VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012

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VITAOSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
SETTEMBRE 2012
POSTE ITALIANE S.p.A. - SPED. IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, Comma 2 - DCB ROMA
ANNO LXVII - N° 9
San Giovanni d'Avila proclamato Dottore della Chiesa
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EDITORIALE
S O M M A R I O
RUBRICHE
4
I diaconi e il loro servizio
nella comunità cristiana
5
Il relativismo etico:
una riflessione bioetica
6
La venipuntura nei bambini
7
Forame ovale pervio
8
Il lungo viaggio
9
Centro della vita cittadina,
le terme prendono il posto dell’Agorà
10
Schegge Giandidiane N. 34
Andando a scuola
da un Dottore della Chiesa
14
Memorizzare il Credo
15
M’illumino d’impegno...
mettiamoci le mani!
16
Festa d’estate
all’insegna della solidarietà
17
Esperienza della missione
18
Conferenza provinciale
DALLE NOSTRE CASE
19
Ospedale san Pietro - Roma
La Famiglia ospedaliera del san Pietro
e della Provincia hanno festeggiato il loro Patrono
20
Ospedale Sacro Cuore
di Gesù - Benevento
Buona sanità al Fatebenefratelli di Benevento
21
Istituto san Giovanni
di Dio - Genzano
Pellegrinaggio alla Madonnina di Civitavecchia
22
Ospedale Buccheri La Ferla - Palermo
Il nuovo look dell’ospedale
Assegnato il premio Liolà a fra Luigi
23
Newsletter
VITA OSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
ANNO LXVII
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Finito di stampare: settembre 2012
In copertina: San Giovanni d'Avila, che il Papa
proclamerà Dottore della Chiesa il 7 ottobre
(quadro di Eladio Santos nella nostra Chiesa
di Amadeo)
L’AVILA
E LA CROCE
N
ell’Impero Romano la croce era un
simbolo d’infamia e di orrendo
supplizio, finché la morte di Gesù
sulla croce la trasformò in un simbolo di gloria e in sorgente di salvezza eterna
per tutti noi, tanto che nel calendario liturgico
abbiamo il 14 settembre una speciale festa,
chiamata Esaltazione della Santa Croce, celebrante il mistero di uno strumento non più d’ignominia, ma di grazia soprannaturale.
Questa festività ricorre il 14 settembre, in ricordo del ritrovamento della croce di Gesù
da parte di sant’Elena, avvenuto, secondo la tradizione, il 14 settembre del 320: in quel
giorno la reliquia fu alzata dal vescovo di Gerusalemme di fronte al popolo, che fu invitato all’adorazione. Sant’Elena era la madre di Costantino, l’imperatore romano che
prima della Battaglia di Ponte Milvio, che fu combattuta il 28 ottobre 312 e della quale
ricorre pertanto il prossimo mese il XVII Centenario, ebbe la visione di una croce con
la scritta greca “Εν Τουτω Νικα” (con questo vinci), che lo indusse a far collocare la
croce sui vessilli del suo esercito che, infatti, vinse. Forse non v’è santo che non abbia
adottato la Croce per proprio vessillo. Di certo, molti sono tradizionalmente raffigurati
brandendo la Croce e ne merita ricordare qui uno che il prossimo 7 ottobre il Papa includerà nella lista, finora d’appena 33 nomi, dei Dottori della Chiesa: san Giovanni d’Avila. Questo titolo è attribuito a chi s’è distinto per profondità nell’afferrare i misteri della
fede e per saperli trasmettere in modo semplice e convincente, soprattutto con la forza
del proprio esempio.
Per l’Avila la Croce fu, tanto nella meditazione quanto nella predicazione, uno dei
suoi temi preferiti, considerandola l’espressione più sublime non solo dell’Amore che
unisce in un solo Dio le Tre Persone, ma anche dell’Amore che il Figlio, patendo su di
essa, manifesta nei confronti del Padre e a nostro beneficio, assumendosi il peso dei
nostri peccati e riscattandoli con la sua Passione per comunicarci la pienezza della sua
vita. La Croce pertanto non è più per l’Avila l’emblema del dolore, ma il tramite dell’Amore di Cristo che si prolunga nelle nostre vite. Nel cap. 11 del suo Trattato dell’amor di Dio egli scrive: “Mio buon Gesù, non solamente la Croce, ma il corpo che vi
tieni inchiodato, è un dolce richiamo ad amare; hai il capo inclinato, per ascoltarci e
inviarci baci di pace, invitando i colpevoli, mentre sei tu l’offeso; hai le braccia aperte, per abbracciarci; le mani bucate, per darci i tuoi beni; il costato aperto, per accoglierci nelle tue viscere; i piedi inchiodati, per aspettarci e giammai separarti da noi.
Di tal maniera che mirandoti, o Signore, tutto m’invita ad amare: il legno, la figura, il
mistero, le ferite del tuo corpo. Ancor più, l’amore interiore mi dice d’amarti e che mai
il mio cuore ti dimentichi”.
Mirando la Croce, sulla quale Cristo affronta la morte pur di far risorgere alla vita di
grazia noi che v’eravamo morti, l’Avila nel suo trattato Audi, filia scrive fiducioso:
“Cristo, che da nemici ci trasformò in amici, non ci abbandonerà ora che siamo suoi
amici. Se ci amò quando eravamo disamorati di lui, non si disamorerà di noi mentre lo
amiamo. Pertanto osiamo ripetere con san Paolo: Ho fiducia che Colui, che iniziò quest’opera buona, la porti a compimento fino al giorno di Cristo Gesù (Fil 1,6)”. L’Avila
seppe trasmettere la sua devozione alla Croce a molte anime, tra cui varie oggi venerate sugli altari, quali sant’Ignazio di Loyola, san Francesco Borgia, san Giovanni de
Ribera, san Giovanni della Croce, santa Teresa di Gesù, san Tommaso da Villanova, san
Pietro d’Alcántara e, ovviamente, il nostro san Giovanni di Dio, di cui fu fin dall’inizio
il Direttore Spirituale, sicché comprendiamo perché il nostro Fondatore non solo è spesso raffigurato con la Croce e morì stringendola, ma in una sua lettera alla duchessa di
Sessa le scriva: “Abbiate in mente il prezioso Sangue che nostro Signore Gesù Cristo
sparse per tutto il genere umano e la sua sacratissima Passione, poiché non v’è più alta
contemplazione di quella della Passione di Gesù Cristo” (3DS 8).
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CHIESA E SALUTE
I DIACONI E IL LORO SERVIZIO
NELLA COMUNITÀ
CRISTIANA
Fra Elia Tripaldi o.h.
S
i deve alla Chiesa la prima organizzazione sanitaria con la creazione di ospedali, ospizi, luoghi
di cura e di assistenza per ammalati e
orfani. Dopo l’editto di Costantino
(313) con cui la religione cristiana finalmente può uscire dalle Catacombe e
non è più soggetta a feroci persecuzioni da parte degli Imperatori romani, anche le iniziative dei privati cristiani hanno accesso alla loro libertà e generosità
poiché trasformano le loro case in ospedali e asili per accogliere e curare gli infermi. Gli esempi più illustri ci vengono dalla nobile matrona Fabiola, (la prima a costruire un ospedale a Trastevere), da Pammachio (a Porto, vicino Roma), da santa Galla e altri.
A queste iniziative private si aggiungono gli stessi Concili e Sinodi (Cartagine 309 d.C. e Nicea 325 d.C.) che ordinano di costruire, vicino alle Chiese,
luoghi di accoglienza (xenodochii) per
poter assistere bisognosi, infermi e vedove. Come si vede, la comunità cristiana, con tutto questo immane lavoro,
ha bisogno di braccia volenterose di comuni cristiani, non solo ma anche di
persone esperte nell’assistenza ai poveri e nelle opere di misericordia, rappresentanti ufficiali che, in nome dei vescovi (con compiti pastorali, di controllo e amministrativi), coordinassero tale
attività caritativa. Il Diacono (dal gr.
4
Diakonos = colui che serve), con la sua
preziosa opera, amministra il patrimonio della comunità cristiana, si interessa della cura delle sepolture, dell’assistenza agli orfani, alle vedove, agli infermi e ai prigionieri.
Ai diaconi incombe anche il compito
di aggiornare periodicamente l’amministrazione e di riferire al Vescovo, il quale
dispone degli alloggi e dei fondi esistenti, per poter procurare le medicine e pagare i medici e il personale di servizio.
Ma come e quando nascono i diaconi? Si pensa che i primi diaconi cristiani siano i sette istituiti dagli Apostoli,
anche se non viene dato loro il nome di
diaconi. “Allora i Dodici convocarono
il gruppo dei discepoli e dissero: «Non
è giusto che noi lasciamo da parte la
parola di Dio per servire alle mense.
Dunque, fratelli, cercate fra voi sette
uomini di buona reputazione, pieni di
Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio
della Parola». Piacque questa proposta
a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e,
dopo aver pregato, imposero loro le
mani” (At 6, 2-6).
Anche san Paolo,
nella 1a Lettera a
Timoteo, suo compagno nel secondo
viaggio missionario e suo stretto
collaboratore, parla delle doti che
sono richieste per i
diaconi che condividevano con i
presbiteri la re-
sponsabilità delle comunità locali: “Allo
stesso modo [dei Vescovi] i diaconi siano persone degne e sincere nel parlare,
moderati nell’uso del vino e non avidi di
guadagni disonesti, e conservino il mistero della fede in una coscienza pura”
(1Tm 3, 8-9). Paolo quindi stabilisce una
specie di parallelismo tra vescovi e diaconi ed elenca quelli che sono i requisiti
comuni per essere idonei nell’importante
servizio dell’evangelizzazione. Nel IV
sec., poiché sono i monaci a farsi carico
delle opere di carità, al diacono viene attribuito solo il compito di ministro dell’eucarestia, perdendo così di significato.
Nelle Costituzioni Apostoliche del
sec. V, ossia nel compendio di norme
che descrive i compiti e i doveri dei diaconi, si legge: “Il diacono che lavora in
una città sulla riva del mare, deve perlustrare attentamente la costa, per vedere se i cadaveri di un naufragio sono stati là trasportati dalle onde. Egli li rivestirà e li seppellirà. Visitando l’alloggiamento dei forestieri si informerà se
vi sono dei malati, dei poveri o dei morti e ne riferirà alla comunità, affinché
essa faccia per ognuno quel che è necessario. Farà il bagno ai paralitici e ai
malati, affinché provino un po’ di sollievo nella loro infermità. A tutti farà
pervenire attraverso la comunità quello
di cui abbisognano”. Qui abbiamo la
descrizione di attività pratiche riservate
ai diaconi, come: raccogliere naufraghi,
seppellire morti, visitare e servire i malati e riferire alla comunità tutto quanto
è di bisogno per i pellegrini e i bisognosi, che si configurano a una vera e
propria assistenza.
Questo importante capitolo della storia della Chiesa, giunto fino ai giorni
nostri, è un servizio nato con la Chiesa
primitiva, continua e si estende con prospettive sempre più ampie per il futuro
poiché il diacono, avendo ricevuto il
primo grado dell’Ordine sacro, dovrà
amministrare non solo i sacramenti, ma
anche annunciare il Regno di Dio a coloro che nella difficoltà o nell’ignoranza non conoscono la Parola di Dio e il
messaggio di salute e di salvezza in essa contenuto.
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BIOETICA
IL RELATIVISMO ETICO:
UNA RIFLESSIONE BIOETICA
Raffaele Sinno
L
e società contemporanee attraversano una profonda crisi
dovuta a una difficile congiuntura economica e politica che trova diverse motivazioni di ordine fondativo, tra
cui spicca una perdita del senso valoriale dell’agire umano. In tale contesto
storico-culturale l’uomo postmoderno
ha radicalmente confuso, e sovvertito,
l’idea del pluralismo inteso come
espressione emergente di libertà, separandolo dalla ricerca di una verità possibile e condivisa. Tale scissione ha
determinato una progressiva decadenza
etica che ha amplificato e sostenuto la
logica applicativa del relativismo morale. Il dibattito bioetico su tale tema è
stato caratterizzato dal confronto tra i
sostenitori del relativismo etico e chi ne
ha evidenziati i limiti. I primi affermano che non sia possibile giungere a conclusioni condivisibili, vista la variabilità e spesso l’inconciliabilità delle differenti posizioni etiche. I secondi al contrario fanno emergere la presenza di un
comune orientamento nei riguardi dei
principi etici universali, quali la difesa
intangibile della vita, la sua dignità
relazionale e il bene comune.
