C:\Users\Enrica1\Desktop\Tesine III B 2015\Marta

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Le ore di Virginia
"Caro Leonard,
guardare la vita in faccia, sempre; guardare la vita, sempre, riconoscerla per quello che è;
alla fine, conoscerla, amarla per quello che è, e poi metterla da parte. Leonard, per sempre gli anni
che abbiamo trascorso; per sempre gli anni; per sempre, l'amore; per sempre, le ore.
Virginia"
Meryl Streep (Clarissa), Julianne Moore (Laura), Nicole Kidman (Virginia)
Il mio percorso intende esplorare il rapporto tra le categorie concettuali del modernismo e
del postmodernismo attraverso l’analisi della riscrittura, letteraria e cinematografica, del
romanzo Mrs. Dalloway (inizialmente concepito con il titolo di The Hours) di Virginia
Woolf, da parte dello scrittore Michael Cunningham e del regista Stephen Daldry.
The Hours nasce proprio come un omaggio di Cunningham alla Woolf, sua musa ispiratrice a
partire dal titolo – come si è visto - fino allo stile, più attento ai minimi mutamenti degli
animi e dei pensieri dei personaggi che a fatti veri e propri, in omaggio alla
teoria dello stream of consciousness.
Il mio itinerario nasce a partire da questo crocevia di voci e testi, il cui filo unificante è dato
proprio dalla scrittrice inglese, interprete sensibile e intelligente delle inquietudini dell’uomo
novecentesco.
L’età dell’ansia
MODERNISMO
Secondo la celebre definizione di Lukács, il romanzo moderno è l’”epopea di un’epoca nella
quale la totalità estensiva della vita cessa di offrirsi alla percezione sensibile, e la viva
immanenza del senso diventa problematica; un’epoca in cui, tuttavia, persiste la disposizione
emotiva alla totalità”.1 Si tratta di una narrazione che procede per frammenti e mostra così
1
G. Lukács, Teoria del romanzo (1916) a cura di G. Raciti, Milano SE, 1999. Non a caso il saggio si apre con
un’evocazione nostalgica della Grecia antica, in quanto universo armonico che non conosceva la dissonanza tra io e
mondo.
“le crepe e gli abissi” del mondo moderno.
Esso si colloca al centro di quella che molti studiosi hanno definito l’”età dell’ansia” e che
rivela una crisi dei fondamenti suscitata da rivoluzionarie scoperte in campo scientifico e
dalla rottura epistemologica di fine Ottocento rispetto alle correnti di pensiero di impronta
positivista, tali da riflettersi con dirompente energia nelle avventure dell’homo fictus dei
romanzi.
La relatività einsteiniana, la fisica quantistica, le geometrie non euclidee suggeriscono una
diversa concezione dello spazio; le riflessioni del filosofo francese Bergson sul tempo come
durata interiore scardinano le certezze riguardo alla misurabilità oggettiva di questa
categoria del pensiero; la psicologia e, soprattutto, la psicanalisi di Freud2 rivelano all’uomo
zone d’ombra non solo sconosciute, ma inimmaginabili. Davanti allo sgretolamento di
spazio, tempo, soggetto, le grandi narrazioni si frantumano e cercano modalità nuove per
rappresentare la fine di un mondo, la perdita di ogni centro, la depersonalizzazione
dell’individuo.
Lo stream of consciousness (o interior monologue) nasce proprio come conseguenza di un
ordine lineare credibile per l’artista calato nella multidimensionalità; è infatti un
espediente narrativo tipicamente modernista, nato dagli studi sull'inconscio di Sigmund
Freud; la sua notorietà si deve soprattutto a James Joyce, che nel 1906 in Dubliners utilizzò
per la prima volta nella storia della letteratura la tecnica del monologo interiore diretto,
derivante dalla teoria del flusso di coscienza, amplificando poi questa poetica nel 1922
in Ulysses e portandola alle estreme conseguenze nel 1939 in Finnegans Wake. Tale tecnica
narrativa, comunque, fu ampiamente utilizzata anche da molti altri autori, tra i quali,
naturalmente, la stessa Woolf.
