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UNA VITA PER IL MUSEO “Ricetta: per costituire un Museo dell
UNA VITA PER IL MUSEO
“Ricetta: per costituire un Museo dell’Automobile si prende un poveraccio dalla vita
molto occupata, perché lavora per guadagnarsi il pane quotidiano, lo si nomina
direttore e gli si dice: sbrogliatela. Lo si lascia senza denaro, senza collaboratori, senza
alcuno a cui rivolgersi per un aiuto o un consiglio. Il tempo scorre inesorabile, il
poveraccio invecchia, una lunga barba bianca si stende sulla sua fede, il suo ardore, la
sua buona volontà, la sua pazienza, ed ecco: nel giro di venti anni il Museo esiste,
solido, pimpante, grazioso, e il poveraccio allo stremo delle forze non ha che da sparire
per sempre, lasciando ai suoi successori la gloria dell’inaugurazione”.
Humour inglese, amaro e leggero, e terribilmente profetico: perché chi scrive queste
parole è Carlo Biscaretti di Ruffia, che ha legato indissolubilmente il proprio nome al
Museo Nazionale dell’Automobile di Torino, in quanto fu lui ad idearlo, radunarne la
collezione, battersi per farlo nascere e adoprarsi tutta la vita per dargli una sede
dignitosa, e che morì improvvisamente, ormai ottantenne, nel settembre 1959, ossia
pochi mesi prima dell’apertura al pubblico della bellissima sede attuale del Museo.
La mia carriera nell’automobile– racconta lo stesso Biscaretti, che fu
contemporaneamente straordinario disegnatore tecnico, pubblicitario e paesaggista
fantasioso e delicato, fine giornalista, umorista, caricaturista, storico e tutto con la mano
leggera e divertita del gran signore d’altri tempi - risale al 1897. Mio padre a
quell’epoca era tornato da Parigi con una strana meccanica che ha da subito sedotto la
mia fantasia di giovane studente. Dal momento in cui il triciclo De Dion Bouton è stato
tirato fuori dalla sua cassa nel giardino della nostra villa, - per inciso, in piazza Cavour
10 a Torino - il destino della mia vita è stato segnato”.
D’altra parte Carlo Biscaretti fu realmente figlio d’arte: il padre Roberto fu tra i primi in
Italia a promuovere ed incoraggiare le iniziative automobilistiche. Fu il primo Presidente
dell’Automobile Club di Torino, e fondatore, insieme a Giovanni Agnelli, al conte di
Bricherasio, all’avvocato Goria Gatti, a Michele Ceriana, al marchese Ferrero di
Ventimiglia ed altri, della Fiat. Se fu lui dunque ad insistere con il figlio minore affinché
si laureasse in giurisprudenza, non si oppose certo alla sua passione per l’automobile, il
nascente idolo del nuovo secolo. A diciannove anni dunque Carlo fu tra i fondatori
dell’Automobile Club di Torino, poi d’Italia, e nel 1902 prendeva la patente.
Riconoscimento più burocratico che altro, ché con le macchine aveva da anni notevole
familiarità, se addirittura nel 1899 si classificò secondo alla corsa di velocità della festa
Automobilistica di Verona, la Verona-Mantova-Brescia-Verona, dopo Ettore Bugatti.
Tanto che la Prinetti & Stucchi voleva ingaggiarlo come pilota professionista. Non
accettò, ma nel 1901 eccolo partecipare con il padre Roberto, il giornalista Edgardo
Longoni della Stampa e con Felice Nazzaro meccanico (il futuro grande pilota della
Fiat) al 1° Giro Automobilistico d’Italia, dal 27 aprile al 13 maggio, una sorta di
interminabile scampagnata dimostrativa tra amici.
Dopo la laurea, conseguita nel 1904, e contrariamente alla sua vocazione, si trasferì a
Genova e per tutto il 1906 diresse la filiale di Fabbre e Gagliardi, una società per il
commercio di cicli ed automobili. Nel dicembre, passò a Roma dove fino al giugno 1908
diresse la filiale della Carrozzeria Alessio. E’ soltanto in quel momento che rientra a
Torino per iniziare la libera professione nel campo tecnico-artistico, specializzandosi
nella prospettiva meccanica e raggiungendo presto la perfezione nel disegno meccanico.
