Il secondo mandato di Dilma Rousseff” Roma, 4

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Il secondo mandato di Dilma Rousseff” Roma, 4
Il secondo mandato di Dilma Rousseff” Roma, 4 dicembre Associazione Amicizia Italia Brasile
Nell'ultimo capitolo di uno dei grandi classici della interpretazione del Brasile, Raízes do
Brasil di Sérgio Buarque de Holanda, pubblicato nel 1936 a ridosso della frattura storica -la prima
della tetra serie novecentesca- dello Estado Novo che di lì a poco si sarebbe instaurato, viene data
una straordinaria definizione della crisi che il Brasile attraversa in quel momento: “Estamos
vivendo assim entre dois mundos: um definitivamente morto e outro que luta por vir à luz” (135)
L'immagine che dà la percezione di una crisi e di una trasformazione in corso esprime bene
la difficoltà di analisi e comprensione del momento attuale in Brasile. Innanzitutto per la
consapevolezza che in un qualche modo un ciclo si è concluso: tra i pochi elementi comuni di una
campagna elettorale segnata da eventi eccezionali (la morte tragica di un candidato, coi
sommovimenti politici che ne sono discesi) e da un clima di sostanziale scontro, la idea che un
capitolo si era chiuso era predominante (per esempio nel programma di governo della presidente
Dilma).
Qual è il Brasile che sta per venire alla luce a poco piu di un mese dalla conclusione col
secondo turno di una campagna elettorale serrata, sorprendente e disputata come non si sarebbe
immaginato? Quali sono i contrasti principali che ne segnano il presente?
Il passato prossimo, quello elettorale, ha consegnato un Paese che sembra caratterizzarsi per
divisioni e conflitti non solo politici, ma anche geografici e sociali dove una nuova mappa delle
egemonie si è riconfigurata. Il risultato elettorale delle urne al ballottaggio sembra rappresentare
l'epifenomeno di questa polarizzazione. Dilma che sconfigge Aécio per una incollatura sia pure in
modo razionalmente prevedibile, nel pieno del ciclone della Petrobrás e del “Lava Jato”..
La spaccatura esiste ma forse non trova la sua piena rappresentazione dell'esito del voto. I
ballottaggi sono, nella norma, segnati da una naturale dicotomizzazione delle parti (basti pensare a
contesti come quello della Francia dove nel 2012 Hollande ha sconfitto Sarkozy con la medesima
differenza oppure negli USA Obama contro Romney lo stesso anno).
In questo senso e se ne vogliamo fare una lettura positiva, il risultato ha fatto capire quanto
sia irreversibile l'allineamento di una giovane democrazia come quella brasiliana con quelle di altri
contesti democratici di diversa tradizione.
Per questo, in un processo di consolidamento irreversibile, risulta assai meno comprensibile
la iniziativa di chi ha tentato gia dalla vigilia dell'ultima votazione di promuovere un eccentrico
“terzo turno” con la richiesta di impeachment della presidente confermata che ha dato luogo anche
all'emergere di spinte regressive o nostalgiche rispetto all'autoritarismo del passato. Anche in questo
caso, va detto che la opposizione si è frantumata proprio davanti al muro non più valicabile delle
condizioni democratiche, quando nelle manifestazione anti Dilma per esempio della Avenida
Paulista il fronte antipresidenziale si disgregava -e si disgrega- all'emergere della laudatio temporis
acti degli anni della dittatura militare. Ancora una volta una sanzione della tenuta stagna della
democrazia brasiliana. Semmai può sorprendere la rapidità con cui la democrazia brasiliana sia
passata dal rango di giovane democrazia alle tensioni e contraddizioni di una democrazia matura e
già in forte crisi identitaria e politica, il tutto consumatosi nel corso di una tornata elettorale (non è
un caso che per interpretare il recente caso dello scandalo del Lava Jato si sia ricorsi ad un
correlativo storico che è stato il caso di mani pulite dell'inizio degli anni '90 in Italia).
Ma il tempo del Brasile è questo, fatto di tremende accelerazioni o di pause interminabili
che lasciano sbigottiti i suoi interpreti (cfr. Lévi Strauss nei Tristi tropici). Siamo dunque al
superamento tutt'ora in corso di quelle che Mário de Andrade definiva, nel campo culturale del
Modernismo, le “inconveniências da aurora”? Nel 50esimo anniversario del colpo di stato militare,
in attesa che la prossima settimana venga pubblicato il rapporto della Comissão Nacional da
Verdade (che intanto ha raddoppiato il numero degli scomparsi rispetto alle ricerche precedenti e si
appresta a chiedere la incriminazioni di quadri militari tutt'ora protetti dalla Legge di Amnistia che
pero- è notizia di ieri- alcuni giudici come a SP interpretano non a favore di chi ha commesso
crimini imprescrittibili), il clima sembra essere ancora quello di frattura.
Colpisce la intensità dell'anti-petismo innalzato come una bandiera della opposizione (con
la equiparazione del partito della presidenza come una “organizzazione criminale insediatasi nel
cuore di alcune aziende brasiliane”) anche a giochi elettorali ormai chiusi, che sembra avere preso
il posto dell'anticomunismo che caratterizzò il Brasile all'epoca della presa di potere da parte dei
militari (di qui il clima avvelenato anche sull'uso ed il riuso del passato come arma politica del
presente).
