Vol. Paragrafo 2
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Vol. Paragrafo 2
§ PARAGRAFO RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI Paragrafo Rivista di Letteratura & Immaginari pubblicazione semestrale Redazione FABIO CLETO, DANIELE GIGLIOLI, MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE, FRANCESCO LO MONACO, FRANCESCA PASQUALI, VALENTINA PISANTY, LUCA CARLO ROSSI, STEFANO ROSSO, AMELIA VALTOLINA Segreteria di Redazione STEFANIA CONSONNI Ufficio 211 Università degli Studi di Bergamo P.za Rosate 2, 24129 Bergamo - tel: +39-035-2052744 / 2052706 email: [email protected] - web: www.unibg.it/paragrafo webmaster: VICENTE GONZÁLEZ DE SANDE La veste grafica è a cura della Redazione La responsabilità di opinioni e giudizi espressi negli articoli è dei singoli collaboratori e non impegna la Redazione Questo numero è pubblicato con il contributo del Dipartimento di Lettere, Arti e Multimedialità dell’Università di Bergamo © Università degli Studi di Bergamo ISBN – 978-88-95184-10-0 Edizioni Sestante / Bergamo University Press Via dell’Agro 10, 24124 Bergamo tel. 035-4124204 - fax 035-4124206 email: [email protected] - web: www.sestanteedizioni.it Stampato da Stamperia Stefanoni - Bergamo Paragrafo II (2006) Sommario QUESTIONI §1. ANDREA BELLAVITA, L’emersione del Reale. Perché una psicoanalisi del cinema contemporaneo? 7 §2. ANDREA MICONI, Dal real maravilloso al realismo magico. Approccio evolutivo alla formazione di un genere 27 FORME §3. CLAUDIO CATTANEO, Cornici per un assassinio. I confini del testo in Libra di Don DeLillo 51 §4. MASSIMO VERZELLA, Embers di Christopher Hampton e la traduzione della malinconia 69 §5. ENRICO LODI, La retorica del potere nei discorsi del primo franchismo 83 TEMI §6. SILVIA ULRICH, Gli eredi di Felix Krull. Dai ‘falsi’ di Wolfgang Hildesheimer alle imposture del caso Gert Postel 105 §7. FRANCESCA PAGANI, Dal ‘cielo stellato’ di Mallarmé alle ‘bolle d’inchiostro’ di Reverdy. L’immaginario del libro magico nella poesia francese della modernità 121 LETTURE §8. LUCIA QUAQUARELLI, La vittoria di un’onda. Palomar di Italo Calvino 135 §9. VALENTINA LOCATELLI, Christa Wolf, una moderna Medea in California 149 I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO 169 NUMERI ARRETRATI 171 § 8 Lucia Quaquarelli La vittoria di un’onda Palomar di Italo Calvino Una collezione di tracce visibili Verso la fine degli anni Sessanta Italo Calvino esprime la volontà di fare del “seguito di dati oggettivi” che gli sembrano sommergere il mondo (quel “mare di oggettività” che aveva inizialmente suscitato la sua inquietudine) una via possibile verso una riattivazione della capacità umana di vedere e, insieme, verso una riaffermazione della coscienza nel mondo: “per essere certi di cosa la coscienza è, di qual è il posto che occupiamo nella sterminata distesa delle cose”.1 Gli ultimi dieci anni della vita e dell’opera di Calvino sono occupati da una riflessione letteraria che fa dell’oggetto il polo dialettico essenziale per la ricostruzione di uno sguardo autentico sul mondo, uno sguardo capace di isolare e interrogare un pezzo di realtà nelle sabbie mobili dell’oggettività e, insieme, interrogare se stesso. Sono gli anni della nascita del Signor Palomar, ma anche quelli di un’attività giornalistica militante, che si mescola all’attività propriamente letteraria per nutrirla e nutrirsene. Gli “esercizi di descrizione” di Calvino, il suo “diario su problemi di conoscenza minimali”, prendono così, in forza di un lavoro continuo di riscrittura, aggiustamento e riformulazione, numerose denominazioni: “Osservatorio del Signor Palomar”, “Taccuino del Signor Palomar”, poi Palomar, Collezione di sabbia, e ancora Una pietra sopra e Sotto il sole giaguaro. La versione definitiva del romanzo Palomar viene pubblicata nel 1983, ma lo sguardo stupefatto e inquisitore del Signor Palomar fa la sua 1 Italo Calvino, “Il mare dell’oggettività”, in Una pietra sopra, in Id., Saggi 1945-1985, Milano: Mondadori, 1995, vol. I, p. 58. PARAGRAFO II (2006), pp. 135-48 136 / LUCIA QUAQUARELLI prima apparizione pubblica sul Corriere della Sera il primo agosto del 1975 (La corsa delle giraffe). Un articolo di giornale, dunque, come articoli di giornale sono tutti gli altri ventisei che, variamente modificati e organizzati in serie di tre, danno vita a Palomar.2 Palomar si presenta subito, a partire dalla sua genesi, come una collezione di frammenti. Fogli sparsi, schegge, che ritrovano la loro unità grazie ad un certo numero di elementi di coesione: una voce narrativa comune che parla dall’esterno della storia (ma che spesso vede con gli occhi di Palomar);3 la presenza quasi esclusiva di un solo personaggio, il Signor Palomar; la ripetizione programmatica dello schema delle avventure; l’esistenza