Pillole di biogas - RiduCaReflui
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BIOGAS SCHEDE DI DIVULGAZIONE PILLOLE DI….BIOGAS IL BIOGAS IN AGRICOLTURA Parte I. Processo e impiantistica IL BIOGAS E LA DIGESTIONE ANAEROBICA Il biogas è il prodotto della digestione anaerobica (di seguito abbreviata con D.A.), un processo di fermentazione microbica della sostanza organica che si svolge in condizioni di anaerobiosi (assenza di ossigeno libero). La digestione anaerobica è un insieme complesso di reazioni, svolte da tre principali gruppi microbici, naturalmente presenti nelle deiezioni e che lavorano in sequenza: idrolitici, acidificanti, metanigeni. Nella prima fase di idrolisi i microorganismi degradano le molecole complesse in molecole più semplici; i batteri acidificanti utilizzano queste molecole semplici per il loro metabolismo, generando come prodotto di scarto acidi grassi volatili; questi ultimi sono impiegati a loro volta dai batteri metanigeni che come prodotto di scarto del loro metabolismo generano metano e anidride carbonica. Figura 1. Le fasi della digestione anaerobica (modificato da AIEL, 2007). 1 TIPOLOGIE DI PROCESSO 1. Classificazione in base al numero di matrici impiegate Si parla di digestione mono-prodotto (o semplicemente digestione) quando al fermentatore viene avviata solo una tipologia di prodotto (ad esempio, solo effluenti zootecnici). Si parla di co-digestione quando si avvia a processo una miscela costituita da più matrici (ad esempio, effluenti e biomasse vegetali). Gli effluenti sono sempre necessari, in quanto forniscono la flora microbica necessaria per il processo fermentativo. Le altre biomasse invece vengono aggiunte per aumentare la resa in biogas. Infatti, gli effluenti hanno un potenziale metanigeno limitato, in quanto sono già il prodotto di una digestione (quella animale). Ciò è più marcato nel caso dei ruminanti, le cui deiezioni sono particolarmente “povere” in sostanza organica, in quanto il risultato di due digestioni. Tabella 1. Il potenziale metanigeno di alcune biomasse impiegate negli impianti di digestione anaerobica (da AIEL, 2007). Matrici Deiezioni animali Residui colturali (paglia, colletti di barbabietole…) Scarti organici dell’agro-industria (siero di latte, lieviti, fanghi di distilleria…) Scarti organici della macellazione FORSU (frazione organica della raccolta differenziata) Colture energetiche (insilati) Potenziale metanigeno (m3 biogas/t SV*) 200-500 350-400 400-800 550-1000 400-600 550-750 * SV = Solidi Volatili o sostanza organica, frazione della sostanza secca 2. Classificazione in base alla temperatura di processo A seconda della temperatura di esercizio si distingue tra: Digestione Psicrofila Mesofila Termofila Temperatura ambiente (10-25 °C) 35-40 °C 50-55 °C I tre regimi termici sono nettamente distinti tra di loro, in quanto si sviluppano ceppi microbici adatti a lavorare a una determinata temperatura. In questo senso, non è possibile passare da un regime termico all’altro, e se la temperatura sfora dal range di lavoro, il processo fermentativo si blocca. All’aumento della temperatura di esercizio, ossia passando dalla digestione psicrofila a quella termofila: - si riduce il tempo di ritenzione, ovvero il tempo necessario per la digestione anaerobica delle matrici introdotte; - aumenta la produzione di biogas a parità di matrici introdotte; - diminuisce la stabilità di processo: i batteri termofili sono molto sensibili alle variazioni ambientali, in particolare agli sbalzi termici. 2 Focus: gli impianti di digestione anaerobica psicrofila Sono impianti semplificati, basati essenzialmente sul recupero del gas di fermentazione che si forma naturalmente durante il periodo di stoccaggio, con risvolti positivi dal punto di vista ambientale, oltre che economico. La copertura è generalmente di tipo galleggiante, in materiale plastico flessibile, in grado di gonfiarsi all’aumentare della pressione del gas che si libera dalla massa in stoccaggio. Questo viene poi convogliato all’unità di cogenerazione per l’utilizzo. Figura 2. Impianto di digestione anaerobica psicrofila basato sulla copertura della vasca di stoccaggio dei liquami (foto ECOMEMBRANE). Poco diffusa per la bassa produttività in biogas, è invece una soluzione adatta per quelle aziende che vogliono recuperare l’energia residua dagli effluenti con un piccolo investimento, in grado anche di rispondere all’esigenza, sempre più sentita, di ridurre le emissioni di gas e odori per ottemperare le richieste della normativa ambientale e ridurre i conflitti con le aree residenziali confinanti. 