Tra le innumerevoli definizioni la
più adatta per intraprendere una discussione in merito a tale argomento è la
seguente: “Si definisce relativismo
ogni concezione la quale non ammette
principi assoluti, né nell’ambito della
conoscenza, né nell’ordine morale, e
mette in discussione le possibilità di
giungere a una definizione assoluta di
verità”1. Una prima riflessione consiste
nel ritenere improbabile ogni conoscenza se si rimane ancorati a un’esclusiva indagine di tipo empirista,
assecondando la nota legge di Hume,
secondo cui dai fatti non si possono
desumere i valori. Tale tesi è stata
ampiamente smentita grazie all’indagine della tecnoscienza, che ha dimostra-
to come ogni particolare esperienza è
sempre in relazione a una valutazione
di scelta etica. In conseguenza di ciò,
ogni ricerca conoscitiva è sempre una
tensione verso l’acquisizione di un
continuo progresso, non solo dei dati
da accumulare o verificare, piuttosto
per le leggi oggettive che si possono
desumere. Per tale motivo la vita non è
un semplice contenitore di particolari
esperienze o sensazioni, né una semplice reazione a stimoli esogeni o endogeni, essa costituisce un’esigenza irrinunciabile2, una continua chiamata al
superamento del puro egoismo sensibile, una ricerca che va oltre la minima
libertà d’eguaglianza.
Il reale pericolo del relativismo non
consiste nel proporre il suo limitato
orizzonte speculativo, ma nel concepire un pessimismo strutturale, la trasformazione da una vita senza riferimento
a valori oggettivi, a un’esistenza priva
di qualsiasi valore3. Per tale ragione, la
minaccia del relativismo non è più
esclusivamente di ordine culturale,
oppure di contrasto storico tra le diverse posizioni d’indagine filosofica. Nei
nostri tempi assistiamo a un ampliamento del relativismo nelle sue tre
forme applicative: il livello culturale,
quello di ordine sociale, e negli sviluppi politici di gestione. Il relativismo
culturale fa la sua comparsa nello studio della moderna antropologia contemporanea. Diversi specialisti nordamericani, come Franz Boas e Melville Jean Herskovits4, hanno sostenuto
che la particolarità di ogni cultura non
consente di potere desumere che vi sia
nulla di universale. Questa visione è
criticabile per due motivi: il primo è
che ogni comunità, pur nelle sue diversità, presenta dei caratteri speculari
etici, ossia il rapporto dell’uomo con se
stesso, le regole del vivere sociale, la
distinzione netta tra ciò che è bene in
sé, e ciò che è male di per sé. Il secondo aspetto è di tipo logico, vale a dire
l’estremizzazione del relativismo conduce a una sua negazione. L’asserzione, infatti, che ogni cosa sia relativa
diventa in se stessa una pretesa assoluta. La seconda forma di relativismo è
quella di tipo sociale, dove si sancisce
la dissoluzione dei principi della legge
naturale, con una disarticolazione tra
quello che è desiderabile e ciò che è
attuabile. Queste due forme sfociano
nel relativismo politico ed economico,
in cui l’uomo si trasforma in mezzo da
manipolare, smarrendo il senso della
sua presenza nell’universo.
Per porre freno a queste derive è fondamentale edificare modelli formativi
che puntino all’originalità del bene
comune, perché è indispensabile ricercare una verità che facendo uscire gli
uomini dalle opinioni e dalle sensazioni
soggettive, consenta di protrarsi al di là
delle determinazioni culturali e storiche, e di incontrarsi nella valutazione
del valore e della sostanza delle cose5.
_________________
1
PAUL LANGEVIN, ELIE CARTAN, Relativismo, in Dizionario critico di filosofia, ISEDI, Milano 1971, p. 739
2
Cfr RAFFAELE SINNO, Profili sociali
della tecnica. La “cosa nuova” della
tecnoscienza in “ Quaerere Deum”, 2,
2010, p.64
3
Cfr SALVATORE PRIVITERA, Il volto
morale dell’uomo, Ofts, Palermo 1991,
p. 181
4
Cfr in www. Collettivodiantropologia.it/documenti/tesi/relativismo_satta.
pdf. (12-04-2009)
5
BENEDETTO XVI, Caritas in veritate,
n.4
5
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SANITÀ
LA VENIPUNTURA NEI BAMBINI
Mariangela Roccu
a venipuntura e l’incannulamento
venoso periferico (IVP) sono tra le
manovre maggiormente stressogene per i bambini; lo stress e il dolore incidono sia sulla componente fisica, sia su
quella psicologica, determinando un
aumento della percezione dolorosa e un
abbassamento della soglia del dolore.
L
è più difficoltoso. Negli ultimi anni sono
stati progettati molti dispositivi allo
scopo di facilitare la visualizzazione dei
vasi da incannulare o per rendere l’inserimento dell’agocannula meno traumatico
o meno frequente. Alcuni studi hanno
dimostrato l’efficacia dell’IPV con tecnica ecoguidata.
Sono presenti, inoltre, dei fattori che
influiscono sulla riuscita della venipuntura, relativi alla situazione clinica del bambino e al livello di esperienza dell’infermiere che esegue la manovra. Un recente
studio che ha avuto come obiettivo principale quello di stabilire se esiste una
relazione tra l’esperienza dell’infermiere
che esegue la tecnica e il tasso di successo nel reperimento di un accesso venoso
periferico (AVP), ha mostrato come gli
infermieri esperti o molto esperti abbiano
reperito degli AVP con un minor numero
di tentativi e con minori tempi di esecuzione rispetto agli altri. L’età e il peso del
bambino si sono dimostrati fattori correlati al numero di tentativi necessari, tuttavia, se l’infermiere che esegue la procedura è esperto o molto esperto, questi fattori non sembrano avere un peso statisticamente significativo sul tempo impiegato o sul numero di tentativi necessari. Lo
studio ha inoltre evidenziato la necessità
di ricercare attivamente la cooperazione
del bambino, poiché questa è associata a
tassi più alti di successo al primo tentativo. I dati emersi mostrano che sarebbe
opportuno informare la famiglia, prima
dell’esecuzione della procedura; queste
informazioni dovrebbero essere fornite in
particolar modo ai genitori di bambini
con età inferiore ai 2 anni, poiché in questa fascia di età il reperimento di un AVP
L’illuminazione transcutanea è stata utilizzata con successo per molti anni in
ambito neonatologico e più recentemente
è stato allargato il suo utilizzo su bambini
di tutte le età. Sono invece di recente introduzione i sistemi di visualizzazione delle
vene a raggi infrarossi; questa metodica si
avvale di dispositivi che emettono fasci di
luce con frequenza vicina a quella dei
raggi infrarossi: la luce emessa dall’apparecchio è assorbita dall’emoglobina presente nei vasi sanguigni superficiali e
riflessa dai tessuti circostanti. I vasi superficiali si evidenziano, quindi, direttamente
sulla cute del paziente, apparendo come
immagini in negativo su fondo chiaro.
Tutti i visualizzatori a infrarossi hanno in
comune la caratteristica di non riscaldare
la cute del paziente, di non emettere radiazioni e di non dover essere posizionati a
contatto con la cute.
6
Un altro studio condotto presso il
Dipartimento emergenza accettazione
(DEA) di un Ospedale pediatrico del
Missouri, ha riguardato il posizionamento del bambino durante l’inserimento di
un accesso venoso, per capire se questo
poteva diminuire lo stress. I risultati dello
studio hanno evidenziato che la posizione
con il bambino seduto in braccio al genitore, diminuisce lo stress nell’inserimento
della cannula venosa periferica (CVP) nei
bambini, aumenta la soddisfazione dei
genitori, non complica l’inserimento dell’ago. Questa modalità di posizionamento è semplice, sicura, efficace, senza costi
aggiuntivi e aiuta il bambino e i suoi genitori ad affrontare più serenamente questa
esperienza.
Significativo, propositivo e originale il
contributo di uno studio che ha introdotto
un programma di lettura per i neonati,
svolto in Terapia Intensiva neonatale
(TIN). Dopo il ricovero del neonato in
TIN, veniva offerto un libro ai genitori,
che era successivamente letto da uno di
loro al proprio bambino per qualche
minuto al giorno, sia che il bambino fosse
nella culla, nell’incubatrice o durante la
marsupioterapia. I genitori erano poi incoraggiati a portare a casa il libro letto
durante il ricovero e a proseguire la lettura dopo la dimissione. Un’alta percentuale di genitori (86%), ha riferito che quest’attività era “gradita” o “molto gradita”
sia a loro sia al bambino Gli stessi genitori hanno inoltre riferito che, il leggere al
bambino aumentava il senso di controllo
sulla situazione, aiutandoli a superare lo
smarrimento generato dalla visione per la
prima volta del corpo del proprio figlio al
quale sono stati applicati presidi invasivi,
a sperimentare un senso d’intimità e di
normalità. Dallo studio è emerso che la
lettura durante il ricovero è associata a una
maggiore probabilità che i genitori leggano qualcosa al bambino nei 3 mesi successivi alla dimissione (78%). I nuovi
studi e le diverse strategie, quindi, indirizzano gli sforzi di gran parte degli operatori sanitari e degli infermieri in particolare,
verso il solo e unico obiettivo, che si propone di garantire la serenità del bambino
ricoverato e dei suoi familiari, facilitando
in questo modo gli effetti benefici della
qualità assistenziale, sia sull’ansia anticipatoria del bambino, sia sull’organizzazione del lavoro.
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FORAME OVALE
PERVIO
anticoagulanti (warfarin) e/o antiaggreganti (aspirina).
La chiusura transcatetere del PFO dà
la possibilità di evitare la terapia anticoagulante a lungo termine o di
migliorarne gli outcomes.
Bruno Villari
I
l forame ovale pervio (PFO, figura
1) è una comunicazione tra atrio
destro e atrio sinistro, normalmente
presente nel feto prima della nascita,
che tuttavia persiste anche dopo la
nascita approssimativamente in uno
individuo adulto su quattro.
Durante la vita fetale una parte di
sangue proveniente dalla vena cava
inferiore passa dall’atrio destro all’atrio sinistro attraverso il PFO (Forale
Ovale Pervio), by-passando i polmoni.
Dopo la nascita il flusso sanguigno
polmonare incrementa significativamente e il piccolo circolo diviene pienamente funzionante; di conseguenza
si verifica un aumento della pressione
atriale sinistra, che supera leggermente
la pressione atriale destra. Questa differenza di pressione comprime il septum primum contro il septum secundum (i due foglietti embrionali che formeranno il setto interatriale e parte del
setto interventricolare) e chiude, solo
funzionalmente, il PFO. L’effettiva
chiusura del PFO avviene più tardivamente durante l’infanzia nella maggioranza della popolazione. Numerosi
studi osservazionali hanno però documentato la chiusura anatomica incompleta del PFO appunto in un individuo
su quattro. Il PFO dovrebbe essere
considerato una variante che rimane
nell’ambito della normalità, quando
non si abbiano complicanze derivate
da esso quali l’embolia paradossa o
altre specifiche condizioni cliniche.
L’ictus criptogenico è un attacco
ischemico che si verifica in soggetti,
soprattutto giovani, che non presentavano fattori di rischio per tale evento
e la cui genesi non risulta identificabile (cripto=nascosto, genico=origine).
Numerosi studi risalenti ai primi anni
del nuovo millennio hanno dimostrato
un’associazione tra PFO e ictus crip-
togenico e hanno così suggerito un
possibile ruolo del PFO nella fisiopatologia di questa malattia. Il PFO è
molto più comunemente riscontrato
nei pazienti con ictus criptogenico che
nella popolazione generale (approssimativamente da 50% a 60% versus da
20% a 25%). Tuttavia recenti studi
non hanno confermato necessariamente un’associazione tra le due condizioni; il rischio di stroke ricorrente
nei pazienti con ictus criptogenico, a
esempio, non è maggiore nei portatori
di PFO rispetto ai pazienti che non
presentano questa caratteristica anatomica. Nonostante tutto, il rischio non
trascurabile di recidiva di ictus dopo
ictus criptogenico giustifica la ricerca
Figura 1
di terapie preventive: si può chiudere
il PFO quando presente o prevenire la
formazione del materiale tromboembolico mediante l’utilizzo di farmaci
La procedura si svolge sotto guida
radioscopica ed ecocardiografica transesofagea.
Previa anestesia locale nel punto di
accesso cutaneo l’operatore introduce
in vena femorale un introduttore di
calibro adeguato a contenere il catetere
che servirà per attraversare il PFO.
L’ombrellino (figura 2) di dimensioni
adeguate al PFO da chiudere viene
avvitato su di un apposito catetere,
viene poi inserito in un lungo introduttore e fatto avanzare attraverso il PFO.
