Luca Flora Liceo Classico Galileo Arrivederci
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Luca Flora Liceo Classico Galileo Arrivederci, ragazzi Aristocle assaporava l'aria della patria, inebriandosi degli aromi che per lungo tempo gli erano stati negati. Avanzava con passi decisi immerso nel salmastro odore del porto, mentre aumentava sempre più la distanza tra sé e la nave con cui era appena approdato; il sole non aveva ancora raggiunto la metà del suo corso. Dopo tanto tempo lontano da casa, sentiva di non volere e di non potersi permettere di sprecare altro tempo, e pertanto si affrettò a cercare informazioni circa la residenza del magistrato incaricato delle questioni religiose. L'uomo trovò le risposte che cercava presso una nutrita compagnia di pescatori, seduta sotto un porticato a ristorarsi dalla canicola estiva: i più anziani del gruppo gli menzionarono un edificio al limitare della città alta, una costruzione di cui Aristocle aveva solo una vaga rimembranza, ma, non meno deciso, l'uomo riprese la sua spedita marcia. Attraversando le strette vie della città, molteplici si affollarono le ombre nella sua mente, piacevoli ricordi di una fanciullezza gioiosa uniti a cupe e più vivide memorie, della specie di quelle che sono solite offuscare la mente di un uomo non più giovane. Nel percorrere il fitto borgo di abitazioni che sorgeva nell'altipiano sottostante l'Acropoli, Aristocle, sommerso dai ricordi, passò con noncuranza la mano sulle sbarre di uno stretto cancello in bronzo, poco prima di arrestare il passo, nel ricordare di averlo già visto, dodici anni prima. Gli tornò dunque alla mente quel che mai aveva dimenticato. La marina brezza del vespero cominciava a soffiare sui polverosi marmi della città, ristorandola dalla calura dell'inizio dell'estate. Un uomo avanzò con passo grave verso il centro del cortile. Ricordava egli nell'aspetto un sileno: non era uomo imponente o maestoso, ma celava, dietro la lunga barba canuta, un fiero cipiglio, manifestamente tradito da neri occhi brillanti che ora fissavano i tre giovani appena entrati dal piccolo cancello di bronzo. Il più giovane dei tre, un fanciullo dalla lunga chioma fulva, si fece avanti come per parlare, ma il maestro alzò una mano - No - disse con voce quasi stanca. Egli sapeva, ma questo anche i discepoli già lo sapevano. Socrate fissò i suoi occhi in quelli del giovane, scrutandolo con un'espressione pensosa, che - come spesso accadeva - presto si sciolse in un sorriso benevolo. - Ebbene, quale sortita avete mai escogitato? - chiese l'uomo, divertito. La salita verso la città alta si fece improvvisamente più ripida, e Aristocle si trovò a doversi fermare con il fiato corto a metà di una scalinata di marmo ormai logoro, quale la veste di un re mendico. Egli sapeva di tornare alla città natale da uomo ben diverso da quello che ne era fuggito per disgusto e per vile necessità, temendo la pena che altri avevano scontato per lui. Se fosse divenuto uomo migliore o peggiore, non avrebbe saputo dirlo con certezza, e incautamente egli si sarebbe detto più saggio. Ad ogni modo, era certo di essersi fatto assai più consapevole contemplatore della vita; solo lo schiavo in terra straniera - si diceva talvolta - conosce davvero il valore di vivere libero in patria. Ansante per la fatica, ampiamente corroborata dal calore del sole del mezzogiorno, Aristocle si aggiustò il pesante mantello da viaggio sulle spalle, assicurandosi che la piccola borsa di oro fosse ancora al suo posto, celata all'altezza della cintola, un sonante ricordo di una vita da poco scampata. Radunate le forze ed i ricordi, riprese a salire. Fedone , tanto più corrucciato quanto più l'altro pareva giocondo, sostenendo con fierezza lo sguardo del maestro, rispose - Un carro è già stato preparato; mio fratello è abile nocchiero e ti condurrà al porto prima che la notte sia inoltrata - Si voltò indietro, verso l'entrata del cortile, e aggiunse con tono di poco più basso Non è alto il prezzo delle guardie - .Il giovane accennò ad una piccola sacchetta di pelle che gli spuntava appena dalla candida tunica. -Suppongo sia Megara la città dove mi suggerirete di fare riparo.- I tre assentirono tacitamente, all'unisono, e Socrate si fece pensoso, come assorto nell'esame di un qualche ragionamento di un suo discepolo, mormorando distrattamente tra sé. Dopo una meditazione che ai giovani parve durare un'eternità - Mio carissimo Fedone - cominciò all'improvviso il maestro - Non solo la vita di un uomo non può essere misurata a peso d'oro, ed essa si estende infatti ben al di là di quanto ci è dato vedere, ma, inoltre, subire un torto che la danneggi a noi stessi è assai più auspicabile che commettere un'ingiustizia nei confronti di altri: solo così l'uomo saggio può ancora godere della reputazione di giusto. La liquida luce che splendeva fulgida dalle marmoree superfici dell'Acropoli accolse Aristocle nella piazza, abbracciandolo col suo tiepido candore. Lo spazio, celato in un primo momento dall'accecante bagliore, si svelava ora rapido ai suoi occhi, mostrando tutt'intorno l'ampia pavimentazione lastricata, sotto la quale giaceva da tempo immemore il cuore della città di Atene. Aristocle riconobbe in un attimo forme, luoghi e figure ricoperte dal