TESI JACOPO BALLINI - LA SODDISFAZIONE

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TESI JACOPO BALLINI - LA SODDISFAZIONE
“La soddisfazione di sé e la scherma”
Tesi per l’esame di
Maestro di Scherma
di Jacopo Ballini
relatore Dott. Luigi Campofreda
sessione Gennaio 2010
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Introduzione
L’attività sportiva è una delle esperienze umane di indiscussa rilevanza culturale e
sociale. In essa, giovani e meno giovani, possono trovare elementi di soddisfazione
che passano dalla gioia della vittoria al piacere del sapere fare, dall’appagamento
per il personale benessere al divertimento condiviso.
Come moltissimi ragazzi anch’io, al raggiungimento dell’età di sei anni ho iniziato a
fare sport, ho iniziato a fare scherma.
La prima riflessione globale che mi nasce spontanea guardando il foglio bianco che
sto scrivendo è chiedermi come ho fatto ad arrivare, dopo tanti anni, QUI, ADESSO.
Qual è stato il percorso che mi ha portato a intraprendere la strada magistrale di cui
questa tesi sta a coronamento. Ma soprattutto qual è stato il filtro che mi ha legato a
questo sport in maniera indissolubile e tenace.
Sicuramente uno dei motivi principali è stato il crescere, al di là del significato fisico
del termine, ma morale ed educativo provando una profonda soddisfazione in quello
che provavo, in quello che andavo a fare, ripercuotendosi in tutta la mia vita anche
esterna alla palestra.
Intraprendere la carriera magistrale è dato anche dal trovare una somma
soddisfazione nel vedere di essere capace a trasmettere un insegnamento, un
messaggio; produrre una “soddisfazione di sé” che è generata non tanto dalla
difficoltà
dell’esercizio
praticato,
ma
dalla
sensazione
..”di
aver
provato”...di…”esserci riuscito”.. a ragazzi, bimbi e persone adulte.
Il mio maestro, ed anche l’unico, ha sempre avuto questo particolare stile di
insegnamento e, forse, di filosofia.
In questo lavoro, riconoscendo alla soddisfazione del sé una particolare valenza,
vorrei semplicemente descrivere quanto di questa “filosofia” ho compreso e quanta
parte di essa può servire alla disciplina schermistica, alla sua divulgazione ed
all’espansione culturale dei tecnici di scherma.
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Capitolo 1: La soddisfazione di sé
1.1) Il vissuto motorio.
L’ espressione “vissuto motorio” ha avuto, per me, un significato relativo fino ad ora.
Per intuizione capivo, in quelle occasioni in cui mi imbattevo in queste parole, che in
esse c’era sicuramente un senso profondo ma data la mia scelta professionale
primaria, quella dell’ingegneria meccanica, gioco forza, su di esse non ho mai posto
una particolare attenzione. Potrei aggiungere che negli anni di studi dell’obbligo e
ancor più in quelli liceali nessuno ha mai parlato con noi studenti del “vissuto
motorio”. Quando poi ho deciso di passare dalla vita di atleta a quella di istruttore di
scherma quelle parole le ho sentite più spesso: da altri maestri, da altri insegnanti,
ma soprattutto da Faustino Colombo, il maestro della Scherma Prato.
Lui è un convinto assertore del fatto che chiunque, in qualità di conduttoreinsegnante, abbia a che fare con persone che si dedicano nel loro tempo libero
all’apprendimento di uno sport, e nello specifico della scherma, non può esimersi
dalla responsabilità che questo rapporto tra insegnante ed allievo, implica.
Chiunque di noi abbia avuto la necessità di un dentista per curare una carie ha
operato una serie di scelte arrivando, comunque, ad una azione di fiducia nei
confronti di quel professionista al quale diamo credito per risolvere il problema del
momento. Il dentista dovrà agire secondo criteri di professionalità e deontologici tali
da curarmi e da convincermi della correttezza della mia scelta.
Anche per un insegnante si configura la medesima situazione.
In più, per motivi di tipo economico, societario, agonistico, l’allievo dovrà maturare il
piacere di fare e la convinzione di continuare perché, come sappiamo, l’esperienza
sportiva, e quella della scherma in particolare, richiede tempo. Non può essere un
fatto sporadico; e perché si crei questo legame l’insegnante deve porre in essere
quanto necessario perché ciò avvenga.
Eliminiamo subito dal campo un possibile dubbio: il fattore economico è importante;
un prestatore d’opera viene pagato in funzione del lavoro svolto e dei risultati che
con esso determina ma, quando utilizziamo l’espressione insegnante, o maestro, ci
riferiamo sicuramente ad un professionista che nel suo agire si ispira a
comportamenti etici per i quali si identifica la sua serietà professionale ed il metodo
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utilizzato ha come interesse primario quello di operare in favore della persona, o del
gruppo di persone, che in quel momento gli sono affidate.
Alla Scherma Prato il metodo adottato è quello della “soddisfazione di sé” che,
come vedremo, è costituita da sentimenti di adeguatezza nei confronti
dell’esperienza vissuta.
Questo modo di relazionarsi con le persone ha ancora più significato se pensiamo
al fatto che è molto più facile vedere in palestra giovani o giovanissimi che adulti.
Ecco perché le parole “vissuto motorio” hanno iniziato ad assumere un significato
profondo; in esse si racchiude un elemento dell’esistenza umana estremamente
complesso di cui dobbiamo tener conto.
Modelli ed ambienti sono le componenti che plasmano nel tempo le persone, quindi
aspetti educativi, sociali, culturali diventano essenziali nella costruzione di quei
sistemi attraverso i quali la persona esperisce la realtà.
La realtà, per ciascuno di noi, è ciò che viviamo, ovvero di cui facciamo esperienza,
ed il primo rapporto con la realtà, la propria realtà, è strettamente legata al
movimento. Fin dai primi giorni di vita l’azione motoria, se pur limitata, è
espressione e modo per interagire con il mondo circostante.
Attraverso il movimento entriamo in contatto con la realtà che ci circonda; ma la
realtà è diversa da persona a persona perché sulla medesima realtà ognuno opera
secondo l’esperienza del proprio vissuto, dei personali riferimenti educativi, sociali,
familiari unitamente a quella originalità biochimica che ci contraddistingue.
E questo avviene a prescindere dalle età.
Ciò che ho capito negli anni è che quando delle persone si affidano, o ci affidano
come nel caso dei genitori per i figli, all’attenzione di un insegnante ciò che spesso
vogliono è trovare piacere in ciò che fanno.
Per chi si occupa di sport è chiaro che l’aspetto motorio sarà preponderante, ma è
innegabile che in quella attività ci saranno componenti diverse (cognitive,
espressive, toniche,…) che produrranno in maniera positiva se l’insegnante saprà
far vivere un’esperienza di adeguatezza all’allievo.
Così la realtà vissuta può far sentire bene.
Contribuiscono al vissuto positivo la soddisfazione, la riuscita, il piacere del fare e
del provare.
E in questo senso l’insegnante ha un ruolo preminente perché in base a come
gestirà il vissuto dell’allievo potrà costruire elementi di competenza, di adeguatezza
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ed, in ultima analisi, di soddisfazione personale, innescando quei processi per i
quali la persona avrà di sé una immagine positiva. In tal modo si permette all’allievo
di vivere il movimento (e non solo) con sentimenti di disponibilità a provare di
nuovo, a ritentare per divenire di volta in volta più capace e all’altezza della
situazione.
Questo percorso in evoluzione contribuisce a stimolare l’apprendimento.
1.2) La percezione di adeguatezza.
Nel vocabolario Zingarelli, al verbo adeguare, si trova anche la striminzita
spiegazione di: verbo riflessivo – adattarsi.
Però percepire la propria adeguatezza non è solo sapersi adattare, verbo che
ricorda più la capacità di accontentarsi di quello che c’è: è sentirsi appagati,
gratificati, in qualche modo realizzati per aver compreso una forte sensazione di
sintonia con ciò che in quel momento stavamo vivendo.
E tale sentimento non si rivolge all’aspetto operativo, aver realizzato al meglio un
determinato movimento o esercizio, ma anche a quella condizione di relazione con
l’ambiente circostante che, come accade in una sala d’armi o in una palestra, è
condivisa con altre persone.
Qui per ambiente non intendiamo solo l’edifico in quanto immobile, ma anche il
rapporto che necessariamente si crea con gli altri.
Percepire adeguatezza è anche sentire che la relazione con gli altri, e negli altri
comprendiamo anche l’insegnante, produce in maniera costruttiva.
Al riguardo, ma ne parleremo più compitamente tra poco, particolare condizione di
soddisfazione si crea nel momento in cui ognuno si sente non giudicato.
Il giudizio, o l’idea di sentirsi giudicato, pone in essere sensazioni di imbarazzo che
frena non poco la volontà d’azione.