In Italia il romanzo del Novecento è rappresentato soprattutto da Luigi Pirandello e Italo
Svevo. Il primo elabora una teoria dell’esistenza che – cristallizzata poi nella formula della
dicotomia vita/forma coniata da Adriano Tilgher - si traduce in narrazioni concitate spesso
incentrate su una quête destinata a rimanere per lo più irrisolta, che pone l’uomo di fronte alle
numerose maschere e ai ruoli che la società gli impone. E’ sufficiente infatti un’epifania,
anche minima, perché questo universo fittizio si sgretoli e l’uomo si riveli una “maschera
nuda”.
Italo Svevo, che la nascita triestina colloca accanto ai fermenti culturali mitteleuropei,
consentendogli pure una conoscenza diretta della psicanalisi, conduce uno scandaglio
profondo nella psiche dei suoi personaggi, di cui mette a nudo soprattutto gli “autoinganni”;
neppure La coscienza di Zeno (1923), il suo capolavoro, presenta però una tecnica narrativa
assimilabile allo stream of consciousness, poiché lo sguardo della voce narrante, per quanto
nevroticamente inattendibile, controlla nel complesso “il narrato”; piuttosto è interessante la
compresenza dei piani narrativi del cosiddetto “tempo misto” dei tanti Zeno che agiscono
contemporaneamente nei blocchi tematici di cui il romanzo si compone.
In Virginia Woolf, tuttavia, più ancora dell'influsso della psicoanalisi di Freud, si
avverte quello dalla filosofia di Henri Bergson, a lei ben nota: sulla scorta delle teorie
bergsoniane, Virginia, come Marcel Proust, sperimenta con particolare interesse il tempo
2
La cui vera scoperta non è tanto l’inconscio, quanto piuttosto l’idea che l’inconscio abbai un suo linguaggio, una sua
logica, e possa essere oggetto di interpretazione nonostante l’apparente assurdità delle sue manifestazioni.
narrativo sia nel suo aspetto individuale, sia nel flusso di variazioni nella coscienza del
personaggio, in relazione col tempo storico e collettivo.
La reazione antipositivistica bergsoniana presenta il tempo sotto l’aspetto della durata e della
dimensione coscienziale, in una rilettura originale della concezione del tempo agostiniana.
Altrettanto importante risulta la nuova concezione della fisica moderna, la quale - con la
teoria della relatività generale formulata da Einstein nel 1916 - considera il tempo come
variabile connessa allo spazio. Perciò, sia che si presenti come dimensione della coscienza, sia
come variabile relativa allo spazio, il tempo acquista una indeterminatezza che lo scrittore o
l’artista colgono in chiave soggettiva, mostrando il fluire del tempo come "vissuto"
psicologico dei propri personaggi, come sequenza non cronologica, ma associativa.
La trama di Mrs Dalloway è in effetti esile, quasi insignificante: un giorno di giugno, una
signora della buona società dà una festa. Ma a questa insignificanza di eventi esteriori (del
resto, non del tutto vera, se si pensa all’episodio parallelo di Septimus Warren Smith) si
contrappone una labirintica profondità dei pensieri, che si moltiplicano per germinazioni
successive, che spesso sorprendono e folgorano il lettore.
Mrs Dalloway (1925)
Un unico giorno, un unico spazio, un unico oggetto: i preparativi per la festa di Clarissa
Dalloway. A questa geometria aristotelica non corrisponde però una narrazione unitaria o
lineare, ma piuttosto pulviscolare e magmatica, data dalle caverne che l’autrice, per sua
stessa ammissione, scava dentro i suoi personaggi.
La materia frammentaria e sfuggente è controllata da un uso calibratissimo di spazio e tempo
- marcati da segnali ricorrenti come il suono del Big Ben o il canto degli uccelli - e dalla
centralità assoluta di Clarissa.
Lo spazio è la tipica città modernista, in questo caso Londra: una fantasmagoria di sguardi,
strade, prospettive e personaggi che si intrecciano e si disperdono, secondo una
risemantizzazione della narrazione dell’incontro cittadino (ricorrente per esempio nei
romanzieri francesi) che diventa celebrazione del caso. In apertura del romanzo, la Woolf
ripercorre i pensieri di una dozzina di personaggi in altrettante pagine. Il passaggio dall’uno
all’altro è reso possibile da piccoli eventi condivisi - come il volo dell’aereo su cui
convergono gli sguardi - che colgono bene quel misto di vicinanza pubblica e interiorità
privata che è il nucleo della flânerie urbana.
