Manuale del film - Diocesi di Brescia

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Manuale del film - Diocesi di Brescia
MANUALE DEL FILM
GIANNI RONDOLINO – MASSIMO TOMASI
CAP. 1 - SCENEGGIATURA E RACCONTO ................................................................................................ 2
1.1 Che cosa è una sceneggiatura.....................................................................................................2
Sceneggiatura ...............................................................................................................................2
Soggetto ...................................................................................................................................2
Trattamento ..............................................................................................................................2
Scaletta .....................................................................................................................................2
1.2 Che cosa è un racconto...............................................................................................................2
1.3 Il racconto cinematografico .......................................................................................................2
Istanza narrante (o narratore) .......................................................................................................2
Spazio del racconto cinematografico ...........................................................................................3
Tempo del racconto......................................................................................................................3
Vedere e sapere ............................................................................................................................4
CAP. 2 – L’INQUADRATURA .................................................................................................................. 5
2.1 Il profilmico e la messa in scena................................................................................................5
L’ambiente e la figura ..................................................................................................................5
La luce e il colore.........................................................................................................................5
2.2 Il filmico.....................................................................................................................................6
La scala dei piani e il volto umano ..............................................................................................6
Angolazione e dintorni.................................................................................................................6
La cornice e i due spazi................................................................................................................6
Soggettiva e sguardo ....................................................................................................................7
I movimenti di macchina..............................................................................................................7
CAP. 3 – IL MONTAGGIO ........................................................................................................................ 9
3.1 Che cosa è il montaggio .............................................................................................................9
3.2 Spazio e tempo ...........................................................................................................................9
3.3 Forme, funzioni e ideologie del montaggio .............................................................................10
Il montaggio narrativo e il decoupage classico..........................................................................10
Il montaggio connotativo ...........................................................................................................11
Il montaggio formale..................................................................................................................12
Il montaggio discontinuo ...........................................................................................................12
3.4 Il montaggio proibito: profondità di campo e piano sequenza.................................................13
CAP. 4 – IL SUONO, L’IMMAGINE ......................................................................................................... 14
4.1 Le funzioni del suono...............................................................................................................14
Suono e spazio ...........................................................................................................................14
Suono e volume..........................................................................................................................15
4.2 Suono e racconto: il punto d’ascolto........................................................................................15
4.3 Parole e voci.............................................................................................................................16
4.4 Musiche....................................................................................................................................16
4.5 Rumori .....................................................................................................................................17
Cap. 1 - Sceneggiatura e racconto
1.1 Che cosa è una sceneggiatura
Sceneggiatura: descrizione più o meno precisa, coerente, sistematica, di una serie di eventi,
personaggi e dialoghi connessi tra di loro in qualche modo.
Costituenti la sceneggiatura:
Soggetto: prima manifestazione concreta di una idea; poche righe o qualche pagina, può avere
esistenza legale. Adattamenti: film tratti da racconti o romanzi, il soggetto è l’intera opera.
Trattamento: sviluppo e approfondimento degli spunti tratti dalla sceneggiatura; forma ancora
letteraria.
Scaletta: passaggio dal momento letterario a quello della costruzione del film; si nota se ci sono
passi di stanca, etc. . Di solito non supera le due pagine.
Decoupage tecnico: divisione delle scene in singole inquadrature o piani, per contenere indicazioni
al regista; si può accompagnare al testo una serie di immagini (story-board).
* sceneggiatura desunta dalla copia definitiva del film: un critico che riporta pedissequamente
dialoghi,scene e inquadrature a lavorazione ultimata.
Una sceneggiatura è ultimata quando le sue funzioni vengono meno, cioè quando il film è
terminato; sua funzione peculiare è quella di saper adattare alla forma cinematografica quello che è
letterario.
1.2 Che cosa è un racconto
Racconto: termine che raccoglie in sé almeno due significati diversi, storia (cosa viene narrato) e
discorso (come viene narrato).
Narratività: insieme di codici, procedure e operazioni, indipendenti dal medium (esiste narrazione
letteraria e cinematografica), ma la cui presenza in un testo ci permette di riconoscere questo ultimo
come racconto.
Operazione minimale della narratività: “equilibrio-evento” o “serie di eventi-squilibrio-evento” o
“serie di eventi-riequilibrio” (definizione adattata da quella fornita da André Gardies).
Propp individua strutture in profondità in ogni racconto, partendo dall’analisi di fiabe russe
(elementi quali antagonista, eroe, premio…).
Modello attanziale: Greimas propone un modello costruito da sei funzioni (attanti di Greimas) così
strutturate:
Il destinatore assegna ad un soggetto eroe il compito di conquistare un certo oggetto di cui un
destinatario potrà beneficiare; nel corso della sua azione il soggetto incontrerà elementi che gli
faciliteranno il compito (adiuvanti), e altri invece che lo ostacoleranno (opponenti).
Le osservazioni di Propp e Greimas sottolineano l’importanza della causalità.
Diegetico: tutto ciò che fa parte del mondo della diegesi (ad esempio, musica che i personaggi del
film possono sentire);
Extradiegetico: tutto ciò che esula dalla dieresi, pur facendo parte del film (ad esempio, musica di
commento che i personaggi non possono sentire).
1.3 Il racconto cinematografico
Istanza narrante (o narratore) → narrare →mostrare
→far sentire
Narratore extradiegetico: manifestazione verbale dell’ìstanza narrante;
Narratore intradiegetico: personaggio che si rivolge con le sue parole o con immagini direttamente
allo spettatore o a un altro dei personaggi della storia.
Spazio del racconto cinematografico: spazio della storia (spazio diegetico, rappresentato
da un film, dai luoghi e dai suoi ambienti) / spazio del racconto (formato attraverso il modo in cui il
discorso articola lo spazio)
4 tipi fondamentali di rapporti spaziali (modalità attraverso le quali si passa da una immagine
(inquadratura) ad un’altra
• Identità spaziale: articolazione tra due segmenti dello spazio in sovrapposizione tra di loro
(una parete prima intera e poi in particolare, si parla anche di ritorno dello stesso)
• Alterità spaziale contrapposta alla prima modalità:
• Contiguità: due spazi legati tra di loro da un rapporto di comunicazione visiva
immediata (due persone che discorrono, le cui immagini si alternano).