3. Classificazione in base al tipo di substrato e alla modalità di alimentazione In base alla consistenza palabile o non palabile delle matrici in entrata si distinguono due tipologie di processo: quella a “secco” e quella a “umido”. % s.s. matrici > 30% < 12% ca Tipologia di processo Digestione “a secco” Digestione “a umido” Digestione a secco Un impianto per la digestione anaerobica a “secco” è costituito da una o più celle di fermentazione, dotate di sistema di riscaldamento e di portoni a chiusura ermetica per il carico e lo scarico del materiale. A differenza della versione a “umido” il processo è discontinuo: il materiale fresco viene caricato all’interno della cella per mezzo di trattrici munite di pala meccanica frontale, viene sottoposto al processo di fermentazione e al termine viene asportato e mandato allo stoccaggio in attesa della destinazione finale (distribuzione agronomica nel caso delle matrici agro-zootecniche). Il percolato che si forma durante il processo fermentativo viene raccolto, ricircolato e irrorato sul cumulo in fermentazione mediante ugelli installati sul soffitto della cella. Il ricircolo del percolato è particolarmente importante per lo sviluppo del processo biologico in quanto consente di distribuire i batteri metanigeni sul prodotto, riscaldarlo e mantenere un livello di umidità omogeneo su tutta la massa. 3 Il biogas che si forma viene convogliato in un gasometro a sacco posto sopra la soletta della cella di fermentazione; da qui viene poi avviato ai trattamenti di desolforazione/deumidificazione e all’utilizzo finale, che potrà essere la produzione di energia termica, elettrica o di biometano. Figura 3. Un impianto di digestione anaerobica a secco operante con letame bovino e insilati. Da sinistra: panoramica delle celle di fermentazione; una cella di fermentazione caricata con materiale fresco e pronta per essere chiusa; il gasometro posto al secondo piano dell’edificio. La produzione di biogas è discontinua ma avendo più celle a disposizione è possibile ottenere una produzione costante grazie a cicli di fermentazione scaglionati nel tempo (Figura 4). Figura 4. Con più celle di fermentazione che lavorano in modo scaglionato è possibile avvicinarsi a una produzione di biogas costante nel tempo. Digestione a umido La D.A. “a umido” è quella che ha avuto la maggiore diffusione nel settore agro-zootecnico. Gli impianti sono costituiti da una o più vasche in c.a. o acciaio, a sezione circolare, parzialmente interrate o fuori terra, dotate di una copertura a tenuta di gas e di sistemi di coibentazione e miscelazione. La D.A. a umido è un processo continuo: si ha un flusso continuo di materiale fresco in entrata e di materiale digerito in uscita. Con riferimento al numero di digestori che compongono l’impianto si può parlare di impianto a singolo stadio o multi-stadio. Negli impianti a più stadi l’alimentazione può essere: - in serie: l’alimento entra nel primo digestore, poi la massa passa al successivo. Con più reattori è anche possibile differenziare i parametri ambientali (temperatura, pH) tra i diversi fermentatori per favorire dapprima le reazioni di idrolisi e acidificazione e poi quella di metanizzazione; - in parallelo: l’alimento viene suddiviso e introdotto in tutti i fermentatori, che lavorano contemporaneamente. 4 LE SEZIONI DI UN IMPIANTO A BIOGAS Il riferimento è a un tipico impianto a biogas agricolo, a umido, alimentato con una miscela di effluenti e insilati. 1. PREPARAZIONE DELLE MATRICI 2. DIGESTIONE ANAEROBICA 3. RACCOLTA DEL BIOGAS 4. TRATTAMENTO E UTILIZZO DEL BIOGAS 5. GESTIONE DEL DIGESTATO 1. PREPARAZIONE DELLE MATRICI 1a. Raccolta e preparazione Effluenti zootecnici Gli effluenti (letame e liquame) devono essere avviati all’impianto di digestione anaerobica il più rapidamente possibile: considerato infatti che le fermentazioni microbiche a carico della sostanza organica presente nelle deiezioni iniziano già a poche ore dall’escrezione, maggiore è il tempo che intercorre tra questa e l’inserimento nel digestore minore sarà il potere metanigeno degli effluenti. Ne consegue che la realizzazione di un impianto a biogas nell’azienda agricola va a modificare il sistema di stabulazione/raccolta delle deiezioni e in generale la gestione della stalla. Alcuni esempi: - stabulazione su grigliato: all’accumulo dei liquami sotto grigliato vanno preferiti sistemi che prevedono l’allontanamento rapido delle deiezioni, come la rimozione quotidiana mediante raschiatore meccanico sotto grigliato; - nel caso della stabulazione su lettiera la pulizia dei box va effettuata con frequenze di almeno 1520 giorni; - per la lettiera vanno esclusi materiali lignei come segatura e truciolo: la lignina infatti è un materiale recalcitrante alla degradazione microbica, quindi non è utile alla produzione