Bocche Scucite
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Bocche Scucite
www.bocchescucite.org n. 211 15 APRILE 2015 Cosa ci riserva il futuro? Ancora e sempre BoccheScucite... “Se non abbiamo altra scelta, l’opzione militare è sul tavolo”. Il ministro Steinitz appare sicuro e ricorda che il premier Benyamin Netanyahu «ha detto chiaramente che non consentirà che l’Iran diventi una forza nucleare». Gli Stati Uniti sono avvisati: non potranno fermare Israele se il suo Paese sceglierà «l’opzione militare». Solo qualche settimana fa, il volto altrettanto sicuro di Netanyahu, forte del voto accordatogli dal popolo israeliano, ripeteva il nocciole del suo incredibile programma di governo: “Non permetterò che sia creato uno stato palestinese. Non permetterò che Gerusalemme venga divisa. Preserverò l'unità di Gerusalemme nella sua integralità ebraica. Continueremo a fortificarla con sempre nuovi insediamenti. No al compromesso, no alla cessione dei Territori occupati, no allo stato palestinese.” Il mondo è avvisato: non c'è nessuna volontà di pace da parte di Israele. E noi, piccole ma ostinate bocchescucite, non prendiamo paura di fronte a queste prospettive così disperate per il popolo palestinese. Anzi, ricalibriamo il nostro impegno di informazione sdoppiando il nostro raggiungervi con notizie alternative ai media più diffusi: CON IL SITO, quotidianamente aggiornato CON LA NEWSLETTER, la cui uscita non sarà più condizionata dal ritmo quindicinale, per fornirvi le Voci e le analisi di quanto accade, quando è urgente darci voce e scucire bocche, menti e cuori. Ecco un chiaro esempio nell’Editoriale di questo numero. Bocchescucite 15 APRILE 2015 - - n. 211 www.bocchescucite.org La nonviolenza (per questa volta) ha vinto “I sraele continua ad agire impunemente, ma noi continueremo a chiedere giustizia e pace. Le nostre preghiere di ogni settimana, da anni ormai, sotto gli ulivi delle nostre famiglie, non si fermeranno perché sono per la pace e senza violenza né provocazioni. Noi stiamo chiedendo solo la pace. Ma perché arrivi la pace, la giustizia deve venire prima. Perché i paesi e i leader che si vantano di essere cristiani non trasformano le loro ‘grandi preoccupazioni per i cristiani di Terra Santa’ in denuncia?” Abuna Ibrahim Shomali, parroco di Beit Jala Nel febbraio di un anno fa aprivamo così il nostro editoriale. Nelle parole di abuna Ibrahim tutta l’amarezza ma anche la voglia di non mollare. Di crederci davvero. Dal 2006 lui e la gente di Beit Jala e tanti amici si battevano per il diritto alla vita sulla propria terra, tra i propri ulivi, nelle proprie case. Dal 2006, ogni venerdì, lo invocavano pregando nei campi che rischiavano la confisca. Lottavano anche loro contro l'ennesimo sopruso perpetrato dall'esercito israeliano nei confronti di famiglie che avevano avuto la ‘sfortuna’ di trovarsi nella traiettoria, arbitraria, casuale e illegale, del muro dell’apartheid. Migliaia di palestinesi si sono trovati in questi anni nella stessa situazione: spazzati via, o meglio ruspati via dalla prepotenza di chi si ritiene superiore al diritto, oltre che a qualsiasi principio di rispetto dell'umanità altrui. Talmente tante volte abbiamo assistito, a volte partecipato, alle manifestazioni nonviolente dei tanti villaggi palestinesi che chiedevano al muro e ai suoi costruttori almeno di spostarsi più in là, che quasi rischia- 15 APRILE 2015 vamo di pensare che il fine ultimo fosse la resistenza in sè. Purtroppo il ripetersi di espropri di terreni, di sradicamenti di alberi secolari, di abbattimenti di case ci aveva disilluso. A noi di qua. E loro a crederci che la loro vita invece dipendeva dalla loro lotta. Giovedì 2 aprile 2015, dopo nove anni di battaglia legale, la Corte Suprema israeliana ha finalmente emesso il suo verdetto finale sulla valle di Cremisan, minacciata dal 2006 dal progetto di costruzione del 'Muro di Sicurezza'. La Corte Suprema ha finalmente accettato la petizione contro la costruzione del Muro, di conseguenza l’esercito israeliano dovrà rinunciare a questo progetto giudicato dalla Corte come “dannoso per la popolazione locale e ai monasteri della valle” sottolineando che “il tracciato del Muro, come suggerito dal Ministero della Difesa, non è l’unica possibilità che permetta di garantire la sicurezza nuocendo il meno possibile, conforme alla Legge Amministrativa Israeliana”. Cremisan è una delle ultime aree verdi rimaste nel distretto di Betlem- -2- me Israele ha annunciato che