• Disgiunzione: distinzione tra spazi vicini e lontani; individuabili disgiunzioni di
prossimità e di distanza:
• Disgiunzione di prossimità: ogni qualvolta tra due spazi non adiacenti sa possibile la
comunicazione visiva o sonora non amplificata (attraverso binocolo o telefono; ad
esempio, due detenuti in due celle adiacenti che riescono a comunicare).
• Disgiunzione di distanza: congiunzione tra due spazi privi di comunicazione visiva o
sonora diretta.
Tempo del racconto (il tempo del film è il presente!!): Secondo la distinzione in storia e
racconto, si possono distinguere due diversi tempi: tempo diegetico (della storia) e del discorso (del
racconto, comunemente chiamato tempo filmico)
Gerard Genette individua tre livelli di tempo:
9 ORDINE: flashback/flashforward – meccanismi di analessi e di prolessi
• Analessi esterna: l’episodio evocato inizia e finisce prima del momento in cui ha
preso inizio il racconto
• Analessi interna: l’episodio evocato è accaduto all’interno della storia narrata;
• Analessi mista: evocazione di un episodio passato che ha inizio prima del racconto
che la contiene e che termina dopo esso)
9 DURATA: durata determinata da metri di pellicola, il tempo di fruizione è vincolato, non
libero come in un libro.
• Pausa (TR=n; TS=0); tempo della descrizione letteraria; nel cinema si attua
attraverso movimenti della macchina da presa; ad un dato tempo del racconto, non
corrisponde alcun momento della storia;
• Estensione (TR>TS); tempo del racconto superiore al tempo della storia, benché la
seconda non sia nulla;
• Scena (TR=TS); ad esempio, una scena di dialogo, identità tra tempo del racconto e
della storia;
• Sommario (TR<TS); configurazione temporale usata per eliminare dettagli inutili o
accelerare ritmo della narrazione; alcuni processi possono essere presentati
attraverso sequenze (ordinarie, nel caso di ellissi di minima incidenza, e episodiche,
rapide immagini separate da dissolvenze o veloci panoramiche)
• Ellisse (TR=0; TS=n) nessuna durata del tempo del racconto in rapporto ad un dato
tempo della storia; si utilizza per eliminare tempi morti.
9 FREQUENZA: rapporto tra numero di volte in cui un avvenimento è accaduto e numero i
volte in cui viene evocato nella storia. Genette indica 4 tipi di rapporti:
• Racconto singolativo: nR/nS;
• Racconto ripetitivo: nR/1S
• Racconto iterativo: 1R/nS
Vedere e sapere
Focalizzazione: modo in cui vengono regolati i rapporti di sapere fra narratore, personaggi e
spettatori; è una strategia narrativa che si instaura tra le suddette parti. Todorov individua:
1. racconto a focalizzazione 0 (narratore>personaggio) → narrazione onnisciente;
2. racconto a focalizzazione interna (narratore=personaggio) → narratore assume punto di
vista di un personaggio);
3. racconto a focalizzazione esterna (naratore<personaggio) → il narratore dice meno di
quanto il personaggio ne sappia.
Ocularizzazione: François Jost introduce il termine per indicare lo scarto tra ciò che la macchina
mostra e ciò che il personaggio si presume sappia; si elencano:
1. ocularizzazione zero: visione di un oggetto senza la mediazione di un personaggio a vederlo;
tipica di Hitchcock e Griffith
• enunciazione mascherata: immagini ordinarie che mostrano gli elementi diegetici più
importanti del mondo, dimenticandoci della macchina da presa;
• enunciazione marcata: la macchina da presa sottolinea una certa autonomia
dell’istanza narrante, ad esempio quando viene mostrata l’ombra di un assassino.
2. ocularizzazione interna: ciò che si vede è mediato da un personaggio;
• ocularizzazione interna primaria: le immagini recano in sé la traccia di chi le guarda;
ad esempio, immagini con deformazioni ottiche che rimando ad uno stato di
ubriachezza di uno dei personaggi;
• ocularizzazione interna secondaria: alternanza di immagine del personaggio che
guarda e ciò che viene visto.
Cap. 2 – L’inquadratura
Inquadratura: unità base del discorso filmico; è rappresentazione in continuità di un dato spazio e un
dato tempo.
Piano: riferimento alla porzione di spazio rappresentata e alle modalità della sua organizzazione e
composizione.
Ogni inquadratura è risultato di una scelta relativa a due livelli:
• livello profilmico: tutto ciò che sta davanti alla macchina, che è lì solo per essere filmato e
fa concretamente parte della storia filmata; (messa in scena: reperimento e organizzazione ei
materiali)
• livello filmico: gioco di codici propriamente cinematografici, come inquadratura, distanze,
dialettica di campo e fuori campo…
Montaggio: operazione che mette in relazione tra di loro due o più inquadrature, scene o sequenze,
sulla base di un progetto scenico o narrativo.
2.1 Il profilmico e la messa in scena
L’ambiente e la figura
Scenografia: modificazione o creazione di un ambiente in funzione della ripresa cinematografica e
della realizzazione di un film;
L’ambiente è spesso legato alle figure, che vi entrano a fare parte. Non è un semplice contenitore, a
volte entra in sintonia con il personaggio (personaggio triste – luogo angoscioso). Gli ambienti
vengono ricostruiti per ragioni pratiche (musical surreale, film storico…) o perché è meno costoso
che occupare interi luoghi, specie se monumenti. La ricostruzione permette di elaborare l’ambiente
per renderlo più espressivo.
Martin propone un’organizzazione degli ambienti:
a. Realista: l’ambiente non ha altra implicazione che la sua stessa materialità, non significa
nient’altro che quello che è. Si veda ad esempio il neorealismo italiano.
b. Impressionista: ambiente scelto e modificato in funzione della domanda psicologica
dell’azione, è paesaggio di uno stato d’animo.
c. Espressionista: può essere più o meno funzionale all’azione psicologica, ma è esplicitamente
artificiale, a differenza dei primi due.
