Richiedei Mara MANETTE E TACCHI A SPILLO

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Richiedei Mara MANETTE E TACCHI A SPILLO
Richiedei Mara
MANETTE E TACCHI A SPILLO
Romanzo
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Questo libro è frutto dell’immaginazione dell’Autrice.
Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi, o usati in modo
fittizio.
Qualsiasi somiglianza con fatti, località e persone reali,
viventi o decedute, è puramente casuale.
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Al mio passato,
che si è sostituito alla mia ombra.
Al mio presente,
che mi cammina accanto.
Al mio futuro,
che ancora mi sfugge dalle dita.
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Prologo
L’uomo si accasciò su di lei, nascondendo il viso fra i cuscini del
divano, coperto da un lenzuolo bianco. Sapeva ancora di nuovo.
“ Dio…” sussurrò restando immobile sopra di lei. Il suo corpo nudo
sopra quello della donna. Il contatto della sua pelle gli procurava
ancora piacere.
Era venuto troppo in fretta, per la prima volta, senza far raggiungere
l’orgasmo a lei, che lo aveva portato dolcemente a incontrare quel
brivido di piacere, a confondersi con lui, senza chiedere nulla in
cambio. Senza pretendere nulla.
Lei gli aveva chiesto solo una notte, solo loro due, insieme, l’uno
dentro l’altra, e non aveva preteso di raggiungere il suo stesso piacere.
A lei sarebbe servito altro tempo. Le era bastato vivere quei momenti,
farli suoi, e il giorno dopo avrebbe ripensato a quegli istanti troppo
intensi da scordare, troppo brevi da rivivere, ma solo suoi. E avrebbe
trovato un posto anche per loro nel suo cuore, nella parte buia della
sua anima, che nessuno conosceva, e immaginava che lei potesse
avere. Nella parte più remota del suo cuore, dove era solita celare i
segreti più impuri e le paure più oscure, dove lei stessa amava
confondersi, quando, seduta a terra, la sigaretta stretta fra le dita,
restava per ore a pensare, a riflettere su ciò che avrebbe perso se
avesse deciso di mettere fine alla sua vita che non le aveva mai
regalato nulla, se non ceffoni in pieno viso.
“ Mi dispiace…” sussurrò lui, scivolando via da lei.
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“ Va bene così…” rispose lei tornando a guardare i suoi occhi persi
nell’oscurità della stanza.
Amava quello sguardo serio e profondo, adorava sfiorargli i capelli
lunghi fino alle spalle, spettinati. E l’unica cosa che aveva cercato
ancora una volta, dopo averlo seguito con lo sguardo mentre girava
per la stanza, nudo alla ricerca dell’interruttore della luce, era stato
affondare i suoi occhi in quelli di lui, fermare il tempo, cancellare il
suo passato e annullarsi ancora una volta sotto di lui.
Lei rabbrividì. La stanza era fredda, con il riscaldamento spento e il
camino non ancora acceso. Ma non voleva, non poteva rivestirsi.
Restare accanto a lui, nuda, sentire il calore della sua pelle sotto le
dita, le permetteva ancora una volta di tornare a sognare. Ancora una
volta le regalava l’illusione che tutto nella sua vita avrebbe ancora
potuto cambiare, anche se oramai sapeva, ne era certa, che la sua
esistenza sarebbe finita quella notte stessa, con lui, dedicata anima e
corpo a quell’uomo.
“ Per me sbagli se scegli di cambiare la tua vita. Un giorno ti
pentiresti. E io ora non posso darti nulla.” Disse lui guardandola in
viso.
“ Non ti ho chiesto nulla. Solo questo.” Ammise lei.
“ Perché?” chiese lui.
“ Perché l’ho voluto dalla prima volta che ti ho incontrato…”
ammise la donna baciandolo sulla spalla.
“ E che farai ora?”
“ Nulla. Ricorderò questi momenti come li ho vissuti. Solo questo…”
sussurrò la donna cercando di frenare le lacrime.
Lui tornò a cercare il suo viso nella penombra.
“ A Natale la casa sarà finita.” Cambiò discorso lui.
“ Mi porterai a vederla?” chiese lei.
Si era innamorata di quelle stanze ancora spoglie, nel momento in
cui lui gliele aveva mostrate. E quando erano usciti sul terrazzo,
all’ultimo piano, e aveva potuto scorgere il mondo reso scuro dalla
notte, lei aveva lasciato che l’aria pungente le pizzicasse le guance
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arrossate. Aveva avuto solo un istante per pensare a come sarebbe
stato, se tutto fosse stato diverso. Loro due insieme, in quella casa. Lei
senza il suo passato. Lui senza i suoi fantasmi e le sue paure.
“ Sì. E la prossima volta accenderò il camino.”
Il fuoco, quello che sentiva lei ora dentro. Quello che l’aveva
obbligata ad annullarsi, a essere un’altra, a non pensare a nulla, se non
a quella notte, stretta fra le sue braccia.
La donna sorrise nell’oscurità, sfiorandogli ancora una volta il viso.
Il suo sogno. Il suo incubo di notti intere, si era finalmente avverato,
ma ora che tutto era finito, troppo in fretta, avrebbe voluto non essersi
mai concessa a quel peccato. E non perché temesse i rimorsi della sua
coscienza, o per paura del dopo. Ma solo perché avrebbe voluto
rivivere ancora quelle sensazioni, quegli istanti. Avrebbe voluto
ancora una volta sentire dentro l’eccitazione, l’emozione di quel
momento, le stesse vissute come un brivido quando lui aveva
abbandonato i fogli che stava leggendo sul divano e finalmente
l’aveva presa fra le sue braccia, e si era abbandonato a lei.
Cancellò il pensiero dalla sua mente, come aveva cancellato, per
tutta la vita i suoi momenti.
Aveva atteso quell’incontro per giorni, facendogli credere fosse solo
per bisogno di sesso, di un momento di felicità, di fuga dalla realtà. E
gli aveva impedito di leggere nel suo cuore, perché lì nessuno vi era
mai veramente entrato.
Aveva sperato non accedesse, ma ora che ne aveva avuto la
conferma, lì, nuda accanto a lui, non poté fare altro che sperare che lui
non riuscisse a scorgere nell’oscurità i suoi occhi troppo limpidi per
nascondere i suoi veri sentimenti, il suo amore.
Si era innamorata di quell’uomo, ma per lui non sarebbe stata altro
che una delle tante donne che frequentava, che lo volevano. Una delle
tante storie incontrate e vissute lungo la sua strada.
E lei. Lei avrebbe dovuto ricominciare ancora una volta tutto dal
principio. Avrebbe vissuto quella storia per ciò che era: una storia.
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Come se fosse l’ultima, restando in silenzio, nascosta nella penombra
della sua vita. Aspettandolo.
Non avrebbe mai potuto essere la sua donna.
Ma lei sarebbe sempre stata la puttana di uno sbirro.
1.
La donna mosse l’alluce destro cercando di allontanare
quell’improvviso senso di solletico che l’aveva obbligata a svegliarsi.
Il fastidio cessò qualche istante per poi riprendere subito dopo. Questa
volta interessava anche l’indice e il medio dello stesso piede. Aprì un
occhio cercando di mettere a fuoco qualsiasi cosa presente nella
stanza, che le permettesse di ricordare dove fosse, come fosse arrivata
lì e soprattutto con chi. Tutto era avvolto nella penombra. Delle poche
immagini che il suo occhio aperto riusciva a cogliere, riconobbe solo
la sagoma squadrata del comodino, distante dal letto una decina di
centimetri. Aprì anche il secondo ma un tremendo mal di testa la
obbligò a serrarli entrambi cercando il conforto del buio più assoluto.
Numerosi puntini luminosi, grandi come lucciole, cominciarono a
danzare nell’oscurità. Aveva bevuto. Ricordava solo quello. Il resto
era completamente svanito dalla sua mente. Di nuovo quel solletico
alle dita dei piedi. Qualcosa di bagnato e di ruvido la stava
infastidendo risalendo ora la caviglia fino ad arrivare al polpaccio
rimasto scoperto e scivolato oltre il bordo del letto. Tornò ad aprire gli
occhi. Prima uno, poi l’altro. A poco a poco si abituò alla penombra
della stanza. La luce era tenue e filtrava solo in parte dalle persiane
abbassate. Sollevò la testa, quel poco che l’era indispensabile per
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osservare incuriosita cosa le provocasse quel fastidio alle dita dei
piedi, ora divenuto quasi piacevole. Robby smise di leccare le
estremità del piede della sua padrona, lasciando penzolare la lingua.
La guardò alzando un orecchio. S’immobilizzò a fissare la donna per
una frazione di secondo, prima di tornare a giocare con le dita
penzoloni, indifferente.
Robby era un Pitt Bull maschio di nove mesi, completamente nero
con una sola macchia bianca sul petto che Alexandra aveva trovato per
strada l’estate passata e colta da pietà l’aveva accolto in casa con la
promessa di portarlo al canile dopo qualche giorno, il tempo
necessario perché si riprendesse dallo shock di essere stato
abbandonato lungo una strada di campagna, da qualche bastardo in
procinto di andare in vacanza. Ma con il passare dei giorni non era più
stata in grado di separarsi da lui a causa dei suoi dolci occhioni scuri
che ogni mattina erano la prima cosa che scorgeva quando apriva i
suoi, verdi. Ogni notte il cane si addormentava sul suo letto
matrimoniale e solo quando le prime luci del pomeriggio filtravano
dalle persiane abbassate, si muoveva svegliandola perché riprendesse
il regolare e normale scorrere della vita. Quella era anche l’ora in cui
Alexandra si dedicava a un po’ di coccole e dopo un’abbondante
colazione li portava nel parco a sgranchirsi le zampe, mentre lei
accendeva la prima sigaretta della giornata. Sì, al plurale. Li portava.
Perché Alexandra non aveva solo Robby come compagno di vita.
Prima di lui era arrivato Roy, un rabbioso Dobermann dal pelo corto e
nero di un anno, sempre in conflitto con il mondo e con se stesso. Un
regalo di suo marito che quando lei aveva deciso di lasciare, aveva
pensato bene di portarsi dietro. Meglio con lei che con quel fottuto
bastardo!
All’inizio era stata una tragedia presentare Robby a Roy. Era stato
come assistere a un combattimento all’ultimo sangue, tanto che la
donna aveva dovuto dividerli a forza rinchiudendo il più adulto in
camera da letto e cercare di convincere il più piccolo ad uscire da sotto
il divano. Nascondiglio che a volte il Pitt Bull prediligeva ancora,
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quando Roy abbaiava mostrando i denti pretendendo ciò che gli
spettava oramai di diritto: il suo territorio. Non riuscendo a far
accettare il nuovo arrivato dal cane più vecchio, Alexandra aveva
pensato di far adottare Roy, anche perché con il passare del tempo o
forse i continui cambiamenti che entrambi avevano subito, a volte
mostrava degli improvvisi scatti rabbiosi verso chiunque si
avvicinasse alla sua padrona e questo preoccupava non poco Alex che
temeva potesse mordere improvvisamente chi gli capitasse sotto tiro.
Era stata una scelta difficile, ci aveva riflettuto a lungo prima di
affrontare quel passo. Era andata a visitare qualche canile della zona,
aveva appeso qualche manifesto con la fotografia di Roy sui pali della
luce. Poi con il passare del tempo, e notando che fra i due animali si
era ristabilito un certo equilibrio, che comprendeva per la maggior
parte la predominanza del più forte sul più debole, aveva imparato a
comprendere che se Robby era un cane da compagnia tutto coccole e
occhioni, Roy era la sua guardia del corpo. Quando uscivano in tre, lui
procedeva lentamente scrutando l’orizzonte e se si fermava, stava a
indicare che qualche cosa non andava. Odiava il guinzaglio e in
cinque anni in cui lei era diventata la sua unica padrona, la donna non
era mai riuscita a infilarglielo tanto che ora vi aveva rinunciato.
‘ Due cani e una casa: è tutto ciò che mi resta nella vita.’ Pensò la
donna allontanando il muso dell’animale con un calcio inoffensivo.
“ Che schifo Robby! Non hai niente da fare che leccare le mie dita
questa mattina?” borbottò tornando a chiudere gli occhi, nascondendo
la testa sotto il cuscino. Voleva dormire ancora un poco. Doveva
dormire ancora un poco! se voleva che quel maledetto mal di testa se
ne andasse prima di sera. Sbirciò l’orologio stretto al polso: un Breil
da uomo che non si toglieva mai, neppure quando faceva la doccia.
L’ultimo ricordo di un’esistenza che non c’era più. Controllò le
lancette, sforzandosi di vincere la sonnolenza. L’una di pomeriggio.
Ancora troppo presto per mettere piede fuori dal letto, ma già troppo
tardi se appena pensava che per quella mattina aveva intenzione di
portare fuori i cani e fare un giro in centro ad acquistare qualche cosa
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di nuovo da indossare quella sera stessa. Sbadigliò tornando a offrire il
piede nudo all’animale, lasciandolo ciondolare davanti al suo muso.
Questo annusò la presa e cominciò a infliggerle dei leggeri morsi. Era
ridicolo guardare un Pitt Bull giocare con così poco, ma Robby fin da
cucciolo aveva dimostrato di essere un cane giocherellone e forse
adatto solo alla compagnia. Era lei quella che lo difendeva dagli
attacchi di Roy e lei quella che prendeva le sue difese contro gli altri
cani del parco.
Alexandra tornò ad alzare la testa, lasciando cadere il cuscino a
terra, e cercò con lo sguardo Roy. Scorse la coda del cane muoversi in
fondo al letto. Avrebbe potuto decidere di restare a lì l’intera giornata
che mentre il cucciolo avrebbe cominciato a girare per casa facendo
disastri fino a che non si sarebbe decisa a portarlo fuori, Roy non si
sarebbe mosso da dove si era appisolato la sera prima. Non avrebbe
chiesto di andare a fare i suoi bisogni, non avrebbe chiesto un pasto e
tanto meno avrebbe desiderato delle coccole. Sarebbe solo rimasto lì
ad attendere. Era questo che faceva ogni volta quando lei usciva verso
mezzanotte e rientrava non prima delle quattro del mattino. Aspettava.
Se Alexandra avesse deciso di dargli da mangiare, lui l’avrebbe
seguita fino in cucina trascinando le zampe fino alla ciotola. Robby, al
contrario, accettava sempre quell’invito, iniziando a saltellare per la
casa.
La donna tornò a sbirciare l’orologio. Doveva alzarsi. Socchiuse gli
occhi restando per un istante a osservare le banconote abbandonate sul
comodino della camera. Le prese fra le mani cercando di mettersi a
sedere. Appoggiò la schiena alla testata del letto. La testa le pulsava
maledettamente, neppure avesse un martello pneumatico al posto del
cervello. Contò i soldi: duecento dollari. Sorrise. Tutti quei soldi solo
per una notte. Con chi non se lo sarebbe ricordato neppure sotto
tortura, ma tanto valeva dimenticare che ricordare. Per lei i clienti
erano solo un numero. E quella sera di numeri ne aveva contati tre. Il
resto delle banconote era rimasto nella borsetta davanti alla porta della
camera. Si fece forza e lanciò le coperte di lato, appoggiando i piedi a
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terra, sul pavimento freddo di piastrelle, proprio davanti al muso di
Roy. Rimase a osservare la sua immagine nuda riflessa allo specchio.
I capelli scuri che le cadevano lungo la schiena, sciolti e spettinati, il
corpo esile e ben tornito, ancora abbronzato dall’ultima lampada a
raggi ultravioletti. Si mise in piedi e con un solo passo scavalcò Roy
che aprì un occhio, per richiuderlo subito dopo.
“ Scusa eh…” disse la donna sorridendo.
Riusciva ancora a reggersi in piedi. Questo era un buon segno,
voleva dire che la sbornia non era stata una di quelle peggiori che
avesse affrontato nella sua vita.