di una vera e propria cornice narrativa. Nel verso dell’indice, infatti, Italo Calvino fa scivolare alcune indicazioni che danno conto dei numeri che accompagnano il titolo di ogni avventura di Palomar. Quei numeri, scrive Calvino, non possiedono soltanto un valore ordinale, ma corrispondono anche a tre aree tematiche specifiche, a “tre tipi di esperienza e d’interrogazione che, proporzionati in varia misura, sono presenti in ogni parte del libro”:4 Gli 1 corrispondono generalmente a un’esperienza visiva, che ha quasi sempre per oggetto forme della natura; il testo tende a configurarsi come una descrizione. Nei 2 sono presenti elementi antropologici, culturali in senso lato, e l’esperienza coinvolge, oltre ai dati visivi, anche il linguaggio, i significati, i simboli. Il testo tende a svilupparsi in racconto. I 3 rendono conto d’esperienze di tipo speculativo, riguardanti il cosmo, il tempo, l’infinito, i rapporti tra l’io e il mondo, le dimensioni della mente. Dall’ambito della descrizione e del racconto si passa a quello della meditazione. (p. 872) Tali considerazioni costituiscono l’impalcatura narrativa all’interno della quale Calvino ha inserito, a posteriori, le avventure di Palomar e in funzione della quale le ha selezionate, modificate e organizzate. Un macrotesto potente e restrittivo, che rivela un disegno generale e indica una gri2 Per la genesi di Palomar, cfr. Francesca Serra, Calvino e il pulviscolo di Palomar, Firenze: Le Lettere, 1996. 3 Si noti che tra le trasformazioni più significative che subiscono i ‘taccuini’ del Signor Palomar in vista della costruzione di Palomar c’è il passaggio dalla prima alla terza persona narrativa. 4 Italo Calvino, Palomar, in Id., Romanzi e racconti, Milano: Mondadori, 1992, vol. II, p. 872. LA VITTORIA DI UN’ONDA / 137 glia d’azione del personaggio di cui stabilisce persino la logica sequenziale interna: fare esperienza del mondo significa vederlo e descriverlo; interrogarlo porta il discorso sul piano del senso (ovvero al di là dell’esperienza, del linguaggio e del simbolo); cercare di capire il mondo significa mettere in gioco la mente e la propria capacità di riflessione, astrazione e generalizzazione. Si tratta di un disegno assai ambizioso, che il Signor Palomar non riuscirà mai a rispettare fino in fondo, ma che garantisce, sul piano della narrazione, la coesione di Palomar e, insieme (mostrandosi rapidamente e solo alla fine del libro), l’autonomia di ogni sua parte. Abbiamo infatti l’impressione di avere a che fare con pezzi di un mosaico strutturale e di senso più generale, un mosaico che tuttavia si nega continuamente, volendo salvaguardare l’irriducibile unicità dei suoi tasselli. Palomar sembra avanzare al ritmo di un fumetto, forma adatta a restituire, come ha più volte sottolineato Calvino, una struttura contrappuntistica, sospesa tra ironia e melanconia, tra nostalgia di una sequenza narrativa forte e accettazione del valore inviolabile e autonomo del frammento. Ora, per uno scrittore per il quale la creazione letteraria deve necessariamente passare per una “rifondazione di stile”, non è strano che la volontà di stabilire nuove relazioni con il mondo grazie a un’osservazione ‘discreta’ (e dunque frammentaria, pulviscolare) della realtà trovi il suo analogon esemplare nella configurazione stessa del testo. La discontinuità del mondo che passa attraverso lo sguardo discreto e miope di Palomar è già tutta nella ‘morfologia’ del discorso che ne permette l’esistenza, così come la volontà (vana ma irresistibile) di Palomar di superare i dati percettibili in vista della costruzione di un modello trova il suo analogo in una “poetica del frammento” calviniana che cela la volontà di un disegno generale e l’ambizione suprema della letteratura di farsi catalogo del possibile: Sa, in una letteratura il cui centro non è da nessuna parte, siamo tutti più o meno degli eccentrici. La mia ossessione è sempre stata quella di tracciare una carta, di ricostituire un disegno generale, ma forse è solo una mania, come tante altre.5 Ed è proprio in questa tensione (mai risolta dunque costitutiva) tra l’uno e il molteplice, tra Io individuale e Universo, tra dato e modello, tra micro5 Mario Fusco, “Italo Calvino, le relève de la garde”, Magazine littéraire, 165, ottobre 1980, p. 18. 