La luce e il colore
Luce intradiegetica: fonti di luce che fanno parte della messa in scena;
Luce extradiegetica: fonti di luce e riflettenti che esistono solo nella realtà produttiva del film, come
riflettori, che non vengono mai ripresi.
Caratteristiche fondamentali della luce sono 4, secondo il modello Bordwell-Thompson:
• qualità (illuminazione contrastata Vs illuminazione diffusa, illuminazione in cui le zone
d’ombra sono separate nettamente da quelle illuminate Vs rappresentazione più omogenea
dello spazio)
• direzione (luce frontale -no ombre/immagine appiattita-, luce laterale –scolpisce il volto e
accentua il gioco ombreluci- , controluce –stacca figura dallo sfondo e ne delinea i contorni-,
luce dal basso –deformazione del volto con tratti drammatici-, luce dall’alto –tipica delle
luci dietetiche-)
raramente lo spazio profilmico è illuminato da una sola luce; si parla di key-light (
posta frontalmente all’oggetto, lo mette in evidenza), fill light (lateralmente, scolpito e senza
ombre) e back light (attorno alla figura; la stacca dal fondo).
• sorgente
• colore (si può parlare di colore anche per il cinema in bianco e nero, riferendoci all’uso
studiato di luce ed ombre; i colori chiari attirano l’attenzione più di quelli scuri, l’uso
espressivo va al di là del simbolismo dei colori o di particolari significati attribuiti agli
stessi; si analizzano correlazioni personaggi-colori, dinamiche di luci e colori…)
2.2 Il filmico
La scala dei piani e il volto umano
Scala dei piani: diversa possibilità di ogni inquadratura di rappresentare un elemento profilmico da
una maggiore o minore distanza;
a. campo totale: utile a testimoniare la preponderanza dell’ambiente sul personaggio;
b. campo lungo (o lunghissimo): inquadratura che abbraccia una porzione di piano
particolarmente estesa; si ottiene forte preponderanza dell’ambiente sul personaggio;
c. campo medio: ristabilisce equilibrio tra figura ed ambiente; si ha prospettiva dello spettatore
a teatro;
d. figura intera: figura umana che occupa i due terzi o più della verticale dell’inquadratura;
afferma la centralità del personaggio;
e. piano americano: dalle ginocchia in su;
f. mezza figura: dalla vita in su;
g. primo piano: dalle spalle in su;
h. primissimo piano: solo il volto;
i. particolare: parte di volto o del corpo umano;
j. dettaglio: piano ravvicinato di un determinato oggetto;
Angolazione e dintorni
A partire da un ipotetico piano di base della cinepresa, si possono derivare una serie infinita di
angolazioni, sull’asse verticale, orizzontale e in profondità; si ha uso espressivo delle angolazioni
(alto:umiltà, basso:potenza)
La cornice e i due spazi
L’inquadratura è definibile secondo spazio in campo e quello fuori campo; ciò che ci viene mostrato
è uno dei qualsiasi quadri in cui possiamo dividere l’inquadratura, tutto ciò che non viene mostrato
è fuori campo. Campo e fuori campo sono spesso in rapporto di reversibilità.
Burch individua porzioni di inquadratura in alto, in basso, a destra e sinistra, dietro la scenografia e
dietro la macchina da presa all’interno del fuori campo.
Metodi per accentuare il fuori campo:
• Si effettuano entrate e uscite al campo (tipiche nel linguaggio teatrale)
• Attraverso lo sguardo del personaggio, o le parole e i gesti si rivolgono all’esterno
dell’inquadratura.
In questo modo nasce una dialettica tra quello ciò che si può vedere e il sapere del personaggio e il
non poter vedere e il non sapere dello spettatore
Inizio Documento
•
Uso delle inquadrature che tagliano una parte del personaggio lasciandone in scena solo una
parte.
Possiamo quindi evidenziare un fuori campo attivo (in cui ciò che non è inquadrato spinge il
pubblico a porsi delle domande) e il fuori campo passivo (non suscita nessuna curiosità).
Burch suggerisce la distinzione in fuori campo concreto (campo escluso che abbiamo già avuto
modo di vedere) e fuori campo immaginario (campo che possiamo solo immaginare che esista)
Soggettiva e sguardo
Oggettiva: inquadratura nella quale vengono mostrati i segni delle emozioni sul volto dei
personaggi.
Soggettive: inquadrature che esprimono un punto di vista ben definito, che non è più quello
dell’istanza narrante, ma di un personaggio.
Branigan individua le costituenti di una soggettiva:
1. punto, presente in una prima inquadratura, in uno spazio in cui un personaggio è dotato di
uno
2. sguardo; c’è una
3. transizione tra una inquadratura e l’altra, in rapporto di simultaneità o continuità; in una
precisa
4. posizione della macchina da presa da cui si guarda vengono mostrati
5. oggetti; tutto viene tenuto insieme dalla
6. consapevolezza della presenza del personaggio e che stia guardando quell’oggetto.
Semisoggettiva: inquadratura che, pur rappresentando lo sguardo di un personaggio, non ne rispetta
sino in fondo la posizione (ad es., la macchina inquadra l’oggetto e il personaggio da due posizioni
leggermente differenti.
Falsa soggettiva: esistenza di inquadrature che pur simulando un carattere di soggettiva stilistica si
rivelano poi, o si trasformano in itinere, in piani oggettivi.
↓
Importanza dello sguardo, che suggerisce sentimenti, stabilisce rapporti..
Il rapporto tra soggettiva e identificazione
Identificazione primaria: quella dello spettatore con l’occhio della macchina da presa;
identificazione secondaria: quello dello spettatore con i personaggi.
I movimenti di macchina
Ogni inquadratura può essere (oltre che angolata, in campo/fuori campo, oggettiva/soggettiva)
statica o dinamica, in una dialettica tra filmico e profilmico:
profilmico statico ↔ filmico statico
profilmico statico ↔ filmico dinamico
profilmico dinamico ↔ filmico dinamico
profilmico dinamico ↔ filmico statico
a determinare la dinamicità del filmico sono, ad un primo livello, i movimenti di macchina.
Principali movimenti di macchina:
• Panoramica: la cinepresa, fissata su un cavalletto, ruota sul proprio asse verticale,
orizzontale o obliquo; un tipo particolare di panoramica è quella a 360◦; tede a esprimere un
punto di vista soggettivo.
