L`essenza del tragico Percorsi didattici sul teatro

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L`essenza del tragico Percorsi didattici sul teatro
Il teatro greco: esperienze da un TFA
L’essenza del tragico
Percorsi didattici sul teatro greco antico (parte III)
di Cristiano Scagliarini
Che cosa si insegna, insegnando il teatro greco?
Al quesito prova a rispondere questa terza parte dell’introduzione che, come sempre, precede
i contributi di studio e soprattutto presenta le riflessioni di metodo didattico, condivise all’interno
del TFA da cui i brevi saggi proposti hanno preso origine.
Non trovo risposta più esaustiva e al tempo stesso suggestiva di quella di Jacqueline de
Romilly, grande grecista del secolo scorso, nell’introduzione al suo La tragedia greca:
“Avere inventato la tragedia greca è un grande titolo di merito; e merito e gloria spettano ai Greci.
C’è, effettivamente, qualche cosa di affascinante nel successo che ha ottenuto questo genere. Di
tragedie se ne scrivono ancora oggigiorno, venticinque secoli dopo; se ne scrivono un po’ dappertutto
nel mondo; ma ciò che sorprende di più, è che si continuino ad attingere periodicamente dai Greci i temi
ed i personaggi, che si scrivano delle Elettre e delle Antigoni.
Non è semplice fedeltà ad un passato splendore. La grande diffusione della tragedia greca, infatti, è
frutto dell’ampiezza di significato e della ricchezza di pensiero che gli autori hanno saputo infondervi: la
tragedia greca presenta una riflessione sull’uomo nel linguaggio immediato dell’emozione.
Indubbiamente, l’esigenza di recuperare il genere nella sua forma originaria è maggiormente sentita in
epoche di crisi e di rinnovamento, quali la nostra. Se da una parte si attaccano gli studi greci, dall’altra
si rappresentano, un po’ dappertutto nel mondo, tragedie di Eschilo, di Sofocle e di Euripide, in quanto
proprio in esse, questa riflessione sull’uomo si manifesta nella sua forza originaria.”
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Da questo testo si può trarre una prima indicazione per un metodo di lavoro: non bisogna
dimenticare che, pur essendo sempre possibili, quando non auspicabili, riletture ed interpretazioni
che, attualizzando le vicende tragiche, ne facciano il paradigma di nuovi interrogativi esistenziali,
l’obiettivo specifico dell’insegnamento è quello della conoscenza del teatro greco nel panorama
storico-culturale ateniese. Per comprendere una tragedia nella sua struttura originaria, occorre
ricostruirne lo scenario della rappresentazione: il teatro greco infatti è un fenomeno storicoletterario completamente diverso dal teatro moderno, da riscoprire nelle sue originarie accezioni di
rito religioso, gara tra poeti, momento politico di dibattito di idee e valori e, infine, occasione di
paideia collettiva.
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J. De Romilly, La tragedia greca, Il Mulino, Bologna, 1996, pg. 7 (Edizione originale: La tragèdie grecque, Paris, 1970).
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Una seconda indicazione metodologica si ricava considerando l’originalità del teatro tragico
greco rispetto ad ogni altra manifestazione della letteratura antica. Osserva in proposito Jean-Pierre
Vernant: «Resterebbe da capire l’essenziale: le innovazioni che la tragedia attica ha apportate e che
ne fanno sul piano dell’arte, delle istituzioni sociali, della psicologia umana, un’invenzione»2.
Nella sua originalità e nella peculiarità della sua struttura, la tragedia greca, indagando in
modo nuovo, mai prima di allora sondato, l’universo-uomo determina un passaggio fondamentale
per la costruzione della dimensione dell’interiorità e per la scoperta della responsabilità individuale.
È quello che Vernant definisce appunto “uomo tragico”.
È importante che gli studenti, dopo aver approfondito, nel primo anno del corso di
letteratura, la dimensione del mito nella sua valenza di indiscusso paradigma, colgano appieno
l’elemento di novità che si determina nelle rappresentazioni tragiche dell’Atene del V secolo a.C.,
nel momento in cui quegli stessi miti, spogliati del loro valore esemplare, vengono riproposti e
diventano «per se stessi e per gli altri, un problema»3.
