Franco Maria Ricci

Transcript

Franco Maria Ricci
Progetto editoriale
Franco Maria Ricci
Introduzione
Umberto Eco
Testi
Giovanni Mariotti
Dizionario mitologico
Luisa Biondetti
RMN: pp. 98, 141, 174, 201
Service des biens culturels Fribourg
Foto di Francesco Ragusa: p. 60
Shutterstock: p. 166-167
Studio Pier Carlo Bontempi: pp. 23,
24-25, 26-27
Superstock: pp. 74, 84-85
Tips Images: pp. 80-81, 156, 181
The Trustees of the British Museum:
pp. 44, 55, 92-93, 113, 169, 177,
184-185, 203
Tate, London: p. 209
Yann Arthus-Bertrand: p. 186-187
Progetto e direzione artistica
Franco Maria Ricci e Laura Casalis
Coordinamento editoriale
Edoardo Pepino
Redazione
Orsola Bontempi
Gabriella Cottarelli
Roberto Fiocchi Bosi
Chiara Ratti
Fotolito
Grafche Step, Parma
© 2015 RCS Libri Spa, Milano
Tutti i diritti riservati
www.rizzoli.eu
Prima edizione:
settembre 2013
Seconda edizione aggiornata:
novembre 2015
ISBN 978-88-17-08523-6
Nessuna parte di questa pubblicazione
può essere riprodotta, memorizzata
o trasmessa in qualsiasi forma e con
qualsiasi mezzo elettronico, meccanico,
con fotocopie, registrazioni o altro senza
il previo consenso dell’editore.
L’editore ha fatto il possibile
per reperire i proprietari dei diritti.
Rimane a disposizione
per gli adempimenti d’uso.
Finito di stampare
nel mese di ottobre 2015
presso Errestampa Srl
Orio al Serio (Bergamo)
Printed in Italy
Crediti fotografci
Agenzia Contrasto: p. 154
AKG/Mondadori: pp. 52, 76-77, 164, 183
Archivio Scala, Firenze: pp. 62, 96, 123,
129, 205, 210, 213
Architetto Davide Dutto: pp. 14, 16-17, 19,
20-21
Araldo De Luca: pp. 11, 198, 217, 218
Bridgeman Art Library: pp. 95, 102-109,
111, 120-121, 206
Biblioteca Braidense, Milano
Foto di Alessandro Bianchi: pp. 116, 117,
125, 126, 137, 143-146
Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze:
pp. 130, 132, 133
Biblioteca Trivulziana, Milano
Foto di Alessandro Bianchi: pp. 138, 139
Bibliothèque Nationale de France:
pp. 54, 69, 71, 82, 162, 171
BPK, Berlin: p. 114
Carlo Vannini: p. 30
Curia vescovile di Pontremoli
Foto di Alessandro Bianchi: p. 73
Fondazione Giorgio Cini, Venezia: p. 189
Franco Cosimo Panini Editore: p. 89
Galleria Nazionale di Parma,
su concessione del Ministero per i Beni
e le Attività Culturali: p. 101
Getty Images: pp. 59, 158-159
Istituto Italiano di Cultura, Algeri
Foto di Farid Djema: p. 66
Jason Hawkes: p. 179
Jürgen Hohmuth: pp. 86, 151, 153
Kunsthistorisches Museum Wien: p. 65
Mauro Davoli: pp. 32-33, 37, 39, 40-41,
42, 190-191
Marco Campanini: pp. 4, 28, 34-35
Massimo Listri: pp. 34-35
Museo Archeologico di Cremona,
su concessione del Ministero per i Beni
e le Attività Culturali/foto di Alessandro
Bianchi: p. 57
Museo di Storia Naturale, Firenze
Foto di Saulo Bambi: p. 48
6
Pagina 4
Phyllostachys Bambusoides nel
Labirinto di Franco Maria Ricci
Le immagini degli occhielli sono tratte
dal volume di Francesco Segala
Libro de Labirinti, circa 1550
Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana
RMN: pp. 98, 141, 174, 201