Raccolse la borsetta di paillettes argento e aprendo la lampo, frugò
al suo interno fra accendini, pacchettini di sigarette e varie monete
sparse sul fondo. Finalmente trovò il pacco di soldi avvolti in un
fazzoletto di carta. Li mise sul letto. Altri duecento dollari. Per un
totale di quattrocento bigliettoni. Niente male, considerato che, aveva
sì abbordato tre clienti in una sola notte, ma lavorato solo per due.
Ricordava solo i primi due, adocchiati al locale di Pablo, uno
all’interno del night, il secondo sul marciapiede. Del primo, forse un
uomo sulla trentina, Alexandra rammentava solo la sua macchina
troppo pulita, con i sedili di pelle nera, che odorava ancora di nuovo,
neppure fosse uscita dalla concessionaria quello stesso giorno. Una
BMW decapottabile. Aveva detto di chiamarsi Gerald o German?
Beh, faceva lo stesso! In verità era stato un puro caso, una fortuna
sfacciata incontrare subito quel tipo non appena aveva messo piede nel
locale. La donna l’aveva visto solo al bancone del bar, giocherellare
con il ghiaccio che si stava sciogliendo nel bicchiere. Si era avvicinata
e mostrando il suo sorriso caldo e invitante gli aveva sfiorato una
mano con la sua.
“ Offrimi da bere.” Gli aveva sussurrato, avvicinandosi al suo
orecchio. Era impossibile parlare con il tono della voce normale in
quel night, fra la musica assordante che usciva dalle casse e il vociare
dei clienti.
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“ Ci conosciamo?” aveva risposto lui accennando un sorriso. Aveva
sfiorato con un dito i bracciali d’argento che la donna aveva infilato al
polso, facendoli tintinnare.
“ Perché? Fa differenza?” aveva risposto lei.
Avevano parlato un poco, tenendo il capo chino, l’uno vicino
all’altra, come se fossero intimi amici o forse già qualche cosa di più.
Lui le aveva offerto un Martini con ghiaccio, facendo segno al barista
di portarne un altro anche a lui. Alex odiava il Martini, soprattutto se
dentro vi era il ghiaccio che lo annacquava troppo, ma aveva accettato
con un sorriso intrigante, quando lui le aveva chiesto se poteva andar
bene.
“ Per scaldarci un po’…” aveva risposto lei assaggiandone un po’ del
suo, appoggiando le labbra al bicchiere.
“ Un rum Pampero sarebbe andato meglio!” avrebbe voluto
rispondere lei. Ma in quell’istante non si era ricordata il nome del
liquore e quando l’uomo le aveva offerto il bicchiere riempito con il
Martini, a lei non era rimasto altro da fare se non sorridere annuendo.
Un paio di sigarette fumate insieme poi, Alex aveva stabilito il
prezzo: cento in macchina, duecento nel suo appartamento. Del resto
una volta lì, lei offriva al cliente tutti i confort che la situazione
richiedeva: preservativi gratis, lenzuola pulite, un letto confortevole e
una doccia prima di andarsene. Le spese erano aumentate per tutti e lei
non faceva differenza sul mercato. L’uomo aveva accettato per la
prima offerta e così avevano lasciato il locale. Lui l’aveva fatta salire
sulla sua macchina e si erano appartati poco distante, nascondendosi
fra le altre vetture, parcheggiate lontano dalla luce dei lampioni. o
meglio il parcheggio del locale e si erano appartati poco distante.
Avevano parlato ancora un poco, lei fumando una sigaretta, lui
restando a fissare la strada deserta davanti a sé, ma poi Alex aveva
dovuto accelerare i tempi se voleva ritornare sul marciapiede e cercare
di finire la serata con un altro buon guadagno. Non poteva fermarsi a
chiacchierare tre ore con ogni cliente. Così aveva rotto il ghiaccio
iniziando a sbottonargli i pantaloni.
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“ Hai qualche preferenza per il preservativo?” aveva chiesto lei
armeggiando con il bottone. No, avrebbe lasciato fare a lei. Uno
valeva l’altro. E lei aveva recuperato nella borsetta il primo che le era
capitato fra le dita. A volte ne portava due o tre con sé, di marche
differenti. Non voleva rischiare di perdere un cliente se questo non
aveva pensato di portarsi le giuste precauzioni. E a volte accadeva che
qualcuno uscisse con degli amici per una birra e finisse per strada alla
ricerca di un’avventura. Lei voleva andare sul sicuro. Non baciava mai
in bocca e faceva sesso orale solo dopo aver infilato il preservativo.
Qualcuno protestava dicendo che era un padre di famiglia e che poteva
stare tranquilla, ma quelle erano le sue condizioni. O così o niente.
Con il primo ci aveva messo meno del previsto, forse venti minuti
ed era venuto accasciandosi sul sedile. Rapida, veloce, soddisfacente,
com’era solita definirsi lei. Il cliente era stato soddisfatto e lei lo
aveva salutato scendendo dalla macchina e contando i soldi. Prima di
lasciarla scivolare nuovamente nell’oscurità della notte, lui le aveva
chiesto il numero di telefono ma Alexandra aveva risposto che non ne
avrebbe avuto bisogno: se voleva incontrarla ancora, l’avrebbe trovata
nel parcheggio del Night Club Casinò ogni notte.
Con il secondo cliente era stato ancora più facile. L’aveva
adocchiato ancora prima che entrasse nel locale, mentre se ne stava
seduta sui gradini di una scala di ferro che portava ai magazzini
sotterranei, e dopo aver sfoggiato uno dei suoi innocenti sorrisi, si era
lasciata avvicinare accettando una sigaretta già accesa e fumata per
metà, anche se appena aveva riconosciuto l’individuo, si era pentita
della sua scelta.
“ Quanto vuoi?” aveva chiesto l’uomo venendo subito al sodo e
iniziando a slacciarsi i pantaloni. L’aveva riconosciuta non appena
aveva fermato la macchina e spento i fari, e sapeva che quella puttana
non avrebbe rifiutato una sveltina con lui. Non era una delle ragazze di
Pablo e dunque non doveva chiedere il permesso a nessuno per
scoparsela. La donna l’aveva guardato in viso. Non serviva che con lui
si prodigasse in sorrisi e smancerie. Sapeva cosa voleva e lei stessa
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sperava si risolvesse in una cosa rapida. Non aveva molti soldi da
spendere e dunque si sarebbe accontentato di farsela lì sui gradini,
solo per soddisfare le sue voglie da pervertito. Era ubriaco ma non del
tutto. Irritato forse dalla situazione. Alex aveva lasciato correre e non
aveva neppure tentato di instaurare un dialogo con lui.
“ Cento in macchina, duecento a casa.” Aveva risposto lei mostrando
un paio di cosce lunghe e abbronzate, lasciando trasparire da sotto la
minigonna inguinale in microfibra un perizoma nero. Sapeva mostrare
bene e al momento giusto, la sua merce, e soprattutto, con il passare
del tempo, aveva imparato a non buttarla via per poco.
“ E se volessi farlo qui?” aveva chiesto lui cercando i soldi nel
taschino della giacca.
“ Sempre cento. ” aveva giocato lei sbottonandosi la pelliccia. Se
avesse accettato l’offerta, lei ci avrebbe guadagnato la metà dei soldi
senza fare molto, e se la sarebbe cavata in pochi minuti. Se il cliente
avesse rifiutato, non avrebbe perso nulla di speciale. Quello era il
classico cliente che potevi trovare a ogni angolo della strada. Alla fine
della serata, non avrebbe concluso altro che restare al bancone del bar
a bere e sarebbe tornato comunque, più eccitato di prima. Lei lo
avrebbe aspettato, anche fino all’alba, e la sua richiesta sarebbe
aumentata.
“ Ehi hai detto cento in macchina! ”aveva protestato l’uomo.
“ Se ti sta bene, è così! Altrimenti di puttane ce ne sono altre!” aveva
tagliato corto la donna. La serata era ancora lunga e fino alla fine
cercava sempre di non abbassare troppo il prezzo. Sapeva che alla sua
età poteva ancora giocarsela bene e dunque cercava sempre di lanciare
alto. Arrivava a compromessi solo quando si rendeva conto che la
nottata era stata fiacca e qualche cosa, in un modo o nell’altro,
avrebbe dovuto pur portare a casa.
“ Troia!” aveva ringhiato lui contando i soldi e infilandoglieli
bruscamente nella maglietta scollata, fino a mostrare il seno sorretto
dal reggiseno imbottito.
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“ Grazie per il complimento!” aveva ringhiato lei di rimando
recuperando il denaro e infilandolo nella borsetta, chiudendo la zip.
Lui non aveva aspettato un attimo di più ed ancora prima che lei
avesse il tempo di abbassarsi l’intimo aveva strappato con i denti la
carta che conteneva il preservativo e infilandoselo rapidamente le
aveva strappato il perizoma, spinta contro il gradino e penetrata senza
tanti complimenti. Due gemiti ed era venuto. Aveva grugnito di
piacere come un maiale e lasciandola lì, si era alzato da lei,
sorridendo. Alexandra lo aveva guardato allontanarsi e gettare il
preservativo usato per terra, mentre si abbottonava i pantaloni. Era
entrato nel locale lasciando che la porta sbattesse dietro di sé. Quello
era il classico animale che ogni tanto potevi incontrare per la strada,
mentre battevi i marciapiedi dei quartieri più malfamati e solitari della
città. Era uno dei tanto che per l’intera serata non riuscivano ad
accaparrarsi una ragazza e si accontentavano di fare una sveltina sui
marciapiedi solo per il gusto di buttare via i soldi e svuotarsi i
testicoli. Il resto della nottata l’avrebbe trascorso al bar, a bere Vodka
o Martini con ghiaccio, lasciandosi ipnotizzare dalle ragazze che
ballavano nude sui tavoli.
Per il terzo cliente, ci aveva pensato Pablo, il gestore del Night Club
Casinò, e Alex non era dovuta neppure andare alla ricerca di un
guadagno sicuro. Era uscito per una boccata d’aria e l’aveva vista
seduta sul marciapiede mentre fumava una sigaretta, stretta nella sua
eco-pelliccia viola scura e si era avvicinato offrendole una bottiglia di
birra riempita a metà. La donna ne aveva bevuto prima un sorso breve,
poi uno più lungo.
“ Ecco qui la mia bambina! Che combini questa sera?” le aveva
chiesto sedendosi accanto a lei e accendendosi un sigaro cubano.
“ Sto aspettando compagnia.” aveva risposto lei bevendo dell’altra
birra. Era fresca, appena tolta dal congelatore, proprio come piaceva a
lei anche se doveva ammettere che non andava pazza per la birra.
“ Come vanno gli affari?” le aveva chiesto scostandole i capelli
biondi e lisci dal viso. Sapeva che indossava una parrucca quando
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lavorava. I suoi capelli erano neri, scuri come la notte. Non avrebbe
saputo dire se la preferisse bruna o bionda. Quella donna lo lasciava
senza fiato ogni volta che la vedeva. Alex non era una puttana
qualunque, era una donna di classe, non era tagliata per quel mestiere
e soprattutto si stava buttando via per e con poco. Non ce l’aveva nel
sangue. Aveva solo scelto quel lavoro per sopravvivere ma avrebbe
dovuto abbandonare la strada e fare la prostituta da appartamento.
Clienti fissi e facoltosi, uomini d’affari, non quell’immondizia che
ogni tanto si scopava per recuperare cento dollari.
“ Fiacchi! Come il solito! Il primo non è stato male, il secondo il
classico animale affamato. E’ entrato poco fa. ” aveva risposto lei
accennando al perizoma stracciato e abbandonato a terra.
“ Sì, l’ho visto. Si chiama Michael. E’ un fallito, come lo è stato suo
padre anni fa. Si diverte a spendere i soldi della moglie ai tavoli di
Black Jack e con le puttane del mio locale, ma come uomo non vale
un granché.” Aveva ammesso lui.
“ Dire che è un porco, è fargli un complimento!” azzardò lei.
“ Fa attenzione Alex, gente come quella, non dovrebbe neppure
avvicinarsi a una come te.”
“ Quello era solo il secondo cliente e cento dollari guadagnati in tre
secondi netti Pablo! Fossero tutti così, diventerei ricca in una
settimana!” aveva scherzato lei “ Non posso restare qui fuori al freddo
tutta la notte e fare pure la selezione prima di scoparmeli!”.
“ Lo sai che quando sei in difficoltà, dentro di compagnia ce n’è fin
che vuoi. Lo sai vero? Non sei adatta per restare sulla strada. Tu sei
una puttana di classe Alex! ”le aveva ricordato lui riprendendosi la
birra e finendo l’ultimo sorso.
“ Grazie Pablo ma sai che preferisco lavorare da sola. Non è per te,
lo sai che ti sono grata per l’aiuto che mi dai ogni tanto con i clienti,
ma io…”
“ Vuoi decidere chi, come e quanto! Me lo hai ripetuto mille volte!”
Aveva sbuffato lui inspirando dell’altro fumo.
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Era questo che distingueva Alexandra dalle altre prostitute del posto.
Lei era indipendente. Poteva decidere se uscire a notte fonda o restare
in casa davanti alla televisione, dove andare, che zone bazzicare, chi
farsi e chi mandare al diavolo. Le altre, quelle che ogni sera restavano
con lei ferme su marciapiedi fino all’alba, ad aspettare un cliente,
battendo i piedi per il freddo, strette nelle loro pellicce spelacchiate,
erano le puttane di Pablo, sue proprietà, e lì non vi era nulla da
discutere. Non che fosse un cattivo protettore, chi ne aveva avuti altri
prima di lui, si riteneva fortunata di essere stata scelta per passeggiare
sui marciapiedi che costeggiavano il locale. Tuttavia, nonostante non
facesse mancare loro nulla, dal vitto all’alloggio, dai vestiti all’erba da
fumare, erano sempre vincolate da un contratto non scritto, che le
obbligava a lavorare ogni notte, senza una pausa fra un cliente e un
altro se non per una sigaretta o una birra. Non si discuteva con Pablo
chi fosse il cliente da accontentare, si faceva e basta. Lui decideva il
prezzo, lui sceglieva chi mandare. E il settanta per cento entrava nelle
sue tasche senza neppure muovere un dito.
Alexandra sceglieva i suoi clienti da sola, decideva se era il caso di
rischiare e di salire in macchina con uno di loro, stabiliva il prezzo,
faceva scegliere a loro se volevano una sveltina in macchina o una
vera serata nel suo appartamento e incassava i soldi. Tutti i soldi.
Qualche volta Pablo l’aiutava facilmente a trovare compagnia, e
quando le ragazze del night erano troppo impegnate ad accontentare
tutti, presentava a lei qualche cliente lasciandole tutti i soldi
guadagnati, alla condizione che prima di portarselo a letto lo facesse
spendere fior di quattrini all’interno del locale in alcool, o giocando al
casinò. A volte la donna riusciva a farli ubriacare a tal punto che era
lei a doverli poi caricare in macchina per portarli al suo appartamento.
Altre volte era lei quella ubriaca da non reggersi in piedi, ma spesso
riusciva a intascare la sua parte e a far contento Pablo. Far perdere
somme ingenti ai tavoli da gioco non era difficile. Tutto all’interno del
casinò era truccato. Dalle slot machine alle roulette. Riuscire a portare
un cliente lì dentro, prima di convincerlo a passare il resto della serata
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fra le sue gambe, voleva dire regalare a Pablo quattro volte la cifra che
lei guadagnava dopo esserselo portato a casa, per la maggior parte
ubriaco a tal punto da non toccarla neppure con un dito.
