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ARABIA SAUDITA. I PILASTRI DEL POTERE
Il potere in Arabia Saudita si basa su tre elementi essenziali:
-
La famiglia reale
-
Il clero
-
Le tribu'
Ognuno di questi tre poteri legittima l’altro in un sistema connesso di causa ed effetto.
Dalla miscela di tutte queste tre componenti dipende la stabilita' della monarchia saudita.
La Famiglia Reale
Il regno saudita ha preso forma intorno al 1750 dall'alleanza fra un capo tribale ed un
predicatore religioso. Il primo era Mohammed al Saud, il secondo Mohammed bin Abd al
Wahab. Il primo costitui' un suo regno con le sue tribu', il secondo gli dette una
legittimazione religiosa. Tra i due sembra che vi fossero anche dei legami di parentela,
avendo al Saud sposato una figlia di al Wahab. Questa era sostanzialmente la base di
quell’intreccio fra potere temporale e legittimazione religiosa su cui ancora oggi si basa il
regno in Arabia Saudita.
Inizialmente il radicalismo del credo wahabita non aveva trovato udienza in molte aree
tribali, ne' aveva trovato accoglienza positiva dagli egiziani o dall’impero ottomano che
alternativamente avevano occupato l’area della penisola del Golfo Arabico. Le traversie
del regno e della dinastia saudita si concludono agli inizi del '900 con il risorgimento
durante il cosiddetto Terzo Regno, sotto la leadership di Abdul Aziz bin Abdul Rahman bin
Saud. Il 1932, con la nomina di Abdul Aziz a Re, corrisponde alla nascita della dinastia
saudita cosi' come e' oggi ancora articolata.
Abdul Aziz era un condottiero e grazie al fanatismo religioso delle sue truppe (che allora si
chiamavano "Ikhwan" - e qui sorge subito un primo parallelismo, seppur semantico, con gli
"Ikhwan Muslemin", i "Fratelli Musulmani") conquisto' Ryad. Nel 1924 cacciava la
monarchia Hashemita da La Mecca e Medina suggellando, con il controllo dei luoghi santi
dell’Islam, quel patto fra potere temporale e religioso.
Abdul Aziz era pero' anche un prolifico patriarca: 22 mogli "ufficiali" (sempre 4 alla volta in
aderenza ai dettami islamici) da cui nacquero 44 figli (36 maschi e 8 femmine di cui 35
sopravvissuti alla sua morte) e una innumerevole schiera di concubine e ragazze-schiave
(si parla di circa 200, ma sempre 4 alla volta) con allegata scorta di figli naturali (circa
100). La prole del patriarca divenne la base di quella famiglia reale che conta oggi dai
6000 ai 7000 principi, a cui vanno aggiunti le decine di migliaia di familiari ad essi correlati.
Questi principi sono tutti piu' o meno inseriti - a maggiore o minore titolo - nelle strutture
politiche, commerciali o militari del Paese dando supporto alla centralita' del potere
dinastico e al suo intrinseco sostegno.
E, altro dato da non trascurare, bisogna sottolineare come tutti i membri della famiglia
reale, a seconda del rango rivestito, percepiscono "contributi statali". Benefici che si
estendono ai familiari, agli associati e ai vari rapporti subordinati. Una ragnatela di privilegi
che funzionera' fintanto che il reame potra' permetterselo finanziariamente. Un sistema
che pero' alimenta un rapporto di tipo parassitario con lo Stato e la diffusione della
corruzione.
Il Clero Wahabita
A differenza dell’Iran, la gerarchia wahabita non mira ad essere una teocrazia.
Nelle sue forme iniziali, la dottrina wahabita non aspirava ad un ruolo politico nella
societa', ma solo religioso. Erano stati i Fratelli Musulmani ad introdurre l'uso politico
dell’Islam con il loro fondatore, Hassan al Banna, inizialmente ispiratosi al wahabismo. Lo
stesso valse per il suo successore alla guida della confraternita egiziana, Sayed al Qutb,
poi eliminato da Gamal Nasser nel 1966.
Il clero wahabita esercita pero' un ruolo importante nel legittimare la dinastia saudita
nell’esercizio del potere. Il Re governa in aderenza ai dettami islamici ed il clero si ritaglia il
ruolo di certificare la conformita' di ogni legge o iniziativa alla Sharia, la legge islamica.
Questo pone la corte reale in un rapporto di sudditanza nei riguardi del clero e delle sue
eventuali critiche. Dettaglio non irrilevante: il Re ricopre anche il ruolo di "Custode dei due
luoghi santi" (La Mecca e Medina) assommando su di se' quindi sia il potere temporale
che la legittimazione religiosa.
La convivenza fra il potere dinastico ed il clero regge finche' ognuno rispetta le rispettive
sfere di influenza e non entra in contrapposizione con l'altro. Il potere temporale del Re ha
sempre combattuto gli estremismi del wahabismo ortodosso quando questo cercava di
prevaricare il suo ruolo.