Service des biens culturels Fribourg
Foto di Francesco Ragusa: p. 60
Shutterstock: p. 166-167
Studio Pier Carlo Bontempi: pp. 23,
24-25, 26-27
Superstock: pp. 74, 84-85
Tips Images: pp. 80-81, 156, 181
The Trustees of the British Museum:
pp. 44, 55, 92-93, 113, 169, 177,
184-185, 203
Tate, London: p. 209
Yann Arthus-Bertrand: p. 186-187
Progetto e direzione artistica
Franco Maria Ricci e Laura Casalis
Coordinamento editoriale
Edoardo Pepino
Redazione
Orsola Bontempi
Gabriella Cottarelli
Roberto Fiocchi Bosi
Chiara Ratti
Fotolito
Grafche Step, Parma
© 2015 RCS Libri Spa, Milano
Tutti i diritti riservati
www.rizzoli.eu
Prima edizione:
settembre 2013
Seconda edizione aggiornata:
novembre 2015
Nessuna parte di questa pubblicazione
può essere riprodotta, memorizzata
o trasmessa in qualsiasi forma e con
qualsiasi mezzo elettronico, meccanico,
con fotocopie, registrazioni o altro senza
il previo consenso dell’editore.
L’editore ha fatto il possibile
per reperire i proprietari dei diritti.
Rimane a disposizione
per gli adempimenti d’uso.
Finito di stampare
nel mese di ottobre 2015
presso Errestampa Srl
Orio al Serio (Bergamo)
Printed in Italy
Crediti fotografci
Agenzia Contrasto: p. 154
AKG/Mondadori: pp. 52, 76-77, 164, 183
Archivio Scala, Firenze: pp. 62, 96, 123,
129, 205, 210, 213
Architetto Davide Dutto: pp. 14, 16-17, 19,
20-21
Araldo De Luca: pp. 11, 198, 217, 218
Bridgeman Art Library: pp. 95, 102-109,
111, 120-121, 206
Biblioteca Braidense, Milano
Foto di Alessandro Bianchi: pp. 116, 117,
125, 126, 137, 143-146
Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze:
pp. 130, 132, 133
Biblioteca Trivulziana, Milano
Foto di Alessandro Bianchi: pp. 138, 139
Bibliothèque Nationale de France:
pp. 54, 69, 71, 82, 162, 171
BPK, Berlin: p. 114
Carlo Vannini: p. 30
Curia vescovile di Pontremoli
Foto di Alessandro Bianchi: p. 73
Fondazione Giorgio Cini, Venezia: p. 189
Franco Cosimo Panini Editore: p. 89
Galleria Nazionale di Parma,
su concessione del Ministero per i Beni
e le Attività Culturali: p. 101
Getty Images: pp. 59, 158-159
Istituto Italiano di Cultura, Algeri
Foto di Farid Djema: p. 66
Jason Hawkes: p. 179
Jürgen Hohmuth: pp. 86, 151, 153
Kunsthistorisches Museum Wien: p. 65
Mauro Davoli: pp. 32-33, 37, 39, 40-41,
42, 190-191
Marco Campanini: pp. 4, 28, 34-35
Massimo Listri: pp. 34-35
Museo Archeologico di Cremona,
su concessione del Ministero per i Beni
e le Attività Culturali/foto di Alessandro
Bianchi: p. 57
Museo di Storia Naturale, Firenze
Foto di Saulo Bambi: p. 48
6
Pagina 4
Phyllostachys Bambusoides nel
Labirinto di Franco Maria Ricci
Le immagini degli occhielli sono tratte
dal volume di Francesco Segala
Libro de Labirinti, circa 1550
Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana
Introduzione
di Umberto Eco
7
Provate a seguirne il cammino
con una matita: esso
rappresenta una struttura
sicura e consolatoria, perché
come vi si entra non si può che
raggiungere il centro e
dal centro non si può che
tornare all’uscita.
