1. difesa nucleare - Ordine dei Chimici della Campania
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1. difesa nucleare - Ordine dei Chimici della Campania
I N D I C E 1. DIFESA NUCLEARE Paragrafo 1.1 FISSIONE Reazione a catena Paragrafo 1.2 Paragrafo 1.3 Paragrafo 1.4 Paragrafo 1.5 I-1 I-3 ORDIGNI A FISSIONE I-4 LA FUSIONE I-5 ORDIGNI A FUSIONE I-6 ESPLOSIONI NUCLEARI IN AMBIENTE TERRESTRE ED AEREO Generalità Esplosioni nucleari Armi nucleari Energia liberata dall’ordigno nucleare Tipo di scoppio Punto zero, punto di scoppio ed altezza di scoppio Ripartizione percentuale dell’energia Lampo di luce Radiazione termica Onda d’urto Riflessione dell’onda d’urto Radiazioni nucleari Ricaduta radioattiva Attività gamma indotta da neutroni (NIGA) Impulso elettromagnetico (EMP) Effetti transitori delle radiazioni (TREE) Impulso elettromagnetico interno (IEMP) Effetti sulla propagazione delle comunicazioni (BLACK OUT) Effetto argus I-9 I-9 I-9 I-9 I-10 I-10 I-12 I-12 I-13 I-13 I-14 I-16 I-17 I-18 I-18 1-18 1-19 1-19 I-19 I-19 2. DIFESA BIOLOGICA Paragrafo 2.1 LA GUERRA BIOLOGICA Generalità Stato di malattia Malattie Rapporto fra l’aggressivo biologico e l’uomo Scopi Vantaggi e svantaggi Paragrafo 2.2 Paragrafo 2.3 L’ARMA BIOLOGICA Generalità Caratteristiche biologiche degli agenti biologici Funghi (miceti) Batteri Rickettsie Virus Requisiti Tipi di classificazione METODOLOGIA DI IMPIEGO DEGLI AGGRESSIVI BIOLOGICI Generalità Disseminazione II-1 II-1 II-1 II-2 II-2 II-3 II-4 II-5 II-5 II-7 II-9 II-9 II-11 II-11 II-11 II-12 II-13 II-13 II-13 3. DIFESA CHIMICA Paragrafo 3.1 Paragrafo 3.2 INTRODUZIONE III-1 CARATTERISTICHE FISICHE III-2 Tensione di vapore Volatilità Temperatura di ebollizione (T.E.) Temperatura di fusione (T.F.) Densità di vapore relativa Persistenza Paragrafo 3.3 CARATTERISTICHE CHIMICHE Stabilità all’immagazzinamento Idrolisi Azione sui mettalli, plastiche, tessuti e vernici Paragrafo 3.4 ASPETTI FISIOLOGICI Tasso di detossificazione Tempo di azione Fattori modificanti III-2 III-2 III-2 III-3 III-3 III-3 III-4 III-4 III-4 III-4 III-4 III-5 III-5 III-5 Paragrafo 3.5 Paragrafo 3.6 CARATTERISTICHE TOSSICOLOGICHE III-5 AGGRESSIVI CHIMICI LETALI III-7 Aggressivi neurotossici o anticolinesterasici Aggressivi soffocanti Aggressivi vescicanti Aggressivi sistemici Paragrafo 3.7 AGGRESSIVI CHIMICI NON LETALI Aggressivi incapacitanti Aggressivi Irritanti Paragrafo 3.8 Paragrafo 3.9 III-7 III-8 III-9 III-10 III-10 III-10 III-11 COMPOSTI ANTIPIANTA III-12 GLOSSARIO III-13 4. ORGANIZZAZIONE MARINA MILITARE Paragrafo 4.1 ESPLOSIONI NUCLEARI IN AMBIENTE MARINO IV-1 Generalità Premessa Fenomeni causati da uno scoppio nucleare subacqueo Effetti causati da uno scoppio nucleare subacqueo Conclusioni IV-1 IV-1 IV-1 IV-9 IV-10 1. DIFESA NUCLEARE 1.1 FISSIONE Si chiama fissione il fenomeno per cui un nucleo si rompe in due nuclei più piccoli. Il fenomeno è tipico dei nuclei ad alto numero atomico (nuclei pesanti) ed è di fondamentale importanza per la liberazione di energia, utilizzabile a fini pacifici o bellici , che esso comporta. Una fissione nucleare può essere spontanea o provocata; in quest'ultimo caso essa può avvenire per assorbimento da parte di un nucleo pesante di un fotone o di una particella. Dati i fini di questo corso, si esamineranno soltanto le fissioni provocate dall'assorbimento di neutroni da parte di nuclei di Uranio o Plutonio; in particolare, ci si soffermerà sulle fissioni provocate nei nuclei di 92U235 per il ruolo storico che esso ha avuto della realizzazione degli ordigni nucleari. Perché un nucleo possa fissionarsi è necessario che esso riceva dall'esterno una energia uguale o superiore a un valore minimo detto energia critica o energia di attivazione, che si indica con il simbolo Ecr e che è caratteristica di ogni nucleo fissionabile. Nel caso dell’ 92U235 il fenomeno di fissione provocata da un neutrone si può così schematizzare: − il nucleo di 92U235 riceve dall’esterno un neutrone e si trasforma nell’isotopo 92U236; NEUTRONE 2 3 5 9 2 U 2 3 6 9 2 U − l’assorbimento del neutrone da parte del nucleo 92U235 conseguente formazione del nucleo 92U236, porta ad uno sviluppo di energia di almeno 6.8 MeV; − poiché l’energia critica del nucleo 92U236 è Ecr= 6.6 MeV,cioè inferiore ai 6.8 MeV sviluppatisi nel passaggio I-1 il nucleo 92U236 si fissiona; − la fissione del nucleo 92U236 porta: ∗ alla formazione di nuclei più piccoli A e B detti prodotti di fissione; ∗ alla liberazione di. due o tre neutroni e di una certa quantità di energia del tipo γ NUCLEO DI NOTA Il fatto che la cattura di un neutrone da parte di un nucleo 92U235 e conseguente formazione dell'isotopo 92U236 porti ad uno sviluppo di energia di almeno 6.8 MeV si spiega esaminando i valori dell'energia dì legame dei due nuclei. Infatti: ∗ l’energia di legame dell’92U235 è di 1736.7 MeV ∗ l’energia di legame dell’92U236 è di 1743.5 MeV. il che significa che il passaggio 92U235 ⇒ 92U236 per la penetrazione del neutrone nel nucleo 92U235 è associato al passaggio dallo stato energetico 1736.7 MeV dell’ 92U235 allo stato energetico 1743.5 MeV dell’92U236, stati energetici che differiscono, appunto, di: 6.3 MeV = (1743.5 - 1736.7) MeV Tutto ciò nel caso teorico che si consideri il neutrone privo di energia cinetica e quindi con velocità nulla; nel caso pratico, tuttavia, il neutrone avrà una velocità diversa da zero, e quindi una energia cinetica non nulla che comunicherà al nucleo 92U235 e che si aggiungerà ai 6.8 MeV derivanti dai due diversi valori di energia di legame di cui sopra. Si può concludere pertanto, che l’92U235 è fissionabile con neutroni teoricamente fermi o dotati di bassa velocità (neutroni termici); ciò non accade in altri casi come, per esempio, per 1’92U238. I1 nucleo di 92U238, infatti, ricevendo un neutrone si trasforma nell’isotopo 92U239 che ha una energia critica Ecr = 7.0 MeV. Poiché il valore dell’energia di legame dell’92U238 è di 1754.2 MeV e dello 92U239 è di 1759.7 MeV, il passaggio 238 ⇒ 239 è accompagnato da uno sviluppo di energia di: 92U 92U 1759.7 - 1754.2 = 5.5 MeV , valore inferiore di 1.5 MeV a quello di 7.0 MeV necessario per fissionare il nucleo 92U239. I-2 NOTA I prodotti di fissione sono stati indicati con i simboli generici A e B perché la loro natura chimicafisica è variabile, nel senso che 1’92U235 o il 94PU239, fissionandosi, non producono nuclei sempre dello stesso tipo, ma nuclei diversi da caso a caso (nel caso della fissione dell’92U235, ad esempio, si conoscono più di 60 tipi di nuclei diversi, con numeri di massa che vanno da 72 a 158). I prodotti di fissione, comunque, sia che derivino dall’92U235 che dal 94Pu239 sono generalmente radioattivi, ed emetteranno, pertanto, radiazioni corpuscolari od elettromagnetiche in tempi successivi più o meno lunghi a seconda del tipo del nucleo prodotto. L’energia di 200 MeV liberata per ogni fissione nucleare si distribuisce, mediamente, nel seguente modo: − 80% energia cinetica dei prodotti di fissione; − 20% energia cinetica dei neutroni ed energia elettromagnetica del tipo. REAZIONE A CATENA Fin qui il processo di fissione riguardante un solo nucleo pesante; tuttavia, il fenomeno risulta di notevole interesse solo nel caso si riesca ad estenderlo ai nuclei degli atomi presenti in una certa quantità di materiale di 94PU39 o 92U235. Se i neutroni ottenuti in una fissione avessero possibilità di fissionare, a loro volta, altri nuclei pesanti e i nuovi neutroni, cosi prodotti, potessero ripetere il fenomeno in modo che esso, una volta innescato, potesse autosostenersi nel tempo, si realizzerebbe una reazione a catena. La condizione necessaria perché una reazione a catena si autosostenga è che almeno un neutrone di quelli emessi in ciascuna fissione sia capace di fissionare a sua volta. L'osservazione sperimentale mostra che esiste un valore di soglia per la massa di materiale fissile (detto massa critica) al di sopra del quale (massa super critica) la reazione a catena si autosostenga e al di sotto della quale (massa subcritica) la reazione non può sostenersi. Il valore della massa critica è influenzato da: − forme e dimensioni; I-3 − purezza; − densità del materiale di cui è costituita. La massa critica risulta tanto minore quanto più denso e più puro è il materiale fissile e quanto minore è il rapporto superficie/volume per la massa in questione. 1.2 ORDIGNI A FISSIONE Un ordigno nucleare a fissione sarà costituito da un numero di masse subcritiche che, all’istante in cui si vuole che l’ordigno esploda, si riuniscono in una sola massa che dovrà essere supercritica: a questo punto la reazione a catena che si innesca (ad esempio con una sorgente di neutroni ausiliaria) libera una quantità eccezionale di energia in un tempo estremamente breve. MASSE SUBCRITICHE 2 3 5 DI 9 2 U LE MASSE MASSA SUBCRITICHE SI AVVICINANO SUPERCRITICA DI 9 2 U La durata di una reazione a catena è dell’ordine di una frazione di secondo (2 o 3 milionesimi di secondo) durante questo tempo avvengono un numero elevatissimo di fissioni per ognuna delle quali si libera mediamente, una energia di 200 MeV. Anche nelle condizioni più favorevoli di super criticità la reazione a catena non sarà mai completa per i seguenti motivi: a. non tutti i neutroni catturati dai nuclei pesanti riescono a produrre fissione (vi sono `altri possibili fenomeni che nascono al momento della cattura di neutroni da parte dei nuclei): Ad esempio: nel 92U235 solo 1'80% e nel 94Pu239 solo il 65% dei neutroni catturati riescono a produrre fissioni; b. le dimensioni finite della massa supercritica consentono la sfuggita di neutroni alla superfice{e di essa, diminuendo così il numero dei neutroni presenti nella stessa; c. il grado di purezza del materiale da fissionare (materiale fissile) non è mai assoluto per cui le spengono la reazione a catena in certi punti in seno alla massa. Per ovviare all'inconveniente del punto b si realizza la massa supercritica in forma sferica, per la quale, a parità di volume con altre forme, si ha il minimo di superficie e quindi il minimo di neutroni che sfuggono. Circa, poi, il problema della purezza del materiale fissile si cerca, con i mezzi che la tecnica offre, di separare quanto più possibile 1’ 92U235 da altri isotopi e soprattutto dall’ 92U238 cui si associa in natura, assieme all '92U234, con 1e seguenti proporzioni: 238 92U 235 92U I-4 99.279 % 0.715 % 234 92U 0.006 % P U R E Z Z A D E N S I T A ’ F O R M A C R I T I C I T A ’ D I M A S S A R E A Z I O N E A C A T E N A 1.3 LA FUSIONE Si chiama fusione o sintesi il fenomeno per cui due nuclei si riuniscono per formare un nucleo più grande. Il fenomeno è tipico dei nuclei a basso numero atomico (nuclei leggeri) e, a somiglianza del processo di fissione, è accompagnato da sviluppo di energia che può essere utilizzata per fini bellici. Come per la fissione anche per la fusione è necessaria una energia di attivazione onde permettere la NUCLEO FUSO NUCLEI LEGGERI fusione dei nuclei che prendono parte al processo. Questa energia può essere fornita ai nuclei aumentando la temperatura, che deve essere dell’ordine dei milioni di gradi. Dal punto di vista teorico sono possibili molti processi di fusione, come ad esempio: 7 1 3Li +1H 2 2He4 I-5 1.4 ORDIGNI A FUSIONE Data l'elevata energia di eccitazione necessaria perché avvenga il processo di fusione di elementi leggeri, il solo mezzo a disposizione della tecnica per realizzare temperature elevatissime è quello di far esplodere ordigni a fissione e sfruttare così la enorme quantità di calore sviluppato in tale processo. Un ordigno a fusione, quindi, è costituito da due parti : a. un ordigno a fissione che, esplodendo, realizzi le temperature necessarie al processo di fusione: b. un involucro esterno contenente gli elementi che subiranno la fusione dei nuclei leggeri. MATERIALE CHE SUBIRA’ LA FUSIONE NUCLEARE MASSE SUBCRITICHE DELL’ORDIGNO A FISSIONE L’alta temperatura raggiunta per lo scoppio di un ordigno a fissione non dura che una piccolissima frazione di secondo, per cui è necessario che la fusione avvenga in tale tempo. La fusione idrogeno-idrogeno è troppo lenta perché si realizzi nel tempo disponibile; la fusione tritio-deuterio sembra rispondere, invece, a questo requisito: infatti il primo ordigno termonucleare esploso nell'agosto 1952 pare fosse composto da un innesco a fissione circondato da un involucro contenente tritio e deuterio. Tuttavia l'uso del tritio è svantaggioso per l'enorme costo di produzione e soprattutto perché, essendo radioattivo, cambia di natura chimica nel tempo diventando elio. I-6 Le ragioni esposte sopra hanno suggerito, per le costruzioni di ordigni termonucleari, la combinazione di alcuni particolari elementi da associare all'ordigno a fissione; questo sarà circondato da un involucro contenente idruro di litio in cui, però, l'elemento idrogeno (idruro) è l'isotopo deuterio 1H2 e il litio sarà presente con l'isotopo 3Li6. In tal caso il meccanismo di fusione avviene secondo le seguenti fasi: a. scoppia l'ordigno a fissione creando le alte temperature e producendo neutroni: ORDIGNO A FISSIONE b. i neutroni prodotti reagiscono con il 3Li6 dando elio e tritio: c. il tritio prodotto si fonde con il deuterio dell'idruro di litio secondo la reazione: I-7 E' in virtù di questa ultima reazione che l'ordigno termonucleare viene anche detto bomba all'idrogeno: l’energia sviluppata nella reazione è cospicua e, non esistendo ivi la limitazione dovuta alla massa critica, teoricamente non esiste limite alla energia che si può liberare dallo scoppio di ordigni termonucleari. I-8 1.5 ESPLOSIONI NUCLEARI IN AMBIENTE TERRESTRE ED AEREO GENERALITÀ Durante la 2a guerra mondiale, nel corso di una delle più grandi incursioni aeree, 437 velivoli lanciarono su Coventry in Inghilterra 394 t di bombe ad alto esplosivo, 54 t di ordigni incendiari e 127 bombe paracadutate. I risultati furono: 380 morti, 800 feriti e danni molto vasti. Meno di cinque anni dopo, tre aerei volarono su Hiroshima, fu lanciata una sola bomba, un ordigno nucleare equivalente a 13 mila tonnellate di TNT. I risultati furono: circa 70.000 morti, 70.000 feriti, 62.000 2 edifici polverizzati e la distruzione di un'area di 12,5 km . ESPLOSIONI NUCLEARI L'esplosione di un ordigno nucleare è il risultato della reazione di fissione di nuclei atomici pesanti, come l'Uranio o il Plutonio, o della reazione di fusione di nuclei leggeri, quali gli isotopi pesanti dell'Idrogeno. Entrambe le reazioni liberano una notevole quantità di energia in un tempo relativamente breve, 1/100.000.000 di secondo, in una massa limitata di materiale confinata nella struttura dell'ordigno. A seguito di tale rilascio energetico, si manifestano degli effetti che risultano pericolosi all'uomo ed all'ambiente che lo circonda (fig. 1). Gli effetti prodotti dallo scoppio nucleare , entro il primo minuto dopo la detonazione, vengono classificati effetti iniziali; quelli, invece, che si verificano dopo tale periodo di tempo sono denominati effetti residui. Possono trascorrere ore o giorni prima che si venga a conoscenza delle conseguenze degli effetti residui ed essi possono durare per lunghi periodi di tempo. ARMI NUCLEARI Si definisce arma nucleare il complesso dell'ordigno con l'esplosivo nucleare (o con agenti radiologici) e del relativo mezzo di lancio. Per ordigno nucleare si intende il proietto, la 1 bomba, l'ogiva di missile o la mina che contiene l'esplosivo nucleare. Gli ordigni nucleari possono essere a: - fissione, od ordigni nucleari propriamente 2 detti (tipo " A "); - fusione, o termonucleari (tipo " H "); - prevalente azione adiologica (tipo " L'ordigno può essere, inoltre, costituito da 3 agenti radioattivi (ossia da sostanze radiologiche adatte ad uso militare) per contaminare il terreno, gli equipaggiamenti ed i mezzi. I mezzi di lancio si identificano in: 4 - artiglierie (proietti nucleari), compresa l'artiglieria navale; Principali effetti di una esplosione nucleare - missili (con ogive nucleari), includendo quelli installati su sommergibili; 1 = radiazione nucleare iniziale e radiazione termica - aerei (bombe nucleari); 2 = onda d’urto - navi e sommergibili (siluri, cariche di 3 = onda sismica 4 = radiazione residua I-9 profondità, mine); - squadre per la posa di mine (ADM). I-10 ENERGIA LIBERATA DALL’ORDIGNO NUCLEARE Per caratterizzare quantitativamente un ordigno nucleare si ricorre all'energia che esso può produrre. L'unità di misura di uso più comune è un multiplo della caloria, alla quale è stato dato il nome di "chiloton" (KT), caratterizzato dalla seguente equivalenza: 1 KT = 1012 calorie. Altro multiplo della caloria è il "Megaton" (MT) definito come: 1 MT = 1000 KT = 1015 calorie. Il nome " chiloton " deriva dalla considerazione che l'energia sviluppata dalla detonazione di una tonnellata di TNT è di circa 109 calorie, perciò la detonazione di 1000 t (una chilotonnellata ) di TNT libererebbe circa 1012 calorie. Nel linguaggio comune si usa dire che un'esplosione è più o meno " potente " a seconda che siano più o meno rilevanti gli effetti dell'esplosione stessa. Un linguaggio di questo tipo è valido solamente fino a che si rimane in termini generici: solo in tal modo si può parlare di "potenza" di un'esplosione ed esprimerla in chilotoni (ad