•
•
•
Carrellata: la macchina è fissata su di un carrello o su di un veicolo; si avrà la carrellata
laterale quando la camera segue un personaggio, a precedere quando lo precede e a seguire
quando lo segue; la carrellata aerea è quella effettuata grazie ad un velivolo.
Travelling: insieme di movimenti di macchina che uniscono alle panoramiche e ai carrelli la
possibilità di salire e scendere; tali macchine sono:
a. Gru: la macchina è fissata ad una vera e propria gru;
b. Dolly: veicolo a ruote sul quale viene sistemata la telecamera;
c. Louma: braccio meccanico in grado di sollevare una macchina fino a 17 kg; in
questo caso l’operatore non è più vicino alla macchina;
d. Steady camera: intelaiatura dotata di ammortizzatori, indossata dal tecnico; gli
ammortizzatori annullano qualsiasi movimento involontario o brusco.
Carrellata ottica: attraverso la variazione della distanza focale dell’obbiettivo, si può dar
vita a passaggi da un piano più distanziato a uno più ravvicinato (zoom in avanti/indietro)
Principali funzioni dei movimenti della macchina:
a. Funzione descrittiva: funzione di rappresentazione di uno spazio;
• Movimenti subordinati: movimenti che seguono la traiettoria di un personaggio.
Correzione di campo: brevi movimenti della macchina da presa, rapportati a quelli di
un personaggio che si sposta all’interno di uno spazio limitato; è utilizzata per
mantenere la stabilità del personaggio all’interno dell’inquadratura.
• Movimenti liberi: movimenti che prescindono da quelli profilmici, in cui la macchina da
presa si muove liberamente nello spazio.
Funzione estensiva: un movimento di macchina all’indietro allarga l’inquadratura da
un oggetto ad uno spazio più esteso. In questo modo l’oggetto assume particolare
rilevanza all’interno della scena.
Funzione selettiva: la macchina avanza verso un oggetto, così da renderlo più
visibile allo spettatore.
b. Funzione connettiva: messa in relazione di due o più oggetti profilmici, per sottolinearne
comunanze e differenze…
c. Funzione di costruzione di un regime di focalizzazione: mette a fuoco l’attenzione dello
spettatore su un particolare oggetto, altrimenti tralasciato.
Principali caratteristiche dei piani in movimento:
a. Durata
b. Velocità
Il loro rapporto determina fenomeni diversi di aspettativa nel pubblico.
Generi come il musical sono il perfetto connubio di velocità e durata con il sonoro
Cap. 3 – Il montaggio
3.1 Che cosa è il montaggio
Montaggio: fase nella quale inquadrature o intere scene potranno essere eliminate, modificate o
collocate in un momento diverso del racconto dal quale erano state originariamente previste: nei
film dei Lumière o di Méliès, film costituiti da un solo piano, il montaggio non esisteva, saranno
gli esperimenti della scuola inglese a concepire il montaggio (→ Mary Jane’s Mishap); la vera
evoluzione del montaggio si ha in America, negli anni di passaggio da cinema primitivo (190208) e quello classico (1917-60), ovvero tra il 1909 e il 1916.
Il compito di questo lavoro spetta al montatore (sotto lo stretto controllo del regista, come avviene
nel cinema americano classico);
Tecnicamente: operazione che consiste nell’unire la fine di una inquadratura con l’inizio della
successiva; per lo spettatore questo si traduce nell’effetto montaggio, ovvero il passaggio da una
prima immagine ad una seconda. Il montaggio è quindi un mettere in relazione (funzione
connettiva), sia sul piano diegetico (personaggio A/personaggio B) che su quello discorsivo
(personaggio A inquadrato dall’alto/personaggio B dal basso); unire due inquadrature vuol dire
dare vita ad un progetto narrativo, semantico ed estetico.
Montaggio analitico: montaggio che segmenta lo spazio, con l’intenzione di guidare lo spettatore
nella percezione del campo
Effetti di transizione (appartenenti al discorso filmico):
1. stacco: passaggio diretto da un piano a quello successivo;
2. dissolvenza: che si distingue in tre forme:
a. d’apertura: l’immagine appare progressivamente dallo sfondo nero;
b. chiusura: l’immagine scompare progressivamente sino a diventare nera;
c. incrociata: l’immagine che appare e quella che scompare si sovrappongono per alcuni
secondi;
3. iris: un foro circolare si apre o si chiude intorno ad una parte dell’immagine (soluzione poi
caduta in disuso)
4. tendina: la nuova immagine si sostituisce alla prima facendola scorrere via.
Piani di ambientazione: tipo di inquadratura prettamente descrittiva che avvia una scena col
compito di introdurne i caratteri ambientali, per consentire allo spettatore di conoscere il luogo in
cui sta per svolgersi una determinata sequenza; permettono allo spettatore di comprendere
correttamente un determinato episodio, e svolgono un preciso ruolo, cioè di permettere un respiro
tra due scene ed evitare passaggi troppo bruschi.
3.2 Spazio e tempo
Spazio:
Il montaggio ha lo scopo di selezionare eventi degni di nota, e di tralasciare quelli inutili nel vuoto
delle ellissi; uno spazio diegetico ha due grandi possibilità di essere rappresentato:
a. forma del cinema classico: ad un piano d’insieme dell’ambiente seguono diverse
inquadrature, frammentarie, del piano stesso;
b. lo spazio è descritto attraverso un insieme di frammenti, senza essere mai mostrato
interamente.
Decoupage: gioco di segmentazione dello spazio, assente nel cinema primitivo.
