Rapporto sulle elezioni primarie in Italia

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Rapporto sulle elezioni primarie in Italia
Rapporto sulle elezioni primarie in Italia
Giugno 2015
Candidate and Leader Selection (C&LS) è uno standing group, operante nell’ambito della
Società Italiana di Scienza Politica, impegnato nella ricerca sulla vita interna dei partiti. In
questa prospettiva, C&LS guarda alla democratizzazione all’interno dei partiti in atto sia in
Italia che in altri paesi tenendo conto di due aspetti. In primo luogo, C&LS si occupa della
raccolta, dell’analisi e della diffusione di informazioni e di dati – aggregati e di sondaggio –
relativi alle elezioni primarie tenute in Italia a qualsiasi livello: nazionale, regionale, provinciale e comunale. Inoltre, C&LS è interessato allo studio dei meccanismi di selezione dei
leader di partito in tutte le loro forme, sia quelle più chiuse e tradizionali, esercitate prevalentemente all’interno degli organismi di partito, sia quelle più inclusive che assicurano un
ruolo alla partecipazione dei cittadini. L’adesione è aperta a tutti gli studiosi e ricercatori
interessati.
www.cals.it
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Indice
Presentazione ............................................................................................................ 1
Primarie nazionali tra partecipazione e competizione ............................................... 3
L’elezione diretta del Segretario................................................................................ 17
Un partito di elettori più che di iscritti .............................................................................. 18
La trasformazione del gruppo di dirigenti ......................................................................... 19
Le opinioni degli iscritti sulle primarie .................................................................... 25
Dieci anni di primarie regionali ............................................................................... 30
La partecipazione alle primarie regionali ......................................................................... 32
I risultati delle primarie regionali ......................................................................................35
Le primarie locali ..................................................................................................... 38
FAQ .......................................................................................................................... 48
Glossario breve sulle primarie .................................................................................. 51
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Presentazione
“Conoscere per deliberare”: era questo l’imperativo che Luigi Einaudi poneva in apertura
delle sue memorabili Prediche inutili. Qualsiasi tipo di intervento politico, se non vuole essere approssimativo e poco risolutivo, deve prevedere una fase preliminare di ricerca, di
raccolta meticolosa dei dati e di analisi, senza la quale qualsiasi decisione rischia di essere
dannosa o perennemente sottoposta a nuovi interventi in corso d’opera, per correggere errori frutto di analisi mal fatte o mai fatte.
Questo Rapporto sulle elezioni primarie – che non intende certamente essere una predica,
ma neppure vuole essere inteso come un esercizio di inutile politologia – nasce in un momento particolare della politica italiana. All’indomani delle elezioni regionali ed amministrative, è iniziata nel Partito Democratico una riflessione sulla sua struttura organizzativa,
sul ruolo del suo leader e, soprattutto, sui poteri che debbono essere affidati agli iscritti o ai
più numerosi simpatizzanti nelle decisioni interne al partito. Per ora, si è trattato prevalentemente di una discussione “di principio”, nella quale ogni parte in commedia provava a
convincere l’altra sulla base delle proprie opinioni e supposizioni. Tornare alla “ditta” oppure rilanciare il partito degli elettori? Rafforzare i poteri degli iscritti o intensificare le occasioni di partecipazione di tutti i potenziali simpatizzanti? Interrompere l’innovazione
delle primarie oppure renderla ancor più efficace ed attraente? Al centro di questo dibattito non c’erano analisi né sullo stato di salute o di apatia della membership né sulle conseguenze che le elezioni primarie hanno avuto all’interno o all’esterno del partito. Tutta la discussione è stata finora guidata da giudizi di parte, opinioni senza fondamento alle quali
spesso faceva da contraltare un’informazione giornalistica molto distratta sui numeri e
molto attratta da – più o meno presunti – insuccessi, scandali e fallimenti.
Obiettivo di questo report è di fornire un quadro empirico, il più possibile condiviso,
all’interno del quale possa avere luogo un dibattito ragionato che, almeno inizialmente,
metta da parte le questioni di principio e inizi il dibattito confrontandosi sui dati, su quel
che ha funzionato e quel che davvero è andato storto.
Come gruppo di ricerca, il lavoro di Candidate & Leader Selection è iniziato dieci anni fa,
in concomitanza con le prime elezioni primarie nazionali, che videro un enorme successo
di partecipazione e la vittoria, mai realmente messa in discussione, di Romano Prodi. Da
allora, il nostro lavoro di raccolta e analisi dei dati, sia duri (i risultati elettorali) sia – per
così dire – leggeri (i sondaggi attraverso exit poll oppure indagini campionarie online), è
stato ricorrente e imponente. Praticamente ad ogni tornata di elezioni primarie, il gruppo
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di ricerca era presente per capire le motivazioni che avevano spinto gli elettori a recarsi ai
“gazebo” e indagare le conseguenze che quelle votazioni avrebbero avuto sui candidati, sui
partiti che se ne erano fatti promotori e sulla qualità della democrazia italiana in generale.
Ovviamente, ad ogni occasione non abbiamo fatto mancare la nostra visione dei fatti e dei
dati, cercando sempre di basarci il più possibile sulle conoscenze teoriche ed empiriche a
nostra disposizione.
Per questo motivo, dopo un lavoro durato un decennio è venuto il momento di fermarsi e
di fare un bilancio, non tanto su di noi (ci saranno altre occasioni e altre sedi per farlo),
bensì sulle conoscenze che fino a qui abbiamo accumulato. Ovviamente, nella convinzione
che questo sapere possa servire a meglio deliberare, e cioè all’introduzione di riforme o interventi efficaci, migliorativi dello status quo. Anche nella previsione – lo diciamo qui di
sfuggita – che il legislatore nazionale intenda incamminarsi sulla strada impervia della regolamentazione pubblica delle primarie. Finora, gli unici due casi in cui il potere pubblico
ha cercato di legiferare in materia, avvenuti entrambi a livello regionale, non hanno dato i
risultati sperati. Anzi, spesso hanno prodotto conseguenze inattese e controproducenti, finendo per svilire le potenzialità di uno strumento che, trovandosi ancora in uno stato di
inevitabile sperimentazione, rigetta imbracature normative mal congegnate. Ecco perché è
necessario conoscere prima di deliberare.
Come il lettore potrà facilmente notare, questo documento è una piccola antologia di tutto
quello che bisognerebbe sapere sulle primarie “all’italiana”. All’interno si trovano informazioni su ogni livello elettorale (comunale, provinciale, regionale e nazionale) che, presto o
tardi, ha sperimentato qualche forma di elezione primaria. Non mancano dati sui comportamenti dei votanti, dei candidati, sul gruppo dei dirigenti e last but not least sugli iscritti,
il cui parere è troppo spesso dato per scontato o semplicemente evocato per interposta persona senza prima averlo realmente ascoltato. Non si tratta, però, di un Rapporto solo sulle
elezioni primarie perché esse hanno un impatto – previsto o no – anche sulla struttura del
partito, sul rapporto tra il leader e i dirigenti, sulle caratteristiche della democrazia interna
all’organizzazione. Le primarie sono un pertugio all’interno dei partiti contemporanei attraverso il quale è possibile intravedere le traiettorie delle loro trasformazioni future. Per
questo crediamo sia importante conoscerle prima di modificarle o cancellarle. “Prima conoscere, poi discutere, poi deliberare”: lo diceva Luigi Einaudi e a noi non resta che sottoscrivere.
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Primarie nazionali tra partecipazione e competizione
Da più di un decennio i partiti politici, soprattutto quelli europei, stanno attraversando un
profondo processo di cambiamento. Per alcuni studiosi, quel processo si chiama “crisi”,
mentre per altri è più corretto parlare di “trasformazione”. Non intendiamo entrare, qui e
adesso, all’interno di questa disputa teorica, anche perché probabilmente ne usciremo (forse) con una opinione in più, ma con poche certezze in meno. Tenteremo, invece,
un’operazione meno altisonante che, tuttavia, permetta di gettare uno sguardo informato
sul presente e sul futuro dei partiti. Lo faremo osservando da vicino lo sviluppo poderoso,
soprattutto in termini quantitativi, delle elezioni primarie in Italia.
La prima questione che quindi dobbiamo porci è: perché le primarie? Ovvero, più precisamente, perché è importante affrontare questo tema se il nostro interesse ultimo è quello
dei partiti politici e del loro stato di salute? In questo caso, la risposta ci viene offerta, molto banalmente, dalla storia, se non dalle vicende più recenti, dei partiti in molti paesi
d’Europa e in altre democrazie avanzate. Un po’ dappertutto, infatti, è possibile individuare un processo – solitamente etichettato come “democratizzazione intra-partitica” – che
coinvolge la maggior parte dei partiti europei e li costringe a ripensare il proprio modello
organizzativo nel tentativo di instaurare un rapporto diverso, più dinamico, con i propri
iscritti e/o simpatizzanti.
Sono rarissimi i partiti che, nel corso degli ultimi venti anni, non abbiano dovuto fare i
conti con una richiesta di maggiore (e migliore) democrazia interna, proveniente principalmente dal basso o dalla base. Con modalità, sensibilità e tempistiche differenti, la maggior parte dei partiti politici ha deciso, volente o nolente, di aprire quella che un grande
studioso recentemente scomparso chiamava la “cucina elettorale”, ovvero i luoghi più segreti delle loro attività, a uomini e donne a cui, fino a poco tempo prima, non era concesso
l’ingresso. Si pensi, per citare soltanto un dato, che dal 1990 al 2000 i casi di iscritti o simpatizzanti chiamati a scegliere il leader del proprio partito superavano appena la trentina
(per la precisione, 34 su quindici paesi europei1). Nel decennio successivo, invece, quel dato è più che raddoppiato: ad oggi sono all’incirca ottanta i casi nazionali di leader partitici
scelti attraverso procedure inclusive degli iscritti o, in alcuni casi a noi più noti, degli elettori. Anche se è bene tenere distinte, non solo concettualmente, le elezioni primarie da altre tipologie di votazione – ad esempio, l’elezione diretta di un capo o segretario di partito
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Nello specifico, i quindici paesi presi in considerazione sono: Australia, Belgio, Canada, Danimarca,
Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Nuova Zelanda, Olanda, Portogallo, Regno Unito,
Spagna.
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– non si può non notare che esse fanno parte di una tendenza unica e cercano di rispondere a domande o esigenze simili. Studiare le primarie significa, dunque, confrontarsi con un
fenomeno che sempre più spesso coinvolge la vita e il funzionamento dei partiti contemporanei.
Il secondo quesito che inevitabilmente dobbiamo porci è: perché l’Italia? E cioè: perché è
importante osservare quel che sta succedendo nel nostro Paese per capire ciò che sta accadendo anche al fuori di esso, nei partiti delle altre nazioni? In questo caso, la risposta – che
potrebbe suonare eccessivamente enfatica – è che l’Italia, nell’ambito della democratizzazione intra-partitica, è un paese all’avanguardia, che non si limita a seguire il trend, ma ne
detta il passo e il ritmo. Naturalmente, l’Italia è trend-setter anche per il fenomeno di segno opposto, che vede il potere nei partiti politici racchiuso nelle mani di pochi, pochissimi, spesso unici leader. Il contesto italiano si presenta oggi come un piccolo laboratorio
dove poter osservare, in vitro, processi che altrove sono ancora allo stato embrionale e
aspettano di venire pienamente illuminati. Del resto, è innegabile l’interesse di molti studiosi stranieri per il “laboratorio” partitico italiano, così come non possono essere sottovalutati i casi, peraltro crescenti, di vera e propria imitazione istituzionale nei confronti delle
primarie italiane da partiti di diversa provenienza e ideologia (a partire dalla Francia e della Spagna).
Va anche detto in apertura che parlare di primarie in Italia vuol dire discutere prevalentemente di una specifica parte politica, ovvero del centrosinistra. Ancor più precisamente, significa prendere sul serio la storia e lo Statuto del Partito Democratico (PD) che, fin dalla
sua nascita nel 2007, ha individuato nelle primarie il metodo principale per la selezione
delle candidature e nel voto diretto di iscritti e simpatizzanti lo strumento per eleggere il
proprio leader-segretario. Da questo punto di vista, è innegabile che il Partito Democratico
sia, a tutti gli effetti (e vedremo fra poco quali), il “partito delle primarie”, colui che se n’è
fatto non solo attivo promotore, ma anche assiduo organizzatore. Su questo punto, è utile
passare direttamente la parola ai dati. Come emerge dalla Tabella 1, dal 2004 ad oggi sono
state organizzate quasi un migliaio di elezioni primarie o, per estensione, di votazioni per
l’elezione dei segretari nazionali o regionali. Mille casi che sono distribuiti su tutti i livelli
territoriali, da quello nazionale più elevato a quello territorialmente più vicino ai cittadini,
ossia il municipio. Come argomenteremo più avanti nelle pagine di questo report, è proprio a livello comunale che il seme delle elezioni primarie ha trovato terreno più fertile e
dove – se così si vorrà – sarà alquanto complicato da estirpare. Tuttavia, in ogni contesto,
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grande o piccolo, i partiti politici hanno trovato nelle primarie uno strumento flessibile, in
grado di adattarsi ai diversi assetti legislativi e istituzionali.
Tabella 1 – Elezioni primarie o votazioni dirette per la leadership in Italia, 2004-2015
Carica
Leadership nazionale
Leadership regionale
Presidente del Consiglio
Parlamentare
Presidente di Regione
Presidente di Provincia
Sindaco
Totale
N.
