Il “diritto” del condomino al distacco dall`impianto di

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Il “diritto” del condomino al distacco dall`impianto di
Opinioni
Speciale riforma
Riscaldamento
Il “diritto” del condomino
al distacco dall’impianto di
riscaldamento dopo la Riforma
di Giulio Tommaso Gomitoni - Avvocato in Milano
Il nuovo art. 1118, comma 4, cod. civ. introdotto dalla Riforma del condominio negli edifici ha disciplinato, in
sostanziale continuità con un consolidato orientamento giurisprudenziale, i presupposti e le conseguenze
del distacco, da parte di un condomino, dall’impianto di riscaldamento comune.
L’opinione prevalente prima della Riforma
Secondo l’orientamento giurisprudenziale di legittimità prevalente prima della Riforma (1), ciascun
condomino aveva la facoltà di rinunziare all’utilizzo
dei flussi termici derivanti dall’impianto di riscaldamento comune, distaccando le diramazioni da quest’ultimo connesse alla sua unità immobiliare senza
necessità di ottenere un’apposita autorizzazione assembleare, purché provasse che «dalla sua rinunzia e
dal distacco, non derivano né un aggravio di spese
per coloro che continuano a fruire del riscaldamento centralizzato, né uno squilibrio termico dell’intero edificio, pregiudizievole per la regolare erogazione
del servizio» (2). Conseguentemente, secondo questa opinione, il condomino distaccante, pur continuando a dover corrispondere quanto necessario per
la conservazione dell’impianto di riscaldamento
centralizzato (che rimaneva di proprietà comune),
sarebbe stato sollevato dal contribuire alle spese per
l’uso dell’impianto medesimo.
Tale consolidata posizione della giurisprudenza (rispetto alla quale erano da registrare dei motivati dissensi dottrinali (3)) sembrava conforme ai principi
che regolano la materia. Da un lato, infatti, secondo
l’interpretazione prevalente, l’art. 1123, comma 2,
cod. civ. impone la ripartizione delle spese per il riscaldamento in proporzione alla superficie radiante
di ciascuna unità immobiliare (4), così che, in caso
di “chiusura dei rubinetti” dei radiatori, ovvero di
completo distacco (e quindi, in entrambi i casi, con
riduzione della superficie radiante fino a zero) nulla
sarebbe dovuto. Dall’altro lato, il duplice limite imposto alla facoltà di distacco (assenza di aggravio di
spese a carico dei condomini che continuano a frui-
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re dell’impianto comune e assenza di pregiudizi alla
regolare erogazione del servizio) appariva coerente
con quanto disposto dall’art. 1102 cod. civ., il quale
preclude che della cosa comune si faccia un uso (o
un non uso) idoneo ad alterare il rapporto di equilibrio tra i comproprietari.
Estranea al perimetro di consolidamento dell’orientamento giurisprudenziale citato, e controversa, restava invece la questione relativa alla possibilità o
meno di vietare il distacco dall’impianto di riscaldamento comune per via regolamentare (5).
Note:
(1) La legge 11 dicembre 2012, n. 220 recante «Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici» è stata pubblicata in G.U. n.
293 del 17 dicembre 2012 e, al suo art. 32, prevede che «le disposizioni di cui alla presente legge entrano in vigore dopo sei
mesi dalla data di pubblicazione della medesima nella Gazzetta
Ufficiale».
(2) Così, Cass. 30 giugno 2006, n. 15079. Nello stesso senso, ex
multis: Cass. 3 aprile 2012, n. 5331; Cass. 29 settembre 2011, n.
19893; Cass. 29 marzo 2007, n. 7708; Cass. 30 marzo 2006, n.
7518; Cass. 25 marzo 2004, n. 5974; Cass. 2 luglio 2001, n. 8924;
Cass. 21 maggio 2001, n. 6923. Per una esposizione del risalente orientamento giurisprudenziale di segno contrario, cfr. A. Celeste, A. Scarpa, Riforma del condominio, Milano, 2012, 35 ss.
(3) Si v. l’articolato dissenso espresso da N. Izzo, in Giust. civ.,
2012, 361 ss. in nota a Cass. 29 settembre 2011, n. 19893.
(4) Cfr., sul punto, A. Scarpa, Le spese, in Il nuovo condominio,
a cura di R. Triola, Torino, 2013, 1015.
(5) Da ultimo, in senso negativo, Cass. 29 settembre 2011, n.