di biogas. Inoltre la segatura tende a formare sedimento sul fondo del digestore, riducendone a lungo andare il volume utile, e richiedendo periodiche operazioni di pulizia; - va preferito l’uso di paglia trinciata a quella lunga perché di più rapida degradazione e crea minori problemi di ostruzione delle pompe di carico e delle tubazioni; - va prestata attenzione all’uso di antibiotici per gli animali e di disinfettanti ambientali (ad esempio per la pulizia dei box alla fine del ciclo di ingrasso nell’allevamento del vitello a carne bianca): i residui antibiotici presenti nelle deiezioni e i disinfettanti presenti nelle acque di lavaggio e poi avviate alla digestione anaerobica hanno effetti inibitori anche per la flora microbica responsabile delle fermentazioni anaerobiche nel digestore, quindi possono portare al blocco del reattore e della produzione di biogas; - va prestata attenzione alla presenza di corpi estranei inerti come corde, plastica, pietre etc..che possono causare l’intasamento/otturazione delle tubazioni, delle pompe o dei sistemi di miscelazione, nonché sedimentarsi sul fondo del digestore riducendone a lungo andare il volume utile. 5 L’introduzione in azienda di un impianto di digestione anaerobica può essere l’occasione per migliorare la gestione complessiva dell’azienda, con riflessi positivi sia dal punto di vista del benessere animale che ambientale. Alcuni esempi: - l’attenzione all’uso dei trattamenti farmacologici comporta una gestione zootecnica più responsabile per ridurre l’insorgere di patologie negli animali; - l’allontanamento rapido delle deiezioni dalla stalla riduce le emissioni di gas nocivi prodotti dalle fermentazioni a carico delle deiezioni, con un miglioramento della qualità dell’aria all’interno del ricovero; - la paglia trinciata rispetto a quella lunga migliora la qualità delle lettiere perché assorbe meglio le urine, mantenendo la lettiera asciutta, con riflessi positivi per il benessere e la salute degli animali. Insilati Possono essere impiegati insilati di mais, triticale, orzo, medica…I sistemi di insilamento e di stoccaggio sono analoghi a quelli adottati per la produzione di insilati destinati all’alimentazione animale. Va prestata attenzione nelle pratiche gestionali per evitare la presenza inerti quali di corde, sassi, terra, plastica che possono essere caricati accidentalmente assieme all’insilato ed essere inseriti nel digestore, comportando il rischio di occlusioni, intasamenti dei sistemi di carico, di miscelazione e la riduzione del volume utile. 1b. Pretrattamento Il pretrattamento ha lo scopo di: - omogeneizzare le matrici in ingresso, riducendole in pezzatura piccola e omogenea; - rendere disponibile il contenuto cellulare di matrici ligneo-cellulosiche; - miscelare le diverse componenti (liquida e solida). L’obiettivo è quello di: evitare fenomeni di occlusione a carico di pompe e agitatori; aumentare la superficie di attacco dei microorganismi e quindi la produzione di biogas; ridurre i tempi di permanenza del substrato all’interno del digestore; evitare la formazione di “cappelli” o di sedimenti. E’ particolarmente necessario per prodotti costituiti da materiali fibrosi come paglia/stocchi o a lenta degradabilità come letami e insilati. Esistono diverse tipologie di pretrattamento: I. processi di tipo di tipo fisico-meccanico: trinciatura, sfibratura, sminuzzatura (operazioni eseguibili con un carro trincia-miscelatore o un carro unifeed); estrusione; ultrasuoni; II. processi di tipo termico: ad esempio la steam explosion: processo idrotermico che consiste nell’uso di vapore saturo ad alta pressione; III. processi di tipo chimico o enzimatico: utilizzo di agenti acidi/basici/ossidanti o di enzimi cellulosolitici. Il sistema più diffuso negli impianti a biogas di tipo agricolo è il trattamento fisico-meccanico di trinciatura/miscelazione. Questo può essere realizzato con un carro trincia-miscelatore o un carro unifeed oppure in appositi container/cassoni di carico dei prodotti palabili, contestualmente al carico nel digestore (Figura 5). Gli altri trattamenti permettono di aumentare la digeribilità dei prodotti, tuttavia richiedono costi maggiori (energetici o per l’acquisto dei reagenti) e pertanto sono indicati per substrati 6 particolarmente recalcitranti (es. vinacce, sfalci di potatura..) e per applicazioni in cui ci sono margini economici sufficienti a sostenerne i costi. Figura 5. Un container per il carico dei materiali palabili all’interno del digestore anaerobico. Dettaglio delle coclee di carico che provvedono anche alla miscelazione del prodotto. 