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1 INDICE PREFAZIONE pag 4 INTRODUZIONE pag 5 ciò che non si vede pag 6 parole da non sprecare pag 8 la ristorazione collettiva e il ruolo delle istituzioni pag 10 famiglie alla prova pag 14 conclusioni pag 22 CAMPIONE, QUESTIONARIO E RISULTATI pag 23 Il progetto Le associazioni dei consumatori e la ricerca Report di ricerca (a cura di Flavio Merlo) Milano, ottobre 2015 3 CONTESTO Il progetto “Risparmia(ti) lo spreco” Per avvicinare i cittadini lombardi ai temi di Expo 2015, alcune associazioni di consumatori lombarde hanno iniziato nel 2010, grazie al sostegno di Regione Lombardia e al Ministero dello Sviluppo Economico, un percorso progettuale. All’interno di questo, si colloca il progetto dal titolo L’Expo del consumatore – Risparmiati lo spreco, realizzato da Adiconsum Lombardia in collaborazione con Cittadinanzattiva e Movimento Consumatori, che si concentra sullo spreco delle risorse, con un focus particolare, ma non esclusivo, su quelle alimentari. Il progetto è patrocinato dal Comitato Scientifico di EXPO composto da rappresentanti di tutte le università milanesi e dal Comune di Milano. Gli obiettivi Con il progetto L’Expo del consumatore - Risparmiati lo spreco si è inteso, in continuità con il passato, perseguire due macro-obiettivi: conoscere il fenomeno dello spreco e attivare azioni di in-formazione verso gli attori della filiera, dalle imprese ai consumatori finali. Entrambi possono essere declinati in alcuni sotto-obiettivi: ↘conoscere il fenomeno dello spreco alimentare nelle sue variegate manifestazioni; ↘conoscere le buone pratiche relative alla prevenzione dello spreco e alla gestione delle eccedenze alimentari; ↘attivare un network di attori pubblici, privati e del terzo settore attorno al tema dello spreco per individuare obiettivi e ambiti di azione comuni e condivisi; ↘in-formare i cittadini lombardi suggerendo loro semplici, buone pratiche per “risparmiarsi lo spreco”; ↘favorire la comprensione dei temi affrontati in Expo 2015. 4 I partner Al progetto hanno aderito numerosi enti e aziende: A2A, Arci Milano, Auchan, Camera di Commercio di Milano, Camera di Commercio di Varese, Confcommercio Lombardia, Fondazione Banco Alimentare, IntesaSanpaolo, Klikkapromo, Simply. La loro adesione non è stata solo simbolica, ma fortemente operativa e propositiva. Ciò grazie alla costituzione della “cabina di regia” creata nell’ambito del progetto con lo scopo di definire i dettagli dell’iniziativa. Il bando Particolare rilevanza ricopre, tra le attività previste nel progetto, il bando “Un alimento, un’azienda, una storia” destinato alle piccole imprese dei settori lattiero-caseario e ortofrutticolo che ha come obiettivo quello di far emergere le buone pratiche attuate dalle aziende e incarnate nei loro prodotti. Ogni prodotto della terra racconta una storia fatta di lavoro, tecnica, ingegno, fatica e ricerca. Se è vero, infatti, che le aziende producono i beni, è altrettanto vero che sono i beni a parlare delle aziende. Da qui la scelta di premiare le imprese vincitrici con un video che sintetizzi ed esalti la filiera aziendale del bene con cui hanno partecipato al bando. Naturalmente, perché tutto questo generi in-formazione e conoscenza, il progetto prevede incontri con i consumatori e varie forme di comunicazione sia cartacee che digitali (www.risparmiatilospreco.it). Questo report rappresenta una forma di comunicazione del progetto, per questo i contenuti e lo stile convergono su un unico obiettivo: “Risparmiare lo spreco”, ogni giorno, in ogni famiglia. INTRODUZIONE Le associazioni dei consumatori e la ricerca. Ci sono tanti modi per affrontare i problemi del nostro tempo, ci sono tanti modi per guardare ai consumatori: le nostre associazioni hanno scelto una strada comune, complessa, ma ricca di soddisfazioni. Non parliamo di consumatori, ma partiamo dai consumatori; non facciamo un discorso sui consumi, cerchiamo di conoscerli e di comprenderli; per questo, negli ultimi anni le associazioni lombarde si sono impegnate in alcuni progetti di ricerca che non sono nati dall’alto (“noi sappiamo cosa dire e adesso lo comunichiamo ai consumatori così diventano più bravi”), bensì dalla gente, dalle persone che, quotidianamente, affrontano e risolvono i problemi legati al consumo dei beni e dei servizi. Le diverse edizioni del progetto “Verso l’Expo del consumatore” (2010), il progetto “Dalla fila al mouse” (2012) - dedicato all’implementazione della digitalizzazione nella PA - e, ora, “Risparmia(ti) lo spreco” sono alcuni tra gli esempi più significativi di questo modo di affrontare i temi del consumerismo. Per intervenire in modo efficace sui problemi occorre conoscerli e intercettarli laddove si presentano senza ricette preconfezionate, buone per tutte le stagioni. I nostri progetti hanno un filo rosso che li lega e riverbera il tipo di approccio delle associazioni: dedicare uno spazio all’indagine sociale per non cadere nella trappola dell’autoreferenzialità e rischiare di fare sì dei bei lavori, ma lontani dalla gente. Non si tratta di fare ricerca accademica, ma azioni di ricerca-intervento che consentano di passare dalla teoria alla prassi, dalle idee ai fatti in modo consapevole. Questo lavoro di monitoraggio si colloca dentro a progetti che vedono la partecipazione di numerosi partners. Non è questione di opportunità, bensì di metodo: la convinzione che solo attraverso la collaborazione competente e trasparente sia possibile fare qualcosa di valido. Certamente lavorare in rete ha un prezzo; costa in termini di tempo e di risorse, ma i vantaggi che ne derivano sono incalcolabili. Ciascuno porta il suo contributo, ciascuno mette a disposizione degli altri il suo know how specifico per costruire qualcosa di unico. I lavori sul consumo che non coinvolgono le associazioni dei consumatori lasciano sempre perplessi! Come descrivere in modo esaustivo la filiera, qualunque filiera, senza dare evidenza e ascolto al suo anello terminale, quel livello senza il quale, tutto ciò che viene prima non ha ragione di esistere? I nostri partner lo sanno e per questo lavorare insieme è un investimento. Passando ai contenuti di questo report è necessario fare due sottolineature. La prima. Il tema dello spreco alimentare interessa da tempo le nostre associazioni. Abbiamo citato il progetto “Verso l’Expo del consumatore” del 2010. Non abbiamo atteso l’arrivo di Expo per occuparci di questi temi; abbiamo anticipato Expo perché i temi della sostenibilità e dell’equa distribuzione delle risorse sono parte del nostro DNA. “Risparmia(ti) lo spreco” è la naturale prosecuzione di quell’impegno, il cui report di sintesi si chiudeva con queste parole: “A nessuno interessa un consumatore ignorante, che resta ai margini, che è preda solo degli interessi dell’economia; a tutti, perché tutti siamo