Capitolo 1 ELENA E ADELMO

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Capitolo 1 ELENA E ADELMO
Capitolo 1
ELENA E ADELMO
«Eccomi! Sono stato fortunato Elena, ho trovato parcheggio».
«Buongiorno Adelmo, io ti amo ‘+ di ieri - di domani’». È una frase
che starebbe bene in bocca a una ragazzina, non a una donna di
quarantatré anni come me, lo so! Ma il cuore non ha età e il mio ha...
l’età di una ragazzina e, così desidererebbe risponderti,
parafrasando la medaglietta di moda negli anni ’70 - ’80. Mio padre la
porta ancora al collo infilata alla catenina. Non la toglie mai.
Gliel’aveva regalata mamma quando si erano innamorati e in una
reciprocità granitica che dura tuttora, giurati eterno amore.
Avrei voluto regalarla anch’io poi, all’uomo della mia vita. All’amore
che, dentro il mio sentire, immaginavo si sarebbe manifestato come
una fiamma che lo avrebbe alimentato, non consumato, mai. Un
amore che non avevo avuto e che ancora non ho. O, per spiegarmi
meglio: dentro al mio cuore, alla mia anima, a ogni fibra del mio
essere, assolutamente c’è, ma non è corrisposto.
Tempo fa come evocata dal desiderio mai estinto, sono anche
riuscita a trovare una di queste medagliette, in un’oreficeria antica
che chiudeva e svendeva tutto, l’ho comprata d’impeto.
La tengo nella borsa dentro lo scomparto più inaccessibile e geloso.
È come lo scomparto del cuore dove nascondo il mio amore per te
Adelmo.
E scusa se stamattina non vado oltre al ‘ciao’.
È che se parlassi, avrei una domanda da porti, una domanda che
s’intrufola in ogni mio pensiero. È sorta dalla novità di quest’ultimo
mese: arrivi in ambulatorio ed entri in questa maniera, con
l’entusiasmo nel sorriso che ti aleggia sulla bocca. Gli occhi dopo
tanto tempo: per la precisione quattro anni e sei mesi, lucidi di vita.
Eternità servita ad accettare la fine del tuo essenziale, fare a
mozzichi l’annichilimento per l’assenza di Tarita. In me la tua fidata,
insostituibile, preziosa e unica assistente, amica silenziosa: parole
tue, sostenitrice discreta di momenti bui saliti dagli abissi del
rimpianto, pensiero mio, si fa strada ogni giorno di più il sospetto che,
dietro alla nuova gioia che ti illumina, non possa essere che, la
magia di un incontro. L’incontro di una donna intendo. Un abbraccio
d’intenti nuovo, insomma.
Solo l’innamoramento irradia lo sguardo di questo baluginio speciale
e la constatazione, toglie più di un battito al mio cuore. All’attesa, alla
dedizione, alla pazienza di questo mio irriducibile cuore,
perdutamente e meramente innamorato di te. Ecco, anche adesso, è
proprio lui che m’impedisce di farti la suddetta domanda. Lo sento è
terrorizzato! Molto meglio rimanere nel dubbio. Nel dubbio si può
avanzare una speranza... e (proverbio!) la speranza è l’ultima a
morire. Anche se questa mia verità non mi toglie la voglia di
piangere.
«Elena» dici piano, quasi che esitassi parecchio a esprimere ciò che
vuoi chiedermi. Poi cosa assolutamente inedita, quasi che io sia
anche la tua segretaria:
«Ho due favori da chiederti. Primo: dovresti prenotare per due nel
ristorante più appartato della città, possibilmente su una delle alture
che la guardano affacciarsi al mare, ci tengo! Secondo: fare
recapitare nello stesso un mazzo di rose, quarantatré per l’esattezza.
Per il colore, scegli tu», aggiungi tutto insieme.
‘Ecco là’ penso.
Tu, fatti quattro passi lunghi occhieggiando fuori dalla finestra, ti volgi
a guardarmi, con lo sguardo misterioso e lucente. Poi, nel solito
aggricciare della fronte che usi quando un’esitazione ti assale:
«Procurami anche un biglietto, ci voglio scrivere...».
Non finisci, è uno scrupolo nei miei confronti? Un attacco di privacyte improvviso? Beh sarebbe troppo se me lo rivelassi. Scusa ancora,
ma mi sa che non lo sopporterei! Lasci la frase in sospeso per un
attimo che percepisco come uno spasimo eterno, poi:
«No, ci penso io...».
Sono sconcertata. ‘Per chi mi prendi?’, vorrei urlarti, mentre mi
diventa lampante che sono nel giusto: c’è una donna.
E, se non fosse che il centro del mio sentimento per te, attecchito e
identificato poi nel riflesso di un sussurro in un giorno lontano ma
chiarissimo davanti ad un aereo in partenza, non posso che
convenire che sia giusto.