Se il labirinto unicursale fosse
srotolato, ci ritroveremmo tra
le mani un unico flo, quel flo
di Arianna che la leggenda
ci presenta come il mezzo
(estraneo al labirinto) per uscire
dal labirinto, mentre di fatto
altro non era che il labirinto
stesso. Oltretutto il Labirinto di
Cnosso era così unicursale che,
una volta arrivati al centro, non
si poteva uscire che rifacendo
la strada già percorsa: e infatti
questa era la funzione del flo
di Arianna, che permetteva
di ritrovare il cammino già
compiuto, non di imboccarne
un altro, perché un flo lo si
trascina dietro di noi e non
cammina davanti a noi.
Naturalmente basterebbe
entrare in un labirinto univiario
senza sapere che è tale per
percorrerlo con l’angoscia
perenne di non poterne mai
trovare l’uscita; ma nel caso
di Teseo il rischio era doppio,
ed era quello di incontrarvi al
centro il Minotauro – e se non
lo vinci, per sicuro lineare che
sia il labirinto, non ne uscirai
comunque perché sarai distrutto
a metà strada.
Ma tra Manierismo e Barocco
appare il labirinto di secondo
tipo ovvero l’Irrweg (B).
Anche qui, provate con la
matita, e vedrete che l’Irrweg
propone scelte alternative, ma
tutti i percorsi portano a un
punto morto, salvo uno. Vi si
possono commettere errori,
si è obbligati sovente a tornare
sui propri passi e tentare un
Introduzione
dopo quella che (più di
quarant’anni fa) mi aveva
di Umberto Eco
condotto a rivisitare i testi
labirintici (se mai ve ne furono)
del commento all’Apocalisse di
Beato di Liébana – e il labirinto
Diffcile introdurre un libro
dove appare il testo di Giovanni delle miniature che lo hanno
commentato nei secoli.
Mariotti, che sui labirinti dice
E allora scrivo, benché renitente
tutto quello che si potrebbe
e terzo tra cotanto senno, con
dire. E intorno ai labirinti del
una sola giustifcazione: che di
passato e a uno del presente
labirinti veri e propri mi sono
parla Franco Maria Ricci,
occupato (e Mariotti si riferisce
che ci offre (rivisitando i suoi
più di una volta a uno che ho
labirinti mentali) la vicenda di
una passione che non ha eguali costruito, sia pure sulla carta,
ne Il nome della rosa), e che
nella storia dell’editoria d’arte
tanto tempo fa avevo scritto
contemporanea.
l’introduzione al bellissimo
Inoltre Ricci ha fatto molto di
Libro dei labirinti di Paolo
più che parlare dei labirinti
Santarcangeli.1 E d’altra parte
che sono esistiti nel passato:
all’idea di labirinto (teste anche
ne ha costruito uno e, quando
Borges) si ispirava, sin da prima
i visitatori potranno entrarvi,
degli anni Ottanta, la mia idea
questo libro potrà valere solo
del sapere come enciclopedia e
come la guida di una città che
dell’enciclopedia come rizoma.
poi, per amarla, bisognerà
Inizierò allora ricordando che,
percorrere a piedi.
come dice nel mio romanzo
Ma c’è di più: il labirinto
il monaco Alinardo, hunc
di Ricci, con tutte le altre
mundum tipice laberinthus
attività collegate, non è un
denotat ille. Non dimentichiamo
intrico in cui perdersi, bensì
che Comenio aveva intitolato
un percorso classicamente
uno dei suoi libri più famosi
accogliente in cui ritrovarsi, e
Il labirinto del mondo2 e, tre
scoprire tante altre cose ben
secoli dopo, Hocke avrebbe
più benevole del Minotauro –
scritto Il mondo come labirinto.3
né Ricci ha dovuto, per indurci
Pertanto il mito del labirinto sin
a visitare il suo Cnosso,
dagli inizi alludeva al disagio
imbestiarsi nella vacca come
che si prova nell’essere al
Pasifae, ma ha guardato a
mondo (con la sola differenza
lungo e con amore umanistico
che in un buon labirinto si entra
innumerevoli capolavori delle
ma non si ha la sicurezza di
arti plastiche e fgurative,
uscirne mentre nel mondo
promettendo al nuovo Teseo
non oscuri misteri ma luminose si entra e fatalmente si esce:
ma sono gli incidenti del tragitto
rivelazioni.
dall’alfa all’omega quelli che
Pregustando le quali, potrei
evitare di scrivere un altro testo ci inquietano).
