettazione delle responsabilità che la società impone, ma
anche dandogli la possibilità di preservare una propria individualità.
Alcuni genitori, forse ancora troppi, considerano di avere la
responsabilità totale del destino dei loro bambini. Questa
convinzione comporta un pesante e irrealistico carico
emotivo non solo per se stessi ma anche per i loro figli. Se
i bambini hanno dei problemi, spesso i genitori soffrono un
senso di fallimento; nello stesso modo, i bambini sentono
come compromessa la loro sorte se essi non rispondono alle aspettative dei genitori. In sostanza, i genitori possono influenzare, ma non controllare la vita dei loro bambini”.6
La giusta dose della tenerezza
na duratura significativa relazione affettiva fra
genitori e bambini rappresenta un punto di partenza fondamentale per entrare nel mondo con sicurezza purché tale legame, improntato alla tenerezza,
sia flessibile e continuamente adattato alle varie fasi
dello sviluppo.
Oggi la cultura della tenerezza verso i bambini piccoli
è largamente diffusa in tutte le classi sociali; la maggior parte delle mamme è consapevole che il proprio
bambino ha bisogno di una dose quotidiana di coccole, che tuttavia non deve essere né eccessiva né
eccessivamente prolungata nel tempo della crescita.
Le espressioni di tenerezza, infatti, vanno dosate
secondo la capacità del bambino di ricevere attenzioni fisiche senza subire sollecitazioni emotive troppo
intense. Specialmente nei maschi – a partire dai tre
anni circa – si deve rispettare la loro necessita di autonomia, di distacco dalle attenzioni materne, tenendo
conto che effusioni eccessive possono solo infastidirli.
È il tempo in cui il bisogno di tenerezza deve essere
soddisfatto secondo modalità differenti dalle coccole e dallo stretto contatto fisico. Infatti, il bisogno di
tenerezza deve e può essere soddisfatto anche con
altri mezzi, adeguati alle crescenti capacità di capire,
di sentire e di giudicare del bambino che cresce: a
mano a mano che questo accade, egli ha bisogno di
altre attenzioni materne che gli confermino di essere amato ed è anche il tempo in cui è opportuno trasferire sulla figura paterna le sue esigenze di identificazione e di sicurezza.
La madre può naturalmente continuare nella sua
opera di organizzazione affettiva della personalità
del proprio bambino, privilegiando tuttavia il rapporto verbale rispetto a quello fisico, soprattutto ricorrendo alla grande risorsa rappresentata dal raccontare e dal leggere ad alta voce filastrocche, fiabe,
storie, sicura di essere capita perché adegua le proprie prestazioni alle capacità di comprensione del
proprio bambino.
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educatrice della famiglia
Quando il disagio famigliare diventa un problema educativo
In questo quadro, ogni suggerimento rivolto a salvaguardare i bambini delle famiglie problematiche almeno dai maggiori disagi e sofferenze, rischia di essere
velleitario e pertanto inutile. Infatti, nella maggioranza dei casi, le crisi familiari sono adultocentriche: i
conflitti, le loro ragioni, riguardano (ma soltanto
apparentemente) gli adulti: l’asprezza dei rapporti tra
un padre e una madre può essere tale da offuscare,
impedire la visione delle ripercussioni che possono
avere sui figli e le loro difficoltà: in primo luogo l’isolamento, la solitudine affettiva ed educativa quando
le sofferenze dei genitori, tramutate spesso in collere
incontrollate, non si ripercuotono sui figli sotto forma
di maltrattamenti e ingiusti, spesso violenti, atti puni-
Nell’educazione del bambino, una rilevante importanza possono avere le diverse modalità con cui egli viene guidato nel
suo sviluppo lungo il percorso che, dalla totale dipendenza del neonato, lo porta all’autonomia del giovane adulto.
Ovviamente non vi è, per così dire, uno stile educativo, una
ricetta che garantisca i risultati migliori: troppi sono gli elementi che concorrono a influenzare l’esito delle prestazioni
educative dei genitori, dalla natura del bambino, in cui la componente genetica ha un ruolo certamente importante, al contesto familiare e sociale in cui il bambino viene cresciuto. Tut-
tivi e quindi fortemente diseducativi. Quello che
molto spesso scompare nelle famiglie problematiche
è la disponibilità, la capacità di ascoltare soprattutto i
bambini, mentre emerge la tendenza a negare le loro
sofferenze, il loro dolore. Presi dai propri disagi, gli
adulti insofferenti impediscono ai bambini di manifestare i loro sentimenti di insoddisfazione, di irritazione, di ira, di dispiacere, venendo meno ad un importante, se non principale, mezzo educativo: dare la
libertà di esprimersi.
Le condizioni peggiorano quando, pur nel dissenso
sulle questioni che li riguardano direttamente, gli
adulti in crisi si alleano fra loro condividendo
“coerenti” atteggiamenti educativi-punitivi nei confronti dei figli, che rimangono così ancor più vittime
perché senza difensori. Nelle famiglie problematiche
il più delle volte vengono del tutto meno genitori
capaci di condividere emozioni e sentimenti con i loro
figli in modo trasparente, equilibrato, teso a favorire
lo sviluppo delle loro potenzialità cognitive, affettive,
emotive.
A questi genitori, più che impraticabili suggerimenti,
si può rivolgere una invocazione: dedichino le residue
risorse, salvate o salvabili dal naufragio delle loro
esperienze familiari (coniugali in primo luogo) a persistere nell’assicurare ai loro bambini l’attenzione di
cui hanno bisogno, nel rispetto dei loro diritti come
persone, nella comprensione dei loro pensieri e dei
loro sentimenti.
tavia, sulla base di consistenti ricerche su genitori con bambini in età prescolare, sono individuabili quattro principali stili educativi e i loro effetti sul bambino (vedi box a pag. 15).
Il diverso ruolo educativo della madre e del padre
Nel considerare le funzioni educative dei genitori, le loro finalità e le loro modalità di esecuzione, è d’obbligo distinguere le possibili azioni della madre da quelle del padre, incorrendo inevitabilmente in schematismi che non possono
accogliere compiutamente le innumerevoli sfaccettature che
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
na buona educazione dei bambini e dei ragazzi è
tanto più possibile quanto più le famiglie in cui
vivono sono sostanzialmente equilibrate. Nelle situazioni in cui l’equilibrio familiare è compromesso e, per
conseguenza, lo è anche quello educativo, una delle
principali possibilità di riacquistarli entrambi consiste
nel rendersi conto, da parte degli adulti, dei propri
motivi di crisi in funzione delle conseguenze che possono avere sui figli, non limitando l’autoesame al solo
proprio disagio, al solo proprio dolore. L’impresa non
è semplice ed è tanto più difficile da affrontare quanto più, ovviamente, la crisi familiare è complessa e
tendenzialmente insolubile, tanto da rendere inevitabile una sua destrutturazione mediante il ricorso alla
separazione e al divorzio.
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Valori e disvalori
dell’Educazione
alla Disciplina
le prestazioni educative possono assumere per quanto riguardano la madre, il padre o altre figure adulte.
Rispetto a un passato ormai lontano – quando il maggior
onere dell’accudimento del bambino pesava sulla madre casalinga, mentre al padre veniva riservato il ruolo di “procacciatore” del pane quotidiano e di riferimento disciplinare (“Se fai il cattivo, lo dico a papà”) – ai nostri giorni vi è
una crescente condivisione di ruoli protettivi ed educativi
fra i coniugi, ampliati, quanto a differenziazione, dall’apporto
assistenziale ed educativo di istituzioni quali l’asilo nido, la
scuola dell’infanzia e i successivi ordini scolastici. Premesso tutto questo, permangono nel rapporto genitori-bambino (e viceversa), differenze consistenti fra madri e padri.
Nella maggior parte delle società le madri hanno un ruolo
preponderante nell’educazione dei figli, soprattutto nei confronti dei più piccoli, con un approccio più delicato, più pronto a rispondere ai loro bisogni fisici ed emotivi, più orientato verso le interazioni verbali, alla comprensione e alla consolazione.