Tempo:
Il montaggio è il mezzo con il quale si decide la durata di ogni singolo piano; in questo modo il
regista impone allo spettatore il tempo che questi ha per fruire dell’inquadratura. Dal livello
dell’inquadratura si passa poi a livello dell’intero film, per il quale Bordwell e Thompson
propongono un’analisi fondata sulla tripartizione articolata da Genette:
1. ordine: strumento che permette tecnicamente di determinare il rapporto dell’ordine
degli eventi; flashback (diegetici, prendono via dalle parole di un
personaggio/extradiegetici, sono propri dell’istanza narrante), flashforward (ristretto
a pochi casi di chiaroveggenza);
2. durata: forme di contrazione temporale, come il montaggio ellittico (montaggio di
concentrazione temporale, omette qualcosa di importante allo spettatore, invitandolo
così ad una partecipazione attiva; il montaggio fa quello che fa nello spazio il fuori
campo, si attua con dissolvenze, campi vuoti (il soggetto esce di casa, l’inquadratura
resta dopo che ne è uscito e si riapre su un altro luogo, prima che il personaggio
stesso arrivi) e cut-away (inquadratura di transizione su altro, con durata inferiore
all’azione messa in ellissi ), scena Vs sequenza e la sequenza a episodi o di
montaggio (una successione di brevi evocazioni fornisce il senso di generale). Il
tempo può essere rallentato attraverso fermi-fotogramma o slow motion;
l’overlapping editor, strategia americana, consiste nel mostrare l’ultima parte di una
azione all’inizio di quella successiva (→ Ejzenstejn)
3. frequenza: montaggio alternato (sintagma attraverso il quale si alternano
inquadrature di due o più eventi in luoghi differenti che però hanno destino di
incontrarsi, → Griffith).
Il montaggio può essere usato anche per una semplice descrizione, nella quale le immagini non sono
legate da rapporti di consequenzialità.
3.3 Forme, funzioni e ideologie del montaggio
Il montaggio è stato a lungo considerato l’elemento specifico del cinema, rendendolo unico da
qualsiasi altro media. A partire dagli anni quaranta e cinquanta (Bazin) tale centralità è stata messa
in discussione.
Il montaggio narrativo e il decoupage classico
Cinema classico: produzione holliwoodiana tra il 1917 e il 1960 (→ Bordwell), stile i cui principi
sono rimasti costanti attraverso decadi, generi, studi di produzione, registi e personale tecnico. I
questo periodo si era convinti che lo spettatore dovesse assistere allo spettacolo ignaro della
componente artificiosa: quindi il montaggio doveva essere nascosto, benché presente, per evitare di
presentare troppo vistosamente un lavoro di scrittura; per questo stile si parla comunemente di
cinema della trasparenza o montaggio invisibile.
Bazin individua tre caratteristiche fondamentali del decoupage classico:
motivazione (ogni passaggio deve essere motivato) – chiarezza ((ogni passaggio deve presentare
chiaramente ciò che sta accadendo) – drammatizzazione (il passaggio deve presentare snodi
drammatici e psicologici)
quindi il montaggio è subordinato ad una istanza di chiarezza e di invisibilità, oltre che di continuità
(non bisogna lasciar libero il montaggio di disgregare il racconto filmico).
L’istanza di continuità è assicurata anche dai raccordi, tra i quali ricordiamo:
a. raccordo di sguardo: una inquadratura ci mostra un personaggio che guarda qualcosa,
mentre l’inquadratura successiva ci mostra ciò che viene guardato;
b. raccordo sul movimento: un gesto iniziato nella prima inquadratura si conclude nella
seconda;
c. raccordo sull’asse: due momenti successivi di una azione sono presentati in due
inquadrature, delle quali la seconda è più vicina o lontana della seconda, ma posta sempre
sullo stesso asse;
d. raccordo sonoro: battuta di dialogo, un rumore o una musica si sovrappongono a due
inquadrature legandole così tra di loro
Sistema dello spazio a 180°: il movimento di camera da vita ad uno spazio di 180° anziché di 360°;
è lo spazio tipico del dialogo, in cui un personaggio guarda il suo interlocutore verso destra e l’altro
verso sinistra. In sequenza, daranno l’illusione di parlare guardandosi negli occhi.
Se si scavalcasse questa barriera i personaggi non si guarderebbero più negli occhi.
Tale barriera può essere scavalcata inserendo un piano di transizione, dopo il quale si attuerà un
nuovo piano a 180°.
Il cinema classico può anche scavalcare direttamente il campo, purché questo abbia una precisa
motivazione (inquadrando un personaggio che percorre una stanza da destra a sinistra, tornando
indietro può essere mostrato dall’altra angolatura della stanza, in modo da mostrare qualcosa
invisibile dall’altra angolatura)
L’uso dello spazio a 180° suggerisce quindi:
e. raccordo di posizione: due personaggi ripresi in una inquadratura l’uno a destra e l’altro a
sinistra, terranno le stesse posizioni anche in quella successiva;
f. raccordo di direzione: un personaggio che esce di campo a destra dell’inquadratura dovrà
rientrare in quella successiva da destra (a meno che non stia tornando indietro)
g. raccordo di direzione di sguardi: in un dialogo, la macchina dovrà essere rivolta in modo
tale che quando un personaggio viene inquadrato, il suo sguardo si diriga verso l’altro.
Nel decoupage classico anche il tempo è subordinato allo sviluppo della narrazione; vengono di
solito presentati gli eventi nel loro ordine naturale, con l’unica sostanziale eccezione del flashback;
vengono preferite la continuità del tempo e della storia (scena) e le contrazioni temporali (sequenze)
alle estensioni temporali; si ha quindi uso frequente delle ellissi, con conseguente omissione delle
azioni inutili alla narrazione.
Il montaggio connotativo
Montaggio il cui tratto dominante è la costruzione del significato, tipico della produzione di
Ejzenstejn; in tale autore è chiara la collisione e l’effetto che possono provocare due inquadrature
l’una di seguito all’altra, e dell’effetto che possono scatenare (“effetto Kulesov”, pag. 179); il
conflitto può essere di diversi tipi:
• conflitto delle direzioni grafiche (delle linee)
• conflitto dei piani (tra di loro)
• conflitto dei volumi
• conflitto delle masse (dei volumi sottoposti a diversa intensità luminosa)
• conflitto degli spazi
• conflitti che richiedono soltanto un ulteriore impulso di intensità per scindere in coppie di
pezzi antagonisti (primo piano/profondità di campo, pezzi scuri/pezzi chiari, pezzi a
dominante volumetrica/pezzi a dominante piana..)