consumatori, interessa diventare protagonisti delle proprie scelte, consapevoli che ogni azione che compiamo lascia traccia nel contesto ecologico in cui viviamo”. Expo è stato un amplificatore di queste tematiche, ma la responsabilità di trattarle va ben oltre Expo e i modi di Expo. Occorre un’opera informativa che non si esaurisce in qualche spot o in qualche incontro, ma un lavoro costante, una vera e propria campagna educativa che attraversa, con modalità diverse, le generazioni (la società civile) e gli ambiti di policy (le istituzioni e la filiera tutta). E qui arriviamo alla seconda questione di merito. “Risparmia(ti) lo spreco” affronta un tema di grande attualità. Talvolta, però, nell’avvicinarsi a questo tema, l’approccio è ideologico: si individua un aspetto del problema e lo si fa coincidere con il problema stesso. Si presentano dati che aggregano fenomeni assai diversi e si dipinge la realtà a tinte forti. In questo lavoro non siamo partiti dall’idea che le famiglie lombarde sprechino, che nelle case di questa Regione le pattumiere abbondino di cibo ancora buono. Siamo partiti dal concetto di eccedenza alimentare e dalla convinzione che le famiglie attivino una serie di azioni utili ad evitare di buttare via il cibo. Poi, talvolta, questo succede ma, è l’estrema ratio. Il vero problema, piuttosto, è che non si attivano tutta una serie di azioni di policy che facilmente inciderebbero sulle altre forme di spreco. E anche di questo parleremo in questa sede, mettendo l’accento su ciò che c’è già, piuttosto che su ciò che non funziona. 5 CIò CHE NON SI VEDE Relegate nelle ultime pagine dei libri che raccontano di ricerche, le note metodologiche finiscono spesso per non essere lette da alcuno. Qui, invece, coerentemente con quanto scritto nell’introduzione, vogliamo dare evidenza del modo con cui sono stati raccolti i dati dell’indagine che si è articolata in tre segmenti. I segmento. Tralasciando il mondo della ristorazione collettiva commerciale in senso stretto, il nostro interesse si è rivolto alla ristorazione collettiva collegata alle organizzazioni: scuole, ospedali, università, e aziende sono stati punti di osservazione utili a comprendere il fenomeno al fine di fornire possibili indicazioni di policy, affinché le buone prassi attivate in qualche territorio od organizzazione possano trovare applicazione e diffusione anche in altre realtà. II segmento. Le famiglie. Può apparire strano, ma questo è lo stadio della filiera meno indagato di tutti; eppure, è quello su cui si fanno titoli sensazionalistici snocciolando dati la cui oggettività è spesso da verificare. Partendo dall’ipotesi che non esistano famiglie “sprecone”, il questionario ha permesso di monitorare alcune variabili ed evidenziare in che modo esse incidono sulle scelte e i comportamenti: 6 ↘profilo famigliare; ↘monitoraggio dei criteri di orientamento (la pianificazione degli acquisti); ↘gestione delle eccedenze di alimenti già cucinati (che cosa, quante e per quali ragioni si formano); ↘gestione delle eccedenze di alimenti né cucinati, né portati al consumo. La somministrazione del questionario è avvenuta online ad un campione autoselezionato attinto dai data-base degli utenti di Klikkapromo e dei clienti Simply (oltre 150mila nominativi). Complessivamente, sono stati compilati per intero 2727 questionari. Un dato assolutamente significativo dell’interesse per il tema. III segmento. Sono 20 le famiglie che, per 4 settimane, hanno compilato una sorta di diario degli acquisiti e dei consumi alimentari. Non sono state coinvolte per vedere quanto sprecano, bensì per verificare come si attivano per evitare che le eccedenze che si generano in qualsiasi cucina possano essere recuperate. I dati sono stati rilevati settimanalmente mediante la compilazione di una scheda predefinita inviata per posta elettronica. Questo modo di operare ha permesso di costruire una storia vera, credibile che, se non esaurisce il tema, sicuramente permette di comprenderlo meglio. I segmento II segmento unità di analisi unità di analisi Famiglie (2727) Panel di famiglie (20) oggetto Conoscere le modalità di acquisto e di consumo dei beni alimentari e la gestione delle eccedenze Monitorare diacronicamente i consumi alimentari e la gestione delle eccedenze Questionario auto-somministrato online Compilazione diario di bordo Attori della filiera con particolare riferimento alla ristorazione collettiva non commerciale Individuare punti di forza e di debolezza della filiera tecnica Interviste, raccolta dati oggetto tecnica III segmento unità di analisi oggetto tecnica ? 7 PAROLE DA NON SPRECARE 8 Prima di entrare nel merito dei risultati dell’indagine, occorre fare chiarezza sui termini in gioco. Partiamo dal concetto di bisogno economico. I bisogni economici sono carenze, stati di necessità che possono essere soddisfatti mediante il reperimento e il consumo di beni non immediatamente reperibili in natura. I bisogni possono essere primari o secondari a seconda di quanto sia fondamentale per la sopravvivenza la loro soddisfazione: mangiare soddisfa un bisogno primario, vedere un film uno secondario. Tuttavia, questa distinzione è più ideale che reale in quanto accade spesso che la soddisfazione di un bisogno primario avvenga grazie a beni ibridi, che soddisfano entrambi i livelli della necessità. Un vestito griffato permette di ripararsi dal freddo ma, insieme, gratifica chi lo indossa, ne accentua l’autostima, genera un senso di appartenenza. Perché questa riflessione? Perché nei carrelli della spesa trovano posto numerosi alimenti che non si limitano alla nutrizione, ma esprimono valori e significati. Pensiamo al panettone, il tipico dolce natalizio milanese che, passate le feste di fine anno, va spesso incontro ad un tragico destino. Chi offrirebbe a degli ospiti una fetta di panettone il 5 febbraio? Quanti, tra i nostri lettori, lo consumerebbero nei mesi successivi senza raggiungere la data di scadenza? Il fatto che qualche famoso marchio dell’alimentazione lo proponga ai propri clienti a Ferragosto, suona più come una provocazione che come un nuovo modo di intendere il panettone. Il cibo, quindi, ha spesso un valore simbolico molto importante e ciò deve essere tenuto ben presente; altrimenti si rischia di fare affermazioni poco adeguate. Ciò premesso, occorre descrivere sinteticamente come nasce il “waste food” secondo il processo, che, in letteratura, prende il nome di “Modello ASRW” (Availability, Surplus, Recoverability, Waste). Una volta acquistato, il cibo può essere consumato oppure diventare eccedenza, cioè non serve a soddisfare un bisogno presente. Se viene consumato, il prodotto alimentare va incontro al suo normale destino, se diventa eccedenza si aprono due possibilità: il recupero o lo spreco. Se il cibo viene recuperato diventa risorsa sociale, se viene sprecato è sinonimo