Ma torniamo al concetto di adeguatezza e raffrontiamolo al movimento.
Muoversi, tutto sommato, non è difficile, muoversi bene, invece, lo è molto di più;
muoversi in maniera efficace per risolvere le difficoltà proposte da un gioco o da
uno sport, considerando anche le applicazioni strategiche e tattiche, è decisamente
molto più complesso.
Ed allora è essenziale saper educare nell’ottica della percezione di adeguatezza, il
che non significa sapersi ancora muovere bene, significa stare bene con se, saper
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valutare quanto fatto in modo corretto, senza storture, ed avere la voglia di riprovare
per migliorarsi.
L’apprendimento sarà così probabilmente più rapido, non più facile. Sappiamo
benissimo
quante
difficoltà
e
quante
implicazioni
esistono
nell’azione
dell’apprendere ma per noi, nella pratica, costruire il desiderio di progredire, è già
un elemento di alta qualità nella direzione educativa.
1.3) La soddisfazione di sé.
Senso di adeguatezza, senso di competenza, senso di autonomia, senso di
evoluzione, senso di rispetto: questi elementi, ed altri ancora, messi insieme, fanno
nascere la soddisfazione del sé.
Qui è doveroso sottolineare che per soddisfazione di sé si intende una visione
onesta della propria persona e delle proprie azioni; non intendiamo una visone
distorta, talvolta “patologica”, che non ci riguarda per competenza, prendiamo atto
che questo modo di “viversi” esiste, ha una ampia gamma di modi di presentarsi,
ma non è materia di questa trattazione.
Sentirsi soddisfatti è una necessità di ciascuno; una condizione che chiunque
ricerca nel proprio vissuto.
I bambini piccoli reiterano azioni, giochi, parole perché a quei comportamenti sono
corrisposte delle gratificazioni che hanno innescato sia un sentimento di piacere
che una volontà di riprovare.
La soddisfazione di sé è legata al vissuto, al come ci si sente in quel momento e in
quella situazione.
E dato che al proprio corpo non si sfugge potremmo dire che le attività agite
lasciano un segno particolarmente marcato; le azioni sono esperienza del corpo e
dato che il corpo è tangibile, o meglio è la parte di me tangibile, anche le azioni che
attraverso esso vivo hanno un carattere particolarmente significativo.
Sotto questa prospettiva potremmo anche dire che la soddisfazione di sé è legata
alla strada percorsa, a quella particolare condizione per la quale comprendo la mia
evoluzione ed i miglioramenti che sono riuscito a produrre con le mie forze, il mio
impegno.
Avere coscienza della personale evoluzione, che sottintendiamo positiva, ha un
significato importante per chiunque perché non solo sentirsi adatti fa star bene, ma
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anche perché in questo processo l’individuo ha come referenza la capacità di
stimare la sua posizione.
E’ come quando si va in barca a vela; per sapere dove siamo è necessario
traguardare la posizione con costanti rilevamenti. Per arrivare in un determinato
punto è necessario passare per altri.
Per un allievo avviene la medesima cosa: dalla condizione di neofita a quella
osservata in quel momento si sarà sviluppato un percorso; quel percorso è
significativo
perché
è
vissuto
della
persona,
è
produzione
dell’impegno
dell’individuo e costituisce la prova concreta di una crescita.
1.4) L’ottica di ciascuno.
Le attività possono essere gestite in vario modo.
Ci sono docenti che praticano un sistema atto a far sentire alcuni elementi più bravi
di altri, valorizzando coloro che rispondono appieno alle aspettative e criticano chi
invece realizza risultati diversi .
Questo sistema tiene conto di qualcuno e si evolve in questa ottica.
Sottolinea i meriti, disapprova gli errori, stila classifiche relativamente al
superamento o meno di prove, considera il risultato buono come obbiettivo
raggiunto, tutto il resto è insufficiente.
Questo è un modo di insegnare, forse quello più estremo, che qui appare in
maniera caricaturale ma che nei fatti viene proposto. Lo prendiamo ad esempio
perché ci serve per il nostro ragionamento, non lo critichiamo ma prendiamo atto
che esiste. E’ un modo di essere, che può piacere o no, ma che c’è.
Altro metodo possibile, altro modo d’essere insegnante, è quello che si realizza con
la pratica “dell’ottica del ciascuno”.
L’insegnante, con la sua azione, può definire condizioni tali da trattare la realtà in
modo che ciascuno provi realizzazione per ciò che sa fare e per ciò che è.
Potremmo dire che l’insegnante è uno scultore che plasma una statua di creta
aiutandosi con la consapevolezza della stessa statua. Per farlo, però, non devono
essere né mortificate né criticate le capacità di partenza: gli allievi si presentano
sinceramente con il loro bagaglio di esperienze e con la disponibilità al fare e ad
accettare anche consigli e correzioni; se nella relazione con l’insegnante sentono
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che le loro capacità non sono giudicate ma affinate ecco che nell’animo della
persona si incide un positivo che incoraggia.
Produrre un’azione di insegnamento ispirata all’ottica del ciascuno significa
esercitare una particolare forma di rispetto per l’impegno che l’allievo profonde ed
una astensione reale dalla critica. L’insegnante può descrivere e dimostrare quale
tipo di azione intende che i suoi allievi realizzino, può giudicare, raffrontare e
consigliare su come ottenere miglioramenti, ma mai criticare e, forse soprattutto,
mettere in confronto. Non è detto che l’allievo più bravo in quel momento lo sia per
sempre così come non è certo che a fronte di ottime prestazioni motorie abbia
medesime capacità relazionali.
La critica gratuita ed il giudizio comparativo sono fonte di ulteriori incertezze che, a
loro volta, diventano sorgenti di altri errori; in tal modo si innesca un processo
negativo che porta ad un progressivo allontanamento dalla voglia di migliorarsi o,
peggio, porta ad una convinzione di non capacità.
Insegnare nell’ottica del ciascuno scongiura questa condizione negativa.
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Capitolo 2: Lo stile dell’insegnante
2.1) Il fattore dell’insegnante.
Abbiamo detto che attraverso la pratica dell’ottica del ciascuno si può produrre una
particolare condizione negli allievi per cui è possibile innescare sensazioni di
adeguatezza tali da far vivere una forte soddisfazione di sé.
Perché ciò avvenga è necessario comprendere l’importanza del fattore insegnante.
Prima di tutto l’insegnante è la persona che per ruolo ha le capacità e le
conoscenze per trasmettere gli elementi della disciplina. Per l’allievo il maestro è il
punto massimo d’arrivo che in quella materia si può raggiungere. L’insegnante è
riferimento e spesso punto di orientamento in cui si confida. Sappiamo bene che in
determinati periodi della vita i giovani, preadolescenti o adolescenti, sono portati a
dare maggiore credito a persone esterne alla famiglia e a provare una forte empatia
per altre figure di riferimento (allenatori, animatori di gruppi scout, insegnanti…) e
con esse si crea un legame profondo, talvolta paraverbale, ed è facile capire quanto
questa relazione è caratterizzata da momenti di estrema delicatezza, per cui non
sembra affatto sbagliato esprimere, alla luce di questa osservazione, che la
sensibilità dell’insegnante riveste un’importanza cruciale.
L’insegnante è anche la persona che certifica l’abilità dell’allievo: è lui che può dire
se una cosa va bene o no, è lui che attesta del miglioramento e indica se un
determinato obbiettivo è raggiunto o meno. Con le sue azioni l’insegnante diviene il
primo motore delle esperienze dell’allievo, fissa delle condizioni all’interno delle
quali si agisce ed è abbastanza evidente che tale condizione è direttamente
collegata alle motivazioni che animano lo stesso insegnante.
Perché qualcuno decide di insegnare? Perché, in un certo momento della vita,
sceglie di praticare una disciplina in maniera professionale?
Soldi? Passione? Ambizione? Comunque sia le motivazioni che animano un
insegnante hanno un qualche cosa di indefinito che, nella sostanza, determinano le
sue azioni e la sua relazione con gli allievi, con i genitori o i colleghi.
Noi diamo per assunto che l’insegnante agisce secondo principi etici, e di
conseguenza le sue motivazioni saranno etiche e legate direttamente al tipo di
vissuto che lui stesso ha fatto come persona.
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Conferma, questa, che l’insegnante nel determinare il vissuto degli allievi ed
orientando le percezioni della realtà che in quel momento viene vissuta, mette in
gioco se stesso e pone in essere una relazione di alto significato, sia pratico che
simbolico.
Per questo parliamo del fattore dell’insegnate, volendo significare che laddove
esista un pensiero sensibile sull’arte dell’insegnamento, si crea un prodotto di alta
qualità fatto di relazioni umane positive. E questo aiuta un migliore apprendimento
e, forse, anche una migliore prestazione sportiva.