Anche la sera prima l’uomo le aveva presentato una vecchia
conoscenza, un ciccione sulla sessantina, incontrato nel mondo della
politica che era solito passare le sue serate al night spendendo il suo
denaro con donne e carte da gioco, e prima di portarlo al suo
appartamento, Alex era riuscita a fargli spendere sei volte la cifra che
lei aveva guadagnato. Sonny, il buttafuori del locale e guardia del
corpo personale di Pablo, l’aveva aiutata a caricarlo in macchina
mentre lui cercava ancora da bere pregando ad alta voce che gli
versassero dell’altro liquore. Durante il tragitto, aveva continuato a
protestare che lo avevano strappato dal tavolo da gioco durante una
mano vincente. Alex lo aveva lasciato borbottare, mentre guidava
lentamente il fuoriserie del cliente, acconsentendo che infilasse le sue
mani troppo lunghe sotto la minigonna in microfibra. Una volta
lasciato sul letto in camera e intascati i duecento verdoni che le
spettavano, Alexandra non aveva neppure avuto il tempo di sfilargli i
pantaloni che già era crollato sopra al piumone bordato di rosso. Lei si
era fatta una doccia, aveva fumato un paio di sigarette guardando un
vecchio film in televisione e poi si era assopita accanto al cliente,
lasciando Roy di guardia. All’alba il cane aveva abbaiato
svegliandola. Alexandra aveva ridestato a sua volta l’uomo
schiaffeggiandolo in viso e lo aveva fatto uscire da casa sua
accompagnato dai ringhi protestanti del Dobermann.
“ Ma è già tutto finito amore?”aveva chiesto lui massaggiandosi la
testa dolorante.
“ E’ l’alba…” aveva detto solo la donna.
“ Ti è piaciuto vero?” si era informato lui cercando di baciarla.
Sapeva ancora di alcool e fumo del locale di Pablo.
“ Una favola…” aveva commentato lei spingendolo nel vialetto e
chiudendogli la porta sul naso. Era tornata a letto senza neppure
assicurarsi che il cliente riuscisse a raggiungere la sua vettura
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parcheggiata di là dalla strada. Probabilmente non si sarebbe neppure
ricordato di esserci salito sopra. Avrebbe chiamato un taxi per farsi
accompagnare a casa e di lì ad un paio d’ore una pattuglia avrebbe
prelevato la vettura per divieto di sosta.
Alexandra si era addormentata quasi subito. Alla sua auto avrebbe
pensato Sonny, facendogliela ritrovare sotto casa l’indomani come al
solito. Un ringraziamento speciale da parte di Pablo.
Naturalmente queste piccole fortune non capitavano tutte le sere. A
dire la verità, molto raramente. A volte riusciva a procurasi uno o due
clienti fuori dal night e poi restava per il resto della serata seduta sul
marciapiede a fumare una sigaretta dietro l’altra guardandosi lo smalto
rosso delle unghie per delle ore. Quelle erano le serate più fiacche in
cui rincasava con soli due bigliettoni e troppo freddo infilato nelle
ossa. Questo se le andava bene, perché verso le tre del mattino,
quando il night di svuotava, era costretta a vendere la sua merce al più
offerente, quello che per l’intera serata non aveva concluso granché se
non niente del tutto. Dunque abbassava i prezzi come al centro
commerciale quando arrivavano all’inizio dell’estate i saldi e
accontentarsi della metà del suo guadagno. Altre volte invece trovava
subito il cliente desideroso di passare l’intera nottata con lei nel suo
appartamento e dunque doveva abbandonare il marciapiede per fare
ritorno a casa e dedicarsi anima e corpo all’ospite fino a quando
cominciava ad albeggiare. Quando lui se ne andava era troppo stanca
per tornare a battere sulla strada.
La tariffa aumentava da duecento a duecentocinquanta se il cliente
richiedeva prestazioni o trattamenti speciali: massaggi, relax, quel
poco di accoglienza che gli permetteva di non essere solo il cliente
numero due o tre di una lista. E poi c’erano i classici malati
psicologici, quelli che ti caricavano in macchina senza neppure
chiederti quanto volessi, ti portavano in un parcheggio per non dare
nell’occhio e appena fermi ti dichiaravano che non volevano fare
sesso, ma solo parlare, confidarsi con te. E in quei casi per Alex, come
per ogni altra prostituta, quella era la classica manna dal cielo. Un’ora
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trascorsa al caldo sopra una vettura di lusso, seduta comodamente a
fumare una sigaretta dietro l’altra e il solo gravoso compito di
ascoltare e assecondare il cliente, dare consigli utili a persone
sconosciute che non avevano uno straccio di amico che stesse ad
ascoltarli gratis. La tariffa era sempre la stessa di un rapporto
completo consumato in auto, ma se la chiacchierata si prolungava
oltre l’ora Alex stabiliva un extra ogni mezz’ora che perdeva di
lavoro. Alcuni accettavano pur di restare in sua compagnia. Lei
riusciva a capirli, a differenza delle loro mogli sempre troppo
impegnate fra fitness e shopping. Lei sapeva ascoltarli, parlare con
loro, non come le loro donne che non appena il marito alzava il tono
della voce, facevano i bagagli e tornavano a vivere dalla madre,
lasciando figli e casa da far gestire a loro, sempre troppo impegnati
con il lavoro. Qualcuno si fumava uno spinello, qualcun altro si faceva
una striscia di coca usando il cruscotto come ripiano e una banconota
da cento arrotolata. E lei stava lì, ascoltava, sorrideva annuiva,
rifletteva. Ma quante volte avrebbe voluto scappare, uscire da quelle
macchine guidate da ricchi schifosi pieni di soldi che stavano lì a
parlare ad una puttana dei loro problemi, della loro vita, che non
sapevano neppure dove stessero di casa la riconoscenza e la fortuna. E
quante volte avrebbe voluto mandali tutti a farsi fottere, soprattutto
quando guardandola sorridere le dicevano:
“ Vi invidio voi puttane sai? Non avete pensieri. Non vi innamorate,
scopate e basta. Non avete una moglie che vi aspetta a casa. Dei figli
da mantenere un lavoro che odiate!”
Lei, che tutte le sere, non sapeva neppure se avrebbe fatto ritorno al
suo appartamento o se l’avrebbero trovata morta stecchita a un angolo
di una strada. Lei che ogni sera si faceva sbattere da ubriachi schifosi
per cento dollari e che ad aspettarla a casa c’erano solo due cani più
soli di lei. Come avrebbe voluto andarsene, schiaffeggiare quei ricconi
pieni di sé e con il portafoglio gonfio e scendere dalla macchina,
mandarli al diavolo. E invece non poteva fare altro che restare lì,
sorridere e far finta di condividere le loro sventure. Quello era il
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lavoro che si era scelta e quando le capitavano delle notti così,
ringraziava il cielo di potersi guadagnare i suoi soldi senza dover
simulare un orgasmo che non aveva da tempo, senza dover sussurrare
parole dolci a grassocci uomini appiccicosi che le mettevano le mani
ovunque frugando dentro di lei, e soprattutto senza dover cercare il
modo di annullare la sua mente, come la sua anima, in un bicchiere di
alcool per ingoiare il vomito che le risaliva dalle viscere e che le
ricordava ogni notte, che da cinque anni era solo una puttana di strada.
La chiave nella serratura girò tre volte prima che la porta blindata si
aprisse con un tonfo andando a sbattere contro il muro. Roy iniziò a
ringhiare immobilizzando la coda a mezz’aria. Alexandra nascose il
bottino della sera prima sotto il materasso, raggruppandolo tutto in un
fazzolettino di carta. Poi avrebbe pensato a trovargli un posto
migliore. Anche se non ne sarebbe rimasto poi molto. Doveva pagare
le fatture arretrate e procurarsi una pelliccia più calda perché quella
viola era strappata in due punti e la notte il freddo pungente riusciva a
infilarsi sotto la fodera fino a solleticarle la pelle nuda.
Roxana si catapultò in camera lasciando che la porta d’ingresso
tornasse a sbattere, richiudendosi. Il cane si alzò in piedi e
continuando a ringhiare fece un passo verso di lei.
“ Basta Roy! E’ Roxana!” lo ammonì Alex dandogli un leggero
colpetto sul posteriore. L’animale smise di ringhiare ma rimase
immobile a osservare la donna sistemare due borse della spesa davanti
al letto e abbandonarsi sul materasso. Robby le si avvicinò
scodinzolando e iniziò a leccarle la gamba nuda.
“ Ma ciao bel cagnone!”esordì lei accarezzando il pelo lucido del
cane. Questo scodinzolò festosamente. “Ti sei svegliata finalmente.”
disse rivolta alla donna. “Alle dieci eri ancora nel mondo dei sogni
piccola mia!” frugò nella tasca del giaccone in pelle cercando il
pacchetto di sigarette. Ne accese una offrendo l’ultima ad Alex che
scosse la testa. Le doleva ancora e l’ultima cosa che avrebbe accettato
in quello stato sarebbe stata una sigaretta.
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“Il cliente se n’è andato alle sei.” disse lei tornando sotto le coperte.
“Mi sono addormentata subito.”
“ Sì, lo so. Pablo mi ha detto che ti ha scaricato ‘mani lunghe’, poco
prima delle due. Concluso?”
I clienti non avevano mai un nome per le prostitute, ma fra di loro
venivano ricordati per le loro abitudini, per il loro carattere, la
maggior parte delle volte per il loro aspetto, un particolare che era
evidente a tutte e inconfondibile.
“ Era ubriaco fatto. Non sono riuscita neppure a slacciargli i
pantaloni. E’ crollato sul letto. Ma ha pagato in anticipo.” Si affrettò a
dire la donna sorridendo.
“ E brava la mia bambina!”
Roxana inspirò dell’altro fumo lasciando cadere la cenere sul
pavimento. Accarezzò con la mano sinistra il muso di Robby e questo
cominciò a saltellare per la stanza. Aveva fame, e l’arrivo della
prostituta gli aveva ridato la speranza che quella mattina non avrebbe
saltato la colazione. Roy intanto si era nuovamente disteso sul
pavimento ma non scodinzolava più e i suoi occhi erano fissi in
direzione dello specchio nel quale scorgeva l’immagine riflessa di
Roxana. Non le era mai andata a genio quella donna, dal primo istante
che si erano incontrati, avevano subito stabilito un patto: lei sarebbe
stata lontano da lui e dal suo territorio, e il cane non l’avrebbe morsa.
E il territorio di Roy era Alexandra. Anche se trovare qualcuno che
piacesse a Roy era un’impresa alla quale Alex aveva rinunciato da
tempo oramai. A volte non era neppure convinta di andargli a genio
lei stessa. Non di rado le aveva ringhiato contro quando lo rinchiudeva
nell’altra camera all’arrivo di qualche cliente e quando ne usciva dopo
un paio di ore, faceva l’offeso. Ma Alex non poteva rischiare che
azzannasse qualcuno e tanto meno che spaventasse i suoi ospiti di una
notte. Sapeva che la vita che conduceva non era sicura e che un cliente
portato nel suo letto, poteva rivelarsi più pericoloso di uno dichiarato
apertamente. Ma se voleva lavorare senza rischiare ogni notte il
congelamento, ferma sul marciapiede a battere i piedi intirizziti, non
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aveva altre scelte. E l’abbordare i clienti in macchina, non le
permetteva di guadagnare abbastanza. Con l’apertura dei nuovi night
club, che affittavano anche le camere alle prostitute, la vita di una da
strada non era certamente facile. Rinchiudere Roy nell’altra stanza,
quando rincasava accompagnata, era dunque una procedura obbligata
e indispensabile, anche se non sicura per se stessa. Contava comunque
sull’intervento di Robby che gironzolava continuamente per casa,
anche se di lui si fidava un gran poco come cane da guardia.
L’animale, era solito avvicinarsi al cliente, annusargli la mano e
scodinzolare dandogli il benvenuto. Poi si fermava fuori dalla porta
della camera in ascolto. A volte Alex lo sentiva mugolare, grattare il
legno dello stipite, ma sapeva che lo faceva solo perché la sua
richiesta era quella di rifugiarsi sul letto dove era solito dormire
quando lei non c’era o dormiva sola.
“ Ti preparo una buona colazione ok?” chiese Roxana alzandosi.
“ Sei un tesoro Roxi…” rispose Alexandra sbadigliando.
Roxana uscì dalla stanza seguita da Robby che come sempre sarebbe
riuscito a guadagnarsi la colazione prima di tutti. Roy rimase fermò
vicino al letto. Sbadigliò, socchiuse gli occhi, ma era vana la speranza
che con un’altra persona in casa, oltre Alex, tornasse a dormire.
2.
Roxana era entrata nella vita di Alex come Robby: per caso.
L’aveva vista all’uscita di una discoteca, ferma sotto la pensilina di
una fermata del pullman, in attesa che smettesse di piovere, stretta
nella sua pelliccia nera, strizzata in una minigonna di pelle e in un top
scollato sul davanti, di almeno una taglia in meno. Senza calze,
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nonostante il freddo di quella notte, e con gli stivali alti fino al
ginocchio. Al posto dei soliti tacchi a spillo, due zeppe mostruose di
almeno dodici centimetri. Quella notte di cinque anni prima, aveva
piovuto parecchie ore creando traffico e code per la città. Alexandra
stava girando per le vie del centro, alla ricerca di un locale che
avrebbero inaugurato quella stessa sera, offrendo da bere e da
mangiare qualche cosa di più allettante dei soliti salatini e della solita
birra annacquata che riusciva a farsi pagare in discoteca da qualche
illuso che pensava di riuscire a portarsela a letto con così poco.
Superato un semaforo lampeggiante e svoltato in direzione della
stazione ferroviaria, aveva visto la donna ferma a pochi passi da lei,
bagnata fradicia, con i capelli lunghi e di un rosso acceso appiccicati
alla testa e il trucco troppo pesante per la sua età sciolto sul viso.
Doveva aver camminato parecchio sotto la pioggia prima di riuscire a
trovare quel riparo.
Alex si era trasferita da poco in città, ma non era una stupida e
sapeva che quella donna non stava certamente aspettando il fidanzato
per concludere la serata in qualche locale del centro. Ne aveva viste
tante come lei durante le sue uscite notturne e solitarie, ma si era
fermata ugualmente, spinta forse dalla necessità di chiedere
indicazioni per il locale che stava cercando da due ore, o forse solo per
mettere a tacere la sua curiosità. Aveva accostato la macchina al
marciapiede ed aveva fatto lampeggiare due volte gli abbaglianti,
abbassando il finestrino. La prostituta si era avvicinata al vetro
ancheggiando, a passo lento e aveva guardato dentro la vettura,
sperando forse in un cliente. La macchina, un Porsche Boxster nero,
ultimo modello, prometteva soldi sicuri. Quando aveva scorto la
donna al volante, aveva alzato gli occhi al cielo e si era dovuta
trattenere per non bestemmiare. Era la solita storia. A volte la
scambiavano per una cartina geografica e le chiedevano informazioni
come se lei fosse lì apposta, uscisse apposta di notte, sotto l’acqua, al
freddo, mezza nuda, solo per aspettare i turisti ed indicare loro il
locale più vicino, la strada più breve per la discoteca, la scorciatoia per
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la stazione. Così aveva imparato con il tempo a dare un prezzo anche a
quelle piccole cose.
“ Che ti sei persa bambina?” aveva chiesto accennando un sorriso.
“ Sto cercando il bar Holly…Dovrebbe essere da queste parti.” aveva
ammesso Alex ricambiando il sorriso. Il fisico snello, la pelle olivastra
e completamente rasata. Sicuramente non poteva essere la classica
puttanella di strada che si faceva sbattere per una dose di cocaina o
una pasticca. In lei c’era qualche cosa che le ricordava le prostitute del
night, quelle che prima di riuscire a portartele a letto, dovevi mostrare
i soldi, e parecchi.
“ Dieci euro e ti indico la strada.” aveva risposto la prostituta
accendendosi una sigaretta e facendo un tiro.
“ Ma sei impazzita?” aveva reagito Alex.
“ Ora siamo a quindici, bellezza!” aveva tagliato corto l’altra.
