Il cavaliere innamorato (Aristaenet. I 8)

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Il cavaliere innamorato (Aristaenet. I 8)
«EIKASMOS» XIII (2002)
Il cavaliere innamorato (Aristaenet. I 8)
Numerose asperità esegetiche contrassegnano ampie zone dell’epistolario di
Aristeneto, tanto nell’interpretazione lessicale di singoli passi, quanto in quella
complessiva della tecnica intertestuale usata dall’epistolografo1. Un esempio fruttuoso
per la sua scarsa docilità all’analisi è costituito dall’epistola ottava del primo libro,
scritta da uno scudiero dal nome parlante (`Ecevpwlo") ad un destinatario che ne
reca uno non meno emblematico (Melhvsippo"). La lettera si presenta, come spesso
in Aristeneto, sotto forma di narratio, vivace e dialogata, da parte del destinatore,
di una vicenda che lo coinvolge direttamente e si conclude con una canzone in cui
lo scudiero si rivolge direttamente al cavaliere2.
«eu\ge th'" eujprepeiva", babai; th'" ejlavsew". wJ" ajmfoterodevxio" ou|to" pevfuken oJ iJppovth".
kai; kavllei diaprevpei, kai; uJperfevrei tw'/ tavcei. wJ" e[oike, tou'ton oujk ejdavmasen “Erw",
ajll` e[stin aujto;" peripovqhto" “Adwni" tai'" eJtaivrai"». tau'tav mou levgonto" oJ crusou'"
ajkhvkoen iJppeuv", kai; diamemfovmeno" e[fh: «oujde;n pro;" to;n Diovnuson oujde; pro;" ejme;
tou'ton oijkeivw" ei[rhka" to;n lovgon. a[rista movno" oi\den iJppavzesqai povqo". aujto;" ejme;
kai; di` ejmou' tavcista to;n i{ppon ejlauvnei, kai; to;n qevonta kentrivzei deinw'" ojxuvteron
katepeivgwn. ejpivdo" ou\n, iJppokovme, toi'" drovmoi", a{ma te a[/dwn kai; a[/smasin ejrwtikoi'"
to;n e[rwta qerapeuvwn». h/\don toivnun toiovnde pro;" ejkei'non aujtoscevdion mevlo", ejx aujtou'
th;n provfasin eijlhfwv": «ejgwv se, devspota, katav ge th;n ejmh;n eijkovtw" iJppodrovmon ejnovmizon
ejleuvqeron bevlou". eij de; tosou'ton kavllo" e[cwn ejra'/", nh; th;n `Afrodivthn, ajdikou'sin oiJ
“Erwte". o{mw" ge tou'tov se mh; sfovdra lupeivtw: kai; th;n eJautw'n e[trwsan ejkei'noi mhtevra».
1
Si vedano almeno, in proposito, le osservazioni di W.G. Arnott (Imitation, Variation,
Exploitation. A Study in Aristaenetus, «GRBS» XIV [1973] 197-211; Pastiche, Pleasantry, Prudish
Erotism. The Letters of Aristaenetus, «YCS» XXVII [1982] 291-320) e di G. Zanetto (Un epistolografo
al lavoro. Le lettere di Aristeneto, «SIFC» n.s. V [1987] 201; La dizione di Aristeneto, in AA.VV.,
Metodologie della ricerca sulla tarda antichità. «Atti del I Convegno dell’Associazione di Studi
Tardoantichi», a c. di A. Garzya, Napoli 1989, 569s.). Tra i contributi più recenti andranno
segnalati la traduzione spagnola delle Lettere curata da R.-J. Gallé Cejudo, con introduzione e
brevi note di commento (Aristéneto. Cartas Eróticas, Madrid 1999) e le pagine dedicate ad
Aristeneto (traduzione e presentazione di alcune lettere) da C. Consonni in “Erw". Antiche trame
greche d’amore, a c. di A. Stramaglia, Bari 2000.
2
I nomi parlanti del destinatore e del destinatario, strettamente connessi al contenuto della
lettera, rendono contiguo il piano dell’epistola a quello dell’intestazione e garantiscono il rispetto, sia pure formale, della finzione epistolare: sulle convenzioni adottate da Aristeneto nell’intestazione delle lettere si vedano le osservazioni di Zanetto, Un epistolografo cit. 196s.