19893, cit. alla nt. 3, per la quale non può rilevare, in senso impediente alla rinuncia da parte del singolo condomino all’uso dell’impianto di riscaldamento comune, «la disposizione eventualmente contraria contenuta nel regolamento di condominio, anche se contrattuale, essendo quest’ultimo un contratto atipico
meritevole di tutela solo in presenza di un interesse generale
dell’ordinamento». In senso favorevole all’introduzione di tale di(segue)
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L’art. 1118, comma 4, cod. civ. introdotto
dalla Riforma
In tale contesto, la Riforma ha introdotto, all’art.
1118, comma 4, cod. civ., la seguente disposizione:
«il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli
squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli
altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per
la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la
sua conservazione e messa a norma».
L’opinione dei primi commentatori, nel senso che la
nuova disposizione rappresenterebbe un sostanziale
accoglimento dell’orientamento giurisprudenziale
sopra menzionato (6), è quindi condivisibile.
Va segnalata, ed accolta favorevolmente, la precisazione per cui gli squilibri di funzionamento, per impedire al condomino di operare il distacco, devono
essere “notevoli”. Tale criterio consentirà all’autorità giudiziaria di disciplinare le singole fattispecie
precludendo distacchi tecnicamente irrazionali e
permettendo distacchi che siano osteggiati dagli altri condomini per ragioni futili o emulative (che potrebbero celarsi dietro trascurabili esigenze “tecniche”).
Non pare corretto interpretare la nuova disposizione nel senso di consentire il distacco in presenza di
aggravi di spesa per gli altri condomini, purché anch’essi non siano “notevoli”. A parte il dato letterale, di per sé non invincibile, una simile interpretazione non sembra condivisibile per due ragioni.
In primo luogo, non si vede perché solo rispetto a
questo tema sarebbe stata introdotta una disciplina
differenziata rispetto ai principi stabiliti dall’art.
1102 cod. civ., che pone a carico del compartecipe
le maggiori spese, anche di gestione (7), derivanti
dalle modificazioni dallo stesso introdotte (disciplina differenziata - della cui ragionevolezza sarebbe lecito dubitare - che consentirebbe al condomino operante il distacco di far gravare sugli altri i
maggiori costi derivanti dalla sua scelta). In secondo luogo, perché una simile interpretazione non
impedisce in maniera assoluta il distacco (a differenza di quanto accadrebbe laddove l’aggettivo
“notevole” non fosse stato previsto rispetto agli
squilibri di funzionamento), permettendo al condomino che intenda operare un distacco comportante aggravi di spesa per gli altri di offrirsi di farsi
carico di tali aggravi al fine di comunque procedere. Di fronte a una disposizione interpretata come
appena ipotizzato, un condomino “razionale” sce-
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glierebbe di operare il distacco solo laddove l’operazione gli risultasse comunque complessivamente
conveniente, anche tenuto conto di quanto necessario per renderla economicamente neutra rispetto
agli altri condomini. Interpretando diversamente
la disposizione, la stessa - da presidio della libertà
del singolo non ostativa dell’identica libertà altrui
- sarebbe fonte, dopo il primo distacco, di un paradossale e irrazionale incentivo, per gli altri condomini, a distaccarsi anch’essi dall’impianto comune,
al fine di non dover sopportare i maggiori costi posti a loro carico in ragione da tale primo distacco
(incentivo che, di distacco in distacco, diverrebbe
sempre maggiore) (8).
La nuova disposizione ha suscitato l’interesse dei
primi commentatori anche rispetto ad altre due questioni, che saranno brevemente trattate di seguito.
Ammissibilità dell’introduzione
di un divieto regolamentare al distacco
Il tema dell’ammissibilità (o meno) di previsioni regolamentari di natura c.d. “contrattuale” che vietino al condomino di effettuare il distacco dall’im-
Note:
(continua nota 5)
vieto, Cass. 21 maggio 2001, n. 6923, la quale aveva in precedenza ritenuto che «la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco
del proprio impianto dalle diramazioni dell’impianto centralizzato
è legittima, quando l’interessato dimostri che, dal suo operato,
non derivano né aggravi di spese per coloro che continuano a
fruire dell’impianto, né squilibri termici pregiudizievoli della regolare erogazione del servizio, solo nel caso in cui il regolamento di
condominio di natura contrattuale non la vieti esplicitamente.