separerà questa zona dal resto di Beit Jala con la costruzione del muro, annettendo Cremisan in modo effettivo a Israele. Beit Jala è una città tradizionale cristiano palestinese di 15.000 abitanti. Ci sono sei chiese appartenenti a quattro diverse comunità: greco ortodossi, cattolici, luterani e Battisti. È la prima parrocchia del Patriarcato Latino di Gerusalemme (160 anni) ed anche la sede del Seminario del Patriarcato Latino. Ma la valle di Cremisan si trova tra gli insediamenti illegali di Gilo e Har Gilo. Il muro avrebbe fornito ad Israele, la potenza occupante, più terra per espandere entrambi gli insediamenti illegali in terra di proprietà privata palestinese. Questo piano avrebbe devastato la vita di 58 famiglie cristiane palestinesi, che non sarebbero più state in grado di accedere alla loro terra. Per una volta ha vinto la giustizia, e questa, almeno in questa valle, porterà un po’ di pace, come auspicavano abuna e la sua gente. Per una volta la tenacia, la fiducia e la lotta nonviolenta, hanno legittimato l’ovvio a non essere assurdo e confinato l’assurdo oltre le barriere dell’illecito. La possibilità di vivere a casa loro queste comunità hanno dovuto conquistarla quando, ovviamente, ne avevano legalmente tutto il diritto, a prescindere. La sentenza del giovedì santo non è stata certo un ‘regalo di Israele’ come un giornalista della RAI si è premurato di farci sapere. Solo, e grazie al sumud (= resilienza) di tanta gente, c’è stata la restituzione preventiva di ciò che rischiava ancora una volta di essere il maltolto. BoccheScucite n. 211 www.bocchescucite.org Alle tante analisi dei media su Iran-Israele e resto del mondo (più o meno nucleare) preferiamo decisamente l'ottima, acuta sintesi di Norberto Julini, dello Staff nazionale Campagna Ponti e non muri, apprezzato leader-group dei Pellegrinaggi di Giustizia ed esperto conduttore della Giornata ONU (la prossima a Napoli il 28 novembre) La migliore delle nostre speranze di Norberto Julini chiaro che la migliore delle nostre speranze è che le intese diplomatiche nello scenario mediorientale dilaniato da conflitti feroci, rinfocolati da competizioni economiche nuove e da contrasti culturali antichi, infiltrati dal veleno del neocolonialismo, interferiti dalla mai risolta questione israelopalestinese, abbiano sbocchi positivi , orientino i paesi coinvolti verso orizzonti di pace, portino sollievo a popolazioni stremate. È In realtà sembra chiaro, ma forse non a tutti. Questi sono giorni decisivi: lo storico accordo con l’Iran da parte dei 5 +1 (Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina + Germania) per la produzione di energia nucleare civile, la fine delle sanzioni e la cooperazione internazionale per la risoluzione dei conflitti in corso, ha entusiasmato 15 APRILE 2015 tutto il mondo, fuorché Israele, come ben sapevamo. Tutti anelano alla grande speranza di un attenuarsi dei conflitti e delle potenziali potenze di morte nucleari, ma la piccola speranza di Israele è sempre la stessa: a noi interessa la nostra sicurezza, minacciata da sempre e per sempre. Tutti i popoli del medi oriente in fiamme, per due/terzi composti da giovani sotto i 30 anni, chiedono pace, lavoro, dignità, futuro. Evocare come “la peggiore delle nostre paure” l’intesa con l’Iran di Rohani, come fa il premier israeliano Netanyahu, fa capire come Israele debba essere aiutato ad uscire dal tunnel buio del suo impazzimento e quanto sia rischioso lasciarlo solo a contorcersi nella sindrome d’assedio che ispira cattivi consigli , fino a far- -3- gli preferire una Siria in fiamme , un Egitto sotto il tallone di militari golpisti, un’Arabia alleata, oscurantista e finanziatrice dell’Isis. Dove sei Europa, patria del diritto e delle convenzioni internazionali, firmate col sangue dei nostri padri? Dove sono gli aiuti economici alle “primavere arabe”, decisi a Deauville nel 2011 e diventati aiuti militari, in una specie di rovesciamento della profezia d’Isaia che prometteva vomeri e non spade? La migliore delle nostre speranze è che le intese abbiano successo e che quanti le temono, a cominciare da Israele, possano comprendere che sono anche per loro la migliore (l’ultima?) delle possibilità per vivere in pace e sicurezza. n. 211 www.bocchescucite.org Quando la nonviolenza minaccia… la sicurezza di Israele S enza nomi né particolari esprimiamo la più grande solidarietà ad Operazione Colomba dopo l’ultimo gravissimo sopruso e illegale violazione dei fondamentali diritti