3
57
2
1
17
29
861
970
Se ci muoviamo da una prospettiva spaziale ad una temporale, lo sviluppo delle elezioni
primarie è caratterizzato – come mostra la Figura 1 – dalla presenza di alcune significative
“ondate” che, in parte, sono chiaramente in linea con i naturali cicli elettorali, ma che mostrano una vera e propria impennata a partire dal 2007-2008. Infatti, è con la nascita del
Partito Democratico che le elezioni primarie diventano un elemento costante, ricorrente e
non più marginale del panorama politico italiano. Al ritmo medio di 100 consultazioni organizzate all’anno, il Partito Democratico è diventato non solo il “partito delle primarie”,
ma anche l’organizzazione politica che più di ogni altra in Europa incentiva e organizza la
partecipazione degli iscritti/simpatizzanti nei processi di selezione dei candidati.
Figura 1 – Evoluzione delle elezioni primarie dal 2004 al 2015
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Come abbiamo visto, è il 2007 l’anno di svolta delle primarie, quello in cui un fenomeno fino ad allora estemporaneo diventa un elemento costante. Con la nascita del Partito Democratico avviene ciò che possiamo definire il “passaggio dal mito al rito delle primarie”: un
mito nato nel 2005, quando Romano Prodi conquistò, a colpi di voti, la leadership della
larghissima coalizione di centrosinistra, all’epoca chiamata “L’Unione”. Nella sua forma,
per l’appunto, mitologica, l’esperienza del 2005 contiene in sé alcune caratteristiche che
proiettano sulle elezioni primarie determinati tratti distintivi destinati a restare, talvolta a
sproposito, anche in futuro. Infatti, l’immagine di primarie “finte”, poco combattute, rivolte a incoronare un candidato già noto piuttosto che a favorire la scelta autentica tra più
candidature rimane scolpita nella memoria degli italiani. Una memoria – si badi bene –
che resta difficile da scalfire anche quando le primarie cambiano pelle e diventano, per intenderci, una “cosa seria”, prevedendo una competizione serrata tra candidati di eguale
forza e senza vincitori prestabiliti.
Su questo punto, si osservino i dati inclusi nella Figura 2, la quale riporta il margine elettorale registrato nelle diverse elezioni primarie, dal 2005 ad oggi. Ad eccezione delle cosiddette “primarie di Prodi” e dell’elezione diretta del Segretario nel 2007, il livello di competitività delle primarie italiane ha raggiunto livelli ragguardevoli, addirittura nettamente più
elevati rispetti a quelli che si registrano di solito nella patria a stelle e strisce delle primarie.
Da notare, inoltre, che è soprattutto a livello locale che la competizione si fa realmente accesa e dove è difficile stabilire in partenza chi sarà il vincitore.
Figura 2 – Competitività nelle primarie italiane
(valori % margine elettorale tra vincitore e candidato arrivato secondo)
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L’immagine solo giornalistica delle primarie “all’italiana” – una specificazione sottolineata
spesso con tono spregiativo – caratterizzate da un livello di competitività risibile è, quindi,
poco più che una caricatura della realtà. Quello che, invece, rimane un dato costante nella
storia di queste consultazioni, è il successo in termini di mobilitazione e partecipazione.
Nonostante una crescente insoddisfazione verso la politica e una sfiducia oramai patologica nei confronti dei partiti italiani (meno del 5% degli italiani dichiara, secondo un sondaggio condotto da Demos, di avere “abbastanza” o “molta fiducia” nei partiti), la partecipazione nelle elezioni primarie ha registrato sempre risultati al di sopra di ogni aspettativa.
Anche se non è l’unico criterio per valutare o misurare il successo di una innovazione politica, i tassi di partecipazione che questo tipo di consultazione ha costantemente raggiunto
segnalano come esso sia riuscito a intercettare e stimolare l’interesse di un numero cospicuo di cittadini. Da un punto di vista numerico, mediamente un elettore del centrosinistra
su tre ha deciso di prendere parte alla selezione del candidato del proprio schieramento,
che si trattasse di un’elezione comunale o di cariche nazionali (vedi Figura 3). Pertanto, chi
continua a sostenere che il meccanismo delle primarie non funziona, che ha “stancato” o
andrebbe rivisto, dovrebbe innanzitutto confrontarsi con questi dati inequivocabili, i quali
rivelano un aspetto semplice: quando agli iscritti o ai simpatizzanti viene concessa la facoltà di incidere efficacemente nei processi decisionali dei partiti, la risposta che si riceve in
termini di partecipazione è sicuramente positiva.
Figura 3 – Tasso di partecipazione nelle primarie italiane (valori %)
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È giusto, però, analizzare la partecipazione elettorale non soltanto in un’ottica puramente
quantitativa, limitandosi a contare le teste che hanno deciso di attivarsi in una determinata
occasione. Ai nostri fini, può essere altrettanto utile andare ad osservare dall’interno o da
vicino chi partecipa alle primarie, anche perché è proprio su questo fronte che si sono registrate le critiche più numerose. La premessa, in questo caso, è che si sta discutendo di primarie “aperte” o, più precisamente, “semi-aperte”, alle quali possono prendere parte tutti i
cittadini-elettori a patto che sottoscrivano un impegno a rispettare l’esito delle votazioni e
versino un piccolo obolo, solitamente di 2 euro. Dal punto di vista del selettorato (vedi
Glossario in Appendice), l’inclusività delle primarie italiane è particolarmente elevata: con
una semplice dichiarazione di interesse a favore di un partito o di uno schieramento viene
concessa la facoltà di incidere nella scelta delle candidature. È proprio in questa apertura –
per alcuni eccessiva – che molti critici delle primarie hanno visto il rischio di infiltrazioni,
inquinamenti e manipolazioni. Per questa ragione, è importante cercare di capire da chi sia
composto il cosiddetto “popolo delle primarie”2.
Figura 4 – Età dei partecipanti alle primarie 2012 e dell’elettorato di centrosinistra e generale nel 2013
(valori %)
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I dati presentati di seguito, dalla Figura 4 alla Figura 11, sono ricavati da un exit poll condotto in 20 regioni
da Candidate & Leader Selection durante le primarie nazionali organizzate dai partiti di centrosinistra nel
2012. Al sondaggio hanno partecipato 3.334 persone. I dati riferiti all’intero elettorato di centrosinistra sono
invece estratti dal sondaggio condotto da ITANES in vista delle elezioni politiche del febbraio 2013 su un
campione di 1508 intervistati.
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Da un punto di vista demografico, il selettorato italiano è formato in prevalenza da persone
adulte e anziane. Infatti, all’incirca un elettore su tre delle primarie ha un età superiore ai
45 anni. Si tratta di un dato in linea con quello riguardante l’elettorato classico del centrosinistra, nel quale è predominante la componente più anziana della popolazione. Da un
confronto tra l’elettorato e il selettorato del centrosinistra (vedi Figura 4), emerge comunque una piccola differenza: chi partecipa alle primarie ha un’età media leggermente inferiore rispetto all’intero elettorato di riferimento. In generale, anche se non è possibile sostenere che le primarie siano sempre riuscite ad attrarre l’attenzione delle fasce più giovani
della popolazione, va comunque rimarcata la differenza tra l’elettore delle primarie e
l’elettore di centrosinistra nelle elezioni generali.
Figura 5 – Livello di istruzione dei partecipanti alle primarie 2012 e dell’elettorato di centrosinistra e generale nel 2013 (valori %)
Per quel che riguarda il grado di istruzione, il dato che emerge dall’analisi delle primarie è
in sintonia con le più ampie ricerche sulla partecipazione politica in generale. Il 40% del
selettorato possiede, infatti, un diploma di scuola superiore e il 17% una laurea. Inoltre,
come mostra la Figura 5, non esistono differenze di rilievo tra il votante nelle primarie e
quello nelle elezioni generali. Se, tra coloro che votano per un partito di centrosinistra, la
percentuale di chi possiede la licenza di scuola elementare o media raggiunge appena il
42,4%, all’interno del selettorato quella stessa percentuale raggiunge il 42,5%. Le primarie,
proprio per le loro caratteristiche e il loro impatto immediato sul processo elettorale, sem9
brano dunque favorire la partecipazione di cittadini senza un livello di istruzione particolarmente elevato.
Figura 6 – Interesse per la politica per i partecipanti alle primarie 2012 e per l’elettorato del centrosinistra
e generale nel 2013 (valori %)
Infine, è interessante notare come l’elettore delle primarie mostri un interesse maggiore
per la politica, anche rispetto a tutti gli elettori dello stesso centrosinistra. Sono quasi nove
su dieci i partecipanti alle primarie che dichiarano di interessarsi “abbastanza” o “molto” di
politica (vedi Figura 6). Nel complesso, quindi, il selettorato del centrosinistra presenta un
profilo particolare, che è bene riassumere brevemente. Si tratta, anzi tutto, di una parte di
popolazione relativamente anziana, anche se leggermente più giovane rispetto
all’elettorato di riferimento; in sostanziale equilibro per quel che concerne il genere, ma,
soprattutto, con uno spiccato interesse per la politica e un livello di istruzione medio-alto.
Al di là di alcune piccole discrepanze, possiamo certamente affermare che il “popolo delle
primarie” è, da un punto di vista socio-demografico, quasi perfettamente rappresentativo
del più vasto e meno attivo elettorato del centrosinistra.
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Figura 7 – Iscritti e non iscritti ai partiti nelle primarie nazionali 2012 (valori %)
Cosa cambia, però, se spostiamo la nostra analisi dai dati demografici a quelli più strettamente politici? Per rispondere a questa domanda, un buon punto di partenza è fornito dalla Figura 7, nella quale i votanti alle primarie vengono suddivisi in due gruppi: tra chi è
iscritto a un partito politico e chi non ha alcun tipo di affiliazione. Il primo dato che merita
di essere evidenziato è la quota di votanti senza tessera. Più di tre elettori alle primarie su
quattro non sono iscritti ai partiti che, nel novembre 2012, si sono fatti promotori della
consultazione interna al centrosinistra. È un dato enorme nelle sue dimensioni e che rivela
un aspetto spesso dimenticato nel dibattitto attorno alle primarie. Se, infatti, escludessimo
i “senza-tessera” dalle votazioni per la scelta dei candidati, del successo in termini di partecipazione alle primarie rimarrebbe ben poco. Anzi, sulla base dei nostri dati, con primarie
“chiuse” ai soli iscritti ci si dovrebbe aspettare una mobilitazione alquanto limitata, in grado di stimolare la partecipazione di un iscritto su due o, nei casi più felici, due iscritti su
tre. Insomma, le primarie hanno bisogno degli iscritti per essere organizzate e allestite, ma
hanno bisogno dei simpatizzanti e degli elettori per poter riuscire in termini di mobilitazione elettorale.
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Figura 8 – Partecipanti alle primarie 2012 suddivisi per partito votato alle elezioni politiche del 2008 (valori %)
Il secondo dato che va sottolineato riguarda la percentuale di elettori estranei alla tradizione politica del centrosinistra. Abbiamo visto in precedenza che gli elettori senza tessera
rappresentano la parte più rilevante del selettorato. Non essere iscritti, però, non equivale
ad essere completamente estranei alla tradizione e all’organizzazione di un partito politico,
tanto più se quel partito è il PD, il quale – proprio nel suo Statuto – sostiene di essere un
“partito federale costituito da elettori ed iscritti”. Questo aspetto, certamente sui generis
nel panorama italiano, pone però il Partito Democratico all’interno di quella corrente contemporanea di partiti caratterizzata, secondo gli studiosi, da una multi-speed membership,
cioè da una appartenenza a più velocità che si regola e si attiva in base alle singole disponibilità o esigenze. Da questo punto di vista, un partito moderno è un’organizzazione che riesce a far convivere al proprio interno diverse tipologie di “attivisti”, che possono andare dai
classici militanti, tipici dei partiti di massa, ai “primaristi”, ossia coloro che si attivano soltanto saltuariamente per scegliere una determinata candidatura oppure per far sentire la
propria opinione in merito ad una specifica tematica. Pensare, oggi, che un partito politico
possa fare affidamento unicamente sulla forza e sulla presenza dei suoi iscritti più attivi,
significa non aver colto in pieno la portata di tutta quella serie di trasformazioni politiche,
sociali ed economiche che ha coinvolto i sistemi politici a partire pressappoco dall’ultimo
decennio del secolo scorso. All’interno di questo nuovo contesto, le elezioni primarie rap12
presentano uno strumento, fra i tanti, per incentivare una nuova forma di partecipazione –
sicuramente “leggera” ma dalla quale ne possono scaturire altre più “pesanti” o impegnative – alle attività dei partiti politici. Come mostra la Figura 8, questa scommessa in Italia
sembra essere stata vinta. Nel momento in cui i partiti decidono di aprire i loro cancelli,
non si assiste ad una invasione aliena, attraverso la quale bande di elettori ignoti provano
ad impadronirsi surrettiziamente del partito. Tutt’altro. Quando i partiti diventano inclusivi, come nel caso delle primarie per il Partito Democratico, più dell’80% dei votanti proviene storicamente, ideologicamente, politicamente del centrosinistra. La favola delle primarie italiane come teatro di scorribande e infiltrazioni di elettori “estranei” o “stranieri”
non va solo ridimensionata, ma assolutamente rigettata. Esiste – è vero – una componente
minoritaria del selettorato, quantificabile attorno al 5-6%, che proviene dall’esterno, ovvero da partiti collocati nel centrodestra. Tuttavia, oltre a non rappresentare una forza in
grado di ribaltare gli esiti del voto, quella componente esterna al centrosinistra può anche
essere interpretata come una forma di voto personale, riservato a un candidato capace di
intercettare consensi al di là della classica frattura tra destra e sinistra.
