E. Montale, La bufera e altro
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E. Montale, La bufera e altro
E. Montale, La bufera e altro (1956) Edito nel 1956 (presso Neri Pozza), raccoglie testi scritti fra 1940 e 1954; la prima sezione era stata già pubblicata nel '43 in Svizzera e due anni dopo a Firenze; altre poesie uscirono in rivista prima del '56. È un'epoca drammatica: al II conflitto mondiale seguono anni difficili in Italia, molto deludenti per molti intellettuali. M. aveva aderito al partito d'Azione, ma fu presto deluso irrimediabilmente dalla politica, aborrendo poi quella sia della Democrazia Cristiana sia del Partito Comunista (DC e PCI). Anche sul piano privato sono anni molto duri. La “bufera” rinvia alla guerra mondiale, “altro” a fatti estranei e/o successivi. Struttura: l'opera è divisa in sette sezioni, in ordine cronologico (tranne la IV), costruendo un filo narrativo molto vario e mosso: I. Finisterre: orrori della guerra, rare I morti sono lari tutelari, i custodi della civiltà apparizioni di Clizia, i lutti familiari (cfr. (motivo foscoliano) che sempre meno può A mia madre); essere rappresentata da Clizia. Essi sono richiamati però nella loro terrenità. Altre figure femminili compaiono. Monostilismo che richiama l'esperienza petrarchesca II. Dopo: malattie e lutti familiari, che Clizia del tutto assente. Tono più immediato e rievocano quelli degli anni Trenta; ricordi realistico esclude i rinvii petrarcheschi, liguri benché lo stile sia molto sostenuto. Appare il III. Intermezzo: malattie e altri lutti familiari; mondo degli oggetti più vari, caotico e informe. Così sarà anche la sezione IV. ricordi liguri IV. Flashes dediche: V. Silvae VI. Madrigali privati e In tutte e tre le sezioni domina il tema della funzione femminile salvifica, ma l'incarnazione dei valori rappresentati da Clizia si rivela illusoria. C. Cristofora (capace di incarnarsi nella vita, nella storia, come Cristo) appare sempre più di rado; infine si allontana in un “oltrecielo”. La salvezza è offerta non più a tutti o a molti, ma è possibile solo come salvezza individuale, privata: l'emblema è Volpe (1947-48 e ss.: (senhal della poetessa Maria Luisa Spaziani, conosciuta nel '49), e tutti anni della gli altri animali (anguilla, gallo cedrone ecc.) che popolano la V delusione) sezione – quella in cui si attua la svolta - sono emblemi dell'amore, della fisicità erotica, ed esprimono la volontà di vivere. Anche i morti sono un richiamo alla concretezza dei valori terreni (come anticipato dalle sezioni precedenti). Alla trascendenza di Clizia si sostituisce l'immanenza di Volpe. Allegorismo non più umanistico ma vitalistico, istintuale. L'anguilla (poesia del '48, in Silvae) riunisce due elementi che negli Ossi era opposti (terra e mare), e rappresenta istinto di sopravvivenza, integrità etica, resistenza. La VI sezione accentua il carattere privato dell'eros, passionale, rappresentato da animali o piante. VII. Conclusioni provvisorie Ma la salvezza solo privata è una sconfitta. La denuncia delle purghe staliniane balena nel Sogno del prigioniero, del 1954. La nuova bufera è la catastrofe della civiltà occidentale (Piccolo testamento, del 1953), nella quale il poeta non si riconosce, ribadendo la propria lucida coerenza, il proprio pessimismo senza cedimenti. Queste due ultime poesie, di grande impegno civile, chiudono il libro. In mezzo a tanta negatività, tuttavia, Il sogno del prigioniero si conclude con un verso quasi inatteso: “L'attesa è lunga, / il mio sogno di te non è finito”. Lo stile della raccolta segue la vicenda: dalla preziosa poesia legata alla lingua delle Occasioni M. muove verso toni sempre più realistici, prosastici addirittura. Continua (ed è ovvio) a rifiutare l'ermetismo, mentre si avvicina alle istanze del coevo neorealismo, ai suoi motivi esistenziali, al suo bisogno di scavare la realtà, di cercare un senso. I poeti cui guarda sono Petrarca in Finisterre, e poi sempre Dante, Leopardi (e ancora Hölderlin, per la prima parte soprattutto, ed Eliot, ma senza l'afflato religioso che anima l'autore inglese). Un approfondimento merita il titolo Silvae, sezione della svolta, che segna il passaggio a una poesia non più solo d'amore: il titolo, infatti, allude al genere letterario latino delle Selve (cfr. Stazio), poesia contrassegnata dalla varietà degli argomenti (anche improvvisati) e dello stile. Il realismo e l'allegorismo di fondono: Dante continua a essere un interlocutore privilegiato soprattutto, ora, per la lezione del pluristilismo: Montale mescola toni alti e bassi, lessico religioso e termini tecnici; così come gli emblemi vitali rinviano all'eros, alla nostra terrenità, così la lingua si fa più concreta, e la poesia cerca di sopravvivere nel “fango”, ovunque, nella passione (l'amore come salvezza privata) e nella denuncia dei mali (dello stalinismo, dell'aridità del consumismo americano) che ci minacciano. Dal '56 al '63 Montale non scriverà più poesia. ***