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«Che bell’uomo! Che stile nel cavalcare! Com’è abile con entrambe le mani questo cavaliere! Non solo è più bello degli altri, ma anche più rapido nella corsa. Pare che Eros non
l’abbia mai domato, anzi le etere lo adorano quasi fosse un Adone». Il buon cavaliere udì
queste mie parole e in tono di rimprovero mi disse: «Niente a che fare con Dioniso: tu parli
a vanvera. Solo la passione sa farmi cavalcare nella maniera migliore. È la passione d’amore
che sprona me e, attraverso di me, il cavallo a corse sfrenate; è la passione che pungola
l’animale in corsa, incalzandolo a un ritmo sempre più serrato. Su, di corsa, scudiero, e
intanto canta e con le tue canzoni d’amore guarisci l’amore». Allora eseguii per lui questa
canzone improvvisata di cui lui mi offriva lo spunto: «Ai miei occhi tu apparivi, o signore,
un cavaliere non violato dalla freccia d’amore. Ma se, pur essendo così bello, tu sei innamorato, allora gli Eroti ti fanno torto, per Afrodite. E tuttavia non angustiarti troppo per
questo: ferirono anche la loro madre»3.
Sin dall’incipit, in cui Echepolo descrive la bellezza e l’eleganza nel cavalcare
del suo padrone, desiderato dalle etere quasi fosse un Adone, la narrazione ripercorre
alcuni topoi invalsi della letteratura erotica greco-latina. Non sorprende, dunque,
leggere della funzione terapeutica del canto d’amore (rr. 11s.), ovvero dell’ajdikiva
degli Eroti che non risparmiano neppure la madre Afrodite (rr. 15-18), né scorgere
un riferimento, sia pure in negativo, all’azione aggiogatrice di Eros (rr. 3s.). La
scrittura quindi evidenzia, come spesso in Aristeneto, un’eccezionale stratificazione
culturale, sia pure in assenza di citazioni esplicite. Appare altresì evidente come il
nucleo dell’epistola riguardi un elemento determinante per la comprensione della
strategia complessiva del testo: e cioè l’attrito, la contrapposizione ‘amebea’, a una
prima lettura incongrua, tra l’ipotesi dello scudiero, secondo cui il proprio padrone
non sarebbe mai stato domato da Eros, e la reazione sdegnata del cavaliere, che
proprio nella passione amorosa individua lo sprone e la causa prima della sua
abilità. Ed è precisamente il rimprovero del cavaliere a far sì che lo scudiero,
finalmente conscio della condizione del suo padrone, componga una canzone improvvisata, che funga da rimedio contro l’amore.
E tuttavia la strategia narrativa della lettera sembra celare i suoi propositi,
sfuggendo alle maglie di una logica complessiva e disarticolando la struttura testuale in tipologie formali e concettuali differenziate. Di fronte a una materia di questo
genere, nessun aiuto forniscono il commento di Boissonade o le note esplicative
delle più recenti edizioni e traduzioni delle Epistole4.
Il passo decisivo per la spiegazione della lettera mi pare sia venuto da Giusep-
3
Il testo della lettera è quello stabilito da J.-R. Vieillefond, Aristénète. Lettres d’amour,
Paris 1992; la traduzione è mia.
4
L’apparatus fontium dell’edizione teubneriana di O. Mazal (Aristaeneti Epistularum Libri
II, Stutgardiae 1971) tace. I loci similes segnalati da Boissonade (`Aristaivneto". Aristaeneti
Epistolae. Ad fidem cod. Vindob. Recensuit [...] notis suisque instruxit Jo. Fr. Boissonade,
Lutetiae 1822, 342-347), da Vieillefond (Aristénète cit. 16s.) e da Gallé Cejudo (Aristéneto cit.
163s.) riguardano aspetti del tutto marginali per la comprensione dell’epistola.