esempio: " esplosione della potenza di 20 KT "). Da un punto di vista squisitamente scientifico, queste espressioni sono errate, in quanto il chiloton è una misura di energia e non di potenza. TIPI DI SCOPPIO Rispetto alla superficie del terreno, gli scoppi si diversificano a seconda che essi avvengano (fig. 2): a. in aria; in superficie; sotterraneo. Scoppio in aria Si definisce scoppio in aria la detonazione che avviene nell'atmosfera ad una altezza tale, che la sfera di fuoco, al massimo della sua brillantezza, non riesce a toccare la superficie della terra o dell'acqua. In tal modo la fenomenologia dell'esplosione stessa non subisce alcuna influenza dalla presenza del terreno o di qualsiasi altro tipo di ostacolo. La figura 3 mostra i quattro stadi successivi del fenomeno come vengono visti da un osservatore. Figura 2 - Tipi di scoppio I-11 Pochi decimi di secondo dopo il lampo di luce, la sfera di fuoco diventa visibile (fig. 3a.), nel punto di scoppio. Essa si espande regolarmente, sale e lentamente si oscura. Dopo pochi secondi (14 s per un ordigno da 1 MT) la sfera di fuoco diventa opaca e si trasforma in una nube di vapore. Nello stesso tempo, masse oscure di polvere, provenienti dal settore sottostante, vengono risucchiate verso Figura 3 - Scoppio in aria: l'alto (fig. 3b.). Come la nube sale, le a. Sfera di fuoco; b. Sollevamento della sfera di fuoco; masse turbolente di polvere sollevatesi dal c. Formazione della nube; terreno, dopo pochi minuti, possono d. Nube di polvere e nube di esplosione. raggiungerla (fig. 3c.). Per altezze di scoppio superiori ad 1 Km non si forma il fungo ma, molto spesso, si crea, oltre alla "nube d'esplosione", una "nube di polvere" attaccata al terreno. Separate fra loro, dopo un certo tempo le nubi si allontanano, normalmente in direzioni diverse, seguendo i venti predominanti alle varie quote (fig. 3d.). b. Scoppio in superficie Un'esplosione nucleare viene definita "in superficie", allorchè la sfera di fuoco da essa prodotta, quand'è al massimo della sua brillantezza, viene ad interagire con la superficie solida o liquida sottostante. La sfera di fuoco dura da 2-3 secondi a 10-15 secondi, poi si trasforma in una nube. Essa viene raggiunta da sassi, detriti e polvere risucchiati dalla superficie del terreno, che i venti di riflusso trasportano verso l'alto. Si forma, così, un cono affilato che, combinandosi con il materiale della sfera di fuoco, produce la caratteristica forma di fungo. I detriti più pesanti cadranno rapidamente, mentre la nube continuerà a salire sino ai limiti bassi della stratosfera. Una caratteristica di questo scoppio è la formazione di un cratere, dovuta alla compressione dei gas ed alla vaporizzazione del materiale a causa dell'altissima temperatura FIG. 4 – Fasi di uno scoppio nucleare in superficie. dei gas stessi. Le diverse fasi di un'esplosione nucleare di 1 MT in superficie sono riportate in figura 4. I-12 c. Scoppio sotterraneo Le detonazioni sotterranee (fig. 5) possono ottenersi, oltre che con le mine atomiche (ADM), anche con armi dotate di spoletta a percussione regolata in ritardo. La profondità di detonazione, salvo particolari casi di mine atomiche, dovrebbe generalmente essere prevista tra i 5 e i 25 metri. A tali profondità le detonazioni hanno caratteristiche simili agli scoppi in superficie, con alcune Figura 5 - Scoppio sotterraneo poco profondo da differenze quali: 100 Kt - il cratere più profondo; (4 - 5 minuti dopo la detonazione) - la distruzione sotterranea più grave; - la quantità di materiale radioattivo liberato in prossimità del punto zero maggiore. PUNTO ZERO, PUNTO DI SCOPPIO ED ALTEZZA DI SCOPPIO Il punto dove avviene la detonazione è chiamato "Punto di Scoppio". Il punto sulla superficie della terra al di sopra (o al di sotto) della quale avviene l'esplosione è detto "Punto Zero" (P.Z.). La distanza tra il punto di scoppio ed il Punto Zero è chiamata altezza di scoppio o profondità di scoppio. RIPARTIZIONE PERCENTUALE DELL'ENERGIA Nella detonazione di un ordigno nucleare la percentuale dell'energia che si manifesta sotto forma di onda d'urto, radiazione termica e radiazione nucleare dipende, oltre che dall'altezza alla quale avviene l'esplosione, anche dal tipo di ordigno. In genere, si potrà dire che, in base al tipo di ordigno, per detonazioni in aria o in superficie, seguente ripartizione percentuale: a. Ordigni a fissione onda d'urto : 50% La ripartizione percentuale dell'energia 35% radiazione termica e luminosa : 35% 50% per un ordigno a fissione è la seguente: radiazione nucleare iniziale : 5% 10% radiazione nucleare residua : 10% 5% b. Ordigni a fusione La ripartizione percentuale dell'energia per un ordigno a fusione è la seguente: 35% 50% 10% onda d'urto : 50% radiazione termica e luminosa : 35% radiazione nucleare iniziale : 10% radiazione nucleare residua : 5% 5% I-13 c. Ordigni al neutrone Sono detti anche ordigni a fusione con alta percentuale di radiazione iniziale (E.R. Weapons = Enhanced Radiation Weapons). La ripartizione percentuale dell'energia per un ordigno al neutrone è la seguente: 19,5% 50% 29% radiazione nucleare iniziale (neutroni) : 50% onda d'urto : 29% radiazione termica e luminosa : 19,5% radiazione nucleare residua : 1,5% 1,5% LAMPO DI LUCE - 100 LUMENS PER WATT Si verifica al momento dell'esplosione e viaggia alla velocità della luce, la sua durata aumenta con l'energia dell'ordigno e può essere diffuso dall'atmosfera e riflesso dalle superfici. Il lampo, che risulta 30 volte più brillante del sole a mezzogiorno ed è indipendente dall'energia dell'ordigno, colpisce soltanto gli occhi e può provocare anche cecità: la gravità è dovuta alla quantità di luce che penetra negli occhi e dipende da: 50 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Tempo Normalizzato Figura 6 - Efficienza di illuminamento della sfera di fuoco in aria confrontata con emettitori di uso comune durata dell'abbagliamento; distanza dal punto di scoppio; orientamento dell'osservatore; visibilità ed ora del giorno (è maggiore di notte); tempo di esposizione degli occhi. In figura 6 è riportata l'efficienza di illuminamento della sfera di fuoco in aria, confrontata con emettitori di uso comune. RADIAZIONE TERMICA Si hanno due impulsi termici: il primo non è significativo dal punto di vista militare, in quanto l'energia emessa, consiste principalmente di radiazioni X e ultraviolette. L'energia emessa durante il secondo impulso è la maggior parte, ed è costituita da luce visibile e radiazione infrarossa. Questa energia si diffonde a grandi distanze ed è la causa maggiore del danno termico di importanza militare. Con il primo impulso viene irradiato solo l'1% dell'energia termica totale, mentre con il secondo ne viene irradiato il 99 % (fig. 7). I-14 La radiazione termica ha: - una distanza di pericolosità molto ampia; - viaggia in linea retta ed alla velocità della luce; - può essere diffusa dall'atmosfera e riflessa dalle superfici; - la durata dipende dall'energia dell'ordigno. Distanza Quando raggiunge una superficie, essa può essere: - parzialmente riflessa; - trasmessa per convenzione o per conduzione; - assorbita, facendo così aumentare la temperatura della Figura 7 - Radiazione termica superficie (gli effetti del calore possono essere attenuati dalle condizioni atmosferiche, dalla polvere, dal fumo, ecc.). I materiali investiti possono prendere fuoco o carbonizzarsi e ciò dipende: - dal loro colore; - dalla composizione; - dalla struttura o tessitura; - dallo spessore; - dal loro contenuto d'umidità. Il danno prodotto dalla radiazione termica dipende sia dalla intensità con cui viene irraggiato il materiale, che dalla quantità di calore ricevuto e assorbito. L'incendio iniziale dei materiali può anche essere estinto dall'onda d'urto che lo segue, per cui gli effetti causati si distinguono in: - primari, dovuti alla radiazione diretta; - secondari, dovuti agli incendi causati dall'azione dell'onda d'urto e dalla radiazione termica. L'unità di misura della radiazione termica è: calorie per centimetro quadrato (cal / cm 2 ). ONDA D'URTO La maggior parte dei danni materiali causati dallo scoppio di un ordigno nucleare sono dovuti direttamente od indirettamente (lancio di detriti, sassi, vetri, ecc.) all'onda d'urto nell'aria. I parametri dell'onda d'urto che hanno maggiore importanza, in relazione alle loro capacità distruttive, sono: a. Sovrappressione - la sovrappressione - la pressione dinamica. La sovrappressione è un fenomeno transitorio dato dalla differenza fra la pressione dell'onda d'urto, che si manifesta nell'aria all'atto dell'esplosione, e quella dell'ambiente (fig. 8a.). Quando un'onda d'urto interagisce con un obiettivo, lo avviluppa e la sovrappressione risulta applicata su tutti i suoi lati, causando una forza di compressione e di schiacciamento che provoca il danno. La pressione dinamica è la misura del moto della massa d'aria che accompagna l'onda d'urto e delle forze di trascinamento esercitate dai venti derivanti da tale moto (fig. 8b.). b. Pressione dinamica Direzione del vento Figura 8 - Azione della pressione: a. sovrappressione; b. pressione dinamica. I-15 La pressione dinamica causa danneggiamento spingendo, ribaltando o strappando via gli oggetti. La sovrappressione può creare carichi sugli edifici, notevolmente superiori a quelli previsti dal progetto; la pressione dinamica, invece, crea forze di trascinamento molto maggiori a quelle dovute ai venti d'uragano. L'effetto dell'onda d'urto aumenta con l'energia dell'ordigno e diminuisce con l'aumentare dell'altezza di scoppio. La principale caratteristica dell'onda d'urto, Figura 9 - Diagramma della sovrappressione e della che si forma all'istante della detonazione pressione dinamica in un punto dato, in funzione del per la compressione di gas caldi, è data tempo dalla pressione che sale a picco al limite esterno, conosciuto come "fronte d'urto" (fig. 9). Nella propagazione dell'onda d'urto si verificano due fasi: - una positiva, quando l'onda d'urto colpisce un oggetto, con l'immediata crescita della pressione e dei venti. Essa cioè: colpisce spinge schiaccia - ed una negativa, quando la pressione cade al di sotto di quella atmosferica, una volta che l'onda d'urto supera l'oggetto. Ciò produce un vuoto parziale e l'aria viene risucchiata all'indietro, invece di procedere verso l'avanti. Essa, cioè, trascina all'indietro e pertanto colpisce spinge schiaccia trascina all'indietro Nella figura 10 sono rappresentate le fasi di compressione e di rarefazione ed i loro effetti. L'onda d'urto può essere deviata, ma non . apprezzabilmente ridotta, da ostacoli naturali ed artificiali. Può variare con la configurazione del terreno. Essa viaggia ad una velocità leggermente superiore a quella del suono (350 m/s) e la sua unità di misura è: atmosfera o chilogrammi per centimetro quadrato ( 1 atm = 1,03 Kg/cm2 ). Da uno scoppio in superficie traggono origine due tipi di onda d'urto: - l'onda d'urto in aria; - l'onda d'urto sotterranea diretta. Fig. 10 - Rappresentazione delle fasi di compressione, di I-16 L'onda d'urto in aria, poi, propagandosi lungo la superficie, genera nel terreno una progressione di "onde sismiche indotte". Gli effetti dell'onda nel terreno sono simili a quelli di un piccolo terremoto (fig. 11). Quando uno scoppio avviene in superficie o sotto terra, una parte dell'energia dell'onda d'urto sotterranea, unita all'effetto vaporizzante della radiazione termica, comprime e proietta verso l'alto e verso l'esterno una grande quantità di terreno dando luogo alla Figura 11 - Gli effetti di un'esplosione nucleare formazione di un cratere. Le dimensioni del cratere dipendono in larga misura dall'energia dell'ordigno, dalla profondità di scoppio e dalle caratteristiche del suolo. RIFLESSIONE DELL'ONDA D'URTO L'onda d'urto prodotta da un'esplosione in aria (onda incidente) viene riflessa quando investe un mezzo più denso, come per esempio la superficie della terra, sia essa suolo od acqua (fig 12). All'istante in cui tocca la superficie si viene a sviluppare rapidamente un'onda riflessa (fig. 13a.), che a sua volta s'allontana dalla superficie che l'ha prodotta. Il fronte d'urto Figura 12 - Fusione delle onde riflesso, generato dall'onda riflessa, viaggia nell'atmosfera ad una velocità maggiore di quella del fronte incidente, incidente e riflessa. Raddoppio della pressione generato dall'onda incidente (fig. 13b. e 13c.). In tal modo i due fronti d'urto, quello dell'onda riflessa e quello dell'onda incidente, gradualmente si raggiungono e si fondono per formare un unico fronte d'urto: il fronte di Mach (o gambo di Mach) (fig. 13). I-17 Figura 13 - Formazione dell'onda di Mach Il fronte risultante ha una pressione maggiore, come se essa derivasse da un ordigno avente un'energia superiore di circa 1,6 - 1,7 volte. RADIAZIONI NUCLEARI L'esplosione di un ordigno nucleare genera l'emissione di vari tipi di radiazioni nucleari quali: a. particelle alfa ( α ): - percorrono pochi centimetri nell'aria, - hanno scarsissima potenza di penetrazione, - risultano pericolose se l'emettitore viene ingerito; b. particelle beta( β ): - percorrono poco più di un metro nell'aria, - hanno scarsa potenza di penetrazione, - risultano pericolose per le scottature che potrebbero produrre sulla pelle; c. radiazioni gamma ( γ ): - sono simili ai raggi X, - percorrono considerevoli distanze nell'aria, - sono altamente penetranti, - sono pericolose sia se l'emettitore viene assorbito dal corpo e sia se provengono dall'esterno; d. neutroni ( n ): - possono indurre radioattività, - possono percorrere notevoli distanze nell'aria (dipende dall'energia dell'ordigno), - sono particelle altamente penetranti ed estremamente pericolose. La radiazione nucleare produce danni a distanze più brevi degli altri effetti esaminati in precedenza dovuti alle radiazioni che hanno un potere penetrante elevato. Essa non può essere rivelata dai sensi umani, ma solo dalla strumentazione RADIAC. La radiazione nucleare, prodotta dall’esplosione di un ordigno nucleare, si distingue in: - radiazione nucleare iniziale; - radiazione nucleare residua. I-18 La radiazione nucleare iniziale è quella che, proveniente dalla sfera di fuoco o dalla nube atomica, raggiunge la superficie della terra (o del mare) entro il primo minuto dopo la l’esplosione. La radiazione nucleare residua è quella emessa dopo il primo minuto. Poichè la quasi totalità dei neutroni vengono emessi al momento dello scoppio, si considera che la radiazione iniziale sia principalmente dovuta ad emissione di raggi gamma e di neutroni. La radioattività residua è causata dal materiale fissile che non ha partecipato alla fissione (emettitori alfa), dai prodotti della fissione e dal materiale dell'involucro dell'ordigno (emettitori beta e gamma) e dai componenti della superficie terrestre attivati dai neutroni (emettitori beta e gamma). La radioattività residua si differenzia da quella iniziale, della quale è la continuazione, per le seguenti caratteristiche: - si esaurisce in un tempo di gran lunga superiore; - non emette neutroni; - investe il personale esposto da tutte le direzioni, mentre la radiazione iniziale proviene al 90% (meno la diffusa) in linea diretta dalla sfera di fuoco. La radioattività non può essere eliminata, ma decade col tempo: il decadimento non può essere nè RICADUTA RADIOATTIVA La ricaduta radioattiva o "fall-out" è il fenomeno o il processo di ricaduta sulla superficie terrestre di particelle della nube nucleare contaminate da materiale radioattivo. Quantunque tutte le esplosioni nucleari producano fall-out, la ricaduta radioattiva che risulta militarmente rilevante proviene da ordigni che esplodono in superficie o sotto la superficie. ATTIVITÀ GAMMA INDOTTA DA NEUTRONI (NIGA). Quando l'esplosione avviene in aria, sotto l'intensa azione del flusso di neutroni che si origina al momento della detonazione, alcuni elementi chimici che entrano nella composizione dell'aria, dell'acqua e del terreno sottostante, diventano radioattivi. Mentre nell'acqua e nell'aria la quantità di radioisotopi che si origina è insignificante, nel suolo, invece, è notevole. La radioattività indotta nel terreno dipende da: - intensità del flusso neutronico; - energia dei neutroni (maggiore negli ordigni a fusione); - quantità di elementi soggetti all'attivazione esistenti nel terreno (per esempio, l'alluminio, il manganese, il silicio, il sodio ed il potassio vengono facilmente attivati). L'attività indotta non avviene solo sulla superficie, ma può avvenire anche in profondità nel terreno, dipendendo dall'energia dei neutroni stessi (10 - 15 cm). L'attività indotta decade rapidamente, poichè la maggior parte degli isotopi attivati ha una "vita , ai fini dell’attività operativa, dopo 24 ore dallo scoppio). IMPULSO ELETTROMAGNETICO (EMP) L'EMP (Elettro Magnetic Pulse) si può definire come un impulso di energia elettromagnetica, a larga banda di frequenza e di brevissima durata, prodotto dall'interazione delle radiazioni con l'atmosfera e la superficie del terreno. I-19 Esso può provenire da scoppi nucleari che avvengono a qualsiasi altitudine, da quelli sotterranei a quelli ad altissima quota (esoatmosferici). Diversi fattori, tuttavia, fanno ritenere che i più pericolosi siano