Diventa un virtuoso del disegno esploso: suoi sono infatti molti cataloghi di pezzi di
ricambio (dove era riprodotto il disegno di ogni più piccola parte meccanica) delle
maggiori fabbriche automobilistiche del tempo. Dotato di uno straordinario talento per il
disegno, passava nella stessa giornata dall’esploso di un motore alla caricatura di un
amico alla dolcissima tecnica del pastello o della tempera. La sua è una tecnica
estremamente personale, riconoscibile al primo colpo d’occhio, sempre garbata e
delicata: le figure e le scene ritratte appartengono ad un mondo ottocentesco,
aristocratico, fine e gentile, con in più una vena di umorismo che rende le sue stampe, le
sue pubblicità, le sue tempere e i suoi disegni sempre gradevolissimi da godere,
leggermente surreali, come senza tempo.
Nel 1933 la grande svolta: la direzione del Salone dell’Automobile decise di tentare una
mostra retrospettiva dell’industria del motore. La passione del Biscaretti è nota e gli si
affida l’incarico di organizzarla. Si pensa giustamente che io sia – racconta Biscaretti la sola persona in grado di tentare l’impossibile. Io tento, riesco, e compio il miracolo
di portare al Salone di Milano una trentina di modelli di cui il più giovane ha almeno
quarant’anni di vita…Da quel giorno l’idea del Museo è entrata nella coscienza della
municipalità di Torino. I quattro iniziatori, mio padre, l’avvocato Goria Gatti,
l’avvocato Acutis e l’umile sottoscritto persuadono il sindaco di Torino, Thaon de Revel,
a decretarne la fondazione. E Biscaretti è nominato direttore.
Ho cominciato subito la mia opera paziente e ostinata, che consiste soprattutto a
disturbare discretamente tutte le persone con cui vengo a tiro, per domandare loro:
sapete dirmi se da qualche parte è recuperabile una vecchia automobile? A questa sua
personale ricerca si aggiungono le intere organizzazioni Fiat e Michelin, che inviano una
circolare a tutti gli agenti per rivolgere loro la stessa domanda. Ed ecco che da tutte le
parti, come per incanto, escono dagli angoli più reconditi vetture intere, parti di vettura,
motori grandi e piccoli, ponti, cambi, che giungono ad ingrossare la falange di questi
superstiti di un mondo meraviglioso, rifugiatisi nel sottosuolo, nelle cantine, nelle
cascine, in magazzini straordinari, e che per un mezzo secolo sono stati preda di topi e
di tarme, di insetti di tutti i generi, che sono riusciti a scalfire la superficie, ma non
hanno avuto la forza di distruggere la sostanza essenziale.
Rapidamente il miserabile plotone, d’avanguardia, diventa una compagnia, poi un
battaglione, un reggimento, una divisione, per giungere gloriosamente ad essere un
corpo d’armata, di cui sono il legittimo e fierissimo comandante”. Ma sopravviene la
seconda Guerra Mondiale, e nel 1939 la collezione è sistemata frettolosamente e
precariamente nei locali sotto le gradinate dello Stadio Comunale. Carlo Biscaretti
rimane solo a sorvegliarla, curarla, incrementarla e a cercare di trovare una soluzione più
adatta. E’ però soltanto nel 1957 che l’idea del Museo è ripresa e l’Anfia, insieme al
Comune di Torino, alla famiglia Agnelli e vari enti cittadini e nazionali, costituiscono un
ente per costruire un palazzo destinato ad accogliere l’insieme delle vetture e dei
documenti che nei suoi venticinque anni di sforzi Biscaretti aveva radunato.
In una autocaricatura che riportiamo in queste pagine, Biscaretti si ritrae, ormai anziano,
con la scritta “MUSEO” che gli cinge il corpo, anzi gli fa da corpo, quasi a
simboleggiare la sua stessa identità fisica con il Museo. Ne è diventato Presidente, ma
continua ad occuparsene nei dettagli più minuti: le tavole storiche da esporre, i
documenti da ordinare, i contatti da mantenere con i personaggi più strani della penisola,
dagli anziani precursori ormai dimentichi e schivi a chi possiede ancora in soffitta una
vecchia foto, un cimelio, il ricordo di un’epoca. Sembrerà strano definire “improvvisa”
la morte di un ottantenne: eppure fu così, mentre stava disegnando una tavola storica
della prima Fiat. Soprattutto parve impossibile agli amici e a chi lo conosceva bene
doversi rassegnare alla sua scomparsa prima della definitiva sistemazione del “suo”
Museo. Per questo, nella seduta del Consiglio di Amministrazione dell’ottobre 1959,
Giovanni Agnelli, allora vice presidente, propose l’intitolazione del Museo al suo nome.
E così fu.
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
(1995)