1c. Carico nel digestore A seconda delle soluzioni progettuali, le matrici solide e liquide possono essere inserite nel digestore separatamente, oppure preventivamente miscelate tra di loro. In entrambi i casi servono delle strutture di accumulo in grado di contenere almeno le quantità avviate a digestione in un giorno. Materiali non palabili Dalla stalla i liquami possono essere convogliati attraverso pompe e tubazioni interrate oppure trasportati mediante carro-botte a una vasca polmone di accumulo progettata per contenere l’alimentazione di uno o due giorni (Figura 6). Da qui vengono avviati al digestore tramite pompe che lavorano in automatico secondo il programma di alimentazione impostato. La vasca di accumulo può essere dotata di sistema di miscelazione per evitare la formazione di sedimenti o di “cappelli”. Per ridurre lo sbalzo termico tra la massa in digestione e quella introdotta e mantenere costante la temperatura all’interno del digestore, la vasca di accumulo viene realizzata, se possibile, interrata (in questo modo si evita il raffreddamento eccessivo, soprattutto in inverno) ed eventualmente dotata di sistema di riscaldamento. Figura 6. Vasca di accumulo dei liquami a servizio di un impianto di digestione anaerobica. I liquami vengono scaricati dal carro-botte con cui sono stati trasportati. 7 Materiali palabili I materiali palabili devono essere stoccati all’interno di capannoni coperti, per evitarne il dilavamento con le acque meteoriche. Per il loro inserimento nel digestore, possono essere miscelati insieme ai liquami direttamente nella vasca di accumulo di questi ultimi, che dovrà quindi obbligatoriamente essere dotata di organi di miscelazione ed eventualmente anche di triturazione per evitare fenomeni di occlusione delle pompe e delle tubazioni di carico. In alternativa vengono previsti degli appositi cassoni o container di alimentazione dai quali il prodotto viene caricato nel fermentatore. Questi cassoni sono in genere dotati di sistemi per la pesatura del materiale e per la sua miscelazione. Figura 7. Cassoni e vasche per il carico dei materiali palabili nel digestore. 2. DIGESTIONE ANAEROBICA I digestori a umido sono delle vasche in cemento armato o in acciaio, a sezione circolare e a sviluppo verticale. Possono essere realizzate fuori terra o parzialmente interrate, a seconda della possibilità di approfondirsi nel terreno con gli scavi. L’interramento agevola l’opera di coibentazione in quanto attenua gli sbalzi termici stagionali. L’impianto può essere realizzato in opera o con soluzioni prefabbricate. Le vasche di reazione sono coibentate, riscaldate e miscelate. Figura 8. Esempi di digestori anaerobici operanti presso aziende zootecniche, entrambi parzialmente interrati e con copertura a doppia membrana. 8 La miscelazione La miscelazione della massa all’interno del digestore è necessaria per: - evitare la stratificazione di materia e di temperatura all’interno del digestore; - favorire il contatto dei microorganismi con il substrato fresco introdotto; - favorire l’allontanamento delle bolle di biogas che si formano nella massa liquida. Può essere di tipo meccanico o idraulico. La miscelazione meccanica prevede l’uso di pale variamente orientate, di varia forma e dimensione, con motore interno o esterno al digestore (Figura 9). La miscelazione di tipo idraulico prevede invece il ricircolo della massa in digestione tramite una pompa esterna che preleva il liquido dal basso e lo ridistribuisce dall’alto, a getto sopra il pelo libero. La pompa di ricircolo può essere dotata di un sistema di triturazione per rompere gli eventuali agglomerati che si formano. La miscelazione idraulica viene impiegata in abbinamento a quella meccanica, in particolare negli impianti alimentati con matrici fibrose come insilati, per evitare o ridurre la formazione del “cappello” e di agglomerati solidi. Figura 9. Esempi di miscelatori meccanici impiegati per la movimentazione della massa in digestione anaerobica (a- SCHMACK BIOGAS; b- CRPA; c- ESCO BIOGAS). a b c Il riscaldamento Nel caso di impianti operanti in mesofilìa o termofilìa il riscaldamento è necessario per mantenere la temperatura all’interno del digestore nel range voluto, 35-40°C o 50-55°C. Si realizza in tre modi differenti, complementari tra loro: 1. Coibentazione del digestore 2. Riscaldamento del digestore Viene realizzato con uno scambiatore di calore dove il fluido di riscaldamento è l’acqua calda proveniente dal cogeneratore. 