quelli che avvengono alle alte quote. Per una esplosione aerea dell'ordine di qualche MT, l'area interessata può estendersi sino ad un milione di chilometri quadrati e la sua intensità arrivare a circa 106 V/m. L'EMP colpisce le apparecchiature elettriche ed elettroniche, gli equipaggiamenti e gli Figura 14 - Confronto tra impulso impianti. EMP e fulmine Paragonando il campo elettrico dell'EMP con quello del fulmine (fig. 14), si rileva che la velocità di salita dell'EMP è 50 volte superiore (10 nanosecondi) e il valore del picco è più grande da 2 a 4 volte. EFFETTI TRANSITORI DELLE RADIAZIONI (TREE) Il TREE (TRansient Effect on Electronics) si riferisce agli effetti diretti delle radiazioni sui sistemi e sui componenti elettronici. I semiconduttori e gli altri componenti elettronici sono sensibili in modo particolare alle radiazioni nucleari. Il danno risultante su di essi viene definito come "effetto transitorio delle radiazioni": il termine transitorio indica che la radiazione è di tipo impulsivo, mentre i danni sui materiali, invece, possono essere sia transitori che permanenti. IMPULSO ELETTROMAGNETICO INTERNO (IEMP) La radiazione gamma che penetra nell'interno di una "cavità", come per esempio un emettitore di segnali o l'interno di un missile, può liberare una quantità di elettroni, tale da generare nel suo interno campi elettrici tanto intensi da danneggiare il sistema. Questo fenomeno è conosciuto come IEMP ( Internal Elettro Magnetic Pulse). EFFETTI SULLA (BLACK-OUT) PROPAGAZIONE DELLE COMUNICAZIONI Il black-out è causato dalla ionizzazione prodotta dallo scoppio e dalla susseguente interferenza nelle radio frequenze: tale effetto attenua, riflette, disturba e devia i segnali radio e radar. EFFETTO ARGUS L'effetto ARGUS, che prende il nome da un programma di esplosioni statunitensi avvenute nel 1958, è dovuto agli elettroni che, prodotti a seguito di una detonazione nucleare ad altissima quota, vengono intrappolati nel campo geomagnetico e si spostano lungo le linee di forza, da un polo all'altro della terra, come palline da ping-pong, formando così, oltre al fenomeno delle aurore polari, uno schermo di elettroni: ciò rappresenta un pericolo potenziale per il personale e gli apparati elettronici di missili e satelliti che l'attraversano. I-20 2. DIFESA BIOLOGICA 2.1 LA GUERRA BIOLOGICA GENERALITÀ Annullare o quanto meno ridurre le capacità operative dell’avversario è lo scopo di qualsiasi arma, convenzionale o non convenzionale che sia. Ciò che cambia quindi, non è lo scopo ultimo dell’arma ma il mezzo utilizzato. Le armi convenzionali usano principalmente mezzi fisici quali proietti, schegge o altri oggetti perforanti in grado di provocare lesioni sul corpo umano o sui mezzi o materiali. Tra le armi non convenzionali, quella nucleare sfrutta mezzi fisici come l’onda d’urto, il calore e le radiazioni ionizzanti, mentre l’arma chimica utilizza sostanze chimiche tossiche per l’organismo. L’arma biologica si basa sull’impiego di aggressivi biologici cioè l’insieme dei microrganismi e delle sostanze chimiche prodotte da organismi viventi chiamate tossine, capaci di indurre uno stato di malattia nell’uomo, negli animali o nelle piante o provocare il deterioramento dei materiali e che per le loro caratteristiche biologiche e tecniche possono essere utilizzati a scopo bellico. STATO DI MALATTIA Per malattia si intende l’alterazione temporanea o definitiva del normale equilibrio funzionale esistente nell’organismo, dovuta ad un’alterazione delle reazioni biochimiche dei processi metabolici. Gli agenti causali, o eziologici, capaci di provocare uno stato di malattia vengono tradizionalmente distinti in fisici, chimici e biologici. Per le finalità del nostro corso è importante evidenziare che mentre le malattie di origine fisica o chimica non sono trasmissibili, le malattie di origine biologica possono essere trasmesse da un individuo all’altro se ne esistono le condizioni. Le malattie ad eziologia biologica si distinguono in infettive (se sono causate da microrganismi), parassitarie (se sono causate da organismi animali) genetiche e fisiologiche. Il termine “microrganismi” non indica un particolare gruppo sistematico di agenti biologici, ma ne evidenzia una caratteristica: le dimensioni microscopiche. Appartengono ai microrganismi i virus e gli organismi viventi unicellulari o pluricellulari comunque non visibili ad occhio nudo. Con il termine “animali” vengono indicati tutti gli organismi pluricellulari eterotrofi1 dotati di movimento o discendenti da organismi che lo erano. Le malattie trasmissibili, sia infettive che parassitarie, si considerano contagiose se l’agente patogeno può essere emesso all’esterno dall’organismo malato. Le malattie si considerano non contagiose se l’agente patogeno può uscire dall’organismo malato solamente tramite specifici vettori o particolari evenienze. 1 eterotrofo: organismo che utilizza composti organici preformati come sorgente di carbonio. II-1 MALATTIE 1. TRASMISSIBILI a. BIOLOGICA 1) INFETTIVE (causate da microrganismi) • CONTAGIOSE • NON CONTAGIOSE 2) PARASSITARIE (causate da microrganismi animali) • CONTAGIOSE • NON CONTAGIOSE 2. NON TRASMISSIBILI a. FISICA - TRAUMI - RADIAZIONI - CALORE - RUMORI b. CHIMICA - SOSTANZE TOSSICHE ESOGENE c. BIOLOGICA - GENETICHE - FISIOLOGICHE RAPPORTI FRA L'AGGRESSIVO BIOLOGICO E L'UOMO La disseminazione di un aggressivo biologico si ripromette, di norma, il verificarsi di un “contatto” del zione e sviluppo della malattia. Di seguito verranno esaminati in dettaglio tre aspetti che definiscono la possibile evoluzione dei rapporti che legano l'agente patogeno ad uno o più organismi ospiti. a. Infezione Con il, termine "infezione" si intende la penetrazione e replicazione del microrganismo nel, soggetto. Di norma ne consegue la messa in atto da parte di quest'ultimo dei meccanismi di difesa. Le vie di ingresso del patogeno sono rappresentate dall'albero respiratorio dal tubo gastroenterico, dalle vie congiuntivali nonché dalle soluzioni di continuo a carico della cute. Alcuni agenti possono attraversare le mucose ed eccezionalmente la cute anche se queste sono integre mentre nella generalità dei casi ciò è reso possibile solo da lesioni più o meno ampie del mantello cutaneo e delle superfici mucose (ferite, punture di insetti). In una fase successiva, i germi patogeni possono dividersi direttamente nei tessuti lungo i vasi linfatici, nel torrente ematico che li diffonde in altri distretti rendendo possibile il raggiungimento degli organi bersaglio. Gli elementi fondamentali che entrano in gioco nella genesi delle infezioni sono, oltre alla via di penetrazione, la carica microbica e la virulenza del microrganismo patogeno. II-2 b. Intossicazione Il termine “intossicazione” sta ad indicare una situazione nella quale l'elemento che gioca un ruolo essenziale ai fini della insorgenza dello stato della malattia è rappresentato dal veleno (tossina) prodotto dall'agente biologico; ciò non comporta la poss il pericolo di diffusione in quanto il più delle volte tali tossine possono essere veicolate da supporti ubiquitari quali alimenti, acque, ecc.. Il supporto per la diffusione delle tossine è rappresentato generalmente dagli alimenti. In tali sostanze ove si creino le condizioni adatte, i microrganismi si moltiplicano e riversano le loro tossine, che, data la cronoresistenza da esse posseduta, possono permanervi per lungo tempo anche dopo la morte dei microrganismi che le hanno prodotte. La via di penetrazione è prevalentemente rappresentata dalla via gastroenterica. c. Tossinfezioni Nelle tossinfezioni si verificano entrambe le eventualità: infezione e intossicazione. Nella prima fase (penetrazione del microrganismo) domina una sintomatologia infettiva alla quale segue quella più propriamente tossica dovuta alla elaborazione delle tossine proprie di quel microrganismo. d. Immunità. Esistono vari fattori che entrano in gioco per combattere l'infezione e l'intossicazione, al fine di prevenire o attenuare la malattia nell'ospite. Essi possono essere riuniti in due gruppi: fattori aspecifici, che operano contro vari patogeni (barriere fisiologiche, composizione biochimica dei tessuti, ecc.) e fattori che conferiscono all'ospite una resistenza specifica verso determinati agenti patogeni. Tale resistenza specifica è quella che normalmente viene denominata “immunitaria” e può essere acquisita naturalmente, mediante infezioni o artificialmente mediante l’uso di di sieri o vaccini. Sia le forme di immunità acquisite naturalmente che quelle acquisite artificialmente utilizzano fattori cellulari (globuli bianchi) e fattori umorali (anticorpi). La frazione rappresentata dagli anticorpi è quella che maggiormente caratterizza la risposta immunitaria specifica. SCOPI Scopo fondamentale di qualsiasi arma è ridurre, direttamente o indirettamente, le capacità operative Nel caso specifico dell’arma biologica si parlerà di scopi: 1. diretti, se mirati a colpire l’uomo con conseguente insorgenza di malattia: a. mortale; b. inabilitante; 2. indiretti, se mirati non a colpire l’uomo, ma a: a. provocare l’insorgenza di malattia nelle piante o negli animali, con inevitabile riduzione delle risorse alimentari; II-3 b. provocare il deterioramento di materiali, attrezzature e sistemi c. influire sul morale del personale militare e civile. L’offesa biologica si presta bene per: 1. obiettivi a carattere strategico, o comunque che coinvolgano grandi superfici, se l’aggressivo utilizzato è contagioso; 2. obiettivi tattici o comunque specifici e limitati in una ristretta area , se vengono utilizzati non contagiosi diffusi su specifici substrati (es. vestiti, alimenti, sistemi di climatizzazione, ecc.); 3. azioni di sabotaggio, a causa: a. dell’elevata difficoltà di rivelare l’aggressivo biologico; b. il tempo differito in cui si manifestano le conseguenze rispetto all’azione iniziale di attacco. Un ipotetico attacco biologico potrebbe essere portato, con azione di sabotaggio e prima dello scoppio delle ostilità come fase preparatoria ad un attacco con mezzi convenzionali o NBC, o in alternativa, dopo un attacco nucleare, che distruggendo molte delle infrastrutture civili, militari e sanitarie ridurrebbe notevolmente la possibilità di contenere gli effetti di un aggressivo biologico contagioso o meno che sia. Tra gli scopi indiretti va posta particolare attenzione alla possibilità di ridurre le risorse alimentari di un paese. Si consideri che attualmente il contrasto tra due fronti difficilmente si tende a risolverlo con una guerra aperta, ma più frequentemente con una guerra “economica” mediante, ad esempio, l’embargo. Se all’embargo si aggiunge un’offesa biologica mirata alla riduzione delle risorse alimentari di quella nazione, la crisi economica verrà sicuramente accentuata. E’ pur vero che le nazioni sensibili ad un attacco di questo tipo sono quelle che basano la propria alimentazione su una ridotta varietà di alimenti quali, ad esempio, i paesi del terzo mondo o i cosiddetti paesi emergenti. VANTAGGI E SVANTAGGI Fra i principali vantaggi dell’uso dell’arma biologica possiamo ricordare: 1. l’economicità sia nell’uso che nell’impiego. Qualsiasi laboratorio di microbiologia ben attrezzato sarebbe in grado di produrre facilmente grandi quantità di agenti patogeni. Anche per l’impiego si possono utilizzare sistemi estremamente economici quanto efficaci che possono andare dalla semplice frantumazione di un involucro, all’uso di più sofisticati mezzi di lancio o ordigni ad apertura predeterminata; 2. la notevole complessità e difficoltà nelle procedure di rivelazione e identificazione rende l’arma biologica particolarmente pericolosa e facilmente utilizzabile in azioni di sabotaggio; 3. che l’azione distruttiva si esplica essenzialmente sugli esseri viventi, lasciando intatte le infrastrutture ed i materiali; 4. la possibilità di contaminare vaste aree, se si utilizzano aggressivi biologici contagiosi, o colpire specifici obiettivi se si considerano aggressivi biologici non contagiosi disseminati su specifici substrati; 5. la possibilità di poter scegliere o creare (mediante le innovative tecniche di ingegneria genetica) malattie con requisiti biologici e tecnici adatti alla finalità di impiego; 6. la possibilità di convertir e facilmente impianti farmaceutici, laboratori biologici di ricerca e sviluppo o impianti industriali connessi al settore biologico alla produzione di aggressivi biologici. II-4 Fra i principali svantaggi dell’uso dell’arma biologica possiamo menzionare: 1. l’influenza delle condizioni meteoclimatiche sull’efficacia dell’aggressivo biologico; 2. l’evoluzione relativamente lenta della maggior parte delle infezioni dovute a microrganismi (le tossine generalmente agiscono con estrema rapidità) che limita il valore condotta con tali agenti; 3. la necessità di conoscere, da parte dell’aggressore, un’adeguata terapia e profilassi per la malattia utilizzata allo scopo di evitare un possibile “effetto boomerang”. 2.2 GENERALITA' L’arma biologica è quello strumento di guerra costituito da: uno o più aggressivi biologici; un sistema di diffusione. Allo scopo di fornire alcune informazioni sulle caratteristiche generali degli aggressivi biologici, saranno descritti quelli di maggior interesse dal punto di vista del possibile impiego bellico. Tali aggressivi possono essere distinti in agenti viventi (funghi o miceti, batteri, rickettsie) e agenti non viventi (virus e tossine ). Ai fini operativi risulta di maggior interesse distinguere gli aggressivi biologici in relazione alle loro capacità di replicazione e quindi alla possibilità di essere trasmesse. In questo caso distingueremo: • i microrganismi, (funghi o miceti, batteri, rickettsie e virus) • le tossine. I microrganismi hanno la capacità di replicarsi e quindi possono essere contagiosi, al contrario le tossine non hanno la capacità di replicarsi e quindi sicuramente non sono contagiose. 1. Microrganismi. Generalità e struttura Sono organismi osservabili unicamente con l'ausilio di un microscopio (ottico o elettronico) data la loro piccola dimensione, misurata in millesimi di millimetro, cioè in micrometri (µm)2. Se si escludono i virus, l'osservazione al microscopio ottico consente di rilevare unità aventi struttura "cellulare", disposte singolarmente o a gruppi3. Alcuni microrganismi come i batteri ed i miceti sono capaci di svolgere funzioni necessarie allo loro crescita, riproduzione e mantenimento se vengono a 2 3 1 micro-metro (µm) = 10-6 metri. 1 nano-metro (nm) = 10-3 µm. Costituenti essenziali delle strutture cellulari più semplici (procarioti), come i batteri e le rickettsie sono: - parete cellulare, con funzioni essenzialmente di protezione e delimitazione dell'ambiente; - citoplasma, sede principale dei processi metabolici ivi compresa la biosintesi proteica che avviene a livello di particolari organuli in esso contenuti (ribosomi); - membrana citoplasmatica che interviene nei processi di ossidazione biologica, negli scambi con l'ambiente esterno e nei processi riproduttivi; - sostanza nucleare, responsabile dell'informazione genetica ad opera dell'acido desossiribonucleico (DNA); Nelle cellule più evolute (eucarioti), come i miceti, cellule vegetali ed animali, la sostanza nucleare è delimitata da una membrana e nel citoplasma si trovano altri organuli, oltre ai ribosomi, con specifiche funzioni biologiche (mitocondri, reticoli-endoplasmatici, lisosomi, ecc.). Per dettagli sull’argomento si rimanda alla letteratura specializzata. II-5 trovarsi in un ambiente caratterizzato da condizioni chimico-fisiche (temperatura, umidità, pH, ecc.) e nutrizionali adeguate. Altri microrganismi che possiedono una struttura non tipicamente cellulare, come le rickettsie, possono riprodursi solo all'interno di cellule ospiti. I virus hanno una struttura non cellulare, tali microrganismi non viventi sono costituiti di materiale genetico come il DNA (acido Deossiribonucleico) o l’RNA (acido Ribonucleico) circondato da un rivestimento per lo più di natura proteica (capside), che lo protegge dall'ambiente. Riproduzione La riproduzione dei microrganismi può avvenire asessualmente, per scissione binaria (batteri, rickettsie, clamidie), per gemmazione (alcuni miceti) o per sporulazione (miceti), oppure sessualmente, per copulazione fra due cellule con interscambio di materiale genetico (miceti, alcuni batteri). I virus sono incapaci di riprodursi autonomamente e la loro replicazione è subordinata alla possibilità di sfruttamento dei processi metabolici della cellula ospite. Incapsulamento e sporulazione Due aspetti di particolare rilievo riguardanti alcune specie batteriche sono l'incapsulazione e la sporulazione. Si tratta di processi biologici legati, in particolare, alla loro sopravvivenza nell'ambiente. La capsula è una struttura mucogelatinosa che avvolge il corpo cellulare dei batteri e che svolge una funzione difensiva nei riguardi dell'attività antibatterica dell'organismo ospite (es.: capsula dei pneumococchi, di tipo polisaccaridico e capsula dei bacilli carbonchiosi, di tipo polipeptidico). Particolarmente importante è il fenomeno della sporulazione, osservabile nei batteri del genere Bacillus e Clostridium e nei funghi (o miceti). Essa consiste nella produzione di un corpicciolo sferico od ovale, detta spora, che presenta la caratteristica di una notevole resistenza alle condizioni ambientali sfavorevoli che, in determinate condizioni favorevoli e dopo un intervallo variabile di tempo, può presentare il fenomeno della germinazione e ricostituirsi in forma vegetativa. Per dare , si consideri che esse sono sicuramente uccise solo dopo un trattamento di un'ora a l70°C in ambiente secco, o a 115°C-120°C in presenza di vapore acqueo sotto pressione. Allo stato secco le spore possono restare in vita per molti anni. Anche i funghi sono in grado di formare spore durante il loro ciclo riproduttivo. Le spore fungine hanno caratteristiche funzionali e di resistenza simili a quelle batteriche. 