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pe Zanetto5, il quale ha intuito la rilevanza, per l’interpretazione delle prime righe,
del fr. 102 V. di Saffo, in cui si rileva l’inconciliabilità di un’attività lavorativa con
la passione amorosa. Occorrerà, ora, fare interagire l’interpretazione delle righe
iniziali con l’analisi complessiva della lettera.
a) Le parole iniziali dello scudiero sottolineano la bellezza intatta del cavaliere, desiderato dalle etere quasi fosse un Adone (rr. 4s.)6. La bellezza e l’abilità nel
cavalcare implicano, agli occhi dello scudiero, che il cavaliere non abbia ancora
subìto l’influenza devastante della passione amorosa, che cioè non sia stato ancora
‘domato’ da Eros (rr. 3s.). L’iJppovth" dunque, nelle parole dello scudiero, è ancora
esente da una ‘norma’ che assegna all’amore la funzione di turbare l’equilibrio
psico-fisico dell’individuo e di sconvolgere la quotidianità. Tale norma, che la
stilizzazione letteraria ha reso ormai ‘tradizione’, riecheggia una concezione
segnatamente saffica della passione amorosa7. E infatti, la bellezza intatta del cavaliere appare allo scudiero inconciliabile con i turbamenti della passione amorosa,
che, come ci informa il fr. 31 V. di Saffo, altera persino l’aspetto esteriore dell’individuo (alla vista della fanciulla amata, l’amante è madida di sudore, è preda di un
5
Faccio riferimento al contenuto di una lezione tenuta il 17 marzo 2000 presso l’Università
degli Studi di Bologna.
6
L’espressione peripovqhto" “Adwni" (r. 4) è «antonomasia per ‘amante’» (M. Fantuzzi,
Bionis Smyrnaei Adonidis Epitaphium. Testo critico e commento, Liverpool 1985, 93). L’aggettivo ricalca analoghi attributi di Adone: cf. tripovqhto" (Bion 1,58; Hippol. Haer. 5,9), trifivlaqo"
(Theocr. 15,86), poqhtov" (in un’iscrizione sepolcrale proveniente dalla Cirenaica e databile al II
secolo d.C.: SEG XX 771 [1964]; cf. pure SEG XXXIII 1475 [1983]). Per il suo collegamento
ad Afrodite, la figura di Adone risulta quanto mai consona alle donne: cf., oltre al fr. 140 V. di
Saffo e alla Lisistrata di Aristofane (v. 389), Le donne alle Adonie, titolo di una commedia di
Filippide (PCG VII 336s.) e del quindicesimo idillio teocriteo; in particolare sul collegamento
alla figura dell’etera si vedano, insieme al passo di Aristeneto, Diph. frr. 42, 39 e 49 K.-A.; Men.
Sam. 39; Alciphr. IV 14,3 e 8, dove Adone è antonomasia per ‘amante’; sull’argomento vd.
inoltre F. Leo, Plautinische Forschungen. Zur Kritik und Geschichte der Komödie, Berlin 19122,
174 e A.W. Gomme-F.H. Sandbach, Menander. A Commentary, Oxford 1973, 549). Erano infatti
proprio le donne che, in occasione delle Adonie, feste celebrate nel cuore dell’estate da un tiaso
di Afrodite Siria, provvedevano alla collocazione sui tetti delle case dei cosiddetti ‘giardini di
Adone’, vale a dire vasi di piante e fiori consacrati all’eroe. Il calore estivo favoriva al tempo
stesso la crescita e lo sfiorire dei germogli, consentendo così alle donne di celebrare, insieme al
ritmo della vegetazione, la nascita e la morte di Adone: sulla festività delle Adonie si veda da
ultimo P. Scarpi (a c. di), Le religioni dei misteri, I: Eleusi, Dionisismo, Orfismo, Milano 2002,
XXXVII-XLIII, con bibliografia.
7
Presuppone cioè che l’amore sia concepito come ajmavcanon o[rpeton, come fiera violenta
e irresistibile, che scioglie le membra e agita al pari di un vento impetuoso (fr. 130 V.). Di tale
irruenza Saffo fornisce ampia casistica: vd., ad esempio, il fr. 47 V., dove la violenza di Eros
eguaglia ancora una volta quella del vento che si abbatte contro le querce, e il fr. 48 V., in cui
il riuso di una metafora omerica sul refrigerio del cuore è funzionale alla rappresentazione dell’attesa esaudita dell’amata come favrmakon all’arsura del desiderio.
