Breve sintesi delle rocambolesche vicende legate

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Breve sintesi delle rocambolesche vicende legate
Comitato Nazionale per la Valorizzazione dei
Beni Storici Culturali e Ambientali
Breve sintesi delle rocambolesche vicende legate al furto del dipinto
La Gioconda avvenuto nel 1911 e recuperato nel 1913
La Gioconda, Leonardo da Vinci, 1503-1519. Parigi, Musée du Louvre, inventario 779, cm 77x53,
olio su tavola di pioppo. Cornice italiana del XVI secolo dono della contessa De Béarne.
Il dipinto venne portato in Francia da Leonardo nel 1516, anno in cui fu invitato da Francesco I ad
Amboise.
Successivamente il dipinto fu condotto a Versailles per essere esposto e poi, dopo la Rivoluzione
francese, venne trasferito al Louvre. Innamoratosene, Napoleone Bonaparte lo volle mettere nella
sua camera da letto, tuttavia qualche tempo dopo tornò nel museo del Louvre. Durante la guerra
Franco-Prussiana del 1870-1871, La Gioconda fu nascosta in un luogo segreto in Francia. Dal 21
agosto 1911 sino al dicembre del 1913 fu invece rubata da Vincenzo Peruggia, che la tenne prima a
Parigi e poi a Firenze. In seguito alla restituzione del quadro, essendo questa avvenuta anche grazie
all’intervento del governo italiano, si decise di esporre l’opera in alcune delle principali città
italiane: a Firenze, prima agli Uffizi poi a Palazzo Farnese, a Roma, nella Galleria Borghese a
Roma, infine a Milano. Subito dopo, fu restituita alla Francia che la affidò al Louvre, tuttavia, a
causa delle guerre mondiali, venne nuovamente rimossa per essere nascosta e conservata in
sicurezza. Purtroppo, nel 1956, la parte inferiore dell’opera fu gravemente corrosa con dell'acido.
Qualche mese dopo gli fu tirata una pietra.
Presto restaurata, nel 1962 venne affidata agli Stati Uniti per essere esposta a New York e
Washington. In ultimo, nel 1974, si decise per due storiche esposizioni: prima a Tokyo e poi a
Mosca.
La narrazione del furto
Parigi, Museo del Louvre, Salon Carré, lunedì 21 agosto 1911, mattino.
Come ogni lunedì, il museo non è aperto al pubblico ma ci sono comunque 257 persone. Un tale
Monsieur Louis Béroud, incaricato di fare una copia del dipinto, è il primo ad accorgersi della sua
assenza. Dopo vani tentativi, vengono ritrovate solo la cornice ed il vetro di protezione: il dipinto è
stato rubato. La Polizia viene mobilitata, tuttavia si è incapaci di trovare una pista. L’ex segretario
del poeta Guillame Apollinaire, a caccia di fama, confessa di aver rubato una statuetta al Louvre. La
polizia perquisisce l’appartamento del poeta e trova altre due statuette di proprietà del museo.
Apollinaire si difende sostenendo di averle ricevute in dono; siamo nel periodo in cui Marinetti -nel
Manifesto Futurista- invita a distruggere i capolavori dei musei per far spazio al nuovo.
Qualche tempo dopo, ormai pentito, l’ex segretario di Apollinaire confessa e viene arrestato, ma
dell’opera non vi è traccia.
La politica internazionale si interessa alla vicenda e i già tesi rapporti tra Francia e
Germania sfociano in accuse reciproche. L’opinione pubblica francese dà la responsabilità della
Germania. I politici tedeschi sostengono che il governo francese sa dove viene custodita la
Gioconda. Gli interrogatori si moltiplicano senza portare alla soluzione del caso.
Passa del tempo e finalmente, nel dicembre del 1913, l’antiquario Alfredo Geri riceve una lettera in
cui vi è scritto: «Ho la Gioconda, e intendo cederla per 500.000 lire. Vincenzo Leonard.» Il giorno
dopo un giovane porta l’antiquario, accompagnato dal direttore degli Uffizi, in una camera
dell'Albergo Tripoli-Italia. Viene loro consegnata la Gioconda. Alfredo Geri dice di essere disposto
a pagarla entro la mattina seguente, tuttavia porterà solo le manette dei carabinieri.
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L’opere d'arte più celebre del mondo era stata 28 mesi nelle mani del giovane Vincenzo Peruggia,
un italiano emigrato in Francia, e il mondo intero rispose alla risoluzione dell’enigma con grande
delusione: una celebre opera nella mani di un uomo banale che l’aveva trafugata senza generare
nessuna leggenda poetica.
Vincenzo Perugia
Nato a Dumenza sul lago di Como l’8 ottobre 1881, Vincenzo Peruggia si trasferisce in Francia in
cerca di lavoro e ottiene un incarico di decoratore presso il Louvre, luogo dove elabora il furto.
Nell’agosto del 1911 non lavora più per il museo, ma lo conosce bene. La ricostruzione del fatto ci
porta a credere che la sera di domenica 20 Vincenzo è a cena con altri immigrati italiani e fa credere
a tutti di essere ubriaco. Torna nel suo appartamento e si infila a letto. All’alba della mattina
successiva si reca al Louvre, entra utilizzando le impalcature appoggiate alle pareti del palazzo e
preleva la Gioconda, le toglie la cornice ed il vetro protettivo e la nasconde sotto la giacca. Torna a
casa e, il giorno dopo, va lavoro. Contemporaneamente, al Louvre si scopre il furto e, come
sappiamo, la polizia si mobilita.
Fino al dicembre del 1913 il dipinto rimane chiuso in una scatola di cartone sotto il letto del
Peruggia, che per diversi mesi continua a fare il decoratore per non attirare l’attenzione. Nel
dicembre del 1913 porta a termine il piano: prende un treno e passa la dogana al confine con l’Italia,
vuole portare La Gioconda la Firenze.
Il processo
Le dinamiche della vicenda vennero chiarite alla Corte del Tribunale di Firenze nel 1914:
Peruggia cercò la difesa ammettendo di avere un conto in sospeso con la Francia per il razzismo che
aveva dovuto subire. Disse al giudice: «Ho compiuto il furto per motivi patriottici, volevo restituire
all’Italia una parte dei saccheggi di Napoleone».
La forza d’accusa tuttavia palesò al ladruncolo il punto della questione: l’opera era stata venduta
dallo stesso Leonardo al Re di Francia Francesco I, per la considerevole cifra di 4000 scudi d’oro.
Arresosi, l’ex decoratore ammise che la scelta del quadro era dovuta alle sue celebri ridotte
dimensioni.
Vincenzo Peruggia scontò un anno e 15 giorni di galera per il furto del secolo.
Il dipinto
Il dipinto è conservato al Louvre in un contenitore fissato nel cemento e protetto da due lastre di
vetro antiproiettile a tripla lamina, poste a 25 cm l’una dall’altra. Il dipinto raffigurerebbe Lisa
Gherardini, moglie del facoltoso mercante fiorentino Francesco del Giocondo. Diverse ipotesi
tentano di identificare lo sfondo con paesaggi realmente esistenti, come la campagna di Arezzo o
una zona prealpina nei dintorni di Lecco, altre lo considerano immaginario.
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