L’operatore spinge l’ombrellino fuori
dall’introduttore in modo tale che i
suoi due dischi aperti si aprano su ciascun lato del PFO, cioè uno in atrio
sinistro e l’altro in atrio destro. Quando l’operatore, sulla base dei dati
angiografici, delle manovre eseguite
per il controllo della stabilità del sistema, dell’esecuzione di un’angiografia
e/o di uno studio ecocontrastografico, e
delle immagini ecocardiografiche, è
soddisfatto della posizione del sistema
di chiusura, esegue il suo rilascio definitivo svitando l’ombrellino dal catetere su cui era stato montato e che era
stato usato per spingerlo in atrio sinistro.
I dati in letteratura dimostrano che la
ricorrenza di stroke/TIA nei pazienti
sottoposti a chiusura transcatetere del
PFO era dello 0-4.9% paragonata al
3.8-12% nei pazienti con sola terapia
medica.
Figura 2
7
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SOLIDARIETÀ TRA I POPOLI
IL LUNGO VIAGGIO
Simone Bocchetta
I
l lungo viaggio dell’uomo nel
mondo è iniziato milioni di anni fa,
partendo presumibilmente dalle
regioni dell’Africa centrorientale e
seguendo rotte, che avrebbero portato
l’uomo a occupare “spazi” sempre più
estesi, da stanziale e non più da nomade1. I primi insediamenti, realizzati
lungo le rive del Tigri e dell’Eufrate,
hanno rappresentato un momento significativo del processo evolutivo della
specie umana. Lo stanziamento successivo degli uomini sulle terre bagnate
dal Mediterraneo è stato una tappa ulteriore di questo viaggio. Analizzando i
più antichi fossili umani ritrovati nei
depositi dell’Africa meridionale e
orientale, risalenti a un periodo compreso da 4 milioni a quasi un milione di
anni fa, e ascrivibili ad almeno mille
individui di specie diverse, R. Leakey
ritiene che «è dunque corretto affermare che gran parte dell’evoluzione del
genere umano ebbe luogo in Africa»2.
Come se si volesse edipicamente
uccidere i propri padri o umiliare i propri fratelli maggiori, i rapporti tra Africa e resto del mondo sono via via cambiati nel corso delle epoche umane,
fino ad arrivare all’oggi. Allargando
ancora lo sguardo, la scena del mondo
contemporaneo vede un Occidente
sempre più avanzato tecnologicamente
e sempre più ricco, che si oppone al
resto del mondo, sempre più povero e
più dipendente. Il divario diventa più
accentuato e pericoloso per le conseguenze di povertà e di sottosviluppo
che comporta per gli abitanti più poveri del pianeta, che vivono soprattutto
nel resto del mondo, in Asia, in Africa
e nei paesi latino-americani. Non è difficile prevedere al riguardo che «la
conseguenza – come afferma Paul
Kennedy – è un crescente squilibrio tra
le aree del mondo che godono di ricchezza, tecnologia, benessere e altri
8
vantaggi e quelle in cui vivono le
nuove generazioni in rapidissima
espansione, che non hanno nulla di
tutto ciò»3. Non risolvere questi squilibri è segno di grande miopia politica e
mancanza di speranza. L’economia di
mercato sembra, apparentemente, aver
vinto la sfida (anche se il periodo di
crisi rende sempre più persone scettiche, su questo punto), ma è «totalmente incapace di risolvere i problemi
delle diseguaglianze, della povertà
estrema anche all’interno degli USA,
della povertà di noi in occidente, della
disoccupazione, e del terzo mondo, del
nostro rapporto con il terzo mondo,
ossia i quattro quinti dell’umanità»4.
Si parlava di un lungo viaggio.
Come quello dei migranti. Il fenomeno dell’emigrazione presenta oggi
profili diversi rispetto al passato.
Dalla fine dell’Ottocento e fino agli
anni Cinquanta, milioni di persone si
sono spostate dall’Europa verso i
paesi del continente americano e l’Oceania. Dagli ultimi decenni del
Novecento, i flussi migratori sono
cambiati. L’esodo maggiore è dai
paesi dell’Asia e dell’Africa verso
l’Europa, mentre permane un flusso
migratorio dai paesi latino-americani
verso i paesi del Nord America. Le
cifre del fenomeno dell’immigrazione
sono enormi. La stima per l’Italia,
resa nota dall’ISTAT l’11 aprile 2007,
in base ai dati forniti dal Ministero
dell’Interno, ammonta a 2.768.000.
Maggiori sono le presenze straniere
stimate per la Germania (7.287.980),
la Spagna (3.371.394), la Francia
(3.263.186) e la Gran Bretagna
(2.857.000). Le cifre fanno riferimento solo agli immigrati entrati legalmente nei paesi europei. Dovrebbero,
perciò, essere riviste verso l’alto, per
includere l’immigrazione illegale, difficile da quantificare.
Il buon samaritano di Vincent Van Gogh
In termini di sviluppo economico, i
quadri concettuali sono oggi profondamente cambiati. Parlare di “terzo
mondo” per paesi come l’India, la Cina,
altri paesi emergenti dell’Asia e dell’America Latina, in piena crescita economica, sarebbe insostenibile. La povertà
colpisce paesi africani, un miliardo
circa di persone, per i quali sarebbe
necessario un nuovo riformismo meno
spettacolare, ma più concreto5. Sarebbe
necessario un lungo viaggio verso il
prossimo, un lungo viaggio verso il
riconoscimento della propria umanità,
dell’essere uomini tra gli uomini.
_________________
Cfr R. Pititto, Lui è come me. Intersoggettività, accoglienza e responsabilità, Studium, Roma 2012, p. 27, utile
riferimento per tutte le suggestioni presenti in questo intervento.
2
Si veda la ricostruzione delle origini
dell’umanità secondo R. LEAKEY (Le
origini dell’umanità, in R. LEAKEY,
P. D. MACLEAN, Le origini dell’umanità. Evoluzione del cervello e comportamento umano, trad. di I. Comoglio e
di F. Bianchi Bandinelli, Corriere della
Sera, Milano 2011), qui a p. 35
3
P. KENNEDY, Il mondo in una nuova
era, trad. di S. Minucci, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma 2008, p. 421
4
P. RICOEUR, L’unico e il singolare,
trad. di E. D’Agostini, Servitium Editrice, Sotto il Monte 2000, p. 56
5
Cfr P. COLLIER, L’ultimo miliardo.
Perché i paesi più poveri diventano
sempre più poveri e cosa si può fare
per aiutarli, trad. di L. Crespa, Laterza,
Roma-Bari 2008.
1
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 11.24 Pagina 9
IL CAMMINO DELLA MEDICINA
CENTRO DELLA VITA CITTADINA,
LE TERME PRENDONO IL POSTO
DELL’AGORÀ
XXIV – Civiltà e raffinatezza della Roma imperiale
Fabio Liguori
A
nche al tempo della Roma imperiale era impossibile stabilire
quali fossero le cause delle frequenti epidemie che decimavano la popolazione. Si riteneva, infatti, che dipendessero da eccessi di calore o di
freddo, da fantasiosi veleni “espulsi”
dalla terra a seguito di terremoti, o da
miasmi provenienti da putrefazioni. In
proposito, numerose leggi regolavano
l’igiene mortuaria anche a ragione della
“sepoltura” che, dopo l’avvento del cristianesimo, andava diffondendosi sempre più (sino allora gli schiavi e i poveri venivano gettati in fosse comuni); la
stessa cremazione dei defunti e la raccolta nelle urne cinerarie doveva avvenire fuori città.
Per nuovi insediamenti urbani si cominciò a scegliere luoghi più salubri dal
punto di vista dell’esposizione e del clima. E sempre per motivi igienici, i “lupanari” (dal latino lupa = prostituta)
erano situati al di fuori della cinta muraria e dovevano funzionare solo di sera, mentre le prostitute venivano regolarmente registrate pur essendo obbligate a cambiar nome.
Per cure di carattere medico i familiari dei patrizi venivano assistiti presso i
Terme di Caracalla
“valetudinaria”, una sorta di infermerie
private, le più famose delle quali erano
situate sull’Isola Tiberina presso il tempio di Esculapio (291 a.C.); e perché tornassero presto al lavoro, anche gli schiavi potevano accedere a
queste astanterie. Ma sarà
la costruzione di grandiose
terme (piccole città all’interno della città stessa con
due classi: una più povera
destinata alla plebe e l’altra
più fastosa destinata ai patrizi) il segno indelebile
della civiltà e raffinatezza
raggiunta da Roma.
tenuti nel tepidarium, rispondeva al
principio terapeutico di Galeno del “bagno di sudore”, completato da massaggi e lavacri sì da costituire una forma di
medicina preventiva. Soprattutto rappresentava, per i romani, allenamento a
prove agonistiche maggiori (le leggendarie imprese delle legioni).
Attorno agli specifici ambienti termali vi erano spazi anche per piccoli
teatri, biblioteche, sale di studio e negozi. Gradualmente le terme si trasformano così in centro della vita cittadina
prendendo il posto dell’agorà come polo urbano di socializzazione, ritrovo
Pompei: Tepidarium
Le prime terme nacquero in luoghi
dove era possibile sfruttare sorgenti naturali di acque calde o con particolari
doti curative; ma grazie allo sviluppo di
tecniche sempre più evolute di riscaldamento delle acque (aria calda diffusa negli spazi sottostanti alla pavimentazione) le terme si diffonderanno all’interno
delle città (nella sola area urbana Roma
finirà per contarne circa 800).
Le più famose saranno quelle maestose di Caracalla (212-217 d.C.) e Diocleziano (298 d.C.), capaci di accogliere ciascuna 1700 persone al giorno.
Aperte dal mattino al tramonto, l’accesso era inizialmente separato fra
donne (mattino) e uomini
(dal mezzodì in poi),
mentre gli ammalati erano ammessi soltanto prima dell’orario di apertura. Passare subitamente
da vasche calde (calidarium) a fredde (frigidarium), dopo essersi intrat-
pubblico, e sviluppo di attività per uomini e donne. E per quanto modesto,
non ci sarà centro urbano dell’impero
che non abbia avuto uno o più edifici
termali.
Lo sfrenato amore per le cure termali sarà una delle caratteristiche igieniche della Roma imperiale, ma richiederà sempre maggiori risorse e ingenti
spese di pubblico denaro: solo per portare a 60 gradi la temperatura dell’acqua occorrevano giornalmente migliaia
di tonnellate di legname proveniente da
tutto l’impero, con il conseguente deforestamento di intere regioni. L’uso
smodato della vita termale causerà nel
tempo lassità di costumi, perdita del
senso civico (che porterà i romani ad
affidare la difesa dell’impero a barbari
e costosi mercenari), degrado e calo
delle nascite: il decremento demografico sarà ulteriore causa del crollo dell’impero. Tuttavia, popolazioni e civiltà assoggettate a Roma, continueranno
per secoli a definirsi “romane”.
9
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 11.24 Pagina 10
Schegge Giandidiane N. 34
Andando a scuola da un
Dottore della Chiesa
enedetto XVI il prossimo 7
ottobre conferirà il titolo di
Dottore della Chiesa ad un
Santo a noi quanto mai caro: San
Giovanni d’Avila. Ebbi il 31 maggio 1970 la gioia d’assistere in San
Pietro alla sua Canonizzazione e
ricordo che Paolo VI nell’omelia
lo lodò per aver convertito grandi
anime, quali San Giovanni di Dio
e San Francesco Borgia; e poi in
piazza, durante il saluto dopo la
recita dell’Angelus, egli aggiunse:
«Oggi la Chiesa possiede un nuovo
Santo, ed è San Giovanni d’Avila.
Un Santo spagnolo, del Cinquecento, grande predicatore, grande scrittore, grande promotore della riforma
della Chiesa, al tempo del Concilio
di Trento, e grande maestro di vita
spirituale. Tra gli altri suoi libri ve
n’è uno che meriterebbe d’essere
conosciuto anche in Italia, ancor
oggi, specialmente dalle anime religiose, intitolato “Audi, filia”, ascolta, o figlia».
145
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 34 - Andaando a scuola da un Dottore della Chiesa
B
Anche se vecchia d’un quarto di
millennio, una versione riuscii in
realtà a trovarla in italiano, quella edita a Roma nel 1759 dal
postulatore Francesco Longoria e
da cui riproduco qui il ritratto del
Santo, del pari inciso a Roma dal
catalano Miguel Sorelló. Merita
leggerla non solo perché questo
libro, scritto dall’Avila in spagnolo prendendo spunto e titolo dai
versi latini 11 e 12 del salmo 44
[45], fu il primo che spiegò ai
fedeli in modo chiaro e semplice
il cammino di perfezione cui tutti
siamo chiamati, ma anche perché
offre una pista preziosa per poter
individuare l’influsso che l’Avila
esercitò su San Giovanni di Dio
quando, dopo averlo convertito,
ne divenne il Direttore Spirituale
e l’aiutò a discernere la chiamata
divina a trasformarsi in pioniere
di una più fraterna assistenza agli
infermi ed ai bisognosi. Di qui
l’interesse di cercare negli scritti
dell’Avila, di cui acquistai l’opera
omnia edita in spagnolo dalla
BAC nel 1970-1971, le sue idee
riguardo all’amore al Prossimo,
verificando poi nell’epistolario e
nella vita di San Giovanni di Dio
quanto tali idee programmatiche
furono da lui assimilate e vissute,
parendomi improbabile che siano
solo fortuite le coincidenze di
vedute tra i due Santi.
