EXPO NUTRIRE IL PIANETA 2B 3B

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EXPO NUTRIRE IL PIANETA 2B 3B
EXPO 2015
Nutrire il pianeta
Scuola Media Statale di Busnago – MB
A.S. 2014-15
classi 2^B - 3^ B
Non si può ritenere il pane un soggetto di per sé interessante dal
punto di vista pittorico, sia perché non ha una forma caratteristica
- essendoci centinaia di tipi di pane legati alle diverse aree
geografiche -, sia perché, per essere riconoscibile nel momento in
cui viene tradotto in immagine, obbliga l’artista a una ristretta
gamma cromatica. Ma, nonostante la semplicità estrema di
questo alimento, non c’è nulla che abbia altrettanta forza
simbolica, e la sua presenza nella storia della pittura occidentale è
così capillare che è ben difficile scegliere gli esempi attraverso i
quali cercare di definire l’evoluzione nei secoli di questo soggetto.
Per gli Egizi il pane oltre a rappresentare fonte
per la loro alimentazione era anche base della
loro vita.
Possedere “un gran numero di pani”
significava avere ricchezza. Il salario era
costituito da un numero variabile di pani. Al
contadino medio ne toccavano ogni giorno tre,
accompagnati da due brocche di birra. Il Gran
sacerdote del tempio riceveva ogni anno 900
pani di frumento fine, 36000 stiacciate cotte sui
carboni e 360 brocche di birra.
Il faraone era il signore del grano, che ad ogni
raccolto gli doveva essere versato per essere
poi distribuito ai funzionari salariati, e usato per
il mantenimento della casa reale.
Il raccolto del grano dipendeva dal
comportamento del gran grande fiume Nilo.
Il raccolto del grano. Pittura tombale dell’antico Egitto
L’alimentazione degli egiziani dipendeva
dalla classe sociale di appartenenza, ma
tutti avevano pane, birra e vino.
Le panetterie egizie: alcune fasi della cottura del pane.
Il pane veniva prodotto in una vasta gamma di tipi e formati: la lingua egiziana usava almeno
15 termini per indicare i vari generi di pane. Poteva essere fatto con farina d’orzo, frumento o
farro, avere forma rotonda, quadrata, triangolare o a mezzaluna, e qualche volta essere
arricchito con sostanze dolcificanti quali sciroppo di datteri e miele, in modo da dar luogo a
qualcosa di più simile ai nostri biscotti.
La farina, che veniva triturata con
piccole macine di pietra manovrate
a mano (…), era impastata con
acqua e cotta in forni di forma
conica.
Le pitture tombali ci offrono
un esempio dell’uso e della
rilevanza di cui il pane
godeva in quella terra.
Dalle pitture infatti, è
possibile ricavare addirittura
le tecniche di panetteria, che
col tempo, inevitabilmente, si
perfezionarono.
Raccolta del grano. Tomba di Sennedjem
Dall’Egitto l’arte della fabbricazione del pane passò in Grecia. I greci, pur dovendo importare cereali
e quindi il frumento, divennero ottimi panificatori. Per secoli furono le donne a cucinare il pane: sotto
la cenere, sulla brace, tra due ferri, sotto una campana di terracotta. Solo verso l’epoca di Pericle,
furono gli uomini a occuparsi della preparazione del pane. Probabilmente i fornai greci erano riuniti
in corporazioni. Furono loro a escogitare il lavoro notturno. Il dio della panificazione era Pan. Nelle
processioni a lui dedicate le donne “indiavolate”, che erano le sue sacerdotesse, portavano grandi
forme di pane come offerta votiva.
Dono sacrificale di pane ad una divinità – ceramica greca
I greci avevano 72 tipi di pane diversi,
tra cui il daraton (pane senza lievito), il
phaios (pane scuro),il semidelites,
fatto con fior di grano, il caibanites,
composto da varie farine. Si poteva
trovare anche il pane con le olive, con
l’uva passa e fichi secchi. Il pane
veniva cotto sotto la cenere e avvolto
in foglie di fico.
Presso i Romani, in età imperiale, il pane veniva cotto e
venduto in locali pubblici: sono le prime panetterie.
Una volta caduto l’impero si tornò alla produzione e
cottura nelle case, e solo quando nelle città tornò a
svilupparsi l’attività economica, riapparvero i fornai come
artigiani indipendenti.