I padri, spesso con minori disponibilità di tempo (ma su
questo punto i dubbi sono più che legittimi soprattutto da
quando anche le madri lavorano fuori casa), sono meno
presenti, meno sensibili alle esigenze emotive e sentimentali dei loro figli, con una tendenza a privilegiare interazioni di tipo fisico, forti interessi verso le attività ludiche e sportive e, quanto alle prestazioni intellettuali e sco-
lastiche, verso i risultati conseguiti.
Se si tiene conto che il bambino dopo la nascita ha lungamente bisogno della madre, non si può non considerare il
fatto che tra i due esseri si stabilisce una relazione esclusiva – le cui radici affondano nella reciproca esperienza prenatale – grandemente appagante non solo per il bambino
ma anche per la madre, che stenterà a resistere alla tentazione di farne cosa solamente propria, precludendo o limitando, sia pure inconsciamente, l’interazione con il padre e,
attraverso questi, con il mondo.
In questo quadro, si può scorgere quella che molti studiosi
ritengono sia la funzione primaria del padre: di interporsi
nella relazione madre-bambino, troppo felice e troppo assorbente, di porre all’uno e all’altra un limite, di salvare il
bambino dalle braccia della madre per evitare il rischio che
non ne esca mai.7
In sintesi, se si considerano le diversità nei comportamenti educativi fra le madri e i padri, dal punto di vista della
preparazione dei loro bambini al futuro, si può osservare
in generale che, mentre le mamme tendono a preoccuparsi che il mondo non leda l’integrità fisica e psicologica dei
loro piccoli e si impegnano a difenderla, i padri sono più
portati a considerare e a trattare i loro figli nella prospettiva del loro inserimento nella società lungo un impegnativo percorso di studi e di lavoro.
●
■ I METODI DISEDUCATIVI
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
Vi sono forme errate di educazione che generalmente hanno conseguenze dannose sia individuali, a danno dei
bambini e dei ragazzi, sia sociali, a carico della famiglia e della società. Le forme di diseducazione più diffuse sono quelle eccessivamente permissive, quelle eccessivamente autoritarie, quelle troppo frustranti e quelle impostate in modo
non veritiero.
L’educazione eccessivamente permissiva
Vi sono genitori che ritengono che i bambini siano in grado di comprendere gran parte di quello che capiscono gli
adulti, per cui pensano che basti spiegare con garbo come
sia meglio comportarsi in una certa situazione per ottene-
re obbedienza: secondo loro, l’imperativo “devi”, se è insopportabile per un adulto, lo è anche per un bambino. Questo tipo di genitori tendono spesso a giustificare la loro permissività adducendo la spiegazione di non voler far soffrire il bambino, come un atto d’amore verso di lui. In realtà,
così facendo, essi non consentono al bambino di appropriarsi
di norme chiaramente e fermamente espresse, impedendogli
o rallentandogli la maturazione di una propria capacità di
autoregolarsi, di sviluppare una propria coscienza di che cosa è giusto e possibile fare e di quello che non lo è. Infine,
l’eccessiva permissività può venire percepita dal bambino
non come manifestazione di amore, bensì come un segnale di indifferenza, di scarsa o assente disponibilità a occu-
21
parsi di lui, mentre egli ha bisogno di sentire di essere protetto e guidato, anche con la fermezza di “no” giusti e pertanto non negoziabili. I suoi stessi capricci rappresentano
una ricerca dei limiti, dei punti di riferimento, delle regole
entro le quali egli trova o ritrova la sicurezza di essere protetto e, quindi, amato.
Molto spesso i genitori autoritari giustificano i loro metodi
coercitivi e spesso umilianti con la pretesa di metterli in atto per “il bene del bambino”. Questo fine non li rende accettabili, ma soprattutto non ne attenua le conseguenze. Fra
queste, vi è quella di far spesso diventare quei bambini, una
volta cresciuti, genitori autoritari e violenti, non in grado di
giudicare negativamente i propri padri e madri autoritari. L’odio e il rancore che tuttavia si generano nel loro intimo, per
gli eccessi genitoriali di cui sono stati vittime, diventano allora parte della loro personalità, ingredienti dei loro comportamenti verso gli altri e, in particolare, verso i propri figli. L’incondizionata sottomissione di un bambino alla dispotica imposizione di obbedienza di un genitore può essere ottenuta in vari modi: la coercizione fisica o il ricatto
psicologico, soprattutto la minaccia della sottrazione dell’amore genitoriale.
sviluppo della personalità di un bambino e il suo adattamento sociale sono favoriti da un contenimento dei suoi desideri, passando attraverso una successione di situazioni frustranti. Il problema educativo dei genitori consiste essenzialmente nel distinguere fra frustrazioni tollerabili, utili allo sviluppo, e frustrazioni eccessive che possono produrre
nel bambino conseguenze anche molto negative. Non soddisfare il desiderio di un bambino di possedere un giocattolo, per esempio, può produrre, come effetto della frustrazione subita, uno scoppio di collera, di furia, di disperazione oppure di totale indifferenza.
In tema di frustrazioni educative, è opportuno, perché non
siano controproducenti, tener conto delle capacità del bambino di tollerarle sia in termini di intensità sia di frequenza. Vi sono bambini ai quali risulta insopportabile ogni differimento o limitazione del soddisfacimento dei loro desideri e lo dimostrano con manifestazioni di rabbia, di impazienza, ma spesso anche di infelicità, comunque sempre con
l’ostinata pretesa dell’appagamento del loro desiderio, opponendosi ad ogni tentativo di compromesso. Vi sono invece bambini che tollerano la stessa dose di frustrazione con
relativa serenità e sono disposti ad accettare gratificazioni
sostitutive. In ogni caso, è necessario prestare molta attenzione nel praticare azioni educative a contenuto frustrante
per non ostacolare o deviare lo sviluppo del bambino: “Le
frustrazioni e le proibizioni, fra l’altro spesso inevitabili, costituiscono un’utile esperienza, ma se un ragazzino subisce
decine di proibizioni al giorno, se si sente dire di non fare
questo e quello ogni volta che si muove, se è costantemente bersagliato da una pioggia di ‘no’, allora delle due l’una:
o si rassegna a subire tutto, a rinunciare a tutto, a sottomettersi a tutto, e andrà incontro ad una vita grama di gregario, di suddito, di servo oppure di padrone e di ‘caporale’, che è la stessa cosa; oppure deciderà che i divieti non
hanno alcun valore e rappresentano soltanto una fastidiosa e molesta intrusione, in presenza della quale è meglio far
finta di niente e comportarsi da ciechi e sordi”.8 Nell’uno e
nell’altro caso, il risultato è quello di favorire personalità o
svantaggiate o poco socialmente produttive.
L’educazione frustrante
L’educazione impregnata di bugie
L’obiettivo di ogni processo educativo è principalmente rivolto a far comprendere al bambino che i suoi desideri non
sono sovrani e pertanto tali da dover essere sempre e immediatamente soddisfatti. In altre parole, si può dire che lo
L’abitudine di non dire la verità ai bambini, da parte degli
adulti in generale e dei genitori in particolare, è tanto diffusa da essere considerata del tutto normale, priva di ogni
motivo di sanzione sociale. Le ragioni per cui i genitori men-
L’educazione eccessivamente autoritaria
Vi sono genitori che esercitano una pressione dispotica sui
loro bambini. All’insegna del motto: “io ho sempre ragione”. Questi genitori non lasciano spazio alle spinte del bambino verso l’autonomia e l’indipendenza, non solo in termini di limitazioni nell’agire, ma anche nel pensare e nel vivere liberamente le proprie emozioni e i propri sentimenti.