È vero che Giovanni di Dio,
durante la sua permanenza a
Ceuta e dunque prima d’incontrar
l’Avila, aveva già manifestato la
sua inclinazione alle opere di
misericordia aiutando la famiglia
San Giovanni d’Avila (incisione di Miguel Sorelló)
di Luis de Almeida ridottasi al
lastrico, ma dopo la conversione
una motivazione soprannaturale
del suo impegno caritativo se la
poté formare proprio con l’aiuto
del suo santo e dotto Direttore
Spirituale, sotto il quale non per
nulla fece una sorta di Noviziato,
allorché si recò da lui a Montilla
dopo lasciato l’Ospedale Reale,
restandovi ospite circa un mese e
tornando poi a visitarlo varie
volte a Baeza.
Negli scritti dell’Avila l’amore
al Prossimo è oggetto di frequenti
digressioni, ma è affrontato in
maniera organica proprio in una
sezione dell’Audi, filia, che, tra
I’altro, fu abbozzato già nel 1533,
durante il processo che egli subì a
Siviglia, dunque vari anni prima
del suo memorabile incontro con
Giovanni di Dio. I capitoli 92-96
di tale libro costituiscono un vero
e proprio piccolo trattato, il cui
filo conduttore è che va stimolato
il nostro amore sia guardando il
Prossimo con occhio umano, sia
con occhio cristiano; cioè sia considerando che è un nostro simile,
sia sforzandoci di vederlo come lo
vede Cristo.
Proverò a riassumere in brevi
stelloncini il pensiero dell’Avila,
accompagnandovi di volta in
volta gli opportuni riferimenti al
nostro Fondatore, ricavati dal suo
epistolario, nonché dalla biografia
che ne pubblicò il Castro nel
1585 e dalle testimonianze rese al
Processo di Beatificazione; escluderò però i capitoli 92 e 93 del-
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 11.24 Pagina 11
loro ciò che desideriamo per noi stessi» (3 Se 9). Richiamandosi cioè
alla medesima massima evangelica che ispirò all’Avila la già citata
pagina dell’Audi, filia.
IL PROSSIMO CI È
FRATELLO
l’Audi, filia, perché aggiunti dall’Avila negli ultimi anni di vita al
prepararne una seconda edizione,
uscita poi postuma nel 1574.
COMPENETRARSI
NELLE SOFFE -
RENZE ALTRUI
Un primo ordine di idee, molto
elementare e su cui perciò l’Avila
non si sofferma molto, è che dall’amore che portiamo a noi stessi,
dobbiamo apprendere come
amare il Prossimo. Scrive nel cap.
94: «Qualunque cosa vedrete nel
vostro Prossimo, considerate come
ne sentireste voi, e come vorreste che
altri sentissero di voi, se foste voi in
persona a patirne; e con quello stesso occhio, con cui vi mirereste, mirate il Prossimo, compatitelo ed aiutatelo meglio che potete».
Su questo punto direi che Giovanni di Dio era sensibile fin da
giovane. Egli aveva una grande
stima della dignità umana del
Prossimo, come dimostra quel suo
intimo soffrire quando, come leggiamo nel cap. 4 della biografia
del Castro, durante la spedizione
militare a Vienna, vedeva «nella
scuderia i cavalli pasciuti, strigliati e
ben coperti; i poveri invece macilenti, ignudi e maltrattati».
Dopo la conversione, questi
sentimenti lo spinsero all’azione e
Castro racconta nel cap. 16 come
Giovanni di Dio fosse sempre
carico di debiti proprio perché
«non gli reggeva il cuore veder patire
i poveri per qualche necessità, senza
dar loro rimedio». Non è pertanto
una frase retorica quel che il
Santo scrive a Luigi Battista:
«ogni vostra sofferenza pesa anche a
me» (Ba 2). Ancor più esplicito è
in una lettera alla duchessa di
Sessa, alla quale raccomanda di
usar «carità con il nostro prossimo e
con i nostri fratelli, desiderando per
«Il cristiano - seguita l’Avila non mira il Prossimo secondo l’apparenza esteriore, cioè per le ricchezze, per la nobiltà e per cose del
genere, ma come mistico membro
del Corpo di Cristo». Giovanni di
Dio non era di certo persona da
lasciarsi influenzare dal censo
altrui. Affettuosamente chiamava fratelli i poveri e, come testimoniò Pedro Zegrí de Figueroa al
Processo di Beatificazione, nel
ricevere le elemosine amava sottolineare: «Questo è per i miei fratelli i poveri». Ma con il medesimo
sentimento egli chiamava fratelli
anche i ricchi, magari rischiando
qualche volta di parer villano,
come nell’episodio del cavaliere
che lo schiaffeggiò, narrato dal
Castro nel cap. 15, o in quello
del suo incontro col principe
Filippo, narrato nel cap. 16. Nel
cuore del nostro Santo, come in
quello di Dio, non esistevano
parzialità: «è vostro dovere – scrive perciò alla duchessa di Sessa -
146
L’Avila converte S. Giovanni di Dio (dipinto settecentesco di Luis Berrueco nell’Ospedale messicano di Atlixco)
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 34 - Andaando a scuola da un Dottore della Chiesa
Nel cap. 95 l’Avila scrive:
«Come riguardando voi stesso
miraste il Prossimo con occhio d’uomo; così mirando Cristo, mirerete il
medesimo Prossimo con gli occhi di
Cristo e l’amerete come Egli l’amò
e stimò, come un fratello i propri
fratelli». Giovanni di Dio curò
come pochi codesto sentimento
di fratellanza. Non solo volle
esser chiamato sempre ed unicamente con l’appellativo di fratello, ma era sua abitudine, come
nota il Castro nel cap. 16, chiamare tutte le persone col medesimo appellativo: «fratelli in Gesù
Cristo».
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far loro del bene, perché Dio ama
tutti» (1 Se 12).
CHI DONA
DIO
AL PROSSIMO DONA A
147
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 34 - Andaando a scuola da un Dottore della Chiesa
Il sentimento cristiano di fratellanza trova la sua radice e la sua
giustificazione nel mistero del
Corpo Mistico. Altrove - nelle
Lecciones sulla prima lettera di
san Giovanni - l’Avila ha parole
bellissime sull’ amore che devono
portarsi reciprocamente i membri
del Corpo Mistico: ed egli vi
tiene a precisare come facciano
parte del Corpo Mistico non solo
coloro che sono in grazia, ma
anche, quali membri potenziali,
tutti gli uomini della terra, per
cui indistintamente a tutti deve
estendersi il nostro amore. Nel
cap. 95 dell’Audi, filia l’Avila
insiste soprattutto su un altro
aspetto del Corpo Mistico, derivante dalla circostanza che Cristo
ne è il Capo e pertanto «il bene e
il male, che si faccia al Prossimo,
Egli lo riceve come fatto alla propria
sua Persona». Di per sé Cristo, in
quanto Dio, non ha bisogno di
nulla; però in quanto tutt’uno
con le membra del Corpo Mistico, avverte come proprie le
necessità degli uomini e riceve
come fatto a Sé stesso quanto è
offerto al più piccolo di essi.
Giovanni di Dio aveva a fondo
assimilato tale stupenda verità,
che ben traspare da quel suo invito, che Castro riporta nel cap. 16:
«Su, fratelli, andiamo a servire i
poveri di Gesù Cristo». Ancor più
chiara è quell’altra sua esortazione, riferita dal teste don Onofrio
Hurtado de Mendoza: «Fratello, in
ospedale mi manca la tal cosa. Dategliela a Dio, che è dargliela ai suoi
poveri». E il Signore volle premiare la fede di Giovanni di Dio,
giacché, come attestarono tra gli
altri anche tre medici di Granada,
«il medesimo Redentore venne un
giorno all’ospedale in figura di povero, e avendogli lavato Giovanni di
Dio i piedi, nell’atto di baciarli vide
in essi i segni delle piaghe ed un gran
fulgore, e dissegli il medesimo Signore: “Giovanni, quando lavi i piedi
ai poveri, è a Me stesso che li lavi”
e disparve».
IL PROSSIMO VA AMATO PER IDDIO
«Chi ama Cristo - nota l’Avila
nel medesimo cap. 95 dell’Audi,
filia -, molto grandemente amerà il
Prossimo». Il mistero del Corpo
Mistico rende assolutamente inseparabili codesti due amori. «Al
cristiano - soggiunge dunque l’Avila - sembrerà ben piccola la fatica
affrontata per dar sollievo al Prossimo, paragonandola alla grandezza
dell’amore, che egli porta a Cristo, e
per Lui al Prossimo». E più avanti,
nel cap. 96, leggiamo: «Poiché è
Cristo a ricevere in persona sua il
bene fatto al Prossimo, in che modo
potrete distogliervi dall’amarlo e dal
beneficarlo, ancorché il Prossimo sia
malvagio, giacché voi non avete da
fare i vostri conti con lui, ma con
Cristo?».
Orbene, se c’è un aspetto della
personalità di Giovanni di Dio
che si impone a prima vista, questo è che assolutamente mai il
Santo usava rifiutare cosa alcuna
al Prossimo, sol che gliela domandassero «per Iddio». Riguardo a
ciò, innumerevoli sono le attestazioni conservate nella biografia
del Castro e nel Processo: mi limito a ricordare solamente l’episodio quanto mai grazioso del marchese di Tarifa nel cap. 14 e quello, in qualche modo parallelo,
dell’incontro col Maligno nel cap.
18. Memorabile è soprattutto la
risposta che, come leggiamo nel
cap. 16, il Santo dette a chi lo
rimproverò d’aver immediatamente distribuito fra i poveri di
Valladolid le elemosine che vi
aveva raccolte per il suo ospedale
di Granada: «Fratello, darle qui o
darle a Granada, tutto è far bene per
Iddio, che sta in ogni luogo». Il concetto torna analogo in una lettera
alla duchessa di Sessa: «Voi siete
L’Avila visita S. Giovanni di Dio, messo ai ceppi come pazzo nell’Ospedale Reale di Granada (Luis Berrueco)
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più obbligata con i vostri domestici
che verso gli estranei, ma dare qui o
dare là, tutto è guadagno» (1 Se
17). E in un’altra lettera alla stessa benefattrice, suggeriva: «Per
Suo [cioè di Cristo] amore e bontà,
e non per altro interesse, volete far
del bene e della carità ai poveri e alle
persone bisognose» (2 Se 19).
LA CARITÀ ESTINGUE
I PECCATI
«Consideri il cristiano - scrive l’Avila nel cap. 96 dell’Audi, filia - che
il titolo con cui il bisognoso gli
domanda aiuto è: fatemi questo bene,
perché Iddio l’ha fatto con voi».
Anche Giovanni di Dio ha
qualche espressione del genere:
«Per amore di Dio diamo ai poveri
quel che Lui stesso ci dà» (1 Se 13).
Ma l’Avila vi insiste molto di più
e vi dedica quasi per intero il già
citato capitolo, prendendo argomento della parabola evangelica
del servo iniquo, che il Padrone
dapprima rimanda libero dal debito, ma che successivamente condanna perché l’ha visto spietato
con il conservo.
Anche a noi Dio offre la remissione d’ogni colpa, a patto però
che a nostra volta noi usiamo
misericordia per i bisogni altrui; se
invece manchiamo di carità col
UMILTÀ E
CARITÀ
L’umiltà interiore ci evita di
insuperbire del bene. Ma occorre
anche l’umiltà esteriore, perché il
Giovanni di Dio resta in questo
campo uno degli esempi più fulgidi. Nulla v’era che egli non s’abbassasse a fare per amore ai suoi
assistiti. Castro nel cap. 9 annota
che già fin dall’inizio, mentre
ancora era ricoverato nell’Ospedale Reale, usava «servire i poveri
in tutte le loro necessità con assai
amore», umiliandosi con santa
semplicità anche a «strofinare,
spazzare, pulire i servizi». Una
volta poi aperto il proprio Ospedale, vi si prodigò con la medesima umiltà fino all’ultimo giorno;
basti qui ricordare, come riferito
dal teste don Alonso Lasso de la
Vega, parroco di Lucena, quel suo
gesto abituale, che più da vicino si
richiama a quello di Cristo: «appena i poveri entravano in ospedale,
lavava loro i piedi e facendo su di essi
il segno della croce, glieli baciava».
