1. difesa nucleare - Ordine dei Chimici della Campania

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1. difesa nucleare - Ordine dei Chimici della Campania
I N D I C E
1. DIFESA NUCLEARE
Paragrafo
1.1
FISSIONE
Reazione a catena
Paragrafo
1.2
Paragrafo
1.3
Paragrafo
1.4
Paragrafo
1.5
I-1
I-3
ORDIGNI A FISSIONE
I-4
LA FUSIONE
I-5
ORDIGNI A FUSIONE
I-6
ESPLOSIONI NUCLEARI IN AMBIENTE TERRESTRE
ED AEREO
Generalità
Esplosioni nucleari
Armi nucleari
Energia liberata dall’ordigno nucleare
Tipo di scoppio
Punto zero, punto di scoppio ed altezza di scoppio
Ripartizione percentuale dell’energia
Lampo di luce
Radiazione termica
Onda d’urto
Riflessione dell’onda d’urto
Radiazioni nucleari
Ricaduta radioattiva
Attività gamma indotta da neutroni (NIGA)
Impulso elettromagnetico (EMP)
Effetti transitori delle radiazioni (TREE)
Impulso elettromagnetico interno (IEMP)
Effetti sulla propagazione delle comunicazioni (BLACK OUT)
Effetto argus
I-9
I-9
I-9
I-9
I-10
I-10
I-12
I-12
I-13
I-13
I-14
I-16
I-17
I-18
I-18
1-18
1-19
1-19
I-19
I-19
2. DIFESA BIOLOGICA
Paragrafo
2.1
LA GUERRA BIOLOGICA
Generalità
Stato di malattia
Malattie
Rapporto fra l’aggressivo biologico e l’uomo
Scopi
Vantaggi e svantaggi
Paragrafo
2.2
Paragrafo
2.3
L’ARMA BIOLOGICA
Generalità
Caratteristiche biologiche degli agenti biologici
Funghi (miceti)
Batteri
Rickettsie
Virus
Requisiti
Tipi di classificazione
METODOLOGIA DI IMPIEGO DEGLI
AGGRESSIVI BIOLOGICI
Generalità
Disseminazione
II-1
II-1
II-1
II-2
II-2
II-3
II-4
II-5
II-5
II-7
II-9
II-9
II-11
II-11
II-11
II-12
II-13
II-13
II-13
3. DIFESA CHIMICA
Paragrafo
3.1
Paragrafo
3.2
INTRODUZIONE
III-1
CARATTERISTICHE FISICHE
III-2
Tensione di vapore
Volatilità
Temperatura di ebollizione (T.E.)
Temperatura di fusione (T.F.)
Densità di vapore relativa
Persistenza
Paragrafo
3.3
CARATTERISTICHE CHIMICHE
Stabilità all’immagazzinamento
Idrolisi
Azione sui mettalli, plastiche, tessuti e vernici
Paragrafo
3.4
ASPETTI FISIOLOGICI
Tasso di detossificazione
Tempo di azione
Fattori modificanti
III-2
III-2
III-2
III-3
III-3
III-3
III-4
III-4
III-4
III-4
III-4
III-5
III-5
III-5
Paragrafo
3.5
Paragrafo
3.6
CARATTERISTICHE TOSSICOLOGICHE
III-5
AGGRESSIVI CHIMICI LETALI
III-7
Aggressivi neurotossici o anticolinesterasici
Aggressivi soffocanti
Aggressivi vescicanti
Aggressivi sistemici
Paragrafo
3.7
AGGRESSIVI CHIMICI NON LETALI
Aggressivi incapacitanti
Aggressivi Irritanti
Paragrafo
3.8
Paragrafo
3.9
III-7
III-8
III-9
III-10
III-10
III-10
III-11
COMPOSTI ANTIPIANTA
III-12
GLOSSARIO
III-13
4. ORGANIZZAZIONE MARINA MILITARE
Paragrafo
4.1
ESPLOSIONI NUCLEARI IN AMBIENTE MARINO
IV-1
Generalità
Premessa
Fenomeni causati da uno scoppio nucleare subacqueo
Effetti causati da uno scoppio nucleare subacqueo
Conclusioni
IV-1
IV-1
IV-1
IV-9
IV-10
1. DIFESA NUCLEARE
1.1 FISSIONE
Si chiama fissione il fenomeno per cui un nucleo si rompe in due nuclei più piccoli.
Il fenomeno è tipico dei nuclei ad alto numero atomico (nuclei pesanti) ed è di fondamentale
importanza per la liberazione di energia, utilizzabile a fini pacifici o bellici , che esso comporta.
Una fissione nucleare può essere spontanea o provocata; in quest'ultimo caso essa può avvenire per
assorbimento da parte di un nucleo pesante di un fotone o di una particella.
Dati i fini di questo corso, si esamineranno soltanto le fissioni provocate dall'assorbimento di neutroni
da parte di nuclei di Uranio o Plutonio; in particolare, ci si soffermerà sulle fissioni provocate nei
nuclei di 92U235 per il ruolo storico che esso ha avuto della realizzazione degli ordigni nucleari.
Perché un nucleo possa fissionarsi è necessario che esso riceva dall'esterno una energia uguale o
superiore a un valore minimo detto energia critica o energia di attivazione, che si indica con il simbolo
Ecr e che è caratteristica di ogni nucleo fissionabile.
Nel caso dell’ 92U235 il fenomeno di fissione provocata da un neutrone si può così schematizzare:
− il nucleo di 92U235 riceve dall’esterno un neutrone e si trasforma nell’isotopo 92U236;
NEUTRONE
2 3 5
9 2
U
2 3 6
9 2
U
− l’assorbimento del neutrone da parte del nucleo 92U235 conseguente formazione del nucleo 92U236,
porta ad uno sviluppo di energia di almeno 6.8 MeV;
− poiché l’energia critica del nucleo 92U236 è Ecr= 6.6 MeV,cioè inferiore ai 6.8 MeV sviluppatisi
nel passaggio
I-1
il nucleo 92U236 si fissiona;
− la fissione del nucleo 92U236 porta:
∗ alla formazione di nuclei più piccoli A e B detti prodotti di fissione;
∗ alla liberazione di. due o tre neutroni e di una certa quantità di energia del tipo γ
NUCLEO DI
NOTA
Il fatto che la cattura di un neutrone da parte di un nucleo 92U235 e conseguente formazione
dell'isotopo 92U236 porti ad uno sviluppo di energia di almeno 6.8 MeV si spiega esaminando i valori
dell'energia dì legame dei due nuclei. Infatti:
∗ l’energia di legame dell’92U235 è di 1736.7 MeV
∗ l’energia di legame dell’92U236 è di 1743.5 MeV.
il che significa che il passaggio 92U235 ⇒ 92U236 per la penetrazione del neutrone nel nucleo 92U235 è
associato al passaggio dallo stato energetico 1736.7 MeV dell’ 92U235 allo stato energetico 1743.5
MeV dell’92U236, stati energetici che differiscono, appunto, di:
6.3 MeV = (1743.5 - 1736.7) MeV
Tutto ciò nel caso teorico che si consideri il neutrone privo di energia cinetica e quindi con velocità
nulla; nel caso pratico, tuttavia, il neutrone avrà una velocità diversa da zero, e quindi una energia
cinetica non nulla che comunicherà al nucleo 92U235 e che si aggiungerà ai 6.8 MeV derivanti dai due
diversi valori di energia di legame di cui sopra. Si può concludere pertanto, che l’92U235 è
fissionabile con neutroni teoricamente fermi o dotati di bassa velocità (neutroni termici); ciò non
accade in altri casi come, per esempio, per 1’92U238. I1 nucleo di 92U238, infatti, ricevendo un
neutrone si trasforma nell’isotopo 92U239 che ha una energia critica Ecr = 7.0 MeV. Poiché il valore
dell’energia di legame dell’92U238 è di 1754.2 MeV e dello 92U239 è di 1759.7 MeV, il passaggio
238 ⇒
239
è accompagnato da uno sviluppo di energia di:
92U
92U
1759.7 - 1754.2 = 5.5 MeV ,
valore inferiore di 1.5 MeV a quello di 7.0 MeV necessario per fissionare il nucleo 92U239.
I-2
NOTA
I prodotti di fissione sono stati indicati con i simboli generici A e B perché la loro natura chimicafisica è variabile, nel senso che 1’92U235 o il 94PU239, fissionandosi, non producono nuclei sempre
dello stesso tipo, ma nuclei diversi da caso a caso (nel caso della fissione dell’92U235, ad esempio, si
conoscono più di 60 tipi di nuclei diversi, con numeri di massa che vanno da 72 a 158).
I prodotti di fissione, comunque, sia che derivino dall’92U235 che dal 94Pu239 sono generalmente
radioattivi, ed emetteranno, pertanto, radiazioni corpuscolari od elettromagnetiche in tempi successivi
più o meno lunghi a seconda del tipo del nucleo prodotto.
L’energia di 200 MeV liberata per ogni fissione nucleare si distribuisce, mediamente, nel seguente
modo:
− 80% energia cinetica dei prodotti di fissione;
− 20% energia cinetica dei neutroni ed energia elettromagnetica del tipo.
REAZIONE A CATENA
Fin qui il processo di fissione riguardante un solo nucleo pesante; tuttavia, il fenomeno risulta di
notevole interesse solo nel caso si riesca ad estenderlo ai nuclei degli atomi presenti in una certa
quantità di materiale di 94PU39 o 92U235.
Se i neutroni ottenuti in una fissione avessero possibilità di fissionare, a loro volta, altri nuclei pesanti e
i nuovi neutroni, cosi prodotti, potessero ripetere il fenomeno in modo che esso, una volta innescato,
potesse autosostenersi nel tempo, si realizzerebbe una reazione a catena.
La condizione necessaria perché una reazione a catena si autosostenga è che almeno un neutrone di
quelli emessi in ciascuna fissione sia capace di fissionare a sua volta.
L'osservazione sperimentale mostra che esiste un valore di soglia per la massa di materiale fissile
(detto massa critica) al di sopra del quale (massa super critica) la reazione a catena si autosostenga e
al di sotto della quale (massa subcritica) la reazione non può sostenersi. Il valore della massa critica è
influenzato da:
− forme e dimensioni;
I-3
− purezza;
− densità del materiale di cui è costituita.
La massa critica risulta tanto minore quanto più denso e più puro è il materiale fissile e quanto minore
è il rapporto superficie/volume per la massa in questione.
1.2 ORDIGNI A FISSIONE
Un ordigno nucleare a fissione sarà costituito da un numero di masse subcritiche che, all’istante in cui
si vuole che l’ordigno esploda, si riuniscono in una sola massa che dovrà essere supercritica: a questo
punto la reazione a catena che si innesca (ad esempio con una sorgente di neutroni ausiliaria) libera
una quantità eccezionale di energia in un tempo estremamente breve.
MASSE
SUBCRITICHE
2 3 5
DI
9 2
U
LE MASSE
MASSA
SUBCRITICHE
SI AVVICINANO
SUPERCRITICA
DI
9 2
U
La durata di una reazione a catena è dell’ordine di una frazione di secondo (2 o 3 milionesimi di
secondo) durante questo tempo avvengono un numero elevatissimo di fissioni per ognuna delle quali
si libera mediamente, una energia di 200 MeV.
Anche nelle condizioni più favorevoli di super criticità la reazione a catena non sarà mai completa per
i seguenti motivi:
a. non tutti i neutroni catturati dai nuclei pesanti riescono a produrre fissione (vi sono `altri possibili
fenomeni che nascono al momento della cattura di neutroni da parte dei nuclei):
Ad esempio: nel 92U235 solo 1'80% e nel 94Pu239 solo il 65% dei neutroni catturati riescono a
produrre fissioni;
b. le dimensioni finite della massa supercritica consentono la sfuggita di neutroni alla superfice{e di
essa, diminuendo così il numero dei neutroni presenti nella stessa;
c. il grado di purezza del materiale da fissionare (materiale fissile) non è mai assoluto per cui le
spengono la reazione a catena in certi punti in seno alla massa.
Per ovviare all'inconveniente del punto b si realizza la massa supercritica in forma sferica, per la
quale, a parità di volume con altre forme, si ha il minimo di superficie e quindi il minimo di neutroni
che sfuggono.
Circa, poi, il problema della purezza del materiale fissile si cerca, con i mezzi che la tecnica offre, di
separare quanto più possibile 1’ 92U235 da altri isotopi e soprattutto dall’ 92U238 cui si associa in
natura, assieme all '92U234, con 1e seguenti proporzioni:
238
92U
235
92U
I-4
99.279 %
0.715 %
234
92U
0.006 %
P U R E Z Z A
D E N S I T A ’
F O R M A
C R I T I C I T A ’ D I M A S S A
R E A Z I O N E
A
C A T E N A
1.3 LA FUSIONE
Si chiama fusione o sintesi il fenomeno per cui due nuclei si riuniscono per formare un nucleo più
grande.
Il fenomeno è tipico dei nuclei a basso numero atomico (nuclei leggeri) e, a somiglianza del processo
di fissione, è accompagnato da sviluppo di energia che può essere utilizzata per fini bellici.
Come per la fissione anche per la fusione è necessaria una energia di attivazione onde permettere la
NUCLEO
FUSO
NUCLEI
LEGGERI
fusione dei nuclei che prendono parte al processo. Questa energia può essere fornita ai nuclei
aumentando la temperatura, che deve essere dell’ordine dei milioni di gradi.
Dal punto di vista teorico sono possibili molti processi di fusione, come ad esempio:
7
1
3Li +1H
2 2He4
I-5
1.4 ORDIGNI A FUSIONE
Data l'elevata energia di eccitazione necessaria perché avvenga il processo di fusione di elementi
leggeri, il solo mezzo a disposizione della tecnica per realizzare temperature elevatissime è quello di
far esplodere ordigni a fissione e sfruttare così la enorme quantità di calore sviluppato in tale
processo. Un ordigno a fusione, quindi, è costituito da due parti :
a. un ordigno a fissione che, esplodendo, realizzi le temperature necessarie al processo di fusione:
b. un involucro esterno contenente gli elementi che subiranno la fusione dei nuclei leggeri.
MATERIALE CHE SUBIRA’ LA FUSIONE NUCLEARE
MASSE SUBCRITICHE DELL’ORDIGNO A FISSIONE
L’alta temperatura raggiunta per lo scoppio di un ordigno a fissione non dura che una piccolissima
frazione di secondo, per cui è necessario che la fusione avvenga in tale tempo. La fusione
idrogeno-idrogeno è troppo lenta perché si realizzi nel tempo disponibile; la fusione tritio-deuterio
sembra rispondere, invece, a questo requisito: infatti il primo ordigno termonucleare esploso
nell'agosto 1952 pare fosse composto da un innesco a fissione circondato da un involucro
contenente tritio e deuterio.
Tuttavia l'uso del tritio è svantaggioso per l'enorme costo di produzione e soprattutto perché,
essendo radioattivo, cambia di natura chimica nel tempo diventando elio.
I-6
Le ragioni esposte sopra hanno suggerito, per le costruzioni di ordigni termonucleari, la combinazione
di alcuni particolari elementi da associare all'ordigno a fissione; questo sarà circondato da un
involucro contenente idruro di litio in cui, però, l'elemento idrogeno (idruro) è l'isotopo deuterio 1H2 e
il litio sarà presente con l'isotopo 3Li6. In tal caso il meccanismo di fusione avviene secondo le
seguenti fasi:
a. scoppia l'ordigno a fissione creando le alte temperature e producendo neutroni:
ORDIGNO A FISSIONE
b. i neutroni prodotti reagiscono con il 3Li6 dando elio e tritio:
c. il tritio prodotto si fonde con il deuterio dell'idruro di litio secondo la reazione:
I-7
E' in virtù di questa ultima reazione che l'ordigno termonucleare viene anche detto bomba
all'idrogeno: l’energia sviluppata nella reazione è cospicua e, non esistendo ivi la limitazione dovuta
alla massa critica, teoricamente non esiste limite alla energia che si può liberare dallo scoppio di
ordigni termonucleari.
I-8
1.5 ESPLOSIONI NUCLEARI IN AMBIENTE TERRESTRE ED
AEREO
GENERALITÀ
Durante la 2a guerra mondiale, nel corso di una delle più grandi incursioni aeree, 437 velivoli
lanciarono su Coventry in Inghilterra 394 t di bombe ad alto esplosivo, 54 t di ordigni incendiari e
127 bombe paracadutate. I risultati furono: 380 morti, 800 feriti e danni molto vasti. Meno di cinque
anni dopo, tre aerei volarono su Hiroshima, fu lanciata una sola bomba, un ordigno nucleare
equivalente a 13 mila tonnellate di TNT. I risultati furono: circa 70.000 morti, 70.000 feriti, 62.000
2
edifici polverizzati e la distruzione di un'area di 12,5 km .
ESPLOSIONI NUCLEARI
L'esplosione di un ordigno nucleare è il risultato della reazione di fissione di nuclei atomici pesanti,
come l'Uranio o il Plutonio, o della reazione di fusione di nuclei leggeri, quali gli isotopi pesanti
dell'Idrogeno. Entrambe le reazioni liberano una notevole quantità di energia in un tempo
relativamente breve, 1/100.000.000 di secondo, in una massa limitata di materiale confinata nella
struttura dell'ordigno.
A seguito di tale rilascio energetico, si manifestano degli effetti che risultano pericolosi all'uomo ed
all'ambiente che lo circonda (fig. 1). Gli effetti prodotti dallo scoppio nucleare , entro il primo minuto
dopo la detonazione, vengono classificati effetti iniziali; quelli, invece, che si verificano dopo tale
periodo di tempo sono denominati effetti residui. Possono trascorrere ore o giorni prima che si
venga a conoscenza delle conseguenze degli effetti residui ed essi possono durare per lunghi periodi
di tempo.
ARMI NUCLEARI
Si definisce arma nucleare il complesso dell'ordigno con l'esplosivo nucleare (o con agenti
radiologici) e del relativo mezzo di lancio. Per
ordigno nucleare si intende il proietto, la
1
bomba, l'ogiva di missile o la mina che contiene
l'esplosivo nucleare. Gli ordigni nucleari
possono essere a:
- fissione, od ordigni nucleari propriamente
2
detti (tipo " A ");
- fusione, o termonucleari (tipo " H ");
- prevalente azione adiologica (tipo "
L'ordigno può essere, inoltre, costituito da
3
agenti radioattivi (ossia da sostanze
radiologiche adatte ad uso militare) per
contaminare il terreno, gli equipaggiamenti ed i
mezzi. I mezzi di lancio si identificano in:
4
- artiglierie (proietti nucleari), compresa
l'artiglieria navale;
Principali effetti di una esplosione nucleare
- missili (con ogive nucleari), includendo quelli
installati su sommergibili;
1 = radiazione nucleare iniziale e radiazione
termica
- aerei (bombe nucleari);
2 = onda d’urto
- navi e sommergibili (siluri, cariche di 3 = onda sismica
4 = radiazione residua
I-9
profondità, mine);
- squadre per la posa di mine (ADM).