Il risultato di questo tipo di educazione, che compromette
l’affettività del bambino, consiste spesso nello sviluppo di
una personalità ribelle e violenta; oppure può verificarsi un
cedimento nelle capacità di resistenza del bambino verso le
imposizioni dei genitori, con il risultato di ottenere una personalità che rinuncia a sviluppare le proprie autentiche potenzialità per diventare un altro individuo privo di personalità, pronto soltanto ad obbedire.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
educatrice della famiglia
22
Valori e22disvalori
dell’Educazione
alla Disciplina
tono ai loro bambini sono innumerevoli, spesso del tutto innocenti, se non fosse che possono essere comunque negative per i piccoli. Si mente sui propri ricordi, per “infiorarli”
e accrescere il proprio prestigio agli occhi ingenui dei propri bambini. Si mente perché non si ha il coraggio di dire
quel che si pensa, spesso perché non lo si ritiene adatto per
ragioni sociali. Si mente per tagliar corto, perché non si ha
il tempo o la voglia di spiegare soprattutto in tema di denaro, di politica, di religione, di sesso. Si mente per tenere
lontano i bambini da esperienze di violenza. Tutte ragioni
apparentemente buone, o per lo meno accettabili, ma non
per questo da accogliere in blocco senza le necessarie distinzioni.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
Innanzitutto una cosa è non dire la verità, altra cosa sostituire la verità con la menzogna: questo mina, compromette, a partire all’incirca dal primo anno di vita, lo sviluppo della fiducia, ingrediente fondamentale per impostare il rapporto del bambino con il mondo. Cinicamente si potrebbe
dire che del mondo e verso il mondo la fiducia, acquisita e
data, può essere addirittura controproducente, mentre più
utile è conoscere e praticare menzogne e inganni, a proprio
esclusivo interesse.
Ma così è bene che non sia, a maggior vantaggio della qualità della vita del singolo e della società, perché, una volta
di più, non c’è vera vita nella falsa: i genitori che non hanno consapevolezza, o ignorano il peso che la verità può avere nello sviluppo del loro bambino verso una personalità in
armonia con se stesso e con gli altri, gli rendono difficile il
cammino in tale direzione. Perché genitori che non praticano un’educazione improntata alla verità, a partire dalle piccole cose di ogni giorno, difficilmente avranno figli sinceri,
capaci di capire i pensieri e gli stati d’animo del prossimo,
anche delle persone più vicine con le quali condividono l’esistenza. Nell’educazione alla sincerità, l’obiettivo è quello
di evitare che la rappresentazione di se stessi e della realtà
si realizzi in una visione basata sulla menzogna.
I bambini piccoli confondono desideri e realtà per cui sono
portati, del tutto innocentemente, a percepirli e o rappresentarli al di fuori della sincerità, tesi alla gratificazione immediata, immaginando come reali cose e circostanze che tali non sono. Quando il bambino, nel suo sviluppo, giunge
a ragionare e a controllarsi, allora è capace di distinguere ciò
che è reale da ciò che non lo è, per cui le sue enunciazioni
possono essere consapevolmente vere o false (bugie). Alcuni bambini impiegano più tempo per passare dalla prima alla seconda condizione, per cui le loro “bugie” non sono da considerare più tali perché conservano la primitiva innocenza. Altri, pur avendo portato normalmente a termine
il proprio sviluppo, se esposti a frustrazioni eccessive, affrontano le realtà per loro insostenibili rifugiandosi nelle
menzogne “di fantasia”, popolate di forme infantili di gratificazione del desiderio.
Particolari situazioni di deprivazione affettiva, di disagiate
condizioni socioeconomiche possono spingere il bambino
prima, l’adolescente e l’adulto poi, a ricorrere ad una cortina di invenzioni destinate, nelle intenzioni, a compensare
carenze che non si riescono a sopportare. Tipico è il caso dell’orfano che nega la morte della madre contro ogni evidenza,
negazione che esprime una intensa esigenza d’amore e l’incapacità di elaborare una perdita. Di fronte a questo tipo di
bugie è opportuno indagarne a fondo le cause e affrontarle adeguatamente sul piano psicologico perché persistendo non compromettano lo sviluppo psicoaffettivo del bambino. Per evitare tutte le altre forme di bugia, fondamentale è l’atteggiamento dei genitori: i figli saranno sinceri se potranno constatare che i genitori lo sono sempre. Le inevitabili piccole bugie, rese necessarie dalle convenienze so●
ciali, vanno sempre tempestivamente spiegate.
1. Golse B.,“Les bébés d’où l’on vient, les bébés où l’on va”, Congresso di Libourne, 2001, in Marcelli D., Il bambino sovrano,
Raffaello Cortina Editore, 2004.
2. Ibidem.
3. Miller A., Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sé, Universale Bollati Boringhieri, 1996.
4. Isabel Réal, Atti del Seminario Introduttivo alla Clinica Transculturale, Guidi 2000-2001.
5. Galimberti N., Dizionario di Psicologia, Garzanti, 1999.
6. American Academy of Pediatrics, Caring for your School Age
Child: Ages 5 to 12, Published on line.
7. Marcelli D., Il bambino sovrano, Raffaello Cortina, 2004.
8. Bernardi, M., L’avventura di crescere - una guida per i genitori di oggi, Fabbri, 1999.
IL LINGUAGGIO NELLO SVILUPPO DEL BAMBINO
23
Nel considerare l’essere umano, non ha molto senso attribuire a questa o a quella funzione o proprietà
una speciale posizione: tutto è importante, dal momento che ogni elemento ha un suo ruolo specifico nel
determinare la globalità di una persona. Si può tuttavia dire che il linguaggio ha una sua centralità nel configurare l’essenza di quello che generalmente si considera la caratteristica distintiva dell’uomo rispetto a
tutti gli esseri viventi sulla Terra. Allo sviluppo del linguaggio concorrono fattori genetici, familiari e sociali; questi ultimi vi contribuiscono in modo determinante non attraverso un’istruzione formale, bensì grazie agli scambi verbali con adulti, in primo luogo i genitori, sensibili e disponibili a parlare con i bambini
I
Il linguaggio non è soltanto il mezzo
mediante il quale gli esseri umani comunicano fra loro, ma anche lo strumento
attraverso il quale elaborano, rappresentano simbolicamente ed esprimono la propria realtà e quella del mondo che li circonda. Come ebbe a scrivere il filosofo e
linguista tedesco Wilhelm von Humboldt
(1767-1835): “Il linguaggio è l’organo formativo del pensiero”. Secondo questa
prospettiva, il linguaggio crea un circuito
con la conoscenza contribuendo alla formazione delle idee e alla costruzione della rappresentazione del mondo.
Il linguaggio è anche “formatore di società”: infatti, grazie al linguaggio, le società accumulano e trasmettono lungo
le generazioni conoscenze culturali e tecniche che sono alla base della vita associata e del suo sviluppo.
Origine e socialità
del linguaggio
L’origine del linguaggio verbale è oggetto di numerose teorie, sviluppate nel corso dei secoli; ai giorni nostri, schematizzando molto, si può dire che il punto di
vista scientifico maggiormente diffuso con-
sidera il linguaggio, la capacità di parlare,
una caratteristica geneticamente determinata sia nelle sue diverse manifestazioni
linguistiche sia nei modi e nei tempi in cui
viene attivato. Così come è geneticamente
determinato il fatto che ogni bambino verso i dodici mesi di età comincia a camminare, così è di natura genetica il fatto
che i bambini, ad una data età e in ogni
società cominciano a parlare. Su una tale
base genetica, nell’insorgenza e nello
sviluppo del linguaggio, prevalentemente nell’ambito della famiglia, agisce
il trasferimento del patrimonio linguistico
di una società da una generazione all’altra; e non solo, ma anche il suo controllo, nel senso di stabilire i criteri di correttezza e di appropriatezza per quello che
si può e quello che non si può dire in determinati ambiti, in determinate circostanze e con determinati interlocutori.
I comportamenti linguistici, cioè, sono continuamente sottoposti ad un condizionamento e ad una valutazione sociale per
cui, per esempio, da come una persona
parla (o impara a parlare) le si attribuisce
un valore sociale, di appartenenza ad un
determinato strato della popolazione.
Un esempio dell’influenza che l’ambiente,
il modo di pensare e di vivere in una collettività possono avere sul linguaggio è offerto dal giapponese. “In giapponese, i
raffinati meccanismi di cortesia che regolano i rapporti tra le persone sono talmente pervasivi che questa lingua non ha
un mezzo esplicito per indicare la prima
persona (io) perché una sua menzione
sarebbe percepita come scortese.