A dare forza alla impressione di un attuale indebolimento politico del Brasile all'indomani
del voto però non è tanto il clima elettoralistico delle polemiche ancora accese, ma il quadro che si è
formato nel primo turno e che getta ombre sulla governabilità a venire. Va ricordato il carattere
misto del sistema brasiliano, presidenzialistico da un lato ma con una decisiva componente
parlamentaristica. Al di là del dualismo Dilma/Aécio, quello che è accaduto in termini di urna è
stata una sostanziale ristrutturazione politica del Brasile con una netta erosione della base
parlamentare del governo. Il gruppo maggiore alla camera resta quello del PT ma che passa da 88 a
77 deputati. Perde anche il PMDB ma piu lievemente (da 71 a 66) mentre guadagna deputati il
PSDB (da 44 a 54). Perdono tutti e tre i partiti principali al Senato ( dove la bancada principale era
del PMDB che passa da 19 a 18 senatori, ne perde uno anche il PT mentre ne perde due il PSDB).
In sostanza la fotografia che emerge è quella di un congresso più frammentato e più spostato
verso destra. Ovvio che una potenziale politica di alleanze si deve misurare anche con partiti di
forte eterogeneità: il PMDB ha la sua forza proprio nel suo dualismo interno (che gli permette di
essere sempre comunque, ancorché in parte, al potere).
Per questo è complesso considerare quella di ottobre una “vittoria” elettorale piena. Sul
carattere politico di questa vittoria pure si potrebbe eccepire: è vero che tra il primo e il secondo
turno i partiti con la militanza tradizionale hanno segnato una differenza (mi riferisco al PT e ai
gruppi “lulistas”) riappropriandosi degli spazi tradizionali della politica fuori dai circuito del
marketing e mediatici. È vero anche che la vittoria politica ha prodotto come risultato quello di
avviare il desiderio di una lunga stagione “rifondativa” del PT, evocata dallo stesso Lula. Ma questo
pare non avere prodotto effetti sostanziali almeno del contesto attuale ovvero post elettorale.
La divisione del paese come risultato della polarizzazione può trovare diverse forme di
argomentazione: di tipo sociologico legato ad un nuovo blocco sociale creato dalle politiche di
inclusione degli ultimi 12 anni, di tipo geopolitico, che riconduce alla presenza di Brasili molto
differenziati (con una dicotomia tra nord e sud che però è deformata nella visione d auna voto che
invece è prevalso con pesi diversi in tutte e 5 le regioni brasiliane). In realtà, questa è una
semplificazione che rischia di occultare più che rivelare i movimenti in corso.
L'analisi più pungente collegata a questo risultato è forse quella pubblicata dal filosofo di
UNICAMP Marcos Nobre sulla rivista Piauí. Una scrupolosa analisi critica del voto permette infatti
di capire i tratti della “nostra” lotta di classe ossia quella che può essere considerata la sua
specificità. A confrontarsi sarebbero state due paure situate non tanto nelle classi più povere (quelle
maggiormente toccate dai programmi sociali) ma in uno spettro sociologico di mezzo, quello che va
dai beneficiari della “bolsa família” a quella che negli ultimi anni ha guadagnato posizioni ma non è
ancora interamente convinta della propria ascesa: quella che statisticamente si definisce “classe
media intermedia”, una classe definita attraverso criteri di consumo e non di diritti definitivamente
acquisiti. Secondo Nobre, parte di questa classe ha sostenuto l'opposizione tucana; la sua paura è
quella di retrocedere nel caso i processi di inclusione -e quindi di condivisione dei bene in una fase
di grande turbolenza economica esterna ed interna- si rafforzino. Uno voto quindi difensivo per il
congelamento della struttura sociale all'interno di una nuova competizione sociale che non avviene
tra i meno abbienti ma tra chi dai ceti più bassi è passato alla classe media. L'altra parte della
medesima classe ha sostenuto invece la Presidente uscente nel timore per scongiurare la minaccia di
una manovra recessiva identificata con la eventuale vittoria di Aécio. Il confronto dunque non
sarebbe di classe, ma distributivo. Il che in un qualche modo interferisce direttamente con la
discussione dei modelli di crescita del Paese. Quindi gli attori principali del voto sarebbero iscritti
in un medesimo segmento sociale, ma con attese -e
paure- distinte. Si tratterebbe di due
componenti delle famose Jornadas de Junho del 2013, che non sarebbero sparite dal quadrante
politico del presente, come pure sembrava. Simili ma conflittuali al contempo: la impossibilità di
una loro composizione in una rappresentazione unitaria spiegherebbe anche il fallimento del
tentativo (o l'errore analitico) di Marina Silva.
Il paradosso apparente di questo contesto è che in un quadro sì di polarizzazione, ma di
conflitti complessi e profondi che hanno a che vedere con il Nuovo Brasile formatosi in questi anni
e non con i tradizionali conflitti sociali di radice secolare, a una radicalizzazione dei simboli (ma
anche di retoriche minacciose, di esasperazione del confronto sulla base della categoria amiconemico) sembra corrispondere invece una disputa per la occupazione del centro.