Innegabile il fattore età intendendo che all’avanzare del tempo aumentano anche le
conoscenze e si potenziano le capacità sia operative che di gestione degli allievi.
Io credo con convinzione che l’insegnante cresce con gli allievi, non solo dal punto
di vista anagrafico. Anche se ho avuto la fortuna di avere un buon maestro, almeno
in questo campo, nel momento in cui io mi produco come insegnante, immetto
nell’agire quella parte di me che ha elaborato ciò che ha capito, produco la mia
relazione, agisco in conformità con le mie motivazioni.
In qualche modo personalizzo il mio agire da maestro innestando quanto appreso
con quanto ho direttamente provato e con quanto deriva dalla mia capacità di auto
analisi evolvendo, così, come persona.
2.2) La “soddisfazione di sé” dell’insegnante.
In precedenza ho sostenuto che il metodo dell’ottica del ciascuno contribuisce a far
vivere particolari condizioni di adeguatezza che portano alla coscienza di una
soddisfazione di sé.
Per farlo l’insegnante agisce, con modi ed azioni che vedremo in seguito, al fine di
far vivere una particolare condizione di sé positiva.
Un insegnante è certamente animato da motivazioni personali, spesso difficili da
esprimere, che lo entusiasmano fino al punto di sentire il piacere di spendersi in una
determinata situazione. Questa attivazione fa vivere una particolarissima condizione
di qualità: torna il senso di adeguatezza che l’insegnante prova per se stesso e che
lo fa sentire realizzato.
Ma se una persona riesce a produrre questo pensiero, su se stesso, è verosimile
che impari a leggere la medesima condizione anche negli altri.
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Sentirsi capaci, vivere una condizione di particolarità di sé, comprendere la
rilevanza della propria azione, anche attraverso il dialogo con i colleghi, consolida
una forma di pensiero che valorizza il proprio vissuto e, nel contempo, lo riconosce
anche negli altri.
Potremmo definire questa condizione “sensibilità”.
Essere un insegnante sensibile non significa avere qualità straordinarie, ma denota
avere una particolare attenzione sul valore delle esperienze.
Nel corso di laurea presso la facoltà di scienze della formazione di Reggio Emilia, il
Professor Serafino Rossini, chiama quest’aspetto “cura di sé” e lo definisce come
un impegno professionale, doveroso, di altissimo valore. Secondo Rossini per
arrivare a questa condizione di prerogativa si può prendere le mosse da situazioni
che hanno una particolare importanza per se stessi oppure da distanziamenti
rispetto a temi comuni per arrivare a realizzare condizioni tali per cui è possibile
sentire una particolarità di sé importante…………………………
In tal modo è garantita la capacità di vedere anche negli allievi le stesse condizioni
di costruzione di soddisfazione e di particolarità.
2.3) L’esperienza dell’insegnante.
Qui, per esperienza, non intendo quella legata agli anni di pratica della professione,
agli aggiornamenti, agli studi, alla formazione, pur ritenendo essenziale che la
somma di tutti questi fatti contribuisce a costruire una maggiore e più forte capacità
di intervento, intendo, invece, quella condizione per la quale l’insegnante agisce con
una particolare cura di sé.
Non credo esista una vera scissione tra la persona ed il professionista; penso
invece che le due entità sono compatte e che sia molto difficile riuscire a dividere la
vita di tutti i giorni da quella professionale, pensando anche al fatto che l’insegnante
sportivo, o quello di attività motoria, e a maggior ragione il maestro di scherma, in
virtù di una relazione umana molto profonda e particolare, mettono in gioco anche
quella parte di sé stessi che è la loro stessa vita.
Spesso, si sente parlare dell’arte dell’insegnare, o meglio, che insegnare è un’arte.
L’arte è una produzione di altissima qualità che produce una forte soddisfazione
interiore, nella cui realizzazione si percepisce non solo uno stile personale ma
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anche una particolare qualità si sé. La domanda conseguente potrebbe essere:
perché, allora, insegnare è arte?
Personalmente, a questa domanda, viene da rispondere in questo modo: insegnare
è arte perché gli elementi che sono mescolati per il raggiungimento di un particolare
obbiettivo sono fatti di materie che apparentemente sono difficili da amalgamare.
La percezione della realtà da parte dell’allievo, la percezione della realtà così come
la vive il maestro, la situazione, le difficoltà, i desideri, le crisi, l’ambiente,
l’educazione, sono i “colori” con cui l’insegnante ha a che fare e che, per un fattore
probabilmente inspiegabile, riesce a dominare, unire e convogliare verso un’azione.
Torna ancora una volta l’aspetto imponderabile della professione: le motivazioni per
le quali una persona si spende con piacere per gli altri hanno sempre una parte che
non può essere espressa con le parole ma che esiste e, forse, in ultima analisi è il
motore primario che muove l’insegnante.
Continuo a sostenere che la ricerca della soddisfazione di sé, o meglio l’azione
dell’insegnare fatta secondo l’ottica del ciascuno, è una produzione professionale di
estrema importanza; perché ciò avvenga è importante che lo stesso insegnante si
alleni con costanza ad applicare su se stesso le medesime attenzioni.
E’ il principio della bottega dell’arte che nella rinascimentale Firenze veniva
proposta dagli artigiani ai giovani apprendisti; gli allievi, i quali pagavano per
imparare la professione, erano incoraggiati non solo a dominare la materia,
soggetto della professione stessa, ma a costruire ed inventare, esclusivamente nel
tempo libero, nuove forme ed idee. In questo modo si insegnava a comprendere a
fondo sia i limiti che le personali capacità. I più dotati si sono chiamati Michelangelo,
Donatello, Vasari, gli altri, i cui nomi sono rimasti sconosciuti, hanno in ogni caso
lasciato indelebili testimonianze di una capacità artistica ed operativa senza uguali:
pensiamo ai capitelli delle colonne, ai mosaici delle pavimentazioni delle chiese, agli
intarsi di pietra dura.
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Capitolo 3: Intermezzo
3.1) La scherma e la soddisfazione di sé.
In ogni sport la “soddisfazione di sé” è presente ma nella scherma, secondo me, i
fattori da analizzare sotto questo punto di vista sono più numerosi, più complessi e
più profondi nel suo significato.
Il bambino che si affaccia al mondo della scherma viene attirato soprattutto dai
mezzi con cui facciamo il nostro sport: le armi; infatti il primo punto da analizzare, o
meglio il primo ritorno che un bimbo ha è il recupero del gioco
Noi tutti, da piccoli, brandendo un bastone, una scopa, o nel periodo carnevalesco
piccole spadine di plastica dei costumi, ci siamo sfidati e abbiamo interpretato eroi
dei fumetti o telefilm che utilizzavano appunto armi che li caratterizzavano (Zorro
con la sua sciabola, Lady Oscar la spada e i Tre Moschettieri).
Qualsiasi “attrezzo” utilizzato per fare uno sport è il fulcro, la chiave che attira
maggiormente; posso pensare anche ad altri sport come lo sci, tiro con l’arco ecc
ecc. che affascina e tira fuori da dentro di noi la nostra inesauribile voglia di giocare,
incanalando il gioco in regole ben definite.
Riuscire a controllare il proprio mezzo (la propria arma) con padronanza e con una
gestualità adeguata, provoca indubbiamente una soddisfazione recondita, un
assoggettare il mezzo al proprio volere; non sentendo la sensazione di “incompiuto”
che può provocare il brandire la famosa arma dei giochi così senza senso e senza
un obbiettivo finale.
Il mezzo adesso ha un senso compiuto, una sua importanza primaria per arrivare al
fine del nostro sport dando un significato a tutti i movimenti e un nome (e senza
rischiare di accecare qualcuno).
Secondo punto da analizzare molto presente nella scherma è la capacità di poter
constatare i propri miglioramenti.
Analizzando a 360° questa caratteristica non bisogn a soffermarci sulle vittorie o
sconfitte che uno dà o subisce in gara o allenamento ma dai piccoli gesti che il
nostro sport ci contraddistingue.
Inizialmente la scherma è molto complessa, piena di nozioni, nomi, posizioni difficili
e quasi ridicole agli occhi del bimbo che si avvicina al nostro mondo ma che
affascinano e creano un legame molto solido che durerà per molto tempo; è anche
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uno dei pochi sport dove nessuno conosce le regole, quindi appena inizi a
spiegare, l’allievo scopre e impara per la prima volta metodi e regolamenti che
prima non era a conoscenza e nemmeno si era potuto immaginare. Pian piano che
passa il tempo e viene appreso lo sport, lo stare insieme, il condividere esperienze
all’interno del gruppo, ci si accorgerà che il miglioramento tecnico è percepito anche
dall’allievo, che riuscirà a capire quando sbaglia o quando sta eseguendo una cosa
giusta. Provocando una grande sensazione di “essere capace” e una sviluppata
conoscenza del proprio corpo.