Analogamente, l’intera costruzione del
discorso giapponese è fatta in modo da
evitare ogni riferimento a se stessi e, soprattutto, a qualunque cosa possa sembrare una invasione dello spazio di rispetto dovuto agli altri. La grammatica del
giapponese ha incorporato dei meccanismi sociali, trasformandoli in strutture della lingua… Si può concludere dicendo che
il linguaggio va visto in un continuo pendolo tra il biologico e il sociale, e che entro questi due estremi va collocata anche
la storia, l’altro motore di cambiamento
e di funzionamento delle lingue.”1
Lo sviluppo
del linguaggio
Nelle pagine seguenti sono sinteticamente
riportate le tappe e le modalità dello
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
fin subito dopo la nascita.
24
IL LINGUAGGIO NELLO SVILUPPO DEL BAMBINO
Elementi per la valutazione e il sostegno allo sviluppo
nel linguaggio verbale nel bambino dalla nascita ai 5 anni
Dalla nascita a 5 mesi
■
Reagisce ai suoni forti. ■ Gira la testa verso le fonti dei suoni. ■ Guarda il volto di chi gli parla. ■ Esprime piacere o dispiacere con risatine,
pianti, agitazione. ■ Risponde con emissione di suoni quando gli si parla.
●
In questo periodo è utile intrattenere il bambino con ninna nanne o altre manifestazioni vocali.
Da 6 a 11 mesi
■
Comprende no-no. ■ Balbetta ma-ma-ma o ba-ba-ba. ■ Tenta di comunicare a gesti. ■ Tenta di ripetere i suoni vocali che ascolta.
●
In questo periodo, oltre a intrattenere il bambino con rime, filastrocche e altri suoni vocali, si possono utilizzare pubblicazioni illu-
strate e di piccole dimensioni, robuste, da prendere in mano e da mettere in bocca.
Da 12 a 17 mesi
■
Presta attenzione ad un libro o ad un giocattolo per circa due minuti. ■ Ubbidisce a ordini verbali semplici accompagnati da gesti. ■ Risponde
non verbalmente a domande semplici. ■ Indica oggetti, immagini, persone di famiglia. ■ Pronuncia 2-3 parole, magari con una pronuncia non
chiara, per indicare un oggetto oppure una persona.
●
In questo periodo è molto importante intrattenere il bambino parlandogli intenzionalmente, recitandogli ninna nanne, filastrocche,
rime: ■ per almeno 10-15 minuti; ■ almeno 3 giorni alla settimana per più di 10-15 minuti per volta.
●
Sono raccomandabili pubblicazioni con immagini di bambini impegnati nelle loro abituali funzioni quotidiane: dormire, mangiare, gio-
care; pubblicazioni con rime facili e brevi testi di semplici storie prevedibili.
Da 18 a 23 mesi
■
Gli piace che gli si legga. ■ Esegue comandi semplici impartiti senza accompagnamento di gesti. ■ Indica parti del corpo come il naso, la pan-
cia, gli occhi. ■ Comprende verbi semplici come mangia, gioca, dormi. ■ Pronuncia correttamente la maggior parte delle vocali e le consonanti n
m p specialmente all’inizio di parole brevi. ■ Dice 10-20 parole, magari in modo non chiaro. ■ Chiede i cibi per nome. ■ Imita i suoni degli animali.
●
È stimolante raccontare al bambino piccole brevi storie, progressivamente articolate, con un inizio ed una fine, ripetendole più volte
per il piacere del piccolo che apprezza sentirsele ri-raccontare, oltre che a testi in rima da scandire con il corpo. ● È anche molto utile
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
introdurre in casa libri che offrano la possibilità di esperienze sensoriali: libri con buchi, pulsanti, ruote ecc.
sviluppo del linguaggio nei bambini e il
sostegno raccomandabile. Qui importa
mettere in rilievo il fatto che un grande
numero di ricerche ha dimostrato che il
principale fattore di apprendimento linguistico nei primi, cruciali mesi e anni di
vita è rappresentato soprattutto dal rapporto a due (fondamentalmente quello
madre-bambino) in un coinvolgimento
verbale reciproco in cui protagonisti,
adulti e bambini, svolgono congiuntamente qualche attività specifica (giocare,
eseguire lavori domestici, raccontare, leggere ad alta voce). Con il crescere dei
bambini, lo scambio, da situazioni e
oggetti concreti, si evolve a comprendere
forme simboliche, espresse verbalmente,
per cui il reciproco coinvolgimento diventa conversazione. Questo significa
che il grado di coinvolgimento dei bambini nelle interazioni verbali, specialmente con i genitori, ha una influenza
diretta e importante sullo sviluppo della loro competenza linguistica.
Le strategie
per lo sviluppo
del linguaggio
Le strategie per favorire lo sviluppo del
linguaggio e della comunicazione possono essere molto semplici, avendo
come attori i genitori e le persone che
più si occupano del bambino:
■ nei primi mesi di vita è importante
parlare al bambino, anche quando
25
Lo sviluppo del linguaggio varia da bambino a bambino, tuttavia è possibile riconoscere una
naturale progressione, una serie di tappe che possono essere identificate e utilizzate per valutare sia il normale sviluppo del linguaggio sia le condizioni e gli interventi specifici per migliorarlo.
Da 2 a 3 anni
■
A 24 mesi ha un vocabolario di circa 200-400 parole; a 3 anni arriva a circa 900. ■ Conosce alcuni concetti spaziali: dentro, fuori, sopra, sotto.
■ Conosce
pronomi come io, tu, lei. ■ Conosce parole descrittive come grande, piccolo, felice. ■ Parla in modo più accurato, ma ancora si incep-
pa nei suoni finali. ■ Gli estranei non capiscono molto di quello che dice. ■ Risponde a domande semplici.
●
Nell’intrattenere il bambino, tener conto e valorizzare le capacità e le preferenze che egli ha maturato in questo periodo: ■ ha impa-
rato a maneggiare le pagine dei libri; ■ ha imparato a sfogliare i libri avanti e indietro per trovare le immagini preferite; ■ recita intere
frasi e talvolta intere storie; ■ coordina i testi con le immagini; ■ protesta quando l’adulto dice una parola “sbagliata” in una storia conosciuta; ■ si “legge” i libri che gli sono familiari.
Da 3 a 4 anni
■ Ordina
gli oggetti: giocattoli, vestitini ecc. ■ Distingue i colori. ■ Usa la maggior parte dei suoni del linguaggio, ma può distorcere quelli più dif-
ficili come r s v z (che utilizzerà in modo corretto a 7-8 anni). ■ Le persone estranee capiscono molto di quello che dice. ■ È capace di descrivere l’uso di oggetti come forchetta, automobile ecc. ■ Scherza con le parole, riconosce le assurdità verbali (“È un elefante o il tuo gatto?”), ama
sentire espressioni in rima. ■ Esprime idee e e sentimenti propri più che parlare del mondo che lo circonda. ■ Risponde a domande semplici.
■
Ripete frasi sentite.
●
Le pubblicazioni adatte a questo periodo dello sviluppo sono quelle che riguardano bambini piccoli, che gli assomigliano e vivono
come lui, ma anche dedicate a luoghi e modi di vivere diversi dai noti, pubblicazioni con testi semplici che possono essere mandate a
memoria, con argomenti che riguardano i numeri, l’alfabeto, le parole.
Da 4 a 5 anni
■
Comprende concetti spaziali relativamente complessi: al di là, vicino a ecc. ■ Comprende domande complesse. ■ Pronuncia le parole in modo
comprensibile, con qualche errore nelle parole più complesse come ippopotamo. ■ Usa 200-300 parole ■ Descrive che cosa fa e come lo fa. ■
Elenca i componenti di una categoria come animali, veicoli ecc. ■ Risponde ai perché...
●
Nell’intrattenere il bambino, tener conto dello sviluppo delle sue capacità di capire e prestare attenzione maturate in questo periodo
e in particolare che: ■ si rafforza la capacità di cogliere il senso delle storie che gli vengono raccontate per cui si possono proporre libri
che lo aprono al mondo pur mantenendo saldo il legame con le sue esperienze quotidiane; ■ è spiccato il piacere di sentire storie e
fiabe in cui vi è una sorta di viaggio iniziatico del protagonista con prove da superare, sconfitta del cattivo, vittoria del buono ecc.; ■ è
notevole il senso del comico e quindi sono apprezzati i racconti buffi e divertenti.