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tremito e diviene più verde dell’erba: vv. 13s.)8. In particolare, l’interpretazione
fornita dallo scudiero dell’abilità tecnica del cavaliere come sintomo dell’assenza
dell’amore evidenzia e contrario il concetto espresso dal celebre fr. 102 V., felicemente imitato da Orazio9, in cui una fanciulla, soggiogata dal desiderio, confida alla
madre di non riuscire più ad attendere al quotidiano lavoro del telaio (gluvkha
ma'ter, ou[ toi duvnamai krevkhn to;n i[ston / p ov q w/ d av m e i s a pai'do" bradivnan
di` `Afrodivtan) 10. Ed è significativo che l’azione dell’aggiogamento, esplicata in
8
Il motivo della consunzione fisica dell’innamorato, congrua alla concezione saffica dell’amore lusimelhv" , ‘che scioglie le membra’ (cf. il fr. 130,1 V.; ma per l’epiteto si vedano pure
Hes. Th. 120s.; Archil. fr. 196 W.2; Alcm. fr. 3,63 Dav.; Carm. pop. PMG 873,3s.), attraversa la
letteratura greco-latina a partire dal fr. 31 V., alimentando il topos per cui l’innamorato ha poco
sangue, poca carne, poco colore: cfr. Callim. AP XII 71,3 (ojsteva soi kai; mou'non e[ti trivce");
Theocr. 2,89 (aujta; de; loipav / ojstiv` e[t` h\" kai; devrma); Ov. Am. I 6,5 (longus amor ... corpus
tenuavit), II 9,14 (ossa mihi nuda relinquit amor), Trist. IV 6,42 (vix habeo tenuem quae tegat
ossa cutem). Sulla scorta dell’antecedente saffico, la descrizione della malattia d’amore risponderà ad una prevedibile casistica: Theocr. 2,82-90; Ap. Rh. III 284-290, 962-972; Hor. Carm. I
22, 23s. e IV 1,35s.; Val. Aed. fr. 1 Blänsdorf; Apul. Met. X 10 e si vedano, oltre alle classiche
trattazioni di G. Lanata, Sul linguaggio amoroso di Saffo, «QUCC» II (1966) 257-267 e di V. Di
Benedetto, Intorno al linguaggio erotico di Saffo, «Hermes» CXIII (1985) 145-156, il capitolo
dedicato ai ‘patemi d’amore’ da M.G. Bonanno, L’allusione necessaria. Ricerche intertestuali
sulla poesia greca e latina, Roma 1990, 147-181 e M.G. Albiani, Postilla saffica (Sapph. fr.
31,13 V., Theocr. 2,106ss., Nic. Ther. 245s.), «Eikasmós» VI (1995) 9s.
9
Carm. III 12,4-6 miserarum est neque amori dare ludum neque dulci / mala vino lavere,
aut exanimari / metuentis patruae verbera linguae. / tibi qualum Cythereae puer ales, tibi telas /
operosaeque Minervae studium aufert, / Neobule, Liparaei nitor Hebri.
10
Il tema dell’amore che occupa completamente i pensieri dell’innamorato e gli impedisce
di impegnarsi nel lavoro è presente nell’epistolario di Aristeneto in II 5,32s., nel makarismos
rivolto dalla protagonista, ormai assorbita dai pensieri d’amore, alla parqevno" ancora ignara di
preoccupazioni erotiche e dedita solo al lanificio. Il motivo percorre, a partire dal frammento
saffico, la letteratura greco-latina. È la passione che, nel decimo idillio teocriteo, distoglie Buceo
dal mietere e dal dissodare il terreno (vv. 1-4), così come è il desiderio inappagato per Galatea
a non consentire al Ciclope dell’idillio undicesimo di dedicarsi alle consuete, agresti attività (vv.
72-74; sulla diffusione del motivo in età ellenistica vd. ora E. Magnelli, Alexandri Aetoli. Testimonia et Fragmenta, Firenze 1999, 141). E non sarà un caso che nel primo mimiambo di Eronda,
il panatletismo di Grillo sia messo a dura prova dall’amore per Metriche (vv. 50-60: vd. G.
