Al telefono: “Signor Rolls, qui è il signor Royce”

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Al telefono: “Signor Rolls, qui è il signor Royce”
Al telefono: “Signor Rolls, qui è il signor Royce”
Mercoledì 09 Settembre 2015 08:54
Lo so che in Italia non fa figo parlare di lui. Cioè se fai l’imbianchino, lavori al call center di
Telecom o prepari un mojito in micro-bikini in uno strip-bar di Rozzano va benissimo dire che lo
leggi ma se fai il giornalista, anche in una redazione scalcagnata di provincia, o, peggio ancora,
lo scrittore, qui da noi, ti sputtani di brutto, sei subito tagliato fuori dal giro che conta. L’editore
sborone ti sfancula e l’agente letteraria più cattiva del mondo non ti risponde nemmeno più al
telefono. Andava bene fino alla fine dei Settanta, quando era di ultra-nicchia, quando non si
capiva se era comunista o fascista, poi basta, troppo nazional-popolare, troppo per i poveri… di
elucubrazioni e di letture serie. Insomma, peggio di Fabio Volo e Moccia se scrivessero un
romanzo a quattro mani.
Lo scrittore quotato, da noi in Italia, quando d’inverno lo intervistano su cosa legge accanto al
camino e quando d’estate gli chiedono cosa porta sotto l’ombrellone piantato nei sassi in
Versilia-Liguria lui risponde sempre e solo: Proust.
No, dai, ’sti cazzi, Proust.
Anzi, confidenzialmente ti dice La Recherche. Ma non è che la legge per la prima volta. No,
scherzi! La sa a memoria, ovvio. È che stavolta vuole capire un particolare del flusso di
coscienza che le altre quindici volte che l’ha letta, La Recherche, non ci si è messo con lo
spirito giusto e via che gli è sfuggito il senso più profondo.
Lo so, non è che non lo so. Quindi adesso dovrei dire che sul comodino ho tutti i sette volumi
della Recherche. Però sono della vecchia scuola di quelli che non ce la fanno a far finta, come
quella volta che al Cala di Volpe mi hanno presentato un ricciolino venticinquenne fidanzato con
la miliardaria francese 70enne e a lui non sono riuscito a non dirgli “Ti piace vincere facile, eh?”
e va da sé che non mi hanno più invitato.
Perciò quando mi tirano fuori La Recherche, cito sempre Céline, un altro che non era figo per
niente e che al riguardo la pensava così: “Proust spiega troppo per il mio gusto: trecento pagine
per farti sapere che tizio incula tizio, è troppo.”
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Fatta questa doverosa premessa, adesso è giunto il momento di parlare di due eroi della
Letteratura del Novecento. Un postino e un impiegato. Eroi veri.
Il primo è Charles Bukowski (1920 – 1994). Ho fatto il suo nome e addio, sono tagliato fuori da
tutti i salotti buoni dell’editoria italiana e anche dai tinelli delle case editrici giovani ma con
progetti ambiziosi. Amen, me ne farò una ragione. Se non lo conoscete fate attenzione perché è
l’unico scrittore mondiale trattato come le pornostar. Ossia con i suoi racconti e le sue poesie ci
hanno fatto settemila raccolte dai titoli sempre diversi e con “montaggi” spericolati, uguale alle
attrici porno che hanno girato in tutto 20 scene e con quelle i produttori ci hanno fatto 150 film.
Quindi per stare dalla parte del sicuro partite dai romanzi. Sono sei (Post Office; Factotum; Don
ne
;
Panino al prosciutto
;
Hollywood, Hollywood!
;
Pulp. Una storia del XX secolo
) e valgono tutti il prezzo scontato dell’edizione tascabile.
Il secondo è John Martin (1930), il suo editore, che non è un editore “normale” con il bisnonno
già editore e tutta la famiglia in missione per conto del Dio della Letteratura e via discorrendo,
nel senso che prima di leggere dei racconti di Bukowski su riviste underground non faceva
l’editore. Ha deciso di farlo, fondando la Black Sparrow, per pubblicare Bukowski. Che è come
dire che uno scopre un calciatore e si compra una squadra di calcio per farlo giocare.