Si resta davvero commossi al
pensare che un uomo di tale tempra abbia creduto necessario chiedere all’amico Gutierre Lasso:
«Fratello mio molto amato in Gesù
Cristo, non lasciate di pregare Gesù
Cristo per me, che mi dia umiltà e
pazienza e carità verso il mio prossimo» (2 La 11).
F. G. M. : Schegge Giandidiane. N. 34 - Andaando a scuola da un Dottore della Chiesa
La conversione di S. Giovanni di Dio (M. R. Garcia)
In genere Giovanni di Dio più che
sull’aspetto negativo di questa
verità, cioè sull’inevitabile castigo
che attende i duri di cuore e perciò
sull’assoluta necessità di mostrarsi
misericordiosi, preferì insistere
sull’aspetto positivo, cioè sul vantaggio che ricaviamo dal fare il
bene, giacché «come l’acqua
ammazza il fuoco, così la carità il
peccato» (1 Se 13). Proprio perché
si riflettesse su tale vantaggio, egli
volle adottare nella questua quel
suo ritornello davvero singolare:
«Fate bene, fratelli, a voi stessi, per
amor di Dio». E fu ugualmente tale
idea ad ispirargli nelle lettere delle
espressioni davvero graziose: «L’elemosina che mi faceste, già gli Angeli l’hanno scritta in cielo nel libro
della vita» (1 Se 4; 2 Se 8); «Questa elemosina sta davanti a Gesù
Cristo pregando per voi» (1 Se 4);
«Mandatemi un altro anello o qualsiasi altra cosa di vostro, affinché io
abbia qualcosa da impegnare, poiché
l’altro è già stato stato utilizzato e già
lo avete in Cielo. Dite alla governante e a tutte le dame e damigelle, che
se hanno qualche oggettino d’oro o
d’argento, me lo mandino per i poveri e per inviarlo al Cielo» (2 Se 26);
«Nostro Signore Gesù vi ricompensi
in Cielo della buona opera che avete
fatto per Gesù Cristo, per i poveri e
per me» (2 La 13).
nostro agire sia perfetto. E’ appunto soffermandosi su tale particolare, che l’Avila conclude nell’
Audi, filia la sua ampia trattazione
sulla carità. «Queste due virtù dell’umiltà e carità verso il Prossimo scrive infatti al termine del capitolo 96 - ce le insegnò e raccomandò il Signore medesimo con quel
mirabile gesto, che Egli volle compiere vicino alla morte, lavando i piedi
dei suoi Discepoli; nel quale si
ammira l’umiltà, per essersi impiegato in una missione così vile, e la carità per esserne risultato tanto vantaggio agli Apostoli. Queste stesse virtù
vuole il Signore che da Lui medesimo
apprendiamo, giacché ci gloriamo
d’essere umili suoi servi».
148
Prossimo, Iddio nei nostri riguardi
si mostrerà giudice inflessibile.
Come annota l’Avila, citando
Prov. 21,13, «Non già che Iddio
castighi i peccati già perdonati, ma
punisce l’ingratitudine di colui al
quale è stato perdonato: Chi serra
le orecchie alle grida supplichevoli dei poveri, quando supplicherà,
non sarà esaudito».
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 11.24 Pagina 14
“I L M E L O G R A N O ”
MEMORIZZARE IL CREDO
Fra Giuseppe Magliozzi o.h.
P
er degnamente celebrare il 50°
del Concilio Vaticano II, il Papa
ha deciso d’indire uno speciale
Anno della Fede, che inizierà l’11 ottobre 2012, nell’esatta ricorrenza dell’apertura del Concilio nel 1962, e terminerà il 24 novembre 2013 con la festa
di Cristo Re. Tra le varie iniziative in
programma c’è quella di diffondere
un’immaginetta con il volto di Cristo
venerato nel Duomo di Cefalù e sul
retro di essa verrà stampata la formula
del Credo, detto anche Simbolo degli
Apostoli. Uno degli obiettivi di questo
Anno della fede è, infatti, quello di fare
anche oggi del Credo la preghiera quotidiana imparata a memoria, come fu
abituale fin dai primi secoli della Chiesa, secondo l’ammonizione di Sant’Agostino: “Ricevete la formula della
fede, detta Simbolo, imprimendola nel
vostro cuore e ripetendola interiormente ogni giorno; munitevi del vostro
Simbolo, prima di addormentarvi e
prima di uscire”.
La proposta di memorizzare il Credo
ci fa tornare in mente un grazioso miracolo di San Giovanni di Dio, avvenuto
a Malaga in Spagna e raffigurato in
questa tela settecentesca del nostro
antico Ospedale messicano di Atlixco,
in cui ci prodigammo dal 1731 al 1812.
Nella suddetta tela di Atlixco il pittore ha raffigurato il Santo attorniato
dagli angeli nella gloria del Cielo,
mentre dall’alto di una nuvola sta aiutando nella recita del Credo un maomettano, il quale con viso compunto è
inginocchiato sul pavimento, dove ha
deposto il suo tipico turbante. Si tratta
di un episodio che troviamo citato, fin
già dalla prima edizione del 1624, nella
biografia del Santo scritta dal vescovo
Govea e che per secoli fu la più diffusa, tradotta in varie lingue.
Monsignor Govea narra che viveva a
Malaga un’arzilla vecchietta, chiamata
14
Isabella de Peñuela, che all’età di 85
anni cadde gravemente inferma. Da
giovane era vissuta a Granada, dove
conobbe di persona San Giovanni di
Dio e lo considerò sempre come un
santo, sicché ne diffuse la devozione
nella propria famiglia ed ovviamente
ne invocò l’aiuto perché intercedesse
dal Cielo di farle superare la malattia.
Una sera però il suo stato peggiorò e
quando i medici vennero a visitarla, al
constatare che aveva già perso l’uso
della parola, la dettero ormai per spacciata. Grande fu la loro sorpresa quando il mattino seguente, pensando di trovarla morta, la videro invece alzata e
piena di salute. Stupiti, le chiesero
quale fosse stata la causa di un così
improvviso e straordinario cambiamento. Lei rispose che a guarirla era
stato il suo Giovanni di Dio, a cui s’era
di cuore raccomandata, e che nella
notte aveva avuto una visione: il santo
era inginocchiato ai piedi della Madonna, supplicandola di dar salute ed altri
anni di vita a codesta propria devota, il
che la Vergine volle accordare, sicché
ora si sentiva così bene, come se mai
fosse stata malata e dolorante.
Tra i testimoni della guarigione c’era
Hamete, un moro da molti anni schiavo
in casa della miracolata, dove avevano
provato più volte a convertirlo alla
nostra fede, ma mai poterono convincerlo; ora però, toccato in cuore dal Signore con quel miracolo, disse che voleva
farsi cristiano, il che raddoppiò la gioia
in casa e la buona padrona l’affidò al
suo domestico Giambattista per catechizzarlo e fargli memorizzare il Credo.
Subito ci si misero entrambi di buon
impegno per l’intera giornata, ma con
modesti risultati, poiché il moro aveva
scarsa memoria e sapeva poco spagnolo. Ciononostante il dì seguente chiese
ugualmente il battesimo e all’obiettargli che prima doveva finire di studiare,
asserì che aveva mandato tutto a
Quadro nell’Ospedale di Atlixco (Messico)
memoria di notte, aiutato da una persona scalza ed a capo scoperto che, da
come la descrisse, si capì che era il
santo, ed aggiunse: “Se mi assopivo, il
buon uomo mi svegliava e mi diceva:
Hamete, ripeti quel che ti ho insegnato.
Ho appreso così quanto occorre per
esser Battezzato”.
A buon ragione, Giambattista commentò che quanto narrato da Hamete
era, dopo la conversione di lui e la guarigione della padrona, già il terzo miracolo operato dal santo in quella casa,
esaudendo non solo le suppliche, ma
perfino i desideri.
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 11.24 Pagina 15
ANIMAZIONE GIOVANILE
M’ILLUMINO D’IMPEGNO...
METTIAMOCI LE MANI!
Fra Massimo Scribano, o.h.
M
’illumino d’impegno, è il
titolo della seconda edizione dell’Esperienza di servizio realizzata a Genzano di Roma,
Istituto san Giovanni di Dio in collaborazione con l’Azione Cattolica
della Diocesi di Albano. Un gruppo di
giovani, dal 16 al 20 luglio 2012, si
sono messi a confronto con una realtà
che hanno solo immaginato “al di
fuori del cancello”.
La mattina del 16 ci siamo ritrovati,
dopo un anno, sia con i ragazzi che
hanno già partecipato e sia con ragazzi
nuovi che per la prima volta si prodigavano a fare questa esperienza. Come
di consueto, sono stati accolti non solo
da me ma anche da alcuni Ospiti della
Casa che con il loro “saper accogliere”
hanno trasmesso la gioia e la bellezza
nel vedere persone nuove. Dopo i saluti e il benvenuto ci siamo subito messi
all’opera, dirigendoci verso i laboratori e i reparti per svolgere il servizio di
laboratorio e di mensa. Le giornate si
scandivano tra pause (pochissime!),
lavori e attività di gruppo sui temi che
venivano trattati e il Servizio che in
questi Campi diventa la base e la centralità di tutta l’Esperienza.
Le tematiche trattate: la vocazione di
Pietro, tra la chiamata, la missione, il
rinnegamento e la riconciliazione con
Gesù, tematiche che possono essere
interiorizzate in noi per riflettere sulla
nostra vita spirituale e di fede. Come
siamo e in che strada stiamo camminando? Questa è la primissima domanda che in questa Esperienza i ragazzi
hanno percepito: capire qual’è la
nostra strada, risulta sempre una scelta
ardua e piena di insidie, se vissuta da
soli. Cristo ci viene incontro per far sì
che essendo Lui la Via, la Verità e la
Vita noi non ci smarrissimo lungo la
strada.
Una bella sorpresa è stata la visita
del padre provinciale, fra Pietro Cicinelli, che il secondo giorno del Campo
ha avuto il piacere di incontrare i
ragazzi intrattenendosi con loro in un
clima fraterno. Il Padre Provinciale ha
risposto alle domande fatte dai ragazzi,
che hanno esposto con molta curiosità,
stimolando la discussione.
Le attività venivano gestite dagli
Educatori che hanno dato il meglio di
se sia umanamente che professionalmente e a nome dei ragazzi li ringrazio
per il servizio reso in questi giorni. La
mattinata era organizzata nei laboratori
artistici, distribuiti all’interno del
nostro Istituto, e nel pomeriggio si
svolgeva lo sporterapia con lo scopo di
far partecipare i nostri Ospiti. Due
momenti forti hanno caratterizzato questa settimana la Veglia di preghiera e la
santa Messa conclusiva presieduta da
don Gualtiero Isacchi, rettore del Seminario Vescovile di Albano Laziale.
Durante la Veglia il clima era di pre-
ghiera e di adorazione verso il Maestro
che ha dato la vita per noi, morendo in
croce. La Messa conclusiva si è svolta
alle 15,30 del 20 luglio. Nell’omelia,
don Gualtiero ha ribadito i concetti dell’esperienza vissuta e della chiamata a
essere annunciatori del Vangelo. Alla
fine della celebrazione eucaristica
abbiamo lasciato le nostre impronte sul
cartellone del Campo, come simbolo
della settimana di servizio, la quale per
poter fare un servizio ai fratelli bisogna
“sporcarsi le mani”, “mettere le mani”
dentro le situazioni dei nostri fratelli
che hanno bisogno del nostro aiuto.
Dalla foto che pubblichiamo vi rendete
conto di come abbiamo lasciato le
impronte, perché il futuro ha le nostre
impronte.
Auguro a tutti voi, giovani di continuare a essere promotori del vostro
futuro, perché con Cristo noi faremo
sicuramente cose grandi, avendo bisogno delle nostre mani per costruire un
mondo migliore.
Per informazioni consultate il sito
Web: www.pastoralegiovanilefbf.it o
contattatemi al 3382509061.
Nella speranza di potervi incontrare,
buona estate a tutti nel Signore!
I Partecipanti all’esperienza
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A . F. M A . L .
FESTA D’ESTATE
ALL’INSEGNA
DELLA SOLIDARIETÀ
Ornella Fosco
U
n cocktail di musica, di sapori,
di colori e di solidarietà, uniti
nella festosa serata che si è
svolta il 5 luglio scorso nella splendida
cornice dei giardini della Curia della
Provincia Romana dei Fatebenefratelli,
che dal 1998 ospitano l’A.F.Ma.L. per
eventi di beneficenza.