9 Lo scambiatore di calore può essere: - interno al digestore (Figura 10):. Si tratta di un fascio tubiero posto nel perimetro interno del digestore. All’interno delle condotte scorre acqua calda che riscalda la massa in digestione. E’ la soluzione più diffusa negli impianti a biogas agricoli. - esterno al digestore (Figura 10): il fascio tubiero è costituito da due condotte, una interna all’altra: in quella più interna scorre il digestato, in quella più esterna l’acqua calda. I due fluidi viaggiano controcorrente. Questa soluzione prevede il ricircolo della massa in digestione che viene estratta dal digestore, pompata attraverso lo scambiatore di calore e nuovamente reinserita nel digestore. A fronte di un maggiore ingombro rispetto allo scambiatore interno, la soluzione esterna offre il vantaggio di una maggiore elasticità e facilità delle operazioni di manutenzione, in quanto è possibile operare senza interrompere il normale funzionamento del digestore. Nel caso dello scambiatore interno per effettuare manutenzioni è invece necessario bloccare l’impianto e svuotare il digestore. Figura 10. Sinistra: scambiatore di calore interno al digestore (foto IES BIOGAS). Destra: scambiatore di calore esterno (foto PROGECO BIOGAS). Qual è il consumo di calore di cogenerazione per la termostatazione del digestore? Un esempio: Impianto agricolo alimentato a reflui bovini (letame e liquame) e insilati a servizio di un allevamento di bovini da carne della Provincia di Padova, con potenza nominale installata del cogeneratore di 560 kW elettrici e 650 kW termici, comprensivi del recupero fumi (=recupero del calore dei fumi di combustione al camino). La quota di energia termica destinata alla termostatazione ammonta a circa il 50% in inverno (325 kWth) e al 10% in estate (65 kWth) della potenza termica installata. (da Guercini et al., 2014) 3. Riscaldamento del materiale in ingresso al digestore Necessario nelle località a clima rigido, dove introdurre elevate quantità di biomasse fredde causerebbe l’abbassamento della temperatura nel digestore, rischiando il blocco del processo. 10 3. RACCOLTA DEL BIOGAS Il biogas che si libera dalla massa in digestione può essere raccolto sul posto oppure inviato a un gasometro esterno. 1. Gasometro” incorporato” La copertura del digestore funge anche da accumulo del biogas prodotto. E’ la soluzione più diffusa nel settore agricolo. Generalmente si tratta di coperture a doppia membrana, dove quella esterna ha la funzione di protezione dagli agenti atmosferici mentre la seconda è la membrana gasometrica vera e propria. Si vengono così a creare due camere d’aria: quella esterna, riempita d’aria, e quella interna, occupata dal biogas. Dato che la produzione di biogas non è costante nel tempo, per mantenere costante la sua pressione in uscita (al cogeneratore) si regola la pressione della camera d’aria esterna, che viene aumentata quando la pressione del gas diminuisce e viceversa. A regolare la pressione dell’aria nella camera esterna è un compressore comandato da un sensore. 2. Gasometro esterno E’una soluzione diffusa nel settore civile, ad esempio negli impianti di biogas a servizio dei depuratori dei reflui urbani, o industriale. SI tratta di cupole gasometriche autonome rispetto al digestore, di varia forma. Figura 11. Esempi di gasometri esterni: a- a “pallone” a tripla membrana; b e c- a “sacco” racchiuso in un silo in lamiera zincata (da Guercini et al., 2011). b a 4. TRATTAMENTO E UTILIZZO DEL BIOGAS Il biogas, per la sua componente in metano (Tabella 2), può essere: a. impiegato come combustibile per la produzione di energia termica/elettrica; b. trasformato in biometano per l’autotrazione. Tabella 2. Composizione media del biogas (da Ministero dell’Agricoltura). Componente Metano (CH4) Anidride carbonica (CO2) Idrogeno (H2) Azoto (N2) Monossido di carbonio (CO) Idrogeno solforato (H2S) Acqua (H2O) 11 % in volume 50-75 25-45 1-10 0.5-3 0.1 0.02-0.2 saturazione c In tutti i casi servono dei pretrattamenti per eliminare il vapore acqueo e i composti solforati, che possono danneggiare i motori di combustione. PRETRATTAMENTI Rimozione del vapore acqueo Si realizza raffreddando il gas in modo da far condensare il vapore. Il primo accorgimento è l’interramento della condotta che trasporta il biogas dal gasometro al cogeneratore. L’acqua di condensa viene raccolta in appositi pozzetti grazie a un’opportuna pendenza della tubazione. Se questo trattamento primario non è sufficiente, la condotta viene fatta passare attraverso uno scambiatore di calore (gruppo frigorifero) per l’ulteriore raffreddamento del gas. Desolforazione Si può realizzare mediante un processo chimico o biologico. desolforazione chimica: aggiunta di sali di ferro, come cloruro ferroso (FeCl2), cloruro ferrico (FeCl3) o solfato di ferro (FeSO4) in soluzione nel digestore. I sali di ferro reagiscono con l’idrogeno solforato presente nella massa liquida formando solfuro di ferro, molecola non volatile, che rimane disciolta in soluzione e