I-10
ENERGIA LIBERATA DALL’ORDIGNO NUCLEARE
Per caratterizzare quantitativamente un ordigno nucleare si ricorre all'energia che esso può
produrre. L'unità di misura di uso più comune è un multiplo della caloria, alla quale è stato dato il
nome di "chiloton" (KT), caratterizzato dalla seguente equivalenza: 1 KT = 1012 calorie.
Altro multiplo della caloria è il "Megaton" (MT) definito come: 1 MT = 1000 KT = 1015 calorie.
Il nome " chiloton " deriva dalla considerazione che l'energia sviluppata dalla detonazione di una
tonnellata di TNT è di circa 109 calorie, perciò la detonazione di 1000 t (una chilotonnellata ) di
TNT libererebbe circa 1012 calorie. Nel linguaggio comune si usa dire che un'esplosione è più o
meno " potente " a seconda che siano più o meno rilevanti gli effetti dell'esplosione stessa. Un
linguaggio di questo tipo è valido solamente fino a che si rimane in termini generici: solo in tal modo si
può parlare di "potenza" di un'esplosione ed esprimerla in chilotoni (ad esempio: " esplosione della
potenza di 20 KT "). Da un punto di vista squisitamente scientifico, queste espressioni sono errate, in
quanto il chiloton è una misura di energia e non di potenza.
TIPI DI SCOPPIO
Rispetto alla superficie del terreno, gli scoppi si
diversificano a seconda che essi avvengano
(fig. 2):
a.
in aria;
in superficie;
sotterraneo.
Scoppio in aria
Si definisce scoppio in aria la detonazione che
avviene nell'atmosfera ad una altezza tale, che la
sfera di fuoco, al massimo della sua brillantezza,
non riesce a toccare la superficie della terra o
dell'acqua. In tal modo la fenomenologia
dell'esplosione stessa non subisce alcuna influenza
dalla presenza del terreno o di qualsiasi altro tipo
di ostacolo. La figura 3 mostra i quattro stadi
successivi del fenomeno come vengono visti da
un osservatore.
Figura 2 - Tipi di scoppio
I-11
Pochi decimi di secondo dopo il lampo di
luce, la sfera di fuoco diventa visibile (fig.
3a.), nel punto di scoppio. Essa si
espande regolarmente, sale e lentamente
si oscura. Dopo pochi secondi (14 s per
un ordigno da 1 MT) la sfera di fuoco
diventa opaca e si trasforma in una nube
di vapore. Nello stesso tempo, masse
oscure di polvere, provenienti dal settore
sottostante, vengono risucchiate verso
Figura 3 - Scoppio in aria:
l'alto (fig. 3b.). Come la nube sale, le
a. Sfera di fuoco; b. Sollevamento della sfera di fuoco;
masse turbolente di polvere sollevatesi dal
c. Formazione della nube;
terreno, dopo pochi minuti, possono
d. Nube di polvere e nube di esplosione.
raggiungerla (fig. 3c.).
Per altezze di scoppio superiori ad 1 Km non si forma il fungo ma, molto spesso, si crea, oltre alla
"nube d'esplosione", una "nube di polvere" attaccata al terreno. Separate fra loro, dopo un certo
tempo le nubi si allontanano, normalmente in direzioni diverse, seguendo i venti predominanti alle
varie quote (fig. 3d.).
b. Scoppio in superficie
Un'esplosione nucleare viene definita "in superficie", allorchè la sfera di fuoco da essa
prodotta, quand'è al massimo della sua brillantezza, viene ad interagire con la superficie solida o
liquida sottostante. La sfera di fuoco dura da 2-3 secondi a 10-15 secondi, poi si trasforma in
una nube. Essa viene raggiunta da sassi, detriti e polvere risucchiati dalla superficie del terreno,
che i venti di riflusso
trasportano verso l'alto.
Si forma, così, un cono
affilato che, combinandosi
con il materiale della sfera
di fuoco, produce la
caratteristica forma di
fungo. I detriti più pesanti
cadranno rapidamente,
mentre la nube continuerà
a salire sino ai limiti bassi
della stratosfera. Una
caratteristica di questo
scoppio è la formazione
di un cratere, dovuta alla
compressione dei gas ed
alla vaporizzazione del
materiale
a
causa
dell'altissima temperatura
FIG. 4 – Fasi di uno scoppio nucleare in superficie.
dei gas stessi. Le diverse
fasi di un'esplosione
nucleare di 1 MT in
superficie sono riportate
in figura 4.
I-12
c. Scoppio sotterraneo
Le detonazioni sotterranee (fig.
5) possono ottenersi, oltre che
con le mine atomiche (ADM),
anche con armi dotate di spoletta
a percussione regolata in ritardo.
La profondità di detonazione,
salvo particolari casi di mine
atomiche, dovrebbe generalmente
essere prevista tra i 5 e i 25 metri.
A tali profondità le detonazioni
hanno caratteristiche simili agli
scoppi in superficie, con alcune
Figura 5 - Scoppio sotterraneo poco profondo da
differenze quali:
100 Kt
- il cratere più profondo;
(4 - 5 minuti dopo la detonazione)
- la distruzione sotterranea più
grave;
- la quantità di materiale radioattivo liberato in prossimità del punto zero maggiore.
PUNTO ZERO, PUNTO DI SCOPPIO ED ALTEZZA DI SCOPPIO
Il punto dove avviene la detonazione è chiamato "Punto di Scoppio".
Il punto sulla superficie della terra al di sopra (o al di sotto) della quale avviene l'esplosione è detto
"Punto Zero" (P.Z.).
La distanza tra il punto di scoppio ed il Punto Zero è chiamata altezza di scoppio o profondità di
scoppio.
RIPARTIZIONE PERCENTUALE DELL'ENERGIA
Nella detonazione di un ordigno nucleare la percentuale dell'energia che si manifesta sotto forma di
onda d'urto, radiazione termica e radiazione nucleare dipende, oltre che dall'altezza alla quale avviene
l'esplosione, anche dal tipo di ordigno.
In genere, si potrà dire che, in base al tipo di ordigno, per detonazioni in aria o in superficie,
seguente ripartizione percentuale:
a. Ordigni a fissione
onda d'urto
: 50%
La ripartizione percentuale dell'energia
35%
radiazione termica e luminosa
: 35%
50%
per un ordigno a fissione è la seguente:
radiazione nucleare iniziale
: 5%
10%
radiazione nucleare residua
: 10%
5%
b. Ordigni a fusione
La
ripartizione
percentuale
dell'energia per un ordigno a
fusione è la seguente:
35%
50%
10%
onda d'urto
: 50%
radiazione termica e luminosa
: 35%
radiazione nucleare iniziale
: 10%
radiazione nucleare residua
: 5%
5%
I-13
c. Ordigni al neutrone
Sono detti anche ordigni a fusione
con alta percentuale di radiazione
iniziale (E.R. Weapons = Enhanced
Radiation Weapons).
La
ripartizione
percentuale
dell'energia per un ordigno al
neutrone è la seguente:
19,5%
50%
29%
radiazione nucleare iniziale (neutroni)
: 50%
onda d'urto
: 29%
radiazione termica e luminosa
: 19,5%
radiazione nucleare residua
: 1,5%
1,5%
LAMPO DI LUCE
-
100
LUMENS PER WATT
Si verifica al momento dell'esplosione
e viaggia alla velocità della luce, la
sua durata aumenta con l'energia
dell'ordigno e può essere diffuso
dall'atmosfera e riflesso dalle
superfici.
Il lampo, che risulta 30 volte più
brillante del sole a mezzogiorno ed è
indipendente dall'energia dell'ordigno,
colpisce soltanto gli occhi e può
provocare anche cecità: la gravità è
dovuta alla quantità di luce che
penetra negli occhi e dipende da:
50
0
1
2 3 4
5
6
7 8 9 10
Tempo Normalizzato
Figura 6 - Efficienza di illuminamento della sfera di fuoco
in aria confrontata con emettitori di uso comune
durata dell'abbagliamento;
distanza dal punto di scoppio;
orientamento dell'osservatore;
visibilità ed ora del giorno (è maggiore di notte);
tempo di esposizione degli occhi.
In figura 6 è riportata l'efficienza di illuminamento della sfera di fuoco in aria, confrontata con
emettitori di uso comune.
RADIAZIONE TERMICA
Si hanno due impulsi termici: il primo non è significativo dal punto di vista militare, in quanto l'energia
emessa, consiste principalmente di radiazioni X e ultraviolette. L'energia emessa durante il secondo
impulso è la maggior parte, ed è costituita da luce visibile e radiazione infrarossa. Questa energia si
diffonde a grandi distanze ed è la causa maggiore del danno termico di importanza militare.
Con il primo impulso viene irradiato solo l'1% dell'energia termica totale, mentre con il secondo ne
viene irradiato il 99 % (fig. 7).
I-14
La radiazione termica ha:
- una distanza di pericolosità molto ampia;
- viaggia in linea retta ed alla velocità della luce;
- può essere diffusa dall'atmosfera e riflessa dalle superfici;
- la durata dipende dall'energia dell'ordigno.
Distanza
Quando raggiunge una superficie, essa può essere:
- parzialmente riflessa;
- trasmessa per convenzione o per conduzione;
- assorbita, facendo così aumentare la temperatura della
Figura 7 - Radiazione termica
superficie (gli effetti del calore possono essere attenuati dalle
condizioni atmosferiche, dalla polvere, dal fumo, ecc.).
I materiali investiti possono prendere fuoco o carbonizzarsi e ciò dipende:
- dal loro colore;
- dalla composizione;
- dalla struttura o tessitura;
- dallo spessore;
- dal loro contenuto d'umidità.
Il danno prodotto dalla radiazione termica dipende sia dalla intensità con cui viene irraggiato il
materiale, che dalla quantità di calore ricevuto e assorbito.
L'incendio iniziale dei materiali può anche essere estinto dall'onda d'urto che lo segue, per cui gli
effetti causati si distinguono in:
- primari, dovuti alla radiazione diretta;
- secondari, dovuti agli incendi causati dall'azione dell'onda d'urto e dalla radiazione termica.
L'unità di misura della radiazione termica è:
calorie per centimetro quadrato (cal / cm 2 ).
ONDA D'URTO
La maggior parte dei danni materiali causati dallo scoppio di un ordigno nucleare sono dovuti
direttamente od indirettamente (lancio di detriti, sassi, vetri, ecc.) all'onda d'urto nell'aria.
I parametri dell'onda d'urto che hanno maggiore importanza, in relazione alle loro capacità distruttive,
sono:
a. Sovrappressione
- la sovrappressione
- la pressione dinamica.
La sovrappressione è un fenomeno transitorio dato
dalla differenza fra la pressione dell'onda d'urto, che si
manifesta nell'aria all'atto dell'esplosione, e quella
dell'ambiente (fig. 8a.). Quando un'onda d'urto
interagisce con un obiettivo, lo avviluppa e la
sovrappressione risulta applicata su tutti i suoi lati,
causando una forza di compressione e di
schiacciamento che provoca il danno.
La pressione dinamica è la misura del moto della
massa d'aria che accompagna l'onda d'urto e delle
forze di trascinamento esercitate dai venti derivanti da
tale moto (fig. 8b.).
b. Pressione dinamica
Direzione del
vento
Figura 8 - Azione della pressione:
a. sovrappressione;
b. pressione dinamica.
I-15
La
pressione
dinamica
causa
danneggiamento spingendo, ribaltando o
strappando via gli oggetti. La
sovrappressione può creare carichi sugli
edifici, notevolmente superiori a quelli
previsti dal progetto; la pressione
dinamica, invece, crea forze di
trascinamento molto maggiori a quelle
dovute ai venti d'uragano.
L'effetto dell'onda d'urto aumenta con
l'energia dell'ordigno e diminuisce con
l'aumentare dell'altezza di scoppio. La
principale caratteristica dell'onda d'urto,
Figura 9 - Diagramma della sovrappressione e della
che si forma all'istante della detonazione
pressione dinamica in un punto dato, in funzione del
per la compressione di gas caldi, è data
tempo
dalla pressione che sale a picco al limite
esterno, conosciuto come "fronte
d'urto" (fig. 9).
Nella propagazione dell'onda d'urto si verificano due fasi:
- una positiva, quando l'onda d'urto colpisce un oggetto, con l'immediata crescita della pressione e
dei venti.
Essa cioè:
colpisce
spinge
schiaccia
- ed una negativa, quando la pressione cade al di sotto di quella atmosferica, una volta che l'onda
d'urto supera l'oggetto. Ciò produce un vuoto parziale e l'aria viene risucchiata all'indietro, invece
di procedere verso l'avanti. Essa, cioè, trascina all'indietro e pertanto
colpisce
spinge
schiaccia
trascina all'indietro
Nella figura 10 sono rappresentate le fasi di
compressione e di rarefazione ed i loro effetti.
L'onda d'urto può essere deviata, ma non .
apprezzabilmente ridotta, da ostacoli naturali ed artificiali.
Può variare con la configurazione del terreno.
Essa viaggia ad una velocità leggermente superiore a
quella del suono (350 m/s) e la sua unità di misura è:
atmosfera o chilogrammi per centimetro quadrato (
1 atm = 1,03 Kg/cm2 ).
Da uno scoppio in superficie traggono origine due tipi di
onda d'urto:
- l'onda d'urto in aria;
- l'onda d'urto sotterranea diretta.
Fig. 10 - Rappresentazione delle fasi di compressione, di
I-16
L'onda d'urto in aria, poi,
propagandosi
lungo
la
superficie, genera nel terreno
una progressione di "onde
sismiche indotte". Gli effetti
dell'onda nel terreno sono
simili a quelli di un piccolo
terremoto (fig. 11).
Quando uno scoppio avviene
in superficie o sotto terra, una
parte dell'energia dell'onda
d'urto
sotterranea,
unita
all'effetto vaporizzante della
radiazione termica, comprime
e proietta verso l'alto e verso
l'esterno una grande quantità di
terreno dando luogo alla
Figura 11 - Gli effetti di un'esplosione nucleare
formazione di un cratere.
Le dimensioni del cratere dipendono in larga misura dall'energia dell'ordigno, dalla profondità di
scoppio e dalle caratteristiche del suolo.
RIFLESSIONE DELL'ONDA D'URTO
L'onda d'urto prodotta da un'esplosione in aria (onda
incidente) viene riflessa quando investe un mezzo più
denso, come per esempio la superficie della terra, sia essa
suolo od acqua (fig 12).
All'istante in cui tocca la superficie si viene a sviluppare
rapidamente un'onda riflessa (fig. 13a.), che a sua volta
s'allontana dalla superficie che l'ha prodotta. Il fronte d'urto
Figura 12 - Fusione delle onde
riflesso, generato dall'onda riflessa, viaggia nell'atmosfera
ad una velocità maggiore di quella del fronte incidente, incidente e riflessa. Raddoppio della
pressione
generato dall'onda incidente (fig. 13b. e 13c.). In tal modo i
due fronti d'urto, quello dell'onda riflessa e quello dell'onda
incidente, gradualmente si raggiungono e si fondono per formare un unico fronte d'urto: il fronte di
Mach (o gambo di Mach) (fig. 13).
I-17
Figura 13 - Formazione dell'onda di Mach
Il fronte risultante ha una pressione maggiore, come se essa derivasse da un ordigno avente
un'energia superiore di circa 1,6 - 1,7 volte.
RADIAZIONI NUCLEARI
L'esplosione di un ordigno nucleare genera l'emissione di vari tipi di radiazioni nucleari quali:
a. particelle alfa ( α ):
- percorrono pochi centimetri nell'aria,
- hanno scarsissima potenza di penetrazione,
- risultano pericolose se l'emettitore viene ingerito;
b. particelle beta( β ):
- percorrono poco più di un metro nell'aria,
- hanno scarsa potenza di penetrazione,
- risultano pericolose per le scottature che potrebbero produrre sulla pelle;
c. radiazioni gamma ( γ ):
- sono simili ai raggi X,
- percorrono considerevoli distanze nell'aria,
- sono altamente penetranti,
- sono pericolose sia se l'emettitore viene assorbito dal corpo e sia se provengono dall'esterno;
d. neutroni ( n ):
- possono indurre radioattività,
- possono percorrere notevoli distanze nell'aria (dipende dall'energia dell'ordigno),
- sono particelle altamente penetranti ed estremamente pericolose.
La radiazione nucleare produce danni a distanze più brevi degli altri effetti esaminati in precedenza
dovuti alle radiazioni che hanno un potere penetrante elevato. Essa non può essere rivelata dai sensi
umani, ma solo dalla strumentazione RADIAC. La radiazione nucleare, prodotta dall’esplosione di
un ordigno nucleare, si distingue in:
- radiazione nucleare iniziale;
- radiazione nucleare residua.
I-18
La radiazione nucleare iniziale è quella che, proveniente dalla sfera di fuoco o dalla nube atomica,
raggiunge la superficie della terra (o del mare) entro il primo minuto dopo la l’esplosione.
La radiazione nucleare residua è quella emessa dopo il primo minuto.
Poichè la quasi totalità dei neutroni vengono emessi al momento dello scoppio, si considera che la
radiazione iniziale sia principalmente dovuta ad emissione di raggi gamma e di neutroni. La
radioattività residua è causata dal materiale fissile che non ha partecipato alla fissione (emettitori alfa),
dai prodotti della fissione e dal materiale dell'involucro dell'ordigno (emettitori beta e gamma) e dai
componenti della superficie terrestre attivati dai neutroni (emettitori beta e gamma). La radioattività
residua si differenzia da quella iniziale, della quale è la continuazione, per le seguenti caratteristiche:
- si esaurisce in un tempo di gran lunga superiore;
- non emette neutroni;
- investe il personale esposto da tutte le direzioni, mentre la radiazione iniziale proviene al 90%
(meno la diffusa) in linea diretta dalla sfera di fuoco.