E' nel tentativo di asservire il clero alle istanze della monarchia che deve essere ascritta
l’iniziativa di avere nella corte reale un organo consultivo, denominato "Consiglio Supremo
degli Ulema", composto da religiosi di nomina reale. Inoltre, in Arabia Saudita il Ministro
della Giustizia viene generalmente nominato tra i discendenti di Abd al Wahab. Dal 1993 e'
stato poi istituito un Ministero degli Affari Religiosi che presiede ad un "controllo" del clero,
delle organizzazioni caritatevoli e delle universita'.
Le Tribu'
La dinastia saudita e' originaria della regione orientale della penisola arabica nota come
Hasa.
Era stata una confederazione tribale stanziata inizialmente nella zona di Daryah (nei
pressi di Ryad) ad iniziare la conquista di altre tribu' ed altre terre. Ed e' su queste
caratteristiche tribali che, alla fine, rimane sino ad oggi articolata la societa' saudita.
Bisogna comunque dire che l’Arabia Saudita non ha una popolazione omogenea. La parte
interna del Paese, il Nejad, e' abitato da beduini e rimane una societa' chiusa ed isolata.
La parte invece dell’Hejaz, lungo le coste del mar Rosso, e Gedda, dove poi approdano i
pellegrini per visitare La Mecca e Medina, sono invece abitate da tribu' piu' aperte ai
contatti esterni e sostanzialmente piu' cosmopolite. Un’altra importante regione e' la
Eastern Province, dove si concentra la produzione petrolifera, ed e' invece abitata da tribu'
di prevalente fede sciita.
Anche nel sistema tribale saudita esiste una gerarchia di potere fra le varie confederazioni
tribali che appoggiano la dinastia saudita. Ci sono, tra le piu' importanti, gli Oteiba, che
abitano nell’Arabia centrale e che sono associati ai Saud fin dall’inizio del regno, seguiti
dagli Shammar, a cui appartiene la madre dell’attuale sovrano Abdallah, poi i Mutayr, i
Qahtan ed i Dawasir. L'ordine gerarchico si trasforma in prebende, posti di potere,
autorita'.
Il sistema tribale e' ancora molto importante nella societa'. Condiziona le relazioni
all’interno delle tribu' ed i rapporti esterni con altre tribu'. Le tribu' beduine ancora si
contendono tra loro pozzi d’acqua e pascoli. La loro belligeranza viene spesso
addomesticata con l’inclusione degli stessi nella Guardia Nazionale. Ma quel che e'
importante e' che il sistema tribale alimenta una societa' conservatrice e che questa
tendenza fornisce spazio ad una ideologia islamica radicale, come poi nei fatti e' il
wahabismo.
I punti di debolezza
Il primo problema del sistema istituzionale saudita e' quello di regolare ed assicurare un
sistema di trapasso del potere dinastico in modo automatico evitando quello che e' poi
successo spesso nel passato con contrasti e frizioni (basti pensare alle contrapposizioni
passate tra il clan dei Sudairi - quelli nati dalla moglie preferita di Mohammed al Saud,
Hanna - e gli altri fratellastri).
Abdallah, l’attuale monarca e' vecchio (nato, sembra, nel 1921) e malato. Dopo la morte di
Sultan nel 2011 e di Nayef nel 2012, di fratelli o fratellastri fra cui intendeva designare un
suo successore non ce ne sono molti di piu'. Rimangono Salman (77 anni), nominato
Principe ereditario e vice Primo Ministro nel giugno del 2012 ed anche lui molto malato, e
Muqrin, il piu' giovane essendo nato nel 1945. Muqrin e' figlio di una yemenita,
probabilmente una ragazza schiava, e questo implicherebbe il passaggio del trono ad un
figlio naturale di una donna non sposata con il fondatore. Muqrin era stato esautorato dalla
guida del General Intelligence Department nel luglio del 2012, ma ultimamente e' stato
nominato Secondo Vice Primo Ministro, il che teoricamente lo metterebbe sulla linea di
successione dinastica. Infatti, nel sistema saudita il Re e' anche Primo Ministro, il principe
ereditario e' Vice Primo Ministro e, in linea subitanea, viene il Secondo Vice Primo
ministro. Muqrin e' stato inoltre in passato Governatore di Medina e questo significa che e'
personaggio gradito al clero wahabita.
Ma non puo' essere escluso che dopo Re Abdallah possa prendere il trono uno dei suoi
nipoti. Tra questi il miglior piazzato sembra essere Mohammed al Nayef, 53enne nominato
Ministro dell’Interno nel novembre del 2012 (e nipote dello stesso Muqrin) o forse Mutaibi,
il figlio di Abdallah che guida la Guardia Nazionale recentemente elevata al rango di un
Ministero (quindi con pari dignita' del Ministero dell’Interno e di quello della Difesa oggi
presieduto dal principe ereditario Salman). Ma tra gli oltre 100 nipoti altri pretendenti non
mancano.