Basta un dato per capire quanto fosse importante
e apprezzato il pane a Roma: nelle case dei nobili
non mancava mai lo schiavo panettiere che
preparava il pane con l’uso delle ceneri, o sulla
griglia, oppure servendosi di un forno a mattoni.
Con Augusto - siamo intorno all’anno 30 a.C. - a
Roma si contano 329 panetterie!
ROMA
Nella fertile terra del Lazio, scoperta dagli antichi Latini, si coltivavano l’orzo, il
miglio, la spelta, forse la segale, certo il farro.
Per i romani il farro, dalla cui radice far è derivato il vocabolo farina, non
serviva soltanto come nutrimento, ma faceva anche parte del culto e delle
cerimonie religiose. Sull’animale che veniva sacrificato a Giove nell’antichità si
spargeva farina di farro miscelata con sale. In un primo tempo i Romani si
accontentarono di consumare i chicchi abbrustoliti, o anche lessati e magari
ridotti in poltiglia, ottenendo così la puls (polenta) da consumare condita con
olio e arricchita di verdure.
Con la conquista della Grecia i Romani impararono ad apprezzare il pane di
frumento e divennero abili fornai.
Durante il regno di Augusto, le principali farine usate per la panificazione erano
due. La prima ricavata dal frumento siligo era adoperata per preparare il pane
di lusso, bianco e saporitissimo. La seconda farina, probabilmente derivata da
una specie di Triticum, il cui fiore era detto pallens, serviva per il pane
secondarius.
C’erano altri tipi di pane, per i contadini (panis testuarius, cotto in recipienti di
terracotta), per la casa imperiale (panis palatinus), per gli spettatori dei giochi
circensi (panis gradilis) distribuito gratuitamente. Il più raffinato dei pani era
comunque l’ostearius che si mangiava con le ostriche.
ROMA
Sappiamo che in epoca arcaica il pane non era usato
nel Lazio, e che era invece sostituito da ma polentine
di farro, orzo, miglio, e solo in seguito da frumento.
Questa polenta era chiamata puls e fu alla base
dell’alimentazione dei latini per tutta l’epoca antica.
Solo in un secondo tempo si impose l’uso del pane
azzimo.
In età imperiale esistevano diversissimi tipi di pane:
c’era il pane dei poveri, chiamato cibarius, e quello nero
(ater) e un po’ indigesto per l’abbondante presenza di
crusca; c’era poi il pane bianco (candidus) e tenero dei
ricchi; e ancora quello condito con burro tipico del Nord
Italia e della Gallia o quello dolce, il buccellatum, simile
a un biscotto. I contadini e gli operai, e chiunque
svolgesse lavori pesanti, usava pagnotte arricchite con
formaggio e miele
ARTE PALEOCRISTIANA
Ravenna, S. Appollinare Nuovo, VI secolo
Pesce e pane eucaristico, particolare. Inizio III secolo.
Catacombe di San Callisto, Roma.
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Cristo benedice i pani – mosaico - S. Appollinare Nuovo, Ravenna
ARTE PALEOCRISTIANA
Pompei
stampo di pane eucaristico del IV secolo con
la figura di un cervo
Il pane offerto dalla vedova
Roma, Cappella di S. Monica nel Collegio
Internazionale dei Padri Agostiniani
1000-1300
Le prime testimonianze sulla creazione di una comunità di
panettieri risale alla seconda metà del 1000 e nel corso dello
stesso secolo le corporazioni dei panettieri iniziano a
diffondersi nelle principali città; occorrerà attendere il XV°
secolo per vedere i panettieri organizzati in mestiere.
Nel 1200 i mugnai ed i panettieri vengono esentati dal servizio
militare a riprova dell’importanza assunta dal loro mestiere.
I panettieri, diventati abbastanza numerosi nelle città, a
somiglianza degli altri mestieri, provvedono ad organizzarsi ed
a regolamentare la loro attività. Per le autorità feudali o
municipali, questa organizzazione veniva giudicata
indispensabile, in quanto essa costituiva un mezzo di controllo
sul rifornimento alimentare della popolazione ed una fonte di
entrate fiscali.
Gli statuti di questa corporazione, apparsi dalla fine del 1300,
ma più spesso nel corso del 1300 e del 1400, definiscono le
regole della professione e ci forniscono
preziose informazioni sull’organizzazione dei panettieri
medievali e sul percorso professionale di tale attività.