2. Tossine. Generalità Si tratta di sostanze tossiche prodotte da organismi viventi oppure costituiti da frammenti degli stessi. Comunemente con il termine tossina si indica una sostanza tossica di origine microbica mentre con il termine veleno si indica una sotanza tossica prodotta da organismi animali o vegetali. I virus pur rientrando fra i microrganismi non producono tossine ne hanno la capacità di formare spore in quanto non sono in grado di svolgere alcun processo biochimico. È per questa ragione che non sono considerati organismi viventi. Tossine batteriche Le tossine batteriche vengono classificate distintamente in esotossine ed endotossine. Le esotossine sono sostanze proteiche di elevato peso molecolare liberate nell'ambiente da alcune specie batteriche (Gram-positive, secondo il criterio distintivo, dell'omonima colorazione), termolabili, le cui dose minima letale (d.m.1.) è dell'ordine del milionesimo di grammo. Esempi di esotossine sono II-6 la botulinica, prodotta dal Clostridium botulinum, la tetanica, prodotta del Clostridium tetani, la difterica prodotta dal Corynebacterium diphteriae e l'enterotossina di alcuni ceppi batterici del genere Staphilococcus (enterotossina stafilococcica). Le endotossine sono invece frazioni della cellula batterica intimamente legate alla struttura cellulare che si liberano con l'autolisi del corpo cellulare o ricorrendo ad energici mezzi di estrazione artificiale, Sono presenti in alcune specie (Gram-negative) e sono costituiti da complessi proteici di elevato peso molecolare o glicolipidici e, per questo, rispettivamente termolabili e termostabili, L'ordine di grandezza della dose minima letale è generalmente il milligrammo. Esempi di endotossine sono quelle presenti nel citoplasma di Pasteurella pestis (agente eziologico della peste) e del Vibrio cholerae (agente eziologico del colera). Altre tossine Altri tipi di tossine di particolare interesse militare perché caratterizzate da notevole tossicità, sono: - tossine prodotte da alcune specie di miceti (micotossine); - veleni derivati da dinoflagellati e molluschi marini (saxitossine); - veleni derivati da animali marini (tetrodotossine); - veleni derivati da altri organismi viventi (es.: veleni di Microcystis aeruginosa e di Anaboena flosaquae). CARATTERISTICHE BIOLOGICHE DEGLI AGENTI BIOLOGICI Di seguito vengono brevemente descritti alcuni parametri che caratterizzano le proprietà biologiche dell'agente e che sono ritenuti più significativi per gli scopi del corso. (1)Potere patogeno. E' la capacità posseduta da agenti biologici di causare una determinata malattia. Si consideri che gressivo biologico di causare malattia è specifico per la specie vivente considerata. Ad esempio, molte malattie che colpiscono l'uomo, non colpiscono gli animali o le piante e viceversa. (2)Virulenza. E' valutata in relazione alla gravità del decorso clinico della malattia. La virulenza è correlata con: - la capacità di superare le barriere naturali difensive dell'ospite, e di diffondersi nell'organismo - la capacità di produrre sostanze tossiche (eso ed endotossine); il possesso di adeguate strutture difensive (capsule, ecc.); la possibilità di elevata moltiplicazione nell'ospite; la possibilità di produrre enzimi che facilitano la invasività o ledono le strutture vitali delle cellule ospiti. (3)Carica microbica minima Rappresenta il numero di agenti patogeni necessari ai fini dell'insorgenza della malattia nell'organismo ospite. In alcuni casi la carica microbica minima può corrispondere a poche unità (es.: l0 unità, nel caso di II-7 Francisella tularensis, per inalazione da parte dell'uomo). E’ una caratteristica peculiare dei microrganismi. (4)Dose letale media (LD50). Rappresenta la quantità di tossina che produce la morte del 50% degli animali di esperimento inoculati. L’elevata tossicità di molte tossine comporta che la LD50 pu quella di aggressivi chimici. L’unità di misura per le tossine sono infatti generalmente espresse in microgrammi (µg) o nanogrammi (ng). È una caratteristica peculiare delle tossine. (5)Periodo di incubazione. E' il periodo di tempo che intercorre fra la penetrazione del patogeno e la manifestazione clinica della malattia. E' molto variabile e dipende da una serie di fattori fra cui il tipo di patogeno, la carica microbica assunta e la resistenza all'infezione offerta dall'organismo ospite. Nel caso delle tossine si fa riferimento analogamente, al "periodo di latenza". (6)Periodo di Latenza. E’ il periodo di tempo che intercorre fra la penetrazione della tossina e la manifestazione chimica della malattia. (7)Contagiosità. Si definisce malattia contagiosa quella che può diffondersi da un soggetto ad un altro a causa della capacità dell’agente biologico di uscire dall’organismo malato. (8)Indice di letalità. L'indice di letalità per una determinata malattia è espresso dal rapporto percentuale fra il numero dei morti ed il numero dei malati. Per definizione gli agenti "letali" sono quelli che causano con elevata probabilità la morte in non meno del 10% dei casi non curati. Gli agenti inabilitanti provocano soltanto una transitoria incapacità fisica dell'individuo; occasionalmente sopravviene la morte in soggetti debilitati o di giovanissima età. (9)Persistenza. E' la capacità dell’aggressivo biologico di mantenere la propria virulenza nell’ambiente, in condizioni normali o sotto l’azione di bonificanti. Alcuni agenti biologici (es.: batteri sporigeni come il Bacillus anthracis ed il Clostridium botulinum), posti in condizioni ambientali sfavorevoli mantengono la loro virulenza anche per anni grazie alla possibilità che hanno di trasformarsi in spore. (10)Stabilità. E' la capacità dell’aggressivo biologico di mantenere la propria virulenza durante la conservazione. II-8 FUNGHI (MICETI) Sono microrganismi uni o pluricellulari, costituiti da cellule di tipo eucariotico con nucleo differenziato e parete cellulare rigida. Sono privi di clorofilla e quindi di capacità fotosintetiche. Sono eterotrofi con abitudine parassitaria e saprofitaria, così distinti a seconda che la sostanza organica preformata di cui hanno bisogno e che utilizzano è viva o morta. Circa la produzione di energia. i miceti sono capaci solo di ossidare substrati organici. Per quanto riguarda la struttura e la moltiplicazione è utile distinguere i miceti in due grandi gruppi: muffe e lieviti. L'elemento fondamentale della crescita vegetativa di una muffa sono le “ife”, strutture tubolari ramificate, con diametro di 2-10 µm. Dette ife si sviluppano sia in lunghezza (crescita apicale) sia formando ramificazioni: l’insieme delle ife La parte dell'ifa, che si trova nel substrato con il compito di assorbire sostanze nutritive, prende il nome di micelio "vegetativo", mentre quelle che si trovano al di sopra del substrato prendono il nome di micelio "aereo", o riproduttivo, perché portano le strutture riproduttive (queste ultime, dette spore - non sono da confondersi con quelle batteriche che tendono a staccarsi appena formatesi). Nella gran parte delle specie, le ife sono suddivise da setti parietali. I miceti non settati sono chiamati "cenocitici" (ciò significa che i numerosi nuclei sono immersi in una massa continua di citoplasma). I lieviti, viceversa, sono organismi monocellulari, ovali o sferici, con diametro da 3 a 5 µm. I miceti si possono riprodurre attraverso cicli sessuati o assessuati. Per la crescita i miceti esigono un elevato grado di umidità, un pH leggermente acido, un terreno ricco di sostanze organiche nutritive e una certa temperatura secondo la specie. Il carattere patogeno, non legato a ben definiti fattori di virulenza del tipo di quelli che consentono ai batteri penetrazione ed attecchimento mento nell'ospite, si estrinseca soltanto in particolari condizioni di recettività dell'ospite stesso. BATTERI I batteri sono microrganismi unicellulari. La forma è assicurata da una parete cellulare rigida. Alcune specie sono mobili per presenza di ciglia. Le dimensioni sono dell'ordine di alcuni micrometri. In base alla forma si distinguono in: þ Cocchi (rotondi); þ Vibrioni (a virgola); þ Spirilli (a spirale); þ Batteri e Bacilli (bastoncellari). Relativamente alla capacità di sintetizzare la sostanza organica dei propri costituenti, si distinguono in "autotrofi" se ottengono tali composti partendo dalla sostanza inorganica ed "eterotrofi" se invece raggiungono lo stesso scopo demolendo la sostanza organica. Gli eterotrofi si distinguono a loro volta in saprofiti e parassiti. II-9 In relazione ai processi ossidativi e quindi alle esigenze di ossigeno atmosferico, i batteri possono essere: þ aerobi, obbligati e facoltativi, se utilizzano come accettore di elettroni l'ossigeno atmosferico; þ anaerobi, obbligati (e facoltativi), se utilizzano come accettore di elettroni ossigeno diverso da quello atmosferico; þ microaerofili, per i quali è sufficiente una bassa tensione di ossigeno atmosferico. Per ciò che concerne la riproduzione, essa avviene per "scissione binaria". Il processo di divisione si svolge più o meno rapidamente (15-30 minuti) in funzione di determinate condizioni ambientali (soprattutto la temperatura). Le cellule figlie a loro volta entrano in riproduzione ed in breve tempo il loro numero raggiunge valori altissimi. Alcune forme bastoncellari (Bacillus e Clostridium) sono in grado di sporulare, cioè di assumere una particolare forma di vita latente chiamata spora in cui è temporaneament riproduttiva e notevolmente ridotta quella metabolica. Il fenomeno consiste essenzialmente in un addensamento del citoplasma con perdita di acqua e formazione di nuovi prodotti (il materiale acquista così compattezza ed impermeabilità mentre una sostanza neoformata -dipicolinato di calcio- svolge un'azione di protezione contro le radiazioni ultraviolette e termiche). La spora è pressoché sferica con diametro di qualche µm ed è molto resistente nei confronti di condizioni ambientali sfavorevoli (allo stato secco si conserva per lungo tempo). Per ucciderla è necessario un trattamento di un'ora a 170°Ccon il calore secco oppure a 120°C con il calore umido per circa 40 minuti. Le forme vegetative, invece, soccombono a meno di 100°C con il calore umido in circa 20 minuti. Un fattore molto importante, specialmente ai fini dell'attecchimento dei batteri, è rappresentato da una capsula avvolgente di notevole spessore che li protegge dai meccanismi difensivi dell'ospite. Essa si forma solo quando le condizioni, per lo più sfavorevoli, sollecitano la sua costituzione in quei batteri che possiedano i fattori genetici. Altra caratteristica di alcune spore è la capacità di secernere tossine, cioè sostanze altamente tossiche anche alle minime dosi. Per la coltivazioni dei batteri da laboratorio, ci si avvale di terreni di coltura caratterizzati dai seguenti requisiti: þ possesso di sostanze nutritive necessarie al particolare metabolismo della specie che interessa; þ presenza di: - un confacente grado di umidità; - adatto grado di acidità (pH di solito neutro o debolmente alcalino); - idonea temperatura (i patogeni prediligono una temperatura intorno ai 37°C, i saprofiti normali valori ambientali). La coltivazione in terreni artificiali di ceppi patogeni produce, in genere, una attuazione della loro virulenza mentre, invece, il passaggio ripetuto in esseri viventi ne provoca, per lo più, una esaltazione per fenomeni di selezione di mutanti resistenti ai meccanismi difensivi dall'ospite (fagocitosi , anticorpi, ecc.). II-10 RICKETTSIE Le Rickettsie sono microrganismi unicellulari classificati nel regno dei batteri ma, avendo perso alcune caratteristiche peculiari della struttura cellulare risultano, dal punto di vista strutturale e funzionale, simili ai virus. Le rickettsie hanno infatti dimensioni paragonabili a quelle dei virus, circa 0,1 µm, e al pari di questi sono in grado di riprodursi solo se riescono a penetrare all’interno di una cellula ed a sfruttare le sue funzioni energetiche e riproduttive VIRUS I virus sono formazioni biologiche elementari prive di organizzazione cellulare e costituite da un involucro proteico (capside) contenente un solo acido nucleico (DNA o RNA). Essi si riproducono solo all'interno di cellule viventi attraverso la duplicazione del proprio acido nucleico che indirizza il metabolismo delle cellule ospiti verso la sintesi delle proteine del capside. Per quanto attiene alla morfologia, i virus possono presentarsi: þ a simmetria cubica (es.: icosaedro); þ a simmetria elicoidale; þ a simmetria complessa (es.: a forma di manubrio, a proiettile, ecc.). Le dimensioni sono dell'ordine delle decine di nanometri e, pertanto, i virus non sono visibili al microscopio ottico. Mancano completamente sia degli enzimi per la produzione dell'energia sia di quelli necessari ai processi sintetici. Dopo che il virus è penetrato nella cellula, l'acido nucleico virale si duplica ed indirizza la sintesi proteica della cellula ospite verso la fabbricazione delle proteine dell'involucro capsidico. Successivamente, l'acido nucleico e l'involucro si uniscono (assemblaggio) ricostituendo molte unità virali, le quali si liberano nell'ambiente abbandonando la cellula ospite e potendo, così, infettare altre cellule. I virus vengono conservati a temperatura intorno a -60°C, ancor meglio se liofilizzati. Possono essere coltivati solo in cellule viventi. Caratteristica comune di tutti i virus è l'insensibilità agli antibiotici. REQUISITI I microrganismi patogeni o le tossine perché possano essere definiti "aggressivi" e quindi essere utilizzati per fini militari quali agenti di guerra biologica (aggressivi biologici), devono rispondere alla maggior parte dei seguenti requisiti: - virulenza adeguata alla finalità di impiego; bassa carica microbica minima; bassa dose letale media; periodo di incubazione noto ed adeguato alle finalità d’impiego; elevata stabilità alla conservazione; II-11 - persistenza adeguata alle finalità di impiego; difficoltà di rivelazione/identificazione; facilità di produzione in quantità significative d al punto di vista militare; facilità di disseminazione; controllabilità da parte dell'attaccante della diffusione della malattia; scarsa o nulla sensibilità ai presidi farmacologici ed immunitari di cura e profilassi conosciuti TIPI DI CLASSIFICAZIONE a. Ai fini della classificazione si farà riferimento ad una suddivisione che risponde ai criteri classici della microbiologia sistematica e che consentirà di esaminare successivamente: - miceti; - batteri; - ricketsie; - virus; - tossine. Altra possibile classificazione che fa riferimento all'oggetto di un eventuale impiego di agenti biologici di guerra è la seguente: - aggressivi biologici anti-uomo; - aggressivi biologici anti-animali; - aggressivi biologici anti-pianta. Tale suddivisione possiede una relativa validità anche perché alcuni patogeni potrebbero essere compresi in una o più di tali categorie (es.: brucelle). In base alla loro utilizzabilità, gli aggressivi biologici possono essere suddivisi in: - di probabile impiego; - di possibile impiego. Anche tale suddivisione non risponde pienamente alle esigenze, in quanto la maggiore o minore probabilità di impiego per un agente dipende da molti fattori, intrinseci o di contorno, che non sono facilmente ponderabili. Generalmente si ritiene che la maggiore probabilità di impiego sia posseduta da quegli aggressivi che possono essere disseminati in forma di aerosol biologico (es.: bacillo del carbonchio). Altra distinzione viene fatta fra aggressivi "fugaci" e "persistenti", secondo un criterio improprio di classificazione caduto pressoché in disuso. Tale distinzione si basa sulla loro minore o maggiore attitudine a conservarsi virulenti nell'ambiente in cui sono stati rilasciati, in analogia a quanto si verifica propriamente con gli aggressivi chimici4. E' opportuno, inoltre, ricordare che in aggiunta agli aggressivi biologici sopra citati, altri, caratterizzati da nuove ed insospettabili proprietà, possono essere prodotti grazie alla possibilità offerte dall'uso delle tecniche del "DNA-ricombinante" (note anche come tecniche di ingegneria genetica). E' opinione corrente, comunque, che ad esse probabilmente potrebbe far ricorso un aggressore per ottenere nuovi agenti di guerra biologica per soddisfare le seguenti esigenze: 4 Vds. pubblicazione n. 6250 "Aggressivi chimici" , ed. 1980, edita da SME-ISPEANBC -- Ufficio NBC. II-12 - rendere più agevole la produzione e conservazione dell'aggressivo; - aumentare la resistenza dei microrganismi patogeni agli antibiotici e chemioterapici; - modificare la struttura "antigenica" del patogeno per consentirgli di opporsi efficacemente alle difese immunitarie dell'organismo ospite e per rendere più difficile la rivelazione o identificazione con metodi immunologici; - facilitare la produzione di tossine. 