La radioattività non può essere eliminata, ma decade col tempo: il decadimento non può essere nè
RICADUTA RADIOATTIVA
La ricaduta radioattiva o "fall-out" è il fenomeno o il processo di ricaduta sulla superficie
terrestre di particelle della nube nucleare contaminate da materiale radioattivo.
Quantunque tutte le esplosioni nucleari producano fall-out, la ricaduta radioattiva che risulta
militarmente rilevante proviene da ordigni che esplodono in superficie o sotto la superficie.
ATTIVITÀ GAMMA INDOTTA DA NEUTRONI (NIGA).
Quando l'esplosione avviene in aria, sotto l'intensa azione del flusso di neutroni che si origina al
momento della detonazione, alcuni elementi chimici che entrano nella composizione dell'aria,
dell'acqua e del terreno sottostante, diventano radioattivi. Mentre nell'acqua e nell'aria la quantità di
radioisotopi che si origina è insignificante, nel suolo, invece, è notevole. La radioattività indotta nel
terreno dipende da:
- intensità del flusso neutronico;
- energia dei neutroni (maggiore negli ordigni a fusione);
- quantità di elementi soggetti all'attivazione esistenti nel terreno (per esempio, l'alluminio, il
manganese, il silicio, il sodio ed il potassio vengono facilmente attivati).
L'attività indotta non avviene solo sulla superficie, ma può avvenire anche in profondità nel terreno,
dipendendo dall'energia dei neutroni stessi (10 - 15 cm).
L'attività indotta decade rapidamente, poichè la maggior parte degli isotopi attivati ha una "vita
, ai fini dell’attività operativa, dopo 24 ore dallo
scoppio).
IMPULSO ELETTROMAGNETICO (EMP)
L'EMP (Elettro Magnetic Pulse) si può definire come un impulso di energia elettromagnetica, a larga
banda di frequenza e di brevissima durata, prodotto dall'interazione delle radiazioni con l'atmosfera e
la superficie del terreno.
I-19
Esso può provenire da scoppi nucleari che avvengono a qualsiasi altitudine, da quelli sotterranei a
quelli ad altissima quota (esoatmosferici).
Diversi fattori, tuttavia, fanno ritenere che i
più pericolosi siano quelli che avvengono alle
alte quote.
Per una esplosione aerea dell'ordine di
qualche MT, l'area interessata può estendersi
sino ad un milione di chilometri quadrati e la
sua intensità arrivare a circa 106 V/m.
L'EMP colpisce le apparecchiature elettriche
ed elettroniche, gli equipaggiamenti e gli
Figura 14 - Confronto tra impulso
impianti.
EMP e fulmine
Paragonando il campo elettrico dell'EMP con
quello del fulmine (fig. 14), si rileva che la
velocità di salita dell'EMP è 50 volte superiore (10 nanosecondi) e il valore del picco è più grande da
2 a 4 volte.
EFFETTI TRANSITORI DELLE RADIAZIONI (TREE)
Il TREE (TRansient Effect on Electronics) si riferisce agli effetti diretti delle radiazioni sui sistemi e sui
componenti elettronici.
I semiconduttori e gli altri componenti elettronici sono sensibili in modo particolare alle radiazioni
nucleari.
Il danno risultante su di essi viene definito come "effetto transitorio delle radiazioni": il termine
transitorio indica che la radiazione è di tipo impulsivo, mentre i danni sui materiali, invece, possono
essere sia transitori che permanenti.
IMPULSO ELETTROMAGNETICO INTERNO (IEMP)
La radiazione gamma che penetra nell'interno di una "cavità", come per esempio un emettitore di
segnali o l'interno di un missile, può liberare una quantità di elettroni, tale da generare nel suo interno
campi elettrici tanto intensi da danneggiare il sistema.
Questo fenomeno è conosciuto come IEMP ( Internal Elettro Magnetic Pulse).
EFFETTI SULLA
(BLACK-OUT)
PROPAGAZIONE
DELLE
COMUNICAZIONI
Il black-out è causato dalla ionizzazione prodotta dallo scoppio e dalla susseguente interferenza nelle
radio frequenze: tale effetto attenua, riflette, disturba e devia i segnali radio e radar.
EFFETTO ARGUS
L'effetto ARGUS, che prende il nome da un programma di esplosioni statunitensi avvenute nel 1958,
è dovuto agli elettroni che, prodotti a seguito di una detonazione nucleare ad altissima quota,
vengono intrappolati nel campo geomagnetico e si spostano lungo le linee di forza, da un polo
all'altro della terra, come palline da ping-pong, formando così, oltre al fenomeno delle aurore polari,
uno schermo di elettroni: ciò rappresenta un pericolo potenziale per il personale e gli apparati
elettronici di missili e satelliti che l'attraversano.
I-20
2. DIFESA BIOLOGICA
2.1 LA GUERRA BIOLOGICA
GENERALITÀ
Annullare o quanto meno ridurre le capacità operative dell’avversario è lo scopo di qualsiasi arma,
convenzionale o non convenzionale che sia.
Ciò che cambia quindi, non è lo scopo ultimo dell’arma ma il mezzo utilizzato.
Le armi convenzionali usano principalmente mezzi fisici quali proietti, schegge o altri oggetti perforanti in
grado di provocare lesioni sul corpo umano o sui mezzi o materiali.
Tra le armi non convenzionali, quella nucleare sfrutta mezzi fisici come l’onda d’urto, il calore e le
radiazioni ionizzanti, mentre l’arma chimica utilizza sostanze chimiche tossiche per l’organismo.
L’arma biologica si basa sull’impiego di aggressivi biologici cioè l’insieme dei microrganismi e delle
sostanze chimiche prodotte da organismi viventi chiamate tossine, capaci di indurre uno stato di malattia
nell’uomo, negli animali o nelle piante o provocare il deterioramento dei materiali e che per le loro
caratteristiche biologiche e tecniche possono essere utilizzati a scopo bellico.
STATO DI MALATTIA
Per malattia si intende l’alterazione temporanea o definitiva del normale equilibrio funzionale esistente
nell’organismo, dovuta ad un’alterazione delle reazioni biochimiche dei processi metabolici.
Gli agenti causali, o eziologici, capaci di provocare uno stato di malattia vengono tradizionalmente distinti
in fisici, chimici e biologici.
Per le finalità del nostro corso è importante evidenziare che mentre le malattie di origine fisica o chimica
non sono trasmissibili, le malattie di origine biologica possono essere trasmesse da un individuo all’altro
se ne esistono le condizioni.
Le malattie ad eziologia biologica si distinguono in infettive (se sono causate da microrganismi),
parassitarie (se sono causate da organismi animali) genetiche e fisiologiche.
Il termine “microrganismi” non indica un particolare gruppo sistematico di agenti biologici, ma ne
evidenzia una caratteristica: le dimensioni microscopiche.
Appartengono ai microrganismi i virus e gli organismi viventi unicellulari o pluricellulari comunque non
visibili ad occhio nudo.
Con il termine “animali” vengono indicati tutti gli organismi pluricellulari eterotrofi1 dotati di movimento o
discendenti da organismi che lo erano.
Le malattie trasmissibili, sia infettive che parassitarie, si considerano contagiose se l’agente patogeno può
essere emesso all’esterno dall’organismo malato.
Le malattie si considerano non contagiose se l’agente patogeno può uscire dall’organismo malato
solamente tramite specifici vettori o particolari evenienze.
1
eterotrofo: organismo che utilizza composti organici preformati come sorgente di carbonio.
II-1
MALATTIE
1. TRASMISSIBILI
a. BIOLOGICA
1) INFETTIVE (causate da microrganismi)
• CONTAGIOSE
• NON CONTAGIOSE
2) PARASSITARIE (causate da microrganismi animali)
• CONTAGIOSE
• NON CONTAGIOSE
2. NON TRASMISSIBILI
a. FISICA
- TRAUMI
- RADIAZIONI
- CALORE
- RUMORI
b. CHIMICA
- SOSTANZE TOSSICHE ESOGENE
c. BIOLOGICA
- GENETICHE
- FISIOLOGICHE
RAPPORTI FRA L'AGGRESSIVO BIOLOGICO E L'UOMO
La disseminazione di un aggressivo biologico si ripromette, di norma, il verificarsi di un “contatto” del
zione e sviluppo della malattia.
Di seguito verranno esaminati in dettaglio tre aspetti che definiscono la possibile evoluzione dei rapporti
che legano l'agente patogeno ad uno o più organismi ospiti.
a. Infezione
Con il, termine "infezione" si intende la penetrazione e replicazione del microrganismo nel, soggetto.
Di norma ne consegue la messa in atto da parte di quest'ultimo dei meccanismi di difesa. Le vie di
ingresso del patogeno sono rappresentate dall'albero respiratorio dal tubo gastroenterico, dalle vie
congiuntivali nonché dalle soluzioni di continuo a carico della cute.
Alcuni agenti possono attraversare le mucose ed eccezionalmente la cute anche se queste sono
integre mentre nella generalità dei casi ciò è reso possibile solo da lesioni più o meno ampie del
mantello cutaneo e delle superfici mucose (ferite, punture di insetti).
In una fase successiva, i germi patogeni possono dividersi direttamente nei tessuti lungo i vasi linfatici,
nel torrente ematico che li diffonde in altri distretti rendendo possibile il raggiungimento degli organi
bersaglio.
Gli elementi fondamentali che entrano in gioco nella genesi delle infezioni sono, oltre alla via di
penetrazione, la carica microbica e la virulenza del microrganismo patogeno.
II-2
b. Intossicazione
Il termine “intossicazione” sta ad indicare una situazione nella quale l'elemento che gioca un ruolo
essenziale ai fini della insorgenza dello stato della malattia è rappresentato dal veleno (tossina)
prodotto dall'agente biologico; ciò non comporta la poss
il pericolo di diffusione in quanto il più delle volte tali tossine possono essere veicolate da supporti
ubiquitari quali alimenti, acque, ecc..
Il supporto per la diffusione delle tossine è rappresentato generalmente dagli alimenti. In tali sostanze
ove si creino le condizioni adatte, i microrganismi si moltiplicano e riversano le loro tossine, che, data
la cronoresistenza da esse posseduta, possono permanervi per lungo tempo anche dopo la morte dei
microrganismi che le hanno prodotte. La via di penetrazione è prevalentemente rappresentata dalla
via gastroenterica.
c. Tossinfezioni
Nelle tossinfezioni si verificano entrambe le eventualità: infezione e intossicazione. Nella prima fase
(penetrazione del microrganismo) domina una sintomatologia infettiva alla quale segue quella più
propriamente tossica dovuta alla elaborazione delle tossine proprie di quel microrganismo.
d. Immunità.
Esistono vari fattori che entrano in gioco per combattere l'infezione e l'intossicazione, al fine di
prevenire o attenuare la malattia nell'ospite.
Essi possono essere riuniti in due gruppi: fattori aspecifici, che operano contro vari patogeni (barriere
fisiologiche, composizione biochimica dei tessuti, ecc.) e fattori che conferiscono all'ospite una
resistenza specifica verso determinati agenti patogeni. Tale resistenza specifica è quella che
normalmente viene denominata “immunitaria” e può essere acquisita naturalmente, mediante infezioni
o artificialmente mediante l’uso di di sieri o vaccini.
Sia le forme di immunità acquisite naturalmente che quelle acquisite artificialmente utilizzano fattori
cellulari (globuli bianchi) e fattori umorali (anticorpi).
La frazione rappresentata dagli anticorpi è quella che maggiormente caratterizza la risposta
immunitaria specifica.
SCOPI
Scopo fondamentale di qualsiasi arma è ridurre, direttamente o indirettamente, le capacità operative
Nel caso specifico dell’arma biologica si parlerà di scopi:
1. diretti, se mirati a colpire l’uomo con conseguente insorgenza di malattia:
a. mortale;
b. inabilitante;
2. indiretti, se mirati non a colpire l’uomo, ma a:
a. provocare l’insorgenza di malattia nelle piante o negli animali, con inevitabile riduzione delle risorse
alimentari;
II-3
b. provocare il deterioramento di materiali, attrezzature e sistemi
c. influire sul morale del personale militare e civile.
L’offesa biologica si presta bene per:
1. obiettivi a carattere strategico, o comunque che coinvolgano grandi superfici, se l’aggressivo utilizzato
è contagioso;
2. obiettivi tattici o comunque specifici e limitati in una ristretta area , se vengono utilizzati non contagiosi
diffusi su specifici substrati (es. vestiti, alimenti, sistemi di climatizzazione, ecc.);
3. azioni di sabotaggio, a causa:
a. dell’elevata difficoltà di rivelare l’aggressivo biologico;
b. il tempo differito in cui si manifestano le conseguenze rispetto all’azione iniziale di attacco.
Un ipotetico attacco biologico potrebbe essere portato, con azione di sabotaggio e prima dello scoppio
delle ostilità come fase preparatoria ad un attacco con mezzi convenzionali o NBC, o in alternativa, dopo
un attacco nucleare, che distruggendo molte delle infrastrutture civili, militari e sanitarie ridurrebbe
notevolmente la possibilità di contenere gli effetti di un aggressivo biologico contagioso o meno che sia.
Tra gli scopi indiretti va posta particolare attenzione alla possibilità di ridurre le risorse alimentari di un
paese. Si consideri che attualmente il contrasto tra due fronti difficilmente si tende a risolverlo con una
guerra aperta, ma più frequentemente con una guerra “economica” mediante, ad esempio, l’embargo.
Se all’embargo si aggiunge un’offesa biologica mirata alla riduzione delle risorse alimentari di quella
nazione, la crisi economica verrà sicuramente accentuata.
E’ pur vero che le nazioni sensibili ad un attacco di questo tipo sono quelle che basano la propria
alimentazione su una ridotta varietà di alimenti quali, ad esempio, i paesi del terzo mondo o i cosiddetti
paesi emergenti.
VANTAGGI E SVANTAGGI
Fra i principali vantaggi dell’uso dell’arma biologica possiamo ricordare:
1. l’economicità sia nell’uso che nell’impiego. Qualsiasi laboratorio di microbiologia ben attrezzato
sarebbe in grado di produrre facilmente grandi quantità di agenti patogeni. Anche per l’impiego si
possono utilizzare sistemi estremamente economici quanto efficaci che possono andare dalla semplice
frantumazione di un involucro, all’uso di più sofisticati mezzi di lancio o ordigni ad apertura
predeterminata;
2. la notevole complessità e difficoltà nelle procedure di rivelazione e identificazione rende l’arma
biologica particolarmente pericolosa e facilmente utilizzabile in azioni di sabotaggio;
3. che l’azione distruttiva si esplica essenzialmente sugli esseri viventi, lasciando intatte le infrastrutture
ed i materiali;
4. la possibilità di contaminare vaste aree, se si utilizzano aggressivi biologici contagiosi, o colpire
specifici obiettivi se si considerano aggressivi biologici non contagiosi disseminati su specifici substrati;
5. la possibilità di poter scegliere o creare (mediante le innovative tecniche di ingegneria genetica)
malattie con requisiti biologici e tecnici adatti alla finalità di impiego;
6. la possibilità di convertir e facilmente impianti farmaceutici, laboratori biologici di ricerca e sviluppo o
impianti industriali connessi al settore biologico alla produzione di aggressivi biologici.
II-4
Fra i principali svantaggi dell’uso dell’arma biologica possiamo menzionare:
1. l’influenza delle condizioni meteoclimatiche sull’efficacia dell’aggressivo biologico;
2. l’evoluzione relativamente lenta della maggior parte delle infezioni dovute a microrganismi (le tossine
generalmente agiscono con estrema rapidità) che limita il valore
condotta con tali agenti;
3. la necessità di conoscere, da parte dell’aggressore, un’adeguata terapia e profilassi per la malattia
utilizzata allo scopo di evitare un possibile “effetto boomerang”.
2.2
GENERALITA'
L’arma biologica è quello strumento di guerra costituito da:
uno o più aggressivi biologici;
un sistema di diffusione.
Allo scopo di fornire alcune informazioni sulle caratteristiche generali degli aggressivi biologici, saranno
descritti quelli di maggior interesse dal punto di vista del possibile impiego bellico.
Tali aggressivi possono essere distinti in agenti viventi (funghi o miceti, batteri, rickettsie) e agenti
non viventi (virus e tossine ).
Ai fini operativi risulta di maggior interesse distinguere gli aggressivi biologici in relazione alle loro
capacità di replicazione e quindi alla possibilità di essere trasmesse. In questo caso distingueremo:
• i microrganismi, (funghi o miceti, batteri, rickettsie e virus)
• le tossine.
I microrganismi hanno la capacità di replicarsi e quindi possono essere contagiosi, al contrario le tossine
non hanno la capacità di replicarsi e quindi sicuramente non sono contagiose.
1. Microrganismi.
Generalità e struttura
Sono organismi osservabili unicamente con l'ausilio di un microscopio (ottico o elettronico) data la
loro piccola dimensione, misurata in millesimi di millimetro, cioè in micrometri (µm)2.
Se si escludono i virus, l'osservazione al microscopio ottico consente di rilevare unità aventi struttura
"cellulare", disposte singolarmente o a gruppi3. Alcuni microrganismi come i batteri ed i miceti sono
capaci di svolgere funzioni necessarie allo loro crescita, riproduzione e mantenimento se vengono a
2
3
1 micro-metro (µm) = 10-6 metri.
1 nano-metro (nm) = 10-3 µm.
Costituenti essenziali delle strutture cellulari più semplici (procarioti), come i batteri e le rickettsie sono:
- parete cellulare, con funzioni essenzialmente di protezione e delimitazione dell'ambiente;
- citoplasma, sede principale dei processi metabolici ivi compresa la biosintesi proteica che avviene a livello di particolari organuli
in esso contenuti (ribosomi);
- membrana citoplasmatica che interviene nei processi di ossidazione biologica, negli scambi con l'ambiente esterno e nei processi
riproduttivi;
- sostanza nucleare, responsabile dell'informazione genetica ad opera dell'acido desossiribonucleico (DNA);
Nelle cellule più evolute (eucarioti), come i miceti, cellule vegetali ed animali, la sostanza nucleare è delimitata da una membrana e
nel citoplasma si trovano altri organuli, oltre ai ribosomi, con specifiche funzioni biologiche (mitocondri, reticoli-endoplasmatici,
lisosomi, ecc.).
Per dettagli sull’argomento si rimanda alla letteratura specializzata.
II-5
trovarsi in un ambiente caratterizzato da condizioni chimico-fisiche (temperatura, umidità, pH, ecc.) e
nutrizionali adeguate.
Altri microrganismi che possiedono una struttura non tipicamente cellulare, come le rickettsie,
possono riprodursi solo all'interno di cellule ospiti.