Fonte (modificata e ampliata): National Institute of Health, NIDCD, Speech and Language: Developmental Milestones, 2006.
frasi brevi, pronunciare con enfasi le
parole più importanti, utilizzare la
gestualità e introdurre delle pause
affinché il bambino possa avere il tempo di pensare e rispondere;
■ ogni giorno, o comunque spesso,
osservare a cosa si interessa e parlare di quello che sta guardando o
facendo;
■ parlare delle attività quotidiane, come
riporre la spesa, preparare i pasti ecc.
può essere utilmente sfruttato per
favorire l’apprendimento linguistico;
■ dedicare ogni giorno un po’ di tempo
alla lettura di un libro illustrato,
durante il quale è importante descrivere le figure.
■
1. Simone R., “Il linguaggio” in Enciclopedia delle scienze sociali, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1996.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
questi non può rispondere verbalmente, in particolare durante le attività
quotidiane di accudimento e durante
il gioco;
■ rispondere sempre con parole alle
azioni del bambino mostrando di
avere compreso il loro significato;
■ ridurre al minimo i rumori di fondo, in
modo che il bambino possa ascoltare
bene gli altri parlare;
■ semplificare il proprio linguaggio quando gli si parla; in particolare, impiegare
26
N
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
Nei giochi di finzione, particolarmente amati dai bambini, situazioni e oggetti
entrano nelle loro esperienze non per
quello che sono, ma come simboli di altre situazioni e di altri oggetti attraverso i quali i bambini esprimono i propri
pensieri, desideri, sentimenti ed emozioni. Si può dire che la principale ragione
per cui i bambini amano i giochi di finzione consiste nel fatto che in quei giochi essi possono essere quello che veramente vogliono essere.
Gli adulti, generalmente, non tengono abbastanza conto del fatto che la maggior
parte dei bambini vive le proprie giornate entro una gabbia di regole e di attività imposte dai voleri e dalle esigenze dei
genitori o comunque degli adulti: quando mangiare, quando dormire, andare o
non andare al nido oppure alla scuola dell’infanzia nei primi anni, a quale primaria
esseri iscritti; ma soprattutto quali attività extrascolastiche praticare e quando,
quali amici frequentare, dove e come. Insomma, spazi e attività sostanzialmente
obbligati in cui la personalità del bambino finisce per essere ristretta e dai quali
i bambini riescono ad uscire soprattutto
immaginando altre realtà, altre esistenze
rispetto a quelle decise da chi li “alleva”.
Nei giochi di finzione il divertimento del
bambino consiste nel dare libero sfogo alla propria fantasia, divertimento tanto
maggiore quanto più gli adulti gli “danno corda”, provando così di tenerlo in
IL GIOCO NELLO SVILUPPO DELLA CREATIVITÀ
considerazione per quello che egli fa e crede, e quindi nel riconoscimento della sua
personalità. Naturalmente, la capacità di
distinguere fra fantasie e realtà varia con
l’età dei bambini e le condizioni e le circostanze in cui vengono cresciuti.
I significati dei giochi
di finzione
I giochi di finzione sono spesso interpretati come fantasie e azioni che appagherebbero desideri non soddisfatti nella vita reale; inoltre, vi è chi ha sostenuto che tali giochi allontanerebbero il bambino dalla possibilità di maturare un rapporto diretto e autentico con la realtà e
le relazioni sociali. Questa interpretazione in qualche modo riduttiva dei giochi
di finzione è tuttavia smentita da numerosi studi condotti nell’ambito della psicologia dell’età evolutiva.
Per quanto riguarda la possibilità che i giochi di finzione ritardino la maturazione
della capacità di rapportarsi correttamente
alla realtà, si può agevolmente osservare
che nei giochi di finzione la realtà non viene distorta, bensì ricreata sulla base di elementi ricavati da un suo continuo esame.
Inoltre, un aspetto importante da tenere
in conto è che, nei suoi giochi di immaginazione, il bambino non scambia la finzione con la realtà: egli sa benissimo, per
esempio, che la scatola che, nella sua
mente, ha trasformato in un’automobile di Formula 1 è in realtà una scatola
e non una vera automobile da corsa.
Per quanto riguarda le relazioni sociali, si
può porre in rilievo il fatto che i giochi di
finzione le favoriscono in quanto il più delle volte essi sono immaginati dai bambini in contesti in cui sono presenti altri bambini, come accade in particolare nei giochi di ruolo in cui vengono assegnate, nel
gruppo di bambini che vi partecipa, le parti destinate a interagire “socialmente” fra
loro favorendo così lo sviluppo della capacità di rapportarsi agli altri, cioè di socializzare.
Da un punto di vista individuale, nel corso dei giochi di immaginazione, i bambini intrattengono un persistente dialogo
con se stessi, un’attività che potenzia la
loro capacità di descrivere e organizzare
le situazioni immaginate, di pianificarle, di
superare gli eventuali ostacoli. Tutto questo finisce per arricchire il linguaggio, la
memoria, la creatività e la capacità di autocontrollo e quella di risolvere problemi.
Il sostegno ai giochi
di fantasia
L’immaginazione nei bambini ha un suo
naturale sviluppo nel corso della crescita
e lo si può valutare mediante l’osservazione dei loro giochi; ovviamente il progredire delle capacità immaginative sarà
tanto maggiore quanto più ai piccoli verranno offerte possibilità di nuove e stimolanti esperienze e spazi, soprattutto
temporali, sufficienti per fruirne. A que-
27
L’immaginazione, la capacità di pensare e di creare situazioni
ed eventi indipendentemente da un rapporto diretto con la realtà, ha un ruolo fondamentale nello sviluppo cognitivo e affettivo di ogni bambino. Questa capacità comincia ad apparire in modo consistente a partire dal secondo anno di vita e si manifesta nei giochi, in particolare in quelli che vengono chiamati appunto di immaginazione, di fantasia o anche di finzione.
■ limitare il tempo dedicato alla televisione, al computer e ai videogiochi;
■ stabilire un tempo per il gioco così come si fa per le lezioni di piano, di danza, per lo sport, senza tuttavia far intendere al bambino che anche quello
del gioco sia un tempo obbligatorio, un
dovere da compiere;
■ incoraggiare la frequentazione di coetanei, sia nella propria abitazione sia,
soprattutto, in quelle degli altri;
■ partecipare ai giochi dei propri bambini;
■ narrare e leggere ad alta voce;
■ provvedere a che il bambino disponga, più che di giocattoli, di oggetti co-
muni che la sua fantasia potrà trasformare secondo le risorse e le esigenze della sua immaginazione;
■ mettere a disposizione del bambino
uno spazio nell’abitazione in cui egli
possa trovare vecchi vestiti e accessori come pettini, spazzole, specchi infrangibili ecc.;
■ consentire al bambino di usare i materiali più diversi (argilla, sabbia, pastelli,
acquerelli ecc.) e tutto quanto può servirgli per costruire il suo mondo fantastico e nello stesso tempo acquisire
una conoscenza diretta delle differenti sostanze di cui sono fatti gli oggetti, senza far pesare eccessivamente la
preoccupazione che metta in disordine o sporchi;
■ non interrompere all’improvviso il
bambino immerso nei propri giochi o
che sogna a occhi aperti.
Quello che è rilevante ricordare è che l’immaginazione non è una capacità, una funzione importante soltanto per lo sviluppo del bambino finché è piccolo: lo è per
tutta l’esistenza, se non altro per la necessità che ogni essere umano possiede
di poter trascendere realtà, spesso insoddisfacenti, cercando mentalmente
condizioni alternative proiettate verso mete esistenziali appaganti.
Considerata da questo punto di vista, la
Paul L. Harris, L’immaginazione nel bambino, Raffaello Cortina Editore, 2008.
Secondo una lunga tradizione intellettuale,
la vita immaginativa nella prima infanzia
sarebbe primitiva e disorganizzata.
Paul Harris si schiera contro questa tradizione, mostrando come la capacità di immaginare possibilità diverse dal reale contribuisca allo sviluppo cognitivo ed emotivo del bambino.
stimolazione dell’immaginazione nei bambini, favorendo i loro giochi specialmente di finzione e di ruolo, appare una modalità per meglio prepararli alla loro futura vita di adulti.