Ma è soprattutto la splendida Clarissa - cinquantenne, alto-borghese, una vita
apparentemente dorata e un passato di desideri segreti e negati - il punto di attrazione di
questa «pioggia di atomi» (come si esprime Virginia Woolf in un famoso saggio) che attorno
a lei e alla sua festa si aggrega e si trova per poi perdersi di nuovo. Clarissa e il suo "doppio"
sconosciuto, Septimus Warren Smith - giovane, povero, reduce allucinato di una guerra che
gli ha sconvolto per sempre la mente e la vita: due esistenze che si intrecciano e si
rispecchiano senza mai incontrarsi, lontane eppure accomunate dal dolore e dalla paura,
della morte e della vita. Dolore e paura di cui si libereranno, alla fine, con scelte opposte - la
morte per Septimus e l'accettazione della vita per Clarissa - che chiudono il viaggio della
coscienza di entrambi e i mille percorsi di quella lunga giornata londinese.
L’arcipelago plurale del postmodernismo
POSTMODERNISMO
Il termine postmoderno comincia a diventare un termine chiave del dibattito culturale
contemporaneo a partire dagli anni Cinquanta e Sessanta, inizialmente negli Stati Uniti, e poi,
un decennio più tardi, in Europa. Letteralmente esso contiene il senso di una posteriorità
rispetto al moderno, ma essa non va letta in chiave meramente cronologica, quanto piuttosto
come un diverso modo di rapportarsi al moderno, che non è né quello dell’opposizione, né
quello del superamento. Tuttavia, benché il postmoderno non rappresenti il segno della fine
pura e semplice del moderno, esso è comunque legato all’esperienza di una rottura o di una
crisi.3 Essa coinvolge soprattutto le grandi narrazioni, cioè tutti i modelli teleologici (per
esempio, il marxismo). In un’epoca in cui non solo la cultura è diventata merce, ma anche la
merce è diventata cultura, in cui tutto il mondo è unificato dall’idea di mercato, non hanno
più senso i dettami del Modernismo, come il rifiuto della vita borghese e della
tecnicizzazione, che avrebbero tolto sacralità all’arte, o la ricerca spasmodica del nuovo
attraverso i gesti di choc delle avanguardie. Si impone un mondo di oggetti, tutto presente in
superficie e privo di profondità, nel quale svanisce ogni tensione interpretativa della realtà. Il
soggetto stesso smarrisce la coscienza della propria identità, cosicché scompaiono i grandi
temi psicologici tipici della modernità mentre le cifre stilistiche perdono di individualità e
subentra la contaminazione. La storia stessa appare inconoscibile. Di qui la tendenza a
sviluppare trame labirintiche o enigmatiche, oscure, intorno all’idea del “complotto”.
Talvolta il labirinto è la letteratura stessa, in un gioco esplicito di rimandi e citazioni di
carattere metaletterario.
L’atteggiamento metaletterario non è prerogativa esclusiva del Postmoderno, ma peculiare di
esso è il modo in cui il discorso sulla letteratura viene ormai slegato dalle ragioni esistenziali
dell’autore, presentandosi spesso come puro gioco di duplicazioni e rispecchiamenti.
Di fronte al romanzo modernista, quello di Cunningham si configura appunto come un
ardito esperimento metaletterario per il fatto stesso di rievocare in modo evidente temi e
stilemi woolfiani: in questo caso, però, non si tratta di un esperimento freddo ed
intellettuale, ma un tentativo di far rivivere le atmosfere della scrittrice inglese, ispirato da
profondo amore e rispetto.
METALETTERATURA
L'esperimento non è certamente isolato, anzi, conosce molti precedenti sia nella letteratura
antica che in quella moderna.
Metaletteratura è un termine generico con cui s'intende la produzione di testi letterari che,
anziché concentrarsi sulla vicenda narrata o sulla situazione lirica (a seconda dei
generi), insistono piuttosto sui processi dello scrivere in sé. Ne è esempio ben noto i Sei
3
Si tratta comunque di un vocabolo discusso. Innanzitutto, occorrerebbe distinguere fra l’idea di una nuova epoca,
che inizia con la modernizzazione radicale degli anni Cinquanta, e l’idea di un nuovo stile, che privilegia la citazione, la
contaminazione fra alto e basso, l’eclettismo: per la prima si dovrebbe usare il termine postmoderno, per la seconda
postmodernismo.
personaggi in cerca d'autore di Luigi Pirandello; nell'antichità classica non mancano gli esempi:
solo per citare il più appariscente, buona parte della produzione poetica
di Callimaco (soprattutto i Giambi, alcuni epigrammi e il secondo prologo degli Aitia)
è tipicamente metaletteraria; ma anche il continuo rapporto polemico e antifrastico
che Lucano stabilisce con il suo modello Virgilio nel Bellum civile si può considerare un
esempio di metaletteratura.