Attraverso questo rapporto tra piani come conflitto Ejzenstejn arriva all’elaborazione del suo
montaggio intellettuale. Il montaggio assume il ruolo centrale anche sul piano della costituzione di
rapporti audiovisivi, per dare al pubblico non una riproduzione, ma il senso del reale. (in oktober,
Ejzenstejn inserisce un pavone meccanico a forza, esterno alle inquadrature, i personaggi non sono
presentati nell’insieme del piano, il piano è frammentario, l’ordine degli eventi viene stravolto e la
successione dei piani è ambigua.
Il montaggio formale
Montaggio che si impone per le sue qualità grafiche/ritmiche;
• Analogia e contrasto sono evidentemente i due parametri su cui si costituiscono gli effetti di
montaggio grafico; i due parametri qui dominanti sono quelli della centralità e
dell’omogeneità dell’illuminazione; solamente necessità drammatiche potranno alterare
questa continuità di tipo formale, introducendo elementi di contrasto che trovano sul piano
narrativo la loro motivazione. Si parla più che altro di senso geometrico, di disposizioni
simmetriche, asimmetriche, e organizzazioni dello spazio.
• La natura ritmica di una inquadratura è determinata dalla volontà del regista e del suo
montatore; quello del ritmo è soprattutto un problema di cadenza, che può essere regolare o
irregolare, ma che per essere colto deve darsi in forme temporali piuttosto contenuto; si può
parlare di ritmo disteso, ma non è ritmico il montaggio fondato sulla successione di
inquadrature di durata superiore ad un minuto l’una. Non è possibile distinguere alcune
soluzioni da altre; ad esempio, si può creare un ritmo nella successione di inquadrature
presentando uno e più personaggi, riprese dal basso e dall’alto.., cioè per mezzo di scelte di
inquadrature, movimenti della macchina, movimenti filmici e profilmici..
La componente ritmica ha trovato i suoi momenti nel cinema di avanguardia degli anni ’20,
nei registi della scuola sovietica, negli impressionisti francesi, nel cinema di pittori e poeti,
e, ad Hollywood, nel musical.
È possibile individuare tre forme ritmiche dominanti:
1. ritmo regolare: fondato sulla successione di brevi inquadrature della stessa durata;
2. ritmo accelerato, dove i piani che si succedono sono via via più brevi;
3. ritmo irregolare: le inquadrature si succedono presentano durate molto diverse tra di
loro.
Il montaggio discontinuo
Montaggi oche mira a rendere possibile la narrazione di una storia trasgredendo le regole della
continuità classica, senza però rientrare in quelle caratteristiche connotative, grafiche e ritmiche dei
montaggi sino qua analizzati.
Una prima forma di violazione può essere quella della violazione del sistema a 180°. Vengono
quindi usati piani a 360°, che permettono alla macchina di girare attorno ai personaggi (nei registi
giapponesi, nei dialoghi la macchina da presa scavalca più volte lo spazio a 180°, cosicché la
posizione dei personaggi muterà continuamente sullo sfondo.)
Un’altra modalità è quella del jump cut, reso in italiano come falso raccordo (vi si nascondono due
diverse forme di raccordi irregolari: quella che altera nel cinema classico che vuole che due
inquadrature successive siano differenti per angolazione di almeno 30° e per distanza, in modo da
renderle autonome; e una seconda, che vuole mostrare il personaggio in luoghi e tempi diversi,
generando quindi una discontinuità sul piano spaziale e temporale dal cinema classico); un jump cut
verrebbe considerato un grave errore nel cinema classico; Hitchcock usa inquadrature poco
differenti tra di loro in Psycho per creare suspance, non in rottura con il cinema classico.
Un altro mezzo può essere quello di inserire inserti non diegetici, che rompono la narrazione e
suggeriscono associazioni metaforiche.
La discontinuità si può rendere anche sul piano temporale; viene rotta la successione classica 1-2-3
attraverso numerosi flashback e flashforward, e sul piano della frequenza; inoltre, sul piano della
durata, frequente è il ricorso alla pratica dell’estensione, dove la durata della rappresentazione è
superiore a quella dell’evento rappresentato; ulteriore stratagemma è quello della sovrapposizione
temporale, o overlapping editing, in cui l’inquadratura B non inizia dove finisce l’inquadratura A,
ma un poco prima (si veda ad esempio il primo Truffaut).
3.4 Il montaggio proibito: profondità di campo e piano sequenza
Bazin si basa su due postulati, i quali sostengono che la vocazione ontologica del cinema sia quella
di rappresentare il reale nel rispetto delle sue caratteristiche essenziali, e che il reale sia
caratterizzato da una sostanziale ambiguità; da questo ne consegue che il cinema debba
rappresentare la realtà pur rispettandone l’ambiguità. Tale rispetto deve partire da un ambito
fotografico della continuità spazio-temporale.
Così affiorano due modalità di espressione, nell’ambito dei parametri che costituiscono il
linguaggio cinematografico:
• Profondità di campo: caratteristica di una immagine nella quale gli oggetti in primo piano e
quelli sullo sfondo sono perfettamente a fuoco; tanto più un oggetto sarà vicino
all’obbiettivo, e lo sfondo lontano dal primo piano, allora tanto maggiore sarà la profondità
di campo. Per messa in scena in profondità si ottiene la disposizione di oggetti su più piani e
le loro interazioni; l’introduzione di pellicole a colori, che necessitavano aperture dei
diaframmi più ampie, determinarono messe a fuoco parziali ed effetti di sfocatura (flou);
sino agli anni trenta saranno pochi i registi che useranno la profondità di campo, tra i quali
Renoir e Mizoguchi; grazie a Todd, direttore della fotografia di Quarto Potere, torna in
auge; secondo Bazin, di fronte alla messa in profondità, lo spettatore è costretto ad un
proprio decoupage
• Piano sequenza: piano che da solo svolge la funzione di una sequenza o di una scena. Come
la profondità di campo, anche il piano sequenza si caratterizza per il rifiuto del montaggio.