I virus hanno una struttura non cellulare, tali microrganismi non viventi sono costituiti di materiale
genetico come il DNA (acido Deossiribonucleico) o l’RNA (acido Ribonucleico) circondato da un
rivestimento per lo più di natura proteica (capside), che lo protegge dall'ambiente.
Riproduzione
La riproduzione dei microrganismi può avvenire asessualmente, per scissione binaria (batteri,
rickettsie, clamidie), per gemmazione (alcuni miceti) o per sporulazione (miceti), oppure
sessualmente, per copulazione fra due cellule con interscambio di materiale genetico (miceti, alcuni
batteri). I virus sono incapaci di riprodursi autonomamente e la loro replicazione è subordinata alla
possibilità di sfruttamento dei processi metabolici della cellula ospite.
Incapsulamento e sporulazione
Due aspetti di particolare rilievo riguardanti alcune specie batteriche sono l'incapsulazione e la
sporulazione. Si tratta di processi biologici legati, in particolare, alla loro sopravvivenza nell'ambiente.
La capsula è una struttura mucogelatinosa che avvolge il corpo cellulare dei batteri e che svolge una
funzione difensiva nei riguardi dell'attività antibatterica dell'organismo ospite (es.: capsula dei
pneumococchi, di tipo polisaccaridico e capsula dei bacilli carbonchiosi, di tipo polipeptidico).
Particolarmente importante è il fenomeno della sporulazione, osservabile nei batteri del genere
Bacillus e Clostridium e nei funghi (o miceti). Essa consiste nella produzione di un corpicciolo sferico
od ovale, detta spora, che presenta la caratteristica di una notevole resistenza alle condizioni
ambientali sfavorevoli che, in determinate condizioni favorevoli e dopo un intervallo variabile di
tempo, può presentare il fenomeno della germinazione e ricostituirsi in forma vegetativa. Per dare
, si consideri che esse sono sicuramente uccise solo
dopo un trattamento di un'ora a l70°C in ambiente secco, o a 115°C-120°C in presenza di vapore
acqueo sotto pressione. Allo stato secco le spore possono restare in vita per molti anni.
Anche i funghi sono in grado di formare spore durante il loro ciclo riproduttivo. Le spore fungine
hanno caratteristiche funzionali e di resistenza simili a quelle batteriche.
2. Tossine.
Generalità
Si tratta di sostanze tossiche prodotte da organismi viventi oppure costituiti da frammenti degli stessi.
Comunemente con il termine tossina si indica una sostanza tossica di origine microbica mentre con il
termine veleno si indica una sotanza tossica prodotta da organismi animali o vegetali.
I virus pur rientrando fra i microrganismi non producono tossine ne hanno la capacità di formare
spore in quanto non sono in grado di svolgere alcun processo biochimico. È per questa ragione che
non sono considerati organismi viventi.
Tossine batteriche
Le tossine batteriche vengono classificate distintamente in esotossine ed endotossine.
Le esotossine sono sostanze proteiche di elevato peso molecolare liberate nell'ambiente da alcune
specie batteriche (Gram-positive, secondo il criterio distintivo, dell'omonima colorazione), termolabili,
le cui dose minima letale (d.m.1.) è dell'ordine del milionesimo di grammo. Esempi di esotossine sono
II-6
la botulinica, prodotta dal Clostridium botulinum, la tetanica, prodotta del Clostridium tetani, la
difterica prodotta dal Corynebacterium diphteriae e l'enterotossina di alcuni ceppi batterici del genere
Staphilococcus (enterotossina stafilococcica).
Le endotossine sono invece frazioni della cellula batterica intimamente legate alla struttura cellulare
che si liberano con l'autolisi del corpo cellulare o ricorrendo ad energici mezzi di estrazione artificiale,
Sono presenti in alcune specie (Gram-negative) e sono costituiti da complessi proteici di elevato peso
molecolare o glicolipidici e, per questo, rispettivamente termolabili e termostabili, L'ordine di
grandezza della dose minima letale è generalmente il milligrammo. Esempi di endotossine sono quelle
presenti nel citoplasma di Pasteurella pestis (agente eziologico della peste) e del Vibrio cholerae
(agente eziologico del colera).
Altre tossine
Altri tipi di tossine di particolare interesse militare perché caratterizzate da notevole tossicità, sono:
- tossine prodotte da alcune specie di miceti (micotossine);
- veleni derivati da dinoflagellati e molluschi marini (saxitossine);
- veleni derivati da animali marini (tetrodotossine);
- veleni derivati da altri organismi viventi (es.: veleni di Microcystis aeruginosa e di Anaboena flosaquae).
CARATTERISTICHE BIOLOGICHE DEGLI AGENTI BIOLOGICI
Di seguito vengono brevemente descritti alcuni parametri che caratterizzano le proprietà biologiche
dell'agente e che sono ritenuti più significativi per gli scopi del corso.
(1)Potere patogeno.
E' la capacità posseduta da agenti biologici di causare una determinata malattia. Si consideri che
gressivo biologico di causare malattia è specifico per la specie vivente
considerata. Ad esempio, molte malattie che colpiscono l'uomo, non colpiscono gli animali o le piante
e viceversa.
(2)Virulenza.
E' valutata in relazione alla gravità del decorso clinico della malattia.
La virulenza è correlata con:
- la capacità di superare le barriere naturali difensive dell'ospite, e di diffondersi nell'organismo
-
la capacità di produrre sostanze tossiche (eso ed endotossine);
il possesso di adeguate strutture difensive (capsule, ecc.);
la possibilità di elevata moltiplicazione nell'ospite;
la possibilità di produrre enzimi che facilitano la invasività o ledono le strutture vitali delle cellule
ospiti.
(3)Carica microbica minima
Rappresenta il numero di agenti patogeni necessari ai fini dell'insorgenza della malattia nell'organismo
ospite.
In alcuni casi la carica microbica minima può corrispondere a poche unità (es.: l0 unità, nel caso di
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Francisella tularensis, per inalazione da parte dell'uomo).
E’ una caratteristica peculiare dei microrganismi.
(4)Dose letale media (LD50).
Rappresenta la quantità di tossina che produce la morte del 50% degli animali di esperimento
inoculati. L’elevata tossicità di molte tossine comporta che la LD50 pu
quella di aggressivi chimici. L’unità di misura per le tossine sono infatti generalmente espresse in
microgrammi (µg) o nanogrammi (ng). È una caratteristica peculiare delle tossine.
(5)Periodo di incubazione.
E' il periodo di tempo che intercorre fra la penetrazione del patogeno e la manifestazione clinica della
malattia. E' molto variabile e dipende da una serie di fattori fra cui il tipo di patogeno, la carica
microbica assunta e la resistenza all'infezione offerta dall'organismo ospite.
Nel caso delle tossine si fa riferimento analogamente, al "periodo di latenza".
(6)Periodo di Latenza.
E’ il periodo di tempo che intercorre fra la penetrazione della tossina e la manifestazione
chimica della malattia.
(7)Contagiosità.
Si definisce malattia contagiosa quella che può diffondersi da un soggetto ad un altro a causa della
capacità dell’agente biologico di uscire dall’organismo malato.
(8)Indice di letalità.
L'indice di letalità per una determinata malattia è espresso dal rapporto percentuale fra il numero dei
morti ed il numero dei malati.
Per definizione gli agenti "letali" sono quelli che causano con elevata probabilità la morte in non meno
del 10% dei casi non curati.
Gli agenti inabilitanti provocano soltanto una transitoria incapacità fisica dell'individuo;
occasionalmente sopravviene la morte in soggetti debilitati o di giovanissima età.
(9)Persistenza.
E' la capacità dell’aggressivo biologico di mantenere la propria virulenza nell’ambiente, in condizioni
normali o sotto l’azione di bonificanti.
Alcuni agenti biologici (es.: batteri sporigeni come il Bacillus anthracis ed il Clostridium botulinum),
posti in condizioni ambientali sfavorevoli mantengono la loro virulenza anche per anni grazie alla
possibilità che hanno di trasformarsi in spore.
(10)Stabilità.
E' la capacità dell’aggressivo biologico di mantenere la propria virulenza durante la conservazione.
II-8
FUNGHI (MICETI)
Sono microrganismi uni o pluricellulari, costituiti da cellule di tipo eucariotico con nucleo differenziato e
parete cellulare rigida. Sono privi di clorofilla e quindi di capacità fotosintetiche.
Sono eterotrofi con abitudine parassitaria e saprofitaria, così distinti a seconda che la sostanza organica
preformata di cui hanno bisogno e che utilizzano è viva o morta.
Circa la produzione di energia. i miceti sono capaci solo di ossidare substrati organici. Per quanto
riguarda la struttura e la moltiplicazione è utile distinguere i miceti in due grandi gruppi: muffe e lieviti.
L'elemento fondamentale della crescita vegetativa di una muffa sono le “ife”, strutture tubolari ramificate,
con diametro di 2-10 µm.
Dette ife si sviluppano sia in lunghezza (crescita apicale) sia formando ramificazioni: l’insieme delle ife
La parte dell'ifa, che si trova nel substrato con il compito di assorbire sostanze nutritive, prende il nome
di micelio "vegetativo", mentre quelle che si trovano al di sopra del substrato prendono il nome di micelio
"aereo", o riproduttivo, perché portano le strutture riproduttive (queste ultime, dette spore - non sono da
confondersi con quelle batteriche che tendono a staccarsi appena formatesi).
Nella gran parte delle specie, le ife sono suddivise da setti parietali.
I miceti non settati sono chiamati "cenocitici" (ciò significa che i numerosi nuclei sono immersi in una
massa continua di citoplasma).
I lieviti, viceversa, sono organismi monocellulari, ovali o sferici, con diametro da 3 a 5 µm.
I miceti si possono riprodurre attraverso cicli sessuati o assessuati.
Per la crescita i miceti esigono un elevato grado di umidità, un pH leggermente acido, un terreno ricco di
sostanze organiche nutritive e una certa temperatura secondo la specie.
Il carattere patogeno, non legato a ben definiti fattori di virulenza del tipo di quelli che consentono ai
batteri penetrazione ed attecchimento mento nell'ospite, si estrinseca soltanto in particolari condizioni di
recettività dell'ospite stesso.
BATTERI
I batteri sono microrganismi unicellulari. La forma è assicurata da una parete cellulare rigida.
Alcune specie sono mobili per presenza di ciglia. Le dimensioni sono dell'ordine di alcuni micrometri.
In base alla forma si distinguono in:
þ Cocchi (rotondi);
þ Vibrioni (a virgola);
þ Spirilli (a spirale);
þ Batteri e Bacilli (bastoncellari).
Relativamente alla capacità di sintetizzare la sostanza organica dei propri costituenti, si distinguono in
"autotrofi" se ottengono tali composti partendo dalla sostanza inorganica ed "eterotrofi" se invece
raggiungono lo stesso scopo demolendo la sostanza organica. Gli eterotrofi si distinguono a loro volta in
saprofiti e parassiti.
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In relazione ai processi ossidativi e quindi alle esigenze di ossigeno atmosferico, i batteri possono essere:
þ aerobi, obbligati e facoltativi, se utilizzano come accettore di elettroni l'ossigeno atmosferico;
þ anaerobi, obbligati (e facoltativi), se utilizzano come accettore di elettroni ossigeno diverso da quello
atmosferico;
þ microaerofili, per i quali è sufficiente una bassa tensione di ossigeno atmosferico.
Per ciò che concerne la riproduzione, essa avviene per "scissione binaria".
Il processo di divisione si svolge più o meno rapidamente (15-30 minuti) in funzione di determinate
condizioni ambientali (soprattutto la temperatura).
Le cellule figlie a loro volta entrano in riproduzione ed in breve tempo il loro numero raggiunge valori
altissimi.
Alcune forme bastoncellari (Bacillus e Clostridium) sono in grado di sporulare, cioè di assumere una
particolare forma di vita latente chiamata spora in cui è temporaneament
riproduttiva e notevolmente ridotta quella metabolica.
Il fenomeno consiste essenzialmente in un addensamento del citoplasma con perdita di acqua e
formazione di nuovi prodotti (il materiale acquista così compattezza ed impermeabilità mentre una
sostanza neoformata -dipicolinato di calcio- svolge un'azione di protezione contro le radiazioni
ultraviolette e termiche).
La spora è pressoché sferica con diametro di qualche µm ed è molto resistente nei confronti di
condizioni ambientali sfavorevoli (allo stato secco si conserva per lungo tempo). Per ucciderla è
necessario un trattamento di un'ora a 170°Ccon il calore secco oppure a 120°C con il calore
umido per circa 40 minuti. Le forme vegetative, invece, soccombono a meno di 100°C con il
calore umido in circa 20 minuti. Un fattore molto importante, specialmente ai fini dell'attecchimento
dei batteri, è rappresentato da una capsula avvolgente di notevole spessore che li protegge dai
meccanismi difensivi dell'ospite.
Essa si forma solo quando le condizioni, per lo più sfavorevoli, sollecitano la sua costituzione in quei
batteri che possiedano i fattori genetici.
Altra caratteristica di alcune spore è la capacità di secernere tossine, cioè sostanze altamente tossiche
anche alle minime dosi.
Per la coltivazioni dei batteri da laboratorio, ci si avvale di terreni di coltura caratterizzati dai seguenti
requisiti:
þ possesso di sostanze nutritive necessarie al particolare metabolismo della specie che interessa;
þ presenza di:
- un confacente grado di umidità;
- adatto grado di acidità (pH di solito neutro o debolmente alcalino);
- idonea temperatura (i patogeni prediligono una temperatura intorno ai 37°C, i saprofiti normali
valori ambientali).
La coltivazione in terreni artificiali di ceppi patogeni produce, in genere, una attuazione della loro
virulenza mentre, invece, il passaggio ripetuto in esseri viventi ne provoca, per lo più, una esaltazione per
fenomeni di selezione di mutanti resistenti ai meccanismi difensivi dall'ospite (fagocitosi , anticorpi, ecc.).
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RICKETTSIE
Le Rickettsie sono microrganismi unicellulari classificati nel regno dei batteri ma, avendo perso alcune
caratteristiche peculiari della struttura cellulare risultano, dal punto di vista strutturale e funzionale, simili ai
virus.
Le rickettsie hanno infatti dimensioni paragonabili a quelle dei virus, circa 0,1 µm, e al pari di questi sono
in grado di riprodursi solo se riescono a penetrare all’interno di una cellula ed a sfruttare le sue funzioni
energetiche e riproduttive
VIRUS
I virus sono formazioni biologiche elementari prive di organizzazione cellulare e costituite da un involucro
proteico (capside) contenente un solo acido nucleico (DNA o RNA).
Essi si riproducono solo all'interno di cellule viventi attraverso la duplicazione del proprio acido nucleico
che indirizza il metabolismo delle cellule ospiti verso la sintesi delle proteine del capside.
Per quanto attiene alla morfologia, i virus possono presentarsi:
þ a simmetria cubica (es.: icosaedro);
þ a simmetria elicoidale;
þ a simmetria complessa (es.: a forma di manubrio, a proiettile, ecc.).
Le dimensioni sono dell'ordine delle decine di nanometri e, pertanto, i virus non sono visibili al
microscopio ottico.
Mancano completamente sia degli enzimi per la produzione dell'energia sia di quelli necessari ai processi
sintetici.
Dopo che il virus è penetrato nella cellula, l'acido nucleico virale si duplica ed indirizza la sintesi proteica
della cellula ospite verso la fabbricazione delle proteine dell'involucro capsidico.
Successivamente, l'acido nucleico e l'involucro si uniscono (assemblaggio) ricostituendo molte unità virali,
le quali si liberano nell'ambiente abbandonando la cellula ospite e potendo, così, infettare altre cellule.
I virus vengono conservati a temperatura intorno a -60°C, ancor meglio se liofilizzati. Possono essere
coltivati solo in cellule viventi.
Caratteristica comune di tutti i virus è l'insensibilità agli antibiotici.
REQUISITI
I microrganismi patogeni o le tossine perché possano essere definiti "aggressivi" e quindi essere utilizzati
per fini militari quali agenti di guerra biologica (aggressivi biologici), devono rispondere alla maggior
parte dei seguenti requisiti:
-
virulenza adeguata alla finalità di impiego;
bassa carica microbica minima;
bassa dose letale media;
periodo di incubazione noto ed adeguato alle finalità d’impiego;
elevata stabilità alla conservazione;
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-
persistenza adeguata alle finalità di impiego;
difficoltà di rivelazione/identificazione;
facilità di produzione in quantità significative d al punto di vista militare;
facilità di disseminazione;
controllabilità da parte dell'attaccante della diffusione della malattia;
scarsa o nulla sensibilità ai presidi farmacologici ed immunitari di cura e profilassi conosciuti
TIPI DI CLASSIFICAZIONE
a. Ai fini della classificazione si farà riferimento ad una suddivisione che risponde ai criteri classici della
microbiologia sistematica e che consentirà di esaminare successivamente:
- miceti;
- batteri;
- ricketsie;
- virus;
- tossine.
Altra possibile classificazione che fa riferimento all'oggetto di un eventuale impiego di agenti biologici
di guerra è la seguente:
- aggressivi biologici anti-uomo;
- aggressivi biologici anti-animali;
- aggressivi biologici anti-pianta.
Tale suddivisione possiede una relativa validità anche perché alcuni patogeni potrebbero essere
compresi in una o più di tali categorie (es.: brucelle).
In base alla loro utilizzabilità, gli aggressivi biologici possono essere suddivisi in:
- di probabile impiego;
- di possibile impiego.
Anche tale suddivisione non risponde pienamente alle esigenze, in quanto la maggiore o minore
probabilità di impiego per un agente dipende da molti fattori, intrinseci o di contorno, che non sono
facilmente ponderabili.
Generalmente si ritiene che la maggiore probabilità di impiego sia posseduta da quegli aggressivi che
possono essere disseminati in forma di aerosol biologico (es.: bacillo del carbonchio).
Altra distinzione viene fatta fra aggressivi "fugaci" e "persistenti", secondo un criterio improprio di
classificazione caduto pressoché in disuso.
Tale distinzione si basa sulla loro minore o maggiore attitudine a conservarsi virulenti nell'ambiente in
cui sono stati rilasciati, in analogia a quanto si verifica propriamente con gli aggressivi chimici4.