138 / LUCIA QUAQUARELLI testo e macrotesto, che prendono vita, in modo insieme narrativo e strutturale, gli incontri bizzarri e inquieti del Signor Palomar con la realtà. Per questo la categoria di ‘collezione’, così come Italo Calvino l’ha descritta nel suo Collezione di sabbia, mi sembra la più appropriata per introdurre Palomar e per ritrovarvi, in una dimensione di “diario di tracce visibili”,6 il rapporto tra coscienza e mondo (fittizi). La collezione rappresenta infatti per Italo Calvino una descrizione del mondo e, insieme, un diario del collezionista: è il riflesso del “bisogno di trasformare lo scorrere della propria esistenza in una serie di oggetti salvati dalla dispersione, o in una serie di righe scritte, cristallizzate fuori dal flusso continuo dei pensieri”,7 poiché il collezionismo è “l’unica logica capace di dare unità e senso omogeneo alla dispersione delle cose”.8 In un mondo triturato ed eroso, la pratica della collezione, anche di una collezione di sabbia, può ancora servire, forse, a scrivere le regole di esistenza di un modello universale e a rassicurare circa il posto che in esso ha l’uomo. La collezione è insieme scelta e raccolta di dati reali che, per la loro unicità di modelli di una specie e per la loro comune partecipazione alla specie, sono allo stesso tempo loro stessi e altro da sé. Valgono come singolarità ma, allo stesso modo, rinviano a un modello che le riassume e le integra tutte. Dati reali che, inoltre, nella loro dimensione di oggetti scelti dal collezionista e sottratti alla loro funzionalità abituale, si garantiscono lo statuto di veri e propri interlocutori della coscienza. Quella del Signor Palomar è in realtà una collezione assai strana: egli cerca di collezionare tutta la realtà raccogliendone pezzi ‘significativi’. In ogni avventura (che corrisponde a un capitolo), infatti, Palomar seleziona un oggetto “limitato e preciso” entro il quale tenta di circoscrivere, attraverso una meticolosa osservazione iniziale e una conseguente speculazione razionale, la molteplicità dei fenomeni della realtà. Ecco lo schema generale di tutte le avventure Palomar (tutte eccetto l’ultima): un frammento di realtà si impone agli occhi del Signor Palomar, Palomar si trasforma in sguardo inquisitore, occhio che descrive e mente che riflette. Uno scheletro comune che si ripete continuamente (lavorando anch’esso alla coesione dell’opera), ma che registra nella sua riproposizione incessante alcune trasformazioni, alcuni leggeri spostamenti all’interno della coscienza del personaggio. 6 Italo Calvino, Collezione di sabbia, in Id., Saggi 1945-1985, cit., vol. I, p. 412. Ivi, p. 413. 8 Ibidem. 7 LA VITTORIA DI UN’ONDA / 139 Certo il Signor Palomar non rinuncia mai al suo ambizioso progetto di conoscenza, ma “in seguito a una serie di disavventure intellettuali” (p. 968), in seguito a una dolorosa successione di insuccessi, azzarda di volta in volta nuove vie di accesso al reale, fino a cambiare in modo considerevole la sua posizione di fronte al mondo e, alla fine, ‘organizzare’ lucidamente la sua morte. Tali mutazioni impalpabili ma continue fanno di Palomar, mi pare, non soltanto una collezione di avventure inserite in una cornice macro-strutturale, ma un vero e proprio romanzo che racconta, per episodi, la storia avventurosa di un personaggio di nome Palomar, le sue trasformazioni, le sue angosce, le sue scoperte successive, le sue delusioni e, infine, la sua morte. Un’onda, semplicemente un’onda Il mare è appena increspato e piccole onde battono sulla riva sabbiosa. Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda. (p. 875) Questo l’inizio delle avventure del Signor Palomar. Non si tratta di immersione contemplativa, né di naufragio, né di semplice esperienza: Palomar conosce perfettamente le sue intenzioni: “vuole guardare un’onda e la guarda”. E il narratore precisa: non sono ‘le onde’ che lui intende guardare, ma un’onda singola e basta: volendo evitare le sensazioni vaghe, egli si prefigge per ogni suo atto un oggetto limitato e preciso. Il Signor Palomar, nuovo Lucrezio,9 educa il suo sguardo all’intenzionalità e opta per la precisione assoluta, evitando ogni irruzione nel vago e nell’indistinto. È così che Palomar “vede spuntare un’onda in lontananza, crescere, avvicinarsi, cambiare di forma e di colore, avvolgersi su stessa, rompersi, sva9 Nel corso di una intervista con Pierre Fournel, Italo Calvino afferma: “Ho due libri di riferimento, il De rerum natura di Lucrezio e Le metamorfosi di Ovidio. Mi piacerebbe che tutto quello che scrivo fosse legato all’uno o all’altro, o meglio a tutti e due. Palomar è senza dubbio dalla parte di Lucrezio: è l’ambizione, vana, di una conoscenza minuziosa della natura delle cose, così minuziosa che la stessa sostanza delle cose si dissolve nel momento esatto in cui viene percepita”. Pierre Fournel, “Italo Calvino: Cahiers d’exercice”, Magazine littéraire, 220, giugno 1985, p. 85. 