suor Gesuelda Paltenghi Rep.dem.Congo
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suor Gesuelda Paltenghi Rep.dem.Congo
La testimonianza di suor Gesuelda Paltenghi, ex Generale delle Poverelle, missionaria in Africa LA PACE E’ UNA SPERANZA CHE NON MUORE NELLA SUA ESPERIENZA MISSIONARIA HA VISSUTO IL DRAMMA DI QUATTRO GUERRE: DUE IN ANNI LONTANI NEL CONGO BELGA CHE STAVA PERCORRENDO LA DIFFICILE STRADA DELL’INDIPENDENZA DAL COLONIALISMO, DUE IN ANNI RECENTI NELLO STESSO PAESE AFRICANO, RIBATTEZZATO ZAIRE E ORA CHIAMATO DI NUOVO REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO. GUERRE VERE, NON DELLE “FICTION” Chissà quali ricordi avrà fatto affiorare nel cuore di suor Gesuelda il crepitare ossessivo dei botti con cui nell’ultima notte dell’anno appena concluso è stata accolta la nascita del nuovo anno. Un 2003 all’insegna della pace, come tutti si augurano, accolto, in segno di festa, con i rumori e i bagliori della guerra. Per molti di noi la guerra è solo una ‘fiction’ da spegnere col telecomando, una realtà virtuale a cui ci siamo assuefatti senza averne fatto, per fortuna, esperienza diretta. Suor Gesuelda la guerra ce l’ha ancora negli occhi. L’ha vista, vissuta e sofferta con la sua gente nei lunghi anni del suo servizio missionario in una terra africana che ha cambiato più volte nome e padroni, ma non è riuscita ancora a trovare la strada della pace. E’ davvero singolare l’esperienza di questa missionaria bergamasca, ex Madre generale delle Suore delle Poverelle che, prima e dopo aver svolto in Italia questo importante servizio alla guida del suo Istituto, si è trovata a vivere ben quattro guerre, vere e dolorosissime: due in anni lontani nel Congo Belga che stava percorrendo la difficile strada dell’indipendenza dal colonialismo, due in anni recenti nello stesso Paese africano che era stato ribattezzato Zaire e che ora si chiama di nuovo Repubblica Democratica del Congo. Cambiano i nomi, ma la situazione di guerra e di miseria è quella di sempre. Come lo sfruttamento e la paura. RICCHEZZA, NEMICA DELLA PACE Il Signore le ha riservato il ‘privilegio’ di essere presente ad ogni appuntamento doloroso della storia in una terra le cui enormi ricchezze costituiscono, in un certo senso, la sua enorme miseria. Lo afferma con convinzione suor Gesuelda Paltenghi, forte della sua esperienza vissuta in prima linea e a fianco della gente. Quasi venticinque anni di missione in due puntate: lunga la prima, tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’70; più breve, ma intensa la seconda, alla fine degli anni ’90. In ogni caso anni cruciali nella vita del popolo congolese. E’ una ricchezza che fa gola a chi è già ricco, quella del Congo, e che nasconde interessi giganteschi. Una ricchezza che corrompe nel profondo chi dovrebbe tutelarla per il benessere del proprio Paese. Una ricchezza capace di scatenare guerre senza fine e di generare miseria. Per questo, quando la pace sembra un obiettivo a portata di mano, accade qualcosa che rimette tutto in discussione. “Un recente incontro a Pretoria tra le fazioni in lotta aveva riacceso speranze di pace. Me ne ero rallegrata per quella gente stremata da lunghi anni di fughe, di paure, di fame. Ma la scorsa settimana sul quotidiano “Avvenire” ho letto che nell’Alto Congo è ripresa la guerra. E così si ricomincia a scappare, a soffrire, a morire”. Suor Gesuelda ha ricordi ancora molto vivi dei momenti terribili che con le consorelle ha vissuto a fianco della sua gente: l’angoscia dell’attesa per una guerra che si fa sempre più vicina e concreta; il fiato sospeso nei momenti dell’aggressione fisica, sotto la minaccia di un fucile puntato alle spalle; il terrore per un bombardamento annunciato per snidare i ribelli nascosti nel quartiere; l’affanno della fuga con i malati dell’ospedale caricati sulle spalle dei parenti e la fatica del cammino per mettersi in salvo. “Mi sembrava di vivere l’esodo degli Ebrei attraverso il Mar Rosso. Non sapevamo come salvarci tra l’esplosione delle bombe che cadevano accanto a noi. Giornate indimenticabili quelle di fine agosto ’98. Ci siamo rifugiati in un centinaio di persone nella nostra casa provinciale a 10 chilometri dal nostro quartiere diventato uno scenario di guerra. E lì abbiamo atteso oltre una settimana di poter tornare a casa. Il nostro ospedale non aveva subito danni, ma le strade erano disseminate di cadaveri e di carri armati”. La guerra era passata di lì e aveva preteso il suo tributo di morte. Poi la vita era ripresa, lentamente, con la speranza che la situazione potesse tornare normale. Ma sulla ‘normalità da quelle parti non si può davvero far conto più di tanto. E ricominciare, in un paese allo sbando e ormai privo di strutture pubbliche, in cui la gente continua a soffrire e a pagare le conseguenze di interessi enormi e lontani, non è facile. UNA TENACE SPERANZA DI FUTURO Quali possono essere, allora, in un simile scenario di morte, le speranze per il futuro? “Ci sono, ci sono –ribadisce suor Gesuelda. Nonostante la miseria, i disagi in cui la popolazione congolese è costretta a vivere, mi riempie di stupore il desiderio che si mantiene vivo dentro ciascuno, di migliorare, di credere al futuro. Di guardare avanti e di ricominciare sempre. Mi commuove la loro tenacia. Noi saremmo già morti…; loro sanno resistere, senza piangersi addosso. Per i cristiani, poi, questa tenacia si trasforma in speranza, la speranza nel Dio provvidente che ascolta il grido dei suoi figli. E che essi sanno lodare e ringraziare con celebrazioni che sono una meraviglia e che costituiscono per loro il momento dell’incontro gioioso con il Signore della vita. Certo, non dobbiamo nascondercelo, c’è ancora un po’ di scollamento tra fede e tradizione. Si fa fatica a far incontrare in modo autentico la novità del Vangelo con l’atavismo di una cultura in cui ancora trovano posto il potere degli spiriti e la minacciosa presenza dei malefìci. Ma si cammina. A piccoli passi, ma sempre avanti. L’importante è far crescere e accompagnare questa crescita. E’ stato il nostro compito nei cinquant’anni di presenza in Congo del nostro Istituto. Ora le suore straniere sono solo una ventina e il cammino è portato avanti soprattutto da settanta suore locali, impegnate nel delicato compito di formare coloro che aiuteranno il Congo del futuro a realizzare e a conservare la pace che verrà”. Perché la pace verrà, anche se per ora sembra essere solo una tenace speranza. Da MISSIONDUEMILA, inserto mensile del settimanale diocesano “La Nostra Domenica”, gennaio 2003