E' opportuno, inoltre, ricordare che in aggiunta agli aggressivi biologici sopra citati, altri, caratterizzati
da nuove ed insospettabili proprietà, possono essere prodotti grazie alla possibilità offerte dall'uso
delle tecniche del "DNA-ricombinante" (note anche come tecniche di ingegneria genetica).
E' opinione corrente, comunque, che ad esse probabilmente potrebbe far ricorso un aggressore per
ottenere nuovi agenti di guerra biologica per soddisfare le seguenti esigenze:
4
Vds. pubblicazione n. 6250 "Aggressivi chimici" , ed. 1980, edita da SME-ISPEANBC -- Ufficio NBC.
II-12
- rendere più agevole la produzione e conservazione dell'aggressivo;
- aumentare la resistenza dei microrganismi patogeni agli antibiotici e chemioterapici;
- modificare la struttura "antigenica" del patogeno per consentirgli di opporsi efficacemente alle
difese immunitarie dell'organismo ospite e per rendere più difficile la rivelazione o identificazione
con metodi immunologici;
- facilitare la produzione di tossine.
2.3 METODOLOGIA DI IMPIEGO DEGLI AGGRESSIVI BIOLOGICI
GENERALITA'
L'impiego intenzionale dell’arma biologica avviene per "disseminazione" degli aggressivi biologici sotto
forma di sospensioni liquide o polveri secche finemente suddivise.
Opportune tecniche di selezione, ingegneria genetica e conservazione consentono, di conferire agli
aggressivi biologici le caratteristiche biologiche e tecniche necessarie per il loro impiego.
DISSEMINAZIONE
I metodi di disseminazione si basano sulla esistenza di tre primarie vie di penetrazione attraverso cui i
patogeni possono introdursi nell'organismo per stabilire l'infezione o l'intossicazione.
Tali vie di penetrazione sono l'apparato respiratorio, la pelle e l'apparato digerente, cui corrispondono
rispettivamente (ma non rigidamente) l'aerosolizzazione, la disseminazione per mezzo di vettori ed il
sabotaggio.
a. Aerosolizzazione.
(1)Dimensione delle particelle aerosolizzate.
Affinché l'aerosolizzazione sia efficace è necessario che le particelle di aerosol "penetrino"
adeguatamente all'interno di un organismo ospite per stabilirvi un determinato stato di malattia.
Tale possibilità è subordinata alle dimensioni delle particelle dell'aerosol che deve, in prima istanza,
penetrare nell'albero respiratorio ed esservi trattenuto a livello delle sue porzioni più profonde
(alveoli polmonari).
Gli aerosoli sono particelle di dimensioni comprese fra 1 e 5 µm di diametro.
(2)Tecniche di disseminazione
Gli aggressivi biologici possono essere disseminati sotto forma di aerosol solido o liquido.
La forma liquida si riferisce soprattutto alle sospensioni di microrganismi patogeni che traggono da
esse gli elementi necessari alla loro sopravvivenza nell'ambiente (fattori nutritivi, umidità, ecc.).
L'aerosol può essere rilasciato nell'ambiente direttamente o indirettamente.
Nel primo caso vengono utilizzate adatte apparecchiature (aerosolizzatori) da posizioni ben
definite sul terreno o a bordo di veicoli terrestri, natanti o aeromobili.
Particolare importanza è rivestita dagli aeromobili che possono spargere agevolmente l'aggressivo
volando anche a bassa quota (di norma, in senso perpendicolare alla direzione del vento) con
II-13
2
possibilità di contaminare estensioni di terreno di centinaia di km .
Nel secondo caso l'agente è contenuto in adatti contenitori (munizionamento e dispositivi di vario
tipo, es. bombolette) che lo rilasciano con varie modalità in seguito all'impatto con il terreno.
Il munizionamento comprende proietti, ma soprattutto bombe d'aereo.
Le bombolette possono essere raggruppate in sistemi (clusters) montati, ad esempio, sulle testate
dei missili o altri sistemi d'arma.
Per mezzo dei "clusters" (contenenti fino a 1000-1500 bombolette) possono essere contaminate
estensioni di terreno di 10-20 km2.
(3)Caratteristiche.
L'aerosolizzazione è caratterizzata da:
− difficoltà di rapida rivelazione dell'aerosol con le comuni tecniche analitic he;
− aumentata probabilità da parte dell'organismo di venire a "contatto" con l'agente, a causa delle
esigenze e dei meccanismi della respirazione;
− possibilità di ottenere tassi di contaminazione sufficientemente elevati;
− capacità di penetrazione notevole dell'aerosol. Le particelle di aerosol tendono a diffondersi in
modo analogo ai gas e possono penetrare facilmente anche all'interno di strutture non isolate
ermeticamente e sprovviste di adeguati sistemi di filtrazione;
− possibilità di indurre uno stato di malattia con modalità di trasmissione "inconsuete".
I sintomi classici di una malattia associata ad uno specifico agente eziologico derivano dall'instaurarsi
di una infezione od intossicazione contratta, generalmente, attraverso una via "normale" di
penetrazione nell'organismo ospite (alcuni patogeni, come è noto, possono causare una malattia
utilizzando più di una via di penetrazione).
La malattia indotta attraverso una via "inconsueta" di penetrazione (es.: albero respiratorio) comporta
una difficoltà di diagnosi (a causa di una possibile non usuale sintomatologia) ed un aumento della
gravità della malattia come può derivarsi dagli esempi riportati nel seguente specchio relativo agli
Vie di
penetrazione
Cutanea (normale)
Respiratoria (inconsueta)
Carbonchio
5-20%
99%
Peste
20-30%
95%
Malattia
(4)Fattori che influenzano l'impiego degli aerosol biologici.
Tali fattori riguardano gli aggressivi biologici come tali o la nube di aerosol biologico prodotto.
II-14
(a) Persistenza.
La velocità di perdita di efficacia di un agente aerosolizzato è influenzata dai seguenti fattori:
- irraggiamento solare.
La regione ultravioletta dello spettro solare esercita una azione germicida nei riguardi di tutti
i microrganismi.
Minore sensibilità a tale azione, rispetto alle cellule vegetative, hanno le spore batteriche e
particolarmente quelle fungine.
L'influenza negativa dell'irraggiamento solare diminuisce generalmente con l'aumentare del
tasso di umidità relativa. Aerosol batterici in forma liquida appaiono più sensibili alle
radiazioni di quelli in forma di polveri secche;
- umidità.
Una bassa percentuale di umidità influisce negativamente sulla stabilità delle particelle liquide
aerosolizzate (queste tendono a ridurre la loro dimensione per fenomeni di evaporazione ai
quali segue una progressiva disidratazione delle cellule incluse nell'aerosol). Tale stabilità può
essere naturalmente aumentata da fattori propri dell'agente (es.: presenza di "lipidi" in alcuni
virus) o artificialmente indotta con tecniche che limitano il processo di disidratazione
(microincapsulazione);
- composizione chimica dell'atmosfera.
Il tasso di inquinamento atmosferico influisce negativamente sulla capacità di sopravvivenza
dei microrganismi. Studi recenti hanno evidenziato la presenza in aria libera di "fattori
germicidi" la cui natura non è stata esattamente identificata. Sembra trattarsi di prodotti
intermedi di ossidazione degli idrocarburi insaturi (presenti in atmosfera anche come
contaminanti ambientali) provocata dall'ozono;
- temperatura.
La velocità di decadimento dell'aerosol è aumentata da valori elevati della temperatura
ambiente maggiore importanza ha, comunque l'effetto "indiretto" dell'aumento di
temperatura, derivato dal conseguente incremento della velocità di evaporazione, che
influisce, come detto, negativamente sulla stabilità dell’aerosol.
(b)Diffusione.
L'aerosol biologico è soggetto all'azione di una serie di fattori meteoclimatici che
contribuiscono in modo determinante alla formazione della nube ed al suo movimento lungo una
determinata direzione. La nube di aerosol risente della forza di gravità, della velocità e direzione
del vento, della turbolenza atmosferica e di altri fenomeni meteorologici (es.: precipitazioni) ed
anche dei fattori precedentemente esaminati con particolare riferimento alla temperatura ed alla
umidità relativa.
- Forza della sorgente.
E' definita dalla concentrazione iniziale dell'aerosol biologico prima del rilascio in atmosfera.
Essa risulta, di norma, molto elevata (ad esempio 5 litri di sospensione batterica possono
agevolmente contenere fino a 5 x 10 14 microrganismi).
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- Velocità, direzione del vento.
Questi fattori determinano la direzione di spostamento della nube di aerosol e la dimensione
dell'area contaminata. Aerosol biologici ad alta velocità di decadimento possono essere
impiegati efficacemente con elevate velocità del vento (5-10 m/sec) e possono investire aree
molto estese durante il periodo di sopravvivenza dell'agente. Velocità del vento più basse
diminuiscono il percorso della nube e, quindi, l'estensione della contaminazione, ma tendono
ad allungare il tempo di permanenza dell'aerosol sull'obiettivo e ad aumentare, quindi, la
probabilità di inalazione di dosi pericolose. Importante fattore che condiziona il movimento
della nube è la granulometria dell'aerosol che lo compone.
In generale, particelle di 5 µm di diametro, sfruttando le componenti verticali del vento,
possono rimanere in sospensione ed essere trasportate per centinaia di chilometri senza dar
luogo a significativi fenomeni di fall-out lungo il percorso della nube.
Con venti moderati particelle di più grandi dimensioni possono analogamente percorrere
considerevoli distanze.
- Stabilità atmosferica.
In analogia a quanto avviene con una nube di aggressivi chimici, la nube di aerosol biologico
viene influenzata dalle condizioni di stabilità dell'aria, determinate dal gradiente della
temperatura.
Da esse dipende la velocità di diluizione, in senso verticale, della nube in atmosfera.
• Condizione di "stabilità".
Si verifica quando la temperatura dell'aria aumenta con l'altezza (inversione termica) ed è
caratterizzata dall'assenza, pressoché assoluta, di moti convettivi.
Questa condizione è solitamente riscontrabile in una notte serena o parzialmente serena,
con nubi basse di media grandezza scarsamente distribuite o al mattino (fino ad un'ora
dopo il sorgere del sole), quando il vento non supera la velocità di circa 3 m/sec.
• Condizione di "instabilità".
Si verifica quando la temperatura dell'aria diminuisce con l'altezza ed è caratterizzata
dalla presenza di correnti ed, in generale, da uno stato di turbolenza dell'aria. Può
riscontrarsi durante il giorno, con cielo coperto e venti che non superano la velocità di 3
m/sec.
• Condizione di "neutralità".
E' una condizione intermedia fra le precedenti.
Di solito può riscontrarsi una o due ore prima del tramonto oppure una o due ore dopo il
sorgere del sole con nubi basse di media grandezza scarsamente distribuite, con velocità
del vento anche superiori a 3 m/sec.
Normalmente alla condizione di neutralità si accompagnano fenomeni di precipitazione.
Le migliori. condizioni per il rilascio in atmosfera di aerosoli sono quelle di stabilità e di neutralità.
II-16
Nel primo caso, la nube tenderà a restare in vicinanza del suolo (senza possibilità di sollevarsi e, quindi,
disperdersi) determinandovi un notevole grado di contaminazione.
Nel secondo caso, la nube sarà soggetta ad una debole velocità di diluizione persistendo, comu nque,
localmente e determinando una efficace contaminazione.
La turbolenza che si associa alla condizione di instabilità causa invece una diffusione della nube,
essenzialmente in senso verticale, riducendo l'estensione dell'area contaminata e lo stesso grado di
contaminazione.
b. Disseminazione per mezzo di vettori.
Una seconda importante via di penetrazione che può essere utilizzata per l'impiego operativo degli
aggressivi biologici (microrganismi patogeni, ma anche tossine) è quella cutanea.
La penetrazione dei patogeni attraverso la pelle è resa, generalmente, possibile dalla puntura di alcune
specie di artropodi che possono svolgere il ruolo di "vettori" per determinate malattie.
Essi, di solito, appartengono alla classe degli "insetti" e possono definirsi come vettori "obbligati" (es.:
zanzare) e "facoltativi" (es.: mosche).
(1)Malattie trasmesse dai vettori.
I vettori possono trasmettere diversi tipi di malattie, sia ad eziologia batterica, sia ad eziologia
virale.
Di seguito si riportano alcuni dettagli riferiti ai vettori ritenuti di maggiore interesse ed alle principali
malattie da essi trasmesse:
- zanzare: le zanzare del genere Anopheles trasmettono all'uomo gli agenti eziologici della malaria
(Plasmodium vivax, Plasmodium malariae, Plasmodium falciparum); quelle del genere Aedes
trasmettono il virus della febbre gialla e della febbre dengue; altre ancora trasmettono molti tipi
di encefaliti;
- mosche: possono trasmettere, meccanicamente il carbonchio, la febbre tifoide, la dissenteria
bacillare o amebica, il colera Asiatico ed anche la tularemia;
- pulci: la pulce del ratto (Xenopsilla cheopis), che è il vettore del tifo endemico dei ratti e dei
topi, può occasionalmente indurre, con la puntura anche nell'uomo tale tipo di malattia.
Xenopsilla cheopis è anche responsabile della trasmissione dai roditori all'uomo della peste
bubbonica;
- pidocchi: la febbre delle trincee ed il tifo epidemico sono causate da patogeni (rickettsie)
trasmessi all'uomo da una varietà di "Pediculus humanus" che può trova re sul corpo umano il
suo habitat naturale;
- acari: sono gli unici Artropodi che non appartengono alla classe degli insetti a rivestire un certo
interesse.
L'acaro del legno (Dermacentor andersoni), che vive nel versante occidentale degli Stati Uniti,
è responsabile della trasmissione all'uomo dell'agente eziologico della febbre maculosa delle
Montagne Rocciose (Rickettsia rickettsi), dell'agente della tularemia (Francisella tularensis) e
del virus della febbre del Colorado.
Anche l'acaro del cane (Dermacentor variabilis), che vive nel versante orientale degli Stati
Uniti, può trasmettere la febbre maculosa delle Montagne Rocciose.
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(2)Caratteristiche.
L'impiego dei vettori, quali mezzi di disseminazione, è reso possibile considerando i seguenti
elementi caratteristici:
- capacità di penetrazione della barriera cutanea, che rende sostanzialmente inefficace l'uso della
maschera finalizzata alla protezionedelle vie respiratorie;
- ciclo vitale del vettore, che offre la possibilità di ottenere un notevole grad o di persistenza
dell'agente su un determinato obiettivo. Per alcune specie di zanzare, la persistenza può
ritenersi di 1 o 2 mesi. Per alcune specie di pulci, essa può anche superare i 6 mesi;
- sopravvivenza del patogeno, che può essere, generalmente, garantita dal vettore che lo ospita
più o meno intimamente nei propri tessuti.
(3)Limitazioni all'impiego.
Esse derivano dalle evidenti difficoltà di controllo che può esercitarsi sui vettori la cui "mobilità"
determina, verosimilmente, un allontanamento dai limiti di un determinato obiettivo.
Gli Artropodi, inoltre, tendono ad assumere un atteggiamento di "inattività" nei periodi freddi e
sono influenzati negativamente anche dalle elevate temperature.
La disponibilità di mezzi chimici di controllo delle infestazioni (pesticidi) non costituisce, di per sé,
un importante fattore limitante, essendo possibile ottenere, per selezione, specie resistenti
all'azione dei pesticidi.
c. Sabotaggio.
Per sabotaggio, in generale, si intende il rilascio del contaminante su un determinato substrato,
realizzato subdolamente e senza una sostanziale possibilità di controllo.
Gli aggressivi biologici possiedono caratteristiche che li rendono idonei alle azioni di sabotaggio e,
massimamente, ad operazioni che non richiedono un supporto logistico elevato. Tale possibilità deriva
dalla notevole varietà di agenti utilizzabili, dalla difficoltà della loro rivelazione, dalle molteplici modalità
di impiego, ma soprattutto dalle minime quantità (per alcuni agenti ed, in particolare, le tossine)
necessarie per causare determinate infezioni od intossicazioni.
E' noto, infatti, che per quanto attiene ai microrganismi patogeni, in alcuni casi, la carica microbica
minima corrisponde a poche unità cellulari, mentre nel caso delle tossine l'ordine di grandezza della
dose minima letale è il microgrammo.
Il sabotaggio potrebbe far conseguire ad un potenziale aggressore un notevole vantaggio prima
ancora dell'inizio delle ostilità dichiarate.
Un tale metodo di disseminazione potrebbe utilizzare, quali vie di penetrazione per l'agente, l'albero
respiratorio (per operazioni verosimilmente di più limitata estensione) o la via gastroenterica,
attraverso la contaminazione delle derrate alimentari e degli impianti di distribuzione idrica. Bersagli,
per un'azione di sabotaggio, potrebbero essere costituiti da obiettivi di tipo militare, come ad
esempio, centri logistici, installazioni fisse e comandi, ovvero anche da complessi industriali e strutture
civili.
II-18
3.
DIFESA CHIMICA
3.1 INTRODUZIONE
Per aggressivo chimico si intende una sostanza solida, liquida o gassosa, che, attraverso le sue proprietà
chimiche, produce effetti dannosi, inabilitanti o mortali sull'uomo, sugli animali, sulle piante e sui materiali,
e possiede caratteristiche che lo rendono idoneo ad essere impiegato come mezzo di guerra.
Un aggressivo chimico, perché sia idoneo all'impiego per fini militari, deve soddisfare la maggior parte
dei seguenti requisiti:
− deve essere tossico, ossia essere in grado di offendere anche se usato in quantità minime;
− essere difficilmente percepibile ed identificabile prima che l'azione aggressiva abbia inizio;
− consentire scarsa possibilità di protezione e bonifica;
− possedere volatilità e persistenza adeguate alle finalità dell'impiego;
− possedere buone capacità di penetrazione attraverso materiali, indumenti, pelle, ecc.;
− essere in grado di agire sull'uomo e sugli animali per inalazione, ingestione o assorbimento cutaneo,
producendo effetti tossici di varia natura;
− possedere idoneità chimico - fisica alla disseminazione o diffusione in quantità necessaria per
l'attacco;
− possedere grande stabilità alla conservazione, all'azione degli agenti atmosferici e alle condizioni di
impiego (calore, scoppio);
− poter essere maneggiato e trasportato, anche se con opportune precauzioni;
− poter essere prodotto a basso costo, nelle quantità necessarie agli usi militari, con materie prime
facilmente reperibili sul territorio nazionale;
− avere un meccanismo d’azione, misure protettive e trattamento medico conosciuti.
Gli aggressivi chimici, possedendo in misura diversa i requisiti sopra elencati, richiedono modalità di
impiego altrettanto diverse.