3.2) L’insegnante di scherma.
L’insegnante è chi, con il suo modo di agire, determina la positività o la negatività
dell’esperienza degli allievi. Le attività possono essere gestite in vario modo:
docenti che praticano “l’ottica del qualcuno” mentre altri praticano “l’ottica del
ciascuno”.
L’insegnante, con la sua azione, può definire condizioni tali da trattare la realtà in
modo che ciascuno provi soddisfazione per ciò che sa fare e per ciò che è.
La realtà, per ciascuno di noi, è ciò di cui noi facciamo esperienza e questo sentire
dire è diverso da persona a persona.
Favorire l’esperienza positiva contribuisce a determinare la sensazione di
adeguatezza, di crescita, di piacere, di abilità.
Queste sensazioni positive aiutano a creare un’ immagine di sé positiva e l’unione
di vissuto positivo e di immagina di sé positiva determinano la formazione
equilibrata della persona.
Sentirsi bene, capace, adeguato è la base per costruire personalmente quei punti
necessari a nuovi successi.
Si amplifica così la disponibilità alla sperimentazione e a provare il nuovo, la
fantasia si sviluppa e il pensiero si allarga favorendo i nuovi apprendimenti.
Sentirsi adeguato significa appoggiare i piedi su solide basi che gli permetteranno
anche di reggere il confronto con gli altri, di sostenere il giudizio, di produrre
autocorrezioni e nuove strategie; indipendentemente dall’età, ognuno di noi cerca di
trovare una soddisfazione di sé.
L’insegnante che vede, percepisce la soddisfazione di sé in se stesso è più abile a
riconoscerla negli altri.
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Capitolo 4: La divulgazione della scherma
4.1) La scherma “pubblica”.
I movimenti istintivi che l'uomo, impugnando un'arma, cominciò a rivolgere contro
l'avversario per colpire e per non esserne colpito, eseguiti istintivamente, poco o
niente avevano in comune con la scherma, intesa e definita quale arte e scienza di
aggredire e di difendersi. Certo agli antichi Greci, nella loro devozione al connubio
dello sviluppo di corpo e intelligenza, non sfuggì la necessità dell'addestrarsi alle
armi, come indispensabile preparazione ad un conflitto armato sul campo di
battaglia
vero.
Per
questo
esistevano
palestre
dedicate
alla
pratica
e
all'allenamento nel maneggiare le armi. Tracce dell'arte della scherma come
disciplina autonoma, anche se ancora rudimentale, si trovano in Italia a partire dal
XII secolo.
Spetta all'Italia e non alla Spagna (le discussioni in proposito sono
esaurite) il vanto di aver fatto assurgere la scherma a sistema, per opera del
maestro friulano Fiore dei Liberi da Premariacco, il quale scrisse un "Codice di
schermo" nel 1410: cominciava a delinearsi un cambiamento nella natura del
combattimento rispetto a quello rude e brutale del basso medioevo, allorquando il
braccio più forte e la spada meglio temprata avevano il sopravvento. La civiltà del
Rinascimento portò gentilezza nelle esercitazioni delle armi, introducendovi decoro
e grazia, dando risalto alla finezza della gestualità e all'eleganza dei movimenti. E
così, ad alta rinomanza, salirono nel cinquecento i maestri armigeri italiani, chiamati
ad insegnare la loro nobile arte agli aristocratici delle varie corti di tutta Europa. Il
'600 e' da considerarsi il secolo d'oro per quest’arte, che vide la nascita di fiorenti
scuole anche in Inghilterra, in Francia ed in Germania. Nel '700 si ebbe il declino
dell'arte schermistica, per il perfezionamento delle armi da fuoco che portarono in
secondo piano l'uso delle armi bianche. Nei secoli a seguire le varie scuole si
perfezionarono, ci furono persino duelli fra maestri di scherma, italiani e francesi
(Moro e Robbiati, Pessina e Merignac), provocati da aspre discussioni sulla priorità
di sistemi. Ora, dall'avvento delle Olimpiadi moderne, nelle quali la scherma è
sempre stata presente, lo schermitore è più atleta che artista, ma nel suo animo
l'orgoglio di appartenere ad uno sport tanto antico gli permette di eseguire, talvolta,
azioni a regola d’arte.
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Il modo di fare scherma ha subito tantissimi cambiamenti, da puro duello fra due
persone a sport olimpico e ancora sta cambiando, mutando, evolvendosi al passo
dei tempi che stiamo vivendo; il motivo finale ha preso molte strade! Prima chi
iniziava questo sport era portato o per suo spirito combattivo o per condizionamento
del maestro a avere un fine solo ed esclusivo di agonismo. Imparare la scherma era
per riuscire a battere e vincere poi nella competizione, nella gara l’avversario che ti
si poneva davanti. Ecco perché è rimasto per moltissimi anni sport di “nicchia” per
non dire di “elite” frequentato da poche persone che si sentivano particolarmente
affini a questa disciplina.
Adesso invece esistono molti modi di fare e di intendere la scherma che sfruttano il
nostro sport per la loro complessità, disciplina, bellezza, gestualità e forse la cosa
più importante per l’atletismo. Scuole di scherma vertono il loro insegnamento non
soltanto per portare i propri atleti alle gare che avvengono in Italia durante la
stagione agonistica ma per altri scopi quali: il mantenersi in forma, per la
scenografia che la scherma interpreta nella sua bellezza, per il rimettersi in gioco in
uno sport di così antiche e nobili origini, dopo anni di stop o peggio ancora dopo
incidenti che hanno cambiato il corso della vita.
Ecco che nascono diversi modi di intendere la scherma; denominandosi con
“scherma fitness” “scherma teatrale” e “scherma per disabili”.
Il primo modo verte soprattutto su un mantenersi in forma con la scherma, un po’
per moda un po’ per unire la conoscenza di un nobile sport all’esercizio fisico di
base. Molti maestri sono “costretti” ad adottare questa forma di insegnamento
anche per i budget limitati che la scherma ha, quindi per poter mandare avanti
economicamente la palestra devono integrare i corsi agonistici con questi tipi di
corso.
La scherma teatrale consiste nella creazione e preparazione di giochi schermistici
(coreografie di combattimento), basate sui principi della scherma storica, da
eseguirsi
in
manifestazioni,
palii
storici,
rievocazioni,
opere
teatrali
e
cinematografiche, o esibizioni analoghe.
La scherma in carrozzina invece è un vero sport agonistico paragonabile alla
scherma agonistica di alto livello.
I gesti tecnici sono uguali a quelli dei normo dotati, fatta eccezione per l’affondo.
16
Essendo praticato esclusivamente in carrozzina, è uno sport essenzialmente statico
sebbene gli atleti abbiano un’ampia possibilità di movimento della parte superiore
del corpo e la rapidità dei movimenti è la stessa della scherma praticata in piedi.
Questo sport può essere praticato quindi da persone con amputazione agli arti
inferiori, lesioni midollari, e cerebrali.
4.2) La scherma nella società schermistica.
Questo è un quadro generale di come è formata una qualsiasi società schermistica
italiana.
Innanzi tutto le società di scherma non sono a fini di lucro, vengono agevolate nel
loro sviluppo dalla F.I.S. la Federazione Italiana Scherma e fondamentalmente
mantenute dai soci.
La società di scherma è costituita innanzitutto dal maestro di scherma, senza il
quale l’attività schermistica non avrebbe modo d’esistere, quindi il Presidente, il
Vice-Presidente i consiglieri, il segretario, ed i soci, la società quindi presenta uno
statuto alla F.I.S. Naturalmente ci sono gli atleti che fanno parte dei soci.
Il Maestro di scherma normalmente si avvale, per la preparazione fisica e le attività
ludico-motorie, di collaboratori i quali possono avere o meno esperienza, possono
essere diplomati ISEF o oppure essere ex atleti aspiranti maestri di scherma.
L’attività schermistica si svolge nella “sala di scherma”, chiamata così in quanto in
passato i maestri di scherma tenevano le lezioni di scherma in prestigiosi saloni
nobiliari, oggi si può azzardare e chiamarla palestra di scherma, andando un po’
contro i maestri più tradizionalisti.
Per partecipare alle attività schermistiche è necessario un certificato medico,
mentre per partecipare alla competizioni ufficiali della F.I.S. è obbligatorio il
certificato medico per lo svolgimento delle attività agonistica.
Nello svolgimento delle attività schermistiche, gli atleti sono divisi in base all’età
anagrafica, soprattutto fino all’età adolescenziale, e la loro attività si svolge,
generalmente, nel seguente modo:
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· preparazione fisica o attività ludico-motoria;
· pre-schermistica;
· lezione di scherma con il maestro di scherma;
· assalti in pedana, per chi ha acquistato capacità tecniche e fisiche tali che gli
permettano di sostenere un incontro di scherma.