Stemma dell’arte dei fornai - Firenze, Musei di S. Marco
A partire dall’XI°-XII° secolo lo sviluppo urbano contribuisce a fare della fabbricazione e
della cottura del pane una vera e propria attività autonoma, riservata a degli artigiani
specializzati, ovvero i panettieri. Organizzati in corporazioni e sottoposti, come le altre
attività, ad una precisa regolamentazione, i panettieri lavoravano la farina, dalla sua
uscita dal mulino fino alla sua vendita sotto forma di pane.
L’”Ultima cena”, uno degli episodi più
importanti della vicenda di Cristo, si
riferisce alla cena con cui Gesù celebrò
la Pasqua ebraica con gli apostoli prima
di morire, ed è riportato nei vangeli di
Matteo, Marco, Luca senza, tuttavia,
una descrizione precisa dell’ambiente e
degli alimenti, al di fuori del pane e del
vino. Questo ha dato modo agli artisti di
tutte le epoche di esercitare
liberamente la fantasia sulla
ricostruzione visiva dell’episodio, che
ha migliaia di versioni pittoriche.
Ultima cena – Padova, Cappella Scrovegni
Il fornaio,
attribuito alla scuola di Giotto
Padova, Palazzo della Ragione
1400
La «Sala del Pane»
Castello di Bentivoglio (Bo)
Il Castello, denominato "Domus
Jocunditatis", fu voluto da Giovanni II
Bentivoglio (signore di Bologna dal 1463
al 1506), e venne costruito tra il 1475 e
il 1481 attorno alla torre comunale di cui
fu nominato castellano. Il Castello
veniva utilizzato come dimora di
campagna; al suo interno custodisce
varie decorazioni che trattano il tema
della vita nei campi, come un importante
ciclo di affreschi, detto Le storie del
pane, dove vengono illustrate tutte le
fasi della produzione del pane.
1400
Sotto il portico tre fanciulle stanno
confezionando piccoli pani di forma
rotonda.
Un’altra giovane donna, sulla
destra del riquadro, raggiunge le
compagne portando in braccio altra
pasta lievitata pronta per la
lavorazione.
RINASCIMENTO
Durante il Rinascimento si imbandirono
fastosi conviti, resi quasi obbligatori, per
i Signori, dalla necessità di accogliere
ambasciatori e principi, cui far
conoscere la propria importanza, il
proprio potere. In questi banchetti il
pane, soprattutto bianco, non mancava
mai.
A Milano, intorno alla fine del
Quattrocento, un fornaio diede origine
ad una pane speciale conosciuto oggi
in tutto il mondo «il panettone».
1500
La celebre “Fornarina” di Raffaello
(1518), la bellissima donna amata
dall’artista che deve il suo soprannome
al fatto di essere stata la figlia di un
fornaio di Trastevere.
1500
Il “Mangiafagioli” di Annibale Carracci (1583) ci svela quale era il menù quotidiano di un
contadino del Cinquecento, dove il pane è fondamentale come dimostra anche il gesto
protettivo dell’uomo che tiene addirittura la mano posata sulla pagnotta, quasi timoroso di
vedersela portare via
1500
Ultima Cena – Jacopo Bassano, 1542
Il tema del pane segue l’evoluzione
dei tempi e dei linguaggi: un vero
capolavoro è l’”Ultima cena” di
Jacopo Bassano (1542), ora alla
Galleria Borghese, dove,
scomparsa la serenità
quattrocentesca, la scena assume
un’intonazione drammatica, con
una ripresa molto ravvicinata e forti
contrasti cromatici che fanno
risaltare l’inquietudine degli
apostoli, rozzi pescatori scalzi che
siedono scomposti attorno alla
tavola. La luce intensa viene
riflettuta dal bianco della tovaglia e
dà risalto plastico agli oggetti, tra
cui la pagnotta, che non è più una
forma stilizzata, ma è un brano di
realtà, come tutti i particolari della
scena.
1600
Dobbiamo al Caravaggio, e alle sue versioni della “Cena in Emmaus” però, la capacità di
rendere il pane davvero protagonista della tela, con un risalto della mensa che nessuno in
precedenza aveva saputo rendere così suggestivo.