Mastromarco, Il mimo greco letterario, «Dioniso» LXI [1991] 186 con n. 51). Analogamente, il
protagonista del romanzo di Caritone, perdutamente innamorato di Calliroe, non dedica più alcun
tempo agli svaghi abituali (I 1,9), laddove nel romanzo di Longo (I 13,5) è l’amore per Dafni a
determinare la perdita di interesse di Cloe per ogni altra occupazione. Il motivo della passione
che turba il ritmo delle consuete attività, già attestato nella letteratura latina nella commedia di
Plauto (Bacch. 428-430, Most. 149-153), dove si rileva l’inconciliabilità dell’amore con l’arte
ginnica, trova compiuta realizzazione in un’elegia properziana (II 16,33s.), in cui sintomi manifesti della passione sono appunto il disinteresse per il teatro e per l’attività sportiva. Caro a
Ovidio, e forse in omaggio all’archetipo saffico, è il tema della donna innamorata che non riesce
a impegnarsi nel lavoro del telaio, svolto nell’epistola diciannovesima, dove l’impaziente attesa
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Saffo dal povqo" ispirato da Afrodite, in Aristeneto da Eros, sia espressa nell’epistola nei termini tipici del lessico erotico saffico: l’epistolografo riusa il verbo
damavzw, ‘domare’, di consolidata tradizione nella langue erotica greca11, e, con
abile sapienza combinatoria, assimila il concetto del povqo" al convenzionale attributo di Adone (wJ" e[oike, tou'ton oujk ej d av m a s e n “Erw", ajll` e[stin aujto;"
p e r i p ov q h t o " “Adwni" tai'" eJtaivrai", rr. 3-5) per poi svilupparlo compiutamente
nelle righe successive (rr. 7-10).
b) Alle parole dello scudiero, il cavaliere risponde in tono di rimprovero e,
servendosi di un’espressione proverbiale di remota origine teatrale, accusa
l’interlocutore di parlare a vanvera (rr. 6s.)12. Il cavaliere insomma smentisce quandi Leandro impedisce a Ero di concentrarsi nel lavoro e la spinge a rinnovare le domande alla
nutrice (v. 49; notevole, sotto questo aspetto, l’analogia con la Lucrezia di Fast. II 755, che,
interrogate le ancelle sull’atteso ritorno del marito, desinit in lacrimas inceptaque fila remisit: vd.
G. Rosati, P. Ovidii Nasonis Heroidum Epistulae, XVIII-XIX Leander Heroni Hero Leandro,
Firenze 1996, 185s.). Il motivo è attestato anche in Orazio, oltre che nell’imitazione del frammento saffico (Carm. III 12,3s.), nell’epodo 11, dove il poeta confida all’amico Pettio che neppure l’attività poetica gli reca sollievo dalle gravi ferite che Amore gli ha inferto. Il topos, che
riaffiora nella Ciris pseudo-virgiliana (vv. 177-179), ricompare nella seconda bucolica di Virgilio, allorché il pastore Coridone, che arde d’amore per il bellissimo Alessi, trascura la potatura
delle viti (vv. 69s.: vd. W. Clausen, A Commentary on Virgil Eclogues, Oxford 1994, 84) e, con
ogni probabilità nel quarto libro dell’Eneide (vv. 86-89), dove Didone sacrifica al sentimento
d’amore per Enea l’ultimazione dell’opera di edificazione della città da lei stessa fondata: cf. R.
Heinze, Virgils epische Technik, Leipzig 19153, 130 (= La tecnica epica di Virgilio, trad. it.
Bologna 1996, 161 e 173 n. 30). Analogamente, con evidente memoria saffica e oraziana, nella
Fedra di Seneca, la protagonista, presa da morbosa passione per il figliastro Ippolito, confidandosi con la nutrice, dichiara di trascurare il lavoro: Palladis telae vacant et inter ipsas pensa
labuntur manus (vv. 103s.). Il motivo dovette avere diffusione anche nelle arti figurative, come
sembra documentare una pittura parietale pompeiana proveniente dalla cosiddetta ‘casa di Meleagro’,
assimilabile al IV stile e raffigurante Leda sedotta da Zeus a cui Amore sottrae il cesto da lavoro:
vd. P. Linant de Bellefonds, s.v. Leda, in LIMC VI/1 (1992) 239, dove si propone una ricostruzione grafica della pittura ormai dispersa.
11
Cf. Hom. Il. XIV 315s., Od. VI 109 (Nausicaa è detta parqevno" ajdmhv" ); Hes. Th. 120 e
962; Archil. fr. 196 W.2; Sapph. fr. 1,3 V.; Theogn. 1235, 1350, 1338; Pind. P. 11,24; Bacchyl.