Nella palestra di scherma ci sono le pedane dove si svolgono le lezioni con il
Maestro e gli incontri (altrimenti chiamati assalti) tra gli schermidori, quindi spesso è
presente uno spazio per le attività fisiche e ludico-motorie ed attrezzature per il
potenziamento muscolare. Le palestre hanno naturalmente gli spogliatoi che
dovrebbero essere in regola con le norme sanitarie. In genere nelle palestre di
scherma viene allestito un ufficio segreteria per svolgere le principali attività
burocratiche, molte società di scherma hanno anche un sito internet.
Nel corso dell’anno la F.I.S. organizza competizioni a partire dai 10 anni in su, alle
quali possono partecipare tutti gli atleti in regola con le norme sanitarie e con lo
statuto della società.
4.3) La scherma nella scuola.
La scuola racchiude una vasta offerta di possibili attività di inserimento della
scherma nel piano dell’offerta formativa degli istituti scolastici, pubblici o privati di
ogni ordine e grado. Negli ultimi anni il pubblico dei giovani e dei giovanissimi si è
maggiormente avvicinato alla scherma, sport spettacolare e coinvolgente, capace di
regalare emozioni che affiorano dal profondo di chi lo pratica. La scherma nella
scuola si presenta come un percorso didattico completo, coniugando la riscoperta
dei valori storicamente legati all’insegnamento della scherma al progressivo
formarsi dell’identità culturale dell’allievo attraverso una sana pratica sportiva.
Tre sono le preoccupazioni normalmente legate all’immagine pubblica della
scherma: i costi elevati, la presunta pericolosità e la percezione di inadeguatezza
della scherma quale sport formativo adatto a tutti. Nessuna di queste considerazioni
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è corretta. L’incidenza di traumi causati dalla pratica della scherma è inferiore a
quella patita da altre categorie di sportivi. La scherma, pur essendo uno sport di
opposizione, non è sport di “contatto”: è l’arma a mediare infatti lo scontro con
l’avversario. Se poi la scherma, dal punto di vista educativo, possiede
caratteristiche specifiche e non necessariamente migliori di quelle riscontrabili in
altri sport, essa non può comunque essere considerata uno sport di elite. Negli
ultimi decenni i progressi nei metodi didattici e la riduzione dei costi hanno reso la
scherma uno sport completo e adatto a tutti. L’operatore che andrà ad intervenire
all’interno dell’edificio scolastico dovrà tener conto che il primario obbiettivo non
sarà quello di allenare, o peggio addestrare, i ragazzi alla scherma, ma quello di
prediligere l’aspetto formativo morale del movimento: far nascere cioè sentimenti di
aggregazione, convivenza, dialogo con i compagni, condivisione di esperienze e
emozioni, rispetto di persone e regole, crescita nell’autonomia e nell’autostima,
responsabilizzazione, attenzione, concentrazione, collaborazione, nonché sviluppo
delle capacità motorie e di coordinazione generale.
19
Capitolo 5: L’espressività
5.1) Cos’è l’espressività.
L’espressività è la qualità di chi manifesta chiaramente ed efficacemente con atti e
parole i propri caratteri, i concetti, i pensieri, gli stati d’animo.
Si potrebbe anche affermare che è il modo in cui ognuno di noi si rapporta con il
mondo esterno, dal quale veniamo a nostra volta influenzati; i modi di conoscere e
farsi conoscere dalla realtà circostante.
Il mezzo di tale rapporto è il nostro corpo e l’espressività è il linguaggio che usiamo:
un sistema complesso di regolazioni del tono muscolare, dell’atteggiamento
posturale, della voce, della mimica facciale e gesticolatoria, della distanza
personale e quindi anche dell’uso dello spazio circostante, ma anche il modo di
vestire, di truccarsi, di pettinarsi e così via.
In realtà da strumento principale, se non unico, che è proprio del neonato il
linguaggio del corpo, parallelamente alla crescita e allo sviluppo culturale della
persona, diventa un paralinguaggio affiancando quello verbale per arricchire la
comunicazione nella vita quotidiana.
Il linguaggio espressivo con la crescita va a distinguersi in due forme motorie: la
prima fa riferimento alla organizzazione prassica dello spazio-tempo, vale a dire
produrre il “gesto utile” finalizzato ed adattato, funzionale nel gioco motorio (che si
tradurrà nella corretta esecuzione del gesto tecnico atletico-sportivo) e creativo
nell’arte plastica e costruttiva.
La seconda corrisponde ad una gestualità comunicativa intenzionale, dettata cioè
dal sistema di regole determinate dal contesto in cui si opera.
Molti studiosi si sono occupati di come l’espressività può essere utilizzata a fini
educativi, di come può essere d’aiuto nelle relazioni interpersonali. Una di queste
discipline è la psicomotricità; essa si divide in tre branche: educativa, rieducativa,
terapeutica. Per seguire il filo del discorso che ci riguarda strettamente ho separato
gran parte della descrizione psichica (fondamentalmente perché intesa come
terapeutica) e privilegiato l’aspetto motorio. Il lavoro psicomotorio allora, tramite
attività concrete basate essenzialmente sul gioco spontaneo ed espressivo, ha
l’obbiettivo di realizzare spazi di sicurezza e benessere, fiducia nelle personali
capacità di azione, far provare esperienze piacevoli del proprio movimento e
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condividerle con gli altri per creare un immagine di sé positiva. L’espressività
psicomotoria è quindi il modo unico ed originale dell’individuo di essere al mondo
nella sua sensorialità, affettività, vita immaginaria, sviluppo intellettivo.
Comunicazione, creazione, pensiero operativo sono quindi fattori costituenti
l’espressività:
•
La comunicazione presuppone l’ascolto e quindi una situazione di
benessere priva di tutte le tensioni ed è la capacità di accogliere e
rispondere adeguatamente alle sollecitazioni esterne;
•
La creazione riguarda una produzione gestuale, vocale , grafica,
sonora diretta a sé e agli altri, serve a liberare le tensioni per creare
comunicazione e riconoscimento;
•
Il pensiero operativo sovrintende alla capacità di analisi e sintesi.
Un riscontro di cosa è l’espressività lo troviamo pure nella letteratura: scrittori
centrali del Novecento (Moravia, Calvino, Sanguineti, Morante, Pasolini) hanno
illuminato aree di attenzione diverse del corpo o sue modalità espressive,
facendone zone e modi con cui il corpo è riuscito a parlare linguaggi sempre diversi;
mescolanza di generi, trasformazioni, perversioni e comicità sono i modi attraverso
cui il corpo ha parlato, in competizione con le forze dominanti della morale e del
potere.
5.2) L’espressività e la scherma.
Il Maestro Musumeci Greco, continuando la tradizione di famiglia che li vede
maestri d’arme dal 1878, sul suo sito web scrive:
<< La scherma è una disciplina che esalta lo scontro a due, l’antico duello, come
forma di spettacolo quasi acrobatico che oggi si sublima in una tecnica elegante
che produce gesti atletici fulminei e precisi. Sport di antichi valori, fascinoso,
evocatico e coinvolgente, la scherma può essere considerata come una forma
d’arte magistrale. Una sorta di danza letale, naturalmente coreografata. Molto più di
un semplice sport, un’arte. Infatti la scherma prima di essere uno sport è un’arte,
prima di formare l’atleta esige l’artista>>
La scherma moderna è a tutt’oggi solo sport e il “duello” non è più l’”ultima ratio”
con cui risolvere insanabili questioni rischiando la vita o procurando lesioni fisiche
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per l’onore personale; del duello è rimasta la sola metafora del sangue: far
accendere la luce colorata dell’apparecchio sta a significare che, in effetti, ho colpito
il mio avversario. Tutto il contorno è cambiato, però lo schermidore rimane l’attore
principale sulla pedana, sappiamo infatti benissimo quanto sia importante la
“teatralità” sul luogo di gara, nei confronti dell’avversario, ecc…Una finta portata con
decisione e aiutata dal movimento del corpo che vuole dare l’idea di voler toccare
davvero susciterà nell’avversario una reazione maggiormente spontanea, quella
cercata per mettere in atto la nostra azione, per esempio un controtempo.
Nell’assalto l’atleta cercherà sempre di ingannare l’avversario (sempre nel rispetto
delle regole!) di dissimulare le sue reali intenzioni per poi portare la stoccata nelle
condizioni ottimali che aveva immaginato, adotta una particolare mimesi corporea,
che può prendere ispirazione o a tendere di imitare le movenze di un campione di
riferimento, ma che poi sarà sostanzialmente unica da persona a persona,
peculiarità e bagaglio tecnico di ogni atleta.