di perdita. Ho fame, compro una mela; ne mangio mezza e sono sazio. La metà non consumata diventa eccedenza; se la recupero (la mela è stata tagliata con un coltello e viene riposta in frigo protetta) diventa risorsa sociale e soddisferà un bisogno futuro, se la spreco (l’ho mangiata a morsi e non l’ho adeguatamente conservata) diventa perdita, spazzatura. L’esempio è così semplice da (non) sembrare credibile, ma permette di introdurci al quesito di fondo: che cosa rende un’eccedenza alimentare risorsa o perdita? Del pane vuoto, un panino imbottito di salame, un piatto di pastasciutta calda e fumante, delle sardine ancora da cuocere. Sono quattro alimenti che troviamo spesso nella nostra dieta, ma che presentano un profilo assai diverso di fungibilità, la grandezza che misura la facilità con cui l’eccedenza alimentare può essere nuovamente destinata all’alimentazione umana. La fungibilità (F) di un alimento dipende da due dimensioni: la fungibilità intrinseca del bene (FI), cioè l’immediatezza di consumo ovvero quanto si presta ad essere mangiato nello stato in cui si trova, e l’intensità di gestione (IG), cosa si deve fare per recuperarlo e conservarlo commestibile. Quando un bene presenta un’elevata fungibilità intrinseca e una bassa intensità di gestione, la probabilità che l’eccedenza diventi rifiuto è molto bassa; invece, quando la fungibilità intrinseca è bassa e l’intensità di gestione è elevata, è molto probabile che quell’eccedenza diventi rifiuto. Applichiamo queste osservazioni agli alimenti illustrati a lato immaginando che per ciascuno di essi si sia venuta a creare un’eccedenza. Il pane vuoto presenta un grado di fungibilità elevato perché è direttamente commestibile e può essere facilmente recuperato e ridistribuito. Un panino imbottito presenta già alcune criticità in quanto la facilità di consumo si scontra con la necessità di conservare il panino ad una temperatura adeguata che preservi e protegga l’imbottitura. Questi problemi si amplificano con il piatto di pastasciutta cucinato e non consumato: occorre abbattere la temperatura, proteggere la pietanza e riportarla in temperatura al momento del consumo. Si tratta di un processo che, anche dentro le mura domestiche, richiede qualche attenzione e una sincera valutazione del rapporto costi/benefici. Le sardine crude, infine, evidenziano quanto sia difficile “salvare” alcune eccedenze dalla pattumiera! Non sono immediatamente commestibili e la loro conservazione richiede una serie di attenzioni. I beni alimentari soddisfano un bisogno primario, ma spesso, interessano anche valori e significati; un bene non consumato diventa eccedenza, il cui destino dipende dalla sua fungibilità intrinseca e dalla sua intensità di gestione, che, insieme, determinano la fungibilità complessiva dell’eccedenza e, di conseguenza, il costo del suo recupero. Queste riflessioni sono fondamentali e devono fare da linee guida per comprendere i contenuti dei prossimi capitoli. Troppo spesso si parla di cibo buttato in spazzatura, sprecando parole e numeri; solo avendo coscienza di queste modalità di misurazione e di comprensione è possibile formulare ipotesi credibili per recuperare le eccedenze ad uso sociale e limitare lo spreco lungo tutta la filiera. Il modello ASRW Availability, Surplus, Recoverability, Waste FI IG immeditezza di consumo impegno per la conservazione FUNGIBILITÀ la grandezza che misura la facilità con cui l’eccedenza alimentare può essere nuovamente destinata all’alimentazione umana FI IG Quando un bene presenta un’elevata fungibilità intrinseca e una bassa intensità di gestione, la probabilità che l’eccedenza diventi rifiuto è molto bassa; invece, quando la fungibilità intrinseca è bassa e l’intensità di gestione è elevata, è molto probabile che quell’eccedenza diventi rifiuto. per esempio... PANE VUOTO FI PANINO IMBOTTITO IG alta FI IG medio alta PIATTO DI PASTA FI IG medio bassa SARDINE DA CUOCERE FI IG bassa 9 LA RISTORAZIONE COLLETTIVA E IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI L’obiettivo di questo segmento di indagine è duplice: analizzare il rapporto tra eccedenze alimentari e recupero a fini sociali e fornire suggerimenti di policy affinché le buone prassi attivate in qualche territorio possano trovare applicazione e diffusione anche in altre aree. Secondo i dati del Banco Alimentare, la ristorazione collettiva (commerciale e non commerciale) produce complessivamente una media di 185.000 tonnellate annue di sprechi alimentari per un valore pari a 2,6 miliardi di euro*. L’80% di queste eccedenze, la cui fungibilità è considerata media, non viene recuperato e diventa spreco. Tralasciando il segmento della ristorazione collettiva aziendale in senso stretto, il nostro interesse è rivolto alla ristorazione collettiva collegata alle istituzioni: scuole, ospedali, università e organizzazioni pubbliche in senso lato. Secondo i dati del 2013 del Banco Alimentare, presso la ristorazione collettiva erogata da enti pubblici lombardi, sono stati raccolti oltre 71mila kg di pane, 118mila kg di frutta e quasi 66mila porzioni di piatti pronti. Raccogliere le eccedenze alimentari della ristorazione collettiva è un’operazione complessa che mette in gioco numerose variabili. Una prima variabile è data dalla tipologia della linea di raccolta: direttamente presso scuole, ospedali e mense universitarie senza centro di cottura oppure presso i centri di cottura che cucinano e distribuiscono pasti per una molteplicità di punti erogazione. Tra le due linee, la seconda è quella che soddisfa meglio i requisiti igienico-sanitari: il cibo in eccedenza non è stato oggetto di alcun trasporto, ha conservato integre le sue caratteristiche ed è stato manipolato solo da personale tecnico competente. La seconda variabile, che potremmo definire esogena alla filiera, è legata alla presenza sul territorio di soggetti che dispongono delle risorse logistiche e organizzative necessarie per raccogliere le eccedenze, gestirle e ridistribuirle presso i servizi che operano a diretto contatto con le persone in situazione di bisogno. Laddove mancano questi due requisiti – il centro di cottura e la rete sociale sul territorio - il recupero delle eccedenze diviene improponibile: la materia prima è stata alterata e nessuno è in grado di farsi carico in modo adeguato della raccolta delle eccedenze. Pertanto, usando gli indicatori di fungibilità già descritti: se è vero che la fungibilità intrinseca delle eccedenze alimentari è elevata, è altrettanto vero che l’intensità di gestione è notevole, il che determina una fungibilità complessiva media o medio-bassa. 10 * Garrone P. - Melacini M. - Perego A. Surplus food management against food waste, Report di Banco alimentare, Politecnico Milano e La Fabbrica, Milano, 2015 L’importanza di questi fattori è fondamentale per comprendere il fenomeno e, di conseguenza, per suggerire opportune azioni di policy. Esiste un obbligo per gli enti pubblici di recuperare le eccedenze alimentari prodotte presso le loro mense? La risposta è purtroppo negativa. Tuttavia, il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 25 luglio 2011 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21.9.2011 nell’Allegato 1 “Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica Amministrazione” ovvero “Piano d’Azione Nazionale sul Green Public Procurement” -PANGPP) contempla, tra le specifiche tecniche premianti relative all’assegnazione di appalti per la ristorazione collettiva e la fornitura di derrate alimentari, il seguente passo (punto 5.4.3) che riportiamo integralmente: Destinazione del cibo non somministrato Si prevede la possibilità di assegnare dei punteggi all’offerente che si impegna a recuperare il cibo non somministrato e a destinarlo ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, in linea con la ratio della Legge 155/2003 recante “Disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale”. Verifica: dichiarazione del legale rappresentante con il qual si attesti, secondo quanto previsto dalla Legge 155/2003, la destinazione del cibo non somministrato ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, corredata da uno specifico Protocollo sottoscritto tra Fornitore e Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale che distribuiscano gratuitamente i prodotti alimentari agli indigenti con il quale si attesti tale gestione. Il testo è chiaro: l’azienda che recupera le eccedenze alimentari affidandole ad un soggetto no profit perché le ridistribuisca a chi ha bisogno può essere premiata nella definizione delle gradatorie per l’assegnazione dei servizi di ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari a enti pubblici. Nella sua sinteticità, il legislatore apre una possibilità che può essere o meno percorsa a seconda della sensibilità culturale dell’ente e delle caratteristiche sociali del territorio in cui viene erogato il servizio. In questo senso, la modalità di verifica del requisito introduce un ulteriore elemento: il 185 000 tonnellate media annua di spreco alimentare prodotti dalla ristorazione collettiva (commerciale e non commerciale) L’ 80% dei prodotti sprecati ha una FUNGIBILITÀ considerata media = 2,6 MLD DI EURO di valore nel 2013 sono stati recuperati dalla ristorazione collettiva erogata da enti pubblici lombardi: 118 000 kg di frutta 71 000 kg di pane 66 000 porzioni di piatti pronti 11 Protocollo sottoscritto tra Fornitore e Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale, che costringe ad aprire la riflessione sulle risorse presenti e attivabili nel territorio. Siamo così in presenza di una possibile triangolazione che vede coinvolti soggetti appartenenti ai tre settori: il primo è rappresentato dai Comuni, il secondo dalle imprese che erogano servizi di ristorazione collettiva, il terzo dalle organizzazioni no profit presenti sul territorio. Di fatto, però, abbiamo un quarto soggetto che non viene esplicitato in modo diretto pur essendo fondamentale: l’insieme di coloro che fanno fatica a soddisfare il primo tra tutti i basic needs: la fame. Se introduciamo questo quarto elemento, possiamo illustrare le conseguenze dell’applicazione della specifica sul recupero delle eccedenze in modo semplice, ma efficace. In questo modo, si crea una rete in cui i nodi sono dati dai soggetti in gioco, mentre i legami sono di due tipi: contrattuali (l’appalto, che lega ente pubblico e impresa di ristorazione, e il protocollo, che unisce quest’ultima al soggetto non lucrativo) e progettuali (la distribuzione delle eccedenze alimentari recuperate alle famiglie in stato di bisogno presenti sul territorio). In questo contesto, la triangolazione tra ente locale, soggetti profit e realtà no profit deve essere approfondita rispetto al segmento “Protocollo”. Infatti, le aziende di ristorazione e le associazioni che le rappresentano nutrono non poche perplessità in tema di raccolta delle eccedenze alimentari da ridistribuire. Qual è la ragione di tali dubbi? La risposta è nel testo della “Legge del Buon Samaritano” (L.155/2003 pubblicata sulla G.U. n°150 in data 1 luglio 2003). “Disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale” Art. 1. Le organizzazioni riconosciute come organizzazioni non lucrative di utilità sociale ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, e successive modificazioni, che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti alimentari, sono equiparati, nei limiti del servizio prestato, ai consumatori finali, ai fini del corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti. 12 A giudizio delle imprese di ristorazione collettiva intervistate nel corso dell’indagine, la decisione del legislatore di equiparare le organizzazioni non lucrative di utilità sociale ai consumatori finali ha sollevato le ONLUS dai problemi connessi alla conservazione, al trasporto, al deposito e all’utilizzo degli alimenti. Se l’eccedenza raccolta presso la mensa viene ritirata dall’associazione non lucrativa per essere distribuita a chi ne ha bisogno, ma la ONLUS non è attenta alle modalità di trasporto e di conservazione e il prodotto si deteriora, chi subisce il danno è la persona in situazione di bisogno e non certo chi ha distribuito il bene, che, venendo equiparato al consumatore finale, è di fatto sollevato dalle sue responsabilità. Responsabilità che, inevitabilmente, finiscono per ricadere su chi ha materialmente cucinato il bene, che si trova a dover far fronte anche all’Intensità di Gestione del bene stesso. Per questo, molto spesso le imprese della ristorazione collettiva preferiscono limitare la raccolta delle eccedenze a quei beni che, come il pane e la frutta, presentano elevata fungibilità intrinseca e bassa intensità di gestione limitando i rischi legati alla sicurezza. Perché le riflessioni sviluppate fin qui non siano solo un esercizio di analisi o, nel migliore dei casi, la costruzione di un modello teorico, occorre ripetere che la misura della recuperabilità di un bene alimentare dipende dalla fungibilità intrinseca, cioè dalla sua commestibilità diretta, e dall’intensità di gestione, cioè quanto costa “salvarlo” da parte delle aziende e degli intermediari per renderlo nuovamente accessibile. La già citata indagine del 2012, ha evidenziato che il grado di fungibilità delle eccedenze della ristorazione collettiva è medio*. Da un lato, c’è il problema oggettivo e di difficile risoluzione di alimenti oggetto di molteplici manipolazioni, dall’altro, quello soggettivo degli alti costi di conservazione, trattamento e distribuzione che comporta elevati costi di gestione. Tali difficoltà finiscono per limitare la raccolta delle eccedenze nei punti di distribuzione ai prodotti da forno (pane) e alla frutta ovvero a beni che hanno un’intensità di gestione minima. L’attivazione della triangolazione funzionale descritta nello schema a lato può consentire di rendere meno problematica l’intensità di gestione attivando economie di scala che insistano su territori anche più vasti del singolo Comune. Introduzione della specifica premiante, rilevazione del bisogno, individuazione dei soggetti no-profit da sostenere per la raccolta delle eccedenze e conseguente promozione della rete troverebbero in contesti sovra-comunali una corretta collocazione sia in termini di governance che di operatività secondo un approccio sussidiario coordinato e sostenuto dall’ente pubblico in senso lato. Operativamente, si tratterebbe, da un lato, di sostenere l’azione dei soggetti no-profit fornendo i mezzi più adeguati per recuperare, gestire e distribuire le eccedenze alimentari a coloro che ne hanno bisogno, dall’altro, di premiare coloro che si fanno carico delle prime fasi dell’intensità di gestione, ad esempio le società di catering, attraverso sgravi fiscali o altre forme incentivanti. Meno eccedenze alimentari che finiscono nella spazzatura significa aiutare più persone in situazione di bisogno e produrre meno rifiuti. * Garrone P. - Melacini M. - Perego A. Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità, Guerini & Associati, Milano, 2012 La triangolazione funzionale per il recupero delle eccedenze ente pu lico b b RI BA SPOS SIC TA NE AI ED S LTO A P P A COLLO g n o n l u c r a ti vo or to r i m p r e s a di i st sog et a zio e n PROTO 13 FAMIGLIE ALLA PROVA Qual è il rapporto tra consumatore finale ed eccedenze alimentari? Mezzi di comunicazione e professionisti della lotta allo spreco concordano che “il frigorifero è la cattiva coscienza del consumatore”, ma è veramente così? Davvero i consumatori dilapidano tante risorse dentro le mura domestiche oppure il fenomeno è più complesso e investe una serie di variabili che andrebbero meglio comprese? Davvero, quando si butta via un avanzo di pasta già cucinata, messa in tavola, ma non consumata, siamo in presenza di spreco o forse dietro questa decisione c’è una riflessione sull’intensità di gestione necessaria per “salvare” una porzione di cibo, che il giorno seguente potrebbe servire a ben poco? Perché si pensa che dentro le mura domestiche prevalga l’improvvisazione invece della ponderazione di tutti i fattori in gioco? Tutti ne parlano, ma questo è l’anello della filiera meno inadagato. Se ne parla tanto; ma con pochi dati reali. Le nostre riflessioni si basano su 2727 questionari che le famiglie lombarde hanno compilato online. Non si tratta di un campione statisticamente rappresentativo, ma sono 2727 interviste reali, famiglie che, liberamente e gratuitamente, hanno partecipato alla rilevazione. Abbiamo chiesto agli intervistati di dire quanto si percepiscono “spreconi” in una scala da 1 a 10. Il dato è 3,54, un’autovalutazione decisamente positiva. Rispetto a questo dato medio e ad alcune variabili significative (età, sesso, titolo di studio, condizione economica e lista della spesa) è possibile tracciare il profilo di due tipologie di consumatore: gli “spreconi” e i virtuosi. Gli “spreconi” sono uomini sotto i 30 anni, non fanno la lista della spesa, hanno un titolo di studio elevato e una condizione economica che permette loro di dire che non manca nulla. I “virtuosi” sono pure loro uomini, ma con più di 65 anni, un diploma di qualifica professionale, fanno la lista della spesa e dichiarano di avere una condizione economica precaria. 14 In media quanti sono gli euro buttati in pattumiera sotto forma di cibo? Dai diari delle famiglie emerge il dato di 3,5 euro per settimana, cioè 14 euro al mese, 168 euro l’anno. La gestione delle eccedenze e, di conseguenza, degli eventuali sprechi alimentari inizia nel momento della spesa. Un acquisto che non tiene conto dei reali bisogni presenti e delle attuali mancanze in dispensa, si affida alla percezione, al ricordo e rischia, nel medio periodo, di generare spreco. La prima forma di prevenzione dello spreco è la pianificazione degli acquisti: la lista della spesa favorisce tale operazione e consente di intervenire laddove serve. Eppure, quasi il 19% degli intervistati non fa o non ha mai fatto la lista della spesa! Il consumatore privo di lista della spesa che si avventura in un grande magazzino rischia, inesorabilmente, di fare degli acquisti compulsivi, dettati più dal desiderio che dal bisogno. Mancanze reali e suggestioni indotte si confondono e la spesa diventa un gesto improvvisato. Un secondo elemento di riflessione sono i criteri con cui si sceglie il prodotto da acquistare. In una scala da 1 a 7, i consumatori dichiarano che il criterio più importante è la data di scadenza del bene (6,2); questo fattore pesa più del prezzo (6) e della composizione del prodotto stesso (5,8) Perché questa enfasi sulla data di scadenza? Sono possibili due tipi di riflessioni: da un lato, la convinzione che la data di scadenza sia un indicatore di freschezza del prodotto (“più un prodotto scade in là nel tempo, più è fresco”), dall’altro, l’attivazione di una forma di prevenzione degli sprechi (“ho più tempo per consuamare il prodotto”). In questa seconda direzione, deve essere letto anche il dato relativo al formato di ciò che si acquista: 5,4 è un dato rilevante che indica il tentativo di combinare al meglio needs famigliari e size del prodotto. Quanto ti senti “sprecone”? DATO MEDIO 3,54 lo sprecone UOMO <30 ANNI Laurea Non fa la lista della spesa Condizione economica: “Non mi manca nulla” il virtuoso UOMO >65 ANNI Diploma professionale Fa la lista della spesa Condizione economica: Precaria La prima forma di prevenzione dello spreco è la pianificazione degli acquisti. 5% Compila la lista della spesa prima di fare acquisti? si, compriamo solo quello 61,3% si, ma attenti alle offerte 14,7% si, ma compriamo anche altro 16,4% no, sappiamo cosa serve 2,5% mai fatta 15 I luoghi dove avvengono gli acquisti non sono estranei alla nostra riflessione. Se è vero che per ogni tipologia di prodotto, dalle uova alla carne, dagli affettati ai latticini la grande distribuzione organizzata domina incontrastata attirando buona parte dei consumatori, è altrettanto vero che gli intervistati dichiarano di differenziare i luoghi di acquisto a seconda della merce che vogliono acquistare. ospiti (3,4), dalla variazione del numero di coperti e dalla tempistica differenziata (2,8). Si tratta di cause riconducibili a due tipologie di motivazioni assai diverse: da un lato, la propensione a cucinare più del necessario soprattutto in presenza di ospiti, dall’altro, la difficoltà a calcolare il numero di coperti da servire. Tipologie diverse, ma un’origine comune: il contesto socioculturale in cui siamo immersi. Nei negozi di vicinato, si acquistano soprattutto i beni freschi e freschissimi: il pane quotidiano, la carne e il pesce. Nei mercati si privilegia l’acquisto di verdure e frutta. Decisamente minore l’incidenza di altre tipologie di luoghi di acquisto come GAS, mercati a km 0, consegne a domicilio... che fanno registrare valori marginali, ma mai nulli. Nel primo caso occorre ricordare che il cibo è strumento di comunicazione, un modo per entrare in relazione con l’altro e comunicargli un messaggio. Mangiare insieme è segno di condivisione e di reciproca appartenenza; la nostra storia è costellata di banchetti e di momenti conviviali che hanno trovato spazio in memorabili opere; dalla letteratura all’arte, passando per il cinema e la fotografia. Si fa festa con il cibo e consumare insieme il cibo è già una festa. L’assenza di cibo da condividere è segno di povertà materiale e relazionale. Dai diari del panel di 20 famiglie, emerge chiaramente che laddove la modalità di appprovvigionamento è temporalmente differenziata ovvero si procede con acquisti a più riprese e non mediante una sola, grande, settimanale spesa si tende ad avere meno eccedenze e, di conseguenza, meno sprechi soprattutto del fresco e del freschissimo. Più momenti di acquisto significa diversificazione dei luoghi, scelte più ancorate al presente, gestione più consapevole; una sola spesa indica scarsa dversificazione di luoghi e prodotti e una costante attenzione ai bisogni futuri. Nove intervistati su dieci affermano che a tavola si generano avanzi o, più correttamente, eccedenze. Si tratta di un dato prevedibile, che rientra nel vissuto di ogni famiglia: non tutto quello che si porta in tavola viene consumato. Più interessante comprendere le ragioni di questo fenomeno. La causa che raccoglie più consensi è l’eccesso di offerta rispetto al bisogno (3,8) seguita dalla presenza di 16 Nel secondo caso – la difficoltà a calcolare il numero di coperti – si riverbera chiaramente lo stile di vita di tante famiglie, dove il momento del pasto condiviso è sempre più raro. Questo deficit relazionale ha evidenti effetti sulla gestione dei pasti: l’incertezza è nemica della programmazione e dell’efficienza. A ciò si aggiunga che la necessità di far fronte a questa imprevedibilità porta spesso a privilegiare prodotti finiti a discapito di ingredienti base; le insalate in busta già pulite, lavate e tagliate hanno una vita più breve rispetto al ceppo di lattuga ancora da preparare. Accanto a queste cause socio-culturali troviamo motivazioni più soggettive: il cibo servito non incontra il gusto dei commensali (2,6) oppure sono stati commessi errori in fase di preparazione o di cottura (2,2). Dove compri cosa? La tipologia dei punti vendita e dei beni acquistati SUPERMERCATO DISCOUNT 47% 4,6% 36,3% 0,6% 4,3% 4,5% PANE 58,4% 7,7% 9,2% 19,5% 3,7% 1% 59,6% 7,6% 8,4% 17,1% 4,5% 1,8% DETTAGLIO FRUTTA VERDURA 65,7% 3,4% 23,6% 0,5% 3,4% 0,6% Si creano eccedenze a tavola? CARNE MERCATO KM 0 / GAS A DOMICILIO 68,8% 1,7% 16,5% 4,7% 1,4% 1,1% PESCE AFFETTATI FORMAGGIO 81,3% 7,6% 7,4% 0,8% 0,8% 0,3% 74,5% 8,8% 6,6% 5,2% 3,4% 0,3% 75,1% 8,8% 3,6% 1,6% 6,7% 2,5% UOVA 1,8% si, quotidianamente 7,9% si, spesso 39,2% si, qualche volta 39,8% si, raramente 11,4% mai 17 I dati statistici relativi alla povertà rivelano che le famiglie più a rischio sono quelle numerose, in cui la presenza dei figli incide notevolmente sul bilancio famigliare rendendo ardua la soddisfazione dei basic needs. Perché questa affermazione? Perché dalla nostra ricerca emerge che sono proprio le famiglie numerose quelle in cui si generano più eccedenze a tavola. La tabella a lato, evidenziando il peso specifico delle varie tipologie sull’universo famiglie, rivela che sono proprio i nuclei di quattro, cinque o più persone quelli in cui le eccedenze si generano con maggiore frequenza. Le famiglie composte da una o due persone, invece, sono pressoché immuni da tale rischio. Quali sono le ragioni di questo “anomalo” fenomeno? Esattamente quelle indicate in precedenza: il numero elevato di persone rende più complessa la gestione dei coperti e la pianificazione risulta più difficoltosa. I diari del panel confermano questo dato. Le famiglie con più figli con età compresa tra i 14 e i 18 anni producono 18 eccedenze in quantità superiore alle altre: il numero di coperti varia, la tempistica è molto differenziata e gli ospiti abbondano! Qual è il destino di queste eccedenze? Abbiamo visto in precedenza che le eccedenze possono essere recuperate se sono adeguate la fungibilità intrinseca e l’intensità di gestione. Le pratiche seguite dalle famiglie lombarde sono diversificate: il cibo non consumato viene riproposto (5,2), viene rielaborato (4) oppure è congelato (3,7). Esaurite queste opzioni – a cui aggiungiamo purtroppo l’uso zootecnico (2) – si passa alla pattumiera. Dai diari emerge una chiara diversificazione nel modo di recuperare le eccedenze tra famiglie con figli e senza figli. Nelle prime si preferisce recuperare le eccedenze attraverso opportune rielaborazioni, nelle seconde si tende a riproporre il piatto tale e quale. Anche in questo caso, è evidente che le diverse strade perseguite riverberano ragioni di opportunità connesse all’età e ai gusti di ciascuno. La famiglia e lo spreco le eccedenze a tavola 2% 10,7% 14,9% 17% 27,1% 1 PERSONA 36,7% 22,8% 28,9% 33,4% 33,5% 2 PERSONE 16,3% 29,8% 26,6% 25,8% 21% 3 PERSONE 24,5% 30,2% 23,6% 19,9% 12,9% 4 PERSONE 20,3% 6,5% 6% 4% 5,4% 5 o più PERSONE QUOTIDIANAMENTE SPESSO QUALCHE VOLTA RARAMENTE MAI Come vengono gestite le eccedenze della tavola (1 = pratica assente; 7 = pratica normale) 5,2 4 RIPROPOSTI RIELABORATI IN PASTI SUCCESSIVI 3,7 2,1 2 1,9 CONGELATI OFFERTI AD ALTRI USO ZOOTECNICO GETTATI 19 Il 14% degli intervistati afferma che spesso, qualche volta si formano eccedenze in dispensa/frigorifero, il 57% raramente, il 29% mai. Sono dati meno drammatici rispetto a quelli relativi agli avanzi a tavola, ma occorre fare molta attenzione alla recuperabilità di queste eccedenze. Infatti, se è vero che il fenomeno degli avanzi a tavola è più frequente, è altrettanto vero che più facile era la loro recuperabilità. Qui, invece, notiamo che le ragioni che generano eccedenze sono decisamente più gravi e investono la commestibilità degli stessi alimenti. Non è un’esagerazione se affermiamo che queste eccedenze finiranno quasi certamente in pattumiera! Avevamo detto che la scadenza è il più importante criterio di scelta dei prodotti; una sorta di garanzia sulla vita del prodotto. Eppure, quando si tratta di decidere se gettare o conservare un alimento, il criterio della scadenza sfuma di importanza e subentrano nuovi parametri: i sensi. Accade quello che avviene solitamente con la scelta di un cibo: prima si attiva la vista, poi l’olfatto e, infine, il gusto. A questa sequenza, per alcuni alimenti, si aggiunge il tatto; ma il gusto arriva sempre per ultimo. Pensiamo a molti bambini e al loro rapporto con le verdure. Se io camuffo l’aspetto del vegetale e ne maschero l’odore normalmente classificato come poco gradevole, porto il bambini ad assaggiare l’alimento e, molto probabilmente, ad apprezzarlo. Questa serie di verifiche si attiva anche con gli alimenti scaduti o in scadenza: guardo, annuso e assaggio. Sono tre passaggi esclusivi tra loro: se il primo test non è su- 20 perato, non si arriverà al secondo; idem tra il secondo e il terzo. Chiaramente si tratta di una verifica che si applica soprattutto agli alimenti freschi, mentre per quelli a lunga scadenza o secchi la data stampigliata sulla confezione acquista un peso maggiore. Una piccola riflessione merita l’ultimo indicatore: il bene viene gettato perché non familiare. L’errore è nella (errata) convinzione che a tavola si sia curiosi e si abbia voglia di assaggiare e sperimentare. Nulla di più falso! Le nostre abitudini alimentari maturano fin da piccoli, i nostri gusti si possono modificare, ma difficilmente rinunceremo ai nostri piatti preferiti per fare spazio ad altro. Esiste una socializzazione al cibo che passa attraverso luoghi, incontri ed esperienze e rende la storia di ogni piatto una storia unica, personale. Formazione di eccedenze in dispensa/frigorifero Anche su questo fronte – le eccedenze in dispensa – i consumatori attivano una serie di contromisure utili a prevenire lo spreco. In ordine di importanza troviamo: il costante monitoraggio delle date di scadenza (5,9), il posizionamento in prima linea dei prodotti che scadono prima (5,7) , il consumo forzoso dei beni a rischio (5,6) e il congelamento finalizzato a prolungare la vita del bene fresco (5,6). Seguono altre forme di prevenzione di cui abbiamo trattato anche in precedenza come l’acquisto dei soli beni immediatamente necessari (4,9) e la frequenza di spesa più puntuale e meno concentrata (4,4). Le eccedenze in dispensa e frigorifero Perchè si butta il prodotto? (1 = causa per nulla rilevante; 7 = causa molto rilevante) 5,2 2,6 TRACCE DI MUFFA, OSSIDAZIONE,... 2,6 AL TATTO, È MODIFICATO 4,8 5,2 ODORE SGRADEVOLE Ci sono eccedenze nella vostra dispensa o frigorifero? 5,1 ALIMENTO NON FAMILIARE SCADUTO SAPORE ALTERATO 0% si, quotidianamente 1,1% si, spesso 12,9% si, qualche volta 57% si, raramente 29% mai 21 CONCLUSIONI Il fatto che 2.727 famiglie abbiano liberamente e gratuitamente aderito all’indagine sullo spreco alimentare dentro le mura di casa rappresenta un evento che chiede di essere valorizzato; certamente non un campione statisticamente rappresentativo, ma un dato di realtà, oggettivo e fondato sull’esperienza. Forse, una vera e propria primizia! Rispetto al merito, emergono due considerazioni fondamentali. Lo spreco non abita nelle case delle famiglie lombarde. Enfatizzare gli sprechi, additare i consumatori come colpevoli di dilapidare tonnellate e tonnellate di alimenti ancora buoni è azione che non trova fondamento empirico. Anche quando si creano eccedenze, l’obiettivo delle famiglie è evitare lo spreco attivando strategie diversificate, ma univoche. Strategie che hanno inizio sin dal momento dell’acquisto laddove si riesce - impresa non sempre facile – a differenziare i luoghi di acquisto. Certamente su questo fronte molto può essere fatto e proposto a partire dalla compilazione della lista della spesa fino alla scelta di ingredienti piuttosto che di alimenti preparati e pronti al consumo. Perché si creano eccedenze? Non per superficialità, ma soprattutto per elementi esogeni. Le famiglie più complesse e numerose presentano una domanda di pasti differenziata, difficilmente pianificabile e comunque soggetta a frequenti variazioni. Chi vive solo e ha poche relazioni 22 sociali riesce a programmare meglio e, di conseguenza, ottimizza acquisti e i consumi. Si tratta di tre fattori direttamente proporzionali: chi consuma di più produce più eccedenze e più probabilmente è esposto al rischio dello spreco. Bassi livelli di consumo preservano fisiologicamente dallo spreco. Generare eccedenze, però, non significa automaticamente sprecare molto. Nelle famiglie lombarde, i beni alimentari vengono gettati quando le alternative di recupero si sono esaurite oppure il dato di realtà impone tale decisione al punto che l’enfasi posta sulla scadenza dei prodotti si consuma nell’atto di acquisto, ma scema in fase di gestione della dispensa. Non servono campagne anti-spreco o slogan dal vago sapore terroristico a modificare gli errori dei consumatori, bensì serve formare quotidianamente le persone a comportamenti più attenti, compatibilmente con la loro situazione sociale, economica e culturale. Non servono iniziative spot dei soggetti pubblici, bensì serve attivare reti di collaborazione territorialmente radicate tra soggetti pubblici, profit e no profit per recuperare le eccedenze e rimetterle in circolo attivando tutte le leve disponibili. Serve che le associazioni dei consumatori facciano loro l’eredità di Expo 2015 declinandola sul loro impegno quotidiano: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. CAMPIONE, QUESTIONARIO E RISULTATI Il campione Il 43,2% dei questionari (1178 famiglie) è stato compilato in provincia di Milano, il 27,4% (746) in provincia di Brescia e il 6,5% (176) in provincia di Bergamo. Como e Pavia sono le province meno rappresentate con un valore pari allo 0,8%. La somministrazione dei questionari è avvenuta online mediante una molteplicità di canali: i siti web delle tre associazioni promotrici del progetto e le newsletter di Klikkapromo e di Simply. Rispetto alla distribuzione per genere, il 30,2% sono uomini (821 soggetti), il 69,8% donne (1906 persone). Se è vero che più del 95% degli intervistati sono italiani, è altrettanto vero che la piccola quota di stranieri è decisamente variegata al suo interno comprendendo soggetti di 19 nazionalità diverse! L’età media complessiva è pari a 47,7 anni; leggermente più maturi gli uomini che hanno un’età media di 50,7 anni contro il 46,4 delle donne. Il 27% sono laureati, il 43,8% ha un diploma di scuola media superiore, il 14,4% un diploma professionale, il 14,7% ha assolto l’obbligo scolastico. La tabella seguente illustra come descrivono la loro condizine economica i 2727 intervistati (17 non rispondono) Decisamente in difficoltà; abbiamo necessità di farci aiutare v.a. % 44 1,6 Facciamo fatica 368 13,6 L’essenziale non manca 1143 42,3 C’è l’essenziale e anche qualcosa in più 831 30,5 Stiamo bene 324 11,9 Totale 2710 100 Questionario e risultati Sezione 1 - Fare la spesa Tabella b1 - Compila la lista della spesa prima di fare acquisti? (v.a. e %) v.a. % Sì, facciamo sempre la lista della spesa e compriamo solo quello 137 5 Sì, facciamo la lista della spesa, ma non trascuriamo le offerte e le occasioni 1672 61,3 Sì, però, pur facendo la lista, compriamo anche altri beni 402 14,7 Non facciamo la lista della spesa perché sappiamo cosa serve in casa 447 16,4 Non abbiamo mai fatto la lista della spesa 69 2,5 2727 100 Totale Tabella b2 - Consulta siti web e/o volantini pubblicitari per verificare la presenza di promozioni? (v.a e %) Sì No v.a. % Totale v.a. 5 v.a. % Siti web (non risponde 361) 927 39,2 1439 60,8 2366 100 Volantini (non risponde 56) 296 11,1 2375 88,9 2671 100 Tabella b3 - Di solito, in quale tipo di punto vendita acquista i seguenti beni? (v.a. e %) Supermercato Discount Dettaglio Mercato km 0, GAS... A domicilio N.R Totale v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. % v.a. v.a. Pane 1281 47 126 4,6 990 36,3 15 0,6 118 4,3 123 4,5 74 2727 Frutta 1593 58,4 210 7,7 250 9,2 533 19,5 100 3,7 26 1 15 2727 Verdura 1625 59,6 208 7,6 229 8,4 467 17,1 124 4,5 50 1,8 24 2727 Carne fresca 1793 65,7 92 3,4 644 23,6 14 0,5 93 3,4 16 0,6 75 2727 Pesce fresco 1875 68,8 47 1,7 449 16,5 127 4,7 37 1,4 30 1,1 162 2727 Affettati 2217 81,3 208 7,6 202 7,4 23 0,8 23 0,8 9 0,3 45 2727 Formaggi 2032 74,5 239 8,8 179 6,6 143 5,2 94 3,4 9 0,3 31 2727 Uova 2049 75,1 239 8,8 99 3,6 43 1,6 183 6,7 69 2,5 45 2727 Latte..... 2300 84,3 261 9,6 69 2,5 4 0,1 45 1,7 9 0,3 39 2727 % calcolate sulle risposte date comprensive dei missing, che in tabella sono indicati solo in v.a. per motivi di spazio 23 Tabella b4 - Da 1 a 7, quanta importanza date ai seguenti criteri di scelta del prodotto? (1= nessuna, 7 = massima) Moda Mediana Media La fiducia in chi lo vende 7 6 5,4 La data di scadenza 7 7 6,2 La curiosità per la novità 4 4 3,9 Il prezzo 7 6 6 La filiera del prodotto (origine, tipo di lavorazione....) 7 6 5,5 Il risparmio di tempo nell’acquisto (es. affettati pre-confezionati) 5 4 4,2 La composizione del prodotto (ingredienti, additivi...) 7 6 5,6 Le promozioni (es. 3x2, offerte speciali, buoni sconto...) 7 6 5,8 Il formato coerente con i bisogni (monoporzione, formato famiglia...) 6 6 5,4 Il risparmio di tempo in cucina (es. prodotti pre-cotti...) 1 3 3,5 La marca 5 5 4,5 Tabella b5 - Volendo comprare delle mele in un supermercato. Come si comporta solitamente? (v.a e %) v.a. % Le compro sfuse così posso sceglierle 967 35,6 Le compro sfuse perché ne compro quanto voglio 536 19,7 Le compro confezionate perché sono più protette 71 2,6 Le compro confezionate perché si fa prima 108 4 Confronto quelle sfuse e quelle confezionate e scelgo di volta in volta 1034 38,1 Totale 2716 100 11 non risposte Tabella b6 - Per coniugare risparmio e attenzione agli sprechi, quale delle due seguenti opzioni ritiene più efficace? (v.a. e %) v.a. % Consultare le offerte promozionali e recarmi di volta in volta nel punto vendita 1898 69,6 Utilizzare buoni sconto personalizzati a lunga scadenza spendibili in più eserczi commerciali 829 30,4 Totale 2727 100 Tabella b7 - Rispetto all’utilizzo di buoni sconto, quale delle due seguenti opzioni preferisce? (v.a. e %) v.a. % 2035 74,6 Buoni sconto digitali utilizzabili con il cellulare 692 25,4 Totale 2727 100 v.a. % Prodotto da consumare entro il 15 luglio 2014 266 9,8 Prodotto da consumare preferibilmente entro il 15 luglio 2014 272 10 Prodotto confezionato il 30 giugno 2014, da consumarsi entro il 15 luglio 2014 668 24,5 Prodotto confezionato il 30 giugno, da consumarsi preferibilmente entro il 15 luglio 2014 915 33,6 Prodotto confezionato il 30 giugno, da vendere entro il 10 luglio, da consumarsi entro il 15 luglio 597 21,9 Totale 2727 100 Buono sconto tradizionali in carta da staccare, ritagliare o stampare Tabella b8 - Quale, tra le seguenti opzioni di etichetta, orienta meglio le scelte del consumatore? (v.a. e %) 9 non risposte 24 Sezione 2 - A tavola Tabella b9 - Succede che parte di quanto servito in tavola venga avanzato? (v.a. e %) v.a. % Sì, quotidianamente 49 1,8 Sì, spesso 215 7,9 Sì, qualche volta 1068 39,2 Sì, raramente 1085 39,8 Mai 310 11,4 Totale 2727 100 Tabella b10 - Quanto incidono le seguenti cause sulla creazione degli avanzi? (1 = nulla; 7 = moltissimo) Moda Mediana Media Porzioni superiori al bisogno (es. cucino tutto la confezione per non avere rimanenze...) 1 4 3,8 Variazione del numero di coperti (es. figli restano fuori casa a mangiare...) 1 2 2,8 Presenza di ospiti (es. ricorrenze, anniversari....) 1 3 3,4 Errori di cucina (es. troppo cotto, troppo salato...) 1 2 2,2 Mancato apprezzamento degli alimenti (es. quel tipo di carne non piace...) 1 2 2,6 Tempistica differenziata (es. si mangia in momenti diversi a causa....) 1 2 2,8 Tabella b11 - Come vengono gestiti gli avanzi? (1 = mai; 7 = sempre) Moda Mediana Media Sono congelati per essere riutilizzati dopo un po’ di tempo 1 4 3,7 Sono riutilizati per preparare altri piatti (es. polpette...) 1 4 4 Sono conservati per essere riproposti nei pasti successivi (es. riscaldo verdure cotte...) 7 6 5,2 Sono destinati ad uso zootecnico (es. cani, gatti, galline...) 1 1 2 Sono destinati ad usi alternativi (es. compostaggio...) 1 1 1,9 Sono offerti ad altri (es. ai genitori, ai vicini...) 1 1 1,9 Sono gettati via 1 1 2,1 Sezione 3 - In dispensa e frigorifero Tabella b12 - Capita che parte degli alimenti acquistati vengano gettati via senza essere né cucinati, né consumati? ( v.a. e %) v.a. % 0 0 Sì, quotidianamente Sì, spesso 29 1,1 Sì, qualche volta 352 12,9 Sì, raramente 1554 57 Mai 792 29 Totale 2731 100 Tabella b13 - Quanto pesano le seguenti cause nella decisione di scartare gli alimenti acquistati e né cucinati, né consumati? (1 = nulla, 7 = moltissimo) Moda Mediana Media Superamento della data di scadenza 7 6 4,8 Al tatto, l’alimento è modificato 7 4 4,3 Sono visibili tracce di muffa, ossidazione... 7 6 5,2 L’odore dell’alimento è sgradevole 7 6 5,2 Il sapore dell’alimento è alterato 7 6 5,1 Mancanza di familiarità con l’alimento (es. cibo regalatomi impegnativo da cucinare...) 1 2 2,6 Stagionalità dell’alimento (es. farina per polenta acquistata in inverno e non usata...) 1 2 2,8 25 Tabella b14 - Come prevenite la creazione di questi scarti? (1 = mai; 7 = sempre) Moda Mediana Media Controlliamo costantemente le date di scadenza dei prodotti già acquistati 7 7 5,9 Posizioniamo in prima linea prodotti che scadono prima 7 6 5,7 Compriamo solo l’essenziale 7 5 4,9 Facciamo la spesa più volte la settimana 7 5 4,4 Compriamo solo beni a lunga conservazione 4 3 3,5 Cuciniamo ciò che è necessario consumare prima che scada 7 6 5,6 Congeliamo il fresco che non consumeremo a breve 7 6 5,6 Invitiamo famigliari o amici per pranzi o cene 1 2 2,5 Regaliamo a famigliari o amici gli alimenti in scadenza che non useremo 1 1 2,4 Portiamo gli alimenti che non useremo a centri di aiuto per persone in difficoltà 1 1 1,9 Tabella b15 - Complessivamente, in una scala da 1 a 10, dove colloca la sua famiglia rispetto alla gestione delle eccedenze alimentari? (1 = non sprechiamo niente; 10 = sprechiamo troppo) 1 2 3,54 4 5 6 Moda = 2 - Mediana = 3 26 7 8 9 10 28