I giochi di immaginazione, oltre a favorire lo sviluppo dei sensi e della mente,
possono rivelare quello che il bambino
non può o non vuole dire con le parole. L’immaginazione è lo spazio in cui il
bambino è quello che vuole essere.
Mentre alla piccola Isabella di cinque anni, per ovvi motivi di sicurezza, non può
essere consentito che di essere accompagnata da casa alla scuola dell’infanzia
e da qui a casa, nei tempi e nei modi che
più rispondono agli impegni degli adulti, la “Regina Isabella”, quale la bambina si può immaginare, governa uno Stato, vivendo liberamente in un castello,
circondata da ancelle e paggi, giocando
tutti i giochi che più gradisce e quando
■
e con chi vuole.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
sto fine, forse ancora più importante è sottrarli ad attività che limitano la loro immaginazione: la televisione innanzi tutto.
La televisione, infatti, con i suoi schemi
narrativi ripetitivi non favorisce certo la
creatività; inoltre, sottrae tempo prezioso al gioco. Un altro effetto negativo, di
ottundimento dell’immaginazione è quello prodotto da un eccessivo uso di videogiochi. Da tutto queste emerge la responsabilità e la possibilità dei genitori di
favorire l’immaginazione dei loro bambini ricorrendo ad accorgimenti di semplicissima applicazione:
28
LO SVILUPPO DI “LEGGERE PER CRESCERE”
ELENCO PER GRUPPI DI LAVORO
Cognome
Zona
Cognome
Zona
Todeschini
Belloni
Albasini
Xam
Busti
Bongiovanni
Brunelli
Scardoni
Zenari
Bellini
Marin
Leoni
Scala
Vanti
Vardanega
Poffe
Burato
Castagna
Gugolati
Servidio
Mortaro
Rampin
Fiorio
Capuzzo
Moretti
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Bosco Chiesa Nuova / Velo / Cerro
Valpantena
Stellavena
Stellavena
Marzana
Quinto di Valpantena
Castel d’Azzano
Castel d’Azzano
Castel d’Azzano
Cerea
Cerea
Cerea
Nogara
Sanguinetto
Sanguinetto
Tosi
Soave
Bonuzzi
Begnini
Ragaiolo
Falsiroli
Righetti
Ferrarese
Almari
Bertolaso
Liò
Carner
Gallo
Lombardo
Varanelli
Bonincontro
Rens
Adami
Mirandola
Prandi
Bruni
Bonadiman
Mantovani
Scandola
Sanguinetto
Sanguinetto
Zevio
Zevio
Zevio
Zevio
Zevio
San Bonifacio
Zimella
Alberedo d’Adige
Verona Stadio
Verona Stadio
Quinzano
Verona Stadio
Borgo Trento
Borgo Trento
Bovolone
Bovolone
Bovolone
Bovolone
Bovolone
Isola della Scala
Isola della Scala
Isola della Scala
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
SCUOLE DELL’ INFANZIA COMUNALI CHE PARTECIPANO AL PROGETTO “TUTTI DIVERSI TUTTI UGUALI”
Insegnanti
Scuola dell’infanzia
Faccio Beatrice, Marocchio Donatella
Fraccaroli Rita, Ferrais Fiorella, Ficeli Camilla
Pianigiani Marinella, Tessari Raffaella
Bellinato Paola, Valsecchi Marina
Girelli Angiolina, Onorato Concetta
Dal Corso Loretta, Picelli Paola, Amadori Antonella
Danzi Sabrina, Spada Anna Maria
Perobelli Roberta, Piccoli Elisabetta
Peretta Giovanna, Sterzi Rosella
Pomari Ivana, Sartori Enrico
Aporti - Via Volturno, 20 (Borgo Roma) Circoscrizione 5a
Avesa - Via Premuda, 1 fraz. Avesa Circoscrizione 2a
Badile - Via Badile, 101 Circoscrizione 6a
Dall’Oca Bianca - Piazza Dall’Oca Bianca Circoscrizione 3a
Di Cambio - Via di Cambio, 11 Circoscrizione 3a
Monte Tesoro - Via Monte Tesoro, 24 Circoscrizione 7a
Prina - Via Prina, 10 Circoscrizione 4a
Primo Maggio - Via Teodolinda, 1 Circoscrizione 5a
Santa Croce - Via Turandot, 4/a Circoscrizione 6a
Villa Cozza - Via Ponchielli, 14 Circoscrizione 6a
EDUCATRICI E COORDINATRICI NIDI D’INFANZIA COMUNALI
Muraro Lucia, Bonomo Anna, Zanotto Elena
Buttura M. Elena, Cerpelloni Cristina, Smania Marisa
Borsato Luciana, Compri Paola, Peruzzi Elena
Brunelli Elisabetta, Cona Mariangela, Furlan Lucia
Asilo Nido S. Lucia "La Filastrocca" Via Salita S. Lucia, 21 - quartiere S. Lucia
circoscrizione 4a - zona sud-ovest
Asilo Nido Borgo 1° Maggio "Il Maggiociondolo"Via Teodolinda, 3 - quartiere
Borgo Roma circoscrizione 5a - zona sud
Asilo Nido S. Felice "Bruco Felice" Via Belvedere, 123 - quartiere San Felice Extra
circoscrizione 6a - zona est
Asilo Nido Porto S. Pancrazio"Il Porto dei piccoli" Via Marconcini, 3 - quartiere
Porto S. Pancrazio circoscrizione 7a - zona sud-est
29
Continua da pagina 9
Ascoltare significa dedicare tempo e attenzione, consentire al bambino di sentirsi libero di esprimersi, elemento importante per acquisire fiducia senza tuttavia venir meno alla responsabilità di svolgere sempre il ruolo di educatore. Infatti, il bambino, per crescere bene, ha sì bisogno di sentirsi amato, compreso e libero, ma anche di essere reso consapevole che vi sono dei limiti nel proprio agire che vanno rispettati. Funzione speciale del padre, nel quale (per la sua funzione
simbolica di “rappresentante della legge”), il bambino riconosce l’indiscutibile
punto di riferimento per il proprio giudizio e il proprio agire, è quella di contribuire alla costruzione del senso di sicurezza e dell’autostima di cui il bambino ha
bisogno per affrontare e superare le difficoltà della vita, da quelle del nascere a
quelle del crescere nel mondo.
Il bisogno di sicurezza
e di vicinanza
Non si considera qui la sicurezza fisica del
bambino affidata alle cure materiali (nutrizione, igiene, protezione dai rischi, vaccinazioni, controlli medici ecc.), bensì la
sicurezza in sé e nelle relazioni con gli altri, quella che maggiormente gli consente di sviluppare un’adeguata autostima e
di entrare e vivere nel mondo con fiducia. Intesa in questo senso, la sicurezza
trae origine e fondamento nei primi legami affettivi del bambino, in un complesso di scambi che gli psicologi dello sviluppo comprendono nel termine “attaccamento” (tema esposto nel capitolo 2
di questa pubblicazione). La sicurezza che
il bambino ricava dalla possibilità di stabilire tali scambi viene ritenuta l’ingrediente che più influisce sulla formazione
della sua personalità e dei rapporti sociali
nella sua vita futura.
L’attaccamento presenta tipi differenti fra
i bambini, per le differenti interazioni che
possono intercorrere, prevalentemente
con la madre ma anche con il padre, e ai
particolari tipi di cure genitoriali che vengono loro riservate:6
■ vi sono madri che comprendono i lo-
ro bambini fin da neonati e prontamente rispondono alle loro esigenze; a queste madri in generale corrispondono bambini sicuri;
■ vi sono madri poco disponibili verso
il loro bambino, non in sintonia con i
segnali che egli manda, che sostanzialmente lo trascurano, soprattutto
da un punto di vista psicologico e affettivo; a queste madri corrispondono spesso bambini definiti insicuri/evitanti nel senso di insicuri nelle relazioni
e poco interessati al contatto con la
madre fino ad evitarlo;
■ vi sono infine madri poco sensibili in
modo incostante: a volte disposte a
rispondere positivamente al bambino, altre volte a respingerlo quando
chiede attenzione; a queste madri
corrispondono bambini che dimostrano insicurezza e resistenza: sono
molto turbati quando vengono separati dalla madre, il cui ritorno però difficilmente li consola, mentre la
consolazione viene da loro alternatamente ricercata o rifiutata.