Re Abdallah questo lo sa bene e paventando un possibile contrasto tra pretendenti ha
costituito dal 2006 un cosiddetto Consiglio di fedelta' (al Re) dove 35 membri di nomina
reale (tra cui membri della corte, giuristi e ulema) dovrebbero all’occorrenza nominare il
suo successore. Ovviamente e' sempre il Re, per principio, a nominare il suo successore.
Bastera' ad evitare contrasti? Non e' dato saperlo. Anche perche' questo Consiglio non e'
stato sinora mai utilizzato, nemmeno nella nomina dei vari Principi ereditari (Sultan e
Nayef).
Del resto, non esistono regole univoche su chi dovra' prendere il posto di Abdallah. In
passato il potere veniva trasmesso per anzianita' (e capacita') tra fratelli. La legge basica
del 1992 stabilisce solo che il potere passi ai figli del fondatore ed ai figli dei figli. Niente di
piu' e niente di meno. Queste determina che ogni successione diventi di per se' un fatto
traumatico nella lotta di potere all’interno della corte reale.
E sul fatto che possa arrivare al potere una nuova generazione di sauditi, piu' aperta al
mondo circostante, con studi ed esperienze all’estero, uomini e donne che si relazionano
con il mondo di Internet o Facebook, si innesca il secondo problema e cioe' quello di una
possibile riforma della societa' oggi ancora irretita e bloccata dal fanatismo religioso del
credo wahabita. Ci sono forti istanze a liberare il Paese da questi vincoli sociali, di cui
sono patrocinatori anche membri della corte reale. E sempre nella corte reale ci sono, sul
fronte opposto, gli assertori dell’ortodossia religiosa. Su questi argomenti si svolgera' la
lotta all’interno della corte reale su chi sara' il nuovo sovrano. Una lotta tra riformatori e
conservatori (tra questi ultimi lo stesso principe ereditario Salman).
Ma le istanze sociali, a prescindere da chi verra' al posto di Re Abdallah, si sono gia'
manifestate con proteste o richieste di maggiori liberta'. Il problema, anche se con
modeste e timide iniziative, e' stato affrontato anche dall’attuale sovrano (vedasi le piccole
concessioni al ruolo e alle funzioni consentite delle donne). Ma come tutti i possibili
sovvertimenti di una societa' arcaica, anacronistica e chiusa nel suo dogmatismo religioso
non e' possibile oggi predeterminare gli effetti dell’inserimento nel contesto Saudita di
nuovi parametri sociali.
E qui si innesta il ruolo del secondo pilastro del potere in Arabia Saudita: la gerarchia
religiosa. Ogni liberalizzazione della societa' implica automaticamente un regresso del loro
potere condizionante. Il clero wahabita ha sempre avuto storicamente due anime: una piu'
moderata ed una piu' ortodossa. Quest’ultima e' entrata spesso in conflitto con la corte
reale e ne ha subito, secondo le circostante, la repressione. Il suo ruolo non e' stato molte
volte quello di legittimare la dinastia al potere, ma piuttosto di condizionarla. Legittimata in
questo dal fatto che la Sharia, la legge islamica, e' la base del diritto saudita ed il
wahabismo ne e' il fedele interprete. Ed e' sulle frange radicali del wahabismo che si e'
alimentato buona parte del terrorismo islamico attuale (il non a caso saudita Osama Bin
Laden in primis). Nella pratica si puo' ipotizzare che ad una possibile liberalizzazione della
societa' saudita possa corrispondere un declino del potere del clero e questo incidera'
sulla stabilita' del regno.
Altro punto e' la democrazia. Assente in Arabia Saudita, un Paese senza Costituzione
(implicitamente la Costituzione e' il Corano). Non esistono partiti, non esistono opposizioni
(e se si materializzano vengono sistematicamente represse), non esiste il potere
condizionate di una opinione pubblica, non esiste la liberta' di pensiero se non quella di
obbedire ad una casa regnante ed ad un clero ortodosso. Potra' durare in un mondo dove
la globalizzazione delle idee non ha piu' limiti territoriali?
Sinora la cosiddetta primavera araba non ha colpito il regno, ma non e' detto che questo
prima o poi avvenga. Sinora i tre pilastri del Paese hanno retto all’impatto del mondo che
cambia . In Arabia Saudita le novita' corrono lente. Ma corrono.
IL MONDO SAUDITA, IL WAHABISMO ED IL SALAFISMO
L'Arabia Saudita e' un mondo sconosciuto a molti. Ogni notizia che riguarda questo Paese
non trova adeguato risalto nei mass media. Ma nonostante questo alone di mistero e di
silenzio, al suo interno si sviluppano alcuni dei piu' importanti temi sociali e religiosi del
mondo arabo.