Il metaracconto (o racconto di secondo grado) è un fenomeno diverso e più semplice: esso si
verifica quando viene raccontata una storia all'interno della storia stessa. In sintesi, il
metaracconto è un racconto nel racconto. Le origini del metaracconto sono antichissime: si
possono rintracciare già nell’Odissea, precisamente nel flash-back che occupa i libri IX-XII e che
contiene il racconto di Ulisse alla corte dei Feaci. Questa tecnica divenne prassi con il passare
dei secoli, con esempi famosissimi come il Satyricon di Petronio e le Metamorfosi di Apuleio.
Anche le arti figurative conoscono fenomeni analoghi: basti pensare alla vera e
propria metapittura di Velázquez nel quadro Las Meninas, oppure all’ Olympia di Manet, o
ancora allo stile ostentatamente figurativo di Magritte, che simula e nel contempo
smentisce l'illusionismo fotografico per esprimere l'insanabile distanza che separa la realtà
dalla rappresentazione (Ceci n’est pas une pipe).
THE HOURS
Il romanzo e il film raccontano i destini intrecciati di tre donne che vivono in luoghi e
momenti storici diversi, ma sono tutte in qualche modo legate dal romanzo La signora
Dalloway di Virginia Woolf. La prima donna è proprio la Woolf, descritta nei momenti più
feroci della depressione che la portò a togliersi la vita; la seconda è Laura Brown, una madre
di famiglia che nell'America degli anni Cinquanta, anche grazie al libro della Woolf, troverà
il coraggio di cambiare vita; la terza è Clarissa Vaughan, un'intellettuale newyorkese
contemporanea, che dai tempi del college convive col nomignolo di "Mrs. Dalloway" per la
sua affinità col personaggio creato dalla Woolf.
Il romanzo
L’operazione di Cunningham (che vinse anche il premio Pulitzer grazie al romanzo) si pone
come postmoderna per il gioco di specchi che costruisce con il modello woolfiano e per il
gusto della variazione del registro espressivo ad ogni cambiamento di personaggio, ma nello
stesso tempo rivela una autonomia rispetto a questa categorizzazione per il rapporto quasi
affettivo che lo scrittore stabilisce con la scrittrice inglese e per la profondità piuttosto
classica – modernista? – dello scavo psicologico.
Si tratta di tre storie ciascuna di 24 ore (esattamente come l'Ulysses di Joyce, e naturalmente
come Mrs. Dalloway), ambientate in epoche diverse, che intrecciano progressivamente i loro
legami: la giornata di Virginia Woolf alle prese con la scrittura di Mrs. Dalloway (che a sua
volta, in un gioco di specchi, racconta la giornata di Clarissa Dalloway), quella
della editor Clarissa (la più riconoscibile variazione sul tema della novella woolfiana), e
quella della casalinga Laura che legge quel romanzo.
Il nesso tra i tre personaggi femminili a prima vista è dato proprio – e solo – dal romanzo
della Woolf: Virginia lo sta scrivendo, Laura lo sta leggendo e Clarissa ne rappresenta la
moderna incarnazione. Ma altri, e più sottili, sono i fili che legano le tre storie. Virginia e
Laura vivono, sia pure per ragioni diverse, la propria esistenza come una prigione, e
meditano sul mistero della vita e della morte, accarezzando l’idea del suicidio. Vera
ossessione per Virginia, il suicidio come scelta liberatoria si affaccia anche nell’esistenza di
Laura Brown, che se ne libererà proprio attraverso la lettura del romanzo della Woolf, che la
indurrà addirittura a liberarsi delle pastoie familiari abbandonando il marito e i due figli. Il
primogenito di Laura è Richard che, divenuto uomo, è coprotagonista della terza storia.