E sia giusto anche riconoscerti la capacità di aver sciolto
definitivamente la repulsione del mio cuore nei confronti del genere
umano, quello maschile.
Lo so, lo so! L’avevo capito da subito a quale specie tu appartenessi,
ma quando un uomo di ben altra specie, quasi venticinque anni fa
aveva offeso la mia spensieratezza polverizzando i miei sogni,
pochissimi poi erano rimasti indenni dal suddetto sentimento.
Quell’uomo con l’arroganza aveva insultato lo sbocciare alla vita di
una ragazza di diciotto anni, con in testa la fantasia che il cielo si
indorasse all’alba illuminando il giorno solo per lei. Invece costui
l’aveva fatto virare nella foschia di uno sconcertante crepuscolo.
Anche Tarita, si la tua Tarita, direbbe che è giusto, pure questo so.
Mentre l’angolo consapevole della mia delusione manda un
messaggio a lei, amica mia mai scordata.
‘Ad amarsi bisogna essere in due, Tarita!’
È la risposta che non le ho dato al suo sussurro, all’aeroporto, il
giorno che è partita per non tornare più.
E con ciò dico che per me oggi, si oscura il sole che, quasi a
irridermi, splende raggi inebrianti d’inoltrata primavera. In tanta
chiarità percepisco l’afflosciarsi della promessa di Tarita covata sotto
i carboni ardenti dell’amore mio, nato per te, Adelmo. Nato come un
sospiro ineludibile, nel nascondimento.
‘Perché ho permesso l’illusione?’, mi chiedo con la voglia di
prendermi a schiaffi. Un’illusione alimentata con la pena per lo
struggimento del dolore che tu Adelmo hai sperimentato, fino a
toccare il fondo oscuro della prostrazione. Da solo. Aggrappato alla
desolazione per la perdita di Lei.
È possibile vietare al cuore di amare? Deviarlo altrove, intendo! No,
per esperienza diretta direi proprio che, assolutamente non lo è.
Io ti avrei donato tutti i miei giorni e le mie notti per consolarti
Adelmo. Avrei avuto cura del tuo dolore. Avrei tolto una a una le
spine che ti trafiggevano, opprimendoti il petto. Ti avrei offerto le mie
mani per scaldare le tue mani, affinché tu sentissi che c’era al mondo
qualcuno che ti amava profondamente! Che amava la tua sensibilità,
la tua pervadente dolcezza, tutti i tuoi silenzi, pur che sapevo intrisi di
rimpianto per Lei. Nella vana ricerca di una impraticabile
comunicazione con Lei.
C’ero io! C’era questa donna che anelava sussurrarti:
«Amore mio abbandonati, io sono qui, tu conta su di me!».
Ora canticchiando mi passi accanto, mi posi con delicatezza una
mano sui capelli:
«Che c’è Elena? Hai gli occhi lucidi, non starai covando un malanno
fuori stagione, spero?».
Brivido! Ma non ti rispondo.
Ho paura di ciò che potrei dirti.
Ho paura di scoppiare in un pianto irrefrenabile ed inspiegabile per
te.
Ho paura di urlare:
«Adelmo guardami! Non ti serve un’altra donna, io sono la tua
donna... Come fai, tu con la tua sensibilità, a non capirlo?».
«A proposito, pomeriggio niente appuntamenti, non ci sarò per
nessuno. Quindi anche tu sei libera», dici ancora. E, come faresti con
una bimba, mi scosti una ciocca di capelli caduta sulla fronte e indugi
a farmi una carezza sulle guance che sento, si fanno di porpora. E,
pur che l’ho già detto non sono un’adolescente, come un’adolescente
vorrei sciogliermi, liquefarmi sul palmo della tua mano calda.
«Li faccio passare?», domando sottovoce per sottrarmi
all’imbarazzo. All’impulso improvviso e selvaggio di graffiarti il sorriso
complice, tirarti i capelli morbidi, neri e uniformemente brizzolati,
guardandoti negli occhi blu, così profondi e nuovi.
Accidenti!
Così vivi e accattivanti.
Giro i miei altrove che, se fermi ancora un po’ quel tuo sguardo a
perforarli, mi sa che è la volta buona che leggi dentro ciò che scrive il
cuore.
«Ok» dici, «Mettiamoci al lavoro».
E mentre rabbrividisco per l’aleggiare di un attimo che mi è sembrato
intimo, esco.
Ester e Giulio sono già qui. Lui con tenerezza le tiene una mano. Lei
con l’altra mano amorevole, accarezza il ventre rotondo di donna
incinta. Oggi si che la vita splende nella sua interezza, per loro.
È andato via oltre un anno e mezzo dal primo incontro. Dall’inizio
della terapia, intendo.