Alex l’aveva guardata inspirare il fumo della sigaretta con quell’aria
da sfida ed era scoppiata in una fragorosa risata, battendo la mano sul
volante. Avrebbe voluto lasciarla lì al freddo, alzare il vetro e
sgommando con il suo Porsche nuovo di una settimana, schizzarle
addosso l’acqua di una pozzanghera. Invece non era riuscita a fare
altro che ridere di quella battuta, di lei e della situazione stessa. La
Rossa l’aveva osservata meglio. Top nero scollato fino a mostrare il
seno certamente non abbondante come il suo ma ben sodo, jeans
attillati e scoloriti in varie parti, sulle cosce, una cintura di pelle che le
stringeva la vita. La fibbia portava la firma D&G. A quella stronzetta,
i soldi non mancavano di certo e i tre bracciali a catena intrecciati fra
di loro di oro bianco, giallo e rosso, parlavano chiaro.
“ Allora la vuoi ‘sta indicazione o no? Piove se non te ne sei
accorta!” aveva tagliato corto lei. Voleva solo mandarla a quel paese e
tornare sotto la pensilina che aveva trovato come riparo, almeno fino a
che non avrebbe smesso di piovere. Poi si sarebbe spostata davanti
all’uscita della discoteca, lì qualche cliente lo trovava sempre. Doveva
abbassare la cifra da cento a settanta ma comunque riusciva a tornare a
casa con lo stretto necessario per andare avanti. Ogni tanto lasciava il
29
night, dove aveva lavorato per anni, prima come ballerina, poi come
prostituta, e dove ora vi andava solo alla ricerca di clienti ricchi e
promettenti, e s’incamminava sola lungo la strada, ancheggiando,
mentre fumava una sigaretta dietro l’altra. Era come se sfidasse il
mondo, se volesse ancora dimostrare che nonostante l’età non le
serviva un locale per fare soldi. I suoi quarant’anni, non le impedivano
ancora di fare bene il suo lavoro.
“ Al diavolo! Ti va una birra?” aveva chiesto Alex a un tratto,
aprendo la portiera del passeggero e spostando la borsa sul sedile
dietro.
“Ma stai dicendo a me?” aveva chiesto l’altra come per accertarsi di
aver sentito bene la richiesta della donna. “ Ehi bella! Io di cose strane
non ne faccio hai capito?” aveva risposto poi, gettando la sigaretta
oramai consumata a terra, in una pozzanghera. Nella sua vita da
prostituta aveva provato di tutto: sesso orale, orge di gruppo con altre
prostitute, sesso con più di due uomini, spogliarelli. Ma non aveva mai
avuto un rapporto con una donna. Detestava le lesbiche e non si
sarebbe abbassata anche a quello, nonostante i soldi le servissero
sempre. Aveva l’affitto di una topaia da pagare e doveva ancora
saldare il suo debito a Pablo per la roba che le aveva passato la
settimana prima.
“ Ma che hai capito?” l’aveva guardata Alex. “ Che me ne frega se
sei una…” Puttana? Alex si era morsa la lingua. Certo che come
primo approccio non era stato dei migliori!
“ Puttana?” aveva concluso la frase l’altra “ Puoi dirlo, non mi
offendo… E’ quello che sono”
“ Allora! La vuoi ‘sto birra?” aveva tagliato corto Alex.
“ Paghi tu?”
“ Pago io! Sali!” E così erano partite.
Avevano girato per la città alla ricerca di un locale poco conosciuto,
dove una come Roxana non desse troppo nell’occhio e soprattutto
dove i buttafuori non facessero storie nel lasciarla entrare. Erano finite
al Night Club Casinò di Pablo, in via Light Way, una stradina chiusa e
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senza uscita, poco distante da dove Alex aveva acquistato una villetta
a schiera che costeggiava la strada.
“ Un buon amico…” le aveva detto la prostituta prima di entrare, ma
dalla porta di servizio che Sonny teneva sempre aperta in caso di
emergenza.
“ Che emergenze?” si era informata Alex.
“ Sai, i vari controlli…” e lei non aveva chiesto altro. Non le
interessava cosa succedesse lì dentro, per lei era solo un locale come
un altro.
Il night era affollato di gente. Uomini ben vestiti, con le loro camicie
bianche inamidate e le cravatte allentate, stavano seduti ai tavolini,
poco distanti dal palco, a godersi lo spettacolo, uno strip-tease a tutti
gli effetti, mentre applaudivano attirando l’attenzione di sei ballerine
che, strette nei loro perizomi microscopici, si strusciavano l’una con
l’altra mostrando i seni troppo sodi per essere del tutto naturali. La
musica era al massimo, le luci abbassate. Solo alcune luci
psichedeliche a intermittenza illuminavano il palco e il bancone del
bar. Quattro baristi si davano il turno per accontentare le richieste dei
clienti, riempiendo bicchieri e mischiando svariati cocktail pronti
all’uso. L’aria era irrespirabile, sapeva di fumo di sigaretta e sudore.
Faceva caldo lì dentro, tanto da obbligare Roxana a sfilarsi la
pelliccia, abbandonandola sopra uno sgabello. Alex aveva preferito
lasciare il giubbino di pelle in macchina. Non era un locale troppo
ampio, al contrario, l’intera sala poteva raggiungere al massimo le
dimensioni del suo appartamento, escluso il giardino all’esterno. E il
casinò adiacente, che si raggiungeva svoltando a destra una volta
superato il corridoio di accesso che dava sul tunnel dietro all’edificio,
era ancora più piccolo del night stesso. Nulla di speciale, se si
consideravano le dimensioni, ma dalla gente che quella notte l’aveva
affollato, doveva essere considerato uno dei night più richiesti e
frequentati della zona. Forse proprio per la sua posizione, lontano
dalla strada principale, aperto dietro al parcheggio, sempre ingombro
di autovetture. La zona che lo accoglieva era silenziosa e ben lontana
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dal centro affollato. Solo chi lo frequentava conosceva la sua esatta
ubicazione.
Roxana aveva trovato posto vicino al bancone e si era accesa uno
spinello offrendone uno anche alla nuova arrivata. Alex aveva scosso
la testa. Non faceva uso di droga? Beata lei. Lei quasi non ne poteva
più fare a meno. Ogni giorno si faceva parecchi tiri di marijuana per
rilassarsi prima di stare con qualche cliente che non le avrebbe
certamente lasciato dei bei ricordi da scrivere sul suo diario segreto.
Rise gettando la testa all’indietro: lei un diario segreto non lo aveva!
Così si erano conosciute lei e Roxi, davanti ad una birra mentre
guardavano sei ragazze semi nude ballare sui tavoli, in un locale che
Alex non avrebbe saputo ben definire, a metà fra il night e il casinò,
anche se oltre a quelle nude sul palco non si vedevano altre prostitute
in giro.
“ Oh, le altre sono già al lavoro. Per la strada.” aveva precisato Roxi.
“ Come te? Anche tu lavori qui?” aveva chiesto Alex ingoiando il
primo sorso di birra.
“ Ora non più. Ho smesso qualche anno fa. Lavoro per conto mio.”
“ E come sei finita qui dentro?”
“ Oh, è una storia lunga. Potrei scrivere un romanzo!”
Roxana era scappata di casa all’età di diciotto anni, per inseguire il
suo sogno: ballare. Suo padre era un vecchio ubriacone dalle mani
troppo lunghe che più volte aveva cercato di soddisfare la sua libidine
con lei quando la moglie era al lavoro come domestica. Suo fratello
maggiore di due anni era sempre stato troppo impegnato a pensare a se
stesso per accorgersi di qualche cosa e sua madre… Beh lei non aveva
mai contato poi molto neppure come donna. E lei l’aveva odiata, oh
quanto l’aveva detestata quando abbassava la testa. Una donna senza
fegato e carattere. Tutto l’opposto di lei. E così una mattina, dopo
l’ennesima visita del padre nella sua camera, si era svegliata all’alba
come faceva sempre per andare a scuola, frequentava il terzo anno di
magistrali avendo ripetuto per ben due volte lo stesso primo anno,
aveva riempito lo zaino con dei vestiti di ricambio, rubato dalla
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credenza qualche soldo e non aveva più fatto ritorno a casa. Non
sapeva se la sua famiglia l’avesse cercata o se se ne fossero lavati
semplicemente le mani come lei aveva fatto con loro. Al funerale di
suo padre, informata dai necrologi sul giornale, non si era neppure
presentata. A quello della madre suo fratello non l’aveva neppure
avvertita. Per lei la sua famiglia era morta e sepolta, come la sua
infanzia. Non aveva più voluto sapere nulla neppure del fratello Toby,
uno smidollato alla ricerca della fortuna. Dopo due giorni di viaggio
che l’avevano portata fino a lì, si era associata a un gruppo di ragazze
anch’esse alla ricerca di una vita migliore purché lontano da genitori
che le maltrattavano e che le facevano prostituire per qualche soldo in
più che andava a pagare i troppi debiti. Per procurarsi il cibo aveva
imparato a rubare ai centri commerciali, eludendo la sorveglianza. La
notte dormivano nei parchi, dopo essersi fumate qualche canna che la
più grande di loro, Cindy, procurava rubando qualche spicciolo,
frugando nelle giacche e nelle borsette dei clienti di una discoteca in
cui lavorava come addetto al guardaroba. Con una di queste, anch’essa
pazza per l’hip- hop, teneva qualche spettacolo in strada per
racimolare una piccola fortuna che speravano, un giorno le avrebbe
portate lontano. Si erano presentate anche a qualche provino ma la
fortuna non era mai girata dalla loro parte. Per l’intera giornata
restavano sedute sui marciapiedi del centro a fantasticare, cantando
qualche canzone, cercando di racimolare qualche soldo qua e là. A
volte anche rubando i portafogli ai passanti. Di andare altrove per
cercare fortuna non se ne parlava, soprattutto con i pochi soldi che
riuscivano a trovare e la fortuna che girava loro le spalle in ogni
momento.
Quando proprio i soldi scarseggiavano da non poter mangiare per
giorni interi, lei e le amiche scivolavano di notte per la strada e
facendo attenzione alle prostitute che da anni battevano quelle zone,
andavano in cerca di qualche cliente. Per lo più praticavano sesso
orale, facendosi pagare una miseria, venti dollari quando andava bene
e i ragazzi erano in due. Ma non avevano mai avuto un vero e proprio
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rapporto completo e solitamente cercavano di restare in gruppo.
Quella vita non piaceva a nessuno, ma tornare indietro troppa
vergogna, cercarsi un lavoro, neppure a parlarne.
Poi una notte Roxana si era allontanata dalle amiche che erano
rimaste a guardare le vetrine in piazza ed aveva raggiunto un bar poco
distante con la speranza di racimolare qualche bottiglia di birra mezza
vuota abbandonata sul muretto fuori dal locale. Aveva voglia di
ubriacarsi e di non pensare al suo stomaco che da ore continua a
brontolare. Si era messa seduta cavalcioni del muro aspettando che le
compagne la raggiungessero. Un uomo grassoccio che puzzava di
alcol e sigaretta, si era avvicinato e le aveva offerto cinquanta dollari
per una toccatina in mezzo alle gambe. All’inizio l’idea non le era
piaciuta ma suo padre aveva fatto anche di peggio con lei e cinquanta
bigliettoni le servivano proprio. Si era lasciata convincere a salire in
macchina e dopo averle offerto una canna l’aveva spogliata
completamente lasciandole solo gli slip.
“ Ehi pervertito! Avevi detto che volevi solo toccare!” aveva reagito
lei. L’uomo aveva estratto un coltello e glielo aveva puntato alla gola.
“ Ho cambiato idea troietta!”
E così aveva dovuto starci. Quell’ammasso di ciccia che
ballonzolava a ogni movimento l’aveva montata come una cagna in
calore, mentre lei cercava di dibattersi e di gridare. Le aveva strappato
le mutandine continuando a penetrarla senza fermarsi. L’aveva
schiaffeggiata più volte, costringendola a prenderglielo in bocca
mentre le sue dita frugavano dentro di lei alla ricerca di chissà che
cosa. Alla fine Roxana si era arresa sperando che quella tortura finisse
in fretta. Quando ebbe finito, fra grugniti e mugolii, l’uomo le aveva
ordinato di scendere, gettandogli in faccia i suoi soldi.
“ Te li sei guadagnati puttana!” ed era ripartito sulla sua vettura che
sapeva ancora di sesso e pelle.
Così aveva avuto il suo primo rapporto completo, molto diverso da
ciò che aveva sempre immaginato, e in quella stessa notte se ne erano
andati anche i suoi troppi sogni da ragazzina che ancora teneva
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nascosti dentro ad un cassetto. Aveva imparato presto a capire cosa
volessero gli uomini e soprattutto come riuscire a soddisfare le loro
perversioni per guadagnare più soldi. Doveva solo annullarsi, farsi
cavalcare per una mezz’ora e poi dimenticare di averlo fatto. Non lo
faceva sempre, e cercava più che altro di recuperare il denaro per
sopravvivere continuando a rubare nei negozi o per la strada, ma
quando la fame si faceva sentire, si allontanava dal gruppo e cercava
la sua preda. Aveva solo diciannove anni e senza un protettore alle
spalle, non poteva chiedere altro che cinquanta dollari alla volta. Per il
cliente voleva dire una sveltina in macchina e poche complicazioni,
oltre a soldi risparmiati. Per Roxana solo la sopravvivenza per i giorni
a venire.
Poi una sera, mentre passeggiava nei dintorni di una discoteca, un
uomo ben vestito, con un fuoriserie rosso fiammeggiante, l’aveva
fermata, offrendole un pezzo di pizza e una birra al chiosco lì accanto.
Stava cercando gente nuova da portare al suo locale, ragazze giovani
che sapessero ballare e avessero voglia di diventare qualcuno. Roxana
era una bella ragazza, il corpo esile e il seno prominente,
promettevano bene, doveva solo imparare a muoversi sui tacchi a
spillo. Al resto avrebbe pensato lui. Poteva interessarle la sua offerta?
“ Non ci devo neppure pensare!” aveva risposto lei ingurgitando un
altro sorso di birra fredda. Il suo sogno si stava finalmente avverando,
come lei aveva sempre sperato. Doveva solo presentarsi la sera dopo
al locale, meglio se veniva da sola, lui l’avrebbe aspettata là.
All’entrata doveva solo chiedere di Richy, tutti lo conoscevano. Le
promise soldi a palate, un posto per dormire e qualche cosa da mettere
sotto ai denti. Naturalmente prima doveva valutare il suo talento.
La sera dopo Roxana era davanti alla porta del locale tre ore prima
che aprisse i battenti. Il night mostrava la sua insegna fluorescente alla
strada, restava a pochi isolati dai migliori hotel del centro, ed era il
punto di ritrovo di numerosi turisti e non, alla ricerca di una serata
diversa dal solito. Richy l’aveva presentata a una delle ragazze che
l’aveva accompagnata in un camerino, l’aveva aiutata a farsi un bagno
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caldo e a infilarsi un bichini di pailette e una parrucca bionda per
nascondere i suoi capelli arricciati e rosso fuoco. Si era resa conto
presto che il locale non era altro che un night club che non le avrebbe
offerto alcun biglietto per il successo, né un posto in prima fila in
qualche spettacolo. I clienti restavano a guardare le spogliarelliste
muoversi sul palco strusciandosi lungo il palo mentre si toglievano
pezzo per pezzo i loro già miseri indumenti, lanciando banconote
fruscianti, comprandole per una notte di sesso.