5.3) Tipologia di lavoro.
L’utilizzo dell’espressività all’interno delle società schermistiche può essere visto
come un lavoro principalmente iniziale, rivolto ad un gruppo di bambini che si
pongono per la prima volta a contatto con questo sport. Serve per dare un impronta
al nuovo gruppo che si viene a formare, dare una semplice conoscenza dei
componenti che ne fanno parte e della figura che li guida, nel nostro caso il
maestro.
I giochi espressivi possibili svolgendo questo lavoro con un gruppo sono tanti e
variabili alle caratteristiche del gruppo; sta all’insegnante con la sua esperienza,
motivazione, capacità di coinvolgimento, modificare la struttura delle prove e dei
giochi a suo piacimento. In questo preciso istante che l’istruttore deve porre una
particolare attenzione su alcuni aspetti importanti che vengono fuori dal gruppo e
quindi vanno affrontati e analizzati per trarre vantaggio : aggregazione fra i
componenti, rispetto (di regole e persone) responsabilizzazione, imbarazzo e
comprensione.
Questi giochi sono alcuni spunti di lavoro facilmente attuabili, attinenti strettamente
alla scherma, oppure integrabile a seconda dell’intenzioni del maestro con elementi
schermistici.
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Giochi espressivi:
-LE STATUE
I
ragazzi
camminano
all’interno
di
uno
spazio
delimitato,
allo
“STOP”
dell’insegnante si fermano. Di volta in volta si aggiungono regole semplici tipo: non
ci si tocca, non si parla, si deve utilizzare tutto lo spazio a disposizione, allo stop ci
si ferma a coppie toccandosi per la schiena. Progressivamente si deve arrivare alla
fase di statue, dove il controllo è totale: l’allievo non deve muovere niente del
proprio corpo. L’insegnante cambiando il ritmo e le andature, potrà dare le
indicazioni del lavoro con :voce, rumore, musica.
Raggiunto un discreto grado di controllo da parte del gruppo, l’istruttore potrà agire
da elemento di disturbo cercando far sbagliare gli allievi.
-SALUTO DEL GUERRIERO
I ragazzi si trovano in un cerchio stretto; a turno uno per volta, quando desiderano,
un allievo si porta davanti ad un compagno, si inchina col busto ed esclama con
voce alta e sicura “Grazie!”. Il compagno così salutato lascerà il suo posto nel
cerchio e farà lo stesso con un altro compagno
-SALTO REI
Ogni allievo, a turno, davanti ai compagni seduti in semicerchio, si produrrà nella
recita di un terribile guerriero. Partendo da fermo, solo quando si sente pronto ed
ottiene il silenzio e l’attenzione dei compagni, spiccherà un salto e, nel contempo, si
produrrà in un urlo “terrificante”. Appena avrà preso contatto con il terreno si
trasformerà nella statua spaventosa di un samurai che affronta i suoi nemici.
L’allievo che interpreta non potrà mai perdere la posizione di statua, dovrà fare di
tutto per essere credibile e non dovrà farsi distrarre da ciò che lo circonda.
-IL CIECO E LA GUIDA
A coppie. Uno fa il cieco, l’altro la guida. Il cieco, mantenendo per tutta la durata del
gioco gli occhi chiusi, si lascia guidare da l’altro, che tenendolo per mano,
assolutamente senza parlare, lo porterà in giro nello spazio di gioco tra le altre
coppie, facendo in modo che eviti i possibili ostacoli o si scontri con gli altri. Dopo
un po’ i ruoli si scambiano.
La guida potrà dare indicazioni al cieco anche con segnale diverso e concordato
(un rumore, un soffio sul viso, chiamando il suo nome) questi seguirà quelle
indicazioni e si lascerà dirigere. Poi, ovviamente, si scambiano i ruoli.
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La prima lezione può benissimo includere anche una presentazione generale della
disciplina schermistica, con blanda introduzione di posture e movimenti (guardia,
passo avanti, passo indietro, affondo).successivamente possiamo passare da
semplici esercizi per imparare le varie posture e movimenti a prime forme di
combattimenti
(fioretto di plastica) in cui enunceremo regole e convenzioni,
educheremo al loro rispetto e insegneremo ad arbitrare ad accettare giudizi ad
allenare all’auto valutazione.
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Capitolo 6: Tipologia di lavoro
6.1) Il metodo.
La parola “metodo” implica che una determinata proposta, applicata in una
determinata situazione con sistemi, tempi e di indicazioni date, arriva ad ottenere
comunque una risultanza positiva.
Per me questo assunto non è del tutto vero: il legame con la specifica realtà in cui si
opera, l’osservazione delle dinamiche del gruppo con il quale si interagisce e le
peculiarità dei singoli individui fanno si che più che il metodo l’insegnante deve aver
chiaro il tipo di percorso che può realisticamente attivare.
L’atto dell’insegnare è un momento di relazione umana di particolare importanza e
nella relazione umana non penso che vi possano essere “ricette” valide o metodi
operativi riproducibili in modo pedissequo: è nella sensibilità di chi insegna riuscire
a calibrare un metodo che funzioni in una precisa situazione.
Per farlo, in ogni caso, esistono procedure ed azioni che sono comuni a molte delle
espressioni didattiche, quindi chi insegna farà ricorso a:
CICLI DI ATTI CON MATERIALI
CICLI DI GIOCHI STRUTTURATI AGONISTICI-OBLIQUI
CICLI DI GIOCHI STRUTTURATI COOPERATIVI-OBLIQUI
CICLI DI GIOCHI DI CONTATTO
CICLI DI GIOCHI ESPRESSIVI
Con l’espressione “obliquo” si intende l’agevolazione che è possibile apportare ad
uno gioco o ad una competizione col fine di consentire a tutti gli allievi di poter
riuscire in un compito senza avere l’evidenza dell’incapacità. Ad esempio
immaginiamo il salto in alto; l’asticella da superare è messa parallela al pavimento e
in caso d’errore questa cade sottolineando la non riuscita del compito assegnato.
Se invece l’asta sarà posta in modo obliquo, quindi più bassa da una parte che
dall’altra, l’allievo avrà modo di scegliere da che parte saltare (operando così una
forma di auto-valutazione) sentendosi libero di poter esprimere quello che ritiene più
adeguato a se stesso in quel momento ed avere la tranquillità di aumentare
l’impegno in prove successive.
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L’attività didattica sarà condotta dall’istruttore che, a secondo dei casi, avrà modo di
scegliere quale sistema più si addice al momento; avremo cosi questi tipi di
conduzione:
DIRETTIVA
ESPLORATIVA
STIMOLANTE
“AGGANCI”
COSTRUTTIVA
DIMOSTRATIVA
ACCENTUATIVA
RIPETITIVA
ESPANSIVA
CONDIZIONANTE
CORRETTIVA
L’operato dei ragazzi sarà la fonte costante dell’osservazione dell’insegnate, i suoi
interventi avranno il chiaro obbiettivo di far evolvere al meglio le capacità di ogni
allievo o di tutto il gruppo. Quindi opererà una scelta per cementare situazioni
positive mettendo in pratica un sostegno che qui definiamo “rinforzo”
RINFORZI
COME VALORIZZAZIONE della riuscita, del comportamento, della validità del
lavoro, con:
COMMENTO VERBALE POSITIVO: al singolo, al gruppo, al singolo davanti al
gruppo
INTERESSAMENTO VERBALE:testimoniando la soddisfazione
INTERESSAMENTO NON VERBALE: fatto con lo sguardo, con la mimica del viso e
del corpo
EVIDENZIAZIONE: sottolineando, rimarcando, ricordando
COME DOCUMENTAZIONE affinché l’evoluzione positiva non si perda con:
REGISTRAZIONI CON DISEGNI
REGISTRAZIONI CON SCHEDE PRESTAMPATE
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REGISTRAZIONI CON PLASTICI: costruzioni fatte dagli allievi con materiali per
simboleggiare la positività del momento
REGISTRAZIONI DELL’ISTRUTTORE
MORALE:
COME INCORAGGIAMENTO
RIMEMORIZZAZIONE
RIEVIDENZIAZIONE
GIOCO-SIMPATICO
RESPONSABILIZZAZIONE
COMPLICITA’
Chiunque insegna sa perfettamente che non pochi sono i momenti di crisi che
devono essere affrontati. Con questa definizione intendiamo riassumere quei
comportamenti, quelle azioni, quei momenti in cui il gruppo, o una parte di esso, o
un singolo allievo, pone in essere atteggiamenti che creano scompiglio. E a scuola
avviene spesso……
L’istruttore dovrà intervenire e, come si dice, gestire la situazione. Qui sarà la sua
attenzione, la sua sensibilità, la sua conoscenza del gruppo a farlo decidere su
come agire, in genere i sistemi praticati sono:
Problemi comportamentali, momenti di crisi:
STOP, RICHIAMO AL GRUPPO
STOP, RICHIAMO AL SINGOLO
RIPETIZIONI DI REGOLE
INTERVENTO VERBALE DURANTE L’ATTIVITA’
INTERVENTO NON VERBALE
DIALOGO DURANTE L’ATTIVITA’
DIALOGO FUORI DALL’ATTIVITA’
COMMENTO NEL GRUPPO
COMMENTO FUORI DAL GRUPPO
COMMENTO IN SITUAZIONE DIVERSA
MANIFESTAZIONE DI POSITIVO
MANIFESTAZIONE DEL NEGATIVO
MERAVIGLIA
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RICORDO DELLE REGOLE
RIMEMORIZZAZIONE DEGLI EVENTI POSITIVI PASSATI
RIMEMORIZZAZIONE DELLE SPECIALITA’
SPIAZZAMENTI
INSEGNANTE SORDO-CIECO
COMPAGNI TUTOR
SOTTRAZIONE TEMPORANEA
SCAMBIO DEI RUOLI
6.2) L’allenamento.