Se il labirinto è un modello del
sul tema del labirinto, se non
fosse che, se Ricci si dice onorato mondo, è tuttavia interessante
della mia tarda partecipazione che i modelli fondamentali siano
tre. Uno è quello del labirinto
all’impresa, io mi ritengo
eccitato dall’occasione di avere classico di Cnosso, che è
unicursale o univiario (A).
con lui una nuova avventura,
9
1. Prima edizione Vallecchi, Firenze 1967,
seconda edizione, con la mia prefazione,
Frassinelli, Milano 1984.
2. Labyrint světa a ráj srdce, 1631.
3. Gustav René Hocke, Die Welt als
Labyrinth, Rowohlt, Hamburg 1957
(tr. it. Il mondo come labirinto, Theoria,
Roma 1989).
A
B
C
D
In alto
Rappresentazioni grafche di labirinto
univiario (A), Irrweg (B), albero a
disgiunzioni binarie (C), rete (D)
Pagina a fronte
Circuito stampato (Top PCB) Konami, 1984
4. Gilles Deleuze e Félix Guattari, Rhizome,
Minuit, Paris 1976 (tr. it. Rizoma, Pratiche,
Parma 1977).
5. Si veda la sua voce Labirinto
sull’Enciclopedia Einaudi.
Pagina a fronte
Decorazione a meandri, II secolo a.C.
Pavimento a mosaico
Pompei, Casa del Poeta Tragico
altro cammino. Se l’Irrweg fosse
srotolato, non apparirebbe come
un flo bensì come un albero a
disgiunzioni binarie (C), pieno
di vicoli ciechi.
Basterebbe che le disgiunzioni
fossero molte di più di quelle
mostrate nella fgura, e i
va-e-vieni potrebbero essere
snervanti, sino a costringerci
ad abbandonarci prostrati
nel mezzo del percorso.
Mariotti evoca le fogne dei
Miserabili di Hugo, dove
immaginando di levare Parigi
come un coperchio, il fascio
delle sue arterie sotterranee,
visto a volo d’uccello, sembrerà
disegnare sulle due rive una
specie di grosso albero innestato
al fume. Sulla riva destra,
la fogna di cinta potrebbe
raffgurare il tronco di quello,
i condotti secondari potrebbero
esserne i rami, e i piccoli
condotti ciechi i ramoscelli.
Ma Jean Valjean, che alle fogne
sta dentro, non può avere
quella visione dall’alto, può
solo congetturarla. Ce l’ha
Hugo, che pretendeva sempre
di vedere il mondo con gli occhi
di dio, e così infatti ci racconta
la battaglia di Waterloo (che, se
Napoleone l’avesse vista come
la vede Hugo, non l’avrebbe
perduta). Ma Fabrizio del Dongo
(ne La Certosa di Parma
di Stendhal) la battaglia
di Waterloo la vive dal di dentro
e non capisce quale ne sia
la struttura né come se ne possa
uscire.
In questo tipo di labirinto non
c’è bisogno del Minotauro,
il Minotauro è il visitatore
stesso, portato a ingannarsi
sulla natura dell’albero.
Il labirinto di terzo tipo è una
rete (D), in cui ogni punto può
essere connesso con qualsiasi
altro punto. Una rete non può
10
essere srotolata. Anche perché,
mentre i labirinti dei primi due
tipi hanno un interno (il loro
proprio intrico) e un esterno,
da cui si entra e verso cui si
esce, il labirinto di terzo tipo,
estensibile all’infnito, non ha
né esterno né interno – visto che
la rete che mostro nella pagina
precedente o è di dimensioni
infnite o, per chi ci vive dentro,
è coestensiva all’intero Universo,
e al di fuori di essa c’è solo
il Nulla.