Il suo stipendio, per il lavoro di sei ore a notte per sei notti alla
settimana era di cinquecento dollari al mese, neppure i soldi per
mangiare e pagare l’affitto di una stanza di due metri per tre, in un
quartiere malfamato del centro che il proprietario del locale le aveva
trovato e che doveva condividere con un’altra prostituta per la
maggior parte del tempo ubriaca o fatta di roba. E ogni notte, la solita
vita: musica assordante, un bikini succinto come abbigliamento che
alla fine spariva lasciandola completamente nuda e bavosi uomini
grassocci che non avevano di meglio da fare se non passare le loro
serate davanti al bancone del bar con una birra in mano a guardare un
paio di tette muoversi davanti a loro. Più volte aveva provato ad
andarsene, a tornare sulla strada, ma alla fine faceva sempre ritorno al
night. Si spogliava nel suo camerino, imprecando sotto voce contro il
suo poco coraggio, usciva sul palco, lasciava che le mani dei clienti
scivolassero sul suo corpo nudo e in bella mostra e si annullava, non
pensava a nulla se non al denaro che alla fine della serata Richy le
avrebbe consegnato permettendole di farne quello che voleva.
Diventare ballerina in un night, non era mai stato nei suoi sogni da
bambina, non era stato il suo ultimo desiderio espresso la notte di San
Lorenzo guardando le stelle, ma era comunque l’unico modo che
aveva trovato per guadagnare qualche soldo e togliersi dalla strada.
Vi era rimasta fino all’età di ventidue anni convinta che in fin dei
conti un posto valeva l’altro. Raramente il titolare del night la
obbligava a prostituirsi, e se lo faceva le permetteva di tenersi la metà
della tariffa. Ma per lei aveva altri progetti. Sperava si convincesse a
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diventare la sua sola puttana, e che decidesse di concedersi a lui
soltanto. Poteva offrirle una vita migliore e toglierla dal night. In
cambio sarebbe stata al suo fianco, non le avrebbe fatto mancare nulla
ma sarebbe diventata di sua esclusiva proprietà. Roxana aveva
rifiutato più volte la proposta decisa a continuare ad essere sì una
prostituta, ma mai di un solo uomo.
Poi una sera aveva incontrato Pablo fuori dal night dove lavorava,
mentre era uscita per una boccata d’aria e una sigaretta. Anche lui le
aveva offerto lo stesso lavoro ma con qualche extra in più. L’aveva
guardata muoversi sul palco e voleva che lasciasse quel buco di fogna
per andare a lavorare al suo night. L’extra comprendeva naturalmente,
non solo lo spogliarello completo sui tavoli, ma anche accontentare
qualche cliente particolare del locale. Il settanta per cento sarebbe
andato a lui, lei avrebbe percepito uno stipendio fisso di almeno
settecento dollari e il trenta per cento per ogni cliente che riusciva a
far ubriacare prima al bancone, a far giocare ai tavoli da Blak Jack e
poi ad accontentare fuori o dentro al locale. Stava a lei.
Il Night Club Casinò si trovava in una zona isolata della città, in un
complesso abbandonato e poco noto anche alle forze dell’ordine. E
per Roxi, pochi controlli, volevano dire più possibilità di fare soldi.
Durante i tre anni passati in quel buco, era stata arrestata un paio di
volte durante due retate e oramai il suo nome era conosciuto alla
polizia del posto. Decidere di restare lì avrebbe potuto voler anche
dire rischiare un arresto per prostituzione. A quell’età, con una vita
come la sua alle spalle, due volte segnalata alle forze dell’ordine le
prospettive per una vita migliore parevano lontane, forse oramai
irrealizzabili. Tanto valeva entrare definitivamente del giro e tentare
almeno di fare fortuna, aveva pensato quella sera la donna mentre
faceva ritorno a casa. Roxana aveva accettato, prendendo al volo
l’occasione che si era presentata, certa che Pablo le avrebbe anche
coperto le spalle se Richy si fosse presentato al night per riscuotere
qualche diritto su di lei. E una volta lo aveva anche fatto, pretendendo
di concludere la serata in sua compagnia. Ci aveva pensato Sonny a
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lanciarlo fuori dal locale, proprio dalla porta del retro, quella sempre
aperta per le emergenze. E così la sua vita da prostituta aveva avuto
inizio. I soldi avevano cominciato a girare e con essi la fortuna.
Certamente non era la vita da favola che aveva sempre sognato una
volta lasciata la sua famiglia, e quei clienti ubriachi e dalle mani
lunghe che le ricordavano ogni notte quel bastardo di suo padre non
corrispondevano esattamente all’idea del principe azzurro che aveva
in mente, ma era sempre meglio che restare a morire di fame per poco.
Con il passare del tempo aveva imparato ad accontentare tre o quattro
clienti per notte, portandosi a casa un gruzzolo non indifferente, senza
contare le mance che guadagnava mentre si muoveva sul palco e che
Pablo le lasciava.
Crescendo era diventata una bella donna, asciutta, il seno della taglia
terza, stretta in un reggiseno della prima, sempre strizzato come se
dovesse esplodere da un momento all’altro, sodo, lucido e sempre in
mostra. La pelle ricoperta di olio profumato luccicava sotto i faretti
delle luci psichedeliche mentre le sue natiche strette in un perizoma di
pizzo ondeggiavano attirando commenti e applausi dei clienti più
vogliosi. Roxi era affascinante sia vestita che nuda, non vi era
differenza e se non fosse stato per il locale in cui lavorava, la gente
che incontrava ogni notte e il suo modo provocante di vestire, si
sarebbe potuta scambiare per una donna di classe. A lei andavano i
clienti migliori e con i portafogli gonfi di banconote fruscianti.
Nessuno si azzardava a molestarla, anche quando intratteneva gli
stranieri fuori dal locale perché tutti sapevano che era la prediletta di
Pablo e come tale la rispettavano. Alcune voci parlavano anche di una
loro relazione, una storia fra prostituta e protettore, ma Roxi lasciava
dire. Non le importavano le chiacchiere di corridoio, soprattutto se a
farle erano le altre ragazze del night, invidiose della sua fama e dei
suoi guadagni. A lei interessava il denaro e ciò che questo le avrebbe
portato. E fin dal primo istante che aveva visto quell’ometto alto un
metro e trenta centimetri, stretto nel suo vestito all’ultima moda, aveva
compreso che solo da lui poteva averne tanto e facilmente.
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Aveva lavorato per lui fino all’età di trent’otto anni. Dopo essere
diventata la prostituta più richiesta e ben pagata del locale, dopo aver
insegnato il mestiere alle più giovani e aver messo da parte un bel
gruzzoletto anche grazie a Pablo che si era sempre occupato di tutto il
resto, e grazie anche all’arrivo delle giovani rumene meno pretenziose,
sottopagate e disposte a tutto senza arricciare il naso, l’uomo le aveva
permesso di lasciare il night e di lavorare per conto suo, ma
nonostante questo erano sempre rimasti ottimi amici. Era lei ora che
girava nei locali alla ricerca di nuove ragazze da portare al night. Le
sceglieva con cura, selezionandole fra quelle che sarebbero finite per
la strada ad incrementare i guadagni di Pablo, e quelle che potevano
avere talento per intrattenere i clienti nel locale. Pablo le pagava la sua
parte, le permetteva di scegliere ancora i clienti all’interno del locale,
concedendole quelli più facoltosi e le lasciava tutto il guadagno.
Roxana non aveva mai pensato di lasciare la vecchia strada,
nonostante con il passare degli anni avesse accumulato del denaro
sufficiente a garantirle una vita normale. Oramai era una prostituta, se
lo sentiva dentro, quel lavoro le era entrato nell’anima oltre che nel
corpo e sapeva di farlo bene. La sua sola richiesta era stata quella di
gestirsi finalmente da sola, stabilendo lei il prezzo, decidendo chi,
dove e quando, intascando l’intero ricavato del suo commercio senza
doverlo dividere con nessuno. Lei batteva sul marciapiede davanti al
night che per anni l’aveva ospitata come una seconda casa e forse
come una prima famiglia, portava sempre nuovi clienti al locale, li
faceva bere a più non posso facendo recuperare dei bei centoni a Pablo
e poi se li portava via andando a concludere la serata in macchina o
nel suo appartamento. La chiamavano ‘la Rossa’ per il colore dei suoi
capelli che non aveva mai nascosto con una parrucca, neppure durante
gli spettacoli.
Ora all’età di quarantacinque anni non sognava più di diventare una
ballerina, ma aveva imparato a vivere da sola, a guardarsi le spalle e
soprattutto a non credere più nei sogni. Il suo sogno, l’unico che aveva
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mai avuto, si era spento in quel locale, come una lampadina fulminata
che ad un tratto aveva smesso di fare luce.
“ E tu? Come hai detto che ti chiami?”- chiese la donna una volta
finito il suo racconto. “Ah sì, Alexandra…Che mi racconti di te?” La
prostituta aveva svuotato anche l’ultimo sorso di birra bevendo
direttamente dalla bottiglia di vetro e si era sistemata i capelli ancora
umidi passandovi una mano. Era seduta su uno sgabello girevole con
le gambe aperte, come se fosse una posa naturale e offrisse la sua
merce come quando al mercato i commercianti espongono la propria
aspettando il miglior offerente. Alex aveva potuto intravedere sotto la
minigonna di pelle, il pelo del pube. Quella notte non portava neppure
il perizoma.
Alex si era acceca una sigaretta soffiando fuori il fumo. Aveva
inclinato la testa di lato, restando a guardare in direzione dei tavoli
affollati di gente. L’aria era irrespirabile, la musica troppo alta. E i
primi sorsi di birra, ingurgitati avidamente a stomaco vuoto, avevano
già cominciato a farle effetto.
“ Ordina qualche cosa di più forte della birra Roxi!” le aveva detto
questa scoppiando in una risata. “Anche la mia vita non è stata tutta
rose e fiori.”
3.
Roxana aveva fatto un cenno con il capo al biondino che stava
dietro al bancone, indicando la bottiglia di Vodka alla fragola
dimenticata vicino alla cassa. Era sempre stato il suo alcolico preferito
da quando lo aveva scoperto una sera con un cliente che Pablo le
aveva chiesto di intrattenere tutta la notte, le aveva detto vuotandone il
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contenuto in due bicchieri alti tre dita di cristallo spesso, e tornando a
rievocare i tempi passati.
“ Per te va bene o vuoi dell’altro?” le aveva chiesto la Rossa
strizzandole l’occhio. Alexandra era scoppiata in una risata annuendo.
“ Vada per la Vodka!” aveva detto svuotando il primo bicchierino e
asciugandosi le labbra sul dorso della mano. Si sentiva già un po’
ubriaca o forse aveva già preso una bella sbronza, ma non le era
importato un granché. Era forse la prima notte da quando aveva messo
piede in quella città sconosciuta e misera di vita notturna che si stava
veramente divertendo. Altro che discoteche e locali del centro
frequentati solo da gente troppo ricca, in giacca e cravatta e
universitarie all’ultimo anno di Giurisprudenza! Aveva desiderato
tornare a vivere da troppo tempo e ora che il divertimento era arrivato
all’improvviso, non voleva che finisse troppo in fretta.
Roxana le aveva nuovamente riempito il bicchiere, non prima di aver
seguito il suo esempio e svuotata la prima dose di veleno.
“ Non sei di qui vero? Non ti ho mai visto in giro.” le aveva chiesto
rubando qualche salatino da un piatto di portata che il barista aveva
sistemato in tre ciotole di ceramica e che avrebbe poi portato a uno dei
tavoli in fondo della sala.
“ Sono arrivata da sei mesi, o poco più…”aveva ammesso lei.
“ Sola?” si era informata la prostituta porgendo dei salatini ad Alex.
La donna li aveva rigirati fra le dita prima di iniziare a mordicchiarli.
Avevano la forma di un sole sorridente e di una mezza luna. Erano
tutto ciò che quella sera aveva sperato di non mangiare andando
all’inaugurazione del bar Holly, il locale che aveva cercato
gironzolando per le vie del centro e che l’aveva portata a incontrare
Roxana. E ora che si ritrovava fra le dita quei piccoli biscotti salati che
tanto le ricordavano le crocchette di cui Robby andava pazzo, non
sapeva se metterli in bocca o riporli nel vassoio. Aveva bisogno di una
vera cena. Da quando era rimasta sola, non si era più messa ai fornelli,
e aveva continuato a mangiare pizza riscaldata o sandwich al
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formaggio. Non che fosse uno chef di prima classe, ma un paio di
uova strapazzate e un piatto di pasta era sempre riuscita a prepararla.
“Sì, bella mia…Sola!” disse alzando il tono della voce per sovrastare
il ritmo assordante della musica. “Il bastardo l’ho mollato prima che
mi spaccasse la faccia a forza di pugni!” la donna tornò a ridere
trascinando nella sua risata anche la nuova compagna e ingoiando
qualche salatino. Meglio che restare a stomaco vuoto.
“ Il tuo ragazzo?” aveva chiesto Roxana guardando lo sguardo perso
di Alexandra.
“ No, mio marito…”
Era bastata quella parola, marito, per convincere Alex a raccontare
di sé, ma per farlo aveva avuto bisogno di bere, di annebbiarsi la
mente, per non permettere al suo pensiero di raggiungere ancora il suo
cuore e fare riaffiorare quei pochi sentimenti oramai sepolti, ma che
ogni tanto tornavano in superficie come boe disperse in mare che non
volevano affondare negli abissi, quanto bastava per ricordarle che
aveva un passato dal quale ancora stava fuggendo. I ricordi la ferivano
ancora, e quando facevano capolino nella sua mente non poteva fare
altro che restare ad ascoltarli.
La donna aveva svuotato in un sorso il secondo bicchiere di Vodka
osservando la sua immagine riflessa dietro al bancone del bar. Aveva
le pupille dilatate, i capelli spettinati e il trucco sciupato come se fosse
stata lei quella a camminare per ore sotto l’acqua battente e non
Roxana. L’alcool cominciava a farle effetto, ne sentiva il calore salirle
alla testa e il rumore attorno a lei si era come ovattato.
Anche la vita di Alexandra aveva avuto come sfondo un sogno, anche
se meno ambizioso di quello di Roxana: incontrare un uomo, sposarsi,
avere dei figli e una famiglia tutta sua. E aveva cercato in tutti i modi
di realizzarlo, mentre riempiva pagine di diario segreto e sognava ad
occhi aperti durante le ore di latino al liceo. Oh quanto aveva sognato!
Non avendo mai conosciuto suo padre, morto quando lei ancora aveva
pochi mesi di vita durante una rapina a un centro commerciale dove
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lui era accorso dopo la chiamata dalla centrale (non avrebbe dovuto
lavorare quella sera. Essendo il suo compleanno aveva chiesto a un
collega di sostituirlo ma all’improvviso questo si era ammalato e il
Capitano aveva richiesto la sua presenza al comando di polizia) Alex
aveva sempre sentito la mancanza di una figura maschile e paterna
nella sua vita, tanto da scambiare ogni sua storia d’amore per quella
giusta, per la realizzazione del suo sogno. Questo fino a che non si
rendeva conto che i ragazzi che incontrava, s’ innamoravano di lei
solo perché era la ragazza più attraente della scuola o almeno
fingevano bene la loro infatuazione. Alexandra aveva bisogno di
qualcuno più grande di lei, che si occupasse dei suoi sogni, che
l’aiutasse a realizzarli, che le tenesse compagnia e che le regalasse
quegli attimi di intimità e di protezione che nessuno mai era riuscito a
darle. Alex cercava nei ragazzi quell’amore e quegli abbracci che un
padre non aveva mai potuto darle e che una madre troppo impegnata a
lavorare giorno e notte per garantire alle figlie una vita normale non
riusciva a trovare il tempo di regalarle.