umani, per i quali è stato ancora una volta vietato ad un volontario nonviolento di prestare servizio nei Territori Occupati. Non siete soli, ragazzi! Continuate a lottare per la giustizia. E se per la vostra scelta nonviolenta un potentissimo Stato si sente minacciato nella sua sistemica violenza e oppressione, siete sulla buona strada! BoccheScucite Chi, da nonviolento, cerca di operare nel conflitto israelo-palestinese sa che spesso alla frontiera deve mentire. Se poi le autorità di frontiera scoprono che sei un attivista vieni trattato come un criminale e ti viene negato l’accesso. Bisogna mentire anche se non si fa nulla di illegale e nulla contrario al diritto internazionale. Gli internazionali, attivisti, volontari nei territori palestinesi sono un occhio che racconta, che testimonia le ingiustizie che uno stato occupante opera ai danni della popolazione di un territorio occupato. Siamo anche una risorsa per chi, scegliendo la nonviolenza, cerca di ribadire i propri diritti di fronte agli occupanti. Quando facciamo questo, al nostro fianco ci sono sempre attivisti israeliani che hanno capito che l’ingiustizia che il loro stato compie in nome della sicurezza va a minare quella sicurezza che tutti i palestinesi e israeliani vogliono. 15 APRILE 2015 La violenza, da entrambe le parti, non porterà mai alla Pace, l’ingiustizia è una fabbrica di estremismi! Ieri, ad un amico, è stato negato l’ingresso in Israele, temono possa essere una minaccia per la sicurezza. Quest’amico è solo l’ultimo dei tanti trattati come criminali e rispediti indietro sul primo aereo. Io vorrei che potessimo dire al personale di frontiera che non approviamo la violenza, da qualsiasi parte venga, che non approviamo quello che Israele fa nei territori palestinesi. sone non dirò mai che sono anti o pro, io non sono nulla, io sono per la giustizia, la Pace e la verità. un amico Non approviamo perché in questo modo non ci sarà mai sicurezza per nessuno e in special modo per gli israeliani. Io non sono molto bravo con le parole, non riesco ad spiegarmi e sicuramente ci sarà qualcuno da una parte che mi etichetterà come “antisemita” c’è chi dall’altra parte mi reputerà troppo tenero con gli israeliani. Poco male sono abituato ad essere “in mezzo”, a tutte queste per- -4- n. 211 www.bocchescucite.org Liberate Kalida La corte militare israeliana ha condannato la deputata del Consiglio Legislativo Palestinese e membro del partito Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Khalida Jarrar, a sei mesi di detenzione amministrativa. Jarrar si era battuta nei mesi scorsi per bloccare l’ordine di deportazione a Gerico spiccato dalle autorità israeliane. Aveva vinto e poco tempo dopo, il 2 aprile scorso, è arrivato l’arresto, dietro ordine di detenzione amministrativa, ovvero senza accuse formali né processo. Con un raid scattato nel corso della notte a Irsal al-Bireh, alle porte di Ramallah, reparti speciali dell’esercito israeliano hanno preso e incarcerato la nota deputata palestinese Khalida Jarrar, una dirigente di spicco del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, la principale formazione della sinistra palestinese. Nella sua abitazione i soldati israeliani hanno sequestrato due computer e un telefono cellulare. cortile della sede del Consiglio Legi- della commissione parlamentare per i slativo Palestinese. prigionieri politici. Secondo la Ong “Addameer” le forze di sicurezza palestinesi si sarebbero rese complici dell’arresto di Jarrar avvenuto nella zona A della Cisgiordania che, secondo gli Accordi di Oslo, ricade sotto il pieno controllo dell’Autorità nazionale palestinese. “Consentendo alle forze di occupazione israeliane di entrare a Ramallah sulla base del cosiddetto coordinamento di sicurezza tra Anp e Israele, è stato dato il via libera all’espulsione di una rappresentante eletta del popolo palestinese che, peraltro, ha continuamente chiesto la fine di tale coordinamento”, ha scritto in un comunicato Addameer. La sua detenzione arriva il giorno dopo la condanna di un’altra donna palestinese, Muna Qadan, affiliata alla Jihad islamica, che dovrà scontare 70 mesi di carcere per “attività politica illegale”. La maggior parte delle organizzazioni politiche palestinesi sono considerate illegali da parte di Israele e l’affiliazione ad esse comporta l’arresto e pesanti condanne detentive. Khalida Jarrar oltre ad essere una dirigente del Fplp è anche attiva in diversi comitati femminili e fa parte Nena News,2 aprile 