Ep. 1,118; Theocr. 29,23; e si veda H. Maehler, Die Lieder des Bakchylides. Erster Teil: Die
Siegeslieder, II: Kommentar, Leiden 1982, 16.
12
Secondo la testimonianza dei paremiografi (cfr. Zenob. V 40 = CPG I 137; Diogenian.
VII 18 = CPG I 289), l’espressione oujde;n pro;" to;n Diovnuson («nulla a che fare con Dioniso»)
sarebbe stata originariamente pronunciata in tono di biasimo dagli spettatori che assistevano agli
agoni scenici, come segno di protesta contro il progressivo oscuramento della primitiva impronta
dionisiaca dalle rappresentazioni drammatiche; cf. Suda (o 806 A.), che si appella in proposito
all’autorità del peripatetico Cameleonte (fr. *38 Giord.2), e Plutarco (Quaest. conv. I 1,5, 615a);
sulla contestualizzazione originaria del proverbio si vedano A. Pickard-Cambridge, Dithyramb,
Tragedy and Comedy, second edition revised by T.B.L. Webster, Oxford 1962, 124-126 e G.
Ieranò, Il ditirambo di Dioniso. Le testimonianze antiche, Pisa-Roma 1997, 105s. L’espressione
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to allo scudiero era parso evidente: la rapidità nella corsa e l’abilità nel cavalcare,
dunque il pieno possesso di quelle che il destinatore ritiene le facoltà proprie del
protagonista, non implicano lontananza da Eros. Al contrario, è proprio il povqo" a
conferirgli un’abilità che altrimenti non avrebbe (a[rista movno" oi\den iJppavzesqai
povqo". aujto;" ejme; kai; di` ejmou' tavcista to;n i{ppon ejlauvnei, kai; to;n qevonta
kentrivzei deinw'" ojxuvteron katepeivgwn, rr. 8-10). La contrapposizione fra lo scudiero
e il cavaliere, apparentemente del tutto pretestuosa, riproduce, a ben guardare,
quella tra il motivo fondante del frammento saffico già citato, che considera la
passione come lesiva delle qualità intrinseche dell’individuo, e la concezione che
sia, invece, proprio Eros a ispirare negli individui facoltà e virtù di cui non sono
dotati per natura, e a conferire loro abilità nelle tevcnai più disparate: concezione
eminentemente espressa da Agatone nel Simposio platonico13. Il cavaliere, dunque,
anziché essere domato dal povqo", ne riceve l’abilità nell’equitazione. Aristeneto,
stabilendo con i due testi quella che Genette chiamerebbe una relazione di metatestualità14, sembra qui voler creare un cortocircuito tra la concezione saffica dell’amore come forza devastante e quella platonica di Eros come forza vitale che
ispira virtù, coraggio, ardimento15.
divenne quindi proverbiale per indicare una cosa incongrua all’argomento in discussione: vd., ad
esempio, Lucian. Bacch. 5; Hld. II 24,4 e le attestazioni raccolte da D.A. Tsirimbas, Paroimivai
kai; paroimiwvdei" fravsei" para; tw``/ ejpistologravfw/ `Aristainevtw/, Athina 1950, 27.
13
La lettura del Simposio rileva la concezione di Eros come forza in grado di produrre
inusitate metamorfosi: nelle parole di Agatone, Eros trasforma il pavido in un individuo capace
di gesti memorabili (179a-e), l’ottuso in una persona di acuta intelligenza, e consente, a uomini
e dèi, di scoprire la sapienza delle tevcnai più disparate: l’uomo incolto, sordo ai ritmi e alla
fascinazione della parola e del canto, se toccato da Eros, acquista la creatività di un poeta. Quanto
alla pratica delle arti, colui il quale è toccato da Eros raggiunge la celebrità; chi, invece, non è
stato mai toccato dal dio è condannato all’oscurità. Così è lo stesso Eros ad aver insegnato ad
Apollo l’arte del saettare, del curare, del divinare, alle Muse l’arte musicale, ad Efesto quella dei
metalli, ad Atena quella del tessere e a Zeus quella del governare gli dèi e i mortali (196c). Per
un commento puntuale alla sezione relativa al discorso di Agatone si rinvia a G. Reale, Platone.