Gli americani lo chiamano long take, intendendo una ripresa che non costituisce un
episodio, ma si caratterizza per un volontario rifiuto del montaggio; i primi filmati dei
Lumiere o Melies, ad esempio, erano veri e propri long take. Non è raro che i registi che
hanno fatto uso della profondità di campo lo fanno anche dei long take. Un inquadratura con
decoupage ha un solo significato, mentre una in profondità presenta più significati. Il piano
sequenza, secondo Bazin, con il suo mantenimento della successione delle inquadrature,
riporta il cinema alla sua vera natura ontologica: obbligando ad un proprio decoupage, si
ovvia al problema dell’ambiguità, permettendo ad ogni spettatore di interpretare liberamente
ogni inquadratura. Una critica mossa a Bazin è quella che il cinema sia rappresentazione
della realtà, e come una cornice ponga una prima interpretazione nelle sue scelte
(inquadrature, tempi, luci..); in secondo luogo, Bazin sottovaluterebbe messe in profondità
che imporrebbero una lettura univoca della scena.
Piano sequenza e messa in profondità non annullano il montaggio, ma lo obbligano ad una
particolare forma, il montaggio interno; per tale si intende il montaggio non più tra le diverse
inquadrature, ma all’interno di una stessa scena (movimenti in avanti o indietro, movimenti tra due
oggetti…)
Cap. 4 – Il suono, l’immagine
Alla nascita del film, si avevano accompagnamenti musicali anche solo per coprire il rumore della
macchina, o per riempire il vuoto della dimensione sonora; già agli inizi del 1910 si avevano
soluzioni tecniche per aggiungere il suono, ma non vennero utilizzate; il primo film con traccia
audio fu Don Giovanni e Lucrezia Borgia di Crosland del 1926. Il film successivo, sempre della
Warner, fu Il cantante di Jazz, diretto dallo stesso Crosland, che aprì le strade al sonoro. In
America, agli inizi degli anni 30 il muto era abbandonato, poco dopo anche in Europa.
L’inserimento dell’audio, fece perdere gran parte delle capacità di espressione raggiunte dal cinema
muto, e le nuove soluzioni tecniche limitavano le possibilità di espressione dei registi e degli attori,
che vennero loro restituite solo successivamente grazie alla capacità di inserire l’audio in un
momento diverso da quello della registrazione video. È alla fine degli anni 30 che nasce la colonna
sonora, cioè l’insieme di parole, suoni e musiche.
4.1 Le funzioni del suono
La percezione visiva influenza quella sonora, così come quella sonora influisce su quella visiva.
Un’immagine, accostata ad un suono, produce un effetto diverso da quando ne è ancora priva.
Il sonoro ha assunto un ruolo molto importante nello stabilizzarsi del decoupage classico. In
particolare, poteva essere usato come soluzione per ovviare agli stacchi troppo bruschi (un uomo
parla verso il fuori campo, e le sue parole terminano con l’inquadratura della donna alla quale erano
rivolte); tecnica molto usata da Ozo, ad esempio. Bruschi contrasti audiovisivi possono sottolineare
particolari momenti della narrazione.
Come per le immagini, anche il suono è sottoposto a momenti di selezione e di combinazione.
Montaggio sonoro: combinazione tra di loro dei suoni, in cui diventa molto importante il volume di
ogni singolo suono (in un dialogo sulla strada, nel cinema classico la voce sarà molto più alta del
rumore del traffico, in Godard ,Week-end, le parole vengono cancellate dal rumore di fondo. Il
montaggio dei suoni e la regolazione dei volumi è l’operazione che viene comunemente definita
missaggio sonoro. Il montaggio sonoro e quello visivo mantengono strette relazioni, confluendo nel
montaggio audio-visivo.
Suono e spazio
Dal punto di vista dello spazio possiamo distinguere il suono diegetico da quello extradiegetico,
intendendo rispettivamente il suono interno alla diegesi del film e quello proprio dell’istanza
narrante. Tuttavia in alcuni casi la distinzione non è così netta, e le due modalità possono
confondersi. Wells gioca con il confine labile in cui una voce diegetica dialoga con la voce
narrante, extradiegetica.
Il suono diegetico può essere, a sua volta, diviso in suono in campo e suono fuori campo. Nel primo
caso la fonte sonora è interna all’inquadratura, nel secondo è esterna.
Chion individua tre tipi di suoni, difficilmente collocabili in campo e fuori campo:
1. il suono ambiente (suono che avvolge una scena nella quale sarebbe assurdo
chiedersi quale sia la fonte dello stesso, ad esempio il cinguettìo in un parco)
2. il suono interno (si oppone a quello esterno, che ha un’origine fisica ben precisa,
trattandosi dei suoni avvertiti durante i ricordi o i sogni di un personaggio)
3. il suono on the air (suono trasmesso da radio, tv, delle quali non vediamo la sorgente
primaria)
Il suono può quindi essere diviso in suono over (extradiegetico), suono in (diegetico, in campo) e
suono off (diegetico, fuori campo).
Suono acusmatico: suono di cui non si vede la fonte (disco, radio, telefono..)
Suono Selettivo: accompagnato da una immagine, il suono può dirigere la nostra attenzione verso
un oggetto o un altro (in un dialogo, si guarda di più chi parla che chi sta zitto).
Direzione: originariamente il suono aveva una direzione unica, da dietro lo schermo; con tecnologie
dolby il suono possiede un’articolazione spaziale, dando vita al supercampo, una sorta di campo
audiovisivo, determinato non solo dalle immagini ma anche dal suono ambiente, di parole, musiche
e rumori, che finisce per rimettere in discussione certe forme del decoupage tradizionale.
Distanza: un suono a basso volume apparirà da una sorgente più lontana di quanto non sembri
provenire un suono ad alto volume. A volte, le immagini in campo lungo sono accompagnate da
suoni in primo piano (un campo lungo di due persone che parlano, ma delle quali possiamo
ascoltare le parole)
Suono e volume
Suono simultaneo: sonoro e immagine si danno in uno stesso tempo narrativo
Suono non simultaneo: effetto sonoro che anticipa o segue le immagini che noi stiamo vedendo in
un momento dato (un personaggio evoca un avvenimento, e noi vediamo l’evento, continuando a
sentire le parole; sound bridge: suoni dell’inquadratura successiva si iniziano a sentire già da quella
prima).