Quanto fin qui argomentato, è ben visibile anche nella Figura 9. Domandando agli elettori
la loro auto-collocazione sul continuum sinistra-destra, emerge ancora una volta la sostanziale sovrapponibilità, in questo caso ideologica, del popolo delle primarie con quello del
centrosinistra. Due “popoli” che si descrivono come moderatamente di sinistra, collocandosi nel centro della prima parte del continuum, e che hanno soltanto pochissime propaggini nella parte di centrodestra. È significativa, da questo punto di vista, la collocazione di
coloro che hanno votato Matteo Renzi nelle primarie del 2012. Pur essendo considerato un
candidato in grado di attrarre il voto dell’elettorato di centrodestra, soltanto un percentuale ridotta (inferiore al 10%) dei suoi elettori si collocava nella parte destra della dimensione
sinistra-destra.
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Figura 9 – Auto-collocazione spaziale del selettorato (2012) e dell’elettorato di centrosinistra nel 2013 (valori %)
Oltre ad essere composto da un elettorato di centrosinistra, il selettorato si caratterizza anche per l’elevata fedeltà mostrata nei confronti delle primarie. È il 73% la percentuale di chi
ha partecipato a più di una votazione interna ai partiti di centrosinistra e che qui abbiamo
definito “veterani” delle primarie (vedi Figura 10). Solo un elettore su quattro è definibile
come una “matricola”, cioè del tutto nuovo rispetto alle logiche di questo metodo di selezione delle candidature. Questo è un aspetto piuttosto rilevante perché la logica delle primarie, come qualsiasi tipo di attività, si impara e si affina praticandola nel corso del tempo.
È in un orizzonte temporale più lungo che gli elettori, così come i candidati, possono apprendere tutte le regole del gioco, comprese quelle informali, e adattarsi al sistema di incentivi insito nello strumento. Comportarsi lealmente nel gioco delle primarie richiede, innanzitutto, il rispetto – sia degli elettori che dei candidati – del risultato elettorale. In
quest’ottica, il selettorato del centrosinistra è, per una quota più che maggioritaria (59%),
“leale”, cioè ben disposto ad accettare il responso delle urne e a sostenere qualsiasi candidato risulti vincitore (vedi Figura 11). C’è poi da registrare una parte più “scettica” o indecisa, pari al 30% circa, che si riserva di decidere sul suo futuro comportamento elettorale in
un momento successivo alle primarie. Si tratta di elettori che, in buona misura, torneranno
a votare per il centrosinistra, ma che sono particolarmente sensibili alle modalità attraverso cui i partiti e i candidati sapranno gestire, possibilmente senza eccessivi strappi o lacerazioni, il periodo post-primarie, ricreando un’unità di intenti dopo il confronto al proprio
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interno. Infine, c’è una quota minoritaria (10%) di selettori del tutto indisposta a sostenere
un candidato diverso rispetto a quello votato alle primarie. Si tratta di quelli che qui abbiamo chiamato “apocalittici”: partecipanti disponibili a rispettare l’esito delle urne soltanto se il vincitore è il “loro”, mentre in tutti gli altri casi il fair play non è contemplato.
Figura 10 – Matricole e veterani nelle primarie nazionali del 2012 (valori %)
Figura 11 – Leali, scettici e apocalittici tra i partecipanti alle primarie 2012 (valori %)
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Nel complesso, il popolo delle primarie, profondamente identificato nel centrosinistra ma
senza tessere di partito in tasca, è composto da cittadini che hanno imparato a conoscere le
logiche e le regole di uno strumento che è stato introdotto solo di recente nel contesto italiano. A dieci anni di distanza dal loro debutto, nelle primarie ha finito per prevalere un
comportamento degli elettori orientato alla lealtà e al rispetto dell’esito del voto, anche
quando il risultato non è quello inizialmente sperato. Un lezione di etica politica che, talvolta, risulta carente tra i candidati, con tutte le conseguenze negative del caso, sia sulle
primarie sia sulle prestazioni elettorali dei partiti nelle elezioni generali.
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L’elezione diretta del Segretario
Dal 2007 ad oggi sono state tre le occasioni in cui il Partito Democratico ha eletto il proprio
Segretario nazionale in via diretta, attraverso il voto non solo degli iscritti, ma anche degli
elettori. Tre importanti tornate di cosiddette primarie (che tuttavia primarie in senso proprio non sono, dato che non corrispondevano alla selezione di un candidato a una carica
monocratica istituzionale), che hanno avuto effetti significativi sulla forma organizzativa e
politica del PD, soprattutto in virtù della rilevanza che esse sono venute acquisendo nel
corso del tempo, grazie alla notevole capacità di mobilitare l’elettorato di centrosinistra che
le ha contraddistinte. In tutte e tre le elezioni dirette del Segretario, infatti, la partecipazione al voto non è mai scesa sotto la soglia dei due milioni e mezzo di persone: oltre i tre milioni e mezzo nel 2007, in occasione della nascita del partito, oltre i 3 milioni nel 2009 e
pari a 2.797.758 nel 2013, in corrispondenza dell’elezione dell’attuale Segretario, Matteo
Renzi. Una mobilitazione che, raffrontata ai consensi ottenuti dal PD in occasione delle più
vicine elezioni politiche3, è oscillata fra il 26% delle elezioni 2009 e il 32,5% delle ultime
(con un dato pari al 30% in occasione della tornata costituente del 2007). Con una composizione del selettorato che – così come per le primarie di coalizione – si è costantemente
caratterizzata per il fatto di essere piuttosto anziana (più della metà con un’età dai 55 anni
in su), prevalentemente costituita da elettori di centrosinistra (più del 45% si autodefinisce
tale) e in stragrande maggioranza (oltre i 90%) di elettori PD, soprattutto delle regioni meridionali (la metà nel 2007, il 45% nel 2009 e un terzo nel 2013). Si tratta inoltre di “veterani” delle primarie, che per il 74% nel 2009 e l’82% nel 2013 avevano alle spalle la partecipazione ad altre consultazioni simili, vuoi per la scelta del candidato di coalizione alla
guida del governo, vuoi per la selezione di candidati Sindaci, o Presidenti di regione o di
provincia. E, ciò che più conta, di selettori in larga maggioranza “leali” nei confronti del responso del voto, ossia pronti ad accettarne il verdetto anche qualora il proprio candidato
non dovesse avere la meglio4.
3
In particolare, il confronto è stato realizzato rispetto ai voti ottenuti dall’Ulivo alle elezioni politiche 2008
per quel che riguarda la votazione del 2007; con le elezioni politiche del 2008 per quelle del 2009 e, da
ultimo, con le elezioni politiche del 2013 per l’ultima tornata, quella del 2013. In tutti e tre i casi, il
riferimento va ai voti per l’elezione della Camera dei Deputati.
4
Nelle tre elezioni dirette del 2007, 2009 e 2013, i selettori che si sono dichiarati “leali” rispetto al responso
del voto, qualunque esso fosse, sono stati rispettivamente l’82%, l’84% e il 79%.
17
Un partito di elettori più che di iscritti
Proprio il successo ottenuto da questa singolare formula di elezione diretta del leader di
partito estesa alla partecipazione degli elettori ha prodotto, nel corso del tempo, quegli effetti sulla forma organizzativa e politica del PD a cui abbiamo fatto cenno in precedenza. In
primo luogo, decretando la trasformazione del Partito Democratico in un partito, per così
dire, “aperto”, cioè costituito anzitutto da elettori, prima ancora che da iscritti. Come illustrato chiaramente della Figura 12, mentre il numero degli iscritti, nel corso degli anni fra
il 2008 e il 2013, non ha mai superato il tetto del milione (con una punta di oltre 820 mila
iscritti nel 2009), il numero dei selettori non è mai sceso sotto la soglia dei 2 milioni e 700
mila, dimostrando come il ricorso a questo tipo di procedure per la selezione del proprio
Segretario nazionale abbia permesso al PD di mobilitare un numero di persone incomparabilmente superiore alla cerchia dei propri iscritti.
Figura 12 – Andamento elettori e iscritti PD (2007-2013)
Un altro dato particolarmente significativo, al fine di chiarire l’impatto di queste consultazioni sulla forma organizzativa del partito, riguarda l’incidenza del voto dei circoli durante
la prima fase congressuale, quella di pre-selezione delle candidature, rispetto al successivo
voto per la scelta del Segretario nazionale. Come si evince dalla Figura 13, la mobilitazione
degli iscritti dei circoli in paragone con quella degli elettori ai gazebo risulta, da un lato, fra
18
le elezioni 2009 e quelle 2013, in netta riduzione in tutte le aree geografiche del paese e,
dall’altro, piuttosto contenuta, ad eccezione delle regioni meridionali, dove si attesta sul
19,2% nel 2009 e sul 17,8% nel 2013. Con ciò, a fronte della considerevole capacità di mobilitazione del proprio elettorato che il PD mostra in occasione dell’elezione diretta del Segretario, il contributo dei circoli risulta essere alquanto marginale, addirittura dimezzandosi fra il 2009 e il 2013 nelle cosiddette regioni rosse, cioè nei luoghi privilegiati del proprio insediamento tradizionale.
Figura 13 – Tasso di mobilitazione degli iscritti PD al voto dei circoli rispetto all’elezione diretta del segretario
La trasformazione del gruppo di dirigenti
L’elezione diretta del Segretario partecipata dagli elettori ha avuto anche importanti effetti
di ordine politico, che possiamo chiaramente ravvisare attraverso l’analisi di alcune caratteristiche della platea dei delegati dell’Assemblea nazionale, in corrispondenza delle tre
tornate di elezione fra il 2007 e il 2013, oltre che rispetto alla loro tendenziale evoluzione
nel corso dello stesso arco di tempo.
In primo luogo, è assai probabile che il ricorso a questa procedura di elezione abbia complessivamente favorito un ricambio generazionale altrimenti difficile da realizzare. Come si
vede dalla Figura 14, sono aumentati i delegati under 30, che costituiscono quasi il 14%
dell’Assemblea nazionale 2013, a fronte di quasi il 7% di quella del 2009 e dell’11% di quel19
la costituente (2007), così come sono aumentati i delegati fra i 30 e i 39 anni, passando dal
15% del 2007 a oltre il 20% del 2013. Sono invece significativamente diminuiti i delegati
con un’età superiore ai 50 anni; mentre quelli fra i 60 e i 69 anni, dal 2009 al 2013, si sono
sostanzialmente dimezzati e quelli over 60, nello stesso periodo, si sono ridotti di un terzo.
Figura 14 – Classi di età dei delegati dell’Assemblea nazionale PD (2007, 2009 e 2013) (valori %)
Un secondo importante effetto riguarda la provenienza di questo nuovo gruppo dirigente
che, come si vede nella Figura 15, se nel 2007 era costituito per il 26% da ex Margherita e
per il 43% da ex DS, con non più di un terzo dei delegati che potevano considerarsi estranei
alla storia politica dei due partiti fondatori, nel 2013 si costituisce per quasi il 44% di cosiddetti “nativi democratici”, cioè iscritti che non hanno alle spalle esperienze politiche in
altri partiti (oltre che per il 21% di ex Margherita e per il 35% di ex DS)5.
5
Si noti che l’Assemblea nazionale 2009 si distingueva in particolare per due primati: il minor numero di
“nativi democratici” (circa 22%) e il maggior numero di ex DS, molti dei quali provenienti dalle fila del PCI.
20
Figura 15 – Provenienza partitica dei delegati dell’Assemblea nazionale PD (2007, 2009 e 2013) (valori %)
Un terzo importante effetto concerne la concezione che i delegati hanno del ruolo del proprio leader di partito, rispetto alla coalizione che si candida al governo del paese, illustrata
attraverso la Figura 16. Se nel 2009 l’identificazione fra premiership e leadership invocata
dall’allora Segretario Veltroni non godeva di grande popolarità presso i delegati
dell’Assemblea costituente (poco meno del 3% concordava sulla coincidenza di questi due
ruoli), quasi il 58% dei delegati del 2013 è convinto che il Segretario del partito debba essere anche il candidato alla guida del governo.
Figura 16 – Il ruolo del segretario secondo i delegati dell’Assemblea nazionale PD (2007, 2009 e 2013) (valori %)
21
L’identificazione fra leadership e premiership, tuttavia, non si sposa necessariamente e in
maniera conseguente con la cosiddetta logica della “vocazione maggioritaria”: se, infatti,
quasi il 40% dei delegati dell’Assemblea nazionale in carica (2013) ritiene che il PD debba
andare alle elezioni da solo, la maggioranza degli stessi delegati (42%) attribuisce una
valenza strategica ad un’alleanza con altri partiti di sinistra. Un dato per certi versi
sorprendente, se si pensa che una pari attenzione verso i partiti di sinistra non era presente
sia nella platea dei delegati dell’Assemblea nazionale 2009, quando il tema delle alleanze
era declinato in maniera privilegiata verso i partiti di centro, che soltanto per il 30%
riteneva indispensabile guardare in quella direzione, sia fra i delegati dell’Assemblea
costituente (2007), che cercava alleanze alla sinistra del nascente partito solo per il 36%.
Perciò, se in buona sostanza l’attuale gruppo dirigente recupera parte di quella vocazione
maggioritaria che era stata teorizzata prima e praticata poi dal PD di Veltroni nel 2007, lo
stesso gruppo dirigente presenta ancora una parte consistente – addirittura la parte
maggioritaria dell’Assemblea – che considera importante impegnarsi nella ricerca di
alleanze strategiche con soggetti politici di sinistra.