I 400 partecipanti hanno assistito alla versione ridotta del musical “Novecento Napoletano”, canti e balli in costumi d’epoca raffiguranti la vita, la
storia e i costumi del “secolo d’oro” napoletano. Nel cast circa 20 artisti, tra attori, cantanti e danzatori, l’orchestra di
“Novecento Napoletano”, la regia e le
scene di Bruno Garofalo, hanno reso
possibile lo spettacolo su tutto ciò che a
Napoli si tramuta in musica, dall’amore alla preghiera, dall’attività commerciale all’arte di sopravvivere, dall’invettiva.
La serata è proseguita con la degustazione di sapori della cucina partenopea;
dall’angolo dell’acquafrescaio, al friggitore nel “coppetiello”, le pizze cotte
nel forno a legna, all’angolo del casaro
e via via fino ad arrivare al dolce con i
babà e le sfogliatelle.
Fra Pietro Cicinelli, presidente A.F.Ma.L
16
Tra gli ospiti
presenti,
un
ringraziamento
particolare va
alla incantevole
Stefania
Sandrelli, perUna scena del Musical “Novecento Napoletano”
la del cinema
italiano e testimonial della serata. Tra matica di bevande e/o snack) e Bancagli altri si ringraziano: Rosa Miranda, pulia.
che ha deliziato i presenti con la sua
Tutti i fondi raccolti, dedotte le spese
splendida voce nell’eseguire la “Tammurriata Nera”, Gioia Maria Scola e della serata, saranno interamente devoGiuseppe Zeno, attori di cinema e TV, luti alla realizzazione di un nuovo edifiMaurizo Anania, scrittore e regista, cio scolastico e centro diurno per bambini audiolesi, disabili e poveri di QuiaMagdi Cristiano Allam, giornalista.
po nelle Filippine.
Il binomio spettacolo e solidarietà,
Per questo importante risultato ragnegli ultimi anni si è consolidato ampiamente. Sposare il sociale con la mu- giunto, l’A.F.Ma.L. ringrazia inoltre,
sica e lo spettacolo, far conoscere la tutti coloro che hanno partecipato alla
realtà della solidarietà in un contesto serata e tutti i volontari che hanno colche può sembrare effimero, sono inve- laborato per la riuscita di questa inice elementi di successo per far avvici- ziativa.
nare la coscienza dei cittadini
alla solidarietà.
L’A.F.Ma.L.
continua, grazie
anche alle innumerevoli persone, alle società,
alle
imprese
che dimostrano
interesse nelle
sue buone cause, a essere presente ovunque
sia necessario il
suo intervento.
Si ringrazia per
il loro sostegno
economico l’AromatiKa Srl
(servizi di distribuzione auto-
L’attrice Stefania Sandrelli con fra Gerardo D’Auria
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 11.24 Pagina 17
ESPERIENZA DELLA MISSIONE
Fra Benedetto Possemato o.h.
S
ono passati 15 anni da quando ho
cominciato a percepire e fare
missioni al di fuori dei nostri
Centri in Italia.
La missione per un Fatebenefratello è
ovunque c’è un uomo che soffre, senza
mai tralasciare quelli che la Provvidenza gli ha affidato con l’obbedienza.
gno e il termometro segnava 60°. Tralascio tutto circa l’approntare la sala operatoria e l’ambulatorio. Si comincia il
lavoro in sordina e man mano che passavano i giorni i malati aumentavano
sempre più. Quando è giunto il tempo
di andar via vi erano più malati di quan-
partecipato fisicamente alle varie missioni, resta il ricordo profondo di popoli poveri sì ma dignitosi, forse analfabeti ma di una ricchezza umana che noi
cosiddetti popoli civili abbiamo da molto tempo sotterrato. A questa gioia, credo hanno partecipato tutti quelli che
hanno fatto una piccola offerta umanitaria, vedendo la TV, i giornali subito
dopo o durante la missione rendendosi
conto di quello che noi stavamo operando in Paesi veramente lontani. Tutti
In questi 15 anni ho toccato tante nazioni e ognuna ha avuto e ha la caratteristica che la distingue.
Andiamo per ordine la 1a e la 2a l’ho
svolta a Bucarest assieme a un’altra Organizzazione non governativa (Operation smile) per bambini affetti da deformazione del labbro e del palato. Nell’anno santo per prepararci fattivamente
secondo il nostro carisma abbiamo portato a Genzano di Roma 50 bambini e un
loro genitore per essere operati nel nostro Ospedale san Pietro, non solo le
malformazioni del cavo orale ma anche
quelle ossee e grandi superfici ustionate.
Allora cominciava a balenare l’idea di
avere una missione tutta nostra e si cominciò a ventilare il progetto “Ridare la
luce”. Nel frattempo che l’idea maturava, abbiamo visitato diverse nazioni:
Russia, Marocco,Tunisia. Alla fine la
Provvidenza ci ha fatto incontrare un
medico che ogni anno si recava a Gao
in Mali, effettuando delle visite oculistiche però senza poter operare. Ci è
sembrato veramente la Provvidenza!
Dopo aver preso i contatti con le autorità locali, ci siamo organizzati e partiti;
sembravamo veramente l’armata Brancaleone. Siamo arrivati nella capitale
Bamako ma non era la meta. La meta,
per via terra, distava 2 giorni di macchina, alla fine abbiamo affittato un piccolo aereo e siamo arrivati a Gao, in
pieno deserto in un aeroporto dove pascolavano vacche e capre e dove i bambini si divertivano. Era il mese di giu-
Fra Benedetto in missione
ti avevamo già operati e promettemmo
che saremmo ritornati a novembre. Di
questa missione ne è venuta a conoscenza l’Aeronautica militare italiana e
ci ha chiesto di associarsi a noi. Quattro
braccia sono più di due e di questo ne
siamo stati felici.
si sono resi conto che col proprio obolo,
anche se piccolo, hanno reso un grande
servizio a fratelli che senza il nostro intervento sarebbero rimasti ciechi e i
bambini, messi a loro disposizione come guida, sarebbero restati tagliati fuori dal mondo della loro età.
Ho voluto dilungarmi su questa missione perché da questa, sempre più migliorandola, abbiamo ogni anno fatto almeno due missioni: Benin, Togo, Ghana, Mali, Ciad, Bali, Tanzania, prossimamente in
Costa d’Avorio e Madagascar.
Il grazie e il “Dio vi benedica e vi accompagni” vada agli Operatori ma anche a tutti quelli che hanno permesso
che ciò avvenisse con la loro offerta.
A ognuna di queste nazioni sono legati dei ricordi che sarebbe troppo abusare della pazienza dei lettori. A me personalmente,
ma credo anche a tutti i
Collaboratori che hanno
Missione ridare la luce in Ghana
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CENTRO DIREZIONALE
CONFERENZA
PROVINCIALE
Giuseppina Grimaldi
I
l 3 e 4 luglio 2012 si è tenuta nella
Sala Conferenze dell’Istituto san
Giovanni di Dio di Genzano la Conferenza Provinciale, presenti i componenti del Definitorio, gli Uffici di Direzione delle Case della Provincia Romana, i Dirigenti del Centro Direzionale e
una rappresentanza delle Comunità Religiose e Scientifiche presenti negli
Ospedali.
La Conferenza Provinciale è un momento molto importante nel cammino
di tutte le persone coinvolte nelle Opere della Provincia religiosa di san Pietro. Prevista dagli Statuti dell’Ordine,
si celebra solitamente a metà del mandato del Governo Provinciale in carica
e a conclusione della Visita Canonica,
quest’ultima effettuata dal superiore
provinciale fra Pietro Cicinelli con la
presenza del direttore generale, fra
Gerardo D’Auria, e del dr Roberti, direttore sanitario centrale, da marzo a
giugno scorso.
che e strategie, che possano essere valide per tutti e che siano coerenti con
l’intera organizzazione. Il significato
della Conferenza e le finalità vanno anche oltre, in quanto rappresenta anche
un momento di verifica sostanziale sul
piano di lavoro quadriennale che si era
data due anni prima. Pertanto, a due anni dalla definizione delle linee guida
per il Governo 2010-2014, la Conferenza 2012 è un momento di verifica e
di bilancio del percorso intrapreso e per
consentire di valutarne le tappe future.
La crisi economica che sta accompagnando la vita lavorativa di tutti noi,
apre degli scenari complessi con i quali bisogna confrontarsi. Le idee e le
strategie messe in campo due anni or
sono, devono fare i conti con un piano
di realtà sicuramente non semplice e
difficile da prevedere per i prossimi
due anni di lavoro.
Quest’anno la Conferenza è iniziata con una relazione del Padre Pro-
vinciale e del Direttore Generale, i
quali hanno aperto i lavori, descrivendo sia i passaggi salienti di questi
anni di attività, sia l’esperienza evidenziata durante la Visita Canonica,
con le problematiche presenti in
ognuna delle Regioni d’Italia nelle
quali sono presenti le nostre strutture
ospedaliere.
A seguire i Direttori Centrali hanno
relazionato sulle attività svolte e quelle previste. Nella seconda giornata sono stati organizzati alcuni gruppi di lavoro intorno a temi centrali nell’organizzazione sanitaria: la formazione e
la sostenibilità delle Opere. Le idee e
le valutazioni di ogni gruppo sono state tante e ricche di contenuti e soluzioni spesso simili, ma essendo
espressione di persone diverse per
esperienza e sensibilità, pongono comunque punti di vista che arricchiscono il confronto.
La necessità di condurre un’oculata
gestione carismatica delle Opere è sicuramente un obiettivo importante da
condividere, unitamente alla conduzione etica per ogni attività svolta da
ogni operatore e a qualsiasi livello di
responsabilità.
Nel corso della Visita Canonica, il Padre Provinciale
ha visitato le Opere, per verificare, a seguito dei vari incontri con tutte le organizzazioni presenti e rappresentate nelle Opere, lo stato delle
attività, i problemi delle persone, le difficoltà e perché
no, anche gli aspetti positivi,
per i quali tutti noi spendiamo quotidianamente le nostre energie.
Pertanto la Conferenza Provinciale rappresenta in questo
contesto il momento conclusivo del percorso descritto, il
punto di arrivo della fruttuosa
raccolta di punti di vista che
devono essere verificati e
concretizzati in azioni, politi-
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I Partecipanti alla Conferenza provinciale
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 12.39 Pagina 19
OSPEDALE SAN PIETRO - ROMA
LA FAMIGLIA OSPEDALIERA
DEL SAN PIETRO E
DELLA PROVINCIA
HANNO FESTEGGIATO
IL LORO PATRONO
Allenor
R
oma e la Provincia Romana dei
Fatebenefratelli hanno festeggiato insieme il loro Patrono, l’apostolo san Pietro. Morì martire sotto l’imperatore Nerone: come dice la tradizione,
crocifisso a testa in giù nel 67 d.C. e
sepolto in Vaticano presso la via Trionfale, dopo aver predicato il vangelo per tutta
la vita. Dai racconti degli evangelisti
abbiamo il ritratto di un uomo deciso, ma
dal carattere controverso, pieno di debo-
capi delle chiese locali. Un’altra tradizione che si è ripetuta per la ricorrenza
del 29 giugno è stato il bacio del piede
della grande statua di bronzo di san Pietro situata nella navata centrale dell’omonima basilica. Per l’occasione la statua viene ricoperta con il “piviale” rosso
(paramento sacro a forma di mantello).
È in questo festoso scenario che anche
la comunità Fatebenefratelli dell’Ospe-
Statua lignea di san Pietro - Ortisei
poveri e i malati, secondo gli insegnamenti di san Giovanni di Dio, mettendo
al centro di ogni attenzione la dignità
della persona”.
Cornice colorata alla festa, è stato
l’allestimento del “mercatino della solidarietà”. Le bancarelle sono state organizzate dalle generose volontarie del
san Pietro, che come ogni anno, si sono
impegnate nella vendita di prodotti di
vario genere, per raccogliere fondi, che
di volta in volta, vengono donati a favore delle Opere dei Fatebenefratelli nel
mondo.
Concelebrazione eucaristica presieduta da mons. Pintor
lezze e forse proprio per questo così
umano, così vicino a noi. Gesù l’ha costituito Capo della Chiesa universale, chiamandolo Pietro, proprio per distinguere la
sua particolare missione, quella di essere
“pietra” su cui fondare la sua Chiesa.
Nel corso di questa importante giornata si sono svolte speciali celebrazioni
nelle chiese cittadine, non si è lavorato,
e i negozi sono restati chiusi. Nella basilica di san Pietro, il Papa ha imposto il
Pallio (una sorta di sciarpa bianca) ad
alcuni vescovi metropoliti simboleggiando così l’unione del supremo Pastore della Chiesa universale con i più alti
dale san Pietro ha celebrato la sua festa.
I festeggiamenti, iniziati con la benedizione, nella chiesa dell’ospedale, di una
statua lignea raffigurante san Pietro,
sono proseguiti con la tradizionale
messa officiata da S.E. Rev.ma mons.