140 / LUCIA QUAQUARELLI nire, rifluire” (p. 875). E l’operazione sembra essersi compiuta con successo, quando Palomar si accorge della presenza di elementi di disturbo: Però isolare un’onda separandola dall’onda che immediatamente la segue e pare la sospinga e talora la raggiunge e travolge, è molto difficile; così come separarla dall’onda che la precede e che sembra trascinarla dietro verso la riva, salvo poi magari voltarglisi contro come per fermarla. […]. Insomma non si può osservare un’onda senza tenere conto degli aspetti complessi che concorrono a formarla e di quelli altrettanto complessi a cui essa dà luogo. (pp. 875-76) Il molteplice prende allora il sopravvento sull’uno, la complessità sulla semplicità e l’osservazione che si voleva precisa, puntuale, immediata, è travolta dal tempo, dall’indefinito e dall’incommensurabile, poiché gli aspetti da prendere in considerazione variano e si moltiplicano incessantemente. Il Signor Palomar ripete di nuovo a se stesso il suo compito iniziale e riafferma la sua volontà di guardare un’onda, semplicemente un’onda, mettendo in atto una seconda strategia che cerca di superare l’ostacolo del tempo: Palomar intende […] cogliere tutte le componenti simultanee senza trascurarne nessuna, il suo sguardo si soffermerà sul movimento dell’acqua che batte sulla riva finché potrà registrare aspetti che non aveva colto prima; appena si accorgerà che le immagini si ripetono saprà di avere visto tutto quello che voleva vedere e potrà smettere. (p. 876) Allora l’osservazione/descrizione riprende con rinnovato vigore e con essa l’instancabile tentativo di ridurre il molteplice all’uno. Ma le componenti dell’onda sfuggono di nuovo a una determinazione ‘nominalista’: l’onda si confonde con il tappeto bianco di schiuma che l’aspetta sulla spiaggia e non si sa più cosa sia l’onda e cosa il tappeto. Questa volta è l’incertezza delle frontiere spaziali che impedisce la realizzazione del progetto di guardare semplicemente un’onda. Tuttavia, la lotta per la conoscenza non si ferma, e il Signor Palomar tenta adesso di circoscrivere e di semplificare, sul piano dello spazio, il suo campo di osservazione: decide di tenere conto di un solo “quadrato […] di dieci metri di riva per dieci metri di mare”, all’interno del quale poter portare a termine un inventario preciso “di tutti i movimenti d’onde che si ripetono con varia frequenza entro un dato tempo” (p. 877). Ma le difficoltà persistono, e LA VITTORIA DI UN’ONDA / 141 anche la terza strategia di osservazione è destinata all’insuccesso, poiché “salta sempre fuori qualcosa di cui non aveva tenuto conto” (ibidem). Insomma, per quanto il Signor Palomar riduca il suo campo di esperienza, quest’ultimo non cessa di moltiplicarsi, aprendo prospettive smisurate e mettendo in scacco il progetto iniziale. Guardare un’onda, un’onda soltanto, si rivela impossibile. L’onda è superficie inesauribile dai contorni indefiniti, che abita l’istante e il divenire incessante. Ogni tentativo di ridurre la complessità del mondo a un meccanismo più semplice è destinato al naufragio e la seconda fase dell’operazione prevista da Palomar, “estendere quella conoscenza all’intero universo” (p. 879), non si dà mai. L’ostinazione del movimento incessante e vago delle onde registra allora la sua vittoria definitiva sull’osservatore: “L’ostinazione che spinge le onde verso la costa ha partita vinta: di fatto, si sono parecchio ingrossate. Che il vento stia per cambiare?” (p. 879) Ora, perché il Signor Palomar non riesce a guardare un’onda? Che ruolo hanno le onde in questo scacco doloroso? Che tipo di rapporto caratterizza l’esperienza che Palomar fa della realtà? Palomar è incapace di distinguere un’onda dal complesso insieme delle onde, perché le onde sono più ostinate di lui e rifuggono ad ogni volontà di sistematizzazione, restando indefinibili. Perché le onde agiscono alla stregua di Palomar. Si oppongono alle sue intenzioni con una forza sorprendente e la molteplicità irriducibile e vertiginosa delle onde trionfa sulla volontà di Palomar di vedere un’onda, una soltanto. Le onde “si rivoltano” con la volontà esplicita di fermare altre onde, “si rompono”, “svaniscono”, “s’arruffano”, fanno delle “gobbe”, dimostrando la loro attitudine a compiere azioni di solito negate al loro statuto di oggetti naturali. Esse esercitano qui il ruolo di vere e proprie antagoniste all’azione del personaggio principale dell’azione: le onde impediscono al Signor Palomar di raggiungere il proprio scopo e di realizzare il proprio progetto ultimo di conoscenza. E lo fanno intenzionalmente, con ostinazione. Ancora, in qualità di personaggi, concorrono in modo sostanziale allo sviluppo degli avvenimenti: onde e Palomar, infatti, sono entrambi, con la stessa autorità e la stessa intenzionalità, all’origine dell’azione narrativa, un’azione che si afferma dall’inizio come conflitto tra individui. L’analisi dell’organizzazione sintattico-logica del racconto va in questo senso: il ‘conflitto’ ha inizio con un movimento di “piccole onde” che cat- 142 / LUCIA QUAQUARELLI tura l’attenzione di Palomar, poi