Una volta formato il gruppo di lavoro, che ha una sua identità, una sua “spina
dorsale” il gioco che è servito per creare aggregazione, per imparare a conoscersi
fra i componenti del gruppo e nei confronti del maestro si trasforma piano piano in
allenamento.
I giochi si trasformano in esercizi specifici, fatti sì per migliorare tecnicamente il
bambino ma senza abbandonare mai la parte del gioco, del divertimento.
Anche con ragazzi, atleti che frequentano la palestra di scherma già da tempo
riproporre giochi di riscaldamento integrativi alla preparazione atletica impostata
dall’esperto.
Questo serve per mantenere l’aggregazione del gruppo la complicità, portare tutti gli
elementi ad uno stesso obbiettivo ad uno stesso livello agonistico ed atletico.
La scherma è uno degli sport individuali per eccellenza, ma secondo il mio modesto
parere è uno sport di squadra alla pari dei più blasonati calcio, pallavolo….
È importante condividere l’allenamento, condividere l’esperienze positive e negative
fra i vari ragazzi con il dialogo e col mettere in pratica le cose vissute.
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Capitolo 7: Esercitazioni
Arrivando alla fase pratica del lavoro si suggerisce la divisione della lezione in tre
parti: una parte di armonizzazione che consenta all’adulto ed al gruppo di “entrare
in sintonia” per prendere coscienza del lavoro da svolgere; una fase centrale, più
specifica rivolta all’apprendimento di abilità motorie e infine una terza fase di relax e
consapevolezza, che riporti il gruppo ad una condizione fisiologica ed emotiva di
maggiore calma. Nella prima e nella terza parte i contenuti avranno prevalente
carattere generale. Nella seconda, invece, saranno più ricchi di abilità specifiche e
opportunamente finalizzati all’apprendimento del nostro sport. Questa divisione
riprende anche la divisione che gli atleti ormai ad un livello avanzato attuano nel
corso dell’allenamento: il riscaldamento, il carico e il rilassamento.
La lezione aperta (intesa come giochi di gruppo) rappresenta un’occasione di
verifica da realizzare in qualsiasi momento del percorso o a conclusione dell’attività.
I momenti di verifica, legati a determinati obbiettivi, potranno essere “aperti” anche
ai genitori, invitati per l’occasione. L’insegnante si troverà quindi in una situazione
complessa nella quale dovrà gestire il gruppo e portare a conoscenza i genitori dei
contenuti del nostro sport e del proprio percorso. Senza usare paroloni tecnici,
dovrà essere evidenziata la crescita del gruppo. Al momento di verifica non
dovranno essere attribuiti significati eccessivi: lo stress che ne deriverebbe sarebbe
sicuramente deleterio sia per l’insegnante che, soprattutto, per i bambini.
Nelle “lezioni aperte” devono poter fare senza il timore di giudizi che in qualche
modo potrebbero mortificare il lavoro e le persone. La riuscita (o l’insuccesso) nelle
attività, la “vittoria” o la “sconfitta” in un gioco, devono essere vissuti con
leggerezza, senza drammi, senza costituire elemento di giudizio nei confronti dei
bambini. Dovremo quindi operare affinché gli insegnanti, e soprattutto i genitori,
riescano a valorizzare gli apprendimenti realizzati più dei risultati delle prove,
contribuendo con questo atteggiamento positivo a sostenere ed aumentare
l’autostima degli allievi.
Giochi per il riscaldamento (decollo).
Per la fase di “decollo” propongo alcuni giochi che hanno la funzione di attivare e
mettere in movimento il gruppo. Lo scopo non è solo quello di ottenere un
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riscaldamento fisico, ma, insieme a questo, riuscire ad attivare le dinamiche di
gruppo.
-ACCENDERE IL NOME
In cerchio, si racconta che nel mezzo c’è della legna che si accenderà solamente
quando ogni bambino farà “suonare” il proprio nome con forza, coraggio, decisione,
gioia e fantasia. Oltre alla voce, per accendere il nome ci si può fare aiutare dal
movimento (saltando, facendo acrobazie….)
-ANFORE
Gli allievi a coppie, in piedi, si tengono “sottobraccio” a formare le “anfore”. Due
bambini sono “liberi”: uno deve acchiappare l’altro che scappa e che può salvarsi
prendendo sottobraccio uno dei due componenti dell’anfora. L’altro componente
dell’anfora diventa a quel punto colui che deve scappare. Se chi scappa viene
anche solo toccato si ha scambio dei ruoli: chi è stato toccato acchiappa, mentre
sarà l’altro a dover scappare. Il gioco finisce al termine di un tempo stabilito o
quando si giudica che tutti abbiano rivestito i vari ruoli, o quando i giocatori sono
stanchi!
-INNO NAZIONALE
Disporre in riga un gruppetto di bambini:”Voi siete la Nazionale Olimpica di
scherma, siete schierati sul podio dopo la finale mondiale, siete in mondovisione,
tutti vi stanno guardando……Pronti a cantare Fratelli d’Italia? Fermi…… un fax…..!
Annuncia che il nostro inno nazionale non è più questo ma “Fra’ Martino
campanaro”….prego cantare”
Importante è mantenere il giusto patos da finale olimpica.
-CAVALLI E CAVALIERI
A coppie, un bambino sta sotto e fa il cavallo. L’altro sta sopra ed è il cavaliere.
Il cavaliere non può assolutamente toccare terra con nessuna parte del corpo.
La coppia combatterà cercando di disarcionare e di non farsi disarcionare.
Le versioni e la variante sono quelle della guerra dei galli.
-GUERRA DEI GALLI
Fare “accovacciare” i bambini nella posizione di gallo. Scopo del gioco è cercare di
far cadere a terra un compagno spingendolo solamente con l’uso del palmo della
mano. Non si possono mettere a terra né mani, né ginocchia, né sedere. Si può
combattere a coppie, a squadre o tutti contro tutti. Nei livelli più difficili si può
chiedere di assumere l’atteggiamento di statua una volta caduti a terra.
30
-
A ME GLI OCCHI
A coppie: guardarsi negli occhi. Non si possono perdere gli occhi del compagno,
non si può ridere (sorridere è permesso), non sì può parlare. Chi perde avrà un
buffetto sulla guancia da parte del compagno.
Giochi per il carico (viaggio).
Nella fase di carico ogni gioco presenta caratteristiche diverse, pur mantenendo
intatta la propria peculiarità motoria, finalizzata allo sviluppo di più conoscenze,
inerenti “lo spazio e il corpo”.
-STOP AND GO
Far muovere liberamente i bambini nello spazio a disposizione, che dovrà essere
tarato a seconda del numero dei componenti e delle loro capacità. Ad un segnale
acustico stabilito, che starà ad indicare lo “STOP!” i bambini dovranno assumere
immediatamente una posizione di assoluta immobilità. Sarà importante invitare i
bambini a percepire la netta separazione fra il momento di attività ed il momento di
passività, conseguente al segnale di stop. E’ possibile che al segnale di stop i
bambini possano immobilizzarsi in posizioni schermistiche, vedi guardi o affondo…
-TETTO DI GRATTACIELO
Si delimita uno spazio non eccessivamente grande. Lo spazio delimitato dovrà
rappresentare un piano di lavoro di dimensioni ideali rispetto al numero dei
componenti del gruppo.
“Siamo sul tetto di un grattacielo!….venite a vedere come sono piccole le persone
qua sotto…attenzione però a non mettere i piedi nel vuoto”
Si potrà variare la dimensione dello spazio e si potranno proporre sopra il Tetto tutti
i tipi di giochi riferiti al nostro sport (stop and go, gambe scherma ecc…)
-UN, DUE, TRE……STELLA!