velo di polvere della sua memoria di esule, ed accolse ogni dettaglio dapprima con sincero e gioioso piacere, lo stesso che prova chi ritrova un amico che ormai si credeva perduto, ma, poco dopo, alla gioia subentrò la triste amarezza nostalgica di chi ritrova un amico che è ormai divenuto estraneo alla stessa memoria che se ne conservava. Aristocle si trovava nell'esatto centro della vita politica e sociale della città, nel più splendido esempio della gloriosa magnificenza di Atene, baluardo dell'Ellade, oggetto d'invidia presso ciascuno dei popoli che abitavano il vasto cerchio delle terre, madre di eroi e fredda matrigna che condannò a terribile pena il suo più prodigo figlio. Le ginocchia gli cedettero a quel pensiero. Nulla pareva poter scalfire la sua salda ed incrollabile convinzione: non valse agli affranti discepoli argomentare in quanto grave biasimo dei concittadini sarebbe incorso il suo nome, né tantomeno indicare al maestro l'evidente iniquità del giudizio ateniese. Egli, immobile al centro del piccolo cortile, ascoltava con imperturbabile serenità le parole dei giovani. Quando poi anche Critone ebbe finito di parlare, - Figli miei, disse Socrate - non fuggirò da questo carcere, trasgredendo le leggi prescritte dallo Stato di Atene. Sarebbe infatti per me dolce sopra ogni cosa poter continuare con voi la ricerca del vero che per tanto tempo ha occupato i nostri giorni, ma questi miei paiono essere giunti ad un termine, ed Atene ha decretato che domani mi darò la morte bevendo l'estratto della cicuta. Non è lecito, per colui che mira alla saggezza, contravvenire alla legge dello Stato per proprio tornaconto, questo è ben comprensibile; inoltre, se vogliamo vivere secondo la regola che dice giustificabile il solo torto che noi stessi subiamo, dovremo accettare di non renderci in modo alcuno responsabili di ipocrita tradimento agli occhi dello Stato, come accadrebbe se insultassimo, infrangendole, quelle stesse leggi che prima avevamo grandemente lodato per la tutela che ci garantivano. Queste norme vanno insomma accettate in maniera integrale, dacché adoprarle, come pur molti fanno, esclusivamente quando esse volgono a nostro favore, rende degni dello stesso biasimo che si riserverebbe ad un sicofante, ad un fuorilegge. Che valore avrebbe mai il mio insegnamento qualora io, che sempre vi ho predicato la rettitudine, scegliessi di fuggire la mia condanna per avere salva la vita? Non diverrebbero forse i miei precetti la misera carcassa di una gran nave sventrata dagli scogli?Taceva poi il maestro, splendendo di amara fierezza. Tacevano i discepoli, pur col volto solcato di lacrime, non per straziante pietà ma per assenso. Il tramonto estivo ritraeva le sue dita di rame dalla volta celeste, sgombra di nuvole e già satura d'astri. - Il nostro buon carceriere è stato fin troppo indulgente- Disse l'uomo, con tono alquanto mutato, -Fareste meglio a tornare alle vostre case; presumo che domani sarete di nuovo da queste parti. Fedone, Critone, Aristocle. - Socrate fissò intensamente il più silenzioso dei suoi discepoli, dopodiché, congedandoli, sorrise. -Arrivederci, ragazzi. Giunto presso la residenza del magistrato incaricato delle questioni religiose, Aristocle espose all'uomo il suo caso, informandolo su come ed in che misura intendeva acquistare una porzione del terreno boschivo consacrato all'eroe Academo grazie alla cospicua quantità d'oro di cui era in possesso, senza tuttavia specificare in maniera eccessivamente dettagliata come l'avesse ottenuta, sia per non prolungare la discussione più di quanto fosse necessario, sia per tenere a freno l'indomito groviglio dei ricordi. Il magistrato si mostrò più che favorevole all'offerta di Aristocle e, dopo avergli illustrato la non magnifica situazione in cui versavano le casse della città, accettò di buon grado di condurlo fino dall'esattore designato e perfino di procuragli un cavallo che gli consentisse di raggiungere il sacro luogo, situato nella lontana periferia. Il gelo del mattino attanagliava ancora con tenace morsa l'aria immota del bosco, senza accenno alcuno a cedere il passo con l'avvicinarsi della fine dell'inverno. Nulla poteva il sole, che sotto una spessa coltre di candida foschia pareva essersi allontanato ancor più dal mondo dei viventi. Un solo uomo osava frequentare l'Accademia a quelle giovani ore, o perché immune al freddo, come dicevano molti, o perché troppo assorto nelle sue scritture per curarsene, come sosteneva qualche sparuto profano. Aristocle osservava pensoso il cumulo di carte arrotolate che disordinate popolavano il suo tavolo; spirava in quel momento su di lui l'appagante senso di soddisfazione di chi si avvicina alla conclusione di una sofferta opera. Dopo qualche istante di ulteriore ponderazione, intinse lo stilo e scrisse sull'ultimo rotolo ancora non del tutto riempito: "Furono questi gli ultimi giorni di vita di Socrate di Atene, figlio di Sofronisco, l'uomo più saggio che io abbia mai conosciuto. Affido il suo estremo precetto al papiro dalla lunga memoria, affinché mai possa perire il suo ricordo, fintantoché vivranno uomini abbastanza assennati da riconoscerne l'immortale valore. Questo è quanto riporta Aristocle di Atene, da molti detto Platone, discepolo di Socrate."