M.Focault, Reportage

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M.Focault, Reportage
PierPan
M.Focault, Reportage
ESEMPIO DI REPORTAGE
E’ un esempio di un reportage di alto livello qualitativo sperimentato alla fine degli anni Settanta dal
“Corriere della Sera”. Uno dei più prestigiosi filosofi francesi di quegli anni, Michel Foucault, l’autore
di “Le parole e le cose” e della “Microfisica del potere”, viene inviato in Iran (andrà due volte)
per seguire gli avvenimenti della Rivoluzione khomeinista. Si tratta, più che di una ridescrizione oggettiva di ciò che
accade, di un reportage “a tema” con il quale il filosofo cerca di verifericare “sul campo” la
sua idea di “rivoluzione popolare”.
Da: M.FOUCAULT, Taccuino persiano, a cura di R.Guolo e P.Panza, Guerini, Milano, 1998
IL TACCUINO PERSIANO DI MICHEL FOUCAULT Nel 1978-'79 vennero pubblicati sul “Corriere della
Sera” nove reportage di Michel Foucault sulla rivoluzione iraniana, frutto di un accordo tra il quotidiano e la
cosiddetta “Équipe Foucault”, impegnata a elaborare una serie di riflessioni sui grandi problemi
internazionali. Questi articoli furono i maggiori interventi critici, e addirittura cronachistici, sottoposti all'attenzione
dell'opinione pubblica italiana nel corso della rivoluzione islamica a Teheran. La lettura di questi nove reportage viene
ora proposta in volume per un almeno due motivi. Il primo riguarda la critica filosofica, e consiste nel valutare se, e per
quali ragioni, le modalità della rivoluzione iraniana descritte da Foucault abbiano confermato, oppure smentito, le
elaborazioni che in quegli stessi anni egli stava mettendo a punto sul tema del funzionamento dei sistemi di potere. E, in
relazione a ciò, per mostrare i motivi della sua entusiastica adesione al moto rivoluzionario; scelta che venne rimproverata
a Foucault (che era stato a lungo iscritto al Pcf). Per la prima volta, infatti, lo studioso si trovava non a riflettere, ma a
descrivere sul campo, una situazione di “cambio di potere”. Il secondo motivo, più attuale e più denso
d'implicazioni, esula dalla critica filosofica e si proietta sulla contemporaneità. La rivoluzione iraniana, infatti, segna (come
"profetizzato" dallo stesso Foucault) l'emergere sullo scenario politico di un nuovo soggetto: l'islamismo rivoluzionario.
Soggetto che, con la successiva caduta dell'ordine mondiale bipolare, si è sempre più posto come principale e radicale
alternativa al sistema liberistico e capitalistico delle democrazie occidentali. Dopo le grandi celebrazioni dei 2.500 anni
dell'impero persiano - festeggiate a Persepoli nel '71 - la situazione in Iran cominciò a farsi via via più caotica, e la spinta
antimodernista più forte. In opposizione al modello di sviluppo imposto al Paese dallo scià, gli sciiti iraniani incominciarono
a rivendicare i valori della tradizione religiosa e dell'autodeterminazione. E l'ayatollah Khomeini, in esilio dopo aver
guidato nel '64 la protesta contro gli Usa, divenne il punto d'incontro di una volontà collettiva. L'anno della svolta fu il 1978
e, proprio in questo anno, Foucault scrisse otto dei nove articoli sulla rivoluzione pubblicati sul Corriere della Sera.
Foucault descrive la capitale iraniana come una città parzialmente distrutta nella sua identità. Teheran è “divisa in
due secondo un asse orizzontale: la città ricca si arrampica lentamente sui contrafforti della montagna, tra enormi cantieri
e autostrade in costruzione... Le ville, coi loro giardini, sono chiuse da alte mura e da porte in metallo pieno. Al sud c'è il
bazar, il vecchio centro della città e le periferie povere. Ai margini, edifici popolari molto bassi, a perdita d'occhio, finiscono
per confondersi nella polvere con la pianura. Un po' più lontano c'è la città alla rovescia: sono stati fatti enormi scavi nel
corso dei secoli, per estrarre l'argilla che ha costruito Teheran. Cinque o seicento metri più in basso del Palazzo Reale e
dell'Hotel Hilton, la città ha lasciato il suo stampo vuoto: al di sopra delle buche, sono stati tesi teloni rossi e neri, per
creare degli alloggi”. Le manifestazioni rivoluzionarie divamparono nei primi giorni di settembre (il 7 a Teheran).