Lei era la più piccola di due figlie. Grace, la prima, aveva
abbandonato presto la scuola per seguire un corso d’infermiera in un
ospedale del centro dove le offrivano vitto e alloggio purchè fosse
sempre reperibile in caso di bisogno. Questo le permetteva uno
stipendio fisso e le evitava le spese del pullman per il viaggio di
andata e di ritorno fino a casa. Tornava ogni due settimane, e ripartiva
il lunedì all’alba. A volte avrebbe desiderato trascorrere anche il
week-end all’ospedale e uscire con le compagne di corso, avere una
sua vita, ma la sua coscienza la obbligava a tornare a casa, a occuparsi
della madre e della sorella più piccola. Da quando il padre se ne era
andato, Alex viveva nel mondo dei sogni e la madre era sempre troppo
impegnata, tuffata nel lavoro per fare quadrare i conti a fine mese, per
rendersi conto che le sue due figlie avevano anche bisogno di calore
ed affetto, di qualunque cosa che ricordasse loro di avere ancora una
famiglia. Grace non temeva che la sorella si ficcasse nei guai, del resto
era una ragazza coscienziosa, andava a scuola regolarmente, anche se
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non aveva voti eccellenti e s’impegnasse il minimo indispensabile,
quanto bastava per non ripetere l’anno. Ma le sue continue avventure
con i ragazzi a volte la facevano preoccupare. Solitamente gli uomini
che frequentava erano più grandi di lei di otto o nove anni, ed era
dunque più facile per loro prendersi gioco di lei e per Alex credere alle
loro parole. Dopo qualche giorno che si frequentavano loro provavano
a portarsela a letto, lei rifiutava e l’amore come era cominciato fra
baci e promesse, finiva. E lei si ritrovava a odiare il mondo intero, se
stessa per averci creduto e la solitudine che la circondava. La ragazza
si chiudeva in camera a sognare ad occhi aperti le avventure dei
personaggi dei romanzi rosa che una sua compagna di scuola le
passava dopo averli rubati alla madre o restando per ore a guardare
vecchi film in televisione quelli che aveva visto e rivisto un’infinità di
volte fino a conoscere le battute a memoria ma che ancora riuscivano
a strapparle qualche lacrima. Film in cui lui, il bello della situazione,
s’ innamorava di lei e tornava sempre a prenderla, la difendeva dalle
avversità di ogni giorno e alla fine le regalava una vita d’amore e da
sogno. Il mondo reale per Alexandra non esisteva, l’unica cosa in cui
credeva era nella certezza che prima o poi avrebbe trovato anche lei
un uomo che sapesse amarla sopra ogni altra cosa.
E finalmente un giorno anche i suoi sogni trovarono il modo di
prendere il volo. Conobbe Jack al parco, dove con delle amiche Alex
si ritrovava dopo l’orario di scuola a fumarsi in santa pace una
sigaretta, lontano dagli occhi dei genitori. Non facevano uso di droga,
non avevano mai provato e stavano il più lontano possibile dalle
cattive compagnie. Vivevano di avventure loro e di amori impossibili,
quelli che ti lasciano l’amaro in bocca ma che ti permettono sempre di
sperare in un domani, che ti danno modo di continuare a guardare
avanti e di credere nel giorno dopo.
Alex lo vide scendere da una pattuglia della polizia e fermarsi vicino
al laghetto poco distante dalla panchina dove loro si erano sedute,
all’ombra di un grande cipresso. Era lì che ogni pomeriggio
trascorrevano qualche ora prima di fare ritorno a casa in modo che
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nessuno si accorgesse della loro assenza e della loro poca voglia di
studiare. Il liceo era solo un passaggio, una via di mezzo che lei e le
sue due amiche avevano accettato per non dover trovare lavoro come
cameriere negli hotel del posto o peggio in qualche piccola fabbrica,
con uno stipendio misero che sicuramente sarebbe andato a
contribuire alle spese della famiglia. Di finire a lavorare all’ospedale
come la sorella Alex non ci pensava neppure: non sopportava la vista
del sangue e quell’odore di disinfettante le faceva venire il mal di
testa.
“ O studi o vai a lavorare signorina! Non ho intenzione di lasciarti
vivere nella bambagia mentre io e tua sorella passiamo tutta la
giornata a spaccarci la schiena!” Le aveva detto sua madre, quando era
giunto il momento di decidere che fare dei suoi quindici anni, e lei
aveva accettato di buon grado di iniziare a frequentare la scuola, anche
se di studiare le importasse un gran poco. Era sempre stata una
ragazza intelligente e sveglia e questo le aveva permesso di riuscire
ogni anno a evitare la bocciatura anche se non con il massimo dei voti.
Alexandra scorse il poliziotto mentre si accendeva una sigaretta e
restando a osservare l’acqua immobile del laghetto artificiale pensava
a come trascorrere il resto della giornata una volta fatto ritorno a casa.
Era un agente di polizia e da solo un anno aveva superato l’esame di
ammissione ed era entrato a far parte della squadra mobile. Ma il suo
desiderio era quello di salire qualche altro gradino, diventare Ispettore
magari, anche se sapeva che per riuscirci la strada davanti a lui era
ancora lunga ed in salita. Quella mattina aveva appena finito il turno
di lavoro e non voleva rovinarsi il resto della giornata chiudendosi in
qualche bar del centro a bere. Non ancora almeno. La sera poi avrebbe
deciso con chi e dove uscire per cercare di rimorchiare qualche
ragazza e concludere la serata in bellezza. Le donne e l’alcool erano la
sua unica passione qualche se la divisa che indossava lo obbligava a
volte, a limitare i suoi divertimenti.
La ragazza aveva lasciato le amiche a litigare su chi avrebbe
comprato le sigarette l’indomani e sistemandosi i capelli lo aveva
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raggiunto sorprendendolo da dietro. Quando l’uomo aveva percepito
dei passi alle sue spalle, si era girato di scatto e si era trovato faccia a
faccia con una ragazza poco più diciottenne, alta quasi come lui, i
capelli neri sciolti sulle spalle gli occhi verdi e luccicanti. E lei dal
canto suo era rimasta immobile a guadare quegli occhi azzurri
perdendovisi dentro, come mai era accaduto. Erano rimasti a guardarsi
per qualche secondo, lui irritato da quella presenza, lei già persa nel
suo sguardo duro e da uomo. Per Alexandra era cominciato il sogno,
l’ennesimo. Si era innamorata di lui così, per gioco e all’improvviso, il
classico colpo di fulmine. O forse si era innamorata solo della sua
divisa, del fatto che fosse un uomo che contava nella società, che
avrebbe sempre potuto proteggerla e sostituire la figura di un padre
mai esistito e di un amante che sempre aveva sperato e sognato di
incontrare.
“ Ehi ma i poliziotti mentre sono in servizio, non dovrebbero né bere
né fumare?” aveva esordito lei sorridendo e inspirando a sua volta il
fumo dalla sigaretta appena accesa.
“ E questo chi te l’ha detto?” aveva chiesto lui seguendo con lo
sguardo la giovane donna mentre si sedeva sulla staccionata
intrecciando le gambe lunghe e strette in un paio di jeans a vita bassa.
“ Un amico… Sei uno sbirro giusto? Uno di quelli veri?” le aveva
chiesto lei godendosi l’immagine di lui stretto nella sua divisa blu.
Aveva sempre sperato di poterne incontrare uno dal vivo, com’era
solita dire lei. Sì, li aveva visti in azione giù al bar La Stiva, quando
due avevano fatto a botte ed era stata chiamata la pattuglia. Ed anche
quella volta che il suo vicino di casa era stato arrestato alle due di
notte mentre spacciava nel vialetto. Anche quella sera erano arrivati
con le sirene accese e i lampeggianti, erano scesi in due per macchina,
lo avevano afferrato, gli avevano messo le manette ed avevano detto a
tutti quelli che si erano affacciati alle finestre di rientrare in casa. Non
c’era nulla da guardare. Ma trovarsene uno lì vicino, ancora vestito
con la sua divisa blu, il cappello in testa, e la pistola nella fondina,
questo le aveva messo i brividi addosso. In casa, sua madre aveva solo
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due fotografie del marito e a volte Alex di era fermata ad osservare
quell’immagine appesa in corridoio, ammirando la sua divisa ben
inamidata, la sua arma , il sorriso fiero sulle labbra.
“ Certamente non sono appena uscito dai cartoni animati!” aveva
ribattuto lui gettando il mozzicone di sigaretta nei laghetto e
accennando un sorriso. Gli mancava solo una ragazzina rompi palle
quella mattina! “E tu che ci fai qui? Bigi la scuola?”
“ L’ultima ora c’era attività fisica sai che noia! Sono qui con delle
amiche a fumarmi una canna!” aveva esordito lei strizzandogli
l’occhio. Poi non era riuscita a reggere il suo sguardo ed era scoppiata
a ridere. “Eh dai, scherzavo! E’ una semplice sigaretta, niente di più!”
aveva detto mostrando la scritta in piccolo che ogni sigaretta riportava
in basso, vicino al filtro. “ Io non mi faccio le canne!”
“ Non sei troppo piccola per fumare?”
“ Ho compiuto due mesi fa i diciotto anni, sono all’ultimo anno di
liceo. Tu invece non sei troppo grande per restare qui al laghetto a
guardare le anatre passare?”
“ Ah scusa… non avevo capito che alla tua età potessi essere già una
donna vissuta” aveva riso lui restando a giocherellare con un sasso.
“Hai voglia di una birra al bar o è meglio se ti offro un gelato?”le
aveva chiesto a un tratto lui continuando a trattarla da ragazzina.
Alex l’aveva guardato. Aveva sorriso a Frencis, la sua compagna di
banco che da dietro le spalle dello sbirro, le faceva segno di andare, le
avrebbe telefonato dopo appena rientrata a casa, e gettando la sigaretta
consumata nell’acqua si era alzata avvicinandosi all’uomo in divisa.
“ Vada per la birra.” aveva detto lei anche se non aveva mai bevuto
in vita sua se non un po’ di spumante a Capodanno. “ Il gelato me lo
offri la prossima volta!”Lei non era più una ragazzina, era una donna
con dei sogni, una vita davanti e soprattutto desiderosa di iniziare a
vivere.
La storia fra Jack e Alex era iniziata per caso e per caso era
continuata nonostante lui non avesse ancora deciso che farsene di
un’adolescente di soli diciotto anni e non fosse ancora pronto, o deciso
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ad abbandonare la sua vita notturna e le sue avventure di poco conto.
E non aveva neppure intenzione di farlo! Alex aveva il coprifuoco alle
ventidue, e dunque, quando non doveva lavorare di notte,
s’incontravano al molo, restavano un po’ insieme e quando lei
rientrava, lui ritornava al bar e continuava a vivere liberamente la sua
vita di sempre. Aspirava a qualche cosa di più che un misero
stipendio di agente e l’obbligo di eseguire degli ordini. Lui gli ordini
un giorno li avrebbe dati! Ma sapeva anche che per poter salire la
scala del successo, aveva bisogno delle giuste conoscenze, e di farsi
un nome che contasse qualche cosa nel mondo reale, quello che stava
al di là della divisa che indossava. All’inizio doveva ammettere di
essere partito con il piede sbagliato con alcuni colleghi giù in centrale
e che la sua fama non fosse delle migliori.
Chi lo frequentava abitualmente sapeva che Jack era un picchiatore,
che quando doveva arrestare qualcuno non si limitava a mettergli le
manette e a portarlo al distretto per essere interrogato. Prima si
divertiva a minacciarlo, a pestarlo per farsi passare delle informazioni
che potevano sempre essergli utili per delle prossime indagini. Le
prostitute della zona erano le sue migliori informatrici e più di una
volta era stato sospeso dal servizio per rissa nei locali che frequentava
di notte. Per lui il servizio non finiva quando si toglieva la divisa, ma
cominciava proprio da lì. Quando girando per le strade deserte, poteva
confondersi con il resto della gente e perseguire piccoli spacciati
minacciandoli di un arresto se non gli fornivano il nome di chi
procurava la roba da spacciare. Giravano voci che più volte avesse
anche accettato bustarelle per chiudere un occhio, o tutti e due, quando
i fatti erano troppo evidenti per non intervenire. E per poco, due mesi
prima, non era stato sospeso definitivamente dal servizio, quando un
cittadino aveva sporto querela contro di lui per aver dovuto pagare il
doppio di una multa che Jack gli aveva contestato per non essersi
fermato al semaforo rosso. Se avesse pagato quanto richiesto, avrebbe
evitato il ritiro della vettura. Anche lì era riuscito a cavarsela, trovando
il tipo in un locale la sera dopo e riuscendo a farlo ragionare. A modo
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suo ovviamente. La denuncia era stata ritirata. Voci, solo voci, non
appurate e che lui non voleva neppure prendere in considerazione.
Aveva imparato presto che per farsi rispettare non bastava indossare
una divisa e mostrare un distintivo. E soprattutto aveva compreso
velocemente che la vita di tutti i giorni non rispettava la legge e tanto
meno la temeva. Per mettere dietro le sbarre qualcuno, non serviva
perdere tempo pedinandolo giorno o notte alla ricerca di prove, come
continuava a sostenere il suo superiore. Bastava trovarle quelle prove.
E se non c’erano fabbricarle. Serviva poco, continuava a ripetersi
durante le ore di pattugliamento. Solo un po’ di astuzia e un po’ di
coraggio. Tutto ciò che a Jack McCallinter non mancava.
Con il tempo e iniziando a frequentare sempre più spesso Alexandra,
che si dichiarava pazzamente innamorata, Jack si trovò combattuto fra
due fuochi. Lasciar perdere la diciottenne romantica e continuare a
divertirsi con gli amici e le prostitute del bar che era solito frequentare
quando non lavorava, o decidere di trovare una sua stabilità e formare
una coppia con lei. Del resto, all’età di trent’anni anche per lui era
giunto il momento di pensare al suo domani e allo stesso tempo di
mettere a tacere le voci che giravano su di lui, nei corridoio della
centrale, voci che lo canzonavano per la sua poca capacità di essere in
grado di tenersi stretta una donna per più di un paio di mesi a causa
del suo carattere scontroso e della sua reputazione. Alex, dal canto
suo, non era la classica ragazzina viziata e immatura. Sapeva già cosa
voleva dalla vita e soprattutto non era quella che si lasciava andare a
frivolezze. Aveva solo bisogno di crescere un po’, di diventare donna,
ma accanto a lui avrebbe potuto imparare cosa volesse dire vivere nel
mondo reale. Lui dal canto suo, aveva bisogno di un punto fermo, di
una donna e di stabilità.
Jack aveva deciso di lasciarle terminare l’anno di liceo e poi di
chiederle di andare a vivere con lui nel suo piccolo appartamento in
città, a Dothan, lontano dalla madre che non lo vedeva di buon occhio
e che certamente conosceva dettagli sulla sua vita che fino a quel
momento era riuscito a nascondere alla ragazza. L’improvvisa
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bocciatura all’ultimo anno di scuola di Alex e la non ammissione agli
esami di maturità, lo videro costretto ad accelerare i tempi e così, di
punto in bianco, una mattina si era presentato a casa e se l’era portata
via senza dare spiegazioni. Voleva vivere con lui? O adesso o mai più,
queste erano le sue condizioni. Lui le avrebbe trovato un lavoro in un
bar di un amico per qualche ora della giornata in modo che non si
sentisse troppo sola quando lui era al lavoro e potesse contribuire alle
spese della famiglia. Al resto ci avrebbe pensato in seguito.
Dal canto suo Alexandra aspettava quel momento dal primo giorno
che aveva incontrato Jack al parco. Abbandonare la casa che divideva
con la madre e i fine settimana anche con la sorella, chiudere per
sempre i libri di scuola e iniziare a creare ciò in cui aveva sempre
sperato: una sua famiglia.
“ Tutti gli uomini che vuoi Alex ma non quello!” le aveva detto la
madre quando la ragazza aveva annunciato la sua decisione di non
ripetere l’anno scolastico e di lasciare quella casa per rifugiarsi nel suo
nido d’amore con Jack. “Lo conosci da forse un anno e non sei ancora
pronta. E comunque le voci che girano su di lui non mi piacciono!”
Come fare a dire a una figlia innamorata, che l’uomo che aveva
iniziato a frequentare non era altro che un poliziotto corrotto e un poco
di buono? Che non avrebbe neppure dovuto indossare la divisa che
portava e che presto l’avrebbe fatta soffrire?