viene allontanata con il digestato. desolforazione biologica: si sfrutta l’attività dei solfobatteri che trasformano l’H2S in zolfo elementare. Per la loro attività i solfobatteri hanno bisogno di ossigeno, che viene introdotto in moderate quantità (fino al 4% in volume) insieme al biogas. La rimozione biologica può essere realizzata direttamente all’interno del digestore o in una torre esterna (scrubber). Figura 12. Le strutture interne al digestore, come le travi in legno, la rete metallica di protezione per la copertura e le stesse pareti della vasca diventano il supporto per la crescita dei batteri che operano la desolforazione. A sinistra, l’interno di un digestore in costruzione (foto: Cattaneo, 2014). A destra, in evidenza le incrostazioni di zolfo sulle pareti interne del digestore. 12 Figura 13. La desolforazione biologica può essere realizzata anche in una torre esterna (scrubber), ovvero una colonna riempita di un medium sul quale si sviluppa il film batterico che viene attraversata dal biogas. Per sostenere l’attività dei solfobatteri viene introdotta anche acqua e aria (o ossigeno puro) (schema: da Vienna University of Technology). Focus: la desolforazione interna e i problemi di corrosione. Iniziano a emergere i problemi di corrosione delle parti interne dei digestori causate dalla desolforazione, quando questa viene realizzata all’interno dei fermentatori, sia per via biologica o chimica. Nel primo caso il metabolismo dei solfobatteri trasforma l’idrogeno solforato in zolfo elementare e solfato, dal quale si forma facilmente, in ambiente acquoso, acido solforico, un potente corrosivo. Nel secondo caso il problema si manifesta con l’impiego dei sali di ferro a base di cloro: questo elemento, in presenza di ossigeno atmosferico, può indurre corrosione delle parti metalliche come i miscelatori o le pareti stesse del digestore, anche se realizzate in acciaio pregiato. I fenomeni corrosivi possono emergere già dopo pochi anni di esercizio degli impianti, e comportano un impegno notevole per le operazioni di manutenzione straordinaria, per la sostituzione delle travi e di altre strutture/attrezzature interne. Tra gli accorgimenti da adottare per ridurre questi fenomeni: - la scelta di materiali idonei per le strutture e le attrezzature - l’abbandono della desolforazione interna a favore di soluzioni esterne al digestore. (da Navarotto, 2015) A. IMPIEGO DEL BIOGAS PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA TERMICA ED ELETTRICA Il biogas così pretrattato può essere inviato a una caldaia, per la sola produzione di energia termica, a un generatore, per la sola produzione di energia elettrica, oppure a un cogeneratore per la produzione congiunta di energia elettrica e termica. Quest’ultima è la soluzione che si è imposta in via pressoché esclusiva in quanto: - l’energia elettrica è il “prodotto” vero e proprio ricercato dai produttori di biogas: è quello che genera reddito, grazie agli incentivi al kWh elettrico da fonte rinnovabile previsti dalla normativa vigente (DM 6 luglio 2012); - l’energia termica serve per la termostatazione del digestore. 13 Figura 14. Schematizzazione dell’uso del biogas per la produzione di energia termica ed elettrica tramite un’unità di cogenerazione (CHP unit= Combined Heat and Power unit). Il cogeneratore può essere un motore endotermico alternativo (Ciclo Otto o Ciclo Diesel modificato) oppure una turbina. Il motore endotermico è la soluzione più diffusa in quanto consente un rendimento elettrico superiore a quello delle turbine (35-42% contro il 18-20%) e quindi permette di sfruttare meglio l’attuale sistema incentivante, che premia solo la produzione di energia elettrica. A seconda delle soluzioni impiantistiche e della disponibilità aziendale, le unità di cogenerazione sono fornite dalla ditta costruttrice all’interno di appositi container insonorizzati oppure installate all’interno di edifici in muratura (Figura 15). Figura 15. Unità di cogenerazione installata in un container insonorizzato (sinistra) e all’interno di un edificio (destra). La cogenerazione si realizza abbinando al motore di combustione uno scambiatore di calore per il recupero del calore del circuito di raffreddamento del motore stesso ed eventualmente anche quello dei fumi di combustione al camino (comunemente detto “recupero fumi”). Lo scambiatore di calore è costituito da un fascio tubiero al cui interno scorre acqua. L’acqua così riscaldata (a circa 80°C) viene impiegata prima di tutto per la termostatazione del digestore stesso; le eventuali eccedenze sono destinate ad altri usi aziendali, come ad esempio il riscaldamento dei locali di servizio, degli uffici, dei ricoveri di allevamento, l’essiccazione di foraggi/cippato/del digestato etc...Per la sola termostatazione del digestore è sufficiente il calore recuperato dal circuito di raffreddamento del motore. Solitamente quindi, a meno di usi particolari, negli impianti a biogas agricoli viene previsto solo il recupero del calore dal motore. 