Il primo tema, quello piu' importante, riguarda sicuramente il wahabismo che e' la religione
di Stato di questa nazione. Come molti sanno l'Islam non ha, a differenza del
Cattolicesimo ad esempio, una struttura di riferimento che guidi il fedele
nell'interpretazione dei libri sacri. Questa circostanza permette a vari personaggi e a varie
scuole di pensiero di dare alle parole del Corano e del Profeta Maometto le interpretazioni
piu' svariate con le conseguenze piu' disparate. Su questi presupposti sono nate - oltre
alla divisione fra Sunniti e Sciiti - le varie correnti dell'Islam: quelle moderate che si
riconoscono nel sufismo; quelle radicali che si riconoscono nel salafismo.
Le origini del Salafismo e del Wahabismo
Il Salafismo propugna il ritorno ad un Islam puro, quello riferibile ai primi anni dopo la
morte del Profeta, ritenendo che nel corso dei secoli, a seguito delle dominazioni straniere
e della collusione con il mondo occidentale, la religione abbia perso le sue caratteristiche
originarie. Dogma di riferimento e' l'unicita' di Dio (tawhid). Su questo assunto sono
ancora e sono state combattute tutte le devozioni a santi o personaggi religiosi che nel
corso tempo, in virtu' della tradizione popolare, hanno o avevano riempito la religione
islamica di persone o simboli da venerare.
Questa guerra alle deviazioni dalla retta via, che ha assunto aspetti iconoclasti (basti
pensare alla recente distruzione dei sepolcri dei santi sufi in Timbuktu), e' stata il
riferimento centrale della dottrina salafita. Il salafismo ha inizio con le teorie religiose di Ibn
Taymiyah e poi, piu' in la' nel tempo, con quelle di Mohammed Ibn Abel Wahab.
Ibn Taymiya, di nazionalita' siriana, era un giurista e teologo vissuto nel XIV^ secolo e
discepolo della scuola "Hanbalista" (da Ahmad Ibn Hanbali, IX^ secolo). La sua teoria era
che i testi sacri del Corano e della Sunna potevano/dovevano essere interpretati
individualmente (quello che viene indicato come "Itjihad"). Questo approccio teologico, che
estendeva a tutti la possibilita' di dare significati ed interpretazioni ai libri dell'Islam, offriva
nei fatti lo spazio a quello che poi succedera' nel tempo con la strumentalizzazione della
religione per fini eversivi.
Nel XVIII^ secolo poi anche Mohammed Ibn Abdel Wahab (1703-1792; fondatore del
"wahabismo") aderisce all'hanbalismo per ritrovare un Islam puro. L'ultimo movimento
salafita di rilievo, in ordine di tempo, a' stato poi quello di Hassan al Banna che ha
fondato nel 1928 l'Associazione dei Fratelli Musulmani. In questo caso, rispetto ai
predecessori, il teologo egiziano introduceva una variante: l'utilizzo dell'Islam come
strumento politico per la guida delle masse.
Negli anni '50 un altro egiziano, Sayyed Qutb (1906-1966), anch'egli membro dei Fratelli
Musulmani, teorizzera' sul fronte del salafismo politico la lotta armata per prendere il
potere sui capi arabi "empi" ed il ripristino di uno Stato islamico. Qutb e' stato il referente
ideologico di molti movimenti terroristici, non ultimo Al Qaeda. Per il suo estremismo e'
stato fatto giustiziare dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser nel 1966.
I movimenti salafiti che, come abbiamo detto, perseguono una interpretazione severa del
Corano e della Sunna, combattono le tradizioni popolari e/o consuetudini religiose che non
hanno - a loro modo di vedere - riscontro negli insegnamenti di Maometto, ma soprattutto
ribadiscono l'unicita' di Dio, il monoteismo assoluto ("al ahwad"). Per quest'ultima
caratteristica tutti i movimenti salafiti sono talvolta identificati con il nome di
"mowahiddun" , cioe' gli "unitari".
Ma quello che poi interessa e' che questo approccio radicale all'Islam ha assunto nel
tempo significati e identificazioni diverse: e' diventato irredentismo, e' diventato
nazionalismo di matrice araba, poi lotta al consumismo ed al lassismo dei costumi
dell'Occidente, fino ad arrivare al Jihad ed al terrorismo islamico.
E questa evoluzione, in negativo, del salafismo ha trasformato quello che era inizialmente
un approccio riformista e modernista della religione (toglieva l'interpretazione dei libri sacri
dalla casta dei religiosi) in un approccio fondamentalista e radicale. I suoi principali
rappresentanti sono oggi i Fratelli Musulmani ed il wahabismo (oltre a quella pletora di
sigle e organizzazione che compaiono periodicamente nel panorama mediorientale). A
conti fatti, nel duello tra l'anima riformista e modernista dell'Islam e quella fondamentalista
ha prevalso quest'ultima.