Si possono individuare due movimenti, a partire dalla definizione data da Chion: il suono
visualizzato che poi si fa acusmatico, e quello acusmatico che poi si fa visualizzato.
Ritmo: è costituito da due componenti principali, velocità e regolarità.
• Velocità: determinata dalla durata degli intervalli (ritmo veloce: intervallo breve, ritmo
lento: intervallo lento)
• Regolarità: coincidenza o meno delle durate (se le durate coincidono, si avrà ritmo regolare,
se non coincidono sarà irregolare)
Spesso ritmo visivo e quello sonoro vengono adeguati l’uno all’altro, come nei musical o nei film di
animazione Disney.
4.2 Suono e racconto: il punto d’ascolto
Si possono stabilire piani, del tutto simili a quelli visivi, delle inquadrature sonore; la coincidenza
del piano visivo e di quello sonoro può dar vita a fenomeni quali quello di coincidenza e di
contrasto.
Coincidenza: un uomo inquadrato in piano medio, con il rumore dei passi che si affievolisce al suo
allontanarsi (coincidenza di piano visivo e piano sonoro).
Contrasto: i passi dello steso uomo, mentre si allontana, restano allo stesso volume (contrasto tra
piano visivo e piano sonoro).
Con il dolby e nuove tecnologie il suono ha trovato una maggiore localizzazione spaziale,
svincolato dalla posizione dietro lo schermo o dal suono stereofonico.
Jost propone, riguardo il punto d’ascolto, il termine auricolarizzazione, contrapposto a quello di
ocularizzazione.
• Auricolarizzazione interna: un suono è legato in maniera particolare ad un determinato
personaggio (la coincidenza tra punto di vista e sonoro si ha, e non è mediata);
•
•
•
Auricolarizzazione interna primaria: dimensione esplicitamente soggettiva (la voce si
presenta deformata, a causa di una determinata situazione del personaggio; si ha
coincidenza, mediata da tecniche apposite);
Auricolarizzazione interna secondaria: determinate soluzioni di montaggio o inquadratura la
evidenziano (un personaggio che si volta verso un orologio rintoccante);
Auricolarizzazione esterna: suoni non legati al personaggio (se lo fossero sarebbe interna);
suoni ambientali, rumori che non rivestono un particolare significato, e musiche
extradiegetiche).
4.3 Parole e voci
Come con la musica, anche la parola non è nata con l’avvento del sonoro: si avevano narratori in
sala e didascalie che esplicitavano il movimento della labbra degli attori.
Il commentatore pronunciava parole in simultaneità con l’immagine, ma il suo testo comportava un
margine di improvvisazione, dovuta alla personalità del commentatore e al contesto in cui eseguiva
la sua performance. La registrazione sonora permette di ritrovare la simultaneità di parola e
immagine.
La voce è il materiale sonoro più importante sul quale si fonda un film. Come scrive Chion, il
cinema e voce-centrista. Lo stesso Chion distingue tre tipi di parola:
• parola-teatro: assoluta intelligibilità /è emanata dai personaggi; è il dialogo, che assume
diverse funzioni (info, drammatica..)
• parola-testo: assoluta intelligibilità/parola del narratore, erede delle didascalie, stabilisce e
evoca il senso corretto delle immagini.
• parola-emanazione: la parola diviene emanazione dei personaggi; può essere di personaggi
o del narratore, e si caratterizza perché i contenuti non sono interamente compresi, si applica
quando il regista decide di privilegiare lo cambio di battute, le articolazioni del testo , le
esitazioni, piuttosto che le parole.
In molti film girati in presa diretta, ovvero quando la registrazione sonora e concomitante a quella
visiva, i rumori ambientali possono limitare l’intelligibilità delle parole, ma in alcuni casi questo è il
risultato di una cosciente scelta operativa.
Un ruolo particolare del narratore è il caso in cui le sue parole si rivolgono direttamente al pubblico,
e non agli attori; avremo allora le seguenti situazioni:
a. Quantità delle informazioni enunciate:
o la parola dice più di quello che dicono le immagini;
o la parola dice quanto dicono le immagini;
o la parola dice meno di quello che dicono le immagini;
b. Qualità delle informazioni enunciate:
o immagini e parole dicono la stessa cosa;
o immagini e parole dicono cose diverse;
La parola può essere utilizzata per ridurre l’ambiguità di una serie di inquadrature.
4.4 Musiche
Non solo dal 1927, ma sin dal 1895 ci si è incominciati a porre il problema del rapporto tra musica e
immagini, sia intendendo la prima come supporto alle seconde, sia elaborando complesse e più
articolate situazioni di interrelazione tra le due entità.
Nel corso degli anni dieci vengono pubblicati i primi repertori musicali, secondo il proposito che la
musica dovesse accompagnare lo spettatore e immergerlo nel clima della scena.
Negli anni venti, grazie alle avanguardie, si cerca un rapporto estetico-strutturale tra inquadratura e
musica in base alla natura ritmica che li accumuna.
Ci sono due grandi modi attraverso i quali la musica si accumuna alle immagini:
a. partecipazione: la musica partecipa alla scena assumendone direttamente il ritmo;
b. distanza: la musica si sviluppa in modo autonomo, indifferente al ritmo delle immagini.
Anche la musica ha dato vita a figure dominanti i modelli di produzione classica:
a. leitmotiv: tema melodico ricorrente che caratterizza fatti, momenti o personaggi nel corso
dello spettacolo teatrale o filmico.
b. avvio o interruzione improvvisa: la musica si avvia o cessa di colpo per sottolineare un
momento drammatico della scena.
4.5 Rumori
Al contrario di quello che accade per la musica, non esiste una copiosa biografia sul rumore;
nell’ambito del cinema classico, infatti, aveva scarsa incidenza; è solo l’avvento del dolby e della
registrazione su più piste ad avere permesso di far sentire rumori ben definiti.
Nel cinema muto, per esprimere un silenzio opprimente, veniva inquadrato un rubinetto dal quale
cadevano lentamente alcune gocce.
Nel cinema sonoro la prima è più evidente funzione del sonoro è quella di rendere più credibile
l’ambiente; quindi è fondamentale, ad esempio, in un primo piano nel quale il rumore lo situa in
uno spazio ben definito.