Un ultimo importante effetto, strettamente correlato al precedente, in quanto a sua volta
emblematicamente rappresentativo della concezione della democrazia prevalente
all’interno del gruppo dirigente del partito, riguarda le caratteristiche della legge elettorale,
come si vede nella Figura 17. Da sempre divisi fra doppio turno alla francese e
proporzionale con soglia di sbarramento alla tedesca, secondo opzioni che spesso
riflettevano la precedente appartenenza politica ai DS o alla Margherita, i delegati
dell’Assemblea nazionale, fra il 2007 e il 2013 vedono crescere notevolmente la
percentuale di chi ritiene che una legge elettorale debba prima di tutto assicurare la
governabilità del paese, che passa dal 52% del 2007 all’89% del 2013, laddove la
percentuale di coloro che attribuiscono maggiore importanza alla capacità di un sistema
elettorale di assicurare rappresentatività crolla dal 47,6% del 2007 all’11% del 2013.
Come si è visto, l’elezione diretta del Segretario estesa alla partecipazione degli elettori ha
finito col favorire la costruzione di un partito che, da un lato, sta mutando profondamente
le sue caratteristiche organizzative, soprattutto in virtù del peso crescente che la capacità di
mobilitazione degli elettori in occasione delle primarie sta dimostrando rispetto alla più
tradizionale capacità di iniziativa dei circoli e, dall’altro, sta cambiando alcuni aspetti
importanti della propria natura politica, a cominciare dal diffuso riconoscimento fra i suoi
dirigenti del valore della leadership di partito come presupposto indispensabile per la
guida del governo. Mutamenti che, con tutta probabilità, derivano la loro origine, sul
22
fronte esterno, cioè del rapporto fra partito e società, dal ruolo attribuito, al di fuori delle
logiche tradizionali dell’appartenenza partitica, agli elettori nel compiere scelte
fondamentali quali la selezione del Segretario nazionale e del suo gruppo dirigente, e sul
fronte interno, cioè nel proprio personale politico, dal rinnovamento generazionale, oltre
che dal conseguente distacco dalle tradizioni politiche del passato, che stanno favorendo la
formazione di quadri e funzionari sempre più autonomi e distanti dall’influenza delle
logiche politiche consensuali di matrice post-democristiana e post-comunista, e viceversa
sempre più favorevoli a una democrazia di tipo maggioritario, in cui il capo del principale
partito di uno schieramento politico è al tempo stesso investito della responsabilità di
guidare il governo e dove il sistema elettorale deve privilegiare le ragioni della
governabilità rispetto a quelle della rappresentatività.
Figura 17 – Caratteristiche della legge elettorale per i delegati dell’Assemblea (valori %)
È evidente che tali cambiamenti, le cui origini possono essere fatte risalire proprio
all’introduzione delle primarie (o di meccanismi di selezione dagli effetti in parte assimila23
bili, come l’elezione diretta del Segretario di partito con la partecipazione degli elettori),
abbiano sollecitato e stiano ancora sollecitando la struttura organizzativa del partito, così
come il suo quadro dirigente attivo. Si tratta quindi di un mutamento i cui effetti devono
ancora rintracciare tutte le condizioni organizzative necessarie al suo definitivo consolidamento. E proprio questa sarà la sfida del Partito Democratico nel prossimo futuro: gestire i
profondi cambiamenti di cui il partito è stato espressione in questi anni, senza che i loro effetti si ripercuotano su elettori, selettori e gruppi dirigenti del PD, evitando il rischio di uno
sterile quanto controproducente conflitto fra vecchio e nuovo.
24
Le opinioni degli iscritti sulle primarie
Le primarie del Partito Democratico si contraddistinguono per la loro massima inclusività.
Si tratta infatti di primarie aperte che consentono la partecipazione a chiunque lo desideri
(con le sole eccezioni previste dallo Statuto o le condizioni dettate talvolta dai regolamenti). Questo significa che simpatizzanti e iscritti condividono il medesimo diritto – e a conti
fatti il potere – di scegliere candidati e addirittura il leader di partito. E lo fanno a prescindere dal loro effettivo impegno e attivismo nella vita di partito.
La grande capacità di mobilitazione delle primarie si situa proprio nel coinvolgimento di
quote di sostenitori non aderenti all’organizzazione partitica: non iscritti, ma non disinteressati alle sorti del partito; non intenzionati a impegnarsi attivamente e continuativamente nella vita interna dell’organizzazione partitica, ma disposti a mobilitarsi una tantum in
occasione delle primarie. Parliamo di un capitale enorme per un partito che deve costruire
consenso elettorale e poter contare su una base solida di sostenitori. Le primarie hanno
dunque una grande efficacia esterna – lo mostrano chiaramente i numeri a 6 zeri della partecipazione – tuttavia è proprio questa larghissima inclusività a porre qualche problema:
qual è il ruolo dei militanti in questo grande evento partecipativo? Il rischio è quello di un
progressivo indebolimento e di una definitiva marginalizzazione della figura classica
dell’iscritto dato che soggetti “esterni” all’organizzazione partitica possono esercitare un
potere cruciale anche a fronte di uno scarso impegno e coinvolgimento nel partito.
Come hanno reagito gli iscritti di fronte all’innovazione delle primarie? Gli iscritti si sentono minacciati dall’incursione di soggetti esterni in un momento delicato come quello della
selezione di candidati o leader di partito? O hanno invece un’opinione positiva intravedendo nelle primarie un’occasione di partecipazione e militanza in grado di rafforzare la relazione con il proprio partito?
Per provare a rispondere a questi interrogativi, abbiamo utilizzato i dati di un sondaggio
condotto mediante metodo CAWI sugli iscritti PD fra il 25 marzo e 14 aprile 2013 che proponeva una serie di domande volte a chiarire quali fossero le opinioni degli iscritti sulle
primarie6.
6
Seppure il campionamento non possa essere considerato probabilistico e la somministrazione CAWI risenta
di un bias legato allo strumento (il sondaggio ha raggiunto tutti gli iscritti PD che avevano reso disponibile al
partito il proprio indirizzo di posta elettronica), l'alto numero di intervistati (N. 13666) consente di trarre
alcune considerazioni in merito al rapporto fra primarie e iscritti.
25
In prima battuta, e prima ancora di esplorare il tema delle primarie, è utile riflettere su una
dimensione più generale che attiene all'attivismo interno al partito. Aderire a un partito significa condividerne l'orientamento ideologico, le proposte politiche, ma anche partecipare
attivamente alla vita dell’organizzazione. Un modo per stimare e comprendere la natura
del coinvolgimento degli iscritti nell'organizzazione partitica è quello di considerare il numero delle ore spese settimanalmente dagli iscritti in attività di partito. I dati riportati nella Figura 18 restituiscono l'immagine di una membership piuttosto attiva. Infatti, accanto a
quel 28,3% di iscritti PD che dichiara di non dedicare tempo alle attività del partito, si osserva la presenza del 51,8% dei rispondenti che invece dichiara di impegnare fino a 5 ore
settimanali in attività partitiche. Non solo: il 19,9% afferma di partecipare alle attività interne per oltre 5 ore alla settimana. In altre parole, seppure la quota di inattivi sia elevata,
il partito può fare affidamento su uno zoccolo di militanti assidui che raggruppa circa un
quinto degli iscritti. Queste percentuali descrivono uno scenario positivo per il Partito Democratico, i cui iscritti si mostrano più attivi e propensi a investire tempo nelle attività del
partito di quanto non facciano i loro omologhi europei.
Figura 18 - Pensando alla sua attività interna al partito, quante ore dedica in media alla settimana?
(valori %; n: 12.630)
Questi dati riflettono dunque l’immagine di un partito vivo al proprio interno, dotato di
una base di iscritti coinvolta, interessata ed attiva. Appurato ciò, passiamo ora ad affrontare il cuore del tema di questo paragrafo: il rapporto fra le primarie e i militanti.
26
Per quello che riguarda le primarie in generale (Figura 19) i membri del PD hanno pochi
dubbi: questo metodo di selezione riscuote un vasto apprezzamento.
Figura 19 - Quanto si ritiene d'accordo con le seguenti affermazioni? (valori %)
Oltre il 72% degli iscritti dichiara di essere “abbastanza” o “molto” d’accordo con la seguente affermazione: "le primarie hanno migliorato il mio giudizio sul partito" (41,4% abbastanza; 31,9% molto). Una quota simile (74,5%) ritiene invece che le primarie siano uno
strumento in grado di innescare processi di rinnovamento della classe politica (44% abbastanza; 30,5% molto). Più sfumata è invece la posizione degli iscritti rispetto all'idea che le
primarie possano aumentare la conflittualità interna al partito. Seppure il 61,9% affermi di
essere per nulla (19%) o poco (42,9%) d'accordo con l'affermazione, le posizioni non sembrano nette come per gli altri temi. Difatti la quota di militanti critici non è residuale come
negli altri casi (38,1%).
Alla luce di questi dati, gli iscritti appaiono largamente favorevoli allo strumento delle primarie: le loro affermazioni lasciano intravedere una certa fiducia per questo metodo di selezione che favorirebbe il rinnovamento della classe politica e avrebbe inciso positivamente sul loro giudizio nei confronti del partito, riconoscendo comunque il rischio che di
esacerbare i conflitti interni.
I risultati presentati nella Figura 20 sono coerenti con questo clima d'opinione interno al
partito di grande positività verso le primarie. Gli intervistati sostengono in maniera convinta il ricorso alle primarie per le cariche elettive: il 68,3% ritiene che debbano essere utilizzate sempre per la scelta del candidato alla Presidenza del Consiglio; una quota simile
27
(68,5%) afferma di essere molto d'accordo con l'idea di usarle sempre per selezionare i
candidati a Presidente di Regione. Una lievissima flessione si osserva per quello che riguarda la scelta dei candidati sindaco (63,4% si dichiara molto d'accordo) e ben il 66,4% ritiene invece che debbano essere adoperate per la scelta dei candidati al Parlamento. Se a
coloro che hanno espresso il massimo grado di accordo si aggiungono gli intervistati che si
sono detti abbastanza d'accordo, il quadro appare fin troppo delineato: gli iscritti PD sostengono in maniera decisa il ricorso alle elezioni primarie con percentuali che superano
l'80%.
Figura 20 - Quanto si ritiene d'accordo con le seguenti affermazioni? (valori %)
Chiudiamo questa sezione presentando i dati relativi alle due tematiche specificamente mirate a chiarire la natura della relazione fra iscritti di partito ed elezioni primarie (Figura
21). Il primo quesito si focalizzava sull'inclusività delle primarie e chiedeva agli intervistati
di esprimere il loro grado di accordo rispetto all'idea di "chiudere" le primarie e consentire
il voto ai soli iscritti senza coinvolgere soggetti esterni al partito. Interrogati su questo
aspetto specifico, i militanti intervistati presentano posizioni perlopiù contrarie (63,7%),
ma si registra una quota pari a oltre un quinto (21,7%) che accoglierebbe con molto favore
una riduzione dell'inclusività. Un quadro più netto e decisamente più favorevole alle primarie si registra invece in merito all'ipotesi che le primarie possano ridurre il potere degli
iscritti all'interno del partito. I membri del PD interpellati non sembrano sentirsi minacciati dalle primarie e il dato più interessante, ai fini della nostra analisi, giunge da quel
82,7% che esprime il proprio disaccordo. Più nel dettaglio: oltre la metà del campione in28
tervistato (55,5%) si dichiara in disaccordo, il 27,2% si dice poco d'accordo e solo una quota
marginale, pari al 17,4% degli intervistati, esplicita qualche forma di preoccupazione
(10,9% abbastanza d'accordo; 6,5% molto d'accordo).
Figura 21 - Quanto si ritiene d'accordo con le seguenti affermazioni? (valori %)
Alla luce di questi dati sembrano essere smentiti i timori di chi vede nelle primarie una
minaccia al ruolo del militante all’interno del Partito Democratico. Gli iscritti intervistati
sono in prevalenza favorevoli alle primarie, senza esprimere troppi dubbi. I dati sono ancor
più eloquenti se si considera che la somministrazione è avvenuta all’indomani di una deludente prestazione elettorale e a ridosso della controversa (ri-)elezione del capo dello Stato,
in un momento dunque di grande criticità per il partito.
Si badi, non si tratta di ingenuo entusiasmo o semplice fascinazione per lo strumento: quote non marginali di iscritti intravedono i rischi (si pensi al dato sulla conflittualità indotta
dalle primarie), ma in generale non sembrano intenzionati a rinunciare a questo strumento
di partecipazione in grado di migliorare la loro opinione sul partito.
29
Dieci anni di primarie regionali
Il 16 gennaio 2005, molti mesi prima delle celeberrime primarie che incoronarono Romano Prodi, Nichi Vendola veniva selezionato come candidato presidente di tutto il centrosinistra alle elezioni regionali pugliesi che si sarebbero svolte nell’aprile successivo. Aveva
così inizio la storia delle primarie regionali italiane. Esattamente come nel caso delle primarie comunali, l’adozione delle primarie in ambito regionale appariva perfettamente coerente con la filosofia di fondo di sistemi politico-partitici caratterizzati, innanzitutto,
dall’elezione diretta del Presidente della Giunta regionale. I partiti, dunque, non solo
avrebbero offerto agli elettori la possibilità di eleggere direttamente il Presidente, ma anche di selezionare i candidati a quella carica apicale.
Con la parziale eccezione delle primarie online organizzate dal Movimento 5 Stelle in vista
delle
ultime
regionali,
l’aumento
dell’efficacia
politica
degli
elettori,
garantita
dall’interazione tra primarie ed elezione diretta del Presidente, ha riguardato una sola parte del sistema partitico italiano: il centrosinistra. Più precisamente, tra il gennaio 2005 e il
marzo 2015 si sono svolte 17 elezioni primarie regionali: in 14 casi si è trattato di primarie
di coalizione, nei rimanenti 3 casi, invece, la competizione ha coinvolto solo esponenti del
PD. Peraltro, queste competizioni si sono rivelate un fenomeno prevalentemente meridionale. Infatti, mentre si sono tenute tre volte in regioni del Nord e altre tre volte in regione
del Centro, nelle regioni del Sud (e nelle Isole) le primarie si sono svolte in ben undici occasioni.