Palomar “vede spuntare un’onda in lontananza”, ma “la gobba dell’onda venendo avanti s’alza”, “comincia a rimboccarsi di bianco” e si confonde con la spiaggia, allora Palomar “cerca di limitare il suo campo di osservazione”, ma di nuovo “un’onda lunga sopravviene” per confondere in modo ostinato, definitivo e vittorioso il disegno generale che Palomar cerca di tracciare sull’acqua. Ad ogni iniziativa delle onde corrisponde un’iniziativa di Palomar; gli avvenimenti si sviluppano sulla base della tensione prodotta da una doppia pressione, quella delle onde e quella di Palomar, soggetti logici dell’azione in modo alterno e ugualmente significativo sul piano evenemenziale. E il passaggio da un soggetto all’altro, da un’azione all’altra, è ritmato dalla presenza, all’inizio della frase, delle congiunzioni avversative “però” e “ma”, che prolungano in prospettiva lo spazio del racconto e contribuiscono a una segmentazione sintattica che rinvia all’organizzazione del dialogo o, ancora, del contrasto. Palomar e onde si affrontano in modo dialettico e discorsivo, e in un concerto sincopato di ostinazioni e mutue necessità di definizione, sono le onde ad avere la meglio. E così Palomar perde la pazienza, volta le spalle al mare e si allontana dalla spiaggia, “ancor più insicuro di tutto” (p. 878). Una leggera rigatura di paralleli Il Signor Palomar è sconfitto, le onde vittoriose. Mi sembra tuttavia che l’impaziente Signor Palomar, nella sua battaglia contro le onde, riesca a segnare un punto a suo favore. A seguito del naufragio della terza strategia, Palomar sembra infatti capire qualcosa di molto importante: “appuntare l’attenzione su un aspetto lo fa balzare in primo piano e invadere il quadro” (p. 878). Che si tratti di una riflessione di Palomar o del narratore, non è chiaro. La voce che racconta si mescola troppo profondamente a quella del personaggio (e questo senza segni visibili di passaggio) per poterne essere sicuri. Tuttavia, la presenza di considerazioni simili in altri episodi, per le quali la paternità appare più certa, ci autorizza a vedere in queste parole il primo abbozzo di una consapevolezza dolorosa che accompagnerà il Signor Palomar nelle sue relazioni conflittuali con la realtà: ogni tentativo di comprensione del mondo implica un’azione perturbante da parte del soggetto. La conoscenza dell’oggetto, anche quella che vuole affermarsi attraverso un rapporto ottico con il reale, non può compiersi al di fuori LA VITTORIA DI UN’ONDA / 143 del soggetto. E il soggetto, filtro insuperabile, seleziona, trasforma, interpreta nel momento stesso in cui guarda.10 Il titolo della prima avventura – Lettura di un’onda –, che inaugura in modo profetico la serie di incontri tra Palomar e la realtà, fa eco a tali considerazioni.11 Il mondo non si offre alla conoscenza o alla semplice visione del mondo: si espone alla lettura o si nega. E leggere il mondo significa precisamente fare selezioni, dirigere l’attenzione su certi elementi a scapito di altri, trasformando profondamente e definitivamente la realtà, il suo statuto di dato, la sua configurazione e la sua apparenza: leggere il mondo significa interpretarlo. Sulla lettura Italo Calvino, lo stesso anno della pubblicazione di Palomar, si è espresso in questi termini: Leggere, più che un esercizio ottico, è un processo che coinvolge mente e occhi insieme, un processo di astrazione o meglio un’estrazione di concretezza da operazioni astratte, come il riconoscere segni distintivi, frantumare tutto ciò che vediamo in elementi minimi, ricomporli in segmenti significativi, scoprire intorno a noi regolarità, differenze, ricorrenze, singolarità, sostituzioni, ridondanze.12 E Palomar, a sua volta, si chiede: “Ma come si fa a guardare lasciando da parte l’io? Di chi sono gli occhi che guardano?” (p. 969). Dedicarsi a una lettura del mondo significa fare astrazione del mondo per sezionarlo e, successivamente, ricomporlo in “segmenti significativi” per il lettore, sulla base di regole che rinviano insomma assai più al lettore che al mondo stesso. E introdurre, come è il caso di Palomar, esercizi di osservazione del mondo sotto il segno di letture significa riconoscere fin da subito la presenza di un diaframma – l’invalicabile diaframma dell’io – che si frappone fatalmente tra esperienza del mondo e mondo. Nulla si può conoscere fuori dall’io. 10 Negli stessi anni, come ricorda Ruggero Pierantoni, la medesima preoccupazione riguardo alle alterazioni esercitate dall’atto di osservazione sul fenomeno osservato circola tra i fisici: “Non è possibile ricavare informazioni da un fenomeno, né descrivere una situazione fisica, né definire una legge, senza alterare proprio quel fenomeno, modificare quella situazione, contraddire quella legge. In breve il rapporto tra osservatore ed osservato è ineluttabilmente distruttivo o alterativo”. Ruggero Pierantoni, “Metafore di una mappa”, in Giorgio Bertone (a cura di), Italo Calvino. La letteratura, la scienza e la città, Genova: Marietti, 1988, p. 104. 