Poiché ogni suo punto può
essere connesso con qualsiasi
altro punto, e il processo
di connessione è anche un
processo continuo di correzione
delle connessioni, la sua
struttura sarebbe sempre
diversa da quella che era
un istante prima, e ogni volta
si potrebbe percorrerlo secondo
linee diverse. Quindi chi vi
viaggia deve anche imparare
a correggere di continuo
l’immagine che si fa di esso,
sia essa una concreta immagine
di una sua sezione (locale) sia
essa l’immagine regolatrice e
ipotetica che concerne la sua
struttura globale (inconoscibile).
Una rete è un albero più infniti
corridoi che ne connettono
i nodi. L’albero può diventare
(multidimensionalmente)
un poligono, un sistema di
poligoni interconnessi, un
immenso megaedro. Ma questo
paragone è ancora ingannevole,
un poligono ha limiti esterni,
mentre l’astratto modello della
rete non ne ha.
Per immaginare la rete bisogna
pensare al rizoma teorizzato da
Deleuze e Guattari.4 Il rizoma
non ha una struttura a radice
bensì a groviglio, e ogni punto
del rizoma può essere connesso
a qualsiasi altro suo punto;
un rizoma può essere spezzato
e riconnesso a ogni punto;
il rizoma è antigenealogico
(non è un albero gerarchizzato);
se il rizoma avesse un esterno,
con questo esterno potrebbe
produrre un altro rizoma,
quindi non ha né dentro né
fuori; il rizoma è smontabile
e reversibile, suscettibile
di modifcazioni; una rete
multidimensionale di alberi
aperta in ogni direzione crea
rizoma, il che signifca che ogni
sezione locale del rizoma può
essere rappresentata come un
albero, purché si sappia che si
tratta di una fnzione dovuta a
ragioni di comodità provvisoria;
non si dà descrizione globale del
rizoma, né nel tempo né nello
spazio; il rizoma giustifca e
incoraggia la contraddizione:
se ogni suo nodo può essere
connesso con ogni altro suo
nodo, da ogni nodo si può
pervenire a ogni altro nodo,
ma si possono anche verifcare
processi a loop; del rizoma si
danno sempre e solo descrizioni
locali; in una struttura
rizomatica priva di esterno, ogni
visione (ogni prospettiva su di
esso) proviene sempre da un suo
punto interno e, come suggerisce
il massimo studioso della
matematica dei labirinti, Pierre
Rosenstiehl,5 esso è un algoritmo
miope, nel senso che ogni
descrizione locale tende a una
mera ipotesi circa la globalità
della rete. Nel rizoma, pensare
signifca muoversi a tentoni,
e cioè congetturalmente.
Credo che il labirinto che più
ci può oggi affascinare è questo,
che ci promette una rete il cui
percorso ci può sempre fornire
nuove vie e tuttavia
si ha l’impressione che da
questa infnita ricerca non
si possa uscire mai.
Una caricatura della rete è il
Web, dove potenzialmente ogni
nodo può condurci a un altro
permettendoci una esplorazione
infnita, ma con una piccola
differenza. Se si è ossessionati
dal Web o non se ne uscirà mai,
e si rinuncerà a ritornare
nel mondo reale, o si è pigri
e di facile contentatura,
e si può uscirne in ogni
momento (mettersi fuori), paghi
di una informazione minima
(magari falsa), per rientrarvi
poi (sempre pigramente)
da un’altra parte e quindi uscirne
di nuovo, senza essere presi
dalla curiosità e dal demone
dell’esplorazione continua.