In parte, questo è dovuto al tentativo di mettere in atto un terzo turno post elettorale (con la
richiesta di impeachement) su un terreno molto scosceso che è quello di rivendicare una etica in
politica solo per la propria parte (quando al contrario è noto che buona parte delle aziende
appaltatrici rimaste coinvolte nello scandalo Lava Jato hanno abbondantemente finanziato entrambe
le parti -nell'ambito di una campagna dai costi di marketing mostruosi- mostrando in un qualche
modo il carattere sistemico della relazione perturbata tra economia e politica).
Questa specie di “peemedizzazione” della politica (quasi un effetto di sostrato del
“pemedebismo” che come è noto è una delle anomalie piu studiate dell'attuale sistema politico che
indebolisce partiti e progetti politici sia di sinistra sia di destra), sembra avere come effetto
l'apertura di nuovi spazi nel campo politico di cui oggi è difficile vedere dimensioni e contorni.
L'esacerbazione dell'antipetismo che si coagula in una ideologia del nemico (in un paradossale
quadro storicamente antitetico del PT, di indebolimento identitario, che fa pensare ad alcuni ad un
suo possibile, prossimo tracollo) lascia un varco al centro che il partito della Presidente sembra
voler tentare di occupare.
Allo stesso tempo questo spostamento apre uno spazio a sinistra dove non si intravedono
ancora attori in grado di colmarlo (pur segnalando il successo di un partito che in realtà corrisponde
a una federazione di correnti come il PSOL arrivato 4º, con Luciana Genro e caratterizzatosi proprio
sul tema dei diritti).
Le recenti nomine dei primi ministri del secondo mandato di Dilma sembra assecondare
questa ricentralizzazione dell'asse politico -all'apparenza eccentrica rispetto alla congiuntura ancora
lacerata dagli socntri- che anche se in modo non esclusivo può essere letta come un cambiamento di
posizione piu moderato in una competizione diretta con il PSDB e in un qualche modo anche con
porzioni diverse del PMDB: i nomi di Joaquim Levy (dopo la rinuncia di Luiz Carlos Trabuco di
Bradesco) collaboratore informale del programma di governo di Aécio (e legato ad Armínio Fraga)
anche se gia interno alla equipe economica del primo governo Lula, alla Fazenda, di Nelson
Barbosa al Planejamento, di Armando Monteiro al desenvolvimento e della probabile Kátia Abreu
alla Agricoltura sembrerebbero coerenti più con un governo della opposizione che con quello
attuale.
Allo stesso tempo rappresentano la quota di centro della nuova compagine governativa che
poggia, come il segretario del PT Rui Falcão ha affermato in questi giorni, su una “disputa” interna
alla coalizione di governo.
Appare evidente che in gioco c'è la partita della governabilità in un quadro di realismo
politico in cui i numeri congressuali non sono favorevoli alla maggioranza di governo. Spunta
anche la domanda su una contrapposizione, non la prima ma forse ora piu evidente, tra Dilmismo e
Lulismo, soprattutto ora che col secondo mandato Dilma non è scontato che si trasformi in modo
automatico nella premessa del terzo governo Lula nel 2018. È una possibilità aperta, come altre
(contrariamente a quanto si poteva pensare in campagna elettorale).
Forse prevale nel governo un sano pragmatismo che abbatte i possibili eccessi di ideologia.
Al contempo una domanda resta ambiguamente inevasa: la decantata riforma politica, quella che
potrebbe in effetti mettere a tacere l'ondata di antipolitica che reagisce al vortice degli scandali di
corruzione,
conferire
maggiore governabilità
al Paese,
scongiurare la frammentazione
pericolosamente in atto, che futuro può avere con questi movimenti di ricentralizzazione, in una
fase di peemedebismo incalzante? Poca o forse nulla. A meno che, negli interstizi lasciati aperti
dalle riconversioni della politica, non si insinuino altre forze ed altri attori, come la storia del
Brasile -non solo quella recente- ha piu volte evidenziato.
È una variabile da considerare anche se sulla identità di questi attori poco si può dire e gia
nel passato recente i movimenti hanno mostrato debolezza nel trasformare le proprie istanze in
materia politica nazionale.
Il tempo è quello degli ossimori: dove i moderati fanno i radicali, la destra liberale cova
cupe tentazioni anche autoritarie, la sinistra si sposta di più al centro e affida i propri propositi di
crescita con inclusione (all'interno di un ciclo inaugurato dal presidente Lula e che oggi appare gia
sfuocato) alle ricette economiche della migliore tecnocrazia finanziaria (ma anche Lula, va detto,
fece lo stesso in altri tempi).
In questi tempi di contrari e rovesciamenti di prospettiva non resta che guardare alla vitalità
della democrazia brasiliana e alla possibilità che un giorno possa ripensare se stessa fuori dalle
pastoie che oggi sembrano inibirne la crescita e limitarne la forza.
Il 2018 è gia oggi.
[Roberto Vecchi]