Se il salafismo di Wahab e' servito storicamente a confrontarsi e a contrastare la cultura
ed i costumi occidentali, soprattutto durante il colonialismo, nel tempo si e' rivolto contro
tutti gli altri movimenti sunniti che non applicavano con la stessa rigidita' dogmatica i
precetti dell'Islam. Le prime a farne le spese, ieri come oggi, sono state soprattutto le
confraternite sufi, portatrici di un Islam moderato.Vi e' stata poi una ulteriore evoluzione di
questa corrente dottrinale: il salafismo e' diventato elemento giustificativo di sovversione
(contro gli apostati, cosi' come contro i cosiddetti regimi empi) e, in sequenza, del
terrorismo. Nel nome di questa impostazione radicale sono stati perpetrati attentati,
uccisioni, colpi di Stato, distruzioni, vendette attraverso fatwa e proclami.
L'Arabia Saudita e il Wahabismo
Benche' il Wahabismo sia nato come movimento di opinione e dottrina religiosa, in Arabia
Saudita la collusione iniziale con il potere temporale di Mohammed al Saud e il successivo
sviluppo della monarchia saudita hanno fatto si' che gli aspetti religiosi siano stati talvolta
asserviti ad interessi politici e viceversa. Emblematico e' il giuramento di fedelta' al leader
("al bayah") nella misura in cui questo segue i dettami religiosi cari al wahabismo. E
poiche' l'Islam e' una religione dal forte impatto sociale, altrettanto forte e' stato il ruolo del
wahabismo nel forgiare la societa' saudita e, grazie ai dollari del petrolio, buona parte del
mondo arabo musulmano sunnita. Un movimento quindi nel contempo politico e religioso.
Come detto, il Wahabismo si sviluppa lungo il filone salafita e si rifa' all'Islam dei primordi,
quello della tradizione non contagiata dal tempo e dal mutare dei costumi. Un purismo
tramutatosi in radicalismo poi esportato con la forza dei petrodollari. I fedeli del wahabismo
rifiutano di essere definiti "wahabisti", ma solo "musulmani" in quanto si ritengono gli unici
detentori della dottrina islamica. L'aspetto piu' pericoloso del wahabismo e' l'alimentare
una cultura religiosa di intolleranza ed una lotta endogena senza quartiere sia verso i
musulmani "infedeli", sia verso quelli che non accettano le teorie salafite (l'adorazione dei
santi e degli uomini pii e' considerata alla stregua del politeismo). Sul fronte esterno ed
esogeno, il wahabismo contrasta gli infedeli propriamente detti (come i cristiani e gli ebrei).
Una lotta alle infedelta' (in arabo "kufr") sulla base del proprio approccio teologico,
considerato l'unico, vero ed imprescindibile sentiero giusto dell'Islam. Nessuno spazio e'
offerto all'unificazione delle scuole di pensiero islamico ("madhahib"). Chiunque non segua
i "veri" insegnamenti dell'Islam (quelli ovviamente indicati dal Wahabismo) e' un "Jahili"
(cioe' "infedele").
Per dare un'idea della furia iconoclasta del wahabismo, quando conquistava nuovi territori
Al Wahab distruggeva tutti i sepolcri musulmani che incontrava. Arrivato alla conquista
della Mecca e di Medina, riservo' lo stesso trattamento alla tomba e luogo di culto di
Maometto. Tuttora i devoti di Wahab rifiutano la sepoltura in tombe, proibiscono i
festeggiamenti per il compleanno di Maometto ed ogni altra forma di celebrazione
islamica. Dio e' unico e solo a lui e' dedicata ogni forma di devozione.
Il risultato e' un mondo congelato nel passato, senza spazi per l'evoluzione di una societa'
o dei suoi costumi. Il wahabismo ha fermato sul nascere il suo cammino verso la
modernita' di intenti o idee. Tuttora l'apostasia e' punita con la pena di morte, il culto di
altre religioni o l'esposizione dei loro simboli sono proibiti e perseguitati nel regno saudita.
I reati di religione possono essere anche perseguiti con la crocifissione.
Wahabismo e' anche l'imposizione di precise norme di comportamento: quelle comuni a
tutti i musulmani (niente alcolici o carne di suino), piu' altre specifiche (non esibizione della
ricchezza con gioielli o altro, niente vestizione di seta, la barba non piu' corta di una certa
lunghezza ed i capelli non piu' lunghi di un'altra). Osservanze ancora piu' strette per le
donne a cui e' imposto vivere coperte dalla testa ai piedi con stoffe scure. E' l'applicazione
di un wahabismo di ispirazione medioevale che impedisce alle stesse di guidare la
macchina, recarsi all'estero per studio, viaggiare se non accompagnate, svolgere alcuni
lavori, essere ammesse negli ospedali senza il consenso tutoriale del marito o dei parenti.
In Arabia Saudita le donne sono a tutti gli effetti cittadine di serie "B".
