Mario Cortellese e il profondo mosso della nostra vita comunitaria

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Mario Cortellese e il profondo mosso della nostra vita comunitaria
Mario Cortellese e il profondo mosso della nostra vita comunitaria
di Giuseppe Grasso Leanza
Nel Pantheon ideale di Acireale, per la città che si sottrae alla tentazione autoreferenziale,
riposano uomini e donne che oltrepassano lo stereotipo localistico per quell’attitudine o
quell’accidente del destino che hanno loro consentito di vivere un’esperienza aperta alle
tendenze e agli influssi di tipo per così dire «cosmopolita». Fra queste donne e questi
uomini, che sono tanti ancorché non di rado relegati nel limbo della damnatio memoriae, va
iscritta la figura di Mario Cortellese (Melegnano 1913 – Acireale 2010) che è riuscito ad
annodare – pure nell’apporto fecondo della relazione sentimentale ed intellettuale con la
moglie Elena Platania – la trama d’una tela ricca di suggestione, spiritualità, intelligenza...
L’occasione di ripensare Mario Cortellese è data dalla recente pubblicazione, per i tipi
dell’editrice Studium, degli “Atti” del Convegno (Acireale, ottobre 2012) dedicato per
l’appunto a “Mario Cortellese, un laico cristiano a servizio del bene comune”. L’uno e gli altri
– il Convegno e gli “Atti” – sono stati apprezzabile iniziativa della Diocesi di Acireale, della
Presidenza nazionale e del Gruppo acese del Movimento ecclesiale di impegno culturale
(Meic).
E questa occasione è a sua volta occasione per ripensare la storia del pensiero, lo sviluppo
degli eventi e la personalità dei protagonisti della vicenda acese. Infatti, l’interrogativo sul
punto – quanta parte della trama intessuta da Cortellese sia coerentemente intrecciata al
vissuto della nostra comunità – se per certi versi è irrilevante, considerato l’ampio orizzonte
che accoglie Cortellese, per altri versi potrebbe essere utile all’avanzamento della
storiografia acese. E lo sarà, utile, se una giovane generazione di studiosi mossa da
curiosità intellettuale e non da partigianeria ideologica – sottraendosi al torpore del tipo
«come scrive… » o alla ripetitività digitale del «copia-incolla» – si inoltrerà a colmare il gap
che separa l’informazione storica allo stato attuale delle ricerche e la più complessa
articolazione di idee, avvenimenti e attori sul palcoscenico locale.
Probabilmente, la figura di Cortellese verrà oscurata oppure cadrà nella dimenticanza o
nell’indifferenza oppure forse, ancora, verrà metabolizzata nell’indistinto apologetico
formale, com’è avvenuto per altre significative personalità nel quadro – nel migliore dei casi
– di un impianto storiografico di derivazione liberale. Il quale – in sé pregevole, per lo meno
in alcuni apporti, nella linea di Benedetto Croce o Adolfo Omodeo – ha tuttavia costituito
unico, o comunque prevalente, paradigma interpretativo di uomini e cose della nostra terra,
di fronte all’assenza o quanto meno all’incertezza d’una visione critica o dubitativa e alla
timidezza della ricerca che s’inoltri scandagliando il profondo mosso della vita comunitaria.
Si pensi, al riguardo d’altri paradigmi, alla lettura storico-filosofica sulla linea di A. Gramsci,
alla storiografia cattolico-liberale di A.C. Jemolo e a quella laica d’ascendenza
risorgimentale di G. Spadolini. Per tutte e tre, nella loro reciproca e feconda
contaminazione, vale ricordare la riflessione filosofico-politica, anch’essa di tipo
«cosmopolita», che veniva proposta dal nostro don Giuseppe Cristaldi.