2015 Al momento sono 18 i parlamentari palestinesi nelle carceri israeliane, nove dei quali ai cosiddetti “arresti amministrativi”, ossia il carcere senza processo. La figlia della deputata ha riferito ai giornalisti che reparti israeliani hanno circondato l’abitazione intorno alle 3 e hanno chiesto di vedere la madre. Quando Jarrar si è presentata i soldati le hanno comunicato che “era in arresto”, senza precisare con quali accuse e l’hanno portata via. Poco dopo la “Associazione dei Prigionieri Palestinesi” ha denunciato l’arresto come un “atto di vendetta”, in risposta al rifiuto di Jarrar di accettare la decisione presa lo scorso agosto dall’esercito israeliano di confinarla per sei mesi a Gerico perché rappresenterebbe una “minaccia per la sicurezza”. Migliaia di organizzazioni e persone di tutto il mondo presero posizione lo scorso agosto contro il confino di Khalida Jarrar a Gerico e molte centinaia di persone visitarono la tenda di protesta eretta in quella occasione dalla parlamentare palestinese nel 15 APRILE 2015 -5- n. 211 www.bocchescucite.org La pace coi Palestinesi? E perché mai? Perché mai Israele dovrebbe fare pace con i palestinesi? Per fare la pace Israele dovrebbe riconoscere i loro diritti: ritirarsi da tutti i territori palestinesi occupati nel 1967, quarantotto fa, compresa Gerusalemme Est, come prescrive la risoluzione 242 dell'Onu (Israele ha ben il diritto di esistere, ma non di occupare i territori palestinesi); dovrebbe abbandonare le colonie in territorio palestinesi, tutte illegali; dovrebbe abbattere il muro che sta costruendo all'interno dei territori palestinesi rubando loro ancora terra, acqua e libertà, come ha sentenziato nel luglio del 2004 la Corte internazionale di Giustizia dell'Aja; dovrebbe trovare una giusta soluzione per i profughi, come ancora prescrivono le risoluzioni dell'Onu. E chi gliele fa fare tutte queste cose? Israele ha la forza militare, economica, politica, mediatica per imporre la sua politica di occupazione. In più ha un' arma di riserva di sicuro effetto: l'accusa di antisemitismo verso chiunque critichi il suo operato. Gli Stati Uniti sono dalla sua par- te,sempre e comunque e l’Europa anche; i Paesi arabi abbaiano, ma non sono in grado di nuocere: del resto, dei palestinesi ai paesi arabi nulla mai è interessato. La pace non ci sarà in Palestina, a meno che non ci siano pressioni efficaci sul governo israeliano da parte della cosiddetta comunità internazionale, quella che conta, naturalmente: il rapporto di forza tra Israele e i palestinesi è pari a quello che c’è tra un fuscello e un carro armato. Luigi Fioravanti partecipa ai prossimi viaggi in Palestina 30 LUGLIO-6 AGOSTO Pellegrinaggio di Giustizia 10-19 OTTOBRE Campo di raccolta delle olive [email protected] Per ogni ulivo abbattuto... parta un volontario per la raccolta delle olive Anche durante la Giornata della Terra, l'esercito di occupazione non ha smesso di aggredire chi stava cercando di piantare ulivi nei campi palestinesi. A Wafi Fukin, villaggio a sud ovest di Betlemme, lungo la Linea Verde, le centinaia di manifestanti hanno cercato di raggiungere le terre della collina sopra il villaggio – destinata d al go ver no israeliano all’espansione della colonia israelia- i 15 APRILE 2015 na di Hadar Beitar. Tante le famiglie, le donne e i bambini presenti, molti che sventolavano le bandiere palestinesi. Ma di ulivi non ne è stato piantato nemmeno uno: l’esercito ha subito aggredito gli attivisti, costringendoli con gas lacrimogeni e bombe sonore ad arretrare. Shuyukh a nord di Hebron, nel terzo attacco sui mezzi di sussistenza degli abitanti del villaggio nella memoria recente. Dal 1967, circa 800.000 alberi di ulivo sono stati sradicati nella Cisgiordania occupata, secondo un rapporto congiunto da parte In queste settimane i coloni israeliani dell’Autorità e palestinese e hanno distrutto più di 1.000 alberi di dall’Istituto di Ricerca Applicata di ulivo vicino al villaggio di al- Gerusalemme. Tutti i destinatari della mail sono inseriti in copia nascosta (L. 675/96). Gli indirizzi ai quali mandiamo la comunicazione sono selezionati e verificati, ma può succedere che il messaggio pervenga anche a persone non interessate. VI CHIEDIAMO SCUSA se ciò è accaduto. Se non volete più ricevere "BoccheScucite" o ulteriori messaggi collettivi, vi preghiamo di segnalarcelo mandando un messaggio a [email protected] con oggetto: RIMUOVI, e verrete immediatamente rimossi dalla mailing list. -6- n. 211