2.3 METODOLOGIA DI IMPIEGO DEGLI AGGRESSIVI BIOLOGICI GENERALITA' L'impiego intenzionale dell’arma biologica avviene per "disseminazione" degli aggressivi biologici sotto forma di sospensioni liquide o polveri secche finemente suddivise. Opportune tecniche di selezione, ingegneria genetica e conservazione consentono, di conferire agli aggressivi biologici le caratteristiche biologiche e tecniche necessarie per il loro impiego. DISSEMINAZIONE I metodi di disseminazione si basano sulla esistenza di tre primarie vie di penetrazione attraverso cui i patogeni possono introdursi nell'organismo per stabilire l'infezione o l'intossicazione. Tali vie di penetrazione sono l'apparato respiratorio, la pelle e l'apparato digerente, cui corrispondono rispettivamente (ma non rigidamente) l'aerosolizzazione, la disseminazione per mezzo di vettori ed il sabotaggio. a. Aerosolizzazione. (1)Dimensione delle particelle aerosolizzate. Affinché l'aerosolizzazione sia efficace è necessario che le particelle di aerosol "penetrino" adeguatamente all'interno di un organismo ospite per stabilirvi un determinato stato di malattia. Tale possibilità è subordinata alle dimensioni delle particelle dell'aerosol che deve, in prima istanza, penetrare nell'albero respiratorio ed esservi trattenuto a livello delle sue porzioni più profonde (alveoli polmonari). Gli aerosoli sono particelle di dimensioni comprese fra 1 e 5 µm di diametro. (2)Tecniche di disseminazione Gli aggressivi biologici possono essere disseminati sotto forma di aerosol solido o liquido. La forma liquida si riferisce soprattutto alle sospensioni di microrganismi patogeni che traggono da esse gli elementi necessari alla loro sopravvivenza nell'ambiente (fattori nutritivi, umidità, ecc.). L'aerosol può essere rilasciato nell'ambiente direttamente o indirettamente. Nel primo caso vengono utilizzate adatte apparecchiature (aerosolizzatori) da posizioni ben definite sul terreno o a bordo di veicoli terrestri, natanti o aeromobili. Particolare importanza è rivestita dagli aeromobili che possono spargere agevolmente l'aggressivo volando anche a bassa quota (di norma, in senso perpendicolare alla direzione del vento) con II-13 2 possibilità di contaminare estensioni di terreno di centinaia di km . Nel secondo caso l'agente è contenuto in adatti contenitori (munizionamento e dispositivi di vario tipo, es. bombolette) che lo rilasciano con varie modalità in seguito all'impatto con il terreno. Il munizionamento comprende proietti, ma soprattutto bombe d'aereo. Le bombolette possono essere raggruppate in sistemi (clusters) montati, ad esempio, sulle testate dei missili o altri sistemi d'arma. Per mezzo dei "clusters" (contenenti fino a 1000-1500 bombolette) possono essere contaminate estensioni di terreno di 10-20 km2. (3)Caratteristiche. L'aerosolizzazione è caratterizzata da: − difficoltà di rapida rivelazione dell'aerosol con le comuni tecniche analitic he; − aumentata probabilità da parte dell'organismo di venire a "contatto" con l'agente, a causa delle esigenze e dei meccanismi della respirazione; − possibilità di ottenere tassi di contaminazione sufficientemente elevati; − capacità di penetrazione notevole dell'aerosol. Le particelle di aerosol tendono a diffondersi in modo analogo ai gas e possono penetrare facilmente anche all'interno di strutture non isolate ermeticamente e sprovviste di adeguati sistemi di filtrazione; − possibilità di indurre uno stato di malattia con modalità di trasmissione "inconsuete". I sintomi classici di una malattia associata ad uno specifico agente eziologico derivano dall'instaurarsi di una infezione od intossicazione contratta, generalmente, attraverso una via "normale" di penetrazione nell'organismo ospite (alcuni patogeni, come è noto, possono causare una malattia utilizzando più di una via di penetrazione). La malattia indotta attraverso una via "inconsueta" di penetrazione (es.: albero respiratorio) comporta una difficoltà di diagnosi (a causa di una possibile non usuale sintomatologia) ed un aumento della gravità della malattia come può derivarsi dagli esempi riportati nel seguente specchio relativo agli Vie di penetrazione Cutanea (normale) Respiratoria (inconsueta) Carbonchio 5-20% 99% Peste 20-30% 95% Malattia (4)Fattori che influenzano l'impiego degli aerosol biologici. Tali fattori riguardano gli aggressivi biologici come tali o la nube di aerosol biologico prodotto. II-14 (a) Persistenza. La velocità di perdita di efficacia di un agente aerosolizzato è influenzata dai seguenti fattori: - irraggiamento solare. La regione ultravioletta dello spettro solare esercita una azione germicida nei riguardi di tutti i microrganismi. Minore sensibilità a tale azione, rispetto alle cellule vegetative, hanno le spore batteriche e particolarmente quelle fungine. L'influenza negativa dell'irraggiamento solare diminuisce generalmente con l'aumentare del tasso di umidità relativa. Aerosol batterici in forma liquida appaiono più sensibili alle radiazioni di quelli in forma di polveri secche; - umidità. Una bassa percentuale di umidità influisce negativamente sulla stabilità delle particelle liquide aerosolizzate (queste tendono a ridurre la loro dimensione per fenomeni di evaporazione ai quali segue una progressiva disidratazione delle cellule incluse nell'aerosol). Tale stabilità può essere naturalmente aumentata da fattori propri dell'agente (es.: presenza di "lipidi" in alcuni virus) o artificialmente indotta con tecniche che limitano il processo di disidratazione (microincapsulazione); - composizione chimica dell'atmosfera. Il tasso di inquinamento atmosferico influisce negativamente sulla capacità di sopravvivenza dei microrganismi. Studi recenti hanno evidenziato la presenza in aria libera di "fattori germicidi" la cui natura non è stata esattamente identificata. Sembra trattarsi di prodotti intermedi di ossidazione degli idrocarburi insaturi (presenti in atmosfera anche come contaminanti ambientali) provocata dall'ozono; - temperatura. La velocità di decadimento dell'aerosol è aumentata da valori elevati della temperatura ambiente maggiore importanza ha, comunque l'effetto "indiretto" dell'aumento di temperatura, derivato dal conseguente incremento della velocità di evaporazione, che influisce, come detto, negativamente sulla stabilità dell’aerosol. (b)Diffusione. L'aerosol biologico è soggetto all'azione di una serie di fattori meteoclimatici che contribuiscono in modo determinante alla formazione della nube ed al suo movimento lungo una determinata direzione. La nube di aerosol risente della forza di gravità, della velocità e direzione del vento, della turbolenza atmosferica e di altri fenomeni meteorologici (es.: precipitazioni) ed anche dei fattori precedentemente esaminati con particolare riferimento alla temperatura ed alla umidità relativa. - Forza della sorgente. E' definita dalla concentrazione iniziale dell'aerosol biologico prima del rilascio in atmosfera. Essa risulta, di norma, molto elevata (ad esempio 5 litri di sospensione batterica possono agevolmente contenere fino a 5 x 10 14 microrganismi). II-15 - Velocità, direzione del vento. Questi fattori determinano la direzione di spostamento della nube di aerosol e la dimensione dell'area contaminata. Aerosol biologici ad alta velocità di decadimento possono essere impiegati efficacemente con elevate velocità del vento (5-10 m/sec) e possono investire aree molto estese durante il periodo di sopravvivenza dell'agente. Velocità del vento più basse diminuiscono il percorso della nube e, quindi, l'estensione della contaminazione, ma tendono ad allungare il tempo di permanenza dell'aerosol sull'obiettivo e ad aumentare, quindi, la probabilità di inalazione di dosi pericolose. Importante fattore che condiziona il movimento della nube è la granulometria dell'aerosol che lo compone. In generale, particelle di 5 µm di diametro, sfruttando le componenti verticali del vento, possono rimanere in sospensione ed essere trasportate per centinaia di chilometri senza dar luogo a significativi fenomeni di fall-out lungo il percorso della nube. Con venti moderati particelle di più grandi dimensioni possono analogamente percorrere considerevoli distanze. - Stabilità atmosferica. In analogia a quanto avviene con una nube di aggressivi chimici, la nube di aerosol biologico viene influenzata dalle condizioni di stabilità dell'aria, determinate dal gradiente della temperatura. Da esse dipende la velocità di diluizione, in senso verticale, della nube in atmosfera. • Condizione di "stabilità". Si verifica quando la temperatura dell'aria aumenta con l'altezza (inversione termica) ed è caratterizzata dall'assenza, pressoché assoluta, di moti convettivi. Questa condizione è solitamente riscontrabile in una notte serena o parzialmente serena, con nubi basse di media grandezza scarsamente distribuite o al mattino (fino ad un'ora dopo il sorgere del sole), quando il vento non supera la velocità di circa 3 m/sec. • Condizione di "instabilità". Si verifica quando la temperatura dell'aria diminuisce con l'altezza ed è caratterizzata dalla presenza di correnti ed, in generale, da uno stato di turbolenza dell'aria. Può riscontrarsi durante il giorno, con cielo coperto e venti che non superano la velocità di 3 m/sec. • Condizione di "neutralità". E' una condizione intermedia fra le precedenti. Di solito può riscontrarsi una o due ore prima del tramonto oppure una o due ore dopo il sorgere del sole con nubi basse di media grandezza scarsamente distribuite, con velocità del vento anche superiori a 3 m/sec. Normalmente alla condizione di neutralità si accompagnano fenomeni di precipitazione. Le migliori. condizioni per il rilascio in atmosfera di aerosoli sono quelle di stabilità e di neutralità. II-16 Nel primo caso, la nube tenderà a restare in vicinanza del suolo (senza possibilità di sollevarsi e, quindi, disperdersi) determinandovi un notevole grado di contaminazione. Nel secondo caso, la nube sarà soggetta ad una debole velocità di diluizione persistendo, comu nque, localmente e determinando una efficace contaminazione. La turbolenza che si associa alla condizione di instabilità causa invece una diffusione della nube, essenzialmente in senso verticale, riducendo l'estensione dell'area contaminata e lo stesso grado di contaminazione. b. Disseminazione per mezzo di vettori. Una seconda importante via di penetrazione che può essere utilizzata per l'impiego operativo degli aggressivi biologici (microrganismi patogeni, ma anche tossine) è quella cutanea. La penetrazione dei patogeni attraverso la pelle è resa, generalmente, possibile dalla puntura di alcune specie di artropodi che possono svolgere il ruolo di "vettori" per determinate malattie. Essi, di solito, appartengono alla classe degli "insetti" e possono definirsi come vettori "obbligati" (es.: zanzare) e "facoltativi" (es.: mosche). (1)Malattie trasmesse dai vettori. I vettori possono trasmettere diversi tipi di malattie, sia ad eziologia batterica, sia ad eziologia virale. Di seguito si riportano alcuni dettagli riferiti ai vettori ritenuti di maggiore interesse ed alle principali malattie da essi trasmesse: - zanzare: le zanzare del genere Anopheles trasmettono all'uomo gli agenti eziologici della malaria (Plasmodium vivax, Plasmodium malariae, Plasmodium falciparum); quelle del genere Aedes trasmettono il virus della febbre gialla e della febbre dengue; altre ancora trasmettono molti tipi di encefaliti; - mosche: possono trasmettere, meccanicamente il carbonchio, la febbre tifoide, la dissenteria bacillare o amebica, il colera Asiatico ed anche la tularemia; - pulci: la pulce del ratto (Xenopsilla cheopis), che è il vettore del tifo endemico dei ratti e dei topi, può occasionalmente indurre, con la puntura anche nell'uomo tale tipo di malattia. Xenopsilla cheopis è anche responsabile della trasmissione dai roditori all'uomo della peste bubbonica; - pidocchi: la febbre delle trincee ed il tifo epidemico sono causate da patogeni (rickettsie) trasmessi all'uomo da una varietà di "Pediculus humanus" che può trova re sul corpo umano il suo habitat naturale; - acari: sono gli unici Artropodi che non appartengono alla classe degli insetti a rivestire un certo interesse. L'acaro del legno (Dermacentor andersoni), che vive nel versante occidentale degli Stati Uniti, è responsabile della trasmissione all'uomo dell'agente eziologico della febbre maculosa delle Montagne Rocciose (Rickettsia rickettsi), dell'agente della tularemia (Francisella tularensis) e del virus della febbre del Colorado. Anche l'acaro del cane (Dermacentor variabilis), che vive nel versante orientale degli Stati Uniti, può trasmettere la febbre maculosa delle Montagne Rocciose. II-17 (2)Caratteristiche. L'impiego dei vettori, quali mezzi di disseminazione, è reso possibile considerando i seguenti elementi caratteristici: - capacità di penetrazione della barriera cutanea, che rende sostanzialmente inefficace l'uso della maschera finalizzata alla protezionedelle vie respiratorie; - ciclo vitale del vettore, che offre la possibilità di ottenere un notevole grad o di persistenza dell'agente su un determinato obiettivo. Per alcune specie di zanzare, la persistenza può ritenersi di 1 o 2 mesi. Per alcune specie di pulci, essa può anche superare i 6 mesi; - sopravvivenza del patogeno, che può essere, generalmente, garantita dal vettore che lo ospita più o meno intimamente nei propri tessuti. (3)Limitazioni all'impiego. Esse derivano dalle evidenti difficoltà di controllo che può esercitarsi sui vettori la cui "mobilità" determina, verosimilmente, un allontanamento dai limiti di un determinato obiettivo. Gli Artropodi, inoltre, tendono ad assumere un atteggiamento di "inattività" nei periodi freddi e sono influenzati negativamente anche dalle elevate temperature. La disponibilità di mezzi chimici di controllo delle infestazioni (pesticidi) non costituisce, di per sé, un importante fattore limitante, essendo possibile ottenere, per selezione, specie resistenti all'azione dei pesticidi. c. Sabotaggio. Per sabotaggio, in generale, si intende il rilascio del contaminante su un determinato substrato, realizzato subdolamente e senza una sostanziale possibilità di controllo. Gli aggressivi biologici possiedono caratteristiche che li rendono idonei alle azioni di sabotaggio e, massimamente, ad operazioni che non richiedono un supporto logistico elevato. Tale possibilità deriva dalla notevole varietà di agenti utilizzabili, dalla difficoltà della loro rivelazione, dalle molteplici modalità di impiego, ma soprattutto dalle minime quantità (per alcuni agenti ed, in particolare, le tossine) necessarie per causare determinate infezioni od intossicazioni. E' noto, infatti, che per quanto attiene ai microrganismi patogeni, in alcuni casi, la carica microbica minima corrisponde a poche unità cellulari, mentre nel caso delle tossine l'ordine di grandezza della dose minima letale è il microgrammo. Il sabotaggio potrebbe far conseguire ad un potenziale aggressore un notevole vantaggio prima ancora dell'inizio delle ostilità dichiarate. Un tale metodo di disseminazione potrebbe utilizzare, quali vie di penetrazione per l'agente, l'albero respiratorio (per operazioni verosimilmente di più limitata estensione) o la via gastroenterica, attraverso la contaminazione delle derrate alimentari e degli impianti di distribuzione idrica. Bersagli, per un'azione di sabotaggio, potrebbero essere costituiti da obiettivi di tipo militare, come ad esempio, centri logistici, installazioni fisse e comandi, ovvero anche da complessi industriali e strutture civili. II-18 3. DIFESA CHIMICA 3.1 INTRODUZIONE Per aggressivo chimico si intende una sostanza solida, liquida o gassosa, che, attraverso le sue proprietà chimiche, produce effetti dannosi, inabilitanti o mortali sull'uomo, sugli animali, sulle piante e sui materiali, e possiede caratteristiche che lo rendono idoneo ad essere impiegato come mezzo di guerra. Un aggressivo chimico, perché sia idoneo all'impiego per fini militari, deve soddisfare la maggior parte dei seguenti requisiti: − deve essere tossico, ossia essere in grado di offendere anche se usato in quantità minime; − essere difficilmente percepibile ed identificabile prima che l'azione aggressiva abbia inizio; − consentire scarsa possibilità di protezione e bonifica; − possedere volatilità e persistenza adeguate alle finalità dell'impiego; − possedere buone capacità di penetrazione attraverso materiali, indumenti, pelle, ecc.; − essere in grado di agire sull'uomo e sugli animali per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo, producendo effetti tossici di varia natura; − possedere idoneità chimico - fisica alla disseminazione o diffusione in quantità necessaria per l'attacco; − possedere grande stabilità alla conservazione, all'azione degli agenti atmosferici e alle condizioni di impiego (calore, scoppio); − poter essere maneggiato e trasportato, anche se con opportune precauzioni; − poter essere prodotto a basso costo, nelle quantità necessarie agli usi militari, con materie prime facilmente reperibili sul territorio nazionale; − avere un meccanismo d’azione, misure protettive e trattamento medico conosciuti. Gli aggressivi chimici, possedendo in misura diversa i requisiti sopra elencati, richiedono modalità di impiego altrettanto diverse. Per offesa chimica si intende qualsiasi operazione di guerra condotta con mezzi particolari al fine di: − produrre un elevato numero di perdite nel personale, sia per inalazione di sostanze allo stato aeriforme, sia per assorbimento cutaneo, sia eventualmente per ingestione di acqua o viveri contaminati; − integrare eventualmente gli effetti dell'offesa nucleare colpendo i combattenti che trovandosi in posizioni, buche o trincee, sono protetti dall'onda d'urto, dagli effetti termici ed in parte dall'effetto radioattivo immediato o residuo; − impedire o limitare la percorribilità del terreno. L'offesa chimica può svilupparsi senza alcun legame con l'offesa nucleare e ad essa si può essere soggetti fin dalle fasi iniziali delle ostilità. L'attacco chimico comprende una vasta gamma di possibilità di attuazione in relazione alla durata dell'attacco stesso, al tipo di aggressivo, al mezzo di lancio e d'impiego, al terreno e alle condizioni meteorologiche. Un attacco chimico è caratterizzato dalle capacità di: − penetrare entro costruzioni ed opere fortificate sprovviste di chiusure ermetiche e che non dispongono di efficienti sistemi di filtrazione; − contaminare i materiali, gli alimenti, l'acqua, il terreno; III-1 − colpire il personale senza causare danni permanenti alle armi, ai materiali e alle attrezzature industriali che non si vuole distruggere perché di conveniente utilizzazione; − rendere difficoltosa una tempestiva rivelazione da parte di chi subisce l'attacco, poiché gli aggressivi chimici moderni agiscono rapidamente e sono difficilmente identificabili prima che si manifesti l'azione fisiologica; − influenzare psicologicamente l'avversario. 