(Nella specie la corte ha affermato che il regolamento condominiale, anche se contrattuale, mentre non può consentire la rinuncia all’uso dell’impianto centralizzato con esonero dalle spese, può, invece, prevedere il divieto dal distacco non essendo
detto divieto in contrasto con la disciplina dell’uso della cosa comune)». Sulla categoria del regolamento condominiale c.d.
“contrattuale”, cfr., infra, nt. 9.
(6) Cfr. P. Giuggioli, M. Giorgetti, Il nuovo condominio, Milano,
2013, 126 ss.; M. Monegat, La riforma del condominio, Milano,
2013, 56; A. Scrima, Le parti comuni, in Il nuovo condominio cit.
alla nt. 4, 130.
(7) Cfr., in questo senso, G. Branca, Comunione Condominio negli edifici, in Commentario del Codice Civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1982, 120.
(8) Un’impostazione simile a quella criticata nel testo sembrerebbe sottesa alla ricostruzione dell’operatività concreta della regola posta dall’art. 1118, comma 4, cod. civ. presentata da A. Celeste, A. Scarpa, op. cit. alla nt. 2, 39, laddove si dice che l’iniziativa del distacco dall’impianto di riscaldamento comune garantirebbe un risparmio economico per il singolo mentre «analogo risparmio non sembra verificarsi […] per i condomini che non hanno assunto tale iniziativa, perché la caldaia, costruita e tarata per
tot appartamenti, continuerà a consumare in base alla sua originaria potenza, indipendentemente dalle unità immobiliari da riscaldare».
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pianto comune non sembrerebbe essere stato affrontato dal nuovo art. 1118, comma 4, cod. civ. (9).
Si è accennato che, sul punto, la giurisprudenza si è
espressa, prima della Riforma, in senso non univoco:
ad un orientamento che ha ritenuto valida la clausola di un regolamento condominiale contrattuale
contemplante il divieto di distacco se ne è contrapposto un altro che ha ritenuto una simile clausola
nulla in quanto immeritevole di tutela ex art. 1322,
comma 2, cod. civ. rispetto a «l’interesse generale
dell’ordinamento» (10).
Alla luce della Riforma, per alcuni dei primi interpreti la soluzione alla questione sarebbe da rintracciare nel nuovo art. 1138, comma 4, cod. civ., che
non include l’art. 1118, comma 4, cod. civ. nell’elenco delle disposizioni alle quali le norme del regolamento «in nessun caso possono derogare». Ciò
(anche tenuto conto che tale elenco invece include
l’art. 1118, comma 2, cod. civ.) sarebbe indice dell’ammissibilità della deroga all’art. 1118, comma 4,
cod. civ. (11).
Tuttavia, la mancata menzione d’inderogabilità della disposizione di cui all’art. 1118, comma 4, cod.
civ. ad opera del regolamento di per sé non esclude
che, in concreto, una clausola che dispone una deroga alla medesima disposizione vietando il distacco
dall’impianto comune possa comunque, nel caso
specifico, essere immeritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2, cod. civ., né esclude che la
stessa debba essere interpretata ed eseguita secondo
buona fede, e che ciò importi, in concreto, consentire comunque il distacco qualora dallo stesso non
derivino «notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini» (12).
La soluzione dovrebbe quindi essere cercata in relazione alle singole fattispecie, avendo riguardo alle
particolarità degli stabili e dei loro impianti di riscaldamento, ponendo attenzione all’uso del canone
interpretativo/integrativo della buona fede.
Sembra invece opportuno un maggiore approfondimento per poter acconsentire all’affermazione secondo la quale, laddove una simile clausola di regolamento condominiale contrattuale fosse in concreto ritenuta valida ed efficace, tale efficacia potrebbe
spiegarsi solo nei confronti degli originali stipulanti
e potrebbe essere interrotta per il tramite del recesso
(13). Al riguardo, tenuto conto che la materia regoNote:
(9) La categoria dei regolamenti c.d. “contrattuali” viene richiamata in giurisprudenza per indicare una molteplicità di “regolamenti” cui spesso si ricorre nella prassi condominiale, i quali si
distinguono dai regolamenti “assembleari” innanzitutto per non
essere stati approvati dall’assemblea a maggioranza, ma - per ci-
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tare, quali esempi, alcuni dei casi più comuni - per essere stati
predisposti dall’originario proprietario e poi “richiamati” nei contratti di trasferimento delle proprietà individuali ovvero per essere stati predisposti ed in vario modo “accettati” da tutti i proprietari. Attraverso tali regolamenti, proprio in quanto vincolanti
tutti i proprietari, sarebbe possibile stabilire regole non nella disponibilità della maggioranza e direttamente incidenti sulle situazioni proprietarie di ciascun condomino (cfr. le “convenzioni”
di cui all’art. 1138, comma 4, cod. civ.).