Sergio Pintor, vescovo della diocesi di
Ozieri (Sassari), e aggregato all’Ordine.
Durante l’omelia, alla quale hanno
partecipato, oltre ai dipendenti, i famigliari e gli amici della Provincia Romana dei Fatebenefratelli, alcuni parroci e
sacerdoti della zona; mons. Pintor, ha
sottolineato “l’impegno della Chiesa e
dell’Ordine dei Fatebenefratelli verso i
La giornata si è conclusa con un ricco
e vivace rinfresco, durante il quale tutta
la “grande famiglia” dei Fatebenefratelli si è stretta nell’augurare al superiore
provinciale, fra Pietro dr. Cicinelli, alla
Provincia Romana dei Fatebenefratelli e
alla Famiglia ospedaliera del san Pietro,
di proseguire nelle opere di amore e di
pace, e come diceva Maria Teresa di
Calcutta...”di essere una piccola matita
nella mani di Dio”.
Da sinistra: fra Pietro, mons. Pintor e fra Pierre del Senegal
19
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OSPEDALE SACRO CUORE DI GESÙ - BENEVENTO
BUONA SANITÀ
AL FATEBENEFRATELLI DI BENEVENTO
Fra Angelico Bellino o.h.
H
o ricevuto dal dott. Luigi Meccariello di Moiano, a nome suo
e dei fratelli, una lettera per
ringraziare gli operatori e i religiosi/e
dell’Ospedale per le cure prestate alla
madre trapiantata di rene. Ecco il testo
della lettera:
“Gentile direttore,
la vogliamo ringraziare anticipatamente per aver dato spazio nella rivista
dei Fatebenefratelli, Vita Ospedaliera,
a queste righe che vogliono raccontare
un episodio di ‘Buona Sanità’. Purtroppo, molto spesso, alla ribalta della cronaca, i lettori vengono a conoscenza
solo degli aspetti negativi o degli scandali di una Sanità che appare sofferente. A scriverle sono i figli di una
paziente che è riuscita, grazie alla
‘buona sanità’ presente sul nostro territorio, a vincere la sua battaglia tra la
vita e la morte. Nostra madre, dopo
anni di dialisi, dal 2004 vive grazie a
un trapianto di rene.
Luigi Meccariello
Nonostante molti possano credere
che il trapianto di rene sia una cura, la
letteratura scientifica è concorde nel
definirla una terapia in quanto tutti i
pazienti trapiantati sono costretti ad
assumere farmaci immunosoppressori
(farmaci che abbassano le difese
immunitarie dell’individuo ndr) meglio
20
conosciuti come farmaci antirigetto,
indispensabili affinché l’organismo
non distrugga il dono del trapianto. In
questi otto anni nostra madre ha continuato a svolgere la sua professione di
insegnante alle scuole elementari
vivendo a contatto con i bambini e condividendo con loro, oltre alle gioie e
alle soddisfazioni dell’insegnamento,
le malattie stagionali a cui sono soliti
andar incontro i bambini, che purtroppo, insieme agli anziani, rientrano nella
fascia di età che va più spesso soggetta
ad ammalarsi.
Durante gli anni, benché tutti questi
mali abbiano debilitato sempre più
nostra madre, lei era riuscita sempre a
superarli fino all’8 giugno, giorno in cui
è andata incontro a una delle più terribili complicanze in cui possono incappare gli immunodepressi: lo Shock Septico. La fortuna ha voluto che nostra
sorella si è accorta subito del decadimento fisico di nostra madre e ha allertato la dottoressa Vincenza Papa, nostra
vicina di casa, la quale avendone constatato lo stato precario di salute ha disposto le prime cure e ha allertato il 118
che l’ha trasportata presso la Rianimazione dell’Ospedale Fatebenefratelli di
Benevento diretta dalla dott.ssa Maria
Cusano.
Noi altri tre figli, che svolgiamo la
professione medica al Centro Nord,
avvertiti dell’accaduto ci
siamo precipitati a Benevento e una volta in ospedale, nonostante le condizioni
criticissime di nostra
madre, abbiamo potuto
apprezzare la professionalità del personale sanitario e
soprattutto la chiarezza e la
franchezza nell’esporre le
informazioni cliniche. Benché mamma abbia risposto
da subito ai farmaci e agli
antibiotici somministrati, i primi tre
giorni sono stati terribili. Ci sentiamo di
dire grazie ai religiosi che hanno confortato e alleviato le nostre sofferenze.
Nel corso dei giorni abbiamo potuto
apprezzare la professionalità dei sanitari che curavano nostra madre e soprattutto l’abilità nel coordinarsi con altri
centri come quello di Pisa per la salvaguardia del rene trapiantato. Un grazie
va alla dottoressa Pasqualina Iuliano
responsabile dell’Ambulatorio per i trapiantati di rene presso l’Asl Bn1 che ha
coordinato in modo celere e opportuno i
collegamenti tra la Rianimazione e Pisa.
A quasi un mese dall’evento nostra
madre sta migliorando a piccoli passi.
Non possiamo ancora scrivere il lieto
fine di questa favola, sempre se il direttore della Rivista ci richiederà di farlo,
ma possiamo affermare che le professionalità e la buona sanità esiste sul
nostro territorio in quanto vi sono persone e strutture che interagendo tra di
loro e coordinandosi danno risultati più
che ottimi nella cura del paziente. Un
particolare ringraziamento va alla
struttura del Fatebenefratelli che sta
dimostrando con i fatti che val di più di
diventare un ‘museo’ (citazione di un
politico campano)”.
Grazie per aver letto questa favola di
Buona Sanità.
I Figli
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 14.42 Pagina 21
ISTITUTO SAN GIOVANNI DI DIO - GENZANO
PELLEGRINAGGIO ALLA
MADONNINA DI CIVITAVECCHIA
Barbetta Arnalda
I
l 12 maggio scorso, il gruppo della
Pastorale dell’Istituto san Giovanni di Dio di Genzano, ha organizzato un pellegrinaggio alla Madonnina
di Civitavecchia, nota per il miracolo
della lacrimazione ematica avvenuta
dal 2 febbraio al 15 marzo del 1995.
Una piccola statua raffigurante la
Madonna proveniente da Medjugorje e
situata nel giardino di casa della famiglia Gregori, avrebbe per 14 volte prodotto lacrime di sangue. Dal 12 giugno
1995 la statuetta, custodita in una teca
nella locale parrocchia di sant’Agostino,
è esposta alla venerazione dei fedeli.
La Chiesa cattolica non si è ancora
pronunciata ufficialmente sulle lacrimazioni.
Il nostro presidente, fra Enrico,
coadiuvato dal responsabile degli
educatori professionali, il sig. Francesco Quadrano, si sono molto impegnati, prima facendo un sopralluogo
sul posto e poi facendo tutto quel
lavoro burocratico necessario in questi casi. Bisognava individuare gli
ospiti aventi quei requisiti necessari
per affrontare tale gita, che aveva
come obiettivo, sì, un incontro di pre-
Partecipanti al pellegrinaggio
ghiera, ma anche uno scopo ricreativo
per tutti i partecipanti.
Il giorno della partenza, nei sguardi
di tutti, si poteva leggere una grande
gioia, noi accompagnatori se pur caricati di una certa responsabilità, eravamo contenti di partecipare a tale evento, consapevoli di contribuire, se pure
moderatamente, alla crescita individuale di ogni ospite.
Durante il breve viaggio, gli ospiti
erano molto incuriositi da tutto ciò che
li circondava, avendo sviluppato un
notevole spirito di osservazione.
Hanno partecipato con devozione alla
recita del rosario.
Arrivati alla piccola chiesa, dopo
una breve pausa al bar, abbiamo assistito alla celebrazione della Messa;
tutti hanno partecipato con fede cantando e pregando. È stato molto emozionante vedere le guance della piccola Madonna ancora con i segni
delle avvenute lacrimazioni!!! In
silenzio tutti abbiamo pregato e
abbiamo affidato alla Madonnina le
nostre suppliche.
tutti è stato molto forte e ci ha portato a
riflettere sul vero significato teologico.
La lacrimazione della Madonna, è
un invito alla conversione, alla Penitenza e un richiamo per i gravi disordini morali esistenti nel mondo.
La Madonna, ancora una volta, si
manifesta umanità, per donarci il suo
grande amore e la certezza della sua
vicinanza durante il cammino della
nostra vita, rendendoci cosi più forti e
capaci di affrontare tutte le difficoltà che
incontriamo nella nostra quotidianità.
Ci siamo allontanati da quel luogo
Santo, anche se il tempo minacciava
pioggia, con la pace nel cuore. Dopo
aver alimentato lo Spirito, ci siamo
recati al vicino ristorante dove abbiamo alimentato il corpo con un succulento pranzetto.
Prima di ritornare a casa, abbiamo
fatto una breve passeggiata al mare
dove, per la gioia di tutti gli ospiti,
abbiamo gustato il gelato.
È stata una bellissima esperienza che
ci ha portato ancora una volta a dare il
giusto valore ai nostri ospiti che pur
avendo dei limiti, possono, con la loro
semplicità, aiutarci ad apprezzare di
più ciò che il Signore ci dona ogni
giorno!!!
Grazie a tutti.
Il messaggio che abbiamo recepito
Ospiti dell’Istituto
21
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 11.24 Pagina 22
O S P E D A L E B U C C H E R I L A F E R L A - PA L E R M O
IL NUOVO LOOK
DELL’OSPEDALE
è stato allestito un ambulatorio di ecocardiografia destinato esclusivamente
ai pazienti ricoverati. Inoltre sono presenti vari locali con diverse destinazioni: spogliatoi, medicheria, stanza medici, cucinetta, ecc.
Cettina Sorrenti
P
er offrire un servizio sempre più
qualificato, un’assistenza sempre più umanizzata e un confort
alberghiero che migliori la permanenza
del paziente durante il ricovero, all’interno dell’Ospedale sono stati effettuati e completati i lavori di ristrutturazione effettuati nel reparto “san Luigi”.
Il complesso al pian terreno, in una
superficie all’incirca di mille metri
quadrati, oltre a diverse sale d’attesa
per i pazienti e i loro familiari, ospita il
day surgery con due sale operatorie
dedicate, attrezzate con le più moderne
apparecchiature e 4 stanze di degenza
con dodici posti letto. Le stanze risultano molto confortevoli, modernamente
arredate, corredate di tv e dotate di servizi igienici.
Un’altra area è destinata ad alcuni
servizi ambulatoriali: l’endoscopia,
dotata di due sale endoscopiche con
annessi gli ambienti logistici, di un
posto letto risveglio, di un’accettazione, di servizi igienici e spogliatoi dedicati ai pazienti. Inoltre sono presenti,
l’ambulatorio di oculistica e neurologia
con due sale per le visite e gli esami
strumentali e l’ambulatorio di otorinolaringoiatria con una sala visita.
Al primo piano, in una superficie di
circa mille metri quadrati, si trovano le
Unità Operative di Cardiologia e
UTIC. I pazienti o le loro famiglie
hanno la possibilità di sostare in belle
sale d’attesa. Si tratta di un moderno
reparto, con dodici ampie e luminose
stanze di degenza a due posti letto, con
servizi igienici, arredo moderno e tv. È
presente anche una stanza di isolamento a un solo posto letto. Una delle stanze ospita pazienti che effettuano la
riabilitazione cardiologica. Nel reparto,
Attigua al reparto, si trova l’Unità
Operativa di UTIC con quattro sale di
degenza, al centro la postazione di
monitoraggio dei posti letto e nove
posti letto attrezzati, oltre che a vari
locali.
“L’essere riusciti a rimodernare questa parte dell’Ospedale – spiega fra
Luigi Gagliardotto, superiore dell’Ospedale – è un grande momento di
gioia e premia i tanti sforzi che stanno
dietro la realizzazione di ogni opera di
ammodernamento. Sapere che tutto ciò
andrà a vantaggio dei pazienti ci fa
essere sempre più vicini allo Spirito e
al Carisma del nostro fondatore, san
Giovanni di Dio, che già oltre cinquecento anni fa si batteva per dare un
letto ai malati e toglierli dalla strada
durante la malattia”.