3.2 CARATTERISTICHE FISICHE Le caratteristiche fisiche condizionano l’impiego degli aggressivi chimici e le misure difensive attuate per impedire la loro azione. Le caratteristiche fisiche più importanti sono: TENSIONE DI VAPORE Tutte le sostanze allo stato liquido e solido hanno una certa tendenza a passare allo stato di vapore. Se il liquido o il solido è contenuto in un recipiente chiuso, lo strato di vapore che si forma al di sopra della sua superficie tende a ridurre la suddetta tendenza fino al raggiungimento di una condizione di equilibrio. Tale condizione è caratterizzata dalla pressione dello strato di vapore, che prende il nome di "tensione di vapore". Pertanto, più elevato è il valore di tale tensione, maggiore è la tendenza della sostanza ad evaporare e maggiore è la quantità di vapore presente negli strati d'aria sovrastanti la superficie. La tensione di vapore, essendo una pressione, viene espressa in millimetri di mercurio (mm Hg) ed aumenta all'aumentare della temperatura. Dalla tensione di vapore dipendono alcune caratteristiche degli aggressivi, quali la volatilità e la persistenza, che ne condizionano l'impiego. VOLATILITÀ Rappresenta la concentrazione dell'aggressivo nell'aria, che si è saturata di esso ad una data temperatura. Si esprime in mg/m3, cioè in milligrammi di sostanza presente in un metro cubo di aria. Aumenta con la temperatura e con la tensione di vapore dell'aggressivo. Per quanto attiene all'impiego, si deve tener presente che la concentrazione di saturazione si può realizzare solo in ambienti chiusi e non sul campo di battaglia, ove si possono raggiungere concentrazioni da 10 a 100 volte inferiori. La volatilità rappresenta una delle caratteristiche più importanti per la valutazione e l'impiego degli aggressivi chimici. Così ad esempio: − un aggressivo con volatilità elevata troverà impiego nelle azioni di sorpresa; − un aggressivo con volatilità bassa, ma molto tossico, sarà impiegato per interdire l'accesso a determinate zone di terreno. Per giudicare se un aggressivo chimico è più efficace di un altro, è necessario conoscerne, oltre alla tensione di vapore ed alla volatilità, anche il suo grado di tossicità. Così, infatti, un agente chimico poco volatile ma molto tossico (es. Soman) potrebbe essere molto più efficace di un agente più volatile e meno tossico (es. Fosgene). TEMPERATURA DI EBOLLIZIONE (T.E.) La temperatura di ebollizione è la temperatura alla quale il valore della tensione di vapore diviene uguale al valore della pressione atmosferica. La sua conoscenza permette di valutare la durata dell'efficacia di un aggressivo, poiché quanto più alta è la T.E., tanto minore è la tensione di vapore e la volatilità. Così, ad esempio, l'iprite, che possiede una III-2 T.E. di 228°C, ha una tensione di vapore bassa a temperatura ambiente, è poco volatile e la sua azione aggressiva dura molto tempo; viceversa il fosgene, che possiede una T.E. di 7,5°C, evapora rapidamente a temperatura ambiente, risultando così un aggressivo volatile ad azione limitata nel tempo. TEMPERATURA DI FUSIONE (T.F.) La temperatura di fusione è la temperatura alla quale una sostanza passa dallo stato solido a quello liquido. La conoscenza di tale dato per ogni aggressivo è opportuna, specialmente per gli aggressivi che hanno la temperatura di fusione nella gamma dei valori in cui oscilla di solito la temperatura ambiente. A volte, al fine di abbassare la T.F., si miscela l'aggressivo con apposite sostanze specie permettendone l'impiego a basse temperature. DENSITÀ DI VAPORE RELATIVA E' il rapporto fra la massa di un dato volume di gas o vapore di aggressivo e la massa di un ugual volume d'aria, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione. Gli aggressivi che presentano a temperatura ambiente una densità di vapore relativa all'aria inferiore all'unità (ad esempio acido cianidrico ed ossido di carbonio) si dissolvono rapidamente negli strati superiori dell'atmosfera e diventano così inefficaci; quelli, invece, a densità superiore all'unità ( ad esempio Fosgene, Difosgene, Sarin, ecc.) persistono nella zona di disseminazione più a lungo, specialmente negli avvallamenti, negli anfratti e nelle zone ricche di vegetazione. PERSISTENZA La persistenza rappresenta il periodo di tempo durante il quale un aggressivo chimico, dopo essere stato diffuso, conserva la sua efficacia nella zona dell'obiettivo. Essa dipende da: − caratteristiche fisiche dell'aggressivo (tensione di vapore, volatilità, ecc.): ad esempio, un aggressivo di scarsa volatilità o tensione di vapore ha maggiore persistenza; − condizioni meteorologiche esistenti nella zona dell'obiettivo: ad esempio, le alte temperature ed forti venti determinano maggiore e più rapida evaporazione dell'aggressivo e quindi minore persistenza; − mezzo di disseminazione: il mezzo usato determina un diverso grado di suddivisione dell'aggressivo sul terreno e di conseguenza una diversa durata di efficacia dello stesso; − condizioni sul terreno: la vegetazione, il suolo, le grandi masse d'acqua, gli edifici, ecc., giocano un ruolo importante nella durata degli effetti di un agente chimico nella zona di disseminazione. III-3 3.3 CARATTERISTICHE CHIMICHE STABILITÀ ALL'IMMAGAZZINAMENTO E' la capacità di un aggressivo di mantenere inalterata la propria composizione e struttura durante il periodo di immagazzinamento. Questa capacità investe il duplice aspetto del mantenimento delle proprietà dell'aggressivo e dell'integrità dei contenitori. Pochi sono gli agenti chimici di guerra in grado di essere conservati per lunghi periodi di tempo (ad esempio Cloroacetofenone, Adamsite, ecc.). Per migliorare la stabilità all'immagazzinamento, vengono aggiunte delle opportune sostanze stabilizzanti capaci di contrastare l'auto-ossidazione, l'idrolisi, la polimerizzazione ed i fenomeni corrosivi. IDROLISI E' la capacità di un composto chimico di reagire con l'acqua dando origine a prodotti di natura chimica diversa, la cui tossicità per lo più risulta molto inferiore a quella del prodotto di partenza. L'idrolisi, pertanto, dipende dalla solubilità dell'aggressivo in acqua,oltre che dalla temperatura e dalla presenza di acidi o alcali. Il fenomeno influenza la capacità di conservare l'aggressivo, la sua persistenza nella zona dell'obiettivo e la sua efficacia. AZIONE SU METALLI, PLASTICHE, TESSUTI E VERNICI Gli aggressivi chimici acidi o che formano acidi, hanno un effetto corrosivo su metalli, cuoio, tessuti e vernici. 3.4 ASPETTI PARTICOLARI Le proprietà tossiche degli aggressivi, pur essendo strettamente correlate con la struttura chimica, Un aggressivo, oltre all'effetto che comunemente lo caratterizza (effetto primario), presenta anche una serie di effetti collaterali; a volte, questi ultimi possono portare ad esiti letali (ad es. gli aggressivi vescicanti che pur presentando un effetto primario a carico della pelle, producono nell'organismo effetti secondari sistemici che possono essere la causa principale di un eventuale decesso). Questa possibilità è strettamente legata, oltre che alla quantità, anche alla via di penetrazione. Le vie di penetrazione sono: Apparato respiratorio: − prime vie respiratorie (naso, gola, laringe, trachea, bronchi) − parenchima polmonare (bronchioli). Apparato tegumentario: − occhi (mucosa congiuntivale, cornea) − cute (integra, ferite, abrasioni) − mucosa (labbra, naso). Apparato digerente (ingestione acqua e cibo): − mucosa boccale, ghiandole salivari − faringe − tubo gastroenterico. L’inizio e la gravità dei sintomi dipendono dalla via d’ingresso e dalla quantità della sostanza assorbita. Le vie d’ingresso succitate non sono uguali per tutti gli agenti chimici. Un aggressivo chimico che possa agire attraverso più vie presenta, naturalmente, la massima TASSO DI DETOSSIFICAZIONE Il corpo umano può eliminare autonomamente alcune sostanze tossiche, ma non tutte in ogni caso. Il tasso di detossificazione è la velocità con la quale l’organismo si libera di alcune sostanze. La maggior parte degli agenti, comunque, sono essenzialmente non detossificabili ad eccezione dei tossici sistemici e degli agenti incapacitanti ed irritanti. TEMPO DI AZIONE È il periodo di tempo che intercorre tra la penetrazione dell’agente chimico nell’organismo e la manifestazione degli effetti. Dipende, oltre che dal tipo di aggressivo, dallo stato fisiologico/di salute dell’individuo e dalla sua In genere gli agenti inalati o ingeriti hanno un’azione più veloce rispetto a quelli che contaminano la pelle (vascolarizzazione diversa). FATTORI MODIFICANTI In seguito all’esposizione ad un aggressivo chimico, una persona può mostrare segni o sintomi più o meno gravi rispetto ad un’altra. La severità dei sintomi dipende da: − tempo di esposizione; − tempo di indossamento maschera; − via di penetrazione; − frequenza e profondità dell’atto respiratorio; − tipo di attività fisica; − tasso di detossificazione. 3.5 CARATTERISTICHE TOSSICOLOGICHE La determinazione dei dati necessari alla valutazione delle caratteristiche tossicologiche viene compiuta, di norma, tramite esperimenti su organismi viventi. A parte pochi dati ricavati per azione diretta di aggressivi chimici sull'uomo a seguito di eventi bellici o incidenti, la stragrande maggioranza dei dati disponibili si riferisce a risultati di sperimentazione effettuate su animali. La valutazione della pericolosità di un aggressivo in base ai dati di tossicità deve essere intesa co me una semplice indicazione sia per quanto detto sopra, sia perché la risposta dell'organismo all'azione di un agente tossico risente della costituzione corporea dell'individuo. della sua età, del suo stato di salute e di nutrizione, del sesso e di altri fattori individuali. Dose letale media (LD 50 ) E' la quantità di aggressivo liquido in grado di provocare la morte del 50% degli individui esposti e non protetti. Si esprime in milligrammi di sostanza per chilogrammo di peso corporeo (mg/kg), specificando la via di penetrazione. Indice letale medio (LCt50 ) E’ il dosaggio (concentrazione di vapore di un aggressivo chimico moltiplicato per il tempo di per il 50% di persone esposte e non protette. Si esprime in concentrazione (mg/m3 )per tempo d’esposizione (minuti). Esempi: LCt50 =concentrazione (mg/m3 ) x tempo (min) un aggressivo x, che abbia LCt50 pari a 100 provoca orientativamente la morte del 50% del personale esposto e non protetto in un minuto primo, se è presente con una concentrazione di 100 mg/m3 di aria; infatti: LCt50 = 100mg min = 100mg 1min m3 1m3 lo stesso aggressivo x, se ha una concentrazione di 20mg/m3 provoca orientativamente la morte del 50% del personale in 5'; infatti: LCt50 = 100mg min = 20mg 5min m3 1m3 un aggressivo y, che avesse LCt50 pari a 1000, diffuso con una concentrazione di 50mg/m3 provoca la morte del 50% del personale in 20'; infatti: LCt50 = 1000mg min = 50mg 20min m3 1m3 Dagli esempi appare chiaro che un aggressivo è tanto più pericoloso quanto più basso è il suo indice letale medio. Infatti l'aggressivo x provoca gli stessi effetti (50% di morte) a concentrazioni più basse ed in tempi più brevi rispetto all'aggressivo y. Dose inabilitante media (ID 50 ) E' la quantità di aggressivo liquido in grado di provocare inabilitazione nel 50% degli individui esposti e non protetti. Si esprime in milligrammi di sostanza per chilogrammo di peso corporeo (mg/kg), specificando la via di penetrazione. Indice inabilitante medio (ICt50 ) E’ il dosaggio (concentrazione di vapore di un aggressivo chimico moltiplicato per il tempo di esposizione) che è inabilitante per il 50% di persone esposte e non protette. Si esprime in concentrazione (mg/m3 )per tempo d’esposizione (minuti). 3.6 AGGRESSIVI CHIMICI LETALI Sono quelli che producono prevalentemente la morte delle persone colpite: nervini, tossici sistemici e soffocanti e i vescicanti. AGGRESSIVI NEUROTOSSICI O ANTICOLINESTERASICI Questi aggressivi, detti comunemente "nervini", chimicamente sono composti organici fosforati. Generalmente vengono suddivisi in due gruppi: G, gas che sono abbastanza volatili e V gas, meno volatili e quindi più persistenti. I più noti nervini G sono: Tabun (GA), Sarin (GB), Soman (GD). I nervini G allo stato puro sono dei liquidi incolori. La loro solubilità varia dalla completa solubilità (GB) ad una quasi totale insolubilità (GD). Odorano vagamente di frutta, ma alle concentrazioni sul campo di battaglia sono inodori. I nervini V, anche detti Amitoni (VX), allo stato puro sono dei liquidi oleosi, poco volatili, con un elevato punto di ebollizione e quindi molto persistenti. Sono sostanze che agiscono molto efficacemente se vengono a contatto con l’organismo. Sono eccezionalmente tossici. Sono poco solubili nell’acqua e sono idrolizzabili solo in minima parte. Intossicano l’organismo alla stessa maniera dei nervini G. Volatilità Il Sarin è il nervino più volatile, il VX è quello meno volatile. Il Soman, pur essendo una sostanza molto volatile, può essere ispessito con altre sostanze, che incrementano la sua persistenza. Sono detti "anticolinesterasici" perché agiscono sulla "colinesterasi", un enzima presente nel corpo umano che presiede al rilassamento muscolare, impedendone l'azione sull’acetilcolina con conseguente impossibilità di decontrazione dei muscoli. Sono diffusi in forma liquida o di vapore ed agiscono direttamente sul sistema nervoso. Negli individui colpiti si originano i seguenti sintomi: miosi (restringimento del foro pupillare), lacrimazione, scialorrea (ipersalivazione), ipersecrezione nasale, difficoltà respiratoria (spasmo bronchiale), sudorazione, nausea, vomito, dolori addominali, emissione involontaria di feci e di urina, tremori, scosse, barcollamenti, vertigini, mal di testa, senso di confusione, convulsioni e coma. Tali aggressivi sono particolarmente pericolosi in quanto vengono rapidamente assorbiti dalla pelle e dalle mucose; i comuni indumenti non sono sufficienti ad arrestarne l'azione poiché essi, in genere, penetrano facilmente attraverso i tessuti. Allo stato di vapore penetrano attraverso gli occhi, la pelle e le mucose, in misura minore che allo stato liquido; sono però estremamente pericolosi se inalati. Sono ad azione rapida, con manifestazione dei sintomi pochi minuti dopo l'assorbimento. Per proteggersi contro di essi si fa ricorso alla maschera anti-NBC e ad alcuni indumenti protettivi che impediscono qualsiasi contatto dell'indossatore con gli aggressivi sia liquidi che vapori e/o aerosol. III-7 Aggre ssi vo G gas V gas S tato fi si co durante e dopo T=0°C l’impiego P=1Atm Codi ce NATO Tabun Sarin GA GB Soman GD Amitoni VX liquido liquido aerosol vapori O dore caratte ri sti co di frutta inodore di frutta, di canfora inodore Te mpo d’az i one Vi e di pe ne traz i on e Prote z i one i ndi vi dual e fi si ca immediato inalatoria (aerosol, vapori) cutanea (liquido, aerosol, vapori) maschera, indumento protettivo Pe rsi ste nz a non persistente persistente Aggressivi chimici binari. Sono degli aggressivi chimici costituiti da due sostanze o componenti che, presi singolarmente hanno una tossicità di gran lunga inferiore all’aggressivo chimico che formeranno quando saranno mescolate insieme. Sono stati sviluppati per diminuire