Questo è un gioco classicissimo, giocato dai bambini in ogni parte del mondo. Lo
proponiamo perché può dimostrare come l’elaborazione di un gioco possa essere
funzionale al raggiungimento di più obbiettivi.
Un bambino girato verso il muro volta le spalle ai compagni. Mentre, senza poterli
vedere, recita la frase “Un, due, tre….Stella!”, i compagni si avvicinano.
Non appena terminata la frase, il bambino si volta ed i compagni si arrestano
immediatamente: chi è stato sorpreso in movimento deve tornare al punto di
partenza. Elaborando questo gioco per il nostro sport possiamo far eseguire
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l’avvicinamento dei compagni al bambino che conta al muro in guardia e avanzando
con il passo avanti.
-CE L’HAI
Un’energia immaginaria è in possesso di un componente del gruppo e può essere
trasferita ad uno dei compagni semplicemente toccandone una parte del corpo.
Un elemento di difficoltà può essere introdotto in modo che chi si accorge di essere
sul punto di ricevere l’energia, possa salvarsi chiamando il nome di un compagno al
quale sarà trasferita l’energia al suo posto.
-GUARDIE E LADRI
A ciascun angolo di uno spazio stabilito, si troverà una sedia sulla quale siederà il
”ladro”. Dietro alla sedia si apposterà la “guardia”. Ciascun ladro partecipante in
quel momento, potrà sfuggire alla propria guardia solo quando una delle altre
guardie gli farà un cenno con gli occhi, chiamandolo verso di lui.
La guardia che, sorvegliando bene gli sguardi delle altre guardie, riuscirà a cogliere
il cenno, potrà impedire la fuga del suo ladro toccandolo in tempo dalla sua
posizione “fissa” prima della fuga. Se non sarò stato abbastanza vigile, il suo ladro
prenderà la fuga, diventando prigioniero dell’altra guardia. La guardia potrà
adoperare fioretti di plastica per toccare il proprio prigioniero e fermare la sua fuga.
Giochi per il rilassamento (atterraggio).
L’agonismo è insito in noi, è un enorme motore che porta a migliorarci ogni giorno e
come tale può essere stimolato, ma deve comunque poter essere gestito. I giochi
che propongo adesso tendono ad allentare il respiro, ad armonizzare, a rendere
consapevoli di ciò che abbiamo fatto e vissuto realmente: un gioco, un bel gioco e
nient’altro.
-ORSI
A coppie, in piedi schiena contro schiena, grattarsi la schiena come fanno gli orsi
con la corteccia di un albero. Ad un segnale, le coppie potranno effettuare scambi
fra loro. Controllare anche in questo caso la distribuzione nello spazio e l’immobilità
al momento dello stop!
-CADUTE
Ai bambini piace molto lasciarsi cadere nel vuoto. Dove è possibile si può utilizzare
il materassone, facendo saltare i bambini da una sedia, un tavolo, una spalliera o
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lanciandoli noi stessi. Importante sarà che l’adulto possa seguire singolarmente
ogni bambino al momento dell’effettuazione delle cadute.
-PENDOLO
Un bambino al centro di una coppia (pendolo a 3), oppure al centro di un piccolo
gruppo, in completo rilassamento dovrà cadere verso i compagni, i quali
tratterranno la sua caduta ed imprimeranno una nuova spinta al compagno
facendolo “dondolare” in varie direzioni. Poiché non tutti i bambini riescono a
rilassarsi lasciandosi cadere nel vuoto sarà opportuno che la prima volta l’adulto
verifichi singolarmente ogni bambino, sostenendolo personalmente nelle prove di
caduta.
-RULLI BOSCAIOLI
Fare distendere a terra tutti i bambini (meno uno) vicini fra loro, ma rivolti
alternamente in direzione opposta: i “dispari” con i piedi rivolti verso destra, quelli
“pari” verso sinistra. Il bambino rimasto fuori dovrà stendersi sui “tronchi” che
inizieranno a rotolare nella stessa direzione trasportando sopra essi il bambino
disteso.
-VUOI VOLARE?
Indicato per i bambini superiori ai dieci anni. Tutti i bambini tranne uno, ij piedi
devono comporre due righe parallele tenendosi per mano ciascuno con il compagno
che si trovano di fronte. Il bambino fuori dalle file dovrà gettarsi orizzontalmente
sulle
braccia
dei
compagni,
i
quali
oltre
a
sostenerlo,
dovranno
contemporaneamente oscillare le braccia, facendo avanzare il compagno che
volerà sopra le braccia raggiungendo l’altra estremità della fila.
Esistono delle osservazioni e dei suggerimenti di “base” utili a strutturare nel modo
migliore una “lezione aperta” conclusiva di un percorso ricco di contenuti chiari e ben
definiti:
•
È importante divertirsi per interessare e divertirsi
•
È consigliabile una scaletta delle attività da proporre, per poi poterla
cambiare
•
Ci saranno dei momenti di riposo per i bambini, durante i quali l’istruttore
dialoga, risponde, introduce e spiega i nuovi giochi
•
Se accade qualcosa di non previsto, non fate finta di non vedere, giocateci
invece!!
•
Tutte le regole sono fatte per essere cambiate…….
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Conclusioni
A termine di questo lavoro posso affermare che i contenuti di questa tesi vanno
“lavorati” , interpretati da chi li riterrà spunto per un metodo di lavoro. Riconosco che
questa tesi mette in risalto un argomento nuovo nel mondo della scherma, il tema
della “soddisfazione di sé”;chi adopererà questo lavoro dovrebbe “rivolgerla a se
stesso” questa attenzione.
La qualità non è nella cosa (in questo scritto, anche se fosse fatto bene) ma in chi
gestisce la cosa, nel proprio, utilizzando un termine che va molto di moda adesso
“Fattore x” se presente nella persona che legge può riuscire a considerare questo
lavoro come una base, un suggerimento ad un metodo di lavoro (dando sempre un
valore relativo allo scritto e procedendo con attenzione). Se invece il proprio fattore
x porta da altra parte rispetto a questo scritto, proceda tranquillamente verso altri
metodi; il percorso teorico operativo presentato è uno dei tanti che compongono la
ricca e variegata area del corpo e del movimento; al di fuori di questo ci sono tutti gli
altri; e al di fuori degli altri ce ne sono altri; seguendo la propria strada spesso si
incontra il nuovo ed il soddisfacente perché la soddisfazione personale ha solide
radici nell’inesauribile indefinito.
Concluso questo lavoro, arrivato alla fine di questo percorso, il pensiero va alla mia
famiglia che ancora spera nella laurea di Ingegneria, mentre il mio cuore è stato
rapito dalla scherma, a Fausto e Fabio che mi hanno aiutato con tutti i loro mezzi
per fare diventare Maestro pure me, a Valeria, a tutti i miei amici che hanno
contribuito a farmi diventare quello che sono oggi…. GRAZIE a tutti!!!!!
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Bibliografia
•
Zingarelli- Dizionario della lingua italiana – dodicesima edizione
•
Dizionario Enciclopedico Moderno – ed. Labor
•
Manuale del C. R. Toscano – “Scherma: conoscere la scuola per essere nella
scuola” – M° Faustino Colombo
•
“Giochi in movimento”- manuale del progetto “sport come educazione e
formazione” edizione 2009
•
“Giochi sportivi” di Marco Lombardozzi – Piccin 2000
•
“Corpo e movimento nell’ottica del ciascuno” – insegnamento di “Teoria, tecnica
e didattica delle attività motorie” – Serafino Rossini
Sitografia
• www.wikipedia.it
• www.giocoestudio.it
• www.ed.fisica.toscana.it
• www.federscherma.it
• www.accademiadellascherma.it
• www.accademiagraco.it
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INDICE
-Introduzione.
-Capitolo 1: La soddisfazione di sé.
1.1) Il vissuto motorio
1.2) La percezione di adeguatezza
1.3) La soddisfazione di sè
1.4) L’ottica di ciascuno
-Capitolo 2: Lo stile dell’insegnante.
2.1) Il fattore dell’insegnante
2.2) La “soddisfazione di sé” dell’insegnante
2.3) L’esperienza dell’insegnante
-Capitolo 3: Intermezzo.
3.1) La scherma e la soddisfazione di sé
3.2) L’insegnante di scherma
-Capitolo 4: La divulgazione della scherma.
4.1) La scherma “pubblica”
4.2) La scherma nella società schermistica
4.3) La scherma nella scuola
-Capitolo 5: L’espressività.
5.1)
Cos’è l’espressività
5.2) L’espressività e la scherma
5.3) Tipologia di lavoro
-Capitolo 6: Tipologia di lavoro.
6.1) Il metodo
6.2) L’allenamento
-Capitolo 7: Esercitazioni.
Conclusioni.
Bibliografia.
Sitografia.
Indice.
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