La madre di Brecht alla Camera del Lavoro.
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La madre di Brecht alla Camera del Lavoro.
Milano. IL GIORNO. Lunedì, 4 Gennaio 1971 La madre di Brecht alla Camera del Lavoro. Nel folto revival brechtiano di questa stagione si inserisce autorevolmente questa edizione scenica della “Madre” data dal gruppo dei Compagni di scena per il circuito alternativo dell’Arci; dunque, a Milano, al teatro della Camera del Lavoro. Può darsi che, come scrive Giorgio Bocca, esista in Brecht una parte caduca, smentita dalla storia: la parte positiva dei comunisti «buoni», col suo bravo cartello propagandistico; che poi, nel caso Brecht, non è tanto propaganda quanto didattica. Ma (eccoci costretti al discorso personale) quando andiamo a sentire un testo di Brecht. noi non ci poniamo di questi problemi. Sappiamo benissimo che si tratta della Rivoluzione del Nonno, espressa nei termini massimalistici e populistici del suo tempo, ma non ne deriviamo per questo motivi di ipocrita sicurezza borghese (o di salvataggio della coscienza). Se altri lo fanno, come osserva amaramente Bocca, peggio per loro. LA STESSA SINCERITA’ A noi preme piuttosto di sottolineare questo: che dopo quel Nonno, un Padre o un Fratello, che sapesse fare un teatro aperto sulla socialità con la stessa sincerità (e dunque, anche ambiguità) poetica e la stessa astuzia politica, non l’abbiamo avuto. Dunque, teniamoci il nonno; questo nonno di genio, arrivato a noi per una serie di motivi che qui sarebbe impossibile elencare, col solito, spaventoso, provincialissimo ritardo. Perchè, insomnma, il fatto di non saper fare un teatro nuovo non è un buon motivo per non aggiornarci, almeno, sul teatro vecchio. E la gran massa della gente, in Italia, fino all’anno scorso credeva che Brecht fosse soltanto «L’opera da tre soldi» o tutt’al più «Vita di Galilei». «La Madre», per esempio, che Brecht trasse da un famoso romanzo di Gorkij, ma allungando la durata della vicenda nel tempo (fino alla prima guerra mondiale e alla vigilia della rivoluzione d’ottobre) e allargandone i significati, è un notevole modello di Lehrstuck, cioè di dramma didattico, ma portato ben oltre le misure geometriche, per esempio, di «L’ eccezione e la regola». C’è in realtà, qui, invece dell’equidistanza che caratterizza la posizione di Brecht nei confronti dei personaggi-pedine delle sue drammaturgiche partite di scacchi (parliamo sempre dei drammi didattici), un’evidente carica sentimentale che investe il personaggio di Pelagia Vlassova, la madre. Questa carica, si badi, non porta all’ identificazione dell’autore col personaggio. Grosso animale, tutto istinto e intelligenza naturale, Pelagia Vlassova, madre dell’operaio Pavel, giovane rivoluzionario nella Russia del 1905, è posta al centro dell’azione, come oggetto dl un esperimento di recupero alla coscienza della sua classe. Non per nulla, quest’opera di Brecht, scritta fra il 1930 e il 1931, ultima ad essere rappresentata, con una memorabile interpretazione di Helene Weigel (che fu anche la protagonista della famosa ripresa al Berliner Ensemble), nella Germania pre-bitleriana (poi, per Brecht, sarebbe cominciato l’esilio), venne anche definita la «storia di un apprendista- to». E’ l’ apprendistato della madre proletaria sulla «lunga strada tortuosa della sua classe»; con i vari gradini, su su fino alla consapevolezza completa, che la rende forte fino a farle sopportare quasi senza battere palpebra la morte del figlio fucilato dalla polizia zarista. IL CANDORE VOLONTARIO Siamo d’accordo, si tratta, se vogliamo, d’un trattato elementare di comunismo. Ma, a parte che questo era lo scopo didattico dell’opera, per queI che riguarda noi, spettatori di quarant’anni dopo, ecco che non finisce mai di meravigliarci quel misto di furberia drammaturgica, di candore volontario e “distanziato”, di immediatezza poetica e di abilità politica con cui Brecht costruisce queste sue dimostrazioni sceniche. Nella lucida traduzione di Emilio Castellani, con le musiche originali di Hans Elsier (e quelle di Sergio Liberovici) il gruppo dei Compagni di scena dà vita a uno spettacolo assai brechtianamente ortodosso, nella sua austerità, nella sua “utile”, a nostro parere in questo caso, povertà di mezzi, alla quale gli elementi scenici e i costumi di Renzo Vespignani conferiscono un’allusività che è insieme funzionale e poetica. La regia di Cristiano Censi applica con rigore il modulo della recitazione epica e attualizza la pièce con proiezioni di immagini e slogans del Maggio francese. Isabella Del Bianco è un’eccellente Pelagia Vlassova e dimostra come la recitazione epica possa essere non soltanto un modulo didascalico ma un’affascinante scelta interpretativa. Roberto De Monticelli