Naturalmente questa classificazione, pur
elaborata sulla base di osservazioni scientifiche, può presentare numerose e rilevanti varianti a seconda di fattori diversi: condizioni socioeconomiche della famiglia, nazionalità e quindi culture diverse, vissuti stressanti; tutti elementi (insieme con altri qui non presi in considerazione per brevità) che possono influenzare positivamente o negativamente i livelli di sicurezza o di insicurezza in
relazione all’attaccamento, specialmente nei primi anni di vita dei bambini, i quali, di solito, raggiungono una marcata stabilità solo dopo la fine del periodo prescolare della loro vita.
L’accento sul fondamentale ruolo della
madre nell’attaccamento non significa che
altre figure non possano avere una rilevante influenza, come è il caso del padre
o anche di persone estranee alla famiglia,
a cui tuttavia possono essere affidati i
bambini, purché la loro opera sia stabile
e qualificata. Quello che è importante ricordare è che la qualità dell’attaccamento, e il grado di sicurezza che ne deriva,
possono influenzare in modo rilevante nel
bambino lo sviluppo di importanti funzioni
■
psicologiche e sociali .7
1. Galimberti U., Dizionario di Psicologia,
Garzanti, 1999.
2. Bernardi M., L’avventura di crescere,
Fabbri, 1999.
3. Stern D.N., Le interazioni madre-bambino, Raffaello Cortina Editore, 1998.
4. Bernardi M., Op. cit.
5. Winnicott D.W., Through Paediatrics to
Psycho-Analysis: Collected Papers, Tavistock Publications, 1958.
6. Schaffer H.R., Lo sviluppo sociale del
bambino, Raffaello Cortina Editore, 1998.
7. Schaffer H.R., Ibidem.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
stabilendo una vicinanza fisica ed emotiva che si consoliderà provvedendo ad accudirlo: fargli il bagnetto, dargli il biberon,
cullandolo, sussurrandogli amorevoli parole, soprattutto, prestando attenzione alle sue esigenze. La disponibilità ad ascoltarlo dovrà essere ancora maggiore quando, di solito a partire dalla fine del primo
anno, il bambino comincerà a dire le prime parole significanti.
30 Libri in vetrina
A cura di WALTER FOCHESATO
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
Per i piccoli lettori
Per i genitori
HENRY WINKLER – LIN OLIVER
Illustrazioni di GIULIA ORECCHIA
MARIANA RUIZ JOHNSON
DAVID MCKEE
La mamma
Due mostri
Kalandraka, 2014
Pagg. 32, euro 16
Lapis, 2014
Pagg. 32, euro 12,50
Hank Zipzer e il giorno dell’iguana
Un breve testo che, fra rime e assonanze, ha l’andamento lieve e quasi ipnotico della ninna-nanna. Poche parole capaci di stabilire con le immagini un rapporto straordinariamente ricco, fatto di molteplici echi
e rimandi. Di albi sulla mamma ve ne sono, questo ha
un qualcosa di più e di diverso giacché riesce a tenere insieme, armonicamente, quotidianità e metafora,
esperienza personale e valenze simboliche. La mamma mette al mondo, nutre, protegge, gioisce e si arrabbia, narra e ascolta, fa crescere e sa che un giorno dovrà dare il la perché il suo cucciolo vada, da solo, incontro alla vita. Tutto vien detto o accennato attraverso tavole di grande sapienza che incantano e invitano ad una pausa lenta che esplori, evochi e colleghi. Il libro ha vinto l’ultima edizione di un premio prestigioso come il Compostela per gli albi illustrati. Mariana Ruiz Johnson è nata e lavora in Argentina e da
queste radici ha certo tratto un vivissimo senso del colore: caldo, festoso, ardito negli accostamenti. Una generosità che rallegra e stupisce e dove ogni pagina si
affida a uno o due toni dominanti. Arancio, sabbia, blu,
verde, azzurro, rosso paiono sottolineare anche le diverse situazioni psicologiche e narrative. Anche nell’articolazione grafica della pagina prevale una felicissima compenetrazione fra il mondo della natura, gli
animali e l’uomo talché, in più di un’occasione, la mamma è anche orso, coccodrillo, elefante, mucca, pesce,
pantera. Prevale, in altri termini, un sentimento “panico”, dove l’elemento naturale è forza vitale e creatrice..
Due mostri bruttissimi e ridicoli ma di quelli che non
fanno paura, grossi e tozzi, uno tutto rosso e con una
cresta arancione e l’altro, interamente blu con dei capelli tagliati a spazzola. Vivono separati da una grossa montagna ma, ogni tanto, comunicano attraverso
un buco. Un giorno il blu, in vena di poesia, dice che
il giorno se ne sta andando e l’altro replica un po’
stizzito che no, piuttosto è la notte che arriva. Da qui
inizia uno scambio di insulti che, dopo una notte di
rabbia, prosegue al sorgere delle prime luci: l’uno sostiene che la notte se ne va e l’altro invece ribatte che
il giorno sta arrivando. Se ne dicono di tutti i colori
(scemo, testa di rapa, cervello di gallina, ciccione ignorante, peloso nasone, pallone gonfiato, smidollato…).
Il rosso, infuriato, comincia a lanciare una pietra al di
là del monte. Da qui inizia una irrefrenabile escalation:
ingiurie e sassi sempre più grossi. Non riescono a colpirsi ma la montagna comincia poco per volta a sgretolarsi. La giornata passa e riescono finalmente a vedersi in faccia, l’uno dinnanzi all’altro, dato che la cima è completamente scomparsa. Ecco la rivelazione:
hanno ragione tutti e due. La notte arriva e il giorno
se ne va. Ineffabile la conclusione: “Ci siamo divertiti.” ridacchiò il primo mostro. “È vero”, fece il secondo mostro, sorridendo. “Peccato per la montagna”.
Piccola storia, semplice in apparenza, ma dalle molte
sfumature e possibilità di lettura: la forza prorompente
delle parole e la loro contemporanea ambiguità; il ruolo dei pregiudizi e quanto sia difficile estirparli; la logica dello scontro e le sue imprevedibili conseguenze; la montagna (la natura quindi) che viene distrutta dai mostri-uomini; una preziosa riflessione attorno
alle impuntature e alle rabbie infantili. McKee è uno
dei grandi maestri dell’illustrazione inglese e anche in
questo delizioso picture book squaderna tutta la sua vasta cultura figurativa. Convivono in lui una leggerezza fatta di nonsense, una vena acre e impietosa di sarcasmo, intessuta però di lieve follia sospesa fra Lewis
Carroll e Edward Lear.
Il nome di Henry Winkler è certamente legato alla fortunata serie televisiva Happy Days che dal 1974 al 1984
spopolò negli Stati Uniti e anche nel nostro Paese. Impersonava, infatti, Arthur Fonzarelli “Fonzie”, dall’immancabile giubbino di pelle nera. Accanto a ciò Winkler ha al suo attivo una intensa carriera non solo di
attore ma anche di produttore e regista cinematografico, così come è da rimarcare il suo intenso impegno
civile. Più recente è invece la sua attività di scrittore,
dove – assieme a Lin Oliver – riesce mirabilmente a
fondere la vena comica della vecchia sitcom con le campagne per la lotta contro la disabilità e in particolare
la dislessia. Dislessia di cui lo stesso Winkler ha sofferto durante l’infanzia e della quale certamente nei
suoi romanzi se ne possono rintracciare gli echi. Nel
mondo anglosassone la serie conta ormai non pochi
titoli e conosce un grande successo fra i giovani lettori. In Italia questo è il terzo episodio dopo Hank Zipzer e le cascate del Niagara e Hank Zipzer e la pagella nel
tritacarne, sempre accompagnati dalle vivissime illustrazioni di Giulia Orecchia. Hank è un ragazzino che
frequenta la scuola primaria: è indubbiamente simpatico, talvolta geniale e ha un gruppo di fedelissimi
amici che in questa spassosa e intrigante vicenda svolgono un ruolo non secondario. Ovviamente il suo rovello è il rendimento scolastico, soprattutto per quanto riguarda la scrittura e, ancor più, la lettura. Deve infatti fare i conti con un’insegnate ottusa e repressiva,
capace soltanto di mandarlo dal preside e affibbiargli
dei quattro. Le disavventure scolastiche, che conoscono un primo risultato positivo nel secondo episodio, e
i rapporti con gli amici si intrecciano altresì con le vicende di casa Zipzer. Colpi di scena, contrattempi, umorismo, comicità, elementi di riflessione si alternano in
queste piacevolissime pagine. Da non dimenticare che
le edizioni Uovonero hanno progettato graficamente i
volumi in modo da agevolare la lettura da parte di bambini e ragazzi come Hank.