(10) Cfr., supra, la nt. 5. Si v. anche Cass. 28 gennaio 2004, n.
1558, per la quale «in materia di condominio negli edifici, la previsione, nel regolamento condominiale, dell’obbligo di contribuzione alle spese di gestione del riscaldamento svincolato dall’effettivo godimento del servizio (il cui fondamento va ravvisato
nell’esigenza di disincentivare il distacco quale fonte di squilibrio
sotto il profilo tecnico ed economico dal riscaldamento centralizzato, ben potendo i condomini, in esplicazione della loro autonomia privata, assumere peraltro in via negoziale la prevista obbligazione corrispettiva) va ricondotta non già nell’ambito della
regolamentazione dei servizi comuni, bensì in quello delle disposizioni che attribuiscono diritti o impongono obblighi ai condomini; ne consegue che essa non è modificabile da delibera assembleare, se non con l’unanimità dei consensi».
(11) Così F. Moscatelli, E. A. Correale, La nuova disciplina del
condominio, Roma, 2013, 48-9. Dubitativa, sul punto, M. Monegat, op. cit. alla nt. 6, 59. Ritengono che il problema resti aperto
A. Celeste, A. Scarpa, op. cit. alla nt. 2, 38 (ma v., a p. 39, dove
si ipotizza, laddove siano osservati i presupposti di cui all’art.
1118, comma 4, cod. civ., la legittimità di un distacco operato
«by-passando l’espresso divieto contenuto nel regolamento di
condominio»). Nel senso dell’ammissibilità del divieto regolamentare, anche se richiamandosi alla giurisprudenza precedente alla Riforma, L. Bellanova, L’uso delle parti comuni, in Il nuovo condominio cit. alla nt. 4, 206.
(12) Sulla integrazione e correzione del contratto sulla base del
principio di buona fede, cfr. Cass. 18 settembre 2009, n. 20106,
la quale ha stabilito che «i princìpi di correttezza e buona fede
nell’esecuzione e nell’interpretazione dei contratti, di cui agli
artt. 1175, 1366 e 1375 cod. civ., rilevano sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non
espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia
necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il
secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in
senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto,
qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del
diritto» e, da ultimo, Cass. 15 ottobre 2012, n. 17642, per la quale «in tema di fideiussione, il generale principio etico-giuridico di
buona fede nell’esercizio dei propri diritti e nell’adempimento
dei propri doveri, insieme alla nozione di abuso del diritto, che ne
è un’espressione, svolge una funzione integrativa dell’obbligazione assunta dal debitore (nella specie, la banca), quale limite
all’esercizio delle corrispondenti pretese, avendo ciascuna delle
parti contrattuali il dovere di tutelare l’utilità e gli interessi dell’altra, nei limiti in cui ciò possa avvenire senza un apprezzabile
sacrificio di altri valori. (Principio enunciato con riferimento al
comportamento della banca recedente dalla garanzia concessa
al cliente che aveva superato il limite dell’affidamento senza dare riscontro alle richieste di rientrare nel saldo debitorio)».
(13) Si è espressa in questo senso A. Scrima, in Il nuovo condominio cit. alla nt. 4, 133, la quale ha motivato il suo convincimento, in relazione alla prima statuizione, sulla base dell’art.
1372, comma 2, cod. civ. e, in relazione alla seconda affermazione, sulla base dell’art. 1373, comma 3, cod. civ. «trattandosi
di contratto ad esecuzione continuata». A quest’ultimo riguardo,
ferme le perplessità di cui al testo rispetto alla posizione dell’A.
citata, in generale sul tema della facoltà di recesso unilaterale
(segue)
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lamentare (rispetto alla quale la Riforma, nonostante le sollecitazioni dottrinali, non sembra aver risolto i numerosi temi oggetto di discussione) è ancora
oggi tra le più magmatiche nella disciplina del condominio, in questa sede si può solo indicare l’esistenza di un dibattito circa i presupposti per poter affermare il rilievo “reale” (in termini, ad es., di servitù) delle clausole del regolamento condominiale
c.d. contrattuale, con tutto ciò che ne consegue in
termini di soggezione alla trascrizione, di efficacia
nel tempo e ultra partes (14). Laddove, infatti, si potesse affermare la natura “reale” di una clausola quale quella qui in discussione, difficilmente si potrebbe
immaginare una sua inefficacia nei confronti dei
successivi acquirenti delle unità immobiliari condominiali ovvero la possibilità di liberarsene attraverso il recesso.