11 Circa il ruolo decisivo dell’incipit sullo sviluppo della storia, cfr. Italo Calvino, “Cominciare e finire”, in Id., Saggi 1945-1985, cit., vol. II, p. 735. 12 Italo Calvino, Mondo scritto e mondo non scritto, in Id., Saggi 1945-1985, cit., vol. II, pp. 1871-72. 144 / LUCIA QUAQUARELLI Nelle sue passeggiate nei sentieri del reale, Palomar fa continua esperienza dell’irrimediabile trasformazione che infligge ai fenomeni osservati, tuttavia, un episodio in particolare merita attenzione, in forza del suo valore metanarrativo, della sua capacità di riflettere su se stesso, offrendosi probabilmente come chiave di lettura privilegiata della storia di cui ci rimanda l’immagine. In una notte chiara di luna piena, il Signor Palomar si procura un telescopio e va in terrazza con la ferma decisione di approfittare della triplice opposizione di Marte, Saturno e Giove. Dopo un’osservazione “farfugliata e tossicchiante” di Marte, Palomar scopre nel suo telescopio Saturno: eccolo nitidissimo, bianchissimo, esatti i contorni della sfera e dell’anello; una leggera rigatura di paralleli zebra la sfera; una circonferenza più scura separa il bordo dell’anello; questo telescopio non capta quasi altri dettagli e accentua l’astrazione geometrica dell’oggetto; il senso d’una lontananza estrema anziché attenuarsi risalta più che a occhio nudo. (p. 905) Al momento dell’apparizione di Saturno (svelamento improvviso, guizzo),13 la gioia di una visione limpida, netta, dai contorni esatti, che Palomar ottiene con il suo telescopio, è irrimediabilmente negata dalla presenza di “una leggera rigatura di paralleli che zebra la sfera” (p. 905). Una rigatura sospetta, che difficilmente il lettore può ascrivere al pianeta, e che spinge Palomar lontano, assai lontano, dall’oggetto osservato: “il senso d’una lontananza estrema anziché attenuarsi risalta più che a occhio nudo”,14 constata Palomar deluso. Accade infatti che le proprietà dello strumento della visione si mescolino a quelle dell’oggetto osservato e che Palomar, uomo preciso e diligente, inserisca queste e quelle, senza distinzione alcuna, nella descrizione che ci dà di Saturno. Biancore, sfericità, anello e righe dei paralleli costituiscono insieme, senza distinzione, le qualità di Saturno. L’astrazione geometrica della realtà prodotta dall’osservazione al telescopio rinvia ineluttabilmente alle leggi dello strumento di registrazione e, pertanto, allontana definitivamente l’oggetto osservato. Ora, si dà poi il caso che ‘Palomar’ sia il nome di un famoso telesco13 Cfr. A. Julien Greimas, De l’imperfection, Périgueux: Pierre Fanlac, 1987, pp. 23-33. In un modo assai simile Merleau-Ponty ha scritto: “Così la proiezione in piano non sollecita sempre il nostro pensiero a ritrovare la vera forma delle cose, come credeva Cartesio: superato un certo grado di deformazione, essa rinvia piuttosto al nostro punto di vista: quanto alle cose, esse fuggono verso una lontananza a cui nessun pensiero accede”. Maurice Merleau-Ponty, Le visible et l’invisible, Paris: Gallimard, 1964, p. 50. 14 LA VITTORIA DI UN’ONDA / 145 pio americano (il più potente all’epoca della stesura del romanzo) e che questo dato inneschi nella mente del lettore un vero e proprio corto circuito, dato che sta leggendo la storia di un personaggio di nome Palomar che mette i suoi occhi dentro un telescopio. L’impressione di doppio, di abyme, s’impone. E il ‘diaframma’ che si era presentato come proprio dello strumento di osservazione si trasforma di nuovo, in un gioco di specchi, nel ‘diaframma dell’io’; rinvia al personaggio della storia e si fa, metanarrativamente, paradigma di tutto l’enunciato. Nel breve momento in cui ‘Palomar-telescopio’ osserva Saturno al telescopio, abbiamo, in miniatura, l’immagine dolorosa della natura fatalmente perturbante della visione del personaggio, il dramma della sua impossibile efficacia cognitiva, che informa di sé tutto il destino di Palomar. Ogni tentativo di riflessione libera dal peso dell’io è vano. E il sogno di essere puro sguardo, l’ostinazione di “guardare le cose dal di fuori” (p. 968), restano per sempre sogno e ostinazione.15 Se Palomar non fosse così impaziente di raggiungere un risultato completo e definitivo della sua operazione visiva, ci confessa il narratore, guardare il mondo “sarebbe per lui molto riposante e potrebbe salvarlo dalla nevrastenia, dall’ulcera e dall’infarto”. E forse, aggiunge, “potrebbe essere la chiave per padroneggiare la complessità del mondo” (p. 968). Ma la semplice esperienza della complessità e dell’opacità del reale al