ASSEGNATO IL PREMIO LIOLÀ A FRA LUIGI
O
rganizzata dall’Associazione
socio – culturale Primosole,
martedì 31 luglio 2012, presso
l’Hotel Astoria Palace di Palermo, si è
svolta la dodicesima edizione del Premio Nazionale Liolà, un programma in
omaggio al grande drammaturgo siciliano Luigi Pirandello. Se vi è un linguaggio universale è certamente quello
rappresentato dalle Arti Teatrali. La
poesia di Omero, il dramma del dubbio
che nell’Amleto di Shakespeare spezza
e corrode l’azione, l’ironia corrosiva
della quale Molière si avvale per far
giustizia di certi aspetti del gusto del
suo secolo e di talune deformazioni del
carattere dei suoi contemporanei, il
mondo delle velleitarie ribellioni e del
dramma del Faust di Goethe, la malinconia, quasi presaga della immatura
22
fine di Garcia Lorca, per giungere a noi
col “Così è se vi pare”, l’“Enrico IV”,
“La vita che ti Chiedi”, del nostro grande conterraneo Luigi Pirandello, non
avrebbero potuto rimanere immortali
nel tempo se non fosse esistito il Teatro, espressione vera dell’anima. Non
vi è dono più grande di quello dell’anima, che arricchisce il donatore e chi
riceve.
Diverse personalità nel corso della
serata hanno ricevuto l’ambito riconoscimento. Attori di teatro, cantanti lirici e di musica leggera, gruppi musicali,
giornalisti, letterati, volontari e attivisti
di associazioni umanitarie e benefiche,
si sono avvicendate sul palco. Tra i premiati c’è stato il superiore dell’Ospedale, fra Luigi Gagliardotto per l’impe-
gno profuso non solo nell’assistenza
degli ammalati ma anche per l’accoglienza del Centro “Beato Olallo” a cui
si rivolgono i più bisognosi.
· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 14.42 Pagina 23
MISSIONI FILIPPINE
NEWSLETTER
ANCHE LE ELEMENTARI
ai quali sono iscritti in tutto 36 persone.
Con l’inizio del nuovo anno scolastico ha preso il via ad Amadeo anche una
Scuola Elementare per Disabili. Finora
avevamo solo la Scuola per l’Infanzia
Disabile, frequentata quest’anno da 10
bambini, ma al renderci conto che nelle
Scuole Elementari della zona i nostri
alunni non incontravano poi maestri in
grado di seguirli, s’è deciso di farcene
carico noi e quest’anno abbiamo perciò
14 alunni disabili di prima Elementare,
divisi in due classi. Altri 29 ragazzi frequentano i corsi di Riabilitazione e, in
più, ce ne sono altri 11 che vivono nell’Orfanotrofio che le Suore di Madre
Teresa hanno a Trece Martires e che
sono addestrati in loco da due nostri
istruttori, che si alternano ad andare
ogni giorno da loro.
Tanto ad Amadeo quanto a Manila,
operiamo in settori disperatamente trascurati, sicché abbiamo tantissimi in
lista d’attesa per l’iscrizione, però ci
conforta sapere che l’AFMAL si sta
mobilitando per permetterci d’ampliare
le strutture, ormai giunte a saturazione,
e permetterci così d’accogliere un
maggior numero di disabili.
A Manila nella Scuola che era nata
solo per l’Infanzia Audiolesa, ci sono
tuttora 11 bambini audiolesi, ma in più
ci sono altri 8 bambini con differenti
tipi di disabilità. Inoltre, abbiamo ora
tre Servizi per la Riabilitazione di
ragazzi e adolescenti, dedicati rispettivamente uno alla Terapia del Linguaggio, uno alla Terapia Occupazionale ed
uno all’Addestramento Professionale,
VOLONTARI DI MADRID
Amadeo: il quadro della Madonna della Lampada
Ignacio Sanchez Mendez e Carmen
Maria Muñoz Garcia, due giovani che
si prodigano come volontari nell’Istituto San José che abbiamo a Carabanchel
(Madrid), hanno deciso d’offrire due
mesi del loro tempo per raccogliere
foto e video con cui documentare in
maniera diretta ed avvincente l’attività
che i Fatebenefratelli svolgono attualmente in alcune nazioni dell’Asia.
Hanno iniziato il giro dall’India e son
passati poi per la Corea, la Cina ed il
Vietnam, avendo come ultima tappa le
Filippine, dove si sono trattenuti dal 18
giugno al 2 luglio, ospiti delle nostre
Comunità di Manila e di Amadeo. In
calce alla foto qui in basso e che li
Questo il blog dei due volontari spagnoli: www.queeslomasbonitoquehanhechoporti.wordpress.com
ritrae nella nostra cappella di Manila la
sera del 29 giugno dopo la cerimonia
d’accettazione di un prepostulante, è
trascritto l’indirizzo del loro blog, nel
quale c’è un discreto campionario della
documentazione del loro viaggio.
VENT’ANNI DOPO
Avendo volutamente scelto il giorno
in cui ricorreva la celebrazione liturgica della Madonna della Lampada, il 9
luglio 1992 il Nunzio Pontificio, che
era allora l’arcivescovo Gian Vincenzo
Moreni, benedì ad Amadeo l’edificio
destinato a ospitare il Noviziato per le
Filippine. Per dovutamente ricordare il
ventennale di quella tappa importante
della nostra presenza in questo lembo
d’Asia, è stato programmato dalle due
Comunità della Delegazione Provinciale di riunirsi nella Chiesa del Noviziato per partecipare ad una Messa
celebrata dall’ausiliare emerito di
Manila, mons. Teodoro J. Buhain, e
fargli benedire un dipinto dell’artista
filippino Eladio S. Santos, riproducente l’antico affresco tiberino della
Madonna della Lampada.
Il quadro è stato collocato nella
parete d’ingresso, in modo che i fedeli escano di Chiesa sotto lo sguardo
materno della Madonna, affinché sia
lampada nell’itinerario della loro
giornata.
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· VO n 9 settembre 2012 COPIA pg spostate_giugno 2012 03/09/12 11.24 Pagina 24
I FATEBENEFRATELLI
ITALIANI NEL MONDO
I Fatebenefratelli d'ogni lingua sono oggi presenti in 52 nazioni con circa 290 opere.
I Religiosi italiani realizzano il loro apostolato nei seguenti centri:
CURIA GENERALIZIA
www.ohsjd.org
• ROMA
Centro Internazionale Fatebenefratelli
Curia Generale
Via della Nocetta 263 - Cap 00164
Tel 06.6604981 - Fax 06.6637102
E-mail: [email protected]
Ospedale San Giovanni Calibita
Isola Tiberina 39 - Cap 00186
Tel 06.68371 - Fax 06.6834001
E-mail: [email protected]
Sede della Scuola Infermieri
Professionali “Fatebenefratelli”
Fondazione Internazionale Fatebenefratelli
Via della Luce 15 - Cap 00153
Tel 06.5818895 - Fax 06.5818308
E-mail: [email protected]
Ufficio Stampa Fatebenefratelli
Lungotevere dÈ Cenci 4 - Cap 00186
Tel 06.68219695 - Fax 06.68309492
E-mail: [email protected]
• CITTÀ DEL VATICANO
Farmacia Vaticana
Cap 00120
Tel 06.69883422
Fax 06.69885361
• PALERMO
Ospedale Buccheri-La Ferla
Via M. Marine 197 - Cap 90123
Tel 091.479111 - Fax 091.477625
www.ospedalebuccherilaferla.it
• ALGHERO (SS)
Soggiorno San Raffaele
Via Asfodelo 55/b - Cap 07041
MISSIONI
• FILIPPINE
San Juan de Dios Charity Polyclinic
1126 R. Hidalgo Street - Quiapo 1001 Manila
Tel 0063.2.7362935 - Fax 0063.2.7339918
E-mail: [email protected]
http://ohpinoy.wix.com/phils
Sede dello Scolasticato e Postulantato
della Delegazione Provinciale Filippina
San Ricardo Pampuri Center
26 Bo. Salaban
Amadeo 4119 Cavite
Tel 0063.46.4835191 - Fax 0063.4131737
E-mail: [email protected]
http://bahaysanrafael.weebly.com
Sede del Noviziato della Delegazione
PROVINCIA ROMANA
PROVINCIA LOMBARDO-VENETA
www.provinciaromanafbf.it
www.fatebenefratelli.it
• ROMA
Curia Provinciale
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33553570 - Fax 06.33269794
E-mail: [email protected]
Centro Studi e Scuola Infermieri Professionali “San Giovanni di Dio”
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33553535 - Fax 06.33553536
E-mail: [email protected]
Sede dello Scolasticato della Provincia
Centro Direzionale
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.3355906 - Fax 06.33253520
Ospedale San Pietro
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33581 - Fax 06.33251424
www.ospedalesanpietro.it
• GENZANO DI ROMA
Istituto San Giovanni di Dio
Via Fatebenefratelli 3 - Cap 00045
Tel 06.937381 - Fax 06.9390052
www.istitutosangiovannididio.it
E-mail: [email protected]
Sede del Noviziato Interprovinciale
• PERUGIA
Centro San Niccolò
Porta Eburnea
Piazza San Giovanni di Dio 4 - Cap 06121
Tel e Fax 075.5729618
• NAPOLI
Ospedale Madonna del Buon Consiglio
Via A. Manzoni 220 - Cap 80123
Tel 081.5981111 - Fax 081.5757643
www.ospedalebuonconsiglio.it
• BENEVENTO
Ospedale Sacro Cuore di Gesù
Viale Principe di Napoli 14/a - Cap 82100
Tel 0824.771111 - Fax 0824.47935
www.ospedalesacrocuore.it
• BRESCIA
Centro San Giovanni di Dio
Via Pilastroni 4 - Cap 25125
Tel 030.35011 - Fax 030.348255
[email protected]
Sede del Centro Pastorale Provinciale
Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico San Giovanni di Dio
Via Pilastroni 4 - Cap 25125
Tel 030.3533511 - Fax 030.3533513
E-mail: [email protected]
Asilo Notturno San Riccardo Pampuri
Fatebenefratelli onlus
Via Corsica 341 - Cap 25123
Tel 030.3501436 - Fax 030.3530386
E-mail: [email protected]
• CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MI)
Curia Provinciale
Via Cavour 2 - Cap 20063
Tel 02.92761 - Fax 02.9241285
Sede del Centro Studi e Formazione
Sede Legale
Milano: Via San Vittore 12 - Cap 20123
e-mail: [email protected]
Centro SantʼAmbrogio
Via Cavour 22 - Cap 20063
Tel 02.924161 - Fax 02.92416332
E-mail:a [email protected]
• MONGUZZO (CO)
Centro Studi Fatebenefratelli
Cap 22046
Tel 031.650118 - Fax 031.617948
E-mail: [email protected]
• ROMANO DʼEZZELINO (VI)
Casa di Riposo San Pio X
Via Cà Cornaro 5 - Cap 36060
Tel 042.433705 - Fax 042.4512153
E-mail: [email protected]
• SAN COLOMBANO AL LAMBRO (MI)
Centro Sacro Cuore di Gesù
Viale San Giovanni di Dio 54 - Cap 20078
Tel 037.12071 - Fax 037.1897384
E-mail: [email protected]
• SAN MAURIZIO CANAVESE (TO)
Beata Vergine della Consolata
Via Fatebenetratelli 70 - Cap 10077
Tel 011.9263811 - Fax 011.9278175
E-mail: [email protected]
Comunità di accoglienza vocazionale
• SOLBIATE (CO)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Carlo Borromeo
Via Como 2 - Cap 22070
Tel 031.802211 - Fax 031.800434
E-mail: [email protected]
Sede dello Scolasticato
• TRIVOLZIO (PV)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Riccardo Pampuri
Via Sesia 23 - Cap 27020
Tel 038.293671 - Fax 038.2920088
E-mail: [email protected]
• VARAZZE (SV)
Casa Religiosa di Ospitalità
Beata Vergine della Guardia
Largo Fatebenefratelli - Cap 17019
Tel 019.93511 - Fax 019.98735
E-mail: [email protected]
• VENEZIA
Ospedale San Raffaele Arcangelo
Madonna dellʼOrto 3458 - Cap 30121
Tel 041.783111 - Fax 041.718063
E-mail: [email protected]
Sede del Postulantato e dello Scolasticato
della Provincia
• CROAZIA
Bolnica Sv. Rafael
Milosrdna Braca Sv. Ivana od Boga
Sumetlica 87 - 35404 Cernik
E-mail: [email protected]
MISSIONI
• ERBA (CO)
Ospedale Sacra Famiglia
Via Fatebenefratelli 20 - Cap 22036
Tel 031.638111 - Fax 031.640316
E-mail: [email protected]
• ISRAELE - Holy Family Hospital
P.O. Box 8 - 16100 Nazareth
Tel 00972.4.6508900 - Fax 00972.4.6576101
• GORIZIA
Casa di Riposo Villa San Giusto
Corso Italia 244 - Cap 34170
Tel 0481.596911 - Fax 0481.596988
E-mail: [email protected]
• TOGO - Hôpital Saint Jean de Dieu
Afagnan - B.P. 1170 - Lomé
Altri Fatebenefratelli italiani sono presenti in:
• BENIN - Hôpital Saint Jean de Dieu
Tanguiéta - B.P. 7