In questa prospettiva si inquadra la figura e l’azione di Mario Cortellese. Se una giovane
generazione di studiosi freschi e attenti riuscisse – nell’ottica della storia locale – ad
azzardarne l’accostamento di pensiero con quello, diciamo a caso, di Vittorio Grassi
Nicolosi, Pasquale Pennisi di Santa Margherita, Francesco Maugeri, Giovanni Cirelli,
Giuseppe Caltabiano, Rosario Caltabiano o don Giuseppe Cristaldi… se ciò avvenisse, se
ciò un giorno avverrà, probabilmente ci accorgeremmo della presenza d’un pensiero
alternativo, complesso, articolato e anche dialettico al proprio interno, comunque di
rilevante spessore, che pure nella nostra comunità si è confrontato con le altrettanto
variegate tendenze del pensiero liberale.
Se ciò avvenisse, se il conflitto culturale politico sociale quale si è realmente sviluppato
nella città venisse raccontato con metodo e nel merito piuttosto che ovattato, messo fra
parentesi e assorbito nell’indifferenziazione, il panorama culturale acese nel suo complesso
ne sarebbe arricchito. E così, per esempio, per uscire dall’indistinto e dal generico, anche
l’epica contesa elettorale del 1913 fra il barone Giuseppe Pennisi di Santa Margherita e
l’on. Giuseppe Grassi Voces si libererebbe forse da «lacci e lacciuoli» interpretativi per vari
aspetti inadeguati e verrebbe intesa per quello che essa è stata in realtà: non lotta di
«signorotti paesani della stessa pasta», come ripete una pubblicistica consolidata tuttavia
poco convincente, ma confronto fra visioni diverse, fra ideali valori interessi differenti. La
vicenda di Acireale, in quell’epica contesa del 1913, fu «metafora dell’Italia giolittiana»,
come ha scritto – voce solitaria nel deserto – ancora il nostro don Giuseppe Cristaldi.
Mario Cortellese, pure lui, è stato testimone d’un pensiero alternativo. L’aveva maturato
nella Fuci romana degli anni Trenta e nella familiarità con l’associazionismo cattolico che si
giovava della guida spirituale e intellettuale di don Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo
VI. Quando, dopo la guerra e dopo avere sofferto la prigionia in Germania e Polonia,
Cortellese – che aveva già sposato Elena Platania, nostra conterranea, anche lei
«cosmopolita» – si stabilì ad Acireale, s’inserì nella realtà acese (e catanese) apportandovi
il vissuto di tale background esistenziale e culturale. Partecipò alle iniziative fondative e di
crescita della Democrazia Cristiana della nostra provincia, cui diede il proprio contributo
anche critico di idee e di impegno; assunse la direzione di periodici cattolici oltre che diversi
incarichi sia negli organismi regionali e nazionali del Movimento Laureati e della stessa
Azione Cattolica sia nella Diocesi di Acireale dove operò quasi ininterrottamente fino alla
morte.
Non si può rendere conto, nei limiti d’una recensione, della complessità dei contributi offerti
dai vari relatori nell’analisi dell’impegno di Cortellese «nella Chiesa, nella scuola e
nell’informazione» nel contesto della «vocazione di laico cristiano» (A. Raspanti, vescovo
della Diocesi di Acireale). Va tuttavia sottolineato in via d’inquadramento che se è vero,
come è vero, che le idee camminano sulle gambe degli uomini, il cattolicesimo politico
italiano – dagli anni Trenta fino agli inizi del nuovo secolo – ha conservato, nell’evoluzione
del tempo e in forme diverse, la sua presenza grazie all’impegno di uomini che, come per
l’appunto Mario Cortellese, ne hanno dato testimonianza garantendone la sopravvivenza
anche nei tempi bui, come quelli attuali, della vita del Paese.
Quando si trasferì definitivamente ad Acireale, Cortellese e il suo pensiero non si inserivano
in un terreno da dissodare. Quel terreno era stato solcato, profondamente e fecondamente.