E qui si innesca, sul piano interno, una diatriba tra il clero wahabita, forte delle sue
incrollabili visioni radicali della societa', e le istanze di buona parte dell'opinione pubblica
saudita che chiede e reclama di poter emancipare il Paese. Re Abdallah ha potuto
introdurre piccole concessioni per migliorare la condizione femminile: la loro
partecipazione al voto nelle elezioni municipali del 2015, l'inclusione nel Consiglio
Consultivo ("Shura") nella misura minima del 20% (30 su 150 membri anche se questo
organismo e' scarsamente importante. Le donne accederanno all'organismo da ingressi
separati e sederanno in seggi separati con l'obbligo di indossare l'hijab), il diritto a
svolgere la professione di avvocato, la loro partecipazioni alle olimpiadi, la loro inclusione
nell'attivita' del General Intelligence Department. Iniziative che hanno sempre incontrato
ritrosie e proteste del clero, fortemente ostile all'emancipazione della donna.
La dottrina del terrorismo
Questo sistema di societa' chiusa, di visione religiosa senza compromessi o concessioni,
viene inculcato ai giovani fin da piccoli attraverso una ragnatela di scuole islamiche
("madrasse"). Allo stato attuale nel campo dei movimenti salafiti vi e' una forte
competizione tra i wahabiti e gli aderenti alla Fratellanza Musulmana. E' una competizione
che si gioca sugli estremismi ideologici e teologici, sulla politica della religione, sugli
influssi sulle societa' arabe. E questa circostanza fornisce ampio spazio all'estremismo
religioso che poi si tramuta in terrorismo, in guerra santa contro gli empi e gli infedeli.
Fra tutti i Paesi arabi e musulmani solo in Arabia Saudita il salafismo di interpretazione
wahabita e' nei fatti ispirazione dogmatica di uno Stato. Il peso finanziario del Paese in cui
tale movimento si e' affermato ha fatto si' che questa dottrina si sia diffusa con particolare
crescita in molti Paesi musulmani. E se si volesse trovare oggi un comune denominatore
ideologico al terrorismo islamico e al jihad diffusisi in molti parti del mondo questo sarebbe
soprattutto il wahabismo. Osama Bin Laden, Ayman Al Zahawiri, gli Shabaab somali, i vari
movimenti irredentisti che sono apparsi nel nord del mali, i Boko Haram nigeriani, i
talebani afghani sono tutti accomunati da questo comune approccio dottrinale.
ARABIA SAUDITA E LA POLITICA DELLA RELIGIONE
Il ruolo assunto dall'Arabia Saudita di difensore dell'ortodossia sunnita porta il Paese a
sviluppare una politica estera condizionata da questo presupposto religioso. Pur non
essendolo tecnicamente, il regime saudita ha molti aspetti di una teocrazia piuttosto che di
una oligarchia, almeno in politica estera.
Nella pratica, in Arabia Saudita politica estera e proselitismo religioso, nel contesto del
mondo arabo e musulmano, camminano insieme, entrambi favoriti dalle enormi risorse
finanziarie del regno. L'una favorisce l'altro, ma nel contempo l'una condiziona e limita la
controparte.
La politica estera saudita e, di conseguenza, la sua politica di sicurezza nazionale si
basano, nelle sue linee generali, su due importanti pilastri:
la cooperazione politica e strategica con gli Stati Uniti (a livello internazionale),
gli accordi del Gulf Cooperation Council (a livello regionale ).
In aggiunta a questi due elementi vi e' poi la gia' segnalata politica religiosa, la cui
incidenza e' soprattutto a livello regionale.
I rapporti con gli Stati Uniti sono una costante della politica estera del regno da oltre 70
anni, ovvero dal 14 gennaio 1945 quando Franklin D. Roosevelt e Abdul Aziz firmarono un
accordo segreto che delegava agli Usa la difesa strategica del regno in cambio di forniture
di petrolio (da sottolineare che Ryad commercializza oggi il 25% dell'oro nero mondiale).
Washington garantisce a Ryad sicurezza, armamenti, appoggi politici nelle diatribe con le
altre potenze regionali ed in cambio riceve, oltre agli approvvigionamenti energetici,
l'appoggio per ogni azione o iniziativa nel mondo arabo e musulmano.
Basti pensare alle basi saudite fornite agli Usa nell'attacco all'Iraq del 1991, l'appoggio agli
attacchi - sempre contro Saddam - nel 2003, il sostegno all'operazione "Enduring
Freedom" contro l'Afghanistan. Un rapporto stretto, apparentemente inossidabile fintanto
che il condizionamento della religione nella politica estera saudita non ha creato dissapori
(vedasi l'ostilita' per le basi americane sul suolo saudita ed i relativi attentati).