Simposio, Milano 2001, 210-213. Sarà forse utile rilevare come Platone sia uno degli autori più
amati e imitati da Aristeneto: i paralleli con i passi platonici, congrui all’artificialità dello stile
dell’epistolografo, sono debordanti (e facilmente accessibili dalle tabelle di loci similes fornite
dalle edizioni di Aristeneto; si vedano inoltre V. Bartoletti, Reminiscenza della VII Epistola
platonica in Aristeneto, «SIFC» n.s. IX [1931] 341, e P. Magrini, Lessico platonico e motivi
comici nelle lettere erotiche di Aristeneto, «Prometheus» VII [1981] 146-58). E tuttavia, poco si
è fatto nel senso di una decodificazione di stratificazioni più profonde dell’allusività letteraria
platonica, non limitata soltanto all’influsso di marche lessicali ma operante a livello di modelli
generativi.
14
Palinsesti. La letteratura al secondo grado, trad. it. Torino 1997, 6-10 (ed. or. Palimpsestes.
La littérature au second degré, Paris 1982).
15
Il motivo platonico dell’eros didaskalos, che infonde forza agli amanti e insegna loro
diverse abilità, è l’originale interpretazione della tematica socratica dell’e[rw"-ajrethv (su cui è
fondamentale B. Ehlers, Eine vorplatonische Deutung des sokratischen Eros. Der Dialog Aspasia
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c) Lo scudiero, infine, spronato dal cavaliere a comporre una canzone che
possa fungere da favrmakon all’amore (rr. 11s.)16, esprime al suo signore il proprio
ripensamento. Quell’esistenza che gli era parsa non violata dalle frecce d’amore,
intatta nella sua armonia e bellezza, gli si rivela ora con il suo carico di angosciosa
sofferenza: la circostanza che il cavaliere, nonostante la sua straordinaria bellezza
(che dovrebbe renderlo oggetto piuttosto che soggetto di desiderio), sia innamorato,
conferma che gli Eroti si stanno macchiando nei suoi confronti di ajdikiva (eij de;
tosou'ton kavllo" e[cwn ejra'/", nh; th;n `Afrodivthn, ajdikou'sin oiJ “Erwte", rr. 15s.).
Lo scudiero dunque sembra contrapporre, ancora una volta, convenzioni e linguaggio saffici (sofferenza d’amore e ajdikiva) alla ‘tirata’ platonica del cavaliere; e la
des Sokratikers Aischines, München 1966; utile anche la recensione di K. Gaiser in «AGPh» LI,
1969, 200-209, il quale, correggendo in parte la prospettiva della Ehlers, intende l’e[rw" non solo
come un mezzo, una via alla virtù, ma come un intrinseco componente della virtù). Non sarà un
caso che il motivo dell’e[rw"-ajrethv sia fondante, a quanto consta dal materiale frammentario
pervenutoci, anche nei dialoghi filosoficamente più rilevanti di Eschine socratico, ossia l’Alcibiade
e l’Aspasia. In un frammento dell’Alcibiade (VI A 53 Giannantoni), ad esempio, Socrate, pur
ammettendo di non possedere alcun mavqhma, ritiene di poter rendere segnatamente migliore
Alcibiade grazie al suo amore (dia; to; ejra'n beltivw poih'sai). La puntuale ricostruzione dei
frammenti dell’Aspasia fornita dalla Ehlers (Eine vorplatonische cit. 26-137) e accolta di recente
da G. Giannantoni (Socratis et socraticorum reliquiae, IV, Napoli 1990, 592-594) ripropone il
tema dell’e[rw"-ajrethv in tutta la sua centralità. E tuttavia, il motivo dell’eros didaskalos è anche
altrimenti attestato nella letteratura greca: Eur. fr. 430 N.2 (= Hipp. vel. fr. 4 J.-V.L.); Alex. fr.