14 Rese medie di un cogeneratore (generatore costituito da un motore endotermico e potenza termica comprensiva del recupero del calore dai fumi al camino): 1 m3 biogas 1,8-2 kWh elettrici + 2-3 kWh termici (da AIEL, 2007) La torcia di sicurezza In occasione di interventi di manutenzione (ordinaria o straordinaria) dell’unità di cogenerazione, il biogas deve essere stoccato nei gasometri. Questi sono dimensionati per poter accumulare il volume prodotto in alcuni giorni, ma quando i volumi di accumulo sono al limite, non potendo fermare la produzione, il biogas deve essere bruciato in una torcia ausiliaria (Figura 16). Figura 16. Torcia di sicurezza a servizio di un impianto a biogas agricolo. B. UPGRADING PER LA PRODUZIONE DI BIOMETANO Il biogas, dopo i pretrattamenti di desolforazione e rimozione del vapore acqueo può essere ulteriormente raffinato (“upgraded”) per la produzione di biometano. Il processo di upgrading consiste nella rimozione di tutti i componenti estranei al fine di ottenere un gas metano con un grado di purezza e un Potere Calorifico Inferiore (PCI) compatibili con il metano di rete. In una prima fase vengono rimossi il vapore acqueo, l’idrogeno solforato l’ammoniaca etc, in un processo simile a quello a cui è sottoposto il biogas destinato alla cogenerazione. Segue il processo di upgrading vero e proprio, che consiste nella rimozione dell’anidride carbonica, dei composti odorigeni e nell’addizione di propano. I costi del processo di upgrading si aggirano intorno ai 13 € /kg di biometano prodotto, imputabili principalmente alle operazioni di rimozione dell’anidride carbonica (Proietti, 2009). 5. GESTIONE DEL DIGESTATO Il digestato è un sottoprodotto ed è destinato ad utilizzazione agronomica secondo le regole del Decreto Interministeriale n. 5046 del 25 febbraio 2016 e della buona pratica agricola. Caratteristiche del digestato Il digestato presenta un valore agronomico superiore a quello del liquame/letame di partenza in quanto si tratta di un prodotto: - stabilizzato dal punto di vista delle fermentazioni; 15 - - inodore; con un rapporto Azoto ammoniacale/Azoto totale superiore a quello del liquame di partenza, effetto della mineralizzazione della sostanza organica realizzata durante il processo fermentativo, che conferisce al digestato un carattere marcatamente fertilizzante; parzialmente sanitizzato, in particolare se derivante dalla digestione termofila. Relativamente a questo ultimo aspetto vale la pena di specificare tuttavia che le condizioni ambientali presenti all’interno dei digestori possono sia limitare ma anche favorire lo sviluppo di eventuali patogeni presenti nelle deiezioni di partenza. La Salmonella, ad esempio, è un microorganismo anaerobio facoltativo, che può trovarsi svantaggiato in condizioni di anaerobiosi stretta come quelle all’interno dei fermentatori, ma favorito dalle condizioni di temperatura, dato che il range in cui operano gli impianti mesofili (38-42° circa) corrisponde all’optimum di sviluppo del patogeno normalmente impiegato nelle metodiche di coltivazione di laboratorio. Lo stoccaggio del digestato previsto per legge (180 giorni per il digestato tal quale o per la frazione separata liquida, 90 giorni per la frazione separata solida) risulta quindi utile per garantire l’abbattimento della carica patogena eventualmente ancora presente (GHGE, 2014). La digestione anaerobica non modifica il volume né il tenore in azoto del prodotto di partenza. Da questo punto di vista non è una soluzione al problema delle eccedenze di azoto rispetto ai limiti imposti dalla Direttiva Nitrati. Se il digestato è assimilato a un effluente, nel caso di digestati misti da codigestione (ad esempio di liquame e insilati) tutto l’azoto in esso contenuto viene considerato di origine zootecnica e soggetto ai limiti della Direttiva Nitrati o solo la quota proveniente da liquami/letami? Per la Regione Veneto vale la seconda intepretazione: Nei digestati “misti” da co-digestione solo alla frazione di azoto che deriva dai reflui zootecnici viene applicato il limite di 170 o 340 kgN/ha anno per le zone vulnerabili od ordinarie, rispettivamente. La rimanente quantità di azoto presente nel digestato concorre al raggiungimento del MAS (quantitativo massimo di azoto applicabile) della coltura. Da considerare che sia la frazione di azoto animale, che sottostà al limite massimo di azoto totale 170/340 