di fuori di ogni inferenza speculativa per Palomar è impossibile: ogni osservazione è speculazione e ogni impresa speculativa è impresa totalizzante di comprensione. E in questa tensione tra consapevolezza della vanità di ogni tentativo di conoscenza e l’impossibilità di rinunciare a un disegno generale sta, mi sembra, la posizione particolare che Palomar occupa nel dramma del pensiero occidentale, nella frattura irrimediabile e pericolosa che corre tra sovranità del pensiero dialettico e morte della metafisica. Tra pensiero ‘progettuale’ e speculativo e silenzio dell’ascolto. Palomar abita quella zona interstiziale, quel punto di sospensione tra indispensabile ricerca di un modello e quei ‘deboli’ silenzi di ascolto che concludono il romanzo. Palomar vive nella totale consapevolezza del dramma della sua interrogazione vana. 15 Come Palomar, Calvino: “Magari fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self, un’opera che ci permettesse d’uscire dalla prospettiva limitata d’un io individuale, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica” (Lezioni americane, in Id., Saggi 1945-1985, cit., vol. I, p. 733). 146 / LUCIA QUAQUARELLI Così, tra le riflessioni tormentate del Signor Palomar, pensatore ‘forte’ che ha perduto le sue illusioni, qualcosa cambia profondamente, la conoscenza prende una strada diversa, cambia direzione: l’oggetto partecipa attivamente e contribuisce, in modo costitutivo e edificante, alla definizione della coscienza pensante. L’oggetto si fa supporto speculare e dialettico dell’io. Ha con la coscienza un rapporto relazionale, instaura con l’io un dialogo continuo di mutua definizione. È attraverso l’osservazione dell’oggetto che l’uomo può ritrovarsi: Non possiamo conoscere nulla d’esterno a noi scavalcando noi stessi, egli pensa ora, l’universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere di noi. (p. 974) L’esteriorità annunciata e vanamente perseguita non autorizza certamente una sintesi generale, ma apre a una riflessione in profondità. La ‘lettura visiva’ di Palomar, il suo tentativo di rendere leggibile il visibile, faticoso e contraddittorio, mai decisivo, altro non è che la lettura che Palomar fa di se stesso nelle cose. Una lettura nel corso della quale le cose hanno il potere configurante e costitutivo di antagoniste e aiutanti insieme. Poiché aiutano Palomar a ritrovarsi nel mondo, a ridisegnare il suo posto nella realtà. In questo senso, la lettura che Palomar fa dell’onda rinvia allora davvero all’universo, ma a un universo dove l’antinomia soggetto/oggetto è stata superata, un universo in cui gli uomini e gli oggetti si incontrano “a metà strada […], dirigendosi l’uno verso l’altro”16, e dove ogni sintesi generale, totalizzate e rassicurante è impossibile. La fiducia nel dominio razionale del mondo arriva con Palomar alla propria fine. La tradizione occidentale di cui Palomar è erede ha vissuto, 16 A. Julien Greimas, op. cit., p. 28. Un pensiero ‘ultrametafisico’ che non intende fondare, poiché non può rivendicare la posizione di sovranità che le aveva attribuito la metafisica, ma che “opera uno sfondamento”: “il pensiero della verità non è un pensiero che ‘fonda’, come pensa la metafisica, anche nella sua versione kantiana, bensì quello che, esibendo la caducità e la moralità proprio come ciò che fa l’essere, opera uno sfondamento” – Gianni Vattimo, “Dialettica, differenza, pensiero debole”, in Gianni Vattimo e Pier Aldo Rovatti (a cura di), Il pensiero debole, Milano: Feltrinelli, 1983, p. 23. Una ‘presa d’atto’ che, lontano dal dimenticare il pensiero dialettico, ne prosegue l’eredità coniugandolo con la differenza. L’infimo, il frammento, non può essere una riduzione del grande, dell’universale. Il dettaglio non funziona come parte di un tutto, “ma come qualcosa che imponendosi di per sé sfugge alla totalizzazione, non è percepibile dalla lingua generale” (ivi, p. 49). E Pier Aldo Rovatti aggiunge: “Tra 17 LA VITTORIA DI UN’ONDA / 147 prima di lui, la morte della metafisica e sulle spoglie del ‘pensiero calcolatore’ ha visto nascere, insieme a lui, un ‘pensiero debole’.17 L’attenzione ossessiva alla realtà, di Calvino come di Palomar, è assai lontana da una preoccupazione di tipo positivista: entrambi, Calvino come Palomar, si servono di un metodo scientifico per descrivere la realtà, hanno l’occhio esperto e attento dello zoologo e dell’archeologo, procedono con tutto il sapere del semiologo, ma sanno tuttavia che la loro descrizione non rivelerà mai completamente la realtà nascosta. La superficie delle cose è inesauribile e l’osservazione dei dati della realtà può fornire soltanto una descrizione possibile. Mai esaustiva, difficilmente vera. Mai generalizzabile. Resta solo la possibilità di un’osservazione interrogativa e