“ Non puoi vietarmelo! Ora ho diciotto anni ed io e Jack vogliamo
sposarci e fare una nostra famiglia. E’ la mia vita mamma! O l’accetti
o me ne vado ugualmente!” E così era accaduto. Alex aveva lasciato la
casa e si era trasferita a Dothan, rifugiata nel loro nido, in città, poco
lontano da dove abitava la sua amica Frencis che nel frattempo aveva
deciso di ripetere l’ultimo anno di liceo, terminato anche per lei con
una bocciatura, per poi seguire la strada del padre iscrivendosi
all’accademia per diventare anch’essa agente di polizia. Era così che
le due ragazze si erano conosciute: i loro padri avevano lavorato per
una decina d’anni nella stessa centrale operativa, prima che il padre di
Alex venisse ucciso.
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Con il passare degli anni, e notando in Alexandra il passaggio
imminente da ragazza a donna a tutti gli effetti, Jack si rese conto che
non si sarebbe fermata a quella vita, se solo si fosse accorta di aver
buttato al vento la sua giovinezza per seguire un sogno che presto si
sarebbe rivelato un incubo. La sua bellezza, diversa dal solito, con
quegli occhi verdi sempre allegri e i capelli corvini ad incorniciale il
viso fino a scendere lisci sulle spalle, la sua statura resa ancora più
evidente dai sandaletti con il tacco a spillo che era solita indossare
quando usciva ed il suo corpo esile e ben modellato stretto nei jeans
attillati ed in un top aderente, fece aumentare la gelosia di Jack che le
chiese di sposarlo, in una piccola chiesa sopra la collina, senza una
vera cerimonia, senza gli invitati, solo loro due ed i testimoni per
evitare che Alex subisse delle pressioni da parte della famiglia.
Non era certo di amare quella donna, non come almeno aveva creduto
di poter fare una volta convinta a vivere accanto a lui, ma era come se
avesse bisogno di saperla sua per sempre, come se volesse, con il
matrimonio, mettere a tacere la sua coscienza e le sue stesse paure.
In un certo senso era come se si fosse convinto che Alexandra fosse
cosa sua, e come tale dovesse restare. Troppi uomini le stavano
addosso e troppe volte aveva visto i suoi stessi colleghi fermarsi per
un caffè al bar dove lei aveva trovato lavoro, come cameriera. Lui
aveva bisogno di sicurezze, certezze che vedeva ogni giorno sfumare
davanti agli occhi. Alex aveva accettato di sposare l’uomo che
amava, anche se non comprendeva quella fretta e soprattutto quel
bisogno di nascondere al mondo intero il loro amore. Non aveva detto
nulla né alla madre, né alla sorella e aveva deciso di seguire la volontà
di Jack. Per quietare anche l’animo del marito, un paio di mesi dopo
aveva accettato di lasciare il lavoro al bar e di restare a casa in
compagnia di Roy, un Doberman antipatico e sempre arrabbiato con il
mondo intero che Jack le aveva regalato per proteggerla quando lui
usciva la notte per lavoro.
Non potendo più contare sullo stipendio di Alex, anche se misero,
Jack aveva dovuto accollarsi i doppi turni in centrale e per trovare
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abbastanza denaro per garantire una vita agiata alla moglie e
continuare a perseguire il suo desiderio di diventare qualche cosa di
più che un semplice agente di pattuglia, aveva dovuto dedicare anche
più tempo alla sua seconda vita, quella notturna, quella da strada,
quella di cui Alexandra non conosceva l’esistenza. Quando smetteva
la sua divisa, si rivedeva come in un vecchio film, colui che del buio e
della malavita non aveva paura, forse perché a poco a poco, senza
rendersene conto, cominciava a farne parte.
Iniziò mettendo sotto pressione le prostitute del posto perché gli
fornissero le informazioni necessarie sul giro di droga della zona e per
poter estorcere del denaro a chi forniva la roba se voleva evitare un
arresto. Accettò bustarelle gonfie per chiudere un occhio davanti a
spacci di cocaina nei locali, non intervenne durante liti di bande alla
periferia della città ricevendo così lauti compensi da gente che
contava. Almeno per la malavita. Per reggere la tensione che il lavoro
gli fomentava e per sostenere la sua continua gelosia verso la moglie,
cominciò a far uso di droga, e ciò gli permetteva di restare sveglio
notti intere e continuare a svolgere il suo lavoro durante il giorno.
Cominciò a diventare irascibile, scontroso e troppo arrogante anche
con i colleghi, che raramente lo sceglievano come patner.
Alex, dal canto suo, cominciava da poco a rendersi conto che i suoi
sogni non si erano poi realizzati del tutto. Jack era spesso fuori casa e
quando vi faceva ritorno era per passarvi poco tempo. Aveva sempre
troppo lavoro da sbrigare e per lei poco tempo da dedicarle. L’uomo
dolce e romantico dei primi mesi era cambiato improvvisamente.
L’accusava di sperperare il suo denaro ma non le permetteva di
tornare al lavoro dove il pericolo di perdere la sua donna istigava la
sua gelosia.
“ Che cazzo vuoi capirne tu del mio lavoro? Credi che per me sia
facile lavorare di giorno e uscire anche la notte? O forse credi che la
notte vada a divertirmi?”
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“ Non ho detto questo! Sto solo dicendo che sono stanca di
restarmene qui da sola delle giornate intere a pulire o a cucinare! E a
volte non torni neppure per cena! Non sono la tua serva Jack!”
Il primo ceffone le era arrivato in pieno viso un pomeriggio di
settembre, quando Jack aveva fatto ritorno a casa solo per cambiarsi
d’abito. Avrebbe raggiunto il molo e atteso la notte: sapeva che
sarebbe arrivato un carico di merce rubata, aveva avuto un’ottima
soffiata tre giorni prima, e voleva essere il primo a informare la
centrale. Non prima di aver recuperato la sua parte. E così era finito il
grande amore di un uomo troppo impegnato nel suo lavoro e troppo
egoista per rendersi conto che la donna che aveva sposato per evitare
di perderla per colpa di un altro, la stava perdendo solo per colpa sua.
E come in ogni storia, quando la freddezza di un rapporto s’insinua fra
due persone, i dubbi e le paure rendono il gioco ancora più facile.
Gli attimi d’intimità, i pochi ma intensi momenti vissuti insieme,
scambiati le prime notti, lasciarono il posto alle botte gratuite quando
lui rientrava ubriaco a casa o fatto di pasticche e qualche cosa era
andato storto, un’informazione sbagliata che gli aveva fatto perdere
tempo, una lite con il Capitano che da tempo si era reso conto che i
continui arresti dell’agente derivavano solo da una sua ricerca
personale del crimine, la maggior parte delle volte incrementati da
prove false o non appurate, che fomentavano gli animi degli avvocati.
La promozione tardava ad arrivare e tutti i suoi sogni cominciavano a
frantumarsi come specchi. Alex non voleva dare retta alle voci che
sentiva quando usciva da casa per qualche commissione ed allo stesso
tempo non permetteva al suo orgoglio di chiedere aiuto a qualcuno
quando a fatica la mattina riusciva ad alzarsi dal letto dopo che Jack la
notte prima l’aveva riempita di botte o aveva chiesto che lei svolgesse
il suo dovere coniugale. Per lui il loro amore si era ridotto a questo: a
un dovere che lei doveva dargli e gratuitamente. Era la moglie, un
oggetto, una sua proprietà, sulla quale deteneva tutti i diritti. L’amore
se ne era andato come i suoi sogni.
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Fu Frencis, la sua compagna di banco del liceo, che un giorno incontrò
per strada, a rivelarle chi fosse veramente l’uomo che aveva sposato.
Lei lo conosceva bene, viveva a stretto contatto con lui in centrale, da
quando aveva superato gli esami di ammissione all’accademia di
polizia e aveva ottenuto la possibilità di diventare agente al distretto
capitanato dal padre. Ogni giorno si scontrava con Jack, e le voci che
giravano come fantasmi nei corridoio, presto non gli avrebbero
lasciato scampo.
Jack non la stava passando troppo bene, le aveva detto, quando si
erano sedute al tavolino di un bar, aspettando che il cameriere portasse
le loro due birre. Su di lui pendevano delle condanne per corruzione,
minacce, spaccio di cocaina e furto aggravato. Alla centrale si era
pensato di tenerlo d’occhio per qualche tempo prima di intervenire.
“ Sparisci Alex, ora che sei ancora in tempo.” Le aveva consigliato
l’amica.
“ E’ sempre mio marito Frencis, non posso lasciarlo proprio ora
che…”
“ Proprio ora che ha più bisogno di te?” aveva finito la frase l’amica.
“Ma ti sei vista? Credi che non me ne sia accorta cosa nascondi dietro
quegli occhiali scuri? Jack non ha mai perso il vizio di picchiare le sue
donne, ma credevo che con te fosse cambiato! Tutte lo hanno sempre
lasciato, tu te lo sei sposato cazzo! Ti sta facendo del male e tu che
continui a difenderlo! Quanto tempo ancora credi che durerà questa
storia? Quanto tempo credi che ci impieghino alla centrale prima di
capire che Jack usa la sua divisa per i suoi scopi?”
Alex si era sfiorata l’occhio tumefatto nascosto sotto la lente degli
occhiali. Un altro regalo del marito che non aveva gradito il suo
interessamento la sera prima quando lei lo aveva abbracciato appena
fatto rientro a casa e gli aveva chiesto come era andata la giornata.
Doveva uscire ancora quella sera ? O sarebbe rimasto con lei?
Potevano andare a cena. Del resto era il loro secondo anniversario di
matrimonio.
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“ Credi che mi lasci scappare così facilmente?” aveva risposto lei
cercando di sorridere.
“ Vattene di qui Alex! Te lo dico per il tuo bene. Prima o poi Jack
dovrà pagare per quello che ha fatto e tu appunto sei sua moglie!
Sempre che prima non decida di ammazzarti di botte!”
Alexandra scappò quella notte stessa senza neppure voltarsi
indietro, dopo aver pianto tutta la sua sofferenza mentre infilava
qualche abito nella valigia e restava a osservare per l’ultima volta la
casa che aveva visto crescere con lei, con il suo amore, per morire
poco dopo, com’erano morti i suoi sogni e le sue speranze di avere
una vita diversa e una sua famiglia. Scappò inconscia di dove sarebbe
andata, la stessa notte in cui Jack veniva arrestato davanti ad un locale
del centro quando due suoi colleghi, che oramai lo pedinavano da
giorni, lo videro scambiare qualche parola con il più noto trafficante di
eroina del posto con il quale sapevano che lui aveva contatti, entrare
nel suo locale ed uscirne pochi minuti dopo con qualche cosa sotto il
braccio. Una volta perquisito lo trovarono in possesso di tre chili di
roba e cinquantamila bigliettoni. Scattò immediatamente l’ordine di
arresto e venne portato alla centrale di polizia. Lì, quella notte stessa,
sarebbe finita la sua carriera da poliziotto e con essa anche il suo
matrimonio.
Nella fuga, la donna portò con sé solo qualche vestito, i suoi ricordi
e una borsa da palestra piena di banconote che aveva trovato nella
camera adiacente alla loro e che il marito usava come ufficio, nascosta
sotto l’armadio e che le aveva confermato definitivamente che l’uomo
che aveva sposato non era altro che un poliziotto corrotto. Fu costretta
a portare con sé anche quell’odioso cagnaccio, Roy, che non appena
l’aveva vista preparare le poche valigie si era piazzato davanti alla
porta di casa cominciando ad abbaiarle contro.
“ Oh, ci mancavi anche tu brutto bastardo di un cane! Levati dai
piedi, non ho tempo da perdere!” aveva gridato ottenendo l’effetto
contrario e il cane aveva cominciato a ringhiare. Alex gli aveva
puntato contro una pistola scarica che aveva trovato nel cassetto della
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scrivania di Jack e che lui lasciava lì per qualsiasi evenienza, ma
questo era rimasto immobile davanti alla porta di casa.
“ Vattene ho detto! Non ti porto con me brutta bestiaccia!” ma non
aveva potuto fare altrimenti se non caricarselo in macchina e lasciare
che ci accucciasse sul sedile posteriore, vicino alla borsa e alle sue
poche cose. Una fuga verso un’altra vita, un altro sogno. Aveva preso
la vettura del marito e se ne era andata, lasciandosi alle spalle tutto ciò
che aveva costruito, ciò in cui aveva sperato e creduto. Si sarebbe
fermata solo una volta che fosse stata abbastanza lontano da non
tremare quando scorgeva una pattuglia della polizia sfrecciarle
accanto, con le sirene accese ed i lampeggianti che gridavano nella
notte. Se ne andò senza mai guardare lo specchietto retrovisore, senza
guardarsi alle spalle, forse perché dietro di sé oramai non vi restava
più nulla. Credeva forse così di riuscire a dimenticare anche il suo
matrimonio, anche se dentro di sé sapeva che il suo passato prima o
poi sarebbe tornato ad affrontarla e che le avrebbe chiesto una
rivincita. Jack l’avrebbe cercata non appena fosse uscito dalla prigione
e si fosse convinto che il denaro era nelle sue mani. Non le avrebbe
permesso di ricostruirsi una seconda vita, di avere una seconda
possibilità e soprattutto di lasciarlo. Non con i suoi soldi almeno. Era
la sua donna, la sua puttana, come la chiamava quando la
schiaffeggiava tornando a casa a notte fonda ubriaco o fumato dopo
aver trascorso le ultime ore nei locali del centro. Non sarebbe mai
stata libera da quell’uomo, questo Alex lo sapeva, ma in quel
momento davanti a se, aveva visto solo la strada lunga e diritta che si
perdeva nella notte. Davanti a sé in quel momento aveva scorto la sua
libertà.
“ Porca puttana bambina! Certamente non l’hai vista bene neanche
tu! La moglie di uno sbirro corrotto! L’ ho sempre detto io che sono
tutti dei bastardi! Almeno però tu ti sei trovata con un po’ di soldi!”
aveva aggiunto Roxana quella sera che fino a quel momento aveva
ascoltato in silenzio la storia della nuova amica bevendo Vodka e
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mangiando salatini. Un mixer che alla donna non aveva fatto alcun
effetto. Per Alex invece era stato micidiale, a tal punto da non
ricordarsi neppure più in che bar fosse.
“ Se non penso che manca poco e che presto il mio caro e dolce
maritino sarà fuori di galera e farà di tutto per venirmi a cercare,
sì…ho avuto almeno i soldi da quella carogna!” aveva aggiunto lei
accendendosi una sigaretta e inspirando il fumo. Era ubriaca. Ora non
aveva alcun dubbio. Le bruciavano gli occhi per il fumo che aleggiava
nella sala del locale e la testa continuava a girarle come se fosse sopra
una giostra. Le luci si muovevano davanti ai suoi occhi e l’immagine
di sé che vedeva allo specchio le appariva sfuocata. Faceva fatica a
tenere gli occhi aperti. Scosse la testa.
“ Credi che lo farà?”
“ Chi? Quel bastardo?”da quanto tempo non pronunciava più il nome
di suo marito? “ Stanne certa Roxana. Non gliene frega niente di me,
ma dei suoi fottutissimi soldi si!”
“ Che ne hai fatto di quei quattrocentomila piccola?”
“ Mi sono comprata una casa in periferia e qualcosa ho messo da
parte. Niente di speciale.” Aveva ammesso lei ricordandosi che prima
o poi avrebbe dovuto anche decidersi a trovarsi un lavoro decente per
evitare che i pochi soldi rimasti sul conto svanissero. Con parte di
quelli rimasti si era voluta togliere uno sfizio e aveva comprato il
Porsche parcheggiato fuori dal locale. Si era innamorata subito di
quella macchina, non appena l’aveva vista in vetrina, e del resto,
aveva pensato che se la fosse meritata.