1600
Nel Seicento, in particolare nel Nord
Europa, protestante e dinamico, era
abitudine comune dipingere i mercati, i
prodotti ed il lavoro, indici di ricchezza
Le nature morte del Seicento, fra l’Olanda,
l’Italia e la Spagna, sulla scia di
Caravaggio, hanno dato dignità di soggetto
autonomo al cibo, ai prodotti della terra e
agli oggetti d’uso.
Il pane ricorre costantemente in queste
composizioni, per la sua forma, per il
colore caldo che serve all’equilibrio della
gamma cromatica, per il suo valore
simbolico di cibo per eccellenza.
1600
Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto (1698-1797) nella sua celebre natura morta “Pane, salame e
noci” riesce a inserire non solo il virtuosismo della perfetta imitazione ma anche una componente
sentimentale, “umana”.
1600
Vermeer, La lattaia, 1568-60
Quello che colpisce in Vermeer è
soprattutto l'acuta osservazione
psicologica della realtà quotidiana, senza
enfasi retorica.
La lattaia è infatti colta mentre fa un
gesto quotidiano, eseguito quasi con
sacralità silenziosa.
1600
Baschenis,
Ragazzo con canestra di pane,
1655
1700
De la Porte,
Natura morta con pane e latte,
1787
1800
Dal Seicento all’età
contemporanea il
pane è un
elemento sempre
presente nell’arte,
visto da lontano o
da vicino...
Pensiamo alla
Colazione sull’erba
di E. Manet
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Emilio Longoni, Panettone, 1882
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Paul Cezanne (1839-1906) è il maggiore rappresentante della pittura francese postimpressionista.
1900
Il pane è un elemento che accompagna spesso i
quadri raffiguranti la natura morta, che in questa
opera è decisamente alterata: luce, spazio e colore
procedono separatamente. Picasso applica un
principio di Cézanne: “trattare la natura secondo il
cilindro, la sfera, il cono” ovvero non più imitare la
natura ma analizzarla e scomporla nelle sue forme
elementari.
Pablo Picasso - Pane e fruttiera sul tavolo - 1908-1909
1900
Pablo Picasso,
Natura morta con brocca e pane,
1881
1900
…fu un tema importante anche per il surrealismo, in particolare per Salvador Dalì
Sulla nave che lo portava a New York, Dalì si fece fare una baguette lunga due metri e per
alcune settimane la portò sottobraccio per Manhattan. La sua teoria era che quel pane di
dimensioni abnormi, abbandonato in un luogo pubblico, come una grande piazza, un parco o
una strada, avrebbe dato luogo alle domande della gente, allo stupore, alla riflessione.
1900
Dalì, Cestino di pane, 1926
Nel 1926 Dalì è un pittore realista. Dipinge un cestino di pane. Semplice e quotidiano. Nessuno strappo
alla regola. Si tratta di un evidente omaggio alla tradizione pittorica spagnola, con chiari riferimenti a
Velàsquez (1599-1660) e Zurbaràn (1598-1664). L’intreccio del cesto e le minime protuberanze della crosta
del pane manifestano una minuziosa precisione.
1900
Dal primo periodo ferrarese fino agli anni
‘60 Giorgio de Chirico ha spesso
rappresentato nelle sue enigmatiche
composizioni forme di pane, dolci, biscotti
con le tipiche forme della tradizione
ferrarese, probabilmente con precise
valenze simboliche legate alla propria
memoria affettiva.
Man Ray nel 1958 dipinse un pane di blu, una di quelle lunghe baguettes che si
comprano a Parigi ma che si trovano ovunque. L’artista voleva rendere immangiabile
l’alimento e lo colorò di blu cobalto, perché in natura non c’è niente di quel colore che si
possa mangiare.
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1900
Magritte, La leggenda dorata, 1958
Renè Magritte propone un altro tipo di pane immangiabile: quello dei sogni e del mondo onirico, che
con la sua pittura voleva far affiorare dal subconscio dello spettatore.
1900
Piero Manzoni, Achrome, 1933-63
Inizialmente l’Achrome è una superficie
bianca di gesso o di caolino che non
manifesta alcun significato.
La tela, imbevuta di caolino liquido e di
colla, è lasciata asciugare, affidando la
trasformazione del materiale in opera
d’arte ad un processo che avviene da sé,
autosufficiente.
La conclusione, in ogni caso e in ogni tempo, è che il
pane rappresenta la vita stessa,
la capacità dell’uomo di pensare,
di servirsi della natura,
di soddisfare con intelligenza i propri bisogni.