L'8 settembre viene ricordato come il “venerdì nero”: in questa giornata scesero nelle piazze gli uomini dello
scià, uccidendo numerosi rivoluzionari. Altri scontri si registrarono il 4 novembre, come conseguenza del “Venerdì
nero”. Il clero sostenne da subito i manifestanti: bisogna tuttavia registrare che, sebbene non fossero solo gli
ayatollah, ma i mollahs di tutte le comunità a sollevare i giovani contro il potere costituito, Foucault non accrediti, nei suoi
reportage, il clero come precipua forza rivoluzionaria. Le sue posizioni, ancora gauchiste, lo inducono a indicare solo nel
"popolo" l'unica autentica forza rivoluzionaria. La rivoluzione, infatti, è forma di lotta politica solo “quando mobilita i
ceti popolari”. Nel novembre del '78 lo Stato iraniano si trovava in condizione di apparente stallo. L'esercito, per
Foucault, non riusciva a “permettere o impedire una soluzione” e neppure ad imporne una. “Un
lucchetto”, quello dell'esercito, scrive Foucault, che “in due vogliono aprire”: la chiave giusta sarà la
molla islamica. Solo il 5 novembre l'esercito riuscì ad impadronirsi del potere e a presentare un programma al parlamento
(18 novembre). Punti fondamentali di questo piano erano la lotta alla corruzione, la stabilizzazione dell'economia e il
ripristino dell'ordine sotto le direttive dello scià. Ma si capì sin da subito, e Foucault lo evidenzia nei reportage, che si
trattava di proposte impraticabili. Intanto, in tutto il Paese continuavano gli scontri. Il 26 novembre gli studenti islamici
erano scesi di nuovo in piazza per un grande sciopero generale e in quegli stessi giorni, da Parigi, Khomeini aveva
chiesto agli iraniani un mese di lotta per rovesciare il governo. La data stabilita è quella del 2 dicembre, giorno in cui si
festeggia la festa del Moharram, ovvero la morte dell'imam Hussein. “E' il momento del grande rituale della
penitenza e del martirio accettato per giusta causa. E' un momento in cui le folle sono pronte ad andare verso la morte
nell'ebbrezza del sacrificio”. A questo punto, il rovesciamento è prossimo. Un rovesciamento “con le mani
nude”, come scrive Foucault, attraverso una sollevazione popolare. Fatidica fu la data dell'11 febbraio '79,
quando un gruppo di “duri” attaccò una parte dell'esercito passato dalla parte degli ayatollah, scatenando la
sollevazione della folla per difendere i militari ribelli. Siamo al “classico punto culminante di ogni sollevazione
rivoluzionaria”: così scrive Foucault nel suo ultimo reportage del 26 febbraio 1979. Reportage che, in quei giorni
caldi di presa di potere, predice uno sviluppo sullo stato dei rapporti tra Oriente e Occidente addirittura profetico:
“L'Islam - che non è semplicemente religione, ma modo di vita appartenenza ad una storia e ad una civiltà - rischia
di costituire una gigantesca polveriera formata da centinaia di milioni di uomini. Da ieri ogni stato musulmano può essere
rivoluzionario dall'interno, a partire dalle sue tradizioni secolari”. La sua "profezia", negli anni successivi, è stata
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PierPan
puntualmente rispettata.
INDICE DEI REPORTAGE - L'esercito quando la terra trema, 28/9/'78 - Lo scià ha un ritardo di 20 anni 1/10/'78 - La
drammatica situazione della Persia 8/10/'78 - Ritorno al profeta? 22/10/'78 - Una rivolta con le mani nude 5/11/'78 - Sfida
all'opposizione 7/11/'78 - La rivolta dell'Iran 19/11/'78 - Il mitico capo della rivolta iraniana 26/11/'78 - Una polveriera
chiamata Iran 26/2/'78
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