Per offesa chimica si intende qualsiasi operazione di guerra condotta con mezzi particolari al fine di:
− produrre un elevato numero di perdite nel personale, sia per inalazione di sostanze allo stato
aeriforme, sia per assorbimento cutaneo, sia eventualmente per ingestione di acqua o viveri
contaminati;
− integrare eventualmente gli effetti dell'offesa nucleare colpendo i combattenti che trovandosi in
posizioni, buche o trincee, sono protetti dall'onda d'urto, dagli effetti termici ed in parte dall'effetto
radioattivo immediato o residuo;
− impedire o limitare la percorribilità del terreno.
L'offesa chimica può svilupparsi senza alcun legame con l'offesa nucleare e ad essa si può essere
soggetti fin dalle fasi iniziali delle ostilità.
L'attacco chimico comprende una vasta gamma di possibilità di attuazione in relazione alla durata
dell'attacco stesso, al tipo di aggressivo, al mezzo di lancio e d'impiego, al terreno e alle condizioni
meteorologiche.
Un attacco chimico è caratterizzato dalle capacità di:
− penetrare entro costruzioni ed opere fortificate sprovviste di chiusure ermetiche e che non
dispongono di efficienti sistemi di filtrazione;
− contaminare i materiali, gli alimenti, l'acqua, il terreno;
III-1
− colpire il personale senza causare danni permanenti alle armi, ai materiali e alle attrezzature industriali
che non si vuole distruggere perché di conveniente utilizzazione;
− rendere difficoltosa una tempestiva rivelazione da parte di chi subisce l'attacco, poiché gli aggressivi
chimici moderni agiscono rapidamente e sono difficilmente identificabili prima che si manifesti l'azione
fisiologica;
− influenzare psicologicamente l'avversario.
3.2 CARATTERISTICHE FISICHE
Le caratteristiche fisiche condizionano l’impiego degli aggressivi chimici e le misure difensive attuate per
impedire la loro azione.
Le caratteristiche fisiche più importanti sono:
TENSIONE DI VAPORE
Tutte le sostanze allo stato liquido e solido hanno una certa tendenza a passare allo stato di vapore. Se il
liquido o il solido è contenuto in un recipiente chiuso, lo strato di vapore che si forma al di sopra della
sua superficie tende a ridurre la suddetta tendenza fino al raggiungimento di una condizione di equilibrio.
Tale condizione è caratterizzata dalla pressione dello strato di vapore, che prende il nome di "tensione di
vapore". Pertanto, più elevato è il valore di tale tensione, maggiore è la tendenza della sostanza ad
evaporare e maggiore è la quantità di vapore presente negli strati d'aria sovrastanti la superficie.
La tensione di vapore, essendo una pressione, viene espressa in millimetri di mercurio (mm Hg) ed
aumenta all'aumentare della temperatura. Dalla tensione di vapore dipendono alcune caratteristiche degli
aggressivi, quali la volatilità e la persistenza, che ne condizionano l'impiego.
VOLATILITÀ
Rappresenta la concentrazione dell'aggressivo nell'aria, che si è saturata di esso ad una data
temperatura.
Si esprime in mg/m3, cioè in milligrammi di sostanza presente in un metro cubo di aria.
Aumenta con la temperatura e con la tensione di vapore dell'aggressivo.
Per quanto attiene all'impiego, si deve tener presente che la concentrazione di saturazione si può
realizzare solo in ambienti chiusi e non sul campo di battaglia, ove si possono raggiungere concentrazioni
da 10 a 100 volte inferiori.
La volatilità rappresenta una delle caratteristiche più importanti per la valutazione e l'impiego degli
aggressivi chimici.
Così ad esempio:
− un aggressivo con volatilità elevata troverà impiego nelle azioni di sorpresa;
− un aggressivo con volatilità bassa, ma molto tossico, sarà impiegato per interdire l'accesso a
determinate zone di terreno. Per giudicare se un aggressivo chimico è più efficace di un altro, è
necessario conoscerne, oltre alla tensione di vapore ed alla volatilità, anche il suo grado di tossicità.
Così, infatti, un agente chimico poco volatile ma molto tossico (es. Soman) potrebbe essere molto
più efficace di un agente più volatile e meno tossico (es. Fosgene).
TEMPERATURA DI EBOLLIZIONE (T.E.)
La temperatura di ebollizione è la temperatura alla quale il valore della tensione di vapore diviene uguale
al valore della pressione atmosferica.
La sua conoscenza permette di valutare la durata dell'efficacia di un aggressivo, poiché quanto più alta è
la T.E., tanto minore è la tensione di vapore e la volatilità. Così, ad esempio, l'iprite, che possiede una
III-2
T.E. di 228°C, ha una tensione di vapore bassa a temperatura ambiente, è poco volatile e la sua azione
aggressiva dura molto tempo; viceversa il fosgene, che possiede una T.E. di 7,5°C, evapora
rapidamente a temperatura ambiente, risultando così un aggressivo volatile ad azione limitata nel tempo.
TEMPERATURA DI FUSIONE (T.F.)
La temperatura di fusione è la temperatura alla quale una sostanza passa dallo stato solido a quello
liquido.
La conoscenza di tale dato per ogni aggressivo è opportuna, specialmente per gli aggressivi che hanno
la temperatura di fusione nella gamma dei valori in cui oscilla di solito la temperatura ambiente.
A volte, al fine di abbassare la T.F., si miscela l'aggressivo con apposite sostanze specie permettendone
l'impiego a basse temperature.
DENSITÀ DI VAPORE RELATIVA
E' il rapporto fra la massa di un dato volume di gas o vapore di aggressivo e la massa di un ugual
volume d'aria, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione.
Gli aggressivi che presentano a temperatura ambiente una densità di vapore relativa all'aria inferiore
all'unità (ad esempio acido cianidrico ed ossido di carbonio) si dissolvono rapidamente negli strati
superiori dell'atmosfera e diventano così inefficaci; quelli, invece, a densità superiore all'unità ( ad
esempio Fosgene, Difosgene, Sarin, ecc.) persistono nella zona di disseminazione più a lungo,
specialmente negli avvallamenti, negli anfratti e nelle zone ricche di vegetazione.
PERSISTENZA
La persistenza rappresenta il periodo di tempo durante il quale un aggressivo chimico, dopo essere stato
diffuso, conserva la sua efficacia nella zona dell'obiettivo.
Essa dipende da:
− caratteristiche fisiche dell'aggressivo (tensione di vapore, volatilità, ecc.): ad esempio, un aggressivo
di scarsa volatilità o tensione di vapore ha maggiore persistenza;
− condizioni meteorologiche esistenti nella zona dell'obiettivo: ad esempio, le alte temperature ed forti
venti determinano maggiore e più rapida evaporazione dell'aggressivo e quindi minore persistenza;
− mezzo di disseminazione: il mezzo usato determina un diverso grado di suddivisione dell'aggressivo
sul terreno e di conseguenza una diversa durata di efficacia dello stesso;
− condizioni sul terreno: la vegetazione, il suolo, le grandi masse d'acqua, gli edifici, ecc., giocano un
ruolo importante nella durata degli effetti di un agente chimico nella zona di disseminazione.
III-3
3.3 CARATTERISTICHE CHIMICHE
STABILITÀ ALL'IMMAGAZZINAMENTO
E' la capacità di un aggressivo di mantenere inalterata la propria composizione e struttura durante il
periodo di immagazzinamento.
Questa capacità investe il duplice aspetto del mantenimento delle proprietà dell'aggressivo e
dell'integrità dei contenitori. Pochi sono gli agenti chimici di guerra in grado di essere conservati
per lunghi periodi di tempo (ad esempio Cloroacetofenone, Adamsite, ecc.).
Per migliorare la stabilità all'immagazzinamento, vengono aggiunte delle opportune sostanze
stabilizzanti capaci di contrastare l'auto-ossidazione, l'idrolisi, la polimerizzazione ed i fenomeni
corrosivi.
IDROLISI
E' la capacità di un composto chimico di reagire con l'acqua dando origine a prodotti di natura
chimica diversa, la cui tossicità per lo più risulta molto inferiore a quella del prodotto di partenza.
L'idrolisi, pertanto, dipende dalla solubilità dell'aggressivo in acqua,oltre che dalla temperatura e
dalla presenza di acidi o alcali. Il fenomeno influenza la capacità di conservare l'aggressivo, la sua
persistenza nella zona dell'obiettivo e la sua efficacia.
AZIONE SU METALLI, PLASTICHE, TESSUTI E VERNICI
Gli aggressivi chimici acidi o che formano acidi, hanno un effetto corrosivo su metalli, cuoio,
tessuti e vernici.
3.4 ASPETTI PARTICOLARI
Le proprietà tossiche degli aggressivi, pur essendo strettamente correlate con la struttura chimica,
Un aggressivo, oltre all'effetto che comunemente lo caratterizza (effetto primario), presenta anche
una serie di effetti collaterali; a volte, questi ultimi possono portare ad esiti letali (ad es. gli
aggressivi vescicanti che pur presentando un effetto primario a carico della pelle, producono
nell'organismo effetti secondari sistemici che possono essere la causa principale di un eventuale
decesso).
Questa possibilità è strettamente legata, oltre che alla quantità, anche alla via di penetrazione. Le vie
di penetrazione sono:
Apparato respiratorio:
− prime vie respiratorie (naso, gola, laringe, trachea, bronchi)
− parenchima polmonare (bronchioli).
Apparato tegumentario:
− occhi (mucosa congiuntivale, cornea)
− cute (integra, ferite, abrasioni)
− mucosa (labbra, naso).
Apparato digerente (ingestione acqua e cibo):
− mucosa boccale, ghiandole salivari
− faringe
− tubo gastroenterico.
L’inizio e la gravità dei sintomi dipendono dalla via d’ingresso e dalla quantità della sostanza
assorbita.
Le vie d’ingresso succitate non sono uguali per tutti gli agenti chimici.
Un aggressivo chimico che possa agire attraverso più vie presenta, naturalmente, la massima
TASSO DI DETOSSIFICAZIONE
Il corpo umano può eliminare autonomamente alcune sostanze tossiche, ma non tutte in ogni caso.
Il tasso di detossificazione è la velocità con la quale l’organismo si libera di alcune sostanze.
La maggior parte degli agenti, comunque, sono essenzialmente non detossificabili ad eccezione dei
tossici sistemici e degli agenti incapacitanti ed irritanti.
TEMPO DI AZIONE
È il periodo di tempo che intercorre tra la penetrazione dell’agente chimico nell’organismo e la
manifestazione degli effetti.
Dipende, oltre che dal tipo di aggressivo, dallo stato fisiologico/di salute dell’individuo e dalla sua
In genere gli agenti inalati o ingeriti hanno un’azione più veloce rispetto a quelli che contaminano la
pelle (vascolarizzazione diversa).
FATTORI MODIFICANTI
In seguito all’esposizione ad un aggressivo chimico, una persona può mostrare segni o sintomi più o
meno gravi rispetto ad un’altra.
La severità dei sintomi dipende da:
− tempo di esposizione;
− tempo di indossamento maschera;
− via di penetrazione;
− frequenza e profondità dell’atto respiratorio;
− tipo di attività fisica;
− tasso di detossificazione.
3.5 CARATTERISTICHE TOSSICOLOGICHE
La determinazione dei dati necessari alla valutazione delle caratteristiche tossicologiche viene
compiuta, di norma, tramite esperimenti su organismi viventi. A parte pochi dati ricavati per azione
diretta di aggressivi chimici sull'uomo a seguito di eventi bellici o incidenti, la stragrande
maggioranza dei dati disponibili si riferisce a risultati di sperimentazione effettuate su animali.
La valutazione della pericolosità di un aggressivo in base ai dati di tossicità deve essere intesa co me
una semplice indicazione sia per quanto detto sopra, sia perché la risposta dell'organismo all'azione
di un agente tossico risente della costituzione corporea dell'individuo. della sua età, del suo stato di
salute e di nutrizione, del sesso e di altri fattori individuali.
Dose letale media (LD 50 )
E' la quantità di aggressivo liquido in grado di provocare la morte del 50% degli individui esposti e
non protetti. Si esprime in milligrammi di sostanza per chilogrammo di peso corporeo (mg/kg),
specificando la via di penetrazione.
Indice letale medio (LCt50 )
E’ il dosaggio (concentrazione di vapore di un aggressivo chimico moltiplicato per il tempo di
per il 50% di persone esposte e non protette.
Si esprime in concentrazione (mg/m3 )per tempo d’esposizione (minuti).
Esempi:
LCt50 =concentrazione (mg/m3 ) x tempo (min)
un aggressivo x, che abbia LCt50 pari a 100 provoca orientativamente la morte del 50% del
personale esposto e non protetto in un minuto primo, se è presente con una concentrazione di 100
mg/m3 di aria; infatti:
LCt50 = 100mg min = 100mg 1min
m3
1m3
lo stesso aggressivo x, se ha una concentrazione di 20mg/m3 provoca orientativamente la morte del
50% del personale in 5'; infatti:
LCt50 = 100mg min = 20mg 5min
m3
1m3
un aggressivo y, che avesse LCt50 pari a 1000, diffuso con una concentrazione di 50mg/m3 provoca
la morte del 50% del personale in 20'; infatti:
LCt50 = 1000mg min = 50mg 20min
m3
1m3
Dagli esempi appare chiaro che un aggressivo è tanto più pericoloso quanto più basso è il suo indice
letale medio. Infatti l'aggressivo x provoca gli stessi effetti (50% di morte) a concentrazioni più
basse ed in tempi più brevi rispetto all'aggressivo y.
Dose inabilitante media (ID 50 )
E' la quantità di aggressivo liquido in grado di provocare inabilitazione nel 50% degli individui
esposti e non protetti. Si esprime in milligrammi di sostanza per chilogrammo di peso corporeo
(mg/kg), specificando la via di penetrazione.
Indice inabilitante medio (ICt50 )
E’ il dosaggio (concentrazione di vapore di un aggressivo chimico moltiplicato per il tempo di
esposizione) che è inabilitante per il 50% di persone esposte e non protette.
Si esprime in concentrazione (mg/m3 )per tempo d’esposizione (minuti).
3.6 AGGRESSIVI CHIMICI LETALI
Sono quelli che producono prevalentemente la morte delle persone colpite: nervini, tossici sistemici e
soffocanti e i vescicanti.
AGGRESSIVI NEUROTOSSICI O ANTICOLINESTERASICI
Questi aggressivi, detti comunemente "nervini", chimicamente sono composti organici fosforati.
Generalmente vengono suddivisi in due gruppi: G, gas che sono abbastanza volatili e V gas, meno
volatili e quindi più persistenti.
I più noti nervini G sono: Tabun (GA), Sarin (GB), Soman (GD).
I nervini G allo stato puro sono dei liquidi incolori. La loro solubilità varia dalla completa solubilità (GB)
ad una quasi totale insolubilità (GD). Odorano vagamente di frutta, ma alle concentrazioni sul campo di
battaglia sono inodori.
I nervini V, anche detti Amitoni (VX), allo stato puro sono dei liquidi oleosi, poco volatili, con un
elevato punto di ebollizione e quindi molto persistenti.
Sono sostanze che agiscono molto efficacemente se vengono a contatto con l’organismo. Sono
eccezionalmente tossici. Sono poco solubili nell’acqua e sono idrolizzabili solo in minima parte.
Intossicano l’organismo alla stessa maniera dei nervini G.
Volatilità
Il Sarin è il nervino più volatile, il VX è quello meno volatile. Il Soman, pur essendo una sostanza molto
volatile, può essere ispessito con altre sostanze, che incrementano la sua persistenza.
Sono detti "anticolinesterasici" perché agiscono sulla "colinesterasi", un enzima presente nel corpo
umano che presiede al rilassamento muscolare, impedendone l'azione sull’acetilcolina con conseguente
impossibilità di decontrazione dei muscoli. Sono diffusi in forma liquida o di vapore ed agiscono
direttamente sul sistema nervoso. Negli individui colpiti si originano i seguenti sintomi: miosi
(restringimento del foro pupillare), lacrimazione, scialorrea (ipersalivazione), ipersecrezione nasale,
difficoltà respiratoria (spasmo bronchiale), sudorazione, nausea, vomito, dolori addominali, emissione
involontaria di feci e di urina, tremori, scosse, barcollamenti, vertigini, mal di testa, senso di confusione,
convulsioni e coma.
Tali aggressivi sono particolarmente pericolosi in quanto vengono rapidamente assorbiti dalla pelle e
dalle mucose; i comuni indumenti non sono sufficienti ad arrestarne l'azione poiché essi, in genere,
penetrano facilmente attraverso i tessuti.
Allo stato di vapore penetrano attraverso gli occhi, la pelle e le mucose, in misura minore che allo stato
liquido; sono però estremamente pericolosi se inalati.
Sono ad azione rapida, con manifestazione dei sintomi pochi minuti dopo l'assorbimento. Per
proteggersi contro di essi si fa ricorso alla maschera anti-NBC e ad alcuni indumenti protettivi che
impediscono qualsiasi contatto dell'indossatore con gli aggressivi sia liquidi che vapori e/o aerosol.
III-7
Aggre ssi vo
G gas
V gas
S tato fi si co
durante e dopo
T=0°C
l’impiego
P=1Atm
Codi ce
NATO
Tabun
Sarin
GA
GB
Soman
GD
Amitoni
VX
liquido
liquido aerosol
vapori
O dore
caratte ri sti co
di frutta
inodore
di frutta, di
canfora
inodore
Te mpo
d’az i one
Vi e di
pe ne traz i on
e
Prote z i one
i ndi vi dual e
fi si ca
immediato
inalatoria
(aerosol,
vapori)
cutanea
(liquido,
aerosol,
vapori)
maschera,
indumento
protettivo
Pe rsi ste nz a
non
persistente
persistente
Aggressivi chimici binari.
Sono degli aggressivi chimici costituiti da due sostanze o componenti che, presi singolarmente hanno una
tossicità di gran lunga inferiore all’aggressivo chimico che formeranno quando saranno mescolate
insieme. Sono stati sviluppati per diminuire i pericoli nella fase della produzione, stoccaggio ed utilizzo.
I due componenti possono miscelarsi e reagire solo quando la munizione chimica è stata lanciata; quindi
fino al momento dell’impiego vengono contenuti separatamente dentro la munizione chimica.