Terminerò con un affettuoso
ricordo. Quando, ai tempi della
mia prefazione alla seconda
edizione del Libro dei labirinti,
conversavo amabilmente con
Paolo Santarcangeli, egli
aveva evocato una opinabile
etimologia di labirinto da un
termine greco per caverna
e, con una decisione forse
lessicalmente disinvolta,
ma mnemonicamente effcace,
aveva pensato alla possibilità
di costruire un ororinto, ovvero
una montagna sul cui pendio
si aprissero innumeri orifzi,
che invogliassero i visitatori a
entrare. Ogni orifzio avrebbe
dovuto immettere in un cunicolo
in discesa e l’incrocio interno
dei cunicoli avrebbe dovuto
essere di gran complessità
topologica ma, per forza di
gravità (che è la negazione
di ogni scelta responsabile),
il visitatore, come si fosse
immesso nel proprio percorso
inclinato, sarebbe scivolato
fatalmente verso un’uscita
e sarebbe stato scaraventato
fuori, in pochi secondi, al lato
opposto del monte.
Il progetto non era però così
semplice come appariva a prima
vista. Occorreva pensare a due
sorte di orifzi, quelli di entrata
(a monte) e quelli di uscita
(a valle), in modo che solo i primi
incoraggiassero o permettessero
l’accesso, e i secondi servissero
solo all’espulsione. Infatti,
se per caso qualcuno fosse
entrato da una uscita, data
la molteplicità degli incroci
interni, da percorrere a quel
punto in salita, e quindi contro
la forza di gravità, ecco che
di nuovo si sarebbe trovato a
scegliere e avrebbe avuto scarse
probabilità di rivedere
le stelle. Così l’ororinto si sarebbe
trasformato di nuovo in un
labirinto. A meno di immaginare
una struttura molto instabile
in cui, non appena qualcuno
avesse imboccato un orifzio
qualsiasi, l’intero sistema dei
condotti interni si riassestasse,
così che in ogni caso la via
prescelta si presentasse come
inclinata verso il basso.
Come si vede, la soluzione non
era a portata di mano, e il
progetto si era arenato alla fase
della sua enunciazione astratta.
Se non era dunque possibile
immaginare un antilabirinto,
ciò signifcava probabilmente
che la mente umana è più
adatta a pensare i labirinti
che non il loro contrario,
e quindi quella del labirinto
è una struttura archetipa
(qualunque senso si voglia dare
a questo termine), che rifette
(o determina) il nostro modo di
pensare il mondo perché rifette
(o determina) il nostro modo
umano di adattarci alla forma
del mondo, o di imporgliene una
qualora esso non ne abbia – o
sia disposto ad accettarle tutte.
Se l’immagine del labirinto ha
una storia millenaria, questo
signifca che per decine di
migliaia di anni l’uomo è stato
12
affascinato da qualcosa che in
qualche modo gli parla della
condizione umana o cosmica.
Esistono infnite situazioni
in cui è facile entrare ma
da cui è diffcile uscire, e di
primo acchito pare arduo
pensare a situazioni in cui
sia diffcile entrare ma da
cui facilissimo uscire. Eppure
l’unica che potrebbe adattarsi
a quest’ultimo modello è forse
la situazione delle situazioni,
la vita individuale, coi suoi
nove lunghi mesi d’ingresso, e
i travagli del parto, che talora
non vanno neppure a buon fne,
ma in uscita la certezza
(sia pure induttiva) della morte.
Ed è tipico della vita quello
spazio intermedio (magari
brevissimo) in cui si vaga a lungo,
senza ben sapere dove si vada
e perché, e cosa si incontrerà
al centro, o in uno dei suoi mille
imprevedibili snodi.
La differenza tra vita e labirinto
è – da un lato – che nella vita
non si entra per decisione
avventurosa bensì si è gettati,
e – dall’altro – che non
sappiamo che cosa ci
attenda all’uscita, e se ci sia
realmente un’uscita: ahimè,
abbiamo inviato miliardi di
esploratori in avanscoperta,
ma non disponiamo di rapporti
attendibili – e quelli dotati di
un certo fascino, come quello di
Dante, appartengono al regno
della fnzione poetica, non della
geografa ultramondana.
Sarà pure che hunc mundum
tipice laberinthus denotat iste,
ma il mondo è più complesso
e problematico dei labirinti
con cui ci siamo affannati a
rappresentarlo.
Umberto Eco