Figura 22 - Numero di elezioni primarie sul totale delle elezioni regionali
30
Ma al di là della loro collocazione geografica, va segnalato che, così come accade per gli altri tipi di primarie, anche la distribuzione temporale di quelle regionali presenta una tendenza crescente.
Raggruppando le elezioni primarie in base a tre distinti cicli elettorali, la Figura 22 mostra
molto chiaramente come nel corso del tempo la loro incidenza sia cresciuta significativamente, passando dalle sole primarie pugliesi e siciliane del ciclo 2003-2006 (pari al 10%
delle venti elezioni regionali), alle 11 competizioni organizzate nel ciclo 2012-2015 (pari al
55%). Questa rilevante crescita, peraltro, è dipesa soprattutto dall’utilizzo che delle primarie è stato fatto in vista delle elezioni regionali del 2014 e del 2015. Nel 2014, in quattro
delle cinque regioni che sono andate al voto il centrosinistra ha deciso di selezionare il
proprio candidato attraverso le primarie. L’unica eccezione alla regola è stata rappresenta
dal Piemonte, dove Sergio Chiamparino è stato candidato senza passare attraverso il vaglio
del selettorato. Se nel 2014 le primarie si sono tenute nell’80% dei casi, nel 2015 questa
percentuale si è fermata al 71,4%, un dato comunque molto significativo. Tra le sette elezioni regionali tenutesi lo scorso 31 maggio, soltanto in Umbria e Toscana il centrosinistra
ha deciso di non selezionare il proprio candidato attraverso le primarie, puntando evidentemente sull’effetto incumbency (derivante dal vantaggio di essere in carica) di cui poi
hanno effettivamente beneficiato gli uscenti Catiuscia Marini (Umbria) e Enrico Rossi (Toscana). Come si vede dalla Tabella 2, si è trattato di una decisione non scontata. In 7 casi su
17, infatti, il centrosinistra ha organizzato le primarie pur disponendo, potenzialmente, di
un candidato uscente. Inoltre, soltanto in due casi l’incumbent ha preso parte alla competizione primaria: nel 2010 in Puglia e Calabria, quando Nichi Vendola e Agazio Loiero furono scelti alla guida della coalizione7.
7
Il 28 novembre 2004, Loiero fu selezionato nell’ambito di una convention del centrosinistra. Qualcuno
all’epoca parlò di primarie, in realtà in quel caso si trattò semplicemente di un’assemblea di coalizione
allargata alle associazioni del territorio. Più precisamente, il 40% degli aventi diritto fu scelto dai partiti, il
30% dalle associazioni e il 30% rimanente era costituito dagli eletti.
31
Tabella 2 - Informazioni generali sulle elezioni primarie regionali del centrosinistra
Regione
Data
Sistema eletPromotore
Incumbent in
torale
competizione
0 = turno uni0 = CS 1=
0 = senza incumco
PD
bent
1 = doppio
1= con incumbent
turno
Puglia
16/01/2005
0
0
0
Sicilia
04/12/2005
0
0
0
Puglia
24/01/2010
0
0
1
Umbria
07/02/2010
0
1
0
Calabria
14/02/2010
0
1
1
Molise
04/09/2011
0
0
0
Lombardia
15/12/2012
0
0
0
Basilicata
22/09/2013
0
0
0
Sardegna
29/09/2013
1
0
0
Abruzzo
09/03/2014
1
0
0
Emilia-Romagna
28/09/2014
0
1
0
Calabria
05/10/2014
0
0
0
Puglia
30/11/2014
0
0
0
Veneto
30/11/2014
0
0
0
Liguria
11/01/2015
0
0
0
Campania
01/03/2015
0
0
0
Marche
01/03/2015
0
0
0
Fonte: nostra elaborazione.
Amministrazione
uscente
0 = CD 1 = CS
0
0
1
0
1
0
0
1
0
0
1
0
1
0
1
0
1
Oltre a quanto appena richiamato, la Tabella 2 fornisce un’altra importante informazione
generale sulle primarie regionali: il tipo di sistema elettorale impiegato. Innanzitutto, dal
momento che la posta in palio è il ruolo di candidato alla presidenza della Regione, il sistema non può che essere maggioritario, per cui i voti attribuiti ai candidati non selezionati
sono inutilizzabili. All’interno di questo panorama, l’unica distinzione rilevante riguarda la
previsione o meno del doppio turno. Osservando i diversi casi, emerge come soltanto in
due casi – Basilicata 2013 e Sardegna 2013 – il regolamento includeva un ballottaggio nel
caso in cui, al primo turno, nessun candidato fosse stato in grado di superare il 40% dei voti validi. Peraltro, in entrambe le occasioni il candidato selezionato ha superato la soglia del
40% al primo turno, rendendo vana la previsione del secondo turno.
La partecipazione alle primarie regionali
Esattamente come nel caso delle elezioni generali, il livello di partecipazione rappresenta
la prima informazione disponibile sulle elezioni primarie. Un dato che, in buona misura,
ne determina il grado di successo e legittimazione. Sia nelle primarie che nelle elezioni generali, il bacino degli aventi diritto al voto è rigorosamente circoscritto. Esso, peraltro, è
più ampio nel caso delle primarie, coinvolgendo spesso i sedicenni, i diciasettenni e gli
immigrati regolari. Esiste, però, una importante differenza tra le primarie e le elezioni generali: mentre nel secondo caso non ci sono dubbi sul fatto che il numero degli aventi dirit32
to debba costituire il parametro in base al quale determinate il tasso di partecipazione, nel
caso delle primarie il panorama è più complesso. Trattandosi di elezioni asimmetriche,
cioè svolte solo da una sola delle parti politiche in competizione, si può ipotizzare che le
primarie siano appetibili soprattutto per i simpatizzanti dei partiti che le promuovono.
Se così è, bisogna identificare il numero di potenziali partecipanti alle primarie, indipendentemente da coloro che, formalmente, hanno il diritto di prendervi parte. Nel caso delle
primarie regionali, trattandosi di un’elezione monocratica, il «problema del denominatore» è stato risolto utilizzando i voti ottenuti alle successive elezioni regionali dal vincitore
delle primarie. L’utilizzo delle elezioni successive alle primarie in luogo di quelle precedenti dipende dal fatto che, in quanto appartenenti ad un diverso ciclo politico-elettorale,
l’impiego delle seconde avrebbe potuto produrre un tasso di partecipazione ancorato ad un
panorama politico mutato. In questo quadro, l’unica eccezione riguarda il caso Sardegna
2013 quando, a causa di incombenti problemi giudiziari, la nominee Francesca Barracciu
non venne candidata alle successive elezioni regionali. Per questa ragione, nel caso sardo
abbiamo scelto di prendere in considerazione i voti attribuiti alle liste del centrosinistra.
Tabella 3 - La partecipazione alle primarie regionali
Regione
Data
Partecipazione (valori assoluti)
Voti al candidato
Presidente alle Regionali successive
148.696
183.272
342.773
489.559
87.637
257.458
1.036.638
289.573
251.050
1.078.259
793.831
987.651
319.887
615.723
Tasso di partecipazione
Basilicata
22/09/2013
57.793
38,9
Liguria
11/01/2015
55.150
30,1
Calabria
14/02/2010
98.828
28,8
Calabria
05/10/2014
131.022
26,8
Molise
04/09/2011
18.648
21,3
Umbria
07/02/2010
54.680
21,2
Puglia
24/01/2010
204.512
19,7
Sardegna
29/09/2013
52.084
18,0
Marche
01/03/2015
43.592
17,4
Sicilia
04/12/2005
186.478
17,3
Puglia
30/11/2014
135.336
17,0
Campania
01/03/2015
164.537
16,7
Abruzzo
09/03/2014
40.293
12,6
Emilia28/09/2014
58.119
9,4
Romagna
Veneto
30/11/2014
39.770
503.147
7,9
Lombardia
15/12/2012
150.604
2.194.169
6,9
Puglia
16/01/2005
79.296
1.165.536
6,8
Fonte: nostra elaborazione.
Nota: nei casi Puglia 2010 e Campania 2014 abbiamo considerato i voti validi, poiché il dato relativo alla
partecipazione non è disponibile. Data la limitata incidenza dei voti non validi alle elezioni primarie,
questo inconveniente non inficia in alcun modo la validità delle nostre considerazioni.
La Tabella 3 mostra il livello di partecipazione nelle 17 primarie esaminate. I dati sono ordinati in senso decrescente in base al tasso di partecipazione. Come anticipato, esso scaturisce dal rapporto tra il numero di selettori e il numero di voti ottenuti dal vincitore alle
33
successive regionali, moltiplicato per 100. Innanzitutto, però, vale la pena osservare i dati
in termini assoluti. Da questo punto di vista, le primarie con il maggior numero di selettori
si sono svolte in Puglia nel 2010 (204.512); quelle molisane del 2011, invece, sono state
partecipate da appena 18.648 selettori, il che è perfettamente coerente con le limitate dimensioni della regione.
Guardando ai dati in termini percentuali, in primo luogo, emerge che il tasso di partecipazione varia dal 6,8% delle primarie pugliesi del 2005 al 38,9% di quelle svoltesi in Basilicata nel 2013; inoltre, si deve sottolineare che mediamente decide di partecipare il 18,6% dei
potenziali selettori. È piuttosto interessante notare come, oltre al caso Puglia 2005, solo in
altre tre occasioni la partecipazione sia rimasta sotto il 10%: Emilia-Romagna 2014 (9,4%),
Veneto 2014 (7,9%) e Lombardia 2012 (6,9%). Al contrario, escludendo il caso Basilicata
2013, la soglia del 20% è stata superata in cinque casi: Liguria 2015 (30,1%), Calabria 2010
(28,8%), Calabria 2014 (26,8%), Molise 2011 (21,3%) e Umbria 2010 (21,2%).
Per quanto interessanti, questi dati ci dicono poco sull’andamento nel tempo del tasso di
partecipazione. A questo proposito potrebbe essere utile osservare la Figura 23 che, per
ogni anno elettorale, riporta la media del tasso di partecipazione nelle elezioni primarie.
Figura 23 - Tasso di partecipazione medio alle primarie regionali
Si nota chiaramente come l’evoluzione della partecipazione non segua un percorso lineare,
né restituisca una tendenza di qualsivoglia tipo. In altre parole, il tasso di partecipazione
medio ha un andamento altalenante che non permette di trarre conclusioni affrettate né
sull’eventuale crescita di attrattività delle primarie né sull’ipotesi contraria.
34
I risultati delle primarie regionali
Modificare profonde e radicate convinzioni di senso comune è obiettivo quanto mai difficile. Saremmo dunque ingenui se aspirassimo a ridisegnarle limitandoci a presentare alcune, semplici, informazioni. Tuttavia, indipendentemente dai loro potenziali effetti benefici,
i dati ci consentono di scoperchiare l’evanescenza del senso comune sulle elezioni primarie.
La vulgata, per esempio, si ostina a sostenere che le primarie, soprattutto a livello subnazionale, sono vinte da candidati estremisti, appartenenti a partiti schierati alla sinistra del
Partito Democratico. Confinando lo sguardo alle primarie regionali, la realtà ci consegna
uno scenario diametralmente opposto. Limitandoci alle 14 primarie di coalizione, il candidato del PD è stato selezionato in 10 casi. In due casi invece hanno vinto due candidati indipendenti che, di fatto, erano sostenuti dai democratici: Rita Borsellino alle primarie siciliane del 2005 e Umberto Ambrosoli alle primarie lombarde del 2012. L’unico candidato in
grado di battere i candidati del PD è stato Nichi Vendola. L’ex Presidente della Puglia, infatti, vinse la competizione nel 2005 sotto le bandiere di Rifondazione Comunista, confermandosi nel 2010 nelle file di Sinistra Ecologia e Libertà. Insomma, alle primarie regionali
vincono i candidati del partito centrale della coalizione.
Tabella 4 - I risultati alle primarie regionali
Regione
Anno
N. candiVincitore
dati
Puglia
2005
2
Vendola
Umbria
2010
2
Marini
Emilia2014
2
Bonaccini
Romagna
Sicilia
2005
2
Borsellino
Puglia
2010
2
Vendola
Lombardia
2012
3
Ambrosoli
Puglia
2014
3
Emiliano
Calabria
2010
3
Loiero
Sardegna
2013
5
Barracciu
Campania
2015
3
De Luca
Calabria
2014
3
Oliverio
Molise
2011
5
Frattura
Marche
2015
3
Ceriscioli
Liguria
2015
3
Paita
Veneto
2014
3
Moretti
Basilicata
2013
4
Pittella
Abruzzo
2014
3
D’Alfonso
Fonte: nostra elaborazione.