In forma binaria sono stati prodotti il Sarin (GB2) ed il VX (VX2). Il GB2 è formato dalla reazione tra il
fluorometilfosforato con una miscela di alcoli, il VX2 è formato dalla reazione tra 0,0’-etil (2diisopropilamminoetil) metilfosforato con lo zolfo.
AGGRESSIVI SOFFOCANTI
Gli aggressivi soffocanti agiscono essenzialmente sulle vie respiratorie per effetto dei vapori inalati, a
base di HCl, provocando, nei casi di maggiore gravità, in un primo tempo irritazioni delle prime vie
respiratorie e successivamente, dopo un periodo d'incubazione di 4 - 5 ore, un travaso massivo di
plasma sanguigno negli alveoli polmonari con conseguente morte per soffocamento.
Agiscono prevalentemente allo stato gassoso, originando nei soggetti colpiti: bruciore alla gola e al
petto, dolore retrosternale, senso di soffocamento, stimolo di tosse e talora vomito.
Questi sintomi iniziali, se viene a cessare lo stato di esposizione in ambiente contaminato, regrediscono
ben presto e subentra, quindi, un breve periodo di relativo benessere che consente al colpito di
attendere, generalmente, alle abituali occupazioni.
Dopo alcune ore (da 3 fino a 12) si manifestano, però, i primi sintomi a carico dell'apparato respiratorio
determinati dall'edema polmonare che, nel frattempo, si è andato sviluppando; il colpito presenta
difficoltà di respirazione, estremità fredde, temperatura febbrile, tosse, fluido schiumoso e spesso
sanguinolento alla bocca e alle narici, cianosi; dopo 24 - 48 ore, nei casi di grave intossicazione,
sopraggiunge la morte, per collasso cardiaco o per asfissia.
I principali aggressivi soffocanti sono: il fosgene, il difosgene.
III-8
Aggre ssi vo
S tato fi si co
O dore
Codi ce
Te mpo
durante e caratte ri sti co
NATO T=10°C
d’az i on
dopo
e
P=1Atm
l’impiego
Fosgene
Disfogene
CG
DP
gas
gas
liquido
vapori
erba appena
tagliata,
grano
differito
Vi e di
Prote z i one
pe ne traz i one i ndi vi dual e
inalatoria
(gas)
inalatoria
(vapori)
maschera
Pe rsi ste nz a
non
persistente
AGGRESSIVI VESCICANTI
In genere gli aggressivi vescicanti sono persistenti e possono essere impiegati in forma liquida o di
vapore. Essi danneggiano ogni tessuto con il quale vengono a contatto. Nell’organismo umano
attaccano in particolare gli occhi, i polmoni e la pelle.
L’azione più manifesta e caratteristica è quella di produrre sulla cute e sulle mucose vescicazioni più o
meno estese. A queste si accompagnano effetti tossici generali a carico di tutti gli organi (cuore, fegato,
reni, apparato digerente, sistema nervoso, ecc.). Le profonde e gravi lesioni che si producono per
contatto diretto con l'aggressivo, nella generalità dei casi, non sono di per sè stesse mortali se non hanno
una larga e diffusa estensione sulla pelle. Gli effetti tossici generali, infatti, non si manifestano qualora le
2
zone colpite non superino generalmente un'estensione di 20 cm .
Di gran lunga più pericolose sono le lesioni dell'apparato respiratorio per effetto dei vapori inalati: tali
lesioni rappresentano la causa più frequente delle forme mortali. Pericolose sono pure le lesioni a carico
degli occhi. Infatti, in funzione del grado di contaminazione, si può avere un impedimento della vista da
alcune settimane ad alcuni mesi, sino alla totale cecità.
Questi composti possiedono un’azione insidiosa. Generalmente, infatti, non si avverte immediatamente
alcun sintomo allarmante; le manifestazioni insorgono dopo un certo tempo (per lo più dopo 4 o 5 ore)
e si concretizzano in arrossamento delle parti colpite e dolore intenso, quindi edema e necrosi dei
tessuti.
La protezione è resa difficile in quanto i vescicanti agiscono, su ogni punto del corpo, sia allo stato
liquido che di vapore, penetrando in particolare con grande facilità nella pelle e nelle ghiandole sebacee
e sudorifere. Penetrano, inoltre, nei materiali porosi, nelle vernici, nel legno, con grande facilità nel cuoio
e nei comuni tessuti, e con più difficoltà nella gomma. I tempi di attraversamento vanno da pochi minuti
per i tessuti ad alcune ore per il cuoio dei calzari e la gomma delle maschere anti-NBC.
Chimicamente possono contenere zolfo o azoto (HD, HN) o arsenico (L).
Aggre ssi vo
IPRITE
AZOTIPRIT
I
LEWSITE
OSSIME
DEL
FOSGENE
S tato fi si co
Codi ce
durante e
NATO T=15°C
dopo
P=1Atm
l’impiego
CX
Te mpo
d’az i one
aglio,
mostarda
HD
HN1
HN2
HN3
L(LH)
O dore
caratte ri sti c
o
differito
liquido
liquido
aerosol
vapori
muffa, pesce
geranio
intenso,
penetrante
differito
rapido
Vi e di
pe ne traz i on
e
inalatoria
(aerosol,
vapori)
cutanea
(liquido,
aerosol,
vapori)
Prote z i one
i ndi vi dual e
maschera,
indumento
protettivo
Pe rsi ste nz a
persistente
non
persistente
III-9
AGGRESSIVI SISTEMICI
La maggior parte di essi contiene nella propria molecola il cianuro. Agiscono principalmente per
inalazione. Sono sostanze molto volatili e quindi poco persistenti. Attraverso le suddette vie di
penetrazione essi passano nel sangue, impedendo il trasporto di ossigeno o la sua utilizzazione a livello
cellulare e, come conseguenza, determinano una graduale diminuzione della funzionalità dei vari organi;
può infine sopraggiungere la morte per blocco della funzione respiratoria.
Nei casi gravi di intossicazione, il soggetto viene colto da improvviso mal di testa, vertigini, offuscamento
della vista e perdita di conoscenza, colpito da convulsioni, entra in coma e muore dopo pochi minuti.
I più importanti tossici del sangue sono: l'acido cianidrico, il cloruro di cianogeno e il monossido di
carbonio. Quest'ultimo non viene, però, preso in considerazion
una sostanza molto tossica, il suo impiego sul campo di battaglia risulta molto aleatorio a causa della sua
estrema volatilità. Risulta, invece, molto pericoloso nei locali chiusi e sprovvisti di areazione (caverne,
fortificazioni, mezzi corazzati, casermette, ecc.).
A questo riguardo, è bene ricordare che il filtro anti-NBC in dotazione non trattiene l'ossido di
carbonio; occorre, quindi, aggiungere un filtro contenente "Hopcalite", oppure impiegare apparati a
produzione di ossigeno o similari (autorespiratori).
Aggre ssi vo
ACIDO
CIANIDRICO
CLORURO DI
CIANOGENO
ARSINE
OSSIDO DI
CARBONIO
S tato fi si co
Codi ce
durante e
NATO T=15°C,
dopo
P=1Atm
l’impiego
AC
liquido
CK
aerosol
vapori
SA
CO
GAS
GAS
O dore
caratte ri sti co
Te mpo
d’az i one
mandorle amare
immediato
dolce, aglio
differito
inodore
immediato
Vi e di
pe ne traz i one
inalatoria
(aerosol,
vapori)
Prote z i one
i ndi vi dual e
Pe rsi ste nz a
maschera
maschera con
inalatoria filtro aggiuntivo
per CO,
autorespiratore
non
persistente
3.7 AGGRESSIVI CHIMICI NON LETALI
Sono aggressivi che, alle concentrazioni ottenibili sul campo non provocano la morte del personale
colpito ma l’inabilitazione. Sono gli aggressivi incapacitanti ed irritanti.
AGGRESSIVI INCAPACITANTI
Gli aggressivi incapacitanti sono composti psicoattivi di origine naturale oppure ottenuti per sintesi,
aventi composizione chimica diversa fra loro e, in comune, la proprietà di produrre disturbi psicofisici
quali allucinazione, depressione, confusione mentale, ottundimento delle percezioni sensoriali ed altri
effetti caratteristici di varia natura.
Tali disturbi provocano, in definitiva, gli effetti "inabilitanti" (rendendo il colpito incapace di svolgere la
sua normale attività per un periodo di tempo, di solito non superiore a 24 - 48 ore) che poi
regrediscono, di norma, spontaneamente senza lasciare apprezzabili conseguenze.
Gli agenti incapacitanti differiscono dagli altri aggressivi chimici in quanto la dose letale è molto più
grande della dose incapacitante; pertanto non minacciano seriamente la vita delle persone colpite.
Il trattamento medico nei colpiti, sebbene non necessario, può velocizzarne il recupero.
III-10
Queste sostanze vengono suddivise in due classi: deprimenti il sistema nervoso centrale e stimolanti.
Incapacitanti deprimenti
Hanno un effetto predominante di depressione delle attività del sistema nervoso centrale e interferiscono
nella trasmissione sinaptica delle informazioni provenienti dagli organi sensoriali.
Un esempio è il BZ, che blocca l’azione dell’acetilcolina alla stessa maniera dell’atropina, comunque, in
Cannabinoidi e fenotiazine sono altri composti che potenzialmente potrebbero essere impiegati come
aggressivi incapacitanti deprimenti. L’effetto primario delle medesime sostanze è sedativo e distrugge la
motivazione piuttosto che la capacità di pensare.
Aggre ssi vo
BZ
S tato fi si co
Codi ce T=0°c,
durante e
NATO P=1At
dopo
m
l’impiego
BZ
solido
aerosol
Vi e di
O dore
Te mpo
pe ne traz i on
caratte ri sti co d’az i one
e
nessuno
differito
inalatoria
Prote z i one
i ndi vi dual e
Pe rsi ste nz a
maschera,
persistente
Incapacitanti stimolanti
Provocano un’eccessiva attività nervosa spesso facilitando e stimolando la trasmissione di impulsi
nervosi che altrimenti sarebbero insufficienti ad attraversare certe sinapsi. L’effetto è una confusione
mentale per le troppe informazioni che rendono difficoltosa la concentrazione causando indecisione ed
incapacità d’agire nella maniera voluta.
Una sostanza che agisce in maniera similare è la ben conosciuta droga LSD.
Grossi quantitativi di anfetamine hanno un effetto similare.
AGGRESSIVI IRRITANTI
Sono considerati irritanti gli aggressivi che interferiscono con il normale funzionamento dell’organismo.
Sono i lacrimogeni e gli aggressivi starnutatori - vomitatori i quali agiscono, prevalentemente, sulle
mucose degli occhi, del naso, della gola e dell’intestino.
Lacrimogeni
I lacrimogeni producono immediatamente una forte lacrimazione ed una moderata irritazione della pelle,
soprattutto nei punti ove si verifica sudorazione o sfregamento, specialmente se la temperatura
ambientale è elevata. Non producendo, invece, effetti veramente pericolosi, essi trovano impiego in
esigenze di ordine pubblico. Agiscono a concentrazioni molto basse, allo stato di vapore o di aerosol.
Se impiegati in ambienti chiusi possono causare seri danni alle persone, fino alla morte.
Vomitatori-starnutatori
Gli starnutatori - vomitatori, allo stato di vapore e di aerosol, agiscono come i lacrimogeni, ma, a
differenza di questi, producono effetti dovuti prevalentemente all'irritazione delle mucose del naso, della
faringe e della trachea; tale irritazione provoca l'insorgenza di disturbi funzionali, fra cui starnuti, nausea e
vomito, accompagnati da cefalee ed odontalgie intensissime.
Se impiegati in ambienti chiusi possono provocare gravi malattie o la morte. I sintomi in ordine
progressivo sono irritazione degli occhi e delle mucose, rinorrea, starnuti e tosse, intenso mal di testa,
dolori acuti e senso di costrizione toracica, nausea e vomito.
III-11
LACRIMOGENI
Aggre ssi vo
S tato fi si co
Codi ce
durante e
NATO T=0°C,
dopo
P=1Atm
l’impiego
O dore
caratte ri sti co
cloroacetofenone (CAF)
CN
solido
fragrante,
fior di melo
ortoclorobenzalmalononitrile
CS
solido o
liquido
pepe
STARNUTATO
RI VOMITATORI
aerosol
difenilcloroarsina
difenilcianoarsina
DA
DC
Te mpo
d’az i one
Vi e di
pe ne traz i on
e
occhi
,pelle
Pe rsi ste nz a
maschera
non
persistente
maschera,
indumento
protettivo
persistente
maschera
non
persistente
immediato
inodore
solido
aglio,
mandorle amare
inalatoria
adamsite
Prote z i one
i ndi vi dual e
DM
inodore
3.8 COMPOSTI ANTIPIANTA
Questi aggressivi, detti anche comunemente erbicidi, sono sostanze chimiche che esercitano un'azione
tossica nei confronti delle piante limitandone, in parte o totalmente, lo sviluppo o provocandone la
defoliazione.
Essi vengono distinti in base all'azione esplicata sui semi, sui germogli o sulle piante adulte, nel seguente
modo:
− geosterilizzanti: rendono il terreno inadatto allo sviluppo dei semi; essi possono svolgere un'azione
temporanea, semipermanente o permanente a seconda delle condizioni chimiche, fisiche e
microbiologiche del terreno; tali condizioni influiscono notevolmente sulla stabilità della sostanza
tossica;
− germicidi: agiscono direttamente sui semi e sui germinelli, cioè nelle primissime fasi di sviluppo della
pianta (in dosi più elevate, però, risultano efficaci anche verso le piante completamente sviluppate);
− diserbanti: agiscono direttamente sulle piante qualunque sia il loro grado di sviluppo (questo gruppo
comprende gli aggressivi ad effetto defoliante).
Esplicano però anche un’azione diretta o indiretta su uomini e animali, che casualmente o volutamente
sono esposti alle irrorazioni da aereo, comune mezzo di disseminazione di tali agenti, come avvenne in
Vietnam da parte degli USA con i seguenti agenti:
• agente arancione;
• agente bianco;
• agente blù.
Riportiamo di seguito alcuni degli agenti antipianta più noti con gli effetti su pianta e su uomini:
• Clorofenossiderivati/Clorobenzoici
- azione su pianta: di tipo ormonale, provocano una crescita non controllata;
- azione su uomini: cancerogena (fegato), teratogena (reni policistici, palatoschisi, deficienza
scheletrica), mutagena, immunodepressiva, ipofertilizzante.
III-12
•
Tiolcarbamati
- azione su pianta: disserbanti selettivi del riso (possiede un enzima che lo idrolizza);
- azione su uomini: depressione profonda del SNC, paresi.
•
Derivati dell’uracile
- azione su pianta: impediscono la fotosintesi;
- azione su uomini: depressione, incoordinazione dei movimenti.
•
Cloroacetati
- azione su piante: defolianti (Vietnam);
- azione su uomini: alterazione ciclo di Krebs e della glicolisi, perdita appetito e debolezza,
cheratolisi, atonia e paralisi.
•
Triazine
- permangono a lungo nel terreno (5-6 mesi);
- azione su uomini: anoressia, dispnea, scialorrea, diarrea, paresi.
•
Dipiridinici ( diquat, paraquat)
- azione su piante: disserbante totale, lumachicida;
- azione su uomini: morte entro 24h, ma anche dopo un mese (in caso di ingestione),
alterazione delle membrane cellulari, polmonite (essudativa - alveolite - fibrosa) necrosi
fibrinoide alle coronarie nefrite.
3.9 GLOSSARIO
Composti chimici: ogni composto chimico il quale, attraverso la sua azione chimica sui processi
vitali può causare la morte, l’incapacità temporanea o un pregiudizio permanente ad esseri umani o
animali.
Precursore: ogni reagente chimico presente in ogni fase della produzione, con qualunque metodo, di
un composto chimico tossico. E’ compreso qualunque componente chiave di un sistema chimico binario
o di un sistema chimico a componenti multiple.
Agente per il controllo dell’ordine pubblico: ogni composto chimico che può produrre
rapidamente negli esseri umani irritazione sensoria o effetti fisici inabilitanti che scompaiono dopo un
breve periodo di tempo a seguito della cessazione dell’esposizione.
Impianto di produzione di armi chimiche: ogni equipaggiamento, nonchè ogni edificio che alloggia
tale equipaggiamento designato, costruito o utilizzato:
- come parte della fase di produzione dei composti chimici (fase tecnologica finale) laddove i flussi dei
materiali contengano, quando l’equipaggiamento è in funzione composti chimici individuati e ogni
altro in misura superiore a 1 tonnellata l’anno, utilizzabile a scopo di fabbricazione di armi chimiche;
- per caricare armi chimiche in munizioni, dispositivi o contenitori per l’immagazzinaggio, e in
contenitori che sono parte di munizioni e di dispositivi assemblati binari o in sotto-munizioni chimiche
che sono parte di munizioni e di dispositivi assemblati unitari.
Produzione: si intende, la sua formazione attraverso reazioni chimiche.
III-13
Lavorazione: si intende un processo fisico, come formulazione, estrazione e purificazione, in cui non
c’è trasformazione in altro composto.
Consumo: si intende la sua trasformazione in un altro composto chimico attraverso una reazione
chimica.
Scopi non proibiti in base alla convenzione :
- scopi industriali, agricoli, di ricerca, medici, farmaceutici, o altri scopi pacifici;
- scopi di protezione collegati alla protezione contro i composti chimici e la ermi chimiche;
- scopi militari non connessi con l’uso di delle armi chimiche e non dipendenti dall’uso delle proprietà
tossiche dei composti chimici come sistema d’arma;
- attuazione delle leggi anche al fine del controllo dei disordini interni.
cloruro: nome commerciale del cloruro di pralidossima, usato nel trattamento dei colpiti da nervino.
Questo farmaco è utilizzato in associazione con altri negli avvelenamenti da neurotossici.
Acetilcolina: neurotrasmettitore chimico, prodotto dalle cellule nervose.
Acetilcolinesterasi: enzima che idrolizza l’acetilcolina, permettendo la decontrazione muscolare.
L’acetilcolinesterasi è inibita dagli organofosforici, carbamati e glicolati.
Aerosol: un composto liquido o solido di particelle finemente divise, sospese in un mezzo gassoso.
Esempi di comuni aerosol sono nebbia e fumo.
Anfetamine: derivati sintetici, appartenenti al gruppo dei farmaci simpaticomimetici, stimolanti il
SNC.
Antipianta: erbicida.
Antiveleno: siero del sangue contenente anticorpi contro il veleno, in particolare veleno dei serpenti.
Aritmia: variazione del ritmo del battito cardiaco.