Erano passati solo pochi mesi da quando si era trasferita e in quel
poco lasso di tempo aveva già cambiato tre lavori. Appena arrivata
aveva lavorato in una piccola bettola del centro come cameriera, ma
dopo due mesi si era licenziata stanca dei continui palpeggiamenti del
proprietario del locale. In seguito aveva accettato di lavorare come
barista in una discoteca ma, dopo essersi lasciata abbindolare dal
proprietario dichiaratosi follemente innamorato di lei e aver ceduto
alle sue avance, si era trovata coinvolta in una storia d’amore a tre che
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comprendeva anche la moglie del gestore, senza parlare dei due figli
di otto e nove anni. Stanca di sentirsi giurare amore eterno ogni notte e
di essere poi trattata come una qualunque amante, si era fatta
licenziare semplicemente non presentandosi più al posto di lavoro.
Non erano passati tre mesi. E come ultimo, aveva accettato di lavorare
in un calzificio vicino a casa. Dopo un paio di settimane aveva
mandato al diavolo il datore di lavoro dandogli dello sporco bastardo e
se ne era andata. Quella sera, seduta davanti a Roxi, non era stata in
grado di ricordare per quale motivo. Ora, all’età di ventitré anni si
ritrovava sposata a un poliziotto corrotto di cui ogni tanto parlavano
ancora i giornali e la televisione, riprendendo immagini del suo
arresto, e facendo riferimento ai numerosi appelli che l’avvocato
aveva richiesto nel tentativo di ridurre la pena del detenuto. Fin’ora
senza alcun esito positivo. Il denaro era sparito, la merce rubata
venduta prima dell’arresto e Jack si rifiutava di rivelare chi avesse i
soldi racimolati in tutti quegli anni di servizio. Da Jack non avrebbe
mai neppure potuto chiedere il divorzio senza che lui venisse a sapere
del suo nascondiglio. Non aveva un lavoro, possedeva solo una
manciata di spiccioli in banca e due cani come compagni. Non era il
sogno della sua vita, non era stato ciò che aveva sperato fin dall’inizio,
ma per ora si era sempre accontentata.
“ Hai già trovato lavoro?” aveva chiesto all’improvviso la donna.
“ Ci sto provando, ma non è facile. Vogliono tutti quel dannato pezzo
di carta come diploma!” aveva riso divertita lasciando cadere un
salatino sul pavimento di marmo nero della sala. Il locale era gremito
di gente, la musica troppo alta e il fumo rendeva l’aria irrespirabile.
Aveva caldo e le guance arrossate, le scottavano come se avesse la
febbre. Aveva bisogno di aria fresca.
“ Pablo, il proprietario di questo posto, cerca sempre gente nuova
sai?” aveva aggiunto l’altra accendendosi a sua volta una sigaretta.
“ No Roxi, questo genere di lavoro non fa per me. Non saprei
neppure da che parte cominciare.” Alex aveva osservato le due donne
che ballavano sui tavoli, in fondo al locale vestite solo con un
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perizoma nero. I capelli lunghi sciolti sulle spalle, la pelle spalmata di
olio luccicante.
“ Ci sono io a darti le dritte giuste cara!”aveva esordito l’altra
sfiorandole il braccio con un dito.
“ Lascia perdere. Come ti ho detto non fa per me.” Aveva sorriso lei
ingoiando l’ultimo sorso di Vodka rimasto nel bicchiere. Aveva
toccato il fondo. “Ma perché tu lo fai?” le aveva chiesto a un tratto.
“ Fare cosa? Battere?”aveva chiesto Roxana ridendo. “Perché so fare
solo questo e guadagno abbastanza per vivere come voglio!”
Ad Alex era bastata questa come risposta e conoscere tutto il resto a
un certo punto non le era più servito. Per denaro. Tutto ruotava attorno
al denaro. Come la sua vita del resto. Non era scappata anche lei con i
soldi di Jack? Non aveva lasciato suo marito con quella manciata di
soldi? Denaro. Un mondo che girava seguendo l’odore del denaro, che
fosse pulito o sporco poco importava, basta che portasse a qualche
cosa.
“ Bella che ne dici se ce ne andiamo?” aveva chiesto a un tratto
Roxana.
“ E credi che io riesca a guidare in questo stato? Sono ubriaca
fradicia.”era scoppiata a ridere Alexandra.
“ Questo lo avevo capito” aveva ribattuto l’altra accennando un
sorriso.
“ Mi sa che sarai tu questa volta a farmi da tassista fino a casa. La sai
guidare una Porsche?”
“ Non ha tre pedali e un volante come le altre?”aveva chiesto l’altra
ridendo a sua volta.
“ Per quel che mi ricordo sì. Ma credo che abbia il cambio
automatico la mia!”
“ In qualche modo me la caverò! Andiamo allora bellezza! Indicami
la strada.” Le due donne si erano alzate barcollando, Alex
completamente ubriaca, appoggiata al braccio di Roxi. Non si
ricordava dove fosse e tanto meno come vi fosse arrivata. Si sarebbe
dovuta affidare alla nuova compagna per trovare la strada di casa. La
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testa le girava e le gambe erano molli, traballanti per reggerla in piedi
da sole, senza aiuto.
“ Resta ferma qui un minuto tesoro, saluto un amico e arrivo.”Le
aveva detto la prostituta fecendole segno di reggersi allo sgabello e si
era allontanata fra la folla. Alex aveva annuito perché oltre non
avrebbe potuto fare se voleva a tutti i costi uscire dal locale prima di
vomitare l’intera bottiglia di Vodka che si era scolata a stomaco vuoto,
senza contare i salatini aggiunti come cena.
Aveva scorto Roxi farsi largo fra i clienti del night, e lei era rimasta
immobile, al bancone restando a osservare le due ballerine togliersi
anche l’ultimo velo. Gli uomini ai tavoli applaudivano. Lo spettacolo
era finito, almeno per quella sera. Lei lavorare come ballerina o
peggio, come prostituta in quel locale? Mai! Si era detta annuendo fra
sé. Qualche cosa di meglio avrebbe trovato un giorno. Lei non era la
puttana di nessuno. Non lo era stata di suo marito, non lo avrebbe fatto
per denaro.
Roxana aveva raggiunto un individuo seduto al tavolo, in fondo alla
sala e lo aveva baciato su una guancia. Da quello che Alex aveva
potuto scorgere, era molto basso, tatuato sul collo e sul capo
completamente rasato. Si erano scambiati qualche parola, guardando
nella sua direzione.
“ Chi è quella donna Roxi?” aveva chiesto Pablo ricambiando il
bacio.
“ Un’amica…appena conosciuta” aveva aggiunto lei restando a
guardare Alex ferma al bancone che a mala pena riusciva a reggersi in
piedi.
“ E’ un bel bocconcino…” aveva annuito lui.
“ Niente male…Hai qualche cosa per me” aveva tagliato corto lei.
“ Non questa sera Roxi, ho da fare…”Pablo aveva alzato la mano
come per scacciare una mosca.
“ Ok, ci vediamo domani, magari porto anche quella…”
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“ Tienitela ben stretta Rossa, ho sempre bisogno di gente nuova qui
dentro. ”
“ Stanne certo Pablo. Questa non me la lascio scappare.” Roxana
aveva salutato Alex con la mano come per rassicurarla che stesse per
tornare e che finalmente se ne sarebbero andate dal locale.
Alex sarebbe diventata la sua gallinella dalle uova d’oro. Non tanto
per i soldi che quella scema aveva già speso, quanto per quelli che le
avrebbe fatto incassare una volta fosse riuscita a convincerla a
lavorare al locale. Da quando lei aveva lasciato il night, Pablo le
garantiva una percentuale su ogni nuova entrata, e che riusciva ad
addestrare a dovere per quel genere di lavoro. I clienti erano sempre
più affamati e richiedevano gente nuova ogni settimana. A causa dei
controlli a tappeto delle forze dell’ordine, molti avevano abbandonato
i night del centro, rivolgendosi al suo, meno controllato e poco in
vista.
Roxi aveva fatto ritorno da Alexandra e sorreggendola l’aveva
aiutata a farsi largo fra la folla, uscendo all’aperto.
“ Chi era quello?” aveva chiesto lei rabbrividendo.
“ Oh, nessuno. Lascia stare bambina!” aveva risposto lei accennando
un sorriso. Prima o poi Alex le avrebbe chiesto aiuto a trovare un
lavoro non troppo faticoso e che rendesse bene. Non era facile la vita
in quella città e prima o poi anche i sogni più puri e romantici
lasciavano sempre il posto alla realtà ed alla vita vera. Lei forse non lo
aveva imparato sulla sua pelle?
4.
Alexandra si accese la prima sigaretta di quella mattina mentre
scivolava giù dal letto, dopo aver scostato con una pedata le coperte e
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aspettato che Roy si decidesse ad alzarsi, non prima di aver
sbadigliato, abbaiato e scosso più volte il capo.
“ E muoviti! Con l’età ti stai rincoglionendo!” aveva esclamato lei
dandogli un leggero colpetto sul sedere. “ Una volta scattavi
sull’attenti non appena mettevo piede a terra!” Il cane la guardò di
traverso, sbadigliò ancora una volta e attese che la donna si avviasse
verso la cucina prima di mettersi in moto e starle dietro. Il fumo le
fece aumentare d’intensità il mal di testa, ma oramai era sveglia e la
prima cosa di cui sentiva il bisogno una volta messo il piede a terra,
era una dose di nicotina. Il fumo le sarebbe scivolato nei polmoni, le
avrebbe graffiato la gola, ma alla fine, avrebbe ripreso a circolare nelle
sue vene come una droga regalandole qualche istante di tregua.
Roy s’immobilizzò sulla soglia e restò a guardare di traverso la
sagoma della donna completamente nuda. Gettata sulle spalle una
vestaglia che Alex aveva trovato ai piedi del letto. Sbadigliò
nuovamente e mosse qualche passo seguendo la sua padrona. Non la
perdeva mai di vista, neppure quando gironzolava per casa: se lei si
spostava sul divano, lui si accucciava ai suoi piedi, se andava a
stendersi in camera, lui si sistemava ai piedi del letto. Non cercava
coccole o carezze e non le richiedeva. Guadava bene dal giocare con
Robby o con chiunque altro. Alex aveva provato con ogni cosa:
palline morbide, palline da tennis, peluche, fin da quando era entrato a
far parte della sua vita. Niente e nessuno lo sfiorava e lo distoglieva
dal suo compito, anche se quel compito non glielo aveva imposto
alcuno e che dopo la loro fuga insieme era diventato qualcosa di serio
per lui. Lui era un vero cane da guardia. Nessuno avrebbe mai potuto
dire il contrario. Aveva accettato di sua scelta di seguire Alex quella
notte e alla donna non era restato che trascinarselo dietro per
millequattrocento chilometri, trovargli una casa e accettare la sua
compagnia, anche se a volte diventava scomoda quando rientrando in
casa con un cliente doveva farlo attendere davanti all’entrata,
acciuffare Roy per il pelo e rinchiuderlo nella camera adibita ad
armadio e magazzino, mentre questo si divincolava cercando di
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liberarsi dalla sua stretta, mostrando i denti. E questo se andava tutto
secondo i piani, perché alcune volte la donna doveva interrompere il
lavoro già cominciato ed entrare nella camera per cercare di calmare i
suo latrati o impedirgli di distruggere tutti gli scatoloni che trovava
lungo il suo cammino. Era lì, infatti, che Alex, da cinque anni,
conservava alcune scatole di cartone che contenevano gli oggetti del
suo passato: vecchie fotografie, vecchi abiti smessi, ricordi di cui un
giorno avrebbe dovuto sbarazzarsene. E lì c’era anche la pistola
ancora scarica che la notte che era fuggita di tutta fretta da Jack si era
portata dietro e nascosta nella sacca con il denaro. Un giorno avrebbe
dovuto buttata in qualche bidone lontano di casa, o seppellirla in una
buca. Sapeva che aveva i numeri di serie limati, non se ne intendeva
molto di queste cose, non sapeva a cosa sarebbe andata incontro se
gliel’avessero trovata lì, seppellita sotto numerose cianfrusaglie che
ancora la legavano a suo marito, ma era uscita con parecchi poliziotti
prima di scegliere la strada della prostituzione e qualche cosa le
avevano spiegato. Cosa si dovesse fare per possedere un’arma
legalmente e perché fosse vietato tenerne una non dichiarata in casa.
Jack non le aveva mai detto nulla a proposito dell’arma, anzi aveva
cercato di nasconderla sotto alcuni libri, nel cassetto della scrivania.
Lei l’aveva trovata un pomeriggio, frugando fra le sue cose, mentre
annoiata, cercava il modo di passare del tempo. L’aveva soppesata con
le mani, rigirandola fra esse. Aveva vuotato il cassetto alla ricerca dei
proiettili, ma non ne aveva trovato neppure uno. Alla fine l’aveva
riposta, dove l’aveva trovata. Solo prima di fuggire, quella notte, si era
ricordata della pistola, e senza neppure sapere il perché, se ne era
impossessata.
Alex trovò Roxana in cucina, impegnata ai fornelli. Cucinava uova
e pancetta e aveva già scaldato qualche fetta di pane bianco ai cereali.
“ Niente brioche questa mattina?” le chiese Alex addentando un
pezzo di pane. Forse mangiando qualche cosa le sarebbe passato il mal
di testa causato dal troppo alcol della sera prima o almeno avrebbe
messo qualche cosa nello stomaco che pareva una pentola di fagioli
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brontolante. Il terzo cliente l’aveva distrutta. Veramente. Non per
l’atto sessuale in se, che in fin dei conti non c’era neppure stato, se
non per qualche toccatina sotto la gonna in macchina mentre lei
guidava verso casa e lui cercava di restare almeno sveglio se non del
tutto efficiente, ma proprio per il fatto che per portarlo a quello stato
di ubriachezza aveva dovuto anche lei bere la sua buona dose di rum,
quanto bastava per restare sveglia e riuscire a guidare, ma altrettanto
abbastanza per far credere al cliente di essere ubriaca e garantirgli una
notte di puro spasso. Non riusciva ancora a capire perché tutti gli
uomini quando si trattava di fare sesso dovevano sempre bere
qualcosa prima. E quel qualcosa non si riferiva a una birra. Mai una
volta che riuscisse a non ingurgitare due o tre Vodka per sentirsi poi
stordita alla fine della serata. Certo, questo era un bene per il locale di
Pablo che si diceva guadagnasse una fortuna, ma non per il suo
stomaco che più volte si era poi ritrovato costretto a vomitare tutto il
contenuto nella tazza del water terminato il mach. Ma consisteva
proprio in quello il suo lavoro. Far divertire il cliente, farlo stordire
con l’alcol a tal punto che fosse disposto a qualsiasi cosa pur di
passare una notte con lei. E qualche cliente in quel locale, ci perdeva
veramente tutto ciò che possedeva fra prostitute e carte da gioco. Il
casinò era la certezza di un guadagno sicuro, con le slot e le carte
truccate. Roxana le aveva insegnato a giocare a Blak Jack, il minimo
indispensabile per tenere compagnia al cliente. Lei ci metteva del suo,
rischiando una posta più alta, convincendo il cliente a scommettere
più denaro. L’alcol era il contorno, per Pablo altri soldi che entravano
nelle sue tasche, per lei la garanzia che la metà dei clienti che poi si
portava a letto, a volte non riuscivano a reggersi in piedi, non
concludevano nulla ma pagavano ugualmente la cifra richiesta.
“ Non sono riuscita a fare in tempo tesoro. Sono rimasta con un
cliente fino prima di venire qua con questa roba.”disse Roxi indicando
con il capo la spesa rovesciata sul ripiano del tavolo e versando nel
piatto di portata le uova e la pancetta.
“ Qualcuno che conosco?” chiese Alex solo per fare conversazione.
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