% vincitore
51,1
54,3
60,9
% miglior
perdente
48,9
45,7
39,1
Margine
elettorale
2,2
8,6
21,8
Indice di competitività
0,99
0,99
0,95
66,9
67,2
57,7
57,2
53,8
44,3
50,7
54,0
39,4
52,5
53,1
66,4
45,3
76,4
33,2
32,8
23,2
31,4
39,6
32,6
43,8
42,1
29,4
46,1
45,6
29,3
44,6
13,4
33,7
34,4
34,5
25,8
14,2
11,7
6,9
11,9
10,0
6,4
7,5
37,1
0,7
63,0
0,90
0,89
0,79
0,76
0,74
0,62
0,74
0,71
0,69
0,68
0,68
0,63
0,61
0,55
Chiarito questo punto preliminare, la Tabella 4 offre altre interessanti informazioni. Tanto
per cominciare, ai loro esordi le primarie regionali sono state, in larga misura, competizioni tra due candidati: con l’unica eccezione del caso Calabria 2010, le cinque primarie che si
35
sono svolte tra il 2005 e il 2010 hanno avuto questa caratteristica. Tra il 2011 e il 2015, invece, l’unica primaria con due soli candidati è stata quella emiliano-romagnola del settembre 2014, che ha visto contrapposti i due esponenti del PD Stefano Bonaccini e Roberto
Balzani. Il formato largamente prevalente, tipico del 53% delle primarie regionali, è rappresentato da competizioni a tre candidati. Quattro candidati, invece, hanno corso nelle sole primarie lucane del 2013. Infine, il limite massimo di cinque candidati è stato raggiunto
sia nelle primarie molisane del 2011, sia in quelle sarde del settembre 2013.
Come già anticipato, anche nei pochi casi nei quali era previsto un ballottaggio, i risultati
delle primarie sono arrivati fin dalla prima giornata di votazione. Nella maggior parte dei
casi, peraltro, il candidato vincitore ha superato la maggioranza assoluta dei voti. Oltre alle
cinque competizioni a due candidati, questa circostanza si è verificata anche in tutte le
primarie a tre. Al contrario, nel caso di primarie con quattro (Basilicata 2013) e cinque
competitors (Molise 2011 e Sardegna 2013) il vincitore si è fermato alla maggioranza relativa. Indipendentemente dal formato della competizione, il candidato che ha ottenuto la
vittoria più larga è stato Luciano D’Alfonso, in grado di vincere le primarie abruzzesi del
marzo 2014 con il 76,4% dei voti. Viceversa, il molisano Paolo di Laura Frattura vinse nel
2011 le primarie della sua regione con il 39,4%, conseguendo la percentuale più bassa in
assoluto.
L’esame dei risultati di una qualunque competizione elettorale non può limitarsi alla mera
descrizione delle percentuali di voto. Il che è vero soprattutto quando, come in questo caso,
non è possibile produrre un’analisi territoriale del voto ricca di dettagli e approfondimenti.
È opportuno, per esempio, esaminare il grado di competitività delle primarie così da contribuire, dati alla mano, all’infinito e spesso mal posto, dibattito su primarie “vere” e primarie “false”.
Qual è, dunque, il livello di competitività delle primarie regionali italiane? Per rispondere a
questa domanda, possiamo utilizzare il margine elettorale (differenza in punti percentuali
tra il vincitore e il migliore perdente) e l’indice di competitività elaborato da Kenig8. Ciò
premesso, la Tabella 3 ordina le diverse primarie in senso decrescente in base all’indice di
competitività. Come si vede, le primarie più competitive sono quelle pugliesi del 2005 le
quali, non solo hanno un indice di competitività pari a 0,99, ma presentano anche il secondo margine elettorale più contenuto (2,2), dopo quello delle primarie lucane del 2013
8
L’indice di competitività di Kenig, che varia tra 0 e 1, tiene conto di tutti i candidati in competizione; più
esattamente, si ottiene dividendo il numero effettivo dei candidati per il numero dei candidati in gara. Il
numero effettivo dei candidati è calcolato in base al noto indice di Laakso e Taagepera.
36
(0,7). Sul lato opposto, abbiamo le primarie abruzzesi del 2013, cui corrisponde un indice
di Kenig uguale a 0,55 e un margine elettorale pari a 63 punti percentuali. Se queste due
primarie costituiscono i due punti estremi, mediamente l’indice di Kenig raggiunge lo 0,76,
mentre il margine elettorale medio è uguale a 19,4 punti. Questi due valori indicano un livello medio di competitività piuttosto significativo. In entrambi i casi, infatti, i valori degli
indici non sono molto lontani dal limite massimo.
37
Le primarie locali
Il Partito Democratico elegge i suoi segretari tramite primarie aperte a livello nazionale e
regionale, mentre per i livelli inferiori (comuni e province) si affida ai soli iscritti. Di conseguenza, l’espressione “primarie locali” si riferisce esclusivamente alle primarie tenute per
selezionare i candidati del partito alla carica di sindaco e di presidente della provincia.
Partiamo da queste ultime. Come riportato nella Tabella 5, il centrosinistra ha organizzato
29 primarie provinciali, che con una sola eccezione si sono tenute fra il gennaio del 2006 e
il dicembre del 2010. Successivamente, l’unica primaria provinciale si è tenuta a Trento nel
2013. Questa singolare distribuzione nel tempo dipende dal processo di riforma che ha interessato le province a partire dal decreto “Salva-Italia” approvato dal governo Monti nel
dicembre 2011, che non ha coinvolto Trento in ragione del suo status speciale. Perlopiù si è
trattato di primarie di coalizione, ad eccezione di quelle promosse nel 2008, quando il
neonato Partito Democratico a guida veltroniana preferì “andare da solo” nella maggior
parte dei casi. Il numero dei candidati di solito è compreso fra 2 e 4, ma in quattro casi si
sono contrapposti 5 candidati e in un caso addirittura 6. I vincitori delle primarie – che solamente in tre occasioni sono stati di genere femminile – appartengono alla sinistra cosiddetta estrema soltanto in due casi. I candidati della sinistra moderata – nel tempo facenti
capo a Democratici di Sinistra, Margherita, Socialisti Democratici Italiani, Partito Democratico e Patt – prevalgono con notevole frequenza. Dopo la sua fondazione, il PD fa la parte del leone, vincendo 9 delle 12 primarie di coalizione. I nominees – i candidati selezionati
attraverso le primarie – vengono eletti presidenti in 14 casi, che non consentono di concludere alcunché sulla capacità di promozione delle primarie in vista delle successive elezioni
provinciali.
Tutte le primarie provinciali si sono tenute con il sistema elettorale a turno unico. Tuttavia
nel caso di Fermo si sono tenute due primarie. Con la prima il PD ha scelto un suo candidato con una primaria di partito; successivamente il vincitore (Renzo Offidani) si è nuovamente impegnato in una primaria di colazione per essere sconfitto dal candidato della
sinistra (Fabrizio Cesetti). Si tratta dunque di due primarie distinte, non di un’unica primaria a doppio turno con ballottaggio.
38
Tabella 5 - Le primarie provinciali del centrosinistra, 2006-2013
Data delle
N. canProvincia
Promotore
Vincitori
primarie
didati
Gorizia
29/01/2006 Centrosinistra
4
Enrico Gherghetta
Lucca
05/03/2006 Centrosinistra
4
Stefano Baccelli
Imperia
26/03/2006 Centrosinistra
2
Fulvio Vassallo
Ancona
04/02/2007 DS
n.a.
Patrizia Casagrande
La Spezia
04/02/2007 Centrosinistra
5
Marino Fiasella
Vercelli
01/04/2007 Centrosinistra
3
Francesco Carcò
Vicenza
15/04/2007 Centrosinistra
3
Pietro Collareda
Asti
09/03/2008 PD
2
Roberto Peretti
Caltanissetta 11/05/2008 PD
4
Salvatore Messana
Fermo (1)
23/11/2008 PD
2
Renzo Offidani
Ascoli
30/11/2008 PD
3
Emidio Mandozzi
Cuneo
14/12/2008 PD
3
Mino Taricco
Savona
14/12/2008 PD
6
Michele Boffa
Taranto
14/12/2008 Centrosinistra
2
Gianni Florido
Arezzo
01/02/2009 Centrosinistra
2
Roberto Vasai
Pistoia
01/02/2009 Centrosinistra
3
Federica Fratoli
Siena
01/02/2009 PD
3
Simone Bezzini
Firenze
15/02/2009 Centrosinistra
3
Andrea Barducci
Grosseto
15/02/2009 Centrosinistra
3
Leonardo Marras
Prato
15/02/2009 Centrosinistra
2
Lamberto Gestri
Fermo (2)
08/03/2009 Centrosinistra
2
Fabrizio Cesetti
Pordenone
08/03/2009 PD
2
Giorgio Zanin
Napoli
22/03/2009 Centrosinistra
3
Luigi Nicolais
Isernia
29/03/2009 Centrosinistra
5
Antonio Sorbo
Avellino
05/04/2009 Centrosinistra
3
Alberta De Simone
Brescia
05/04/2009 PD
5
Diego Peli
Verona
05/04/2009 PD
3
Diego Zardini
Ravenna
19/12/2010 Centrosinistra
4
Claudio Casadio
Trento
13/07/2013 Centrosinistra
5
Ugo Rossi
Partito del
vincitore
DS
Margherita
DS
DS
Margherita
SDI
Margherita
PD
PD
PD
PD
PD
PD
PD
PD
PD
PD
PD
PD
PD
Sinistra
PD
PD
Sinistra
PD
PD
PD
PD
PATT
Esito alle elezioni
provinciali
Eletto
Eletto
Non eletto
Eletto
Eletto
Non eletto
Non eletto
Non eletto
Non eletto
Non candidato
Non eletto
Non eletto
Non eletto
Eletto
Eletto
Eletto
Eletto
Eletto
Eletto
Eletto
Eletto
Non eletto
Non eletto
Non eletto
Non eletto
Non eletto
Non eletto
Eletto
Eletto
Le province sono soltanto 110, e le primarie provinciali si sono sostanzialmente protratte
per solo quattro anni. Ben diversa è la situazione dei comuni, che sono oltre ottomila, dove
le primarie si sono svolte consecutivamente per 12 anni, dal 2004 al 2015. In questo periodo diverse forze politiche hanno organizzato ben 952 primarie aperte per scegliere i propri
candidati sindaci9. La Figura 25 riporta tutte queste primarie, ripartite a seconda del partito o coalizione che le ha indette.
9
Alcuni partiti, segnatamente il Movimento 5 Stelle, hanno fatto uso di primarie chiuse riservate ai soli
iscritti. Questo tipo di primarie non è qui considerato.
39
Figura 25 - I promotori delle primarie per i sindaci, 2004-2015 (N=952)
La figura permette in primo luogo di constatare un aspetto già noto: le primarie sono soprattutto pertinenza dei partiti del centrosinistra. Gran parte delle primarie per i sindaci è
stata organizzata da una coalizione di centrosinistra (in diversi formati) oppure dal solo
Partito Democratico; un numero minore, e talora irrisorio, di primarie sono state promosse da una lista civica di centrosinistra e dai Democratici di Sinistra. Nel complesso, le primarie del centrosinistra rendono conto del 91% del totale. Il centrosinistra e suoi diversi
partiti quindi non sono gli assoluti monopolisti delle primarie per i sindaci. Il centrodestra
(inteso come coalizione, PDL, FDI, FLI e liste civiche ad esso riconducibili) ha contribuito
con 36 primarie; le liste civiche autonome, non facenti parte di nessuno schiarimento, con
32; fra gli ultimi arrivati si notano il M5S, la Sud Tiroler Volkspartei e una incipiente coalizione di centro. All’elenco mancano SEL, che è comunque frequentemente impegnata nelle
primarie di coalizione del centrosinistra, e la Lega Nord, il cui interesse per la democrazia
intrapartitica si è per adesso arrestato alla selezione di Matteo Salvini come segretario, che
è stata realizzata nel dicembre 2003 per mezzo di una primaria chiusa.
40
Figura 26 - Le primarie comunali del centrosinistra, 2004-2015 (N=866)
Le primarie del centrosinistra assommano a 866 casi, e questa “abbondanza” permette
alcune variazioni e digressioni sul tema. Se si trascurano le pochissime esperienze dei
primi due anni, la Figura 26 presenta lo sviluppo nel tempo di due cicli elettorali comunali
quinquennali, 2006-2010 e 2011-201510. Essa evidenzia un trend nel complesso
ascendente, con due picchi in corrispondenza del 2009 e del 2014. La spiegazione di
questo andamento è abbastanza semplice. Innanzitutto, i partiti del centrosinistra fanno
un uso crescente delle primarie. In secondo luogo, il ciclo elettorale ha fatto sì che nel 2009
e nel 2014 siano andati al voto circa metà degli ottomila comuni, cosicché ad un numero
elevato di elezioni comunali ha finito per corrispondere un numero elevato di elezioni
primarie.
10
Le primarie si tengono solitamente in un periodo che va dal mese di settembre dell’anno che precede le
elezioni comunali fino a 5-6 settimane prima del voto, allorché scadono i termini per la presentazione di liste
e candidati. Per evitare ambiguità, le primarie sono dunque classificate in riferimento all’anno delle elezioni
comunali. Per esempio, le 54 primarie del 2015 si sono tenute fra il 14 settembre 2014 e il 26 aprile 2015.
41
Figura 27 - Numero di candidati alle primarie comunali del centrosinistra, 2004-2015 (N=866)
La Figura 27 mostra la frequenza dei diversi formati della competizione. In quattro casi il
centrosinistra ha tenuto primarie con un candidato unico. Si è trattato di eventi casuali,
che in nessun modo sono dipesi dalla volontà dei dirigenti di frenare la competizione. Talora il numero di candidature degli aspiranti sindaci ha dato luogo a una competizione
chiaramente patologica. Senz’altro è questo il caso dei nove candidati delle primarie di coalizione del 2006 a Grosseto: difficile per un selettore raccapezzarsi in un contesto così
scoordinato. La scelta del numero superiore di candidati più opportuno per considerare
“normale” una competizione primaria è sempre e comunque soggettiva. Diciamo che, vista
la natura plurale del centrosinistra, possiamo considerare come fisiologica la presenza di
un numero di candidati compreso fra due e cinque. Se assumiamo questo criterio, in 845
primarie, pari al 98% del totale, l’offerta politica è stata ragionevole, e i selettori hanno potuto effettuare la loro scelta in condizioni di “normalità” democratica. Se si ritenesse di
considerare come “normali” le primarie con un massimo di quattro candidati, questa percentuale si manterrebbe comunque al 93%.