zati, ma al mantenimento di questi ultimi quale soluzione alternativa al ricorso ad impianti con generazione di calore separata: il mero distacco, in quanto
tale, potrebbe essere effettuato senza alcun successivo “allaccio” ad un altro impianto non centralizzato,
e quindi senza che si verifichi la fattispecie di cui all’art. 4, comma 9, D.P.R. 2 aprile 2009, n. 59.
Ciò detto, anche una volta che avrà legittimamente
effettuato il distacco dall’impianto centralizzato, il
condomino, qualora intenda collegarsi ad un nuovo
impianto termico separato, sarà comunque tenuto
ad effettuarne l’installazione a norma di legge e
quindi anche nel rispetto delle prescrizioni in materia di efficienza energetica.
Distacco e rispetto degli obblighi derivanti
dalla partecipazione dell’Italia all’UE
Da ultimo, è opportuno accennare alle perplessità
sollevate da chi (15), tra i primi lettori della Riforma, ha ritenuto di rilevare un «palese contrasto» tra
il nuovo art. 1118, comma 4, cod. civ. e l’art. 4, comma 9, D.P.R. 2 aprile 2009, n. 59, a mente del quale
- quale regolamento di attuazione del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 192 a sua volta attuativo della direttiva
2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia dispone che «in tutti gli edifici esistenti con un numero di unità abitative superiore a 4, e in ogni caso
per potenze nominali del generatore di calore dell’impianto centralizzato maggiore o uguale a 100
kW, appartenenti alle categorie E1 ed E2, così come
classificati in base alla destinazione d’uso all’art. 3,
del D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, è preferibile il
mantenimento di impianti termici centralizzati laddove esistenti; le cause tecniche o di forza maggiore
per ricorrere ad eventuali interventi finalizzati alla
trasformazione degli impianti termici centralizzati
ad impianti con generazione di calore separata per
singola unità abitativa devono essere dichiarate nella relazione di cui al comma 25».
Il citato art. 4, comma 9, D.P.R. 2 aprile 2009, n. 59,
e le fonti di diritto dell’Unione di cui lo stesso costituisce attuazione, erano già state richiamate, precedentemente alla Riforma, quale elemento di una
complessiva critica all’orientamento giurisprudenziale di cui l’art. 1118, comma 4, cod. civ., si è visto,
costituisce un sostanziale recepimento (16).
Al riguardo, impregiudicata la necessità di indagare
la concreta portata precettiva del richiamato testo
legislativo, sembra possibile osservare che lo stesso fa
riferimento non al distacco dagli impianti centraliz-
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Note:
(continua nota 13)
nei contratti di durata privi di termine finale, si rinvia a G. Gabrielli, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Milano, 1985,
13 ss. In giurisprudenza, si v. peraltro Cass. 4 agosto 2004, n.
14970, per la quale «il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, rispondendo all’esigenza di evitare la perpetuità del
vincolo obbligatorio, la quale è in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. Tuttavia, non trattandosi di
principio inderogabile che coinvolga interessi pubblici o generali,
le parti possono derogare alla recedibilità “ad nutum“, purché la
rinuncia - sia pure implicita - investa direttamente la stessa recedibilità. Pertanto qualora, come nella specie, il contratto rechi la
disciplina pattizia soltanto di alcune ipotesi di inadempimento,
tale previsione, in difetto di specifiche determinazioni ulteriori,
non può incidere sulla recedibilità “ad nutum“ che rappresenta
la causa estintiva ordinaria del rapporto di prestazione d’opera
professionale (dedotto nella specie)».
(14) Cfr., ad es., E. V. Napoli, G. E. Napoli, Il regolamento di condominio, in Il Codice Civile Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F. D. Busnelli, Milano, 2011, 232 ss. e 285 ss.
(15) Cfr. F. Moscatelli, E. A. Correale, op. cit. alla nt. 9, 49-50.
(16) Cfr. N.Izzo, op. cit. alla nt. 3.
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