Il Gulf Cooperation Council (GCC), instaurato nel 1981 e che vede la partecipazione di 6
Paesi della penisola arabica (oltre all'Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Bahrein,
Qatar e Oman), promuove e rende operativa la cooperazione non solo in campo militare,
ma anche nel coordinamento politico e nell'ambito commerciale. Cio' non toglie che
esistono spesso divergenze e contrasti tra i vari membri del Consiglio. In primis e' spesso
messo in discussione il ruolo egemonico che Ryad cerca di imporre. L'Arabia Saudita
vorrebbe addirittura allargare il GCC ad altri Paesi, come da profferte fatte recentemente a
Giordania e Marocco. Ma nel complesso il Gulf Cooperation Council assolve oggi a quella
funzione minima di coordinamento e cooperazione che le turbolenze regionali spesso e
volentieri impongono.
Il rivale iraniano e la Siria
Il maggior rivale dell'Arabia Saudita, sia come potenza regionale che come potenza
religiosa, e' l'Iran. E' una lotta di potere e di religione che vede confrontarsi Sunniti e Sciiti.
Sciismo e sunnismo sono le due maggiori correnti dell'Islam ed in competizione storica tra
loro. E' sulla base di questo dualismo politico, militare e religioso che bisogna osservare
ed analizzare le linee di politica estera del regno saudita.
Oggi la competizione fra Iran ed Arabia Saudita ha assunto la forma del confronto armato
per interposta nazione, come nel caso della Siria. Il pericolo che l'Iran possa avere domani
la bomba atomica preoccupa piu' Ryad che Tel Aviv nell'ottica dell'egemonia sul Golfo
Persico, ma anche nella guerra settaria tra le due maggiori branche dell'Islam. Basti
ricordare che nel 1979 la guerra di Saddam Hussein contro l'Iran fu sponsorizzata
finanziariamente da Ryad. Cosi' come i sauditi temono che la minoranza sciita della
Eastern Province possa domani costituire la quinta colonna per minare la dinastia Saud (il
15% della popolazione del regno e' di fede scita).
Sulle sorti del regime alawita (agli occhi dei sauditi una setta, considerata eretica, vicina
allo sciismo) di Bashar al Assad si giocano molti dei futuri equilibri regionali. L'attuale
dirigenza siriana e' appoggiata da Teheran, i ribelli - almeno alcuni gruppi tra loro - godono
del sostegno saudita. La perdita di influenza che Ryad ha subito in Libano (con l'uccisione
di Rafiq Hariri nel 2005) ed in Iraq con la caduta di Saddam Hussein (che ha visto arrivare
al potere una dirigenza sciita appoggiata dall'Iran), potrebbe essere compensata - almeno
negli auspici di Ryad - con la caduta del regime alawita e l'insorgere di una nuova
leadership sunnita. Ma anche qui, sia a livello tattico che a livello strategico, politica estera
e religione entrano in collisione nella dirigenza saudita. Questo avviene perché nelle
vicende siriane i vantaggi e gli svantaggi di una iniziativa politica spesso si accavallano e
si elidono. Ed occorre una buona dose di prudenza che il fanatismo religioso spesso non
ha.
Nell'aiutare la ribellione siriana l'Arabia Saudita deve tenere conto anche delle
preoccupazioni americane. Soldi ed armi devono poter andare a quei gruppi che non sono
collusi con il radicalismo islamico, diventato oggi jihad. Ma i movimenti e le organizzazioni
wahabite saudite, anche al di fuori dei canali istituzionali, tendono a fare diversamente.
Operano, in altre parole, fuori del contesto e degli interessi ufficiali del Paese. Inviano
soldi, alimentano e supportano gruppi estremisti, trovandosi in collusione pratica con quei
gruppi legati ad Al Qaeda. Politica estera e lobby religiose saudite divergono, ma il vero
problema e' che le autorita' del regno possono fare ben poco per bloccare questo
processo.
Ultimo, ma forse principale problema che incontra la politica estera saudita nei confronti
della Siria e' sul piano della sicurezza. La guerra contro Assad sta raccogliendo masse di
radicali islamici provenienti da molte parti della regione e tra essi una buona parte di
sauditi. Questi veterani di guerra sono un pericolo per la stabilita' del regno. Statistiche
non ufficiali hanno quantificato in circa 15.000 i veterani rientrati nel Paese dopo la guerra
in Afghanistan e in Iraq. Ritrovarsi con una nuova generazione di jihadisti come quelli che
domani faranno ritorno dalla Siria non e' un evento auspicabile.
Le divergenze con la Fratellanza
In Siria c'e' poi anche un altro problema ed e' l'eventualita', tutt'altro che remota, che con la
caduta di Assad possa emergere una leadership dei Fratelli Musulmani, ritenuti (dopo le
stragi di Homs e Hama negli anni '80) gli unici e veri oppositori del regime baathista.
I rapporti tra il wahabismo e i Fratelli Musulmani ultimamente non sono mai stati idilliaci.
Sono entrambi portatori di un Islam radicale e quindi in potenziale concorrenza. Sono in
competizione anche con le varie organizzazioni caritatevoli, ospedali e scuole presenti in
tutto il mondo arabo con equivalente sostegno e peso finanziario. Ai tempi di Re Fahd,
quando Gamal Nasser perseguitava la Fratellanza, l'Arabia Saudita, in virtu' della
solidarieta' pan-islamica, aveva ospitato i vertici dell'organizzazione sul proprio territorio.