Tralasciando i percorsi illuministici che avevano interessato il territorio delle Aci fino a
raggiungere il «circolo illuministico e democratico» di mons. Salvatore Ventimiglia vescovo
di Catania, vale ricordare che cattolicesimo liberale prima, cattolicesimo sociale dopo,
popolarismo sturziano, infine, avevano piantato radici anche nella nostra comunità. Si
pensi, per fare un altro esempio, al «III Congresso regionale» dell’Opera dei Congressi e
dei Comitati cattolici che si era svolto proprio ad Acireale (1897) e nel quale s’era imposta,
attraendo anche l’attenzione delle alte sfere vaticane, la personalità «cattolico-sociale» di
mons. Salvatore Bella il quale – ancorché poi (1921-1922) vescovo di Acireale (dopo
Foggia) – è stato, anch’egli, travolto (salvo rare eccezioni) nella damnatio memoriae o
quanto meno relegato nel recinto caro alla concezione liberale intorno alla «religione come
fatto privato».
E ciò vale anche per il popolarismo nel territorio della diocesi acese – per fare qualche
nome: Giovanni Continella, Pietro Grassi Badalà, Francesco Greco, Pietro Lisi, Giovanni
Rossi Cardillo, Alfio Scaccianoce, Raffaele Valerio … (si vedano al riguardo le pagine della
rivista “Scudo Crociato”, 1920, presso la Biblioteca Zelantea) – che riscuoteva l’interesse ed
ebbe pure il sostegno del vescovo mons. G.B. Arista. Il quale, povero buon vescovo, anche
questo ebbe a pagare! Da ultimo con l’ostilità non dichiarata ma serpeggiante – secondo
alcune «voci» che hanno valore di «questione storiografica» – la quale ne avrebbe
accompagnato (e rallentato) il processo di beatificazione. E, per uscire ancora
dall’indistinto, non fu un caso che l’avvio dell’impegno politico di Rino Nicolosi – dopo
l’esaurimento della «rivoluzione copernicana» avviata negli anni Cinquanta dai «giovani
turchi» – ebbe a suscitare entusiasmo nelle fila dell’associazionismo cattolico acese ove
egli aveva militato e di cui mostrava d’interpretare la tradizione cattolico-democratica e
raccoglierne il testimone. Tale entusiasmo sorresse il debutto di Nicolosi in occasione della
competizione per il Comune (1970) che mobilitò molti dei giovani cattolici in primo luogo di
quelli della Federazione universitaria (Fuci) di Acireale, motivati in favore di Nicolosi nella
prospettiva del «rinnovamento dall’interno della Democrazia Cristiana». E in
quell’occasione, il primo comizio elettorale di Nicolosi nella storica piazza Duomo di
Acireale vedeva sul palco, accanto a lui, proprio il nostro Mario Cortellese (oltre a Nino
Rizzo). Un sodalizio – quello fra Cortellese e Nicolosi – che nel tempo ebbe ad affievolirsi
lungo un processo di differenziazione che raggiunse il punto apicale nel contesto delle
amministrative del ’94. Ma questa è una storia ancora tutta da scrivere. Ed è una lacuna del
Convegno su Cortellese (critica che vale anche per chi scrive queste note) che sul tema
non ci sia stata attenzione, un’altra occasione perduta su un’altra delle pagine controverse
della nostra storia patria.
In più ampia prospettiva, per tornare agli “Atti” del Convegno, il racconto di Cortellese
accompagna l’itinerario critico della Chiesa e del movimento cattolico in tre fasi della storia
recente del Paese: negli anni Trenta con il fascismo, fra consenso e resistenza; negli anni
Sessanta con il comunismo, fra avanzamento democratico e revanscismo autoritario; negli
anni Ottanta con il trionfo dell’Occidente, fra demagogia trionfalistica e fiducia nella
«potenza dello Spirito». Nel rinviare per l’approfondimento dei vari temi alla lettura degli
“Atti” qui presentati, vale evidenziare che la biografia ragionata di Mario Cortellese quale ci
viene così consegnata, se da un lato, come s’è detto, rappresenta una sollecitazione allo
sviluppo della ricerca storiografica locale (che si potrebbe giovare della pregevole e
puntuale ricostruzione avviata da Felice Saporita), dall’altro lato consente una ragionata
rivisitazione dell’impegno dei «laici considerati al “crocevia” tra la Chiesa e il mondo, che
stanno nel mondo senza uscire affatto dalla Chiesa» (M. Naro). Ed è questo il punto, oggi
come ieri, oggi più di ieri.
Giuseppe Grasso Leanza