290 K.-A.; Anaxandr. fr. 62 K.-A.; Posidipp. AP V 213,4 (dove Eros è hJgemwvn delle azioni del
protagonista); Mosch. frr. 3,8 e 10,13 Gow; vd. anche F. Lasserre, La figure d’Eros dans la
poésie grecque, Lausanne 1946, 111s. e W.G. Arnott, Alexis. The Fragments. A Commentary,
Cambridge 1996, 785. Il motivo dell’amore che conferisce l’abilità tecnica della poesia anche a
coloro che prima non erano predisposti verso le Muse, attestato in celebri aforismi della Stenebea
di Euripide (fr. 663 N.2; ma anche in Med. 844 Euripide parla di «Amori compagni di Sapienza»)
e del Simposio platonico (196e) e alluso al v. 1074 delle Vespe di Aristofane e nel Ferito di Alessi
(fr. 236,5 K.-A.), torna in seguito in Nic. SH 566 (ma vd. pure Plut. De Pyth. orac. 23,21-24,405f,
Quaest. conv. I 5,622c, Am. 17,762b). Sul topos, che sarà registrato da Apostolio (XI 77b =
Arsen. XXXV 96 = CPG II 536), si veda R. Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche,
Milano 1991, 645). Il motivo dell’amore che conferisce abilità è poi anche romanzesco: cfr. Ach.
Tat. I 10,1, dove Eros è detto aujtodivdakto" oJ qeov" sofisthv", e V 27,1, in cui Eros didavskei
... kai; lovgou" (un concetto analogo è in Long. IV 18,1). Sulla diffusione del motivo di Eros
praeceptor nell’elegia latina cf. Tib. I 2,19s. (dove è propriamente Venere ad insegnare), III
12,11s.; [Lygd.] 6,12; Prop. I 1,5s., III 16,16; Ov. Her. 4,10ss., Am. I 6,7s., III 1,49 (in cui il ruolo
di praeceptor è svolto dall’elegia d’amore); sul motivo si veda, inoltre, P. Murgatroyd, Tibullus
I. A Commentary on the First of Elegies of Albius Tibullus, Pietermaritzburg 1980, 79.
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La cura della malattia d’amore fu, a partire dall’età ellenistica, motivo fondante del
dibattito filosofico, da Cratete di Tebe (SH 363) a Crisippo (fr. 246 Arn.) a Lucrezio (IV 10371191). E tuttavia, la questione interessò anche la precettistica poetica (cf. per es. Eur. fr. 663 N.2;
Plat. Symp. 196e; Philox. PMG 822 ; Theocr. 11,1-4 e 14,52; Callim. AP XII 150; Nic. SH 566;
Bion fr. 3 Gow; Meleag. AP XII 49; Long. II 7,7; Prop. II 1,57s. e III 24,17s.); e si veda O. Vox,
Carmi di Teocrito e dei poeti bucolici greci minori, Torino 1997, 207.
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DRAGO
sua replica non cela la distanza, questa volta macroscopica, dal discorso di Agatone
nel Simposio platonico, in cui, nell’àmbito della discussione sulle virtù di Eros e
sulla sua capacità di infonderle negli individui, il tragediografo afferma che “Erw"
ou[t` ajdikei' ou[t` ajdikei'tai (196b 7), né ad un dio né da parte di un dio, né ad un
uomo né da parte di un uomo17. La pointe finale dello scudiero su Afrodite prima
vittima di Eros (rr. 17s.), infine, sdrammatizza ulteriormente il pathos saffico dell’avvio18. L’impressione che se ne ricava può essere quella di una ipercodificazione
retorica di forme. E tuttavia, il senso dell’operazione di Aristeneto non è banale.
L’epistolografo, forte della complicità del lettore, intende operare anche su questo
terreno limitato (ma che investe, con la sua pregnanza teorica, aspetti molto più
vasti e complessi della concezione dell’amore antica) quella operazione di
‘relativizzazione’ dei codici culturali che appare ormai il tratto fondante delle Epistole.
A tal fine assume evidentemente Saffo e Platone come luoghi privilegiati di memorie letterarie, come punti di concentrazione, di amplificazione, di diffusione di due
nuclei teorici della poesia erotica greco-latina: l’eros-nosos, forza devastante che
soggioga e consuma, e l’eros-didaskalos, che conferisce forza e abilità agli amanti
e insegna loro a sopportare qualsiasi prova.
Bari
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ANNA TIZIANA DRAGO
A tal proposito, K. Dover (Plato. Symposium, Cambridge 1980, 127) rileva che la concezione d’amore platonica «is contrary to the common Greek sentiment (e. g. Sappho fr. 172,
Theognis 1353-6) that Eros is a ruthless deity from whose compulsion a person in love might
glady escape».
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Devo questa osservazione a Giuseppe Zanetto, che ringrazio per i preziosi suggerimenti
fornitimi per lettera.