i pericoli nella fase della produzione, stoccaggio ed utilizzo. I due componenti possono miscelarsi e reagire solo quando la munizione chimica è stata lanciata; quindi fino al momento dell’impiego vengono contenuti separatamente dentro la munizione chimica. In forma binaria sono stati prodotti il Sarin (GB2) ed il VX (VX2). Il GB2 è formato dalla reazione tra il fluorometilfosforato con una miscela di alcoli, il VX2 è formato dalla reazione tra 0,0’-etil (2diisopropilamminoetil) metilfosforato con lo zolfo. AGGRESSIVI SOFFOCANTI Gli aggressivi soffocanti agiscono essenzialmente sulle vie respiratorie per effetto dei vapori inalati, a base di HCl, provocando, nei casi di maggiore gravità, in un primo tempo irritazioni delle prime vie respiratorie e successivamente, dopo un periodo d'incubazione di 4 - 5 ore, un travaso massivo di plasma sanguigno negli alveoli polmonari con conseguente morte per soffocamento. Agiscono prevalentemente allo stato gassoso, originando nei soggetti colpiti: bruciore alla gola e al petto, dolore retrosternale, senso di soffocamento, stimolo di tosse e talora vomito. Questi sintomi iniziali, se viene a cessare lo stato di esposizione in ambiente contaminato, regrediscono ben presto e subentra, quindi, un breve periodo di relativo benessere che consente al colpito di attendere, generalmente, alle abituali occupazioni. Dopo alcune ore (da 3 fino a 12) si manifestano, però, i primi sintomi a carico dell'apparato respiratorio determinati dall'edema polmonare che, nel frattempo, si è andato sviluppando; il colpito presenta difficoltà di respirazione, estremità fredde, temperatura febbrile, tosse, fluido schiumoso e spesso sanguinolento alla bocca e alle narici, cianosi; dopo 24 - 48 ore, nei casi di grave intossicazione, sopraggiunge la morte, per collasso cardiaco o per asfissia. I principali aggressivi soffocanti sono: il fosgene, il difosgene. III-8 Aggre ssi vo S tato fi si co O dore Codi ce Te mpo durante e caratte ri sti co NATO T=10°C d’az i on dopo e P=1Atm l’impiego Fosgene Disfogene CG DP gas gas liquido vapori erba appena tagliata, grano differito Vi e di Prote z i one pe ne traz i one i ndi vi dual e inalatoria (gas) inalatoria (vapori) maschera Pe rsi ste nz a non persistente AGGRESSIVI VESCICANTI In genere gli aggressivi vescicanti sono persistenti e possono essere impiegati in forma liquida o di vapore. Essi danneggiano ogni tessuto con il quale vengono a contatto. Nell’organismo umano attaccano in particolare gli occhi, i polmoni e la pelle. L’azione più manifesta e caratteristica è quella di produrre sulla cute e sulle mucose vescicazioni più o meno estese. A queste si accompagnano effetti tossici generali a carico di tutti gli organi (cuore, fegato, reni, apparato digerente, sistema nervoso, ecc.). Le profonde e gravi lesioni che si producono per contatto diretto con l'aggressivo, nella generalità dei casi, non sono di per sè stesse mortali se non hanno una larga e diffusa estensione sulla pelle. Gli effetti tossici generali, infatti, non si manifestano qualora le 2 zone colpite non superino generalmente un'estensione di 20 cm . Di gran lunga più pericolose sono le lesioni dell'apparato respiratorio per effetto dei vapori inalati: tali lesioni rappresentano la causa più frequente delle forme mortali. Pericolose sono pure le lesioni a carico degli occhi. Infatti, in funzione del grado di contaminazione, si può avere un impedimento della vista da alcune settimane ad alcuni mesi, sino alla totale cecità. Questi composti possiedono un’azione insidiosa. Generalmente, infatti, non si avverte immediatamente alcun sintomo allarmante; le manifestazioni insorgono dopo un certo tempo (per lo più dopo 4 o 5 ore) e si concretizzano in arrossamento delle parti colpite e dolore intenso, quindi edema e necrosi dei tessuti. La protezione è resa difficile in quanto i vescicanti agiscono, su ogni punto del corpo, sia allo stato liquido che di vapore, penetrando in particolare con grande facilità nella pelle e nelle ghiandole sebacee e sudorifere. Penetrano, inoltre, nei materiali porosi, nelle vernici, nel legno, con grande facilità nel cuoio e nei comuni tessuti, e con più difficoltà nella gomma. I tempi di attraversamento vanno da pochi minuti per i tessuti ad alcune ore per il cuoio dei calzari e la gomma delle maschere anti-NBC. Chimicamente possono contenere zolfo o azoto (HD, HN) o arsenico (L). Aggre ssi vo IPRITE AZOTIPRIT I LEWSITE OSSIME DEL FOSGENE S tato fi si co Codi ce durante e NATO T=15°C dopo P=1Atm l’impiego CX Te mpo d’az i one aglio, mostarda HD HN1 HN2 HN3 L(LH) O dore caratte ri sti c o differito liquido liquido aerosol vapori muffa, pesce geranio intenso, penetrante differito rapido Vi e di pe ne traz i on e inalatoria (aerosol, vapori) cutanea (liquido, aerosol, vapori) Prote z i one i ndi vi dual e maschera, indumento protettivo Pe rsi ste nz a persistente non persistente III-9 AGGRESSIVI SISTEMICI La maggior parte di essi contiene nella propria molecola il cianuro. Agiscono principalmente per inalazione. Sono sostanze molto volatili e quindi poco persistenti. Attraverso le suddette vie di penetrazione essi passano nel sangue, impedendo il trasporto di ossigeno o la sua utilizzazione a livello cellulare e, come conseguenza, determinano una graduale diminuzione della funzionalità dei vari organi; può infine sopraggiungere la morte per blocco della funzione respiratoria. Nei casi gravi di intossicazione, il soggetto viene colto da improvviso mal di testa, vertigini, offuscamento della vista e perdita di conoscenza, colpito da convulsioni, entra in coma e muore dopo pochi minuti. I più importanti tossici del sangue sono: l'acido cianidrico, il cloruro di cianogeno e il monossido di carbonio. Quest'ultimo non viene, però, preso in considerazion una sostanza molto tossica, il suo impiego sul campo di battaglia risulta molto aleatorio a causa della sua estrema volatilità. Risulta, invece, molto pericoloso nei locali chiusi e sprovvisti di areazione (caverne, fortificazioni, mezzi corazzati, casermette, ecc.). A questo riguardo, è bene ricordare che il filtro anti-NBC in dotazione non trattiene l'ossido di carbonio; occorre, quindi, aggiungere un filtro contenente "Hopcalite", oppure impiegare apparati a produzione di ossigeno o similari (autorespiratori). Aggre ssi vo ACIDO CIANIDRICO CLORURO DI CIANOGENO ARSINE OSSIDO DI CARBONIO S tato fi si co Codi ce durante e NATO T=15°C, dopo P=1Atm l’impiego AC liquido CK aerosol vapori SA CO GAS GAS O dore caratte ri sti co Te mpo d’az i one mandorle amare immediato dolce, aglio differito inodore immediato Vi e di pe ne traz i one inalatoria (aerosol, vapori) Prote z i one i ndi vi dual e Pe rsi ste nz a maschera maschera con inalatoria filtro aggiuntivo per CO, autorespiratore non persistente 3.7 AGGRESSIVI CHIMICI NON LETALI Sono aggressivi che, alle concentrazioni ottenibili sul campo non provocano la morte del personale colpito ma l’inabilitazione. Sono gli aggressivi incapacitanti ed irritanti. AGGRESSIVI INCAPACITANTI Gli aggressivi incapacitanti sono composti psicoattivi di origine naturale oppure ottenuti per sintesi, aventi composizione chimica diversa fra loro e, in comune, la proprietà di produrre disturbi psicofisici quali allucinazione, depressione, confusione mentale, ottundimento delle percezioni sensoriali ed altri effetti caratteristici di varia natura. Tali disturbi provocano, in definitiva, gli effetti "inabilitanti" (rendendo il colpito incapace di svolgere la sua normale attività per un periodo di tempo, di solito non superiore a 24 - 48 ore) che poi regrediscono, di norma, spontaneamente senza lasciare apprezzabili conseguenze. Gli agenti incapacitanti differiscono dagli altri aggressivi chimici in quanto la dose letale è molto più grande della dose incapacitante; pertanto non minacciano seriamente la vita delle persone colpite. Il trattamento medico nei colpiti, sebbene non necessario, può velocizzarne il recupero. III-10 Queste sostanze vengono suddivise in due classi: deprimenti il sistema nervoso centrale e stimolanti. Incapacitanti deprimenti Hanno un effetto predominante di depressione delle attività del sistema nervoso centrale e interferiscono nella trasmissione sinaptica delle informazioni provenienti dagli organi sensoriali. Un esempio è il BZ, che blocca l’azione dell’acetilcolina alla stessa maniera dell’atropina, comunque, in Cannabinoidi e fenotiazine sono altri composti che potenzialmente potrebbero essere impiegati come aggressivi incapacitanti deprimenti. L’effetto primario delle medesime sostanze è sedativo e distrugge la motivazione piuttosto che la capacità di pensare. Aggre ssi vo BZ S tato fi si co Codi ce T=0°c, durante e NATO P=1At dopo m l’impiego BZ solido aerosol Vi e di O dore Te mpo pe ne traz i on caratte ri sti co d’az i one e nessuno differito inalatoria Prote z i one i ndi vi dual e Pe rsi ste nz a maschera, persistente Incapacitanti stimolanti Provocano un’eccessiva attività nervosa spesso facilitando e stimolando la trasmissione di impulsi nervosi che altrimenti sarebbero insufficienti ad attraversare certe sinapsi. L’effetto è una confusione mentale per le troppe informazioni che rendono difficoltosa la concentrazione causando indecisione ed incapacità d’agire nella maniera voluta. Una sostanza che agisce in maniera similare è la ben conosciuta droga LSD. Grossi quantitativi di anfetamine hanno un effetto similare. AGGRESSIVI IRRITANTI Sono considerati irritanti gli aggressivi che interferiscono con il normale funzionamento dell’organismo. Sono i lacrimogeni e gli aggressivi starnutatori - vomitatori i quali agiscono, prevalentemente, sulle mucose degli occhi, del naso, della gola e dell’intestino. Lacrimogeni I lacrimogeni producono immediatamente una forte lacrimazione ed una moderata irritazione della pelle, soprattutto nei punti ove si verifica sudorazione o sfregamento, specialmente se la temperatura ambientale è elevata. Non producendo, invece, effetti veramente pericolosi, essi trovano impiego in esigenze di ordine pubblico. Agiscono a concentrazioni molto basse, allo stato di vapore o di aerosol. Se impiegati in ambienti chiusi possono causare seri danni alle persone, fino alla morte. Vomitatori-starnutatori Gli starnutatori - vomitatori, allo stato di vapore e di aerosol, agiscono come i lacrimogeni, ma, a differenza di questi, producono effetti dovuti prevalentemente all'irritazione delle mucose del naso, della faringe e della trachea; tale irritazione provoca l'insorgenza di disturbi funzionali, fra cui starnuti, nausea e vomito, accompagnati da cefalee ed odontalgie intensissime. Se impiegati in ambienti chiusi possono provocare gravi malattie o la morte. I sintomi in ordine progressivo sono irritazione degli occhi e delle mucose, rinorrea, starnuti e tosse, intenso mal di testa, dolori acuti e senso di costrizione toracica, nausea e vomito. III-11 LACRIMOGENI Aggre ssi vo S tato fi si co Codi ce durante e NATO T=0°C, dopo P=1Atm l’impiego O dore caratte ri sti co cloroacetofenone (CAF) CN solido fragrante, fior di melo ortoclorobenzalmalononitrile CS solido o liquido pepe STARNUTATO RI VOMITATORI aerosol difenilcloroarsina difenilcianoarsina DA DC Te mpo d’az i one Vi e di pe ne traz i on e occhi ,pelle Pe rsi ste nz a maschera non persistente maschera, indumento protettivo persistente maschera non persistente immediato inodore solido aglio, mandorle amare inalatoria adamsite Prote z i one i ndi vi dual e DM inodore 3.8 COMPOSTI ANTIPIANTA Questi aggressivi, detti anche comunemente erbicidi, sono sostanze chimiche che esercitano un'azione tossica nei confronti delle piante limitandone, in parte o totalmente, lo sviluppo o provocandone la defoliazione. Essi vengono distinti in base all'azione esplicata sui semi, sui germogli o sulle piante adulte, nel seguente modo: − geosterilizzanti: rendono il terreno inadatto allo sviluppo dei semi; essi possono svolgere un'azione temporanea, semipermanente o permanente a seconda delle condizioni chimiche, fisiche e microbiologiche del terreno; tali condizioni influiscono notevolmente sulla stabilità della sostanza tossica; − germicidi: agiscono direttamente sui semi e sui germinelli, cioè nelle primissime fasi di sviluppo della pianta (in dosi più elevate, però, risultano efficaci anche verso le piante completamente sviluppate); − diserbanti: agiscono direttamente sulle piante qualunque sia il loro grado di sviluppo (questo gruppo comprende gli aggressivi ad effetto defoliante). Esplicano però anche un’azione diretta o indiretta su uomini e animali, che casualmente o volutamente sono esposti alle irrorazioni da aereo, comune mezzo di disseminazione di tali agenti, come avvenne in Vietnam da parte degli USA con i seguenti agenti: • agente arancione; • agente bianco; • agente blù. Riportiamo di seguito alcuni degli agenti antipianta più noti con gli effetti su pianta e su uomini: • Clorofenossiderivati/Clorobenzoici - azione su pianta: di tipo ormonale, provocano una crescita non controllata; - azione su uomini: cancerogena (fegato), teratogena (reni policistici, palatoschisi, deficienza scheletrica), mutagena, immunodepressiva, ipofertilizzante. III-12 • Tiolcarbamati - azione su pianta: disserbanti selettivi del riso (possiede un enzima che lo idrolizza); - azione su uomini: depressione profonda del SNC, paresi. • Derivati dell’uracile - azione su pianta: impediscono la fotosintesi; - azione su uomini: depressione, incoordinazione dei movimenti. • Cloroacetati - azione su piante: defolianti (Vietnam); - azione su uomini: alterazione ciclo di Krebs e della glicolisi, perdita appetito e debolezza, cheratolisi, atonia e paralisi. • Triazine - permangono a lungo nel terreno (5-6 mesi); - azione su uomini: anoressia, dispnea, scialorrea, diarrea, paresi. • Dipiridinici ( diquat, paraquat) - azione su piante: disserbante totale, lumachicida; - azione su uomini: morte entro 24h, ma anche dopo un mese (in caso di ingestione), alterazione delle membrane cellulari, polmonite (essudativa - alveolite - fibrosa) necrosi fibrinoide alle coronarie nefrite. 3.9 GLOSSARIO Composti chimici: ogni composto chimico il quale, attraverso la sua azione chimica sui processi vitali può causare la morte, l’incapacità temporanea o un pregiudizio permanente ad esseri umani o animali. Precursore: ogni reagente chimico presente in ogni fase della produzione, con qualunque metodo, di un composto chimico tossico. E’ compreso qualunque componente chiave di un sistema chimico binario o di un sistema chimico a componenti multiple. Agente per il controllo dell’ordine pubblico: ogni composto chimico che può produrre rapidamente negli esseri umani irritazione sensoria o effetti fisici inabilitanti che scompaiono dopo un breve periodo di tempo a seguito della cessazione dell’esposizione. Impianto di produzione di armi chimiche: ogni equipaggiamento, nonchè ogni edificio che alloggia tale equipaggiamento designato, costruito o utilizzato: - come parte della fase di produzione dei composti chimici (fase tecnologica finale) laddove i flussi dei materiali contengano, quando l’equipaggiamento è in funzione composti chimici individuati e ogni altro in misura superiore a 1 tonnellata l’anno, utilizzabile a scopo di fabbricazione di armi chimiche; - per caricare armi chimiche in munizioni, dispositivi o contenitori per l’immagazzinaggio, e in contenitori che sono parte di munizioni e di dispositivi assemblati binari o in sotto-munizioni chimiche che sono parte di munizioni e di dispositivi assemblati unitari. Produzione: si intende, la sua formazione attraverso reazioni chimiche. III-13 Lavorazione: si intende un processo fisico, come formulazione, estrazione e purificazione, in cui non c’è trasformazione in altro composto. Consumo: si intende la sua trasformazione in un altro composto chimico attraverso una reazione chimica. Scopi non proibiti in base alla convenzione : - scopi industriali, agricoli, di ricerca, medici, farmaceutici, o altri scopi pacifici; - scopi di protezione collegati alla protezione contro i composti chimici e la ermi chimiche; - scopi militari non connessi con l’uso di delle armi chimiche e non dipendenti dall’uso delle proprietà tossiche dei composti chimici come sistema d’arma; - attuazione delle leggi anche al fine del controllo dei disordini interni. cloruro: nome commerciale del cloruro di pralidossima, usato nel trattamento dei colpiti da nervino. Questo farmaco è utilizzato in associazione con altri negli avvelenamenti da neurotossici. Acetilcolina: neurotrasmettitore chimico, prodotto dalle cellule nervose. Acetilcolinesterasi: enzima che idrolizza l’acetilcolina, permettendo la decontrazione muscolare. L’acetilcolinesterasi è inibita dagli organofosforici, carbamati e glicolati. Aerosol: un composto liquido o solido di particelle finemente divise, sospese in un mezzo gassoso. Esempi di comuni aerosol sono nebbia e fumo. Anfetamine: derivati sintetici, appartenenti al gruppo dei farmaci simpaticomimetici, stimolanti il SNC. Antipianta: erbicida. Antiveleno: siero del sangue contenente anticorpi contro il veleno, in particolare veleno dei serpenti. Aritmia: variazione del ritmo del battito cardiaco. Arsenicale: un composto chimico contenente arsenico. Atropina: un alcaloide