kg/ha applicabile, sia la frazione di azoto vegetale, sono conteggiate per il raggiungimento del MAS nella loro quota efficiente. Separazione solido-liquido E’ una buona pratica che permette di migliorare la gestione del digestato sia nella fase di stoccaggio che in quella di distribuzione agronomica. Che cos’è Come dice il nome, la separazione solido-liquido rimuove dal liquame una parte più o meno rilevante dei solidi e della sostanza organica, che vanno a costituire la frazione solida palabile. Nella frazione solida si trasferisce una parte consistente dell’azoto organico e del fosforo; in quella liquida residua resta invece buona parte dell’azoto inorganico (sotto forma di ammonio) e del potassio. I vantaggi 16 I vantaggi offerti dalla separazione solido-liquido sono diversi. 1) Si riduce il volume del prodotto da stoccare e, successivamente, da distribuire; 2) si riduce il tenore in azoto del digestato, quindi la superficie di terreno necessaria per lo spandimento (la riduzione di superficie è pari alla riduzione di azoto dal liquame); 3) La frazione solida, e l’azoto in essa contenuto, può essere trasportata a maggiori distanze dal centro aziendale con costi contenuti rispetto al digestato di partenza e/o ceduta a terzi (es. aziende orticole, floro-vivaistiche); 4) La riduzione del contenuto in solidi del digestato: a) limita la stratificazione dello stesso nella vasca di stoccaggio, quindi la formazione di deposito sul fondo o di crosta superficiale; b) ne migliora la pompabilità nella fase di prelievo per la distribuzione; c) ne favorisce la sua percolazione nel terreno una volta distribuito, riducendo le emissioni di ammoniaca. Figura 17. Il digestato tal quale, soprattutto se costituito da materiali fibrosi come insilati, paglie, stocchi etc. tende a formare una crosta superficiale che può creare problemi alle pompe e ai dispositivi di carico durante le fasi di prelievo per la distribuzione agronomica (sinistra). La separazione solido liquido consente invece di alleggerire il digestato rendendolo più fluido e omogeneo (destra). Le attrezzature per la separazione solido-liquido Si dividono in tre gruppi sulla base dell’efficienza di separazione, ovvero la capacità di trasferire quantitativi più o meno consistenti di solidi sospesi, azoto, fosforo e potassio dal liquame di partenza alla frazione solida: - dispositivi a bassa efficienza: vagli statici, i vibro-vagli e i tamburi rotanti; - dispositivi a media efficienza: vagli a compressione elicoidale (anche conosciuti come a vite continua) o a rulli prementi (Figura 18); - dispositivi ad alta efficienza: separatori centrifughi -o decanter- (Figura 19). Le attrezzature più diffuse sono quelle del secondo gruppo, grazie al buon compromesso tra costo di acquisto, costo di gestione, efficienza di separazione e robustezza costruttiva. Tabella 3. Efficienza di rimozione dei solidi totali, dell’azoto totale e del fosforo conseguita con un separatore a vite (compressore elicoidale) e con una centrifuga (senza uso di polielettroliti) su digestato. I dati si riferiscono a una prova eseguita su un digestato da liquame di bovine da latte. Parametro Solidi totali (% tal quale) Separatore a vite continua 30,7 17 Centrifuga ad asse orizzontale 54,5 Azoto totale (TKN, %ss) Fosforo totale (P-PO43-, %ss) 9,6 8,6 19,4 59,2 Figura 18. Esempi di separatore a vite continua operanti presso aziende zootecniche. Figura 19. Centrifuga ad asse orizzontale operante su digestato zootecnico. Copertura degli stoccaggi Altra buona pratica è la copertura della vasca di stoccaggio del digestato (sia esso tal quale o separato liquido). La copertura infatti: - evita l’ingresso di acque meteoriche, preservando la capacità di stoccaggio della struttura; - contiene le emissioni di gas in atmosfera (ammoniaca, metano); - consente, se la copertura viene realizzata a tenuta come quella dei fermentatori, il recupero di una quota di biogas che altrimenti andrebbe persa in atmosfera. Il digestato è un prodotto “scarico” perché già fermentato, quindi il suo potenziale metanigeno è inferiore a quello del liquame di partenza; tuttavia le emissioni dallo stoccaggi sono superiori nel caso del digestato che del liquame in quanto le fermentazioni anaerobiche continuano anche in vasca di stoccaggio (Tabella 4). Tabella 4. Potenziale metanigeno ed emissioni di metano dalla vasca di stoccaggio di un liquame tal quale e del digestato a confronto (da Rodhe, 2012) 18 Matrice Liquame tal quale Digestato Potenziale metanigeno (Nml CH4/ g SV) 270 121 Emissione (g CH4 /m3 giorno) 2,23 6,94 Figura 20. Esempi di diverse tipologie di coperture. a- copertura di tipo galleggiante a effetto schermante con argilla espansa; b- copