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INDICE
PREFAZIONE
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4
INTRODUZIONE
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5
ciò che non si vede
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6
parole da non sprecare
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8
la ristorazione collettiva
e il ruolo delle istituzioni
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10
famiglie alla prova
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14
conclusioni
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22
CAMPIONE, QUESTIONARIO
E RISULTATI
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23
Il progetto
Le associazioni dei consumatori
e la ricerca
Report di ricerca
(a cura di Flavio Merlo)
Milano, ottobre 2015
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CONTESTO
Il progetto “Risparmia(ti) lo spreco”
Per avvicinare i cittadini lombardi ai temi di Expo 2015, alcune associazioni di consumatori lombarde hanno iniziato
nel 2010, grazie al sostegno di Regione Lombardia e al
Ministero dello Sviluppo Economico, un percorso progettuale. All’interno di questo, si colloca il progetto dal titolo
L’Expo del consumatore – Risparmiati lo spreco, realizzato da Adiconsum Lombardia in collaborazione con Cittadinanzattiva e Movimento Consumatori, che si concentra
sullo spreco delle risorse, con un focus particolare, ma
non esclusivo, su quelle alimentari.
Il progetto è patrocinato dal Comitato Scientifico di EXPO
composto da rappresentanti di tutte le università milanesi
e dal Comune di Milano.
Gli obiettivi
Con il progetto L’Expo del consumatore - Risparmiati lo
spreco si è inteso, in continuità con il passato, perseguire
due macro-obiettivi: conoscere il fenomeno dello spreco e
attivare azioni di in-formazione verso gli attori della filiera,
dalle imprese ai consumatori finali. Entrambi possono essere declinati in alcuni sotto-obiettivi:
↘conoscere il fenomeno dello spreco alimentare nelle sue
variegate manifestazioni;
↘conoscere le buone pratiche relative alla prevenzione
dello spreco e alla gestione delle eccedenze alimentari;
↘attivare un network di attori pubblici, privati e del terzo
settore attorno al tema dello spreco per individuare obiettivi e ambiti di azione comuni e condivisi;
↘in-formare i cittadini lombardi suggerendo loro semplici,
buone pratiche per “risparmiarsi lo spreco”;
↘favorire la comprensione dei temi affrontati in Expo 2015.
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I partner
Al progetto hanno aderito numerosi enti e aziende: A2A,
Arci Milano, Auchan, Camera di Commercio di Milano,
Camera di Commercio di Varese, Confcommercio Lombardia, Fondazione Banco Alimentare, IntesaSanpaolo,
Klikkapromo, Simply.
La loro adesione non è stata solo simbolica, ma fortemente operativa e propositiva. Ciò grazie alla costituzione della “cabina di regia” creata nell’ambito del progetto con lo
scopo di definire i dettagli dell’iniziativa.
Il bando
Particolare rilevanza ricopre, tra le attività previste nel
progetto, il bando “Un alimento, un’azienda, una storia”
destinato alle piccole imprese dei settori lattiero-caseario
e ortofrutticolo che ha come obiettivo quello di far emergere le buone pratiche attuate dalle aziende e incarnate nei
loro prodotti. Ogni prodotto della terra racconta una storia
fatta di lavoro, tecnica, ingegno, fatica e ricerca. Se è vero,
infatti, che le aziende producono i beni, è altrettanto vero
che sono i beni a parlare delle aziende. Da qui la scelta di
premiare le imprese vincitrici con un video che sintetizzi
ed esalti la filiera aziendale del bene con cui hanno partecipato al bando.
Naturalmente, perché tutto questo generi in-formazione e
conoscenza, il progetto prevede incontri con i consumatori
e varie forme di comunicazione sia cartacee che digitali
(www.risparmiatilospreco.it).
Questo report rappresenta una forma di comunicazione
del progetto, per questo i contenuti e lo stile
convergono su un unico obiettivo: “Risparmiare lo spreco”,
ogni giorno, in ogni famiglia.
INTRODUZIONE
Le associazioni dei consumatori e la ricerca.
Ci sono tanti modi per affrontare i problemi del nostro tempo, ci sono tanti modi per guardare ai consumatori: le nostre
associazioni hanno scelto una strada comune, complessa,
ma ricca di soddisfazioni. Non parliamo di consumatori, ma
partiamo dai consumatori; non facciamo un discorso sui
consumi, cerchiamo di conoscerli e di comprenderli; per
questo, negli ultimi anni le associazioni lombarde si sono
impegnate in alcuni progetti di ricerca che non sono nati
dall’alto (“noi sappiamo cosa dire e adesso lo comunichiamo ai consumatori così diventano più bravi”), bensì dalla
gente, dalle persone che, quotidianamente, affrontano e
risolvono i problemi legati al consumo dei beni e dei servizi.
Le diverse edizioni del progetto “Verso l’Expo del consumatore” (2010), il progetto “Dalla fila al mouse” (2012)
- dedicato all’implementazione della digitalizzazione nella
PA - e, ora, “Risparmia(ti) lo spreco” sono alcuni tra gli
esempi più significativi di questo modo di affrontare i temi
del consumerismo.
Per intervenire in modo efficace sui problemi occorre conoscerli e intercettarli laddove si presentano senza ricette
preconfezionate, buone per tutte le stagioni. I nostri progetti hanno un filo rosso che li lega e riverbera il tipo di
approccio delle associazioni: dedicare uno spazio all’indagine sociale per non cadere nella trappola dell’autoreferenzialità e rischiare di fare sì dei bei lavori, ma lontani
dalla gente.
Non si tratta di fare ricerca accademica, ma azioni di ricerca-intervento che consentano di passare dalla teoria alla
prassi, dalle idee ai fatti in modo consapevole. Questo lavoro di monitoraggio si colloca dentro a progetti che vedono la partecipazione di numerosi partners. Non è questione
di opportunità, bensì di metodo: la convinzione che solo
attraverso la collaborazione competente e trasparente sia
possibile fare qualcosa di valido. Certamente lavorare in
rete ha un prezzo; costa in termini di tempo e di risorse, ma
i vantaggi che ne derivano sono incalcolabili. Ciascuno porta il suo contributo, ciascuno mette a disposizione degli altri
il suo know how specifico per costruire qualcosa di unico.
I lavori sul consumo che non coinvolgono le associazioni
dei consumatori lasciano sempre perplessi! Come descrivere in modo esaustivo la filiera, qualunque filiera, senza
dare evidenza e ascolto al suo anello terminale, quel livello senza il quale, tutto ciò che viene prima non ha ragione
di esistere? I nostri partner lo sanno e per questo lavorare
insieme è un investimento.
Passando ai contenuti di questo report è necessario fare
due sottolineature.
La prima. Il tema dello spreco alimentare interessa da
tempo le nostre associazioni. Abbiamo citato il progetto
“Verso l’Expo del consumatore” del 2010. Non abbiamo
atteso l’arrivo di Expo per occuparci di questi temi; abbiamo anticipato Expo perché i temi della sostenibilità e
dell’equa distribuzione delle risorse sono parte del nostro
DNA. “Risparmia(ti) lo spreco” è la naturale prosecuzione di quell’impegno, il cui report di sintesi si chiudeva con
queste parole: “A nessuno interessa un consumatore ignorante, che resta ai margini, che è preda solo degli interessi dell’economia; a tutti, perché tutti siamo consumatori,
interessa diventare protagonisti delle proprie scelte, consapevoli che ogni azione che compiamo lascia traccia nel
contesto ecologico in cui viviamo”. Expo è stato un amplificatore di queste tematiche, ma la responsabilità di trattarle
va ben oltre Expo e i modi di Expo. Occorre un’opera informativa che non si esaurisce in qualche spot o in qualche incontro, ma un lavoro costante, una vera e propria
campagna educativa che attraversa, con modalità diverse,
le generazioni (la società civile) e gli ambiti di policy (le
istituzioni e la filiera tutta).
E qui arriviamo alla seconda questione di merito.
“Risparmia(ti) lo spreco” affronta un tema di grande attualità. Talvolta, però, nell’avvicinarsi a questo tema, l’approccio è ideologico: si individua un aspetto del problema e lo
si fa coincidere con il problema stesso. Si presentano dati
che aggregano fenomeni assai diversi e si dipinge la realtà
a tinte forti. In questo lavoro non siamo partiti dall’idea che
le famiglie lombarde sprechino, che nelle case di questa
Regione le pattumiere abbondino di cibo ancora buono.
Siamo partiti dal concetto di eccedenza alimentare e dalla
convinzione che le famiglie attivino una serie di azioni utili
ad evitare di buttare via il cibo. Poi, talvolta, questo succede ma, è l’estrema ratio. Il vero problema, piuttosto, è che
non si attivano tutta una serie di azioni di policy che facilmente inciderebbero sulle altre forme di spreco. E anche
di questo parleremo in questa sede, mettendo l’accento
su ciò che c’è già, piuttosto che su ciò che non funziona.
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CIò CHE NON SI VEDE
Relegate nelle ultime pagine dei libri che raccontano di
ricerche, le note metodologiche finiscono spesso per non
essere lette da alcuno.
Qui, invece, coerentemente con quanto scritto nell’introduzione, vogliamo dare evidenza del modo con cui sono
stati raccolti i dati dell’indagine che si è articolata in tre
segmenti.
I segmento.
Tralasciando il mondo della ristorazione collettiva commerciale in senso stretto, il nostro interesse si è rivolto
alla ristorazione collettiva collegata alle organizzazioni:
scuole, ospedali, università, e aziende sono stati punti di
osservazione utili a comprendere il fenomeno al fine di fornire possibili indicazioni di policy, affinché le buone prassi
attivate in qualche territorio od organizzazione possano
trovare applicazione e diffusione anche in altre realtà.
II segmento.
Le famiglie. Può apparire strano, ma questo è lo stadio
della filiera meno indagato di tutti; eppure, è quello su cui
si fanno titoli sensazionalistici snocciolando dati la cui oggettività è spesso da verificare.
Partendo dall’ipotesi che non esistano famiglie “sprecone”, il questionario ha permesso di monitorare alcune
variabili ed evidenziare in che modo esse incidono sulle
scelte e i comportamenti:
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↘profilo famigliare;
↘monitoraggio dei criteri di orientamento (la pianificazione
degli acquisti);
↘gestione delle eccedenze di alimenti già cucinati (che
cosa, quante e per quali ragioni si formano);
↘gestione delle eccedenze di alimenti né cucinati, né portati al consumo.
La somministrazione del questionario è avvenuta online
ad un campione autoselezionato attinto dai data-base degli utenti di Klikkapromo e dei clienti Simply (oltre 150mila
nominativi).
Complessivamente, sono stati compilati per intero 2727
questionari. Un dato assolutamente significativo dell’interesse per il tema.
III segmento.
Sono 20 le famiglie che, per 4 settimane, hanno compilato
una sorta di diario degli acquisiti e dei consumi alimentari. Non sono state coinvolte per vedere quanto sprecano,
bensì per verificare come si attivano per evitare che le eccedenze che si generano in qualsiasi cucina possano essere recuperate. I dati sono stati rilevati settimanalmente
mediante la compilazione di una scheda predefinita inviata
per posta elettronica.
Questo modo di operare ha permesso di costruire una storia vera, credibile che, se non esaurisce il tema, sicuramente permette di comprenderlo meglio.
I segmento
II segmento
unità di analisi
unità di analisi
Famiglie (2727)
Panel di famiglie (20)
oggetto
Conoscere le modalità di acquisto
e di consumo dei beni alimentari
e la gestione delle eccedenze
Monitorare diacronicamente
i consumi alimentari
e la gestione delle eccedenze
Questionario
auto-somministrato online
Compilazione
diario di bordo
Attori della filiera con particolare
riferimento alla ristorazione
collettiva non commerciale
Individuare punti di forza
e di debolezza della filiera
tecnica
Interviste, raccolta dati
oggetto
tecnica
III segmento
unità di analisi
oggetto
tecnica
?
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PAROLE DA NON SPRECARE
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Prima di entrare nel merito dei risultati dell’indagine, occorre fare chiarezza sui termini in gioco.
Partiamo dal concetto di bisogno economico. I bisogni
economici sono carenze, stati di necessità che possono
essere soddisfatti mediante il reperimento e il consumo
di beni non immediatamente reperibili in natura. I bisogni
possono essere primari o secondari a seconda di quanto
sia fondamentale per la sopravvivenza la loro soddisfazione: mangiare soddisfa un bisogno primario, vedere un film
uno secondario. Tuttavia, questa distinzione è più ideale
che reale in quanto accade spesso che la soddisfazione di
un bisogno primario avvenga grazie a beni ibridi, che soddisfano entrambi i livelli della necessità. Un vestito griffato
permette di ripararsi dal freddo ma, insieme, gratifica chi
lo indossa, ne accentua l’autostima, genera un senso di
appartenenza. Perché questa riflessione? Perché nei carrelli della spesa trovano posto numerosi alimenti che non
si limitano alla nutrizione, ma esprimono valori e significati.
Pensiamo al panettone, il tipico dolce natalizio milanese
che, passate le feste di fine anno, va spesso incontro ad
un tragico destino. Chi offrirebbe a degli ospiti una fetta di
panettone il 5 febbraio? Quanti, tra i nostri lettori, lo consumerebbero nei mesi successivi senza raggiungere la data
di scadenza? Il fatto che qualche famoso marchio dell’alimentazione lo proponga ai propri clienti a Ferragosto,
suona più come una provocazione che come un nuovo
modo di intendere il panettone. Il cibo, quindi, ha spesso
un valore simbolico molto importante e ciò deve essere
tenuto ben presente; altrimenti si rischia di fare affermazioni poco adeguate.
Ciò premesso, occorre descrivere sinteticamente come
nasce il “waste food” secondo il processo, che, in letteratura, prende il nome di “Modello ASRW” (Availability, Surplus, Recoverability, Waste). Una volta acquistato, il cibo
può essere consumato oppure diventare eccedenza, cioè
non serve a soddisfare un bisogno presente. Se viene consumato, il prodotto alimentare va incontro al suo normale
destino, se diventa eccedenza si aprono due possibilità: il
recupero o lo spreco. Se il cibo viene recuperato diventa
risorsa sociale, se viene sprecato è sinonimo di perdita.
Ho fame, compro una mela; ne mangio mezza e sono
sazio. La metà non consumata diventa eccedenza; se la
recupero (la mela è stata tagliata con un coltello e viene
riposta in frigo protetta) diventa risorsa sociale e soddisferà un bisogno futuro, se la spreco (l’ho mangiata a morsi
e non l’ho adeguatamente conservata) diventa perdita,
spazzatura. L’esempio è così semplice da (non) sembrare
credibile, ma permette di introdurci al quesito di fondo: che
cosa rende un’eccedenza alimentare risorsa o perdita?
Del pane vuoto, un panino imbottito di salame, un piatto
di pastasciutta calda e fumante, delle sardine ancora da
cuocere. Sono quattro alimenti che troviamo spesso nella
nostra dieta, ma che presentano un profilo assai diverso
di fungibilità, la grandezza che misura la facilità con cui
l’eccedenza alimentare può essere nuovamente destinata
all’alimentazione umana.
La fungibilità (F) di un alimento dipende da due dimensioni:
la fungibilità intrinseca del bene (FI), cioè l’immediatezza
di consumo ovvero quanto si presta ad essere mangiato
nello stato in cui si trova, e l’intensità di gestione (IG), cosa
si deve fare per recuperarlo e conservarlo commestibile.
Quando un bene presenta un’elevata fungibilità intrinseca
e una bassa intensità di gestione, la probabilità che l’eccedenza diventi rifiuto è molto bassa; invece, quando la
fungibilità intrinseca è bassa e l’intensità di gestione è elevata, è molto probabile che quell’eccedenza diventi rifiuto.
Applichiamo queste osservazioni agli alimenti illustrati a
lato immaginando che per ciascuno di essi si sia venuta a
creare un’eccedenza.
Il pane vuoto presenta un grado di fungibilità elevato perché è direttamente commestibile e può essere facilmente
recuperato e ridistribuito. Un panino imbottito presenta già
alcune criticità in quanto la facilità di consumo si scontra
con la necessità di conservare il panino ad una temperatura adeguata che preservi e protegga l’imbottitura. Questi
problemi si amplificano con il piatto di pastasciutta cucinato e non consumato: occorre abbattere la temperatura,
proteggere la pietanza e riportarla in temperatura al momento del consumo. Si tratta di un processo che, anche
dentro le mura domestiche, richiede qualche attenzione e
una sincera valutazione del rapporto costi/benefici. Le sardine crude, infine, evidenziano quanto sia difficile “salvare”
alcune eccedenze dalla pattumiera! Non sono immediatamente commestibili e la loro conservazione richiede una
serie di attenzioni.
I beni alimentari soddisfano un bisogno primario, ma spesso, interessano anche valori e significati; un bene non consumato diventa eccedenza, il cui destino dipende dalla sua
fungibilità intrinseca e dalla sua intensità di gestione, che,
insieme, determinano la fungibilità complessiva dell’eccedenza e, di conseguenza, il costo del suo recupero.
Queste riflessioni sono fondamentali e devono fare da linee guida per comprendere i contenuti dei prossimi capitoli. Troppo spesso si parla di cibo buttato in spazzatura,
sprecando parole e numeri; solo avendo coscienza di queste modalità di misurazione e di comprensione è possibile
formulare ipotesi credibili per recuperare le eccedenze ad
uso sociale e limitare lo spreco lungo tutta la filiera.
Il modello ASRW
Availability, Surplus, Recoverability, Waste
FI
IG
immeditezza
di consumo
impegno per la
conservazione
FUNGIBILITÀ
la grandezza che misura la facilità
con cui l’eccedenza alimentare
può essere nuovamente destinata
all’alimentazione umana
FI
IG
Quando un bene presenta un’elevata fungibilità intrinseca e una bassa
intensità di gestione, la probabilità che l’eccedenza diventi rifiuto è molto
bassa; invece, quando la fungibilità intrinseca è bassa e l’intensità
di gestione è elevata, è molto probabile che quell’eccedenza diventi rifiuto.
per esempio...
PANE
VUOTO
FI
PANINO
IMBOTTITO
IG
alta
FI
IG
medio alta
PIATTO
DI PASTA
FI
IG
medio bassa
SARDINE
DA CUOCERE
FI
IG
bassa
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LA RISTORAZIONE COLLETTIVA
E IL RUOLO DELLE ISTITUZIONI
L’obiettivo di questo segmento di indagine è duplice: analizzare il rapporto tra eccedenze alimentari e recupero a
fini sociali e fornire suggerimenti di policy affinché le buone prassi attivate in qualche territorio possano trovare applicazione e diffusione anche in altre aree.
Secondo i dati del Banco Alimentare, la ristorazione collettiva (commerciale e non commerciale) produce complessivamente una media di 185.000 tonnellate annue di sprechi
alimentari per un valore pari a 2,6 miliardi di euro*. L’80%
di queste eccedenze, la cui fungibilità è considerata media, non viene recuperato e diventa spreco.
Tralasciando il segmento della ristorazione collettiva
aziendale in senso stretto, il nostro interesse è rivolto
alla ristorazione collettiva collegata alle istituzioni: scuole,
ospedali, università e organizzazioni pubbliche in senso
lato. Secondo i dati del 2013 del Banco Alimentare, presso
la ristorazione collettiva erogata da enti pubblici lombardi,
sono stati raccolti oltre 71mila kg di pane, 118mila kg di
frutta e quasi 66mila porzioni di piatti pronti.
Raccogliere le eccedenze alimentari della ristorazione collettiva è un’operazione complessa che mette in gioco numerose variabili. Una prima variabile è data dalla tipologia
della linea di raccolta: direttamente presso scuole, ospedali e mense universitarie senza centro di cottura oppure presso i centri di cottura che cucinano e distribuiscono
pasti per una molteplicità di punti erogazione. Tra le due
linee, la seconda è quella che soddisfa meglio i requisiti
igienico-sanitari: il cibo in eccedenza non è stato oggetto
di alcun trasporto, ha conservato integre le sue caratteristiche ed è stato manipolato solo da personale tecnico
competente.
La seconda variabile, che potremmo definire esogena alla
filiera, è legata alla presenza sul territorio di soggetti che
dispongono delle risorse logistiche e organizzative necessarie per raccogliere le eccedenze, gestirle e ridistribuirle
presso i servizi che operano a diretto contatto con le persone in situazione di bisogno.
Laddove mancano questi due requisiti – il centro di cottura
e la rete sociale sul territorio - il recupero delle eccedenze
diviene improponibile: la materia prima è stata alterata e
nessuno è in grado di farsi carico in modo adeguato della
raccolta delle eccedenze. Pertanto, usando gli indicatori di
fungibilità già descritti: se è vero che la fungibilità intrinseca delle eccedenze alimentari è elevata, è altrettanto vero
che l’intensità di gestione è notevole, il che determina una
fungibilità complessiva media o medio-bassa.
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* Garrone P. - Melacini M. - Perego A. Surplus food management against food
waste, Report di Banco alimentare, Politecnico Milano
e La Fabbrica, Milano, 2015
L’importanza di questi fattori è fondamentale per comprendere il fenomeno e, di conseguenza, per suggerire opportune azioni di policy.
Esiste un obbligo per gli enti pubblici di recuperare le eccedenze alimentari prodotte presso le loro mense? La risposta è purtroppo negativa. Tuttavia, il Decreto del Ministero
dell’Economia e delle Finanze del 25 luglio 2011 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 21.9.2011 nell’Allegato 1
“Piano d’azione per la sostenibilità ambientale dei consumi nel settore della Pubblica Amministrazione” ovvero
“Piano d’Azione Nazionale sul Green Public Procurement”
-PANGPP) contempla, tra le specifiche tecniche premianti
relative all’assegnazione di appalti per la ristorazione collettiva e la fornitura di derrate alimentari, il seguente passo
(punto 5.4.3) che riportiamo integralmente:
Destinazione del cibo non somministrato
Si prevede la possibilità di assegnare dei punteggi
all’offerente che si impegna a recuperare il cibo non
somministrato e a destinarlo ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale che effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di prodotti
alimentari, in linea con la ratio della Legge 155/2003
recante “Disciplina della distribuzione dei prodotti alimentari a fini di solidarietà sociale”.
Verifica: dichiarazione del legale rappresentante con
il qual si attesti, secondo quanto previsto dalla Legge
155/2003, la destinazione del cibo non somministrato
ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale che
effettuano, a fini di beneficenza, distribuzione gratuita
agli indigenti di prodotti alimentari, corredata da uno
specifico Protocollo sottoscritto tra Fornitore e Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale che distribuiscano gratuitamente i prodotti alimentari agli indigenti con il quale si attesti tale gestione.
Il testo è chiaro: l’azienda che recupera le eccedenze alimentari affidandole ad un soggetto no profit perché le ridistribuisca a chi ha bisogno può essere premiata nella
definizione delle gradatorie per l’assegnazione dei servizi
di ristorazione collettiva e fornitura di derrate alimentari a
enti pubblici.
Nella sua sinteticità, il legislatore apre una possibilità che
può essere o meno percorsa a seconda della sensibilità
culturale dell’ente e delle caratteristiche sociali del territorio
in cui viene erogato il servizio. In questo senso, la modalità
di verifica del requisito introduce un ulteriore elemento: il
185 000
tonnellate
media annua
di spreco alimentare
prodotti
dalla ristorazione
collettiva
(commerciale e
non commerciale)
L’
80%
dei prodotti sprecati
ha una FUNGIBILITÀ
considerata media
=
2,6 MLD
DI EURO
di valore
nel 2013 sono stati recuperati
dalla ristorazione collettiva erogata
da enti pubblici lombardi:
118 000 kg di frutta
71 000 kg di pane
66 000 porzioni di piatti pronti
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Protocollo sottoscritto tra Fornitore e Organizzazione Non
Lucrativa di Utilità Sociale, che costringe ad aprire la riflessione sulle risorse presenti e attivabili nel territorio.
Siamo così in presenza di una possibile triangolazione che
vede coinvolti soggetti appartenenti ai tre settori: il primo
è rappresentato dai Comuni, il secondo dalle imprese che
erogano servizi di ristorazione collettiva, il terzo dalle organizzazioni no profit presenti sul territorio.
Di fatto, però, abbiamo un quarto soggetto che non viene
esplicitato in modo diretto pur essendo fondamentale: l’insieme di coloro che fanno fatica a soddisfare il primo tra
tutti i basic needs: la fame. Se introduciamo questo quarto
elemento, possiamo illustrare le conseguenze dell’applicazione della specifica sul recupero delle eccedenze in
modo semplice, ma efficace.
In questo modo, si crea una rete in cui i nodi sono dati dai
soggetti in gioco, mentre i legami sono di due tipi: contrattuali (l’appalto, che lega ente pubblico e impresa di ristorazione, e il protocollo, che unisce quest’ultima al soggetto
non lucrativo) e progettuali (la distribuzione delle eccedenze alimentari recuperate alle famiglie in stato di bisogno
presenti sul territorio).
In questo contesto, la triangolazione tra ente locale, soggetti profit e realtà no profit deve essere approfondita rispetto al segmento “Protocollo”. Infatti, le aziende di ristorazione e le associazioni che le rappresentano nutrono
non poche perplessità in tema di raccolta delle eccedenze
alimentari da ridistribuire. Qual è la ragione di tali dubbi?
La risposta è nel testo della “Legge del Buon Samaritano”
(L.155/2003 pubblicata sulla G.U. n°150 in data 1 luglio
2003).
“Disciplina della distribuzione dei prodotti
alimentari a fini di solidarietà sociale”
Art. 1. Le organizzazioni riconosciute come organizzazioni non lucrative di utilità sociale ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n.
460, e successive modificazioni, che effettuano, a fini
di beneficenza, distribuzione gratuita agli indigenti di
prodotti alimentari, sono equiparati, nei limiti del servizio prestato, ai consumatori finali, ai fini del corretto
stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo
degli alimenti.
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A giudizio delle imprese di ristorazione collettiva intervistate nel corso dell’indagine, la decisione del legislatore di
equiparare le organizzazioni non lucrative di utilità sociale
ai consumatori finali ha sollevato le ONLUS dai problemi connessi alla conservazione, al trasporto, al deposito
e all’utilizzo degli alimenti. Se l’eccedenza raccolta presso
la mensa viene ritirata dall’associazione non lucrativa per
essere distribuita a chi ne ha bisogno, ma la ONLUS non
è attenta alle modalità di trasporto e di conservazione e
il prodotto si deteriora, chi subisce il danno è la persona
in situazione di bisogno e non certo chi ha distribuito il
bene, che, venendo equiparato al consumatore finale, è
di fatto sollevato dalle sue responsabilità. Responsabilità che, inevitabilmente, finiscono per ricadere su chi ha
materialmente cucinato il bene, che si trova a dover far
fronte anche all’Intensità di Gestione del bene stesso. Per
questo, molto spesso le imprese della ristorazione collettiva preferiscono limitare la raccolta delle eccedenze a quei
beni che, come il pane e la frutta, presentano elevata fungibilità intrinseca e bassa intensità di gestione limitando i
rischi legati alla sicurezza.
Perché le riflessioni sviluppate fin qui non siano solo un
esercizio di analisi o, nel migliore dei casi, la costruzione
di un modello teorico, occorre ripetere che la misura della
recuperabilità di un bene alimentare dipende dalla fungibilità intrinseca, cioè dalla sua commestibilità diretta, e
dall’intensità di gestione, cioè quanto costa “salvarlo” da
parte delle aziende e degli intermediari per renderlo nuovamente accessibile. La già citata indagine del 2012, ha
evidenziato che il grado di fungibilità delle eccedenze della
ristorazione collettiva è medio*. Da un lato, c’è il problema oggettivo e di difficile risoluzione di alimenti oggetto di
molteplici manipolazioni, dall’altro, quello soggettivo degli
alti costi di conservazione, trattamento e distribuzione che
comporta elevati costi di gestione. Tali difficoltà finiscono
per limitare la raccolta delle eccedenze nei punti di distribuzione ai prodotti da forno (pane) e alla frutta ovvero a
beni che hanno un’intensità di gestione minima.
L’attivazione della triangolazione funzionale descritta nello
schema a lato può consentire di rendere meno problematica l’intensità di gestione attivando economie di scala che
insistano su territori anche più vasti del singolo Comune.
Introduzione della specifica premiante, rilevazione del bisogno, individuazione dei soggetti no-profit da sostenere
per la raccolta delle eccedenze e conseguente promozione della rete troverebbero in contesti sovra-comunali una
corretta collocazione sia in termini di governance che di
operatività secondo un approccio sussidiario coordinato e
sostenuto dall’ente pubblico in senso lato.
Operativamente, si tratterebbe, da un lato, di sostenere l’azione dei soggetti no-profit fornendo i mezzi più adeguati
per recuperare, gestire e distribuire le eccedenze alimentari a coloro che ne hanno bisogno, dall’altro, di premiare
coloro che si fanno carico delle prime fasi dell’intensità
di gestione, ad esempio le società di catering, attraverso
sgravi fiscali o altre forme incentivanti. Meno eccedenze
alimentari che finiscono nella spazzatura significa aiutare più persone in situazione di bisogno e produrre meno
rifiuti.
*
Garrone P. - Melacini M. - Perego A. Dar da mangiare agli affamati. Le eccedenze alimentari come opportunità, Guerini & Associati, Milano, 2012
La triangolazione
funzionale per il recupero delle eccedenze
ente
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PROTO
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FAMIGLIE ALLA PROVA
Qual è il rapporto tra consumatore finale ed eccedenze
alimentari? Mezzi di comunicazione e professionisti della
lotta allo spreco concordano che “il frigorifero è la cattiva
coscienza del consumatore”, ma è veramente così? Davvero i consumatori dilapidano tante risorse dentro le mura
domestiche oppure il fenomeno è più complesso e investe
una serie di variabili che andrebbero meglio comprese?
Davvero, quando si butta via un avanzo di pasta già cucinata, messa in tavola, ma non consumata, siamo in presenza di spreco o forse dietro questa decisione c’è una
riflessione sull’intensità di gestione necessaria per “salvare” una porzione di cibo, che il giorno seguente potrebbe
servire a ben poco?
Perché si pensa che dentro le mura domestiche prevalga
l’improvvisazione invece della ponderazione di tutti i fattori
in gioco?
Tutti ne parlano, ma questo è l’anello della filiera meno
inadagato. Se ne parla tanto; ma con pochi dati reali.
Le nostre riflessioni si basano su 2727 questionari che le
famiglie lombarde hanno compilato online. Non si tratta
di un campione statisticamente rappresentativo, ma sono
2727 interviste reali, famiglie che, liberamente e gratuitamente, hanno partecipato alla rilevazione.
Abbiamo chiesto agli intervistati di dire quanto si percepiscono “spreconi” in una scala da 1 a 10. Il dato è 3,54,
un’autovalutazione decisamente positiva.
Rispetto a questo dato medio e ad alcune variabili significative (età, sesso, titolo di studio, condizione economica
e lista della spesa) è possibile tracciare il profilo di due
tipologie di consumatore: gli “spreconi” e i virtuosi.
Gli “spreconi” sono uomini sotto i 30 anni, non fanno la
lista della spesa, hanno un titolo di studio elevato e una
condizione economica che permette loro di dire che non
manca nulla.
I “virtuosi” sono pure loro uomini, ma con più di 65 anni, un
diploma di qualifica professionale, fanno la lista della spesa
e dichiarano di avere una condizione economica precaria.
14
In media quanti sono gli euro buttati in pattumiera sotto
forma di cibo? Dai diari delle famiglie emerge il dato di 3,5
euro per settimana, cioè 14 euro al mese, 168 euro l’anno.
La gestione delle eccedenze e, di conseguenza, degli
eventuali sprechi alimentari inizia nel momento della spesa.
Un acquisto che non tiene conto dei reali bisogni presenti
e delle attuali mancanze in dispensa, si affida alla percezione, al ricordo e rischia, nel medio periodo, di generare
spreco.
La prima forma di prevenzione dello spreco è la pianificazione degli acquisti: la lista della spesa favorisce tale
operazione e consente di intervenire laddove serve. Eppure, quasi il 19% degli intervistati non fa o non ha mai
fatto la lista della spesa! Il consumatore privo di lista della
spesa che si avventura in un grande magazzino rischia,
inesorabilmente, di fare degli acquisti compulsivi, dettati
più dal desiderio che dal bisogno. Mancanze reali e suggestioni indotte si confondono e la spesa diventa un gesto
improvvisato.
Un secondo elemento di riflessione sono i criteri con cui
si sceglie il prodotto da acquistare. In una scala da 1 a 7,
i consumatori dichiarano che il criterio più importante è la
data di scadenza del bene (6,2); questo fattore pesa più
del prezzo (6) e della composizione del prodotto stesso
(5,8)
Perché questa enfasi sulla data di scadenza? Sono possibili due tipi di riflessioni: da un lato, la convinzione che la
data di scadenza sia un indicatore di freschezza del prodotto (“più un prodotto scade in là nel tempo, più è fresco”), dall’altro, l’attivazione di una forma di prevenzione
degli sprechi (“ho più tempo per consuamare il prodotto”).
In questa seconda direzione, deve essere letto anche il
dato relativo al formato di ciò che si acquista: 5,4 è un
dato rilevante che indica il tentativo di combinare al meglio
needs famigliari e size del prodotto.
Quanto ti senti
“sprecone”?
DATO MEDIO
3,54
lo sprecone
UOMO <30 ANNI
Laurea
Non fa la lista della spesa
Condizione economica:
“Non mi manca nulla”
il virtuoso
UOMO >65 ANNI
Diploma professionale
Fa la lista della spesa
Condizione economica:
Precaria
La prima forma di prevenzione dello spreco
è la pianificazione degli acquisti.
5%
Compila la lista
della spesa prima
di fare acquisti?
si, compriamo solo quello
61,3% si, ma attenti alle offerte
14,7%
si, ma compriamo anche altro
16,4% no, sappiamo cosa serve
2,5%
mai fatta
15
I luoghi dove avvengono gli acquisti non sono estranei alla
nostra riflessione.
Se è vero che per ogni tipologia di prodotto, dalle uova alla
carne, dagli affettati ai latticini la grande distribuzione organizzata domina incontrastata attirando buona parte dei
consumatori, è altrettanto vero che gli intervistati dichiarano di differenziare i luoghi di acquisto a seconda della
merce che vogliono acquistare.
ospiti (3,4), dalla variazione del numero di coperti e dalla
tempistica differenziata (2,8). Si tratta di cause riconducibili a due tipologie di motivazioni assai diverse: da un lato,
la propensione a cucinare più del necessario soprattutto
in presenza di ospiti, dall’altro, la difficoltà a calcolare il
numero di coperti da servire.
Tipologie diverse, ma un’origine comune: il contesto socioculturale in cui siamo immersi.
Nei negozi di vicinato, si acquistano soprattutto i beni freschi e freschissimi: il pane quotidiano, la carne e il pesce.
Nei mercati si privilegia l’acquisto di verdure e frutta. Decisamente minore l’incidenza di altre tipologie di luoghi di
acquisto come GAS, mercati a km 0, consegne a domicilio... che fanno registrare valori marginali, ma mai nulli.
Nel primo caso occorre ricordare che il cibo è strumento
di comunicazione, un modo per entrare in relazione con
l’altro e comunicargli un messaggio. Mangiare insieme è
segno di condivisione e di reciproca appartenenza; la nostra storia è costellata di banchetti e di momenti conviviali
che hanno trovato spazio in memorabili opere; dalla letteratura all’arte, passando per il cinema e la fotografia. Si
fa festa con il cibo e consumare insieme il cibo è già una
festa. L’assenza di cibo da condividere è segno di povertà
materiale e relazionale.
Dai diari del panel di 20 famiglie, emerge chiaramente che
laddove la modalità di appprovvigionamento è temporalmente differenziata ovvero si procede con acquisti a più
riprese e non mediante una sola, grande, settimanale spesa si tende ad avere meno eccedenze e, di conseguenza,
meno sprechi soprattutto del fresco e del freschissimo.
Più momenti di acquisto significa diversificazione dei luoghi, scelte più ancorate al presente, gestione più consapevole; una sola spesa indica scarsa dversificazione di luoghi e prodotti e una costante attenzione ai bisogni futuri.
Nove intervistati su dieci affermano che a tavola si generano avanzi o, più correttamente, eccedenze. Si tratta di un
dato prevedibile, che rientra nel vissuto di ogni famiglia:
non tutto quello che si porta in tavola viene consumato.
Più interessante comprendere le ragioni di questo fenomeno. La causa che raccoglie più consensi è l’eccesso di
offerta rispetto al bisogno (3,8) seguita dalla presenza di
16
Nel secondo caso – la difficoltà a calcolare il numero di
coperti – si riverbera chiaramente lo stile di vita di tante
famiglie, dove il momento del pasto condiviso è sempre
più raro. Questo deficit relazionale ha evidenti effetti sulla
gestione dei pasti: l’incertezza è nemica della programmazione e dell’efficienza. A ciò si aggiunga che la necessità di far fronte a questa imprevedibilità porta spesso a
privilegiare prodotti finiti a discapito di ingredienti base; le
insalate in busta già pulite, lavate e tagliate hanno una vita
più breve rispetto al ceppo di lattuga ancora da preparare.
Accanto a queste cause socio-culturali troviamo motivazioni più soggettive: il cibo servito non incontra il gusto
dei commensali (2,6) oppure sono stati commessi errori in
fase di preparazione o di cottura (2,2).
Dove compri cosa?
La tipologia dei punti vendita e dei beni acquistati
SUPERMERCATO
DISCOUNT
47%
4,6%
36,3%
0,6%
4,3%
4,5%
PANE
58,4%
7,7%
9,2%
19,5%
3,7%
1%
59,6%
7,6%
8,4%
17,1%
4,5%
1,8%
DETTAGLIO
FRUTTA
VERDURA
65,7%
3,4%
23,6%
0,5%
3,4%
0,6%
Si creano
eccedenze
a tavola?
CARNE
MERCATO
KM 0 / GAS
A DOMICILIO
68,8%
1,7%
16,5%
4,7%
1,4%
1,1%
PESCE
AFFETTATI
FORMAGGIO
81,3%
7,6%
7,4%
0,8%
0,8%
0,3%
74,5%
8,8%
6,6%
5,2%
3,4%
0,3%
75,1%
8,8%
3,6%
1,6%
6,7%
2,5%
UOVA
1,8%
si, quotidianamente
7,9%
si, spesso
39,2% si, qualche volta
39,8% si, raramente
11,4%
mai
17
I dati statistici relativi alla povertà rivelano che le famiglie
più a rischio sono quelle numerose, in cui la presenza dei
figli incide notevolmente sul bilancio famigliare rendendo
ardua la soddisfazione dei basic needs.
Perché questa affermazione? Perché dalla nostra ricerca
emerge che sono proprio le famiglie numerose quelle in cui
si generano più eccedenze a tavola. La tabella a lato, evidenziando il peso specifico delle varie tipologie sull’universo
famiglie, rivela che sono proprio i nuclei di quattro, cinque
o più persone quelli in cui le eccedenze si generano con
maggiore frequenza. Le famiglie composte da una o due
persone, invece, sono pressoché immuni da tale rischio.
Quali sono le ragioni di questo “anomalo” fenomeno? Esattamente quelle indicate in precedenza: il numero elevato
di persone rende più complessa la gestione dei coperti e
la pianificazione risulta più difficoltosa.
I diari del panel confermano questo dato. Le famiglie con
più figli con età compresa tra i 14 e i 18 anni producono
18
eccedenze in quantità superiore alle altre: il numero di coperti varia, la tempistica è molto differenziata e gli ospiti
abbondano!
Qual è il destino di queste eccedenze? Abbiamo visto in
precedenza che le eccedenze possono essere recuperate
se sono adeguate la fungibilità intrinseca e l’intensità di
gestione. Le pratiche seguite dalle famiglie lombarde sono
diversificate: il cibo non consumato viene riproposto (5,2),
viene rielaborato (4) oppure è congelato (3,7). Esaurite
queste opzioni – a cui aggiungiamo purtroppo l’uso zootecnico (2) – si passa alla pattumiera.
Dai diari emerge una chiara diversificazione nel modo di
recuperare le eccedenze tra famiglie con figli e senza figli.
Nelle prime si preferisce recuperare le eccedenze attraverso opportune rielaborazioni, nelle seconde si tende a
riproporre il piatto tale e quale. Anche in questo caso, è
evidente che le diverse strade perseguite riverberano ragioni di opportunità connesse all’età e ai gusti di ciascuno.
La famiglia e lo spreco
le eccedenze a tavola
2%
10,7%
14,9%
17%
27,1%
1 PERSONA
36,7%
22,8%
28,9%
33,4%
33,5%
2 PERSONE
16,3%
29,8%
26,6%
25,8%
21%
3 PERSONE
24,5%
30,2%
23,6%
19,9%
12,9%
4 PERSONE
20,3%
6,5%
6%
4%
5,4%
5 o più PERSONE
QUOTIDIANAMENTE
SPESSO
QUALCHE VOLTA
RARAMENTE
MAI
Come vengono gestite le eccedenze della tavola
(1 = pratica assente; 7 = pratica normale)
5,2
4
RIPROPOSTI
RIELABORATI
IN PASTI SUCCESSIVI
3,7
2,1
2
1,9
CONGELATI
OFFERTI
AD ALTRI
USO
ZOOTECNICO
GETTATI
19
Il 14% degli intervistati afferma che spesso, qualche volta
si formano eccedenze in dispensa/frigorifero, il 57% raramente, il 29% mai.
Sono dati meno drammatici rispetto a quelli relativi agli
avanzi a tavola, ma occorre fare molta attenzione alla
recuperabilità di queste eccedenze. Infatti, se è vero che
il fenomeno degli avanzi a tavola è più frequente, è altrettanto vero che più facile era la loro recuperabilità. Qui,
invece, notiamo che le ragioni che generano eccedenze
sono decisamente più gravi e investono la commestibilità
degli stessi alimenti.
Non è un’esagerazione se affermiamo che queste eccedenze finiranno quasi certamente in pattumiera!
Avevamo detto che la scadenza è il più importante criterio
di scelta dei prodotti; una sorta di garanzia sulla vita del
prodotto. Eppure, quando si tratta di decidere se gettare o
conservare un alimento, il criterio della scadenza sfuma di
importanza e subentrano nuovi parametri: i sensi.
Accade quello che avviene solitamente con la scelta di un
cibo: prima si attiva la vista, poi l’olfatto e, infine, il gusto. A
questa sequenza, per alcuni alimenti, si aggiunge il tatto;
ma il gusto arriva sempre per ultimo.
Pensiamo a molti bambini e al loro rapporto con le verdure. Se io camuffo l’aspetto del vegetale e ne maschero
l’odore normalmente classificato come poco gradevole,
porto il bambini ad assaggiare l’alimento e, molto probabilmente, ad apprezzarlo.
Questa serie di verifiche si attiva anche con gli alimenti
scaduti o in scadenza: guardo, annuso e assaggio. Sono
tre passaggi esclusivi tra loro: se il primo test non è su-
20
perato, non si arriverà al secondo; idem tra il secondo e
il terzo.
Chiaramente si tratta di una verifica che si applica soprattutto agli alimenti freschi, mentre per quelli a lunga scadenza o secchi la data stampigliata sulla confezione acquista un peso maggiore.
Una piccola riflessione merita l’ultimo indicatore: il bene
viene gettato perché non familiare. L’errore è nella (errata)
convinzione che a tavola si sia curiosi e si abbia voglia di
assaggiare e sperimentare. Nulla di più falso! Le nostre
abitudini alimentari maturano fin da piccoli, i nostri gusti si
possono modificare, ma difficilmente rinunceremo ai nostri
piatti preferiti per fare spazio ad altro.
Esiste una socializzazione al cibo che passa attraverso
luoghi, incontri ed esperienze e rende la storia di ogni piatto una storia unica, personale.
Formazione di eccedenze
in dispensa/frigorifero
Anche su questo fronte – le eccedenze in dispensa – i
consumatori attivano una serie di contromisure utili a prevenire lo spreco.
In ordine di importanza troviamo: il costante monitoraggio
delle date di scadenza (5,9), il posizionamento in prima
linea dei prodotti che scadono prima (5,7) , il consumo forzoso dei beni a rischio (5,6) e il congelamento finalizzato a
prolungare la vita del bene fresco (5,6).
Seguono altre forme di prevenzione di cui abbiamo trattato anche in precedenza come l’acquisto dei soli beni immediatamente necessari (4,9) e la frequenza di spesa più
puntuale e meno concentrata (4,4).
Le eccedenze
in dispensa e frigorifero
Perchè si butta il prodotto?
(1 = causa per nulla rilevante; 7 = causa molto rilevante)
5,2
2,6
TRACCE
DI MUFFA,
OSSIDAZIONE,...
2,6
AL TATTO,
È MODIFICATO
4,8
5,2
ODORE
SGRADEVOLE
Ci sono eccedenze
nella vostra dispensa
o frigorifero?
5,1
ALIMENTO
NON FAMILIARE
SCADUTO
SAPORE
ALTERATO
0%
si, quotidianamente
1,1%
si, spesso
12,9% si, qualche volta
57%
si, raramente
29%
mai
21
CONCLUSIONI
Il fatto che 2.727 famiglie abbiano liberamente e gratuitamente aderito all’indagine sullo spreco alimentare dentro le
mura di casa rappresenta un evento che chiede di essere
valorizzato; certamente non un campione statisticamente
rappresentativo, ma un dato di realtà, oggettivo e fondato
sull’esperienza. Forse, una vera e propria primizia!
Rispetto al merito, emergono due considerazioni fondamentali.
Lo spreco non abita nelle case delle famiglie lombarde.
Enfatizzare gli sprechi, additare i consumatori come colpevoli di dilapidare tonnellate e tonnellate di alimenti ancora buoni è azione che non trova fondamento empirico.
Anche quando si creano eccedenze, l’obiettivo delle famiglie è evitare lo spreco attivando strategie diversificate,
ma univoche. Strategie che hanno inizio sin dal momento
dell’acquisto laddove si riesce - impresa non sempre facile – a differenziare i luoghi di acquisto. Certamente su
questo fronte molto può essere fatto e proposto a partire
dalla compilazione della lista della spesa fino alla scelta
di ingredienti piuttosto che di alimenti preparati e pronti al
consumo.
Perché si creano eccedenze? Non per superficialità, ma
soprattutto per elementi esogeni. Le famiglie più complesse e numerose presentano una domanda di pasti differenziata, difficilmente pianificabile e comunque soggetta
a frequenti variazioni. Chi vive solo e ha poche relazioni
22
sociali riesce a programmare meglio e, di conseguenza,
ottimizza acquisti e i consumi.
Si tratta di tre fattori direttamente proporzionali: chi consuma di più produce più eccedenze e più probabilmente
è esposto al rischio dello spreco. Bassi livelli di consumo
preservano fisiologicamente dallo spreco.
Generare eccedenze, però, non significa automaticamente sprecare molto. Nelle famiglie lombarde, i beni alimentari vengono gettati quando le alternative di recupero si
sono esaurite oppure il dato di realtà impone tale decisione al punto che l’enfasi posta sulla scadenza dei prodotti
si consuma nell’atto di acquisto, ma scema in fase di gestione della dispensa.
Non servono campagne anti-spreco o slogan dal vago
sapore terroristico a modificare gli errori dei consumatori,
bensì serve formare quotidianamente le persone a comportamenti più attenti, compatibilmente con la loro situazione sociale, economica e culturale.
Non servono iniziative spot dei soggetti pubblici, bensì
serve attivare reti di collaborazione territorialmente radicate tra soggetti pubblici, profit e no profit per recuperare
le eccedenze e rimetterle in circolo attivando tutte le leve
disponibili.
Serve che le associazioni dei consumatori facciano loro
l’eredità di Expo 2015 declinandola sul loro impegno quotidiano: “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
CAMPIONE, QUESTIONARIO E RISULTATI
Il campione
Il 43,2% dei questionari (1178 famiglie) è stato compilato in provincia di Milano, il 27,4% (746) in provincia di Brescia e il 6,5% (176) in provincia di
Bergamo. Como e Pavia sono le province meno rappresentate con un valore pari allo 0,8%. La somministrazione dei questionari è avvenuta online
mediante una molteplicità di canali: i siti web delle tre associazioni promotrici del progetto e le newsletter di Klikkapromo e di Simply.
Rispetto alla distribuzione per genere, il 30,2% sono uomini (821 soggetti), il 69,8% donne (1906 persone). Se è vero che più del 95% degli intervistati
sono italiani, è altrettanto vero che la piccola quota di stranieri è decisamente variegata al suo interno comprendendo soggetti di 19 nazionalità
diverse!
L’età media complessiva è pari a 47,7 anni; leggermente più maturi gli uomini che hanno un’età media di 50,7 anni contro il 46,4 delle donne.
Il 27% sono laureati, il 43,8% ha un diploma di scuola media superiore, il 14,4% un diploma professionale, il 14,7% ha assolto l’obbligo scolastico.
La tabella seguente illustra come descrivono la loro condizine economica i 2727 intervistati (17 non rispondono)
Decisamente in difficoltà; abbiamo necessità di farci aiutare
v.a.
%
44
1,6
Facciamo fatica
368
13,6
L’essenziale non manca
1143
42,3
C’è l’essenziale e anche qualcosa in più
831
30,5
Stiamo bene
324
11,9
Totale
2710
100
Questionario e risultati
Sezione 1 - Fare la spesa
Tabella b1 - Compila la lista della spesa prima di fare acquisti? (v.a. e %)
v.a.
%
Sì, facciamo sempre la lista della spesa e compriamo solo quello
137
5
Sì, facciamo la lista della spesa, ma non trascuriamo le offerte e le occasioni
1672
61,3
Sì, però, pur facendo la lista, compriamo anche altri beni
402
14,7
Non facciamo la lista della spesa perché sappiamo cosa serve in casa
447
16,4
Non abbiamo mai fatto la lista della spesa
69
2,5
2727
100
Totale
Tabella b2 - Consulta siti web e/o volantini pubblicitari per verificare la presenza di promozioni? (v.a e %)
Sì
No
v.a.
%
Totale
v.a.
5
v.a.
%
Siti web
(non risponde 361)
927
39,2
1439
60,8
2366
100
Volantini
(non risponde 56)
296
11,1
2375
88,9
2671
100
Tabella b3 - Di solito, in quale tipo di punto vendita acquista i seguenti beni? (v.a. e %)
Supermercato
Discount
Dettaglio
Mercato
km 0, GAS...
A domicilio
N.R
Totale
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
%
v.a.
v.a.
Pane
1281
47
126
4,6
990
36,3
15
0,6
118
4,3
123
4,5
74
2727
Frutta
1593
58,4
210
7,7
250
9,2
533
19,5
100
3,7
26
1
15
2727
Verdura
1625
59,6
208
7,6
229
8,4
467
17,1
124
4,5
50
1,8
24
2727
Carne fresca
1793
65,7
92
3,4
644
23,6
14
0,5
93
3,4
16
0,6
75
2727
Pesce fresco
1875
68,8
47
1,7
449
16,5
127
4,7
37
1,4
30
1,1
162
2727
Affettati
2217
81,3
208
7,6
202
7,4
23
0,8
23
0,8
9
0,3
45
2727
Formaggi
2032
74,5
239
8,8
179
6,6
143
5,2
94
3,4
9
0,3
31
2727
Uova
2049
75,1
239
8,8
99
3,6
43
1,6
183
6,7
69
2,5
45
2727
Latte.....
2300
84,3
261
9,6
69
2,5
4
0,1
45
1,7
9
0,3
39
2727
% calcolate sulle risposte date comprensive dei missing, che in tabella sono indicati solo in v.a. per motivi di spazio
23
Tabella b4 - Da 1 a 7, quanta importanza date ai seguenti criteri di scelta del prodotto? (1= nessuna, 7 = massima)
Moda
Mediana
Media
La fiducia in chi lo vende
7
6
5,4
La data di scadenza
7
7
6,2
La curiosità per la novità
4
4
3,9
Il prezzo
7
6
6
La filiera del prodotto (origine, tipo di lavorazione....)
7
6
5,5
Il risparmio di tempo nell’acquisto (es. affettati pre-confezionati)
5
4
4,2
La composizione del prodotto (ingredienti, additivi...)
7
6
5,6
Le promozioni (es. 3x2, offerte speciali, buoni sconto...)
7
6
5,8
Il formato coerente con i bisogni (monoporzione, formato famiglia...)
6
6
5,4
Il risparmio di tempo in cucina (es. prodotti pre-cotti...)
1
3
3,5
La marca
5
5
4,5
Tabella b5 - Volendo comprare delle mele in un supermercato. Come si comporta solitamente? (v.a e %)
v.a.
%
Le compro sfuse così posso sceglierle
967
35,6
Le compro sfuse perché ne compro quanto voglio
536
19,7
Le compro confezionate perché sono più protette
71
2,6
Le compro confezionate perché si fa prima
108
4
Confronto quelle sfuse e quelle confezionate e scelgo di volta in volta
1034
38,1
Totale
2716
100
11 non risposte
Tabella b6 - Per coniugare risparmio e attenzione agli sprechi, quale delle due seguenti opzioni ritiene più efficace? (v.a. e %)
v.a.
%
Consultare le offerte promozionali e recarmi di volta in volta nel punto vendita
1898
69,6
Utilizzare buoni sconto personalizzati a lunga scadenza spendibili in più eserczi commerciali
829
30,4
Totale
2727
100
Tabella b7 - Rispetto all’utilizzo di buoni sconto, quale delle due seguenti opzioni preferisce? (v.a. e %)
v.a.
%
2035
74,6
Buoni sconto digitali utilizzabili con il cellulare
692
25,4
Totale
2727
100
v.a.
%
Prodotto da consumare entro il 15 luglio 2014
266
9,8
Prodotto da consumare preferibilmente entro il 15 luglio 2014
272
10
Prodotto confezionato il 30 giugno 2014, da consumarsi entro il 15 luglio 2014
668
24,5
Prodotto confezionato il 30 giugno, da consumarsi preferibilmente entro il 15 luglio 2014
915
33,6
Prodotto confezionato il 30 giugno, da vendere entro il 10 luglio, da consumarsi entro il 15 luglio
597
21,9
Totale
2727
100
Buono sconto tradizionali in carta da staccare, ritagliare o stampare
Tabella b8 - Quale, tra le seguenti opzioni di etichetta, orienta meglio le scelte del consumatore? (v.a. e %)
9 non risposte
24
Sezione 2 - A tavola
Tabella b9 - Succede che parte di quanto servito in tavola venga avanzato? (v.a. e %)
v.a.
%
Sì, quotidianamente
49
1,8
Sì, spesso
215
7,9
Sì, qualche volta
1068
39,2
Sì, raramente
1085
39,8
Mai
310
11,4
Totale
2727
100
Tabella b10 - Quanto incidono le seguenti cause sulla creazione degli avanzi? (1 = nulla; 7 = moltissimo)
Moda
Mediana
Media
Porzioni superiori al bisogno (es. cucino tutto la confezione per non avere rimanenze...)
1
4
3,8
Variazione del numero di coperti (es. figli restano fuori casa a mangiare...)
1
2
2,8
Presenza di ospiti (es. ricorrenze, anniversari....)
1
3
3,4
Errori di cucina (es. troppo cotto, troppo salato...)
1
2
2,2
Mancato apprezzamento degli alimenti (es. quel tipo di carne non piace...)
1
2
2,6
Tempistica differenziata (es. si mangia in momenti diversi a causa....)
1
2
2,8
Tabella b11 - Come vengono gestiti gli avanzi? (1 = mai; 7 = sempre)
Moda
Mediana
Media
Sono congelati per essere riutilizzati dopo un po’ di tempo
1
4
3,7
Sono riutilizati per preparare altri piatti (es. polpette...)
1
4
4
Sono conservati per essere riproposti nei pasti successivi (es. riscaldo verdure cotte...)
7
6
5,2
Sono destinati ad uso zootecnico (es. cani, gatti, galline...)
1
1
2
Sono destinati ad usi alternativi (es. compostaggio...)
1
1
1,9
Sono offerti ad altri (es. ai genitori, ai vicini...)
1
1
1,9
Sono gettati via
1
1
2,1
Sezione 3 - In dispensa e frigorifero
Tabella b12 - Capita che parte degli alimenti acquistati vengano gettati via senza essere né cucinati, né consumati? ( v.a. e %)
v.a.
%
0
0
Sì, quotidianamente
Sì, spesso
29
1,1
Sì, qualche volta
352
12,9
Sì, raramente
1554
57
Mai
792
29
Totale
2731
100
Tabella b13 - Quanto pesano le seguenti cause nella decisione di scartare gli alimenti acquistati e né cucinati, né consumati?
(1 = nulla, 7 = moltissimo)
Moda
Mediana
Media
Superamento della data di scadenza
7
6
4,8
Al tatto, l’alimento è modificato
7
4
4,3
Sono visibili tracce di muffa, ossidazione...
7
6
5,2
L’odore dell’alimento è sgradevole
7
6
5,2
Il sapore dell’alimento è alterato
7
6
5,1
Mancanza di familiarità con l’alimento (es. cibo regalatomi impegnativo da cucinare...)
1
2
2,6
Stagionalità dell’alimento (es. farina per polenta acquistata in inverno e non usata...)
1
2
2,8
25
Tabella b14 - Come prevenite la creazione di questi scarti? (1 = mai; 7 = sempre)
Moda
Mediana
Media
Controlliamo costantemente le date di scadenza dei prodotti già acquistati
7
7
5,9
Posizioniamo in prima linea prodotti che scadono prima
7
6
5,7
Compriamo solo l’essenziale
7
5
4,9
Facciamo la spesa più volte la settimana
7
5
4,4
Compriamo solo beni a lunga conservazione
4
3
3,5
Cuciniamo ciò che è necessario consumare prima che scada
7
6
5,6
Congeliamo il fresco che non consumeremo a breve
7
6
5,6
Invitiamo famigliari o amici per pranzi o cene
1
2
2,5
Regaliamo a famigliari o amici gli alimenti in scadenza che non useremo
1
1
2,4
Portiamo gli alimenti che non useremo a centri di aiuto per persone in difficoltà
1
1
1,9
Tabella b15 - Complessivamente, in una scala da 1 a 10, dove colloca la sua famiglia rispetto alla gestione delle eccedenze alimentari?
(1 = non sprechiamo niente; 10 = sprechiamo troppo)
1
2
3,54
4
5
6
Moda = 2 - Mediana = 3
26
7
8
9
10
28