ottenuto dall’atropa belladonna. Usata come antidoto per gli avvelenamenti da nervino. Esso inibisce l’azione dell’acetilcolina sulle giunzioni muscolari legandosi ai recettori Binario (munizioni chimiche): munizione nella quale le sostanze chimiche, tenute separate in diversi contenitori, reagiscono miscelandosi o combinandosi, alla rottura dei contenitori, a seguito dello scoppio, formando un aggressivo chimico con caratteristiche particolari. Catalizzatore: sostanza proteica che aumenta o diminuisce la velocità di una reazione chimica senza subire cambiamenti di struttura. Cianosi: colore bluastro della pelle per insufficiente ossigenazione del sangue. Contaminazione chimica: presenza di un agente su una persona, animale, materiale o terreno. La densità di contaminazione di un agente è in genere espressa in milligrammi o grammi per metro quadrato. Contaminazione: deposito e/o assorbimento di materiali radioattivi, agenti biologici o chimici su terreno, materiali e personale. Defoliante: agente che a contatto con le piante danneggia le cellule vegetali causando la perdita delle foglie e la conseguente morte. Disinfettante: sostanza in grado di uccidere, con azione mirata, agenti biologici specifici. Dispnea: difficoltà di respirazione. Dissenteria: disturbo infiammatorio dell’intestino, in particolare del colon, accompagnato da dolore addominale, coliche e frequenti scariche diarroiche contenenti sangue e muco. DS 2: soluzione decontaminante 2. Edema: raccolta di liquidi in tessuti o in cavità del corpo. Ematoma: raccolta di sangue in tessuti o in cavità del corpo. Eruzione: lesione visibile o danneggiamento della pelle caratterizzato da rossore, gonfiore o da entrambi. III-14 Febbre: reazione dell’organismo per neutralizzare con l’aumento di temperatura l’azione flogistica dell’agente normalmente di natura biologica. Fitotossina: tossina derivata dalle piante. G-Gas: nervini non persistenti sviluppati in Germania prima della II Guerra Mondiale. Ingegneria genetica: tecniche e procedure con le quali i materiali genetici possono essere alterati, per cambiare o migliorare le proprietà ereditarie di microrganismi, piante o animali. Ione: atomo o molecola carica elettricamente. Ispessire : aggiungere un polimero ad un agente volatile per ritardarne l’evaporazione. Latenza: periodo di inattività apparente. Lipofilo: solubile nei grassi. Malattia: sofferenza di una cellula, di un organo o di un individuo a causa di agenti esterni o fenomeni dismetabolici. Miosi: restringimento del foro pupillare dovuto a contrazione dell’iride. Molecola: combinazione chimica di due o più atomi. Monitoraggio: attività tendente a rilevare la presenza di un contaminante e misurarne la concentrazione. Nausea: tendenza a vomitare, dovuto a stimolo del riflesso del vomito. Necrosi: morte di cellula o di gruppi di cellule. Nervino: sinonimo di anticolinesterasico, neurotossico. Neurone : cellula nervosa. I neuroni sono caratterizzati dalla loro capacità di eccitarsi e di trasmettere la loro eccitazione a cellule nervose o muscolari. Neurotossico: tossico del tessuto nervoso. Neurotrasmettitori: sostanze chimiche di origine presinaptica rilasciate da neuroni dentro la sinapsi e che producono una stimolazione nelle cellule postsinaptiche. Organofosfati: composti organici contenenti fosforo. Ossime : composti chimici contenenti uno o più gruppi (NOH). Alcune di esse (cloroformossine) sono agenti vescicanti, altre sono benefiche. Patogeno: un microrganismo o sostanza in grado di produrre malattia. Perdita da agente chimico: persona che è stata contaminata sufficientemente da un agente chimico in maniera da impedirgli o seriamente diminuire la sua capacità a eseguire la missione affidatagli. Persistenza: durata dell’efficacia di un agente chimico o biologico nel luogo di diffusione. Piridostigmina: sostanza che si lega all’acetilcolina sottraendola all’attacco dei neurotossici. Plasma: porzione corpuscolata del sangue, nella quale sono presenti globuli rossi. Postsinaptico: successivo alla sinapsi. Presinaptico: a monte della sinapsi. Reagente: sostanza in grado di reagire chimicamente. Recettore : sito presente su alcune membrane cellulari dove avviene l’interazione con specifici composti di natura biologica o chimica. Rivelazione : determinazione della presenza di un agente tossico. Sinapsi: spazio nel quale due o più neuroni hanno contatti funzionali per la trasmissione dell’impulso nervoso. Sistema nervoso autonomo: quella parte del sistema nervoso che governa le funzioni involontarie, come il battito cardiaco, riflessi e respirazione. Esso è composto dal sistema nervoso simpatico e parasimpatico. Sistema nervoso centrale: costituito da cervello e midollo spinale. Il S.N.C. controlla l’attività mentale e l’attività muscolare volontaria. Coordina indirettamente le funzioni involontarie dell’organismo. Sistemico: relativo all’intero organismo, piuttosto che ad una parte. III-15 Sop: standing operation procedure. Sostanze decontaminanti: sostanze usate per inattivare chimicamente o rimuovere fisicamente un aggressivo. Stanag: standardization agreement. Tossina: sostanza velenosa di origine vegetale, animale o microorganica. Velcro: nastro a due pezzi brevettato che permette aperture e chiusure veloci del medesimo. V-GAS: nervini persistenti, altamente tossici, sviluppati intorno alla metà degli anni ’50. III-16 4. ORGANIZZAZIONE M.M. 4.1 ESPLOSIONI NUCLEARI IN AMBIENTE MARINO GENERALITÀ I fenomeni causati da uno scoppio nucleare ed i relativi effetti si differenziano notevolmente a seconda dell’ambiente terrestre, terrestre aereo o marino in cui esso avviene. In questo capitolo analizzeremo i fenomeni dell’esplosione nucleare in ambiente marino o subacqueo, esaminando gli effetti a danno delle UU.NN. che operano sia in superficie che in immersione. PREMESSA Un'esplosione nucleare si definisce subacquea quando il punto di scoppio si trova al di sotto della superficie dell'acqua. Un'esplosione subacquea dà luogo, in superficie, a fenomeni che variano nei particolari a seconda: - dell'energia sviluppata dall'esplosione; - della quota dello scoppio; - della profondità del fondale. FENOMENI CAUSATI DA UNO SCOPPIO NUCLEARE SUBACQUEO I fenomeni che si verificano in seguito ad una esplosione nucleare subacquea sono: − sfera di fuoco; − slick; − duomo; − nuvola di condensazione; − colonna cava; − nube a cavolfiore; − nube di base ad anello; − onde di superficie. a. Sfera di fuoco. All'atto dell'esplosione si raggiungono, nel punto di scoppio, temperature e pressioni dell'ordine di milioni di gradi e di atmosfere. L'energia termica sviluppata dall'esplosione viene trasferita agli strati di acqua più vicini al punto dello scoppio; detti strati vengono riscaldati e compressi e, a loro volta, riscaldano e comprimono gli strati d'acqua adiacenti. Attraverso questo meccanismo si genera un'onda di compressione (fronte d'urto) che si allontana radialmente dal punto di scoppio. Per le elevate temperature raggiunte si forma, nel punto di scoppio, una sfera di fuoco o bolla, composta da acqua vaporizzata e da materiale radioattivo. La bolla si espande rapidamente fino a raggiungere una dimensione massima. Teoricamente l'esplosione dovrebbe arrestarsi quando la pressione all'interno della bolla eguaglia la pressione esterna; in pratica, però, a causa dell'inerzia dell'acqua messa in movimento dalla forza di espansione iniziale, la bolla si espande più del necessario e la pressione interna cade molto al di sotto della pressione esterna. Alla fase di espansione segue così una fase di contrazione della bolla con conseguente aumento della pressione interna IV-1 e condensazione di vapori d'acqua. Poiché la pressione di rostatica nella parte bassa della bolla è maggiore della parte alta, durante la fase di contrazione la bolla non rimane più sferica: la parte bassa si contrae più rapidamente della parte alta e la bolla si schiaccia a forma di ciambella. Sempre per inerzia della massa d’ acqua in movimento verso l’ interno, si ha una super contazione della bolla con conseguente aumento di pressione interna. Alla fase di contrazione, pertanto, segue una nuova fase di espansione, che dà origine ad un secondo fronte d'urto, il cui valore di picco è meno elevato ma di maggiore durata del fronte d'urto generato dal la prima pulsazione. Durante l'espansione iniziale la bolla è relativamente stazionaria ma, dopo la prima contrazione, comincia a muoversi verso l'alto sotto l'azione di forze ascensionali. Se la quota di scoppio è abbastanza profonda, la bolla continua a pulsare mentre si muove verso l'alto. A causa della grande quantità di acqua condensatasi nella bolla, il fenomeno della pulsazione si esaurisce entro tre cicli dopo di che la bolla, se non è sfociata prima in superficie, si rompe. A seconda della quota di scoppio la bolla può: - rompersi durante l'espansione del primo ciclo (nel qual caso si ha il fenomeno del "blow out", caratterizzato dalla espulsione in aria dei prodotti di fissione e dalla loro disposizione a forma di corona sulla sommità della nube atomica); l'esplosione in questo caso si dice "molto bassa"; - rompersi in superficie durante la fase di contrazione del primo ciclo (in questo caso si ha il fenomeno del "blow in", caratterizzato dalla mancanza della corona di prodotti di fissione alla sommità della nube atomica); l'esplosione in questo caso si dice "bassa"; - rompersi in superficie dopo aver completato almeno un ciclo (espansione e contrazione), nel qual caso l'esplosione si dice "profonda". Numericamente le quote di scoppio limite per la classificazione sono: TIPO DI SCOPPIO QUOTA DI SCOPPIO - tra 0 e 21ft Y1/3 tra2lft Y1/3 e75ft Yl/3 tra75ft Y1/3 e240 ft Yl/4 tra 240 ft Yl/4 e 600ft Yl/4 tra 600 ft Yl /4 Vicino alla superficie Molto basso Basso Profondo Molto profondo dove Y=Energia in Kilotoni. IV-2 b. Slick. Mentre la sfera di fuoco è ancora sommersa e sta rapidamente espandendosi si stacca da essa il fronte d’urto. Tale fronte, giungendo in superficie, d slick”. Lo slick consiste in minutissime particelle di acqua, sollevate dal fronte d’urto, le quali frammiste ad aria, danno luogo ad una traccia superficiale bianca a forma di cerchio che si allarga rapidamente intorno al punto zero (fig.1). Figura 1: Slick e nuvola di condensazione. IV-3 c. Duomo. Immediatamente dopo la comparsa dello slick prorompe verso l’alto, in corrispondenza del punto di scoppio, una colonna nebulizzata che prende il nome di “duomo”. Figura 2: Formazione del Duomo dopo un’esplosione nucleare subacquea. IV-4 d. Nuvola di condensazione. Mentre il duomo si sta formando, sfocia in superficie la bolla dei gas e quindi parte dell'energia passa nell'aria dove dà luogo ad un onda esplosiva. Poiché esiste un elevato grado di umidità le condizioni sono favorevoli perché si verifichi la formazione di una "nuvola di condensazione" (fig. 1 e 3). e. Colonna cava. La grande massa di acqua sollevata dall'esplosione forma un cilindro di acqua di notevole diametro e spessore denominato "colonna cava". La colonna cava può raggiungere altezze considerevoli (a Bikini con una potenza di 20 KT, quota di scoppio di 30 metri, in fondali di 61 metri, la colonna cava aveva una altezza di circa 1.850 metri, un diametro di circa 600 metri, uno spessore di 90 metri; la massa di acqua sollevata è stata calcolata in circa un milione di tonnellate) (fig. 3). Figura 3: Colonna cava e nuvola di condensazione al suo ultimo stadio. f. Nube a cavolfiore (nube atomica). Attraverso la colonna cava si scaricano nell'aria i residui dell'ordigno che, condensandosi, formano una nube atomica a "cavolfiore" (fig. 4). g. Nube di base ad anello. Appena l'acqua comincia a ricadere, si forma alla base della colonna cava una grande nube di forma toroidale, detta "nube di base ad anello", che si allontana rapidamente verso l'esterno (fig. 4). La nube di base ad anello è costituita da goccioline d'acqua altamente radioattive. Sua caratteristica è di comportarsi pressappoco come un fluido omogeneo, per cui essa aderisce per un lungo tratto alla superficie mentre si allontana dal punto zero, contaminando tutto ciò che IV-5 incontra sul suo cammino. Ad una certa distanza dal punto zero, tuttavia, essa perde di intensità e si stacca dalla superficie dell'acqua disperdendosi verso l'alto (a Bikini, dopo 4 minuti. il raggio della nube misurava circa 5.600 metri ed il fronte era alto 550 metri; da questo punto si staccò dalla superficie dell'acqua disperdendosi verso l'alto). Figura 4: Nube a cavolfiore, colonna cava e nube di base ad anello. h. Onde di superficie Il violento spostamento d’ acqua provocato dalla espansione dei gas della sfera di fuoco e la formazione e lo spostamento della nube di base ad anello generano, sulla superficie, un treno di onde. Dette onde, inizialmente di notevole grandezza, si attenuano e si smorzano a distanza. Un ordine di grandezza del fenomeno può essere tratto dalla Tabella 5 relativa all’ esplosione di un ordigno di 20KT, a 30 metri di profondità, su fondale di 61 metri. I dati sono r onda più alta, che non è sempre la prima (dati ricavati dall’ esperienza di Bikini del 25 luglio 1946). IV-6 Sviluppo cronologico di uno scoppio subacqueo, poco profondo, da 100KT. I disegni riportati forniscono una rappresentazione schematica dello sviluppo cronologico dei fenomeni dovuti ad uno scoppio nucleare a piccola profondità e completano la trattazione precedente. IV-7 IV-8 EFFETTI DI UNO SCOPPIO NUCLEARE SUBACQUEO a. Effetto meccanico. Come si è visto, la rapida espansione della sfera di fuoco da origine ad un'onda di compressione, o fronte d'urto, che si propaga inizialmente con velocità elevatissima e successivamente, ad una certa distanza dal punto zero, con velocità prossima a quella del suono in acqua (1.600 m/sec.). (1)Fronte d'urto subacqueo. Il fronte d'urto subacqueo è caratterizzato da un picco di sovrappressione molto elevato che si attenua con la distanza. Il valore del picco di sovrappressione che si ha in una esplosione subacquea è molto più grande del picco di sovrappressione che si ha in una esplosione aerea di pari potenza e la sua attenuazione in acqua non è così rapida come in aria. Ad esempio per uno scoppio poco profondo di un ordigno di 100 KT, a 900 metri dal PZ, si ha un picco di sovrappressione di circa 190 Kg/cm2 in confronto ai pochi Kg/cm2 che si hanno in una esplosione in aria (7-8 Kg/cm2). Per contro la durata del picco è minore in acqua che in aria: in acqua essa è dell'ordine di pochi centesimi di secondo, nell'aria di un secondo. L'onda d'urto subacquea è la causa principale del danno alle navi, in particolare alla parte immersa dello scafo. (2) Onda d'urto in aria. La maggior parte dell'energia d'urto, in una esplosione subacquea poco profonda, si IV-9 propaga attraverso l'acqua: tuttavia una parte di essa si trasmette all'aria ove genera un'onda d'urto o onda esplosiva. L'onda esplosiva può produrre danni, alla parte emersa dello scafo ed alle sovrastrutture, di entità però minore di quelli prodotti dall'onda d'urto subacquea. (3) Onde di superficie. Una nave può subire danni oltre che per effetto dell'onda d'urto subacquea e dell'onda d'urto aerea anche per effetto delle onde di superficie. Dette onde, infatti, sollevano la nave e la fanno ricadere in basso con molta violenza determinando così forti sollecitazioni che possono essere causa di danno. b. Effetto termico. Finché la sfera di fuoco è sommersa, tutta la radiazione termica viene rapidamente assorbita dall'acqua circostante. Quando la sfera di fuoco raggiunge la superficie, il raffreddamento è così rapido che la temperatura cade quasi istantaneamente a valori così bassi che l’emissione termica, per quanto riguarda gli effetti sulle persone e la possibilità di incendi, può essere trascurata. c. Effetto radioattivo. Nelle esplosioni subacquee manca quella che comunemente viene chiamata "radiazione nucleare iniziale" in quanto la maggior parte dei neutroni e dei raggi gamma iniziali viene assorbita dall'acqua. Il pericolo radioattivo è costituito, invece, dalla radiazione nucleare residua presente nella colonna cava, nella nube atomica e nella nube di base ad anello che si formano a pochi secondi dallo scoppio. Per uno scoppio subacqueo, pertanto, è meno significativo fare una distinzione fra radiazione iniziale e radiazione residua, come si usa per uno scoppio aereo, in quanto la prima può mancare del tutto. Un ordine di grandezza del fenomeno radioattivo può essere tratto dalla tabella sottostante relativa all'estensione ed intensità massima della radioattività residua riscontrata nella laguna di Bikini dopo l'esperimento "Backer". Tempo dopo l’eplosione (ore) 4 38 62 86 100 130 200 Area contaminata (Km2 ) Diametro medio (Km) Intensità massima (r/h) 43 47.6 125.9 159 182.5 277 414 7.4 7.7 12.7 14.3 15.3 18.8 22 3.1 0.42 0.21 0.042 0.025 0.008 0.0004 CONCLUSIONI Le esplosioni subacquee, al pari di quelle sotterranee, danno luogo ad effetti di urto e ad effetti radioattivi residui particolarmente intensi. In esse i fenomeni di superficie (duomo, nuvola di condensazione, colonna cava, nube a cavolfiore, nube ad anello, onde di superficie, onda d'urto in aria) risultano di una certa entità solo se la profondità di scoppio non è rilevante. IV-10