Arsenicale: un composto chimico contenente arsenico.
Atropina: un alcaloide ottenuto dall’atropa belladonna. Usata come antidoto per gli avvelenamenti
da nervino. Esso inibisce l’azione dell’acetilcolina sulle giunzioni muscolari legandosi ai recettori
Binario (munizioni chimiche): munizione nella quale le sostanze chimiche, tenute separate in diversi
contenitori, reagiscono miscelandosi o combinandosi, alla rottura dei contenitori, a seguito dello
scoppio, formando un aggressivo chimico con caratteristiche particolari.
Catalizzatore: sostanza proteica che aumenta o diminuisce la velocità di una reazione chimica senza
subire cambiamenti di struttura.
Cianosi: colore bluastro della pelle per insufficiente ossigenazione del sangue.
Contaminazione chimica: presenza di un agente su una persona, animale, materiale o terreno. La
densità di contaminazione di un agente è in genere espressa in milligrammi o grammi per metro quadrato.
Contaminazione: deposito e/o assorbimento di materiali radioattivi, agenti biologici o chimici su
terreno, materiali e personale.
Defoliante: agente che a contatto con le piante danneggia le cellule vegetali causando la perdita
delle foglie e la conseguente morte.
Disinfettante: sostanza in grado di uccidere, con azione mirata, agenti biologici specifici.
Dispnea: difficoltà di respirazione.
Dissenteria: disturbo infiammatorio dell’intestino, in particolare del colon, accompagnato da dolore
addominale, coliche e frequenti scariche diarroiche contenenti sangue e muco.
DS 2: soluzione decontaminante 2.
Edema: raccolta di liquidi in tessuti o in cavità del corpo.
Ematoma: raccolta di sangue in tessuti o in cavità del corpo.
Eruzione: lesione visibile o danneggiamento della pelle caratterizzato da rossore, gonfiore o da
entrambi.
III-14
Febbre: reazione dell’organismo per neutralizzare con l’aumento di temperatura l’azione flogistica
dell’agente normalmente di natura biologica.
Fitotossina: tossina derivata dalle piante.
G-Gas: nervini non persistenti sviluppati in Germania prima della II Guerra Mondiale.
Ingegneria genetica: tecniche e procedure con le quali i materiali genetici possono essere alterati,
per cambiare o migliorare le proprietà ereditarie di microrganismi, piante o animali.
Ione: atomo o molecola carica elettricamente.
Ispessire : aggiungere un polimero ad un agente volatile per ritardarne l’evaporazione.
Latenza: periodo di inattività apparente.
Lipofilo: solubile nei grassi.
Malattia: sofferenza di una cellula, di un organo o di un individuo a causa di agenti esterni o
fenomeni dismetabolici.
Miosi: restringimento del foro pupillare dovuto a contrazione dell’iride.
Molecola: combinazione chimica di due o più atomi.
Monitoraggio: attività tendente a rilevare la presenza di un contaminante e misurarne la
concentrazione.
Nausea: tendenza a vomitare, dovuto a stimolo del riflesso del vomito.
Necrosi: morte di cellula o di gruppi di cellule.
Nervino: sinonimo di anticolinesterasico, neurotossico.
Neurone : cellula nervosa. I neuroni sono caratterizzati dalla loro capacità di eccitarsi e di trasmettere
la loro eccitazione a cellule nervose o muscolari.
Neurotossico: tossico del tessuto nervoso.
Neurotrasmettitori: sostanze chimiche di origine presinaptica rilasciate da neuroni dentro la sinapsi
e che producono una stimolazione nelle cellule postsinaptiche.
Organofosfati: composti organici contenenti fosforo.
Ossime : composti chimici contenenti uno o più gruppi (NOH). Alcune di esse (cloroformossine)
sono agenti vescicanti, altre sono benefiche.
Patogeno: un microrganismo o sostanza in grado di produrre malattia.
Perdita da agente chimico: persona che è stata contaminata sufficientemente da un agente chimico
in maniera da impedirgli o seriamente diminuire la sua capacità a eseguire la missione affidatagli.
Persistenza: durata dell’efficacia di un agente chimico o biologico nel luogo di diffusione.
Piridostigmina: sostanza che si lega all’acetilcolina sottraendola all’attacco dei neurotossici.
Plasma: porzione corpuscolata del sangue, nella quale sono presenti globuli rossi.
Postsinaptico: successivo alla sinapsi.
Presinaptico: a monte della sinapsi.
Reagente: sostanza in grado di reagire chimicamente.
Recettore : sito presente su alcune membrane cellulari dove avviene l’interazione con specifici
composti di natura biologica o chimica.
Rivelazione : determinazione della presenza di un agente tossico.
Sinapsi: spazio nel quale due o più neuroni hanno contatti funzionali per la trasmissione dell’impulso
nervoso.
Sistema nervoso autonomo: quella parte del sistema nervoso che governa le funzioni involontarie,
come il battito cardiaco, riflessi e respirazione. Esso è composto dal sistema nervoso simpatico e
parasimpatico.
Sistema nervoso centrale: costituito da cervello e midollo spinale. Il S.N.C. controlla l’attività
mentale e l’attività muscolare volontaria. Coordina indirettamente le funzioni involontarie dell’organismo.
Sistemico: relativo all’intero organismo, piuttosto che ad una parte.
III-15
Sop: standing operation procedure.
Sostanze decontaminanti: sostanze usate per inattivare chimicamente o rimuovere fisicamente un
aggressivo.
Stanag: standardization agreement.
Tossina: sostanza velenosa di origine vegetale, animale o microorganica.
Velcro: nastro a due pezzi brevettato che permette aperture e chiusure veloci del medesimo.
V-GAS: nervini persistenti, altamente tossici, sviluppati intorno alla metà degli anni ’50.
III-16
4.
ORGANIZZAZIONE M.M.
4.1 ESPLOSIONI NUCLEARI IN AMBIENTE MARINO
GENERALITÀ
I fenomeni causati da uno scoppio nucleare ed i relativi effetti si differenziano notevolmente a
seconda dell’ambiente terrestre, terrestre aereo o marino in cui esso avviene.
In questo capitolo analizzeremo i fenomeni dell’esplosione nucleare in ambiente marino o
subacqueo, esaminando gli effetti a danno delle UU.NN. che operano sia in superficie che in
immersione.
PREMESSA
Un'esplosione nucleare si definisce subacquea quando il punto di scoppio si trova al di sotto della
superficie dell'acqua. Un'esplosione subacquea dà luogo, in superficie, a fenomeni che variano
nei particolari a seconda:
- dell'energia sviluppata dall'esplosione;
- della quota dello scoppio;
- della profondità del fondale.
FENOMENI CAUSATI DA UNO SCOPPIO NUCLEARE SUBACQUEO
I fenomeni che si verificano in seguito ad una esplosione nucleare subacquea sono:
− sfera di fuoco;
− slick;
− duomo;
− nuvola di condensazione;
− colonna cava;
− nube a cavolfiore;
− nube di base ad anello;
− onde di superficie.
a. Sfera di fuoco.
All'atto dell'esplosione si raggiungono, nel punto di scoppio, temperature e pressioni
dell'ordine di milioni di gradi e di atmosfere. L'energia termica sviluppata dall'esplosione
viene trasferita agli strati di acqua più vicini al punto dello scoppio; detti strati vengono
riscaldati e compressi e, a loro volta, riscaldano e comprimono gli strati d'acqua adiacenti.
Attraverso questo meccanismo si genera un'onda di compressione (fronte d'urto) che si
allontana radialmente dal punto di scoppio.
Per le elevate temperature raggiunte si forma, nel punto di scoppio, una sfera di fuoco o bolla,
composta da acqua vaporizzata e da materiale radioattivo. La bolla si espande rapidamente
fino a raggiungere una dimensione massima.
Teoricamente l'esplosione dovrebbe arrestarsi quando la pressione all'interno della bolla
eguaglia la pressione esterna; in pratica, però, a causa dell'inerzia dell'acqua messa in
movimento dalla forza di espansione iniziale, la bolla si espande più del necessario e la
pressione interna cade molto al di sotto della pressione esterna. Alla fase di espansione
segue così una fase di contrazione della bolla con conseguente aumento della pressione interna
IV-1
e condensazione di vapori d'acqua.
Poiché la pressione di rostatica nella parte bassa della bolla è maggiore della parte alta, durante
la fase di contrazione la bolla non rimane più sferica: la parte bassa si contrae più rapidamente
della parte alta e la bolla si schiaccia a forma di ciambella. Sempre per inerzia della massa d’
acqua in movimento verso l’ interno, si ha una super contazione della bolla con conseguente
aumento di pressione interna. Alla fase di contrazione, pertanto, segue una nuova fase di
espansione, che dà origine ad un secondo fronte d'urto, il cui valore di picco è meno elevato
ma di maggiore durata del fronte d'urto generato dal la prima pulsazione.
Durante l'espansione iniziale la bolla è relativamente stazionaria ma, dopo la prima
contrazione, comincia a muoversi verso l'alto sotto l'azione di forze ascensionali.
Se la quota di scoppio è abbastanza profonda, la bolla continua a pulsare mentre si muove
verso l'alto. A causa della grande quantità di acqua condensatasi nella bolla, il fenomeno della
pulsazione si esaurisce entro tre cicli dopo di che la bolla, se non è sfociata prima in
superficie, si rompe. A seconda della quota di scoppio la bolla può:
- rompersi durante l'espansione del primo ciclo (nel qual caso si ha il fenomeno del "blow
out", caratterizzato dalla espulsione in aria dei prodotti di fissione e dalla loro disposizione
a forma di corona sulla sommità della nube atomica); l'esplosione in questo caso si dice
"molto bassa";
- rompersi in superficie durante la fase di contrazione del primo ciclo (in questo caso si ha il
fenomeno del "blow in", caratterizzato dalla mancanza della corona di prodotti di fissione
alla sommità della nube atomica); l'esplosione in questo caso si dice "bassa";
- rompersi in superficie dopo aver completato almeno un ciclo (espansione e contrazione),
nel qual caso l'esplosione si dice "profonda".
Numericamente le quote di scoppio limite per la classificazione sono:
TIPO DI SCOPPIO
QUOTA DI SCOPPIO
-
tra 0 e 21ft Y1/3
tra2lft Y1/3 e75ft Yl/3
tra75ft Y1/3 e240 ft Yl/4
tra 240 ft Yl/4 e 600ft Yl/4
tra 600 ft Yl /4
Vicino alla superficie
Molto basso
Basso
Profondo
Molto profondo
dove Y=Energia in Kilotoni.
IV-2
b. Slick.
Mentre la sfera di fuoco è ancora sommersa e sta rapidamente espandendosi si stacca da essa il
fronte d’urto. Tale fronte, giungendo in superficie, d
slick”. Lo
slick consiste in minutissime particelle di acqua, sollevate dal fronte d’urto, le quali frammiste
ad aria, danno luogo ad una traccia superficiale bianca a forma di cerchio che si allarga
rapidamente intorno al punto zero (fig.1).
Figura 1: Slick e nuvola di condensazione.
IV-3
c. Duomo.
Immediatamente dopo la comparsa dello slick prorompe verso l’alto, in corrispondenza del
punto di scoppio, una colonna nebulizzata che prende il nome di “duomo”.
Figura 2: Formazione del Duomo dopo un’esplosione nucleare subacquea.
IV-4
d. Nuvola di condensazione.
Mentre il duomo si sta formando, sfocia in superficie la bolla dei gas e quindi parte
dell'energia passa nell'aria dove dà luogo ad un onda esplosiva. Poiché esiste un elevato grado
di umidità le condizioni sono favorevoli perché si verifichi la formazione di una "nuvola di
condensazione" (fig. 1 e 3).
e. Colonna cava.
La grande massa di acqua sollevata dall'esplosione forma un cilindro di acqua di notevole
diametro e spessore denominato "colonna cava".
La colonna cava può raggiungere altezze considerevoli (a Bikini con una potenza di 20 KT,
quota di scoppio di 30 metri, in fondali di 61 metri, la colonna cava aveva una altezza di circa
1.850 metri, un diametro di circa 600 metri, uno spessore di 90 metri; la massa di acqua
sollevata è stata calcolata in circa un milione di tonnellate) (fig. 3).
Figura 3: Colonna cava e nuvola di condensazione al suo ultimo stadio.
f. Nube a cavolfiore (nube atomica).
Attraverso la colonna cava si scaricano nell'aria i residui dell'ordigno che, condensandosi,
formano una nube atomica a "cavolfiore" (fig. 4).
g. Nube di base ad anello.
Appena l'acqua comincia a ricadere, si forma alla base della colonna cava una grande nube di
forma toroidale, detta "nube di base ad anello", che si allontana rapidamente verso l'esterno
(fig. 4).
La nube di base ad anello è costituita da goccioline d'acqua altamente radioattive. Sua
caratteristica è di comportarsi pressappoco come un fluido omogeneo, per cui essa aderisce per
un lungo tratto alla superficie mentre si allontana dal punto zero, contaminando tutto ciò che
IV-5
incontra sul suo cammino. Ad una certa distanza dal punto zero, tuttavia, essa perde di
intensità e si stacca dalla superficie dell'acqua disperdendosi verso l'alto (a Bikini, dopo 4
minuti. il raggio della nube misurava circa 5.600 metri ed il fronte era alto 550 metri; da
questo punto si staccò dalla superficie dell'acqua disperdendosi verso l'alto).
Figura 4: Nube a cavolfiore, colonna cava e nube di base ad anello.
h. Onde di superficie
Il violento spostamento d’ acqua provocato dalla espansione dei gas della sfera di fuoco e la
formazione e lo spostamento della nube di base ad anello generano, sulla superficie, un treno
di onde.
Dette onde, inizialmente di notevole grandezza, si attenuano e si smorzano a distanza. Un
ordine di grandezza del fenomeno può essere tratto dalla Tabella 5 relativa all’ esplosione di
un ordigno di 20KT, a 30 metri di profondità, su fondale di 61 metri. I dati sono r
onda più alta, che non è sempre la prima (dati ricavati dall’ esperienza di Bikini del 25 luglio
1946).
IV-6
Sviluppo cronologico di uno scoppio subacqueo, poco profondo, da 100KT.
I disegni riportati forniscono una rappresentazione schematica dello sviluppo cronologico dei
fenomeni dovuti ad uno scoppio nucleare a piccola profondità e completano la trattazione
precedente.
IV-7
IV-8
EFFETTI DI UNO SCOPPIO NUCLEARE SUBACQUEO
a. Effetto meccanico.
Come si è visto, la rapida espansione della sfera di fuoco da origine ad un'onda di
compressione, o fronte d'urto, che si propaga inizialmente con velocità elevatissima e
successivamente, ad una certa distanza dal punto zero, con velocità prossima a quella del
suono in acqua (1.600 m/sec.).
(1)Fronte d'urto subacqueo.
Il fronte d'urto subacqueo è caratterizzato da un picco di sovrappressione molto elevato che
si attenua con la distanza. Il valore del picco di sovrappressione che si ha in una esplosione
subacquea è molto più grande del picco di sovrappressione che si ha in una esplosione
aerea di pari potenza e la sua attenuazione in acqua non è così rapida come in aria. Ad
esempio per uno scoppio poco profondo di un ordigno di 100 KT, a 900 metri dal PZ, si ha
un picco di sovrappressione di circa 190 Kg/cm2 in confronto ai pochi Kg/cm2 che si
hanno in una esplosione in aria (7-8 Kg/cm2).
Per contro la durata del picco è minore in acqua che in aria: in acqua essa è dell'ordine di
pochi centesimi di secondo, nell'aria di un secondo.
L'onda d'urto subacquea è la causa principale del danno alle navi, in particolare alla parte
immersa dello scafo.
(2) Onda d'urto in aria.
La maggior parte dell'energia d'urto, in una esplosione subacquea poco profonda, si
IV-9
propaga attraverso l'acqua: tuttavia una parte di essa si trasmette all'aria ove genera
un'onda d'urto o onda esplosiva. L'onda esplosiva può produrre danni, alla parte emersa
dello scafo ed alle sovrastrutture, di entità però minore di quelli prodotti dall'onda d'urto
subacquea.
(3) Onde di superficie.
Una nave può subire danni oltre che per effetto dell'onda d'urto subacquea e dell'onda
d'urto aerea anche per effetto delle onde di superficie. Dette onde, infatti, sollevano la
nave e la fanno ricadere in basso con molta violenza determinando così forti
sollecitazioni che possono essere causa di danno.
b. Effetto termico.
Finché la sfera di fuoco è sommersa, tutta la radiazione termica viene rapidamente
assorbita dall'acqua circostante. Quando la sfera di fuoco raggiunge la superficie, il
raffreddamento è così rapido che la temperatura cade quasi istantaneamente a valori così
bassi che l’emissione termica, per quanto riguarda gli effetti sulle persone e la possibilità
di incendi, può essere trascurata.
c. Effetto radioattivo.
Nelle esplosioni subacquee manca quella che comunemente viene chiamata "radiazione
nucleare iniziale" in quanto la maggior parte dei neutroni e dei raggi gamma iniziali
viene assorbita dall'acqua. Il pericolo radioattivo è costituito, invece, dalla radiazione
nucleare residua presente nella colonna cava, nella nube atomica e nella nube di base ad
anello che si formano a pochi secondi dallo scoppio.
Per uno scoppio subacqueo, pertanto, è meno significativo fare una distinzione fra
radiazione iniziale e radiazione residua, come si usa per uno scoppio aereo, in quanto la
prima può mancare del tutto.
Un ordine di grandezza del fenomeno radioattivo può essere tratto dalla tabella
sottostante relativa all'estensione ed intensità massima della radioattività residua
riscontrata nella laguna di Bikini dopo l'esperimento "Backer".
Tempo dopo
l’eplosione
(ore)
4
38
62
86
100
130
200
Area contaminata
(Km2 )
Diametro medio
(Km)
Intensità massima
(r/h)
43
47.6
125.9
159
182.5
277
414
7.4
7.7
12.7
14.3
15.3
18.8
22
3.1
0.42
0.21
0.042
0.025
0.008
0.0004
CONCLUSIONI
Le esplosioni subacquee, al pari di quelle sotterranee, danno luogo ad effetti di urto e ad effetti
radioattivi residui particolarmente intensi. In esse i fenomeni di superficie (duomo, nuvola di
condensazione, colonna cava, nube a cavolfiore, nube ad anello, onde di superficie, onda d'urto in
aria) risultano di una certa entità solo se la profondità di scoppio non è rilevante.
IV-10