Uovonero, 2014 - Pagg. 154, euro 12
31
BRUNO TOGNOLINI
Rime raminghe
Salani, 2013
Pagg. 96, euro 8,50
“Poesie scritte per qualcosa o per qualcuno che poi
girano il mondo di tutti”: così recita il sottotitolo che
ben indica la nascita di questa raccolta di 50 componimenti. Lavori nati da una commissione, nel senso più
alto della parola, da una piccola e magari inconsueta
richiesta di aiuto, pubblica o privata che fosse. Quasi
a ribadire il potere taumaturgico o comunque lenitivo dei versi. L’altro l’aggettivo “raminghe” aggiunge
un’ulteriore specificazione: perché lasciare che il loro
valore si esaurisca nell’arco breve di una mail o di una
lettura durante un incontro o, ancora, nella pubblicazione su di un quotidiano? No, serviva che queste rime incrociassero altre strade e presenze, continuassero
ad allietare, consolare, far pensare e magari arrabbiare altri bambini e adulti. Seminassero altre speranze e
prese di coscienza. L’autore nella Prefazione ricorda Fabrizio De André e scrive: “Che bravi questi poeti, ti tocca… ti piace: in quattro parole dicono che cos’è la poesia: un piacere e un dovere, un sentire e un mestiere,
un volo solitario e un patto con la propria gente: ti abbiamo concesso di fare il poeta, ora ci serve un canto: siediti e scrivi”. Impegno civile e tenerezza, sdegno
e invenzione, gioco linguistico e invettiva si alternano
in queste pagine nitide e alte. Ecco allora, giusto per
fare qualche esempio, rime per librai e bibliotecarie,
per maestre che vanno in pensione o che scompaiono, epitalami (componimenti per le nozze) e diritto al
sogno, gli incendi in Sardegna, la voce delle mamme
e Gianni Rodari. Riporto, di quest’ultima poesia, almeno
i versi finali: “Contro i Grandi Fratelli ignoranti, meschini
e corrotti/ Tutti noi tamburellanti di rima/ Tutti noi musicanti di Brema/ Noi poeti un po’gatti, un po’galli, un
po’ cani e somari/ Camminiamo sulle strade aperte/
da Gianni Rodari”.
STUART BROWN – CHRISTOPHER VAUGHAN
Gioca!
Ultra, 2013
Pagg. 240, euro 16,50
ANNA OLIVERIO FERRARIS
Non solo amore. I bisogni psicologici dei
bambini
Giunti, 2011 - Pagg. 224, euro 9,50
Il lungo sottotitolo spiega già molto bene gli intendimenti del libro: Come il gioco può formare la mente, aprire l’immaginazione e costruire la felicità. Si tratta, in effetti, di un manuale accattivante e coinvolgente che,
con un linguaggio semplice ma non banale, prende
in esame l’attività ludica nei suoi diversi e molteplici
aspetti. Insomma, un efficace strumento di divulgazione, ricco di esempi e di riflessioni, con un approccio positivo tipico della tradizione anglosassone. Ad
esempio, fin dalle prime pagine, rifiuta di dare una vera e propria definizione del gioco sostenendo che si
tratta di “un’attività primaria” che viene prima della
consapevolezza e della parola e più avanti si aggiunge: “Non ci sarà mai modo di comprendere realmente il gioco senza ricordare le sensazioni che si provano. Lasciare fuori dalla scienza l’emozione che esso scatena sarebbe come dare un ricevimento e servire immagini di cibo”. Brown individua al tempo stesso quelle che sono le proprietà del gioco: l’apparente assenza di scopi, la volontarietà, l’innata capacità di attrazione, il liberare il tempo, la ridotta consapevolezza di
sé, un potenziale di improvvisazione e il desiderio di
continuità. Alternando elementi di neuroscienza e biologia, sociologia e psicologia, facendo ampio riferimento al racconto delle proprie esperienze o citando
il comportamento ludico degli animali si mostra come il gioco sia qualcosa che ci accompagna (o dovrebbe accompagnarci) per tutta la vita perché in questo modo siamo più pronti a far fronte all’inatteso, a
cercare nuove e diverse soluzioni e ad avere un atteggiamento ottimistico verso la realtà quotidiana.
L’autrice insegna all’Università “La Sapienza” di Roma ed è, senza alcun dubbio, una delle figure di maggior prestigio nel campo della psicologia dell’età evolutiva. Dirige la rivista “Psicologia contemporanea”,
collabora a numerose pubblicazioni fra le quali andranno citati due periodici molto diffusi nel mondo
degli insegnanti: “La vita scolastica” e “Scuola dell’infanzia”. Non solo amore è apparso in prima edizione
nel 2005 e da allora ha conosciuto non poche ristampe. Un lavoro quanto mai ricco di stimoli e di
pacate, preziose osservazioni, utile sia al genitore sia
ad ogni educatore. Particolarmente efficace, sembra
poi, un’articolazione in parole chiave che, disposte
in ordine alfabetico, prendono in esame temi, modi
e problemi del mondo del bambino: da Adozione a
Viziare i figli, poco meno di settanta termini che dai
primi anni di vita giungono alle soglie dell’adolescenza. Basti qualche termine di esempio, anche per
dar conto dell’ampiezza degli aspetti affrontati: Amico immaginario, Consumismo infantile, Disegno, Dislessia,
Filastrocche, Giocare con le costruzioni, Intelligenza sociale, Noia, Ridere insieme, Sessualità infantile, Umorismo dei
bambini, Vacanze. Tutta questa parte è preceduta da
due capitoli: uno dedicato agli stadi dello sviluppo e
l’altro, di carattere più introduttivo. Scrive fra l’altro
l’autrice: “Sapere che c’è qualcuno che ci pensa e ci
accetta senza condizioni, non soltanto quando siamo ‘buoni’ o rendiamo a scuola, è un’esperienza fondamentale negli anni dell’infanzia che alimenta il senso di sicurezza personale”.
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
Per gli educatori
Il Progetto “Tutti DIVERSI Tutti UGUALI”
è promosso da GlaxoSmithKline
per contribuire allo sviluppo di un piano
di collaborazione permanente
fra educatrici di asili nido,
insegnanti di scuole dell’infanzia,
pediatri, esperti di educazione speciale,
psicologi, Istituzioni, famiglie, finalizzato
al riconoscimento e alla cura dei
LEGGERE PER CRESCERE • INVERNO 2014
bambini con bisogni speciali.
GlaxoSmithKline (GSK) è una multinazionale farmaceutica, basata sulla ricerca, nata nel dicembre 2000 dalla fusione di Glaxo Wellcome e SmithKline Beecham. In Italia GSK è presente dal 1932 e ha sede principale a Verona dove si trova uno dei due stabilimenti produttivi del Gruppo, dedicato alla produzione mondiale di antibiotici sterili, mentre il sito di San Polo di Torrile (PR) si occupa dello sviluppo di nuovi prodotti in forma sterile e della produzione di vaccini e di liquidi e liofilizzati sterili a livello mondiale. A Baranzate (MI) sono infine concentrate le attività relative ai prodotti da banco e di largo consumo.
Nell’ambito delle proprie iniziative a favore della comunità, GSK sviluppa in Italia dal 2001 interventi a favore dei bambini e degli anziani con il Programma
di responsabilità sociale “Salute & Società”.
Periodico del Progetto “Leggere per Crescere” - Registrazione del Tribunale di Verona n. 1602 del 17/6/2004
Direttore responsabile: Romolo Saccomani
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