Quella di Bukowski e Martin è una storia famosa, romantica e di successo, insomma è il fottuto
sogno americano che si avvera sopra ogni aspettativa, e compare anche in diversi saggi. E mi è
tornata in mente perché di recente su Vice ho letto “Non l’ho mai visto ubriaco – Un’intervista
all’editore di Bukowski”
.
Come ho detto, la storia è nota. John va da Charles o Hank o Henry (gli altri nomignoli di
Bukowski, detto anche Chinaski) e gli fa questa proposta. Ti licenzi dall’ufficio postale e scrivi
per me, poesie e racconti e, se ti vengono, romanzi, e io ti pago 100 dollari al mese per tutta la
vita. Era il 1965. E il conto era preciso perché Martin a quel tempo aveva uno stipendio di 400
dollari al mese, mentre a Charles la vita costava 35 dollari al mese di affitto in un appartamento
a East Hollywood, 15 dollari per pagare gli alimenti all’ex moglie, 3 dollari per le sigarette, 10
per gli alcolici e altri 15 per il cibo. E con 100 dollari al mese poteva cavarsela. E Bukowski,
grazie a Dio, ha detto sì.
John Martin, nell’intervista, spiega come è nato il primo romanzo. “È una bella storia. Quando
avevamo fatto quell’accordo dei 100 dollari al mese era dicembre e quando ha comunicato
all’ufficio postale che si sarebbe licenziato ha scoperto che il suo ultimo giorno di lavoro
sarebbe stato il 31 dicembre. Così ha detto, ‘Bene, inizio a lavorare per te il 2 gennaio, perché
l’1 è capodanno e quindi è vacanza.’ Ci era sembrato molto divertente. Tre o quattro settimane
dopo, penso fosse ancora gennaio, o forse la prima settimana di febbraio, mi ha telefonato –
ah, prima gli avevo detto, ‘Se stai pensando di scrivere un romanzo, sappi che i romanzi si
vendono meglio della poesia; quindi se potessi scrivere un romanzo sarebbe d’aiuto’ – così mi
ha telefonato alla fine di gennaio o nella prima settimana di febbraio, dal nulla, e ha detto, ‘Ce
l’ho; vieni a prendertelo.’ E io ho detto, ‘Cosa?’ E lui, ‘Il mio romanzo.’ ‘Dall’ultima volta che ci
siamo visti hai scritto un romanzo?’ E lui, ‘Sì.’ Allora gli ho chiesto come avesse fatto, e lui mi ha
risposto, ‘la paura può moltissimo.’ Quel romanzo era Post Office.”
Bukowski, dieci anni dopo, era una rockstar. “Più avanti – dice Martin – ho deciso di pagargli un
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onorario. Gli versavo 10.000 dollari ogni due settimane. È passato da 100 dollari al mese a
10.000 dollari ogni due settimane, e a quei tempi alla fine dell’anno gli saldavo il resto dei soldi
che gli dovevo. Più tardi sono arrivati i soldi veri, quando abbiamo iniziato a vendere i diritti dei
suoi libri alle case cinematografiche e roba del genere.”
Postino e impiegato. Scrittore ed editore. Per quasi trent’anni sono stati un duo fantasmagorico.
Martin ha riscoperto anche John Fante, un mito per Bukowski, dimenticato da tutti. Bukowski è
morto il 9 marzo del 1994 a San Pedro, in California. Era uno scrittore milionario, conosciuto in
ogni angolo del pianeta. E il loro è sempre stato un rapporto splendido. “A volte mi telefonava –
racconta Martin – e diceva con la sua voce profonda, ‘Signor Rolls, qui è il signor Royce’.”
Dopo la morte di Royce, John “Rolls” Martin ha continuato a mandare avanti la Black Sparrow
per altri otto anni, poi nel 2002 è andato in pensione, perché senza Charles “Royce” Bukowski
non c’era più gusto a fare l’editore.
Alla faccia di un Proust qualsiasi.
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