Ma mai aveva permesso loro di condurre attivita' e proselitismo all'interno del Paese. Da
quando pero' Mohamed Morsi ha riallacciato i contatti con l'Iran (e cosi' facendo unendosi
ai Fratelli Musulmani sudanesi), i sospetti sauditi sul ruolo della Fratellanza sono
aumentati esponenzialmente.
Agli occhi della dirigenza saudita l'influenza dei Fratelli Musulmani e' potenzialmente
pericolosa perché propugna, a differenza dei wahabiti, un Islam politico. Si inserisce con
l'Islam non nella legittimazione del potere, ma nel suo esercizio.
Le Primavere Arabe
Anche in Egitto e Tunisia, dove si sono affermate con la primavera araba dirigenze di
matrice islamica, i rapporti di queste ultime con il wahabismo non sono mai stati idilliaci. Il
dittatore tunisino Ben Ali e' oggi ospitato in Arabia Saudita. Hosni Mubarak rappresentava
uno dei maggiori alleati di Ryad in Medio Oriente. E la causa e' sempre la stessa: i Fratelli
Musulmani. La controprova evidente di tutto questo e' che quando Morsi e' stato
recentemente defenestrato, l'Arabia Saudita (con 5 miliardi di dollari) e' stata tra i primi
Paesi a promettere sostegno finanziario alla controrivoluzione dei militari. Altrettanto
hanno fatto altri Paesi del GCC come il Kuwait (4 mld $) e gli Emirati Arabi (3 mld $).
Nell'atteggiamento saudita c'e' anche, ad onor del vero, la ritrosia ad accettare l'idea
stessa di una primavera araba. Tradotta significa il sovvertimento di un potere in carica
sull'onda di un vessillo islamico propugnando l'instaurazione di una democrazia.
Levato quindi il caso della Siria, elemento di una strategia anti-iraniana, le rivoluzioni non
sono state viste con molta simpatia da parte di Ryad. Non e' stato solo il caso di Tunisia
ed Egitto, ma anche quello della Libia dove Ryad ha appoggiato con molta riluttanza
l'intervento militare internazionale contro
Muammar Gheddafi. Ed alla fine, nelle
turbolenze sociali del Medio Oriente, l'Arabia Saudita e' stata piu' dalla parte della
restaurazione - come nel caso dello Yemen e del Bahrein - che non della rivoluzione. In
Bahrein, per esempio, si trattava soprattutto di garantire il potere ad un emiro sunnita in un
Paese a maggioranza sciita.
In definitiva, il dilemma saudita e' sia propagare, anche politicamente, una ortodossia
religiosa, assoggettando la politica estera a questo parametro, ma nel contempo evitare
che questo radicalismo da export possa poi incidere, di ritorno, sulla stabilita' del regno.
Da non scordare che 15 dei 19 terroristi implicati negli attentati dell'11 settembre 2001
erano di nazionalita' saudita.
La partita con il Qatar
Ultima istanza di competizione religiosa che si trasforma in politica estera vi e' oggi anche
il confronto con il Qatar. Questa volta e' una lotta in campo sunnita. Il Qatar non ha la forza
militare ed il peso specifico dell'Arabia Saudita nel mondo arabo, ma ha i soldi, pilota una
televisione che fa opinione pubblica, ha una base americana sul proprio territorio ed e' ben
visto nel mondo occidentale. Ha alla sua guida un emiro ambizioso. Ha anche il vantaggio
- a differenza di tutti gli altri Paesi del Golfo - di non avere una comunita' sciita sul proprio
territorio. E' nei fatti l'alter ego saudita nel ruolo di partner strategico per gli Stati Uniti nella
penisola arabica. Il Qatar si e' ultimamente inserito anche nel negoziato tra gli Usa e i
Talebani afghani. Ed ovviamente, ancora una volta, la politica estera tra i due Paesi si
gioca sul parametro religioso: il Qatar appoggia i Fratelli Musulmani, l'Arabia Saudita li
contrasta; Doha appoggia Hamas, Riyad appoggia l'OLP. E la stessa divaricazione
avviene sull'appoggio che viene dato alle fazioni dei ribelli che combattono Bashar al
Assad.
La religione e' per l'Arabia Saudita parte integrante della propria politica estera, un binomio
inscindibile che orienta le scelte del regime saudita nel contesto mediorientale. Una
politica estera fondata non solo sul dogmatismo wahabita, ma anche sugli strumenti che
questa branca ortodossa dell'Islam sunnita ha la possibilita' di utilizzare sul terreno: i
predicatori wahabiti e gli imam con il loro proselitismo, le organizzazioni caritatevoli, i soldi
profusi nei mille canali islamici che alimentano scuole, ospedali e comunita' islamiche.