Grande amore di gioventù di Clarissa Vaughan e scrittore celebrato, seppure di nicchia,
malato di Aids, entra nella vicenda il giorno in cui si appresta a ricevere un prestigioso
riconoscimento letterario e in cui l’amica ed ex amante a cui proprio lui ha assegnato il
nomignolo di “signora Dalloway” prepara una festa – ovvio rimando – in suo onore. Invano,
perché Richard si suiciderà gettandosi dalla finestra per sfuggire a una donna che si
comporta ormai nei suoi confronti come una madre-carceriera (e in questo gesto egli replica il
gesto del Septimus woolfiano).
Il film
La trama inizia nel 1941 nel Sussex: dopo aver lasciato una lettera al marito Leonard, in cui
dice di non poter più combattere contro la depressione, ringraziandolo per la felicità che le ha
dato, la scrittrice britannica Virginia Woolf si suicida annegandosi nel fiume Ouse. Poi la
storia si divide in tre: la storia di un giorno nella vita di Virginia nel 1923; la storia di un
giorno nella vita di Laura Brown, una casalinga infelice che aspetta un bambino, nel 1951; e la
storia di un giorno nella vita di una editor, Clarissa Vaughan, che sta preparando una festa
per il suo ex-amante Richard che sta per morire di AIDS, nel 2001. Il film finisce come è
iniziato, ovvero con il suicidio di Virginia nel 1941.
Le tre storie sono collegate fra di loro da oggetti-immagini, correlativi oggettivi di
sapore eliotiano-montaliano, feticci che il regista Stephen Daldry utilizza per mettere in
rapporto i movimenti, le ossessioni e le pulsioni di queste tre donne, cucendo fra di loro
ottant’anni di storia, due continenti, tre modi di vivere diversi.
La ricerca di un'identità affettiva porta alla deriva tutte e tre, confondendo i limiti fra
sessualità e amore, fra solidarietà e affetto. Virginia Woolf mostra segni di evidente squilibrio
che la condurranno al suicidio e grida il suo allarme alla sorella, sconcertata ma incapace di
offrire il suo aiuto ad una personalità troppo complessa. Laura Brown vive sull’orlo della
crisi, schiacciata dalla serenità del marito che percepisce tutto in funzione della sua bella
famiglia americana dell’era post-bellica. Sull'orlo del suicidio, piuttosto che morire, Laura
sceglierà di vivere la sua natura, abbandonando il nucleo affettivo che gravita intorno a lei.
Privato del suo centro, esso si disgregherà, segnando la morte in giovane età del marito e
della figlia e la deriva sessuale ed esistenziale del figlio, che, persa la propria identità, se ne
creerà una alternativa fatta di parole, che gli varranno un prestigioso riconoscimento
letterario. Richard diverrà poi l’amante di Clarissa "Mrs. Dalloway" Vaughan, che ama
l’uomo al punto di farsene carceriera: recluso a causa dell’AIDS lui, libera e omosessuale lei, i
due vivono un rapporto di interdipendenza che sopperisce al trauma affettivo di Richard,
mai ripresosi dall’abbandono della madre: un personaggio capriccioso e lunatico, avido in
tutte le sue espressioni artistiche e sessuali, che finirà per uccidersi gettandosi dalla finestra.
Il tema del suicidio è onnipresente, come del resto in Mrs. Dalloway: il film si apre con il
suicidio della scrittrice e poi scorre con lentezza e solennità verso la fine, chiudendosi con lo
stesso avvenimento, ciclicamente, a sottolineare l'estraneità dell’universo su cui ci siamo
solamente affacciati per un istante.
“Il tempo è una bandiera che frusta l’albero maestro. Ci fermiamo là dove ci troviamo.
Rigido, lo scheletro dell’abitudine mantiene in piedi esso solo la forma umana.”
Virginia Woolf, Mrs. Dalloway
Nicole Kidman (Virginia) e Stephen Dillane (Leonard)
BIBLIOGRAFIA
Testi
V.WOOLF, Mrs. Dalloway,
M.CUNNINGHAM, The Hours
Studi critici
M.MERLINI, Invito alla lettura di Virginia Woolf, Mursia, 1991
G.DEBENEDETTI, Il romanzo del Novecento, Garzanti, 1998
A.BANFIELD, Mrs Dalloway, in AA.VV, Il romanzo, a cura di F.Moretti, Einaudi, 2001, vol.I,
La cultura del romanzo
G.CHIURAZZI, Il Postmoderno, Bruno Mondadori, 2002
M.FUSILLO, Estetica della letteratura, Il Mulino, 2009
G.MAZZONI, Teoria del romanzo, Il Mulino, 2011