Nel leggere una tragedia, nel seguire la vicenda dei personaggi che essa mette in scena, gli
studenti apprendono che porsi domande sull’esistenza, sul dolore umano e sulle sue cause è un
interrogativo sempre urgente. Attraverso il riconoscimento dell’agone verbale come elemento
tipico del teatro tragico, in un crescendo da Eschilo ad Euripide, possono inoltre notare come il
teatro antico insegni che il confronto di opinioni, lo scontro dialettico dei punti di vista è sempre
valido: è certamente di grande attualità, infatti, la capacità di imparare a scoprire e a confrontarsi
con i pensieri divergenti e con le verità alternative. La possibilità di seguire questo percorso
dialettico (della mente, non solo della parola) attraverso l’evoluzione del pensiero e della
drammaturgia dei tre autori tragici (e qui si dovrebbe forse aggiungere anche del teatro comico di
Aristofane) diviene tanto più significativa se si considera che tale evoluzione ha origine, sviluppo e
conclusione negli anni stessi in cui la democrazia ateniese si afferma, si impone e, attraverso i
meccanismi distruttivi dell’imperialismo aggressivo e dell’individualismo sofistico, si disgrega.
Un terzo ed ultimo elemento didattico da sottolineare attiene alla possibilità che, attraverso
la lettura di una tragedia greca, si realizzi un processo di unitarietà della conoscenza, oggi tanto più
attuale, come già si è visto parlando di scuola delle competenze.
Il teatro antico costituisce infatti un’occasione di lettura di un testo tragico in lingua
originale, da intendere come inscindibile mistione di recitazione, canto, musica e danza, e da
comprendere in tutto il suo spessore ideologico e linguistico-metrico. Perché si legga
correttamente una tragedia, non può esserci alcuna separazione tra il momento cognitivo, quello
dell’abilità interpretativa del testo, della contestualizzazione storica e, infine, quello della
comprensione, attraverso l’approfondimento semantico-lessicale, dei motivi profondi che sono alla
base della vicenda rappresentata. Non occorre ribadire qui come, per compiere
2
J.P. Vernant, Il momento storico della tragedia in Grecia: alcune condizioni sociali e psicologiche, in J.P. Vernant – P. VidalNaquet, Mito e tragedia nell’antica Grecia, Einaudi. Paperbacks, pgg. 3-7.
3
J.P. Vernant, op. cit.
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contemporaneamente operazioni di questo tipo, occorre esercitarsi ad una palestra di rigore
metodologico ineludibile. Vale piuttosto la pena sottolineare come attraverso lo studio della
tragedia si rivela agli studenti che conoscere non è un processo meccanico, ma implica la scoperta di
qualcosa che entra nell’orizzonte di senso della persona.
Come poi un processo di questo tipo possa essere valutato e soprattutto ricondotto ad una
scala tassonomica è un tema complesso che sarà trattato in uno dei prossimi interventi.
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Nei due nuovi contributi di studio, l’attenzione si sposta su Sofocle, per evidenziare come nel
suo teatro la caratterizzazione dell’eroe sia privata da ogni enfasi, per conferire completa
drammaticità ai personaggi in un mondo nel quale – per citare l’Edipo a Colono – «la sorte migliore è
non nascere» (verso 1224).
Vengono presentate due figure forse meno note e tuttavia centrali nell’evoluzione del
pensiero e del teatro sofocleo.
Nel suo contributo Il mito di Elettra nel teatro tragico. La “nuova” Elettra di Sofocle, Stefania
Adiletta sceglie di affrontare lo studio di un personaggio che, essendo trattato dai tre tragici,
consente di procedere ad un confronto diretto, evidenziando sensibilità poetiche e interessi di
ciascuno. Attraverso una puntuale analisi dei versi, la lezione proposta si concentra sulla figura
sofoclea mettendone in risalto gli elementi di novità e di specificità: il personaggio di Elettra
incarna il focolare paterno dal quale, come suo fratello, è stata allontanata, e che insieme a lui
vorrebbe restaurare.
Il fine giustifica i mezzi? è il suggestivo titolo con il quale Eleonora Fortunato presenta la
rilettura di un passo del Filottete (versi 77-120), opera nella quale il drammaturgo ateniese ripropone
in chiave tragica un mito epico. Tragedia tipica e al tempo stesso atipica del teatro sofocleo, in essa
l’autore mette in scena la crisi che si determina tra un eroe fortemente individualista e la struttura
politica e sociale che lo accoglie. E questa chiave di lettura diviene tanto più significativa laddove si
consideri l’anno di composizione della tragedia, il 409 a.C., in un periodo cioè in cui la città
rifletteva sulla necessità di reintegrazione sociale dei fuoriusciti democratici.
[continua…]
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