42
Figura 28 - I sistemi elettorali delle primarie comunali del centrosinistra, 2004-2015 (N=866)
La Figura 28 descrive quali sistemi elettorali sono stati adottati dai partiti del centrosinistra in occasione delle primarie per i sindaci. Come molto spesso accade per le elezioni di
tipo monocratico, la scelta si è concentrata sul sistema maggioritario a turno unico oppure
sul sistema a doppio turno con ballottaggio, con una netta prevalenza del primo11. Delle 36
primarie tenute con il doppio turno otto sono state organizzate dal solo Partito Democratico, 28 dalla coalizione di centrosinistra. La scelta del ballottaggio, di per sé, non è inusuale
nella politica italiana. Colpisce però la discrasia fra le scelte operate con i regolamenti locali e il dettato dello statuto del PD: “Le primarie, di coalizione o di partito, per la scelta dei
candidati a Sindaco, Presidente di Provincia e Presidente di Regione, si svolgono con il
metodo della maggioranza relativa” (art. 18.6, corsivi nostri). Qui vi è un problema dovuto alla difformità fra regolazione nazionale e pratiche locali. Per la verità, in questo frangente ci sembra che lo statuto del Partito Democratico – che fra l’altro pretende di regolamentare unilateralmente anche le primarie di coalizione – fornisca indicazioni ultra vires.
Molto si è detto sulla presunta mancanza di competitività delle primarie del centrosinistra,
che a detta dei critici sarebbero organizzate soltanto per rafforzare un vincitore già deciso
11
A Novi Ligure, nel 2014, una lista civica autonoma ha fatto uso, caso unico in Italia, di una variante del voto
alternativo. Questa soluzione è altamente raccomandabile anche per le primarie del centrosinistra con più di
due candidati.
43
in altre sedi. A parte il fatto che la legittimazione dal basso di un candidato virtualmente
già selezionato – è il caso delle “primarie di Prodi” – è una funzione normale delle primarie, la credenza relativa alla scarsa competitività deriva dall’osservazione delle (poche)
primarie nazionali e trascura l’esistenza delle (molte) primarie locali12. Fra i numerosi metodi disponibili per misurare la competitività di un’elezione – primaria o no, non importa –
qui ne esaminiamo uno che è stato spesso al centro di aspre contese locali. Nei primi anni
di uso delle primarie vigeva la regola non scritta per cui un sindaco uscente che si proponeva per un secondo mandato non poteva essere sfidato. Lo statuto del Partito Democratico (art. 18.5), adottato nel 2008, formalizzava invece le modalità con cui un sindaco – ma
anche un presidente di provincia o di regione – in cerca di una ricandidatura poteva essere
sottoposto al vaglio delle elezioni primarie.
La Tabella 6 mostra le conseguenze prodotte dalla regola introdotta nel 2008. Da allora, e
fino al 2015, il centrosinistra ha organizzato 729 primarie per i sindaci. In ben 81 casi – pari all’11,1% – il sindaco in carica è stato coinvolto in elezioni primarie per accedere al secondo mandato. E in 30 occasioni su 81 è stato battuto e ha dovuto lasciare il passo ad un
contendente. Più di ogni altro, proprio questo aspetto evidenzia la portata del principio
della contendibilità delle cariche stabilito dall’art. 1.8 dello statuto del Partito Democratico.
Tabella 6 - Il ruolo del sindaco in carica nelle primarie del centrosinistra, 2008-2015
Ruolo del sindaco uscente
N
%
% cumulate
Il sindaco in carica si candida e perde le primarie
30
4,1
4,1
Il sindaco in carica si candida e vince le primarie
51
7,0
11,1
Il comune è commissariato, non c’è un sindaco in carica
45
6,2
17,3
Il sindaco in carica non è candidato alle primarie
603
82,7
100,0
Totale
729
100
Torniamo al punto accennato sopra. Spesso la stampa ha messo in risalto le vittorie dei
candidati di SEL, i quali hanno prevalso in occasione di primarie che si sono tenute per selezionare i candidati sindaci in città molto importanti. I casi di Cagliari, Genova e Milano
sono i più noti. Soprattutto quest’ultimo, con la vittoria di Giuliano Pisapia dapprima alle
primarie e poi nel confronto con il sindaco uscente Letizia Moratti, ha rappresentato una
svolta politica di eccezionale importanza. I resoconti giornalistici hanno enfatizzato questi
12
Peraltro, con una incongrua argomentazione di segno contrario, il PD è stato talora irriso per la scarsa
competitività dei suoi candidati a fronte della presunta superiorità dei candidati di Sinistra Ecologia e
Libertà. Torneremo fra poco su questo punto.
44
pochi casi più rilevanti, senza però fornire un quadro complessivo della situazione basato
sull’intera evidenza disponibile.
Figura 29 - I vincitori delle primarie comunali di coalizione, 2008-2015 (N=460)
Nota: la sigla PS (Partito Socialista) individua tutti i candidati socialisti, anche se il partito nel tempo ha
alternato sigle differenti (PSI, PS, SI, SDI).
Questo quadro complessivo è mostrato nella Figura 29, che presenta la distribuzione dei
partiti di appartenenza dei vincitori delle sole primarie comunali di coalizione che si sono
tenute da quando il Partito Democratico è nato riunificando diverse sigle precedenti. Negli
otto anni che vanno dal 2008 al 2015 il centrosinistra ha organizzato 461 primarie di coalizione. Nel caso delle primarie di Barrafranca (Enna) non è stato possibile identificare il
partito di appartenenza del vincitore. Nei 460 casi disponibili i candidati del Partito Democratico si sono imposti in 341 casi. In termini percentuali, questo significa che i Democrats
riescono ad ottenere la nomination nel 74,1 percento dei casi, in pratica tre volte su quattro. La seconda posizione in questa particolare classifica, come mostra la legenda verticale
della Figura #, spetta ai candidati delle liste civiche, che hanno vinto in 48 primarie. I candidati di SEL hanno colto solamente 27 successi (pari al 5,9%), anche se in verità si tratta –
come detto – di vittorie ottenute in comuni molto importanti e di grande valenza. A tutti
gli altri candidati, siano essi di partito oppure indipendenti, è toccato un numero di vittorie
davvero molto ridotto, che complessivamente equivale a meno del 10 percento del totale.
Fare le primarie aiuta a vincere le elezioni comunali? In questo caso la logica non è sufficiente a rispondere. Infatti si può argomentare che le primarie selezionano i candidati migliori attraverso una competizione serrata e ne promuovono l’immagine fra gli elettori; op45
pure che le primarie consumano risorse ed energie, che vengono così sottratte alle successive elezioni comunali, ed esibiscono pubblicamente le divergenze che separano i candidati. Vediamo cosa ci dicono i dati a questo proposito. Il destino finale degli 866 candidati di
centrosinistra provenienti dalle primarie è riportato nella Figura #. In una minoranza di
casi il candidato che ha vinto le primarie non si è presentato successivamente alle comunali13; per il resto, i nominees hanno perlopiù prevalso, divenendo sindaci nel 59% dei casi.
Figura 30 - Il rendimento elettorale dei candidati del centrosinistra selezionati attraverso le primarie,
2004-2015 (N=866)
Naturalmente, le informazioni della Figura 30 devono essere trattate con molta cautela,
perché la vittoria di un candidato sindaco dipende da molti fattori, e le primarie sono solo
uno di essi. Per intenderci: fra i candidati vittoriosi alle elezioni comunali abbiamo due
sindaci selezionati per mezzo delle primarie a Firenze (Renzi e Nardella) e altri due selezionati con le primarie a Bologna (Delbono e Merola). A prescindere dalle qualità delle
primarie e dai meriti dei singoli, è ragionevole supporre che quelle vittorie siano state in13
L’unico caso noto è quello di Napoli, dove nel 2011 le primarie sono state annullate per brogli. Si tratta
peraltro dell’unico caso in cui il ritiro del candidato è dovuto ad un fallimento delle primarie, e non a scelte
volontarie o alla casualità.
46
nanzitutto una conseguenza della forza del centrosinistra nelle due città, e ogni altro fattore sia allora stato secondario.
Figura 31 - Il rendimento elettorale dei candidati del centrosinistra a seconda del tipo di promotore delle
primarie, 2004-2015 (N=845)
Nota. Le primarie sono così suddivise: coalizione=533; per le primarie di partito: PD=295; liste civiche=16;
DS=1.
La Figura 31 fornisce qualche indicazione in più su questo punto. Qui il risultato finale dei
candidati provenienti dalle primarie è distinto a seconda che il candidato provenga da primarie di coalizione oppure di partito. In entrambe le circostanze, a replica di quanto presentato nella figura precedente, i candidati del centrosinistra risultano eletti sindaci nella
maggior parte dei casi. Adesso però si nota che la percentuale di vittorie alle elezioni comunali è più elevata in caso di primarie di partito. Le differenze, contenute in poco più di 5
punti percentuali, non sono ampie. E tuttavia i candidati che provengono da primarie di
partito – che significa in pratica primarie del Partito Democratico – divengono sindaci con
maggiore frequenza.
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FAQ
Domande e risposte per risolvere alcuni inconvenienti delle primarie
D. Si lamenta spesso la “infiltrazione di elettori di destra” che alterano il risultato delle
primarie. Si tratta di un fenomeno reale? Va considerato come un tradimento dello spirito delle primarie?
R. Il coinvolgimento nelle primarie di elettori che hanno in precedenza votato per il centrodestra è stato talora riscontrato per mezzo di sondaggi, e si è sempre rivelato di modesta
entità. Un partito che decida di fare uso delle primarie aperte accetta implicitamente di fare votare elettori (“matricole”) che magari non hanno mai sostenuto il centrosinistra, e il
cui passato elettorale non può comunque essere controllato. Peraltro, la tesi del sabotaggio
è finora priva di ogni evidenza, e viene talora addotta dai candidati sconfitti dopo avere conosciuto l’esito delle primarie. Inoltre, visti i livelli di partecipazione molto elevati, il sabotaggio richiederebbe l’impiego coordinato di un numero elevatissimo (e perciò poco verosimile) di sabotatori. Si aggiunga che la crisi di Forza Italia ha immesso sul mercato elettorale un gran numero di elettori che in passato hanno votato per il centrodestra, e che oggi
sono (ragionevolmente) in cerca di una alternativa. Insomma, le primarie aperte dovrebbero essere considerate uno strumento per coinvolgere fasce di elettori non abituali piuttosto
che un varco per presunti sabotatori.
D. In alcuni casi (p.es. primarie regionali in Liguria) si sono verificate polemiche in merito alla presenza alle urne di selettori extra-comunitari. Si tratta di casi evidenti di voto di
scambio? È possibile prevenire queste polemiche?
R. Prima di tutto, queste polemiche hanno avuto presa perché non esiste una diffusa consapevolezza che il PD ha attribuito di diritto di voto alle primarie agli immigrati extracomunitari. È possibile che, dopo una decina di anni di scarso impiego di questo diritto, alcune comunità di stranieri inizino a essere coinvolti nella politica del centrosinistra, anche
perché mobilitati da qualche candidato. La revoca del diritto di voto per bloccare ipotetiche
pratiche di voto di scambio sembra essere un rimedio peggiore del male. Piuttosto, va seguita la pragmatica soluzione adottata in occasione delle primarie regionali delle Marche:
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in quella occasione i migranti, insieme ai 16-17enni e agli elettori fuori sede, hanno potuto
esercitare il diritto di voto previa pre-registrazione. Per i cittadini italiani dotati di tessera
elettorale la pre-registrazione non era prevista, come di consueto.
D. Nell’inverno 2013-2014 in Emilia-Romagna si sono tenute moltissime primarie comunali, a cui si sono aggiunte le primarie per il segretario regionale e nazionale del partito,
seguite poco dopo dalla campagna per le elezioni europee. In quell’occasione i militanti
lamentarono l’eccesso di impegno richiesto per assicurare l’apertura dei seggi elettorali
per le primarie. Come fare per non gravare eccessivamente sui militanti?
R. L’impegno ai seggi di iscritti e militanti è chiaramente insostituibile. Per agevolarne le
attività sarebbe opportuno non utilizzare il sistema a doppio turno (fra l’altro vietato dallo
statuto PD), che in caso di ballottaggio impone la duplicazione dell’impegno in un tempo
ravvicinato. Il voto alternativo, al pari del doppio turno, favorisce la selezione di un candidato eletto con la maggioranza assoluta dei voti, concentrando però tutte le attività di voto
in un solo giorno.
D. In occasione delle selezione del Segretario nazionale vinta da Matteo Renzi nel 2013 il
voto dei circoli è stato caratterizzato da brogli diffusi, che hanno portato
all’annullamento del voto di alcune federazioni provinciali. È possibile prevenire una simile situazione?
R. In quella circostanza il regolamento congressuale ha permesso l’iscrizione al PD nel
momento stesso del voto, generando confusione e, soprattutto, favorendo la cosiddetta instant membership, ovvero l’adesione al partito di persone interessate solo a influenzare la
votazione in corso. Il problema può essere agevolmente superato stabilendo un limite temporale oltre il quale l’iscrizione non dà diritto al voto. La soluzione più restrittiva potrebbe
prevedere che possano votare (di solito nel mese di settembre) solo coloro che erano già
iscritti nel precedente mese di dicembre; alternative meno drastiche (una settimana, un
mese) favorirebbero un maggiore coinvolgimento in occasione del congresso, senza però
forse risolvere il problema.
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D. Esiste un periodo ideale per organizzare le primarie?
R. Non esiste una finestra temporale ottimale all’interno della quale tenere le elezioni primarie. Tuttavia, è necessario lasciare un po’ di tempo – indicativamente tra le 8 e le 12 settimane – tra la conclusione delle primarie e la data delle elezioni generali. Questo periodo
di tempo deve essere utilizzato dai partiti promotori delle primarie per sciogliere eventuali
polemiche successive alla consultazione e per lanciare in maniera efficace la campagna
elettorale del candidato selezionato.
D. Che uso deve essere fatto dell’Albo degli Elettori?
R. Finora, per le modalità in cui (non) è stato utilizzato, soprattutto per questioni di privacy, l’Albo degli Elettori ha rappresentato più un limite che una risorsa nelle mani dei partiti. Se usato soltanto come uno strumento di schedatura dei simpatizzanti, l’Albo continuerà
ad essere un inutile dispendio di energie; se invece diventasse uno strumento per sondare,
in occasioni particolari, le opinioni degli elettori su specifiche tematiche o per affinare gli
strumenti in vista della campagna elettorale, allora diventerebbe una formidabile risorsa.
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Glossario breve sulle primarie
CANDIDABILITÀ: elettorato passivo delle elezioni primarie. Comprende tutti quei cittadini ai quali è permesso avanzare la propria candidatura alle primarie. I requisiti che regolano la candidabilità alle primarie possono essere più o meno stringenti (v. inclusività) e
vanno da una semplice raccolta di firme fino al requisito di iscrizione a un partito politico
(per un periodo di tempo più o meno lungo).
CICLO DI PRIMARIE: insieme di elezioni primarie collegate e riferite a un’unica tornata
o sessione elettorale.
COMPETITIVITÀ: incertezza relativa all’esito delle primarie. Primarie dell’esito sicuro o
scontato, come le cosiddette primarie con monocandidatura (v. uncontested primaries),
sono primarie poco competitive. Primarie il cui risultato è incerto fino al giorno delle elezioni sono, invece, primarie molto competitive. In letteratura, esistono diverse misure della
competitività delle primarie. Le più diffuse e utilizzate tengono conto sia del divario tra il
primo e il secondo classificato, sia della distribuzione dei voti fra i vari candidati.
CONFLITTUALITÀ: modalità di conduzione della campagna elettorale delle primarie
che prevede toni e stili di comunicazione rissosi e astiosi, finalizzati prevalentemente alla
delegittimazione dell’avversario. Una campagna elettorale all’insegna della conflittualità
produce abitualmente lacerazioni nel partito e impedisce confronti approfonditi sulle tematiche salienti.
DIVISIVITÀ: spiccata competizione e rivalità fra i candidati delle primarie, soprattutto in
quelle situazioni in cui non esiste un candidato favorito e l’esito della contesa è incerto.
Primarie divisive riflettono spesso lacerazioni presenti all’interno del partito che il candidato vincitore proverà a ricucire nel corso della campagna elettorale delle elezioni generali.
ELEGGIBILITÀ (ELECTABILITY): capacità, anche soltanto ipotetica, di un candidato
alle primarie di vincere ovvero di risultare eletto nelle elezioni generali (amministrative,
legislative o presidenziali). Un candidato electable è un candidato che possiede discrete
probabilità di essere eletto alle elezioni generali (v.).
ELEZIONI GENERALI: elezioni alle quali sarà candidato il vincitore delle primarie. Esse sono temporalmente e logicamente connesse alle elezioni primarie. Nel gergo politico e
giornalistico, ci si riferisce alle elezioni generali come elezioni “secondarie”. Tuttavia, essendo di primaria importanza, è preferibile riferirsi a queste votazioni utilizzando
l’espressione più precisa e comunemente accettata.
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ENDORSEMENT: dichiarazione pubblica di sostegno nei confronti di un determinato
candidato alle elezioni primarie rilasciata da esponenti rilevanti della politica, locale o nazionale, della cultura, dello spettacolo, dello sport o della società in senso lato.
ESTERNO: selettore che, non essendo né simpatizzante di un determinato partito o
schieramento né iscritto, partecipa alle primarie di un partito o di una coalizione per cui
non aveva mai votato in passato. I selettori esterni si distinguono tra “adulatori” e “inquinatori” (o infiltrati: crossover voters). Nel primo gruppo, rientrano tutti i selettori “esterni”
che votano alle primarie perché attratti unicamente dalla personalità di un candidato, senza tener conto di pregresse appartenenze partitiche. Il secondo gruppo comprende quei selettori che votano alle primarie per sabotare l’esito elettorale e/o rafforzare il candidato
considerato meno eleggibile (v. eleggibilità).
FAVORITE SON: candidato che, attraverso la sua partecipazione alle primarie, ottiene il
più ampio sostegno specifico di una determinata area dentro al partito o di un determinato
territorio.
FRONT RUNNER: il candidato favorito, secondo i sondaggi e l’opinione pubblica in generale, delle elezioni primarie. Spesso, ma non necessariamente, è anche il candidato che
raccoglie il maggior numero di endorsement (v.).
INCLUSIVITÀ: caratteristica del selettorato (v.) e della candidabilità (v.). Essa identifica
la maggiore o minore apertura del processo di selezione dei candidati, per quanto riguarda
sia l’esercizio del diritto di voto, comprese le procedure di pre-registrazione in eventuali
albi elettorali, sia la possibilità di presentare una determinata candidatura. Più elevate sono le soglie (burocratiche o regolamentari) e più numerose sono le barriere previste dagli
organizzatori delle elezioni primarie per poter esprimere il voto o avanzare una candidatura, minore sarà l’inclusività delle primarie.
INSIDER: candidato che proviene ed è sostenuto dal gruppo dirigente di un determinato
partito politico. Al plurale (insiders), indica la rete di dirigenti di partito schierati a sostegno del candidato insider.
ISCRITTO: cittadino formalmente membro di un partito politico. L’iscrizione al partito
prevede, solitamente, il pagamento di una quota associativa e, dunque, va considerato
iscritto chiunque abbia regolarmente soddisfatto i requisiti associativi. L’iscritto, nella tradizione e nel contesto europeo, non va confuso con l’elettore “registrato”, presente negli
Stati Uniti d’America. I cittadini statunitensi “registrati” nelle liste elettorali di un determinato partito sono per lo più da considerarsi alla stregua di quelli che in Europa vengono
definiti simpatizzanti (v.).
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MATRICOLA: cittadino che partecipa per la prima volta, come votante o come candidato,
alle primarie, a livello locale o nazionale.
MOBILITAZIONE: capacità dei partiti promotori delle primarie di incentivare la partecipazione e il voto dei cittadini. La capacità mobilitante di un partito è maggiore quando, in
termini quantitativi, il selettorato reale si avvicina al selettorato potenziale.
NOMINATION: conquista della candidatura alle elezioni generali da parte di un candidato (in casi di carica monocratica) o di più candidati (per le cariche assembleari). Con la vittoria alle primarie, il vincitore viene nominato ufficialmente nominee (v.), ovvero candidato del partito o della coalizione.
NOMINEE: candidato o candidata che, vincendo le primarie, ottiene formalmente la nomination (v.) e presenterà la sua candidatura alle elezioni generali (v.).
OUTSIDER: candidato alle primarie con poche, o nulle, possibilità di successo. Solitamente, il candidato definito outsider proviene dall’“esterno”, cioè non dai principali partiti
promotori delle primarie, e sta “fuori” dal gruppo dei maggiori esponenti di un determinato partito politico. In breve, l’outsider è colui che si oppone ai candidati insider (v.) e/o ai
loro sostenitori.
PARTECIPAZIONE: numero di selettori, in termini assoluti, che hanno partecipato, col
proprio voto, alla selezione delle candidature. Pertanto, la partecipazione alle primarie corrisponde al selettorato reale.
POPOLO DELLE PRIMARIE: variopinto aggregato di cittadini, dai contorni incerti e
mutevoli, che partecipa con costanza alle primarie, nazionali e locali, organizzate dai partiti
italiani di centrosinistra.
PRIMARIE (ELEZIONI): metodo di selezione dei candidati a cariche elettive, monocratiche o assembleari, attraverso votazione da parte di iscritti, simpatizzanti o semplici cittadini.
PRIMARIE APERTE: votazioni per la selezione di candidati nelle quali tutti i cittadini,
senza distinzioni o preclusioni partitiche, possono esercitare il diritto di voto alle primarie.
In questo caso, il selettorato potenziale corrisponde all’elettorato generale.
PRIMARIE CON MONOCANDIDATURA (UNCONTESTED PRIMARIES): primarie alle quali partecipa un solo candidato. Di norma, in questi casi, scopo delle primarie
non è la selezione del candidato, bensì la legittimazione di una specifica candidatura.
PRIMARIE CHIUSE: votazioni per la selezione di candidati nelle quali il selettorato è ristretto a chi si è pre-registrato in apposite liste elettorali (per il contesto statunitense) o è
regolarmente iscritto al partito che promuove le elezioni primarie.
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PRIMARIE DI COALIZIONE: votazioni organizzate e promosse congiuntamente da più
di un partito politico per la selezione di uno o più candidati comuni.
PRIMARIE DI PARTITO: votazioni organizzate e promosse da un unico partito politico.
PRIMARIE INVISIBILI: si intende sia il processo attraverso cui alcuni influenti esponenti di partito (v. insider) tentano di condizionare l’esito delle primarie, sia il periodo,
precedente al giorno della votazione, nel quale alcuni dirigenti partitici, attraverso la ricerca e la raccolta di endorsement (v.) significativi, cercano di trasformare un candidato nel
potenziale front runner (v.).
PRIMARIE PRIVATISTICHE: primarie regolate, organizzate e finanziate da un partito,
un movimento o una lista civica, senza alcun intervento o sostegno dell’amministrazione
pubblica.
PRIMARIE
PUBBLICHE:
primarie
regolate,
organizzate
e
finanziate
dall’amministrazione pubblica.
PRIMARIE SEMI-APERTE: votazioni per la selezione di candidati dove il selettorato è
riservato agli iscritti e ai simpatizzanti, i quali sono tenuti a dichiarare formalmente la propria “simpatia” e a farsi registrare in un apposito albo elettorale.
PRIMARISTA: chiunque si dichiari sostenitore della necessità o della utilità delle elezioni
primarie come metodo per la selezione dei candidati a cariche pubbliche elettive.
RUNNER UP: il principale sfidante, tra i candidati in lizza, del candidato dato per favorito dall’opinione pubblica.
SELETTORATO: elettorato attivo delle elezioni primarie. Comprende tutti coloro ai quali
è consentito votare alle primarie. Si distingue tra selettorato potenziale e selettorato reale.
Il s. potenziale è composto da tutti coloro che hanno diritto di voto nelle elezioni primarie.
Invece, il s. reale include i votanti che hanno concretamente partecipato alle primarie. In
generale, il s. può essere composto dagli iscritti ai partiti (v.), dai simpatizzanti (v.) e dai
cosiddetti “esterni” (v.).
SELETTORE: chiunque voti alle elezioni primarie.
SELETTORE DEFEZIONISTA (BOLTER): selettore che dichiara di appoggiare e votare il vincitore delle primarie alle elezioni generali solamente nel caso in cui corrisponda al
candidato scelto e votato alle primarie.
SELETTORE FEDELE: votante nelle primarie che dichiara di appoggiare e votare il vincitore delle primarie, chiunque sia, anche nelle elezioni generali.
SIMMETRIA DELLE PRIMARIE: situazione nella quale i principali partiti scelgono i
propri candidati a una determinata carica attraverso primarie contestuali e concomitanti.
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Primarie asimmetriche sono, invece, quelle elezioni nelle quali solo i candidati di un partito o schieramento sono scelti attraverso primarie, mentre i candidati dei partiti concorrenti
sono selezionati attraverso altre modalità.
SIMPATIZZANTE: cittadino che dichiara di essere stato, di essere e, molto probabilmente, di rimanere anche in futuro elettore di un determinato partito o schieramento politico.
Chi è iscritto a un partito non rientra nel gruppo dei simpatizzanti, la cui attività e fedeltà
nei confronti dell’organizzazione partitica è molto più irregolare e intermittente e in genere
si concretizza soltanto con il voto alle elezioni generali.
SOSTENIBILITÀ (VIABILITY): capacità, anche soltanto ipotetica, di un candidato delle primarie di ottenere un numero sufficiente di appoggi e di sponsor tale da rendere seria
e credibile la propria candidatura. Un candidato viable, cioè sostenibile, è un candidato che
possiede buone probabilità di conquistare la nomination (v.), ovvero di ottenere la candidatura.
STAGIONE DELLE PRIMARIE (PRIMARY SEASON): periodo di tempo che intercorre dall’avvio della discussione sull’opportunità di organizzare elezioni primarie alla proclamazione del vincitore. Quando le elezioni primarie sono regolate e gestite dell’autorità
pubblica, la stagione delle primarie incomincia nel momento stesso in cui vengono annunciate le votazioni. La primary season è composta da tre periodi temporali, che solo in parte
si sovrappongono: 1) primarie invisibili (v.); 2) campagna elettorale; 3) proclamazione del
vincitore e conseguente pubblicazione ufficiale dei risultati.
VETERANO: colui o colei che, in passato, ha già preso parte almeno una volta, come votante o come candidato, alle primarie, a livello locale o nazionale.
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http://www.cals.it/
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