congetturante. Avvicinarsi agli oggetti, affermare la caducità di ogni giudizio. Eppure il pensiero di Palomar resta ancora fortemente progettuale (anche se il progetto è riconosciuto inapplicabile) e l’esperienza della disgregazione del senso è un’esperienza dolorosa. È una delusione amara, una preoccupazione bruciante. È paura dell’afasia, del mutismo (e non del silenzio). Palomar è molto preoccupato perché il rischio è grande.18 Nessun altro personaggio calviniano del resto si è mai trovato in un tale imbarazzo, costretto a riconoscere la vanità del suo cogito, o ancora del cogito stesso. Degli altri personaggi di Calvino Palomar conserva però l’ostinazione, l’opposizione, la sfida al “mare dell’oggettività”. Quello che distingue e caratterizza Palomar è un nucleo duro di volontà (un midollo), un’intelligenza lucida, un’energia combattiva. Palomar onora un impegno, ha una responsabilità, una responsabilità anzitutto morale, quella ci creare “nuove vie per stabilire contatti con il mondo”. Poiché il mondo esiste e Palomar lo sa. Poiché il mondo è nel soggetto ed esperienza mutano le parti, le proporzioni, attraverso una cifra, uno stile, una sfumatura. Il soggetto rimpicciolisce mentre si ingrossa l’esperienza. Il soggetto scompare? Oppure è divenuto talmente ‘piccolo’ da potersi infine riconoscere nella sua esperienza? L’esperienza si moltiplica, si confonde, diviene illeggibile? Oppure si è fatta talmente piena di suoni che può finalmente essere udita? E come è possibile che questa dissonanza sia simile ad un silenzio? E ancora: il soggetto si è sfaldato, frammentato, disseminato? Oppure nel divenire impercettibile si è riconosciuto, nello sciogliersi ha preso contatto con se stesso?” (Pier Aldo Rovatti, “Trasformazioni nel corso dell’esperienza”, ivi, p. 50). 18 Lo stesso Gianni Vattimo, nell’anno esatto della pubblicazione di Palomar, si chiede: “parlare di debolezza del pensiero significa anche teorizzare una diminuita forza progetturale del pensiero stesso? Non nascondiamoci che il problema esiste”. Gianni Vattimo, “Dialettica, differenza, pensiero debole”, cit., p. 27. 148 / LUCIA QUAQUARELLI pensiero e nelle cose, dato che le cose, gli oggetti che Palomar incontra sul suo cammino, esistono anche senza di lui.19 Lo sguardo di Palomar è la forma privilegiata dell’interrogazione e il grado ultimo della responsabilità etica: non sapere niente, ma saper riconoscere l’intensità e la precisione del proprio sguardo, essere certi della necessità di guardare ma incerti, preoccupati, sull’oggetto osservato. E in questa responsabilità sta il carattere tensivo, energetico della concezione calviniana della realtà, in quell’impegno risiede l’importanza della nozione di progetto.20 Alla luce di queste riflessioni, lo scacco dell’ostinazione di Palomar e la vittoria dell’onda non hanno ai miei occhi nulla di pessimista. Si tratta tuttavia di uno scacco doloroso e inquieto. Doloroso perché la tensione verso il modello non è un puro elemento dialettico, ma una necessità intima (sempre insoddisfatta). Inquieto perché una volta svanita la possibilità di dare unità e continuità all’esistenza, il rischio e quello dell’afasia, del mutismo, del nulla. “In fondo il pensiero può sbarazzarsi delle sue ossessioni solo in questo modo, attraverso l’indifferenza sulle conclusioni a cui dovrebbe giungere”,21 ha scritto Gianni Celati, ma Palomar non raggiunge questa indifferenza, meglio, la raggiunge preoccupato, addolorato: “L’universo forse può andare tranquillo per i fatti suoi; lui certamente no” (p. 973). 19 “ll Signor Palomar pensa al mondo senza di lui: quello sterminato di prima della sua nascita, e quello ben più oscuro di dopo la sua morte; cerca di immaginare il mondo prima degli occhi, di qualsiasi occhio; e un mondo che domani per catastrofe o lenta corrosione resti cieco. Che cosa avviene (avvenne, avverrà) mai in quel mondo? Puntuale un dardo di luce parte dal sole, si riflette sul mare calmo, scintilla nel tremolio dell’acqua, ed ecco la materia diventa ricettiva alla luce, si differenzia in tessuti viventi, e a un tratto un occhio, una moltitudine di occhi fiorisce e rifiorisce […]. Si è convinto che la spada esisterà anche senza di lui: finalmente s’asciuga con un telo di spugna e torna a casa” (p. 887). 20 A questo proposito Mario Barenghi scrive: “centralità della nozione di progetto come rifiuto da un lato del soggettivismo sterile e ripiegato su di sé, dall’altro, di un’oggettività indifferente, estraniante, amorfa, in cui l’io non sa riconoscersi come tale, perché non sa imprimervi un contrassegno autenticamente umano”. Mario Barenghi, “Italo Calvino e i sentieri che s’interrompono”, Quaderni piacentini, 15, 1984, p. 142. 21 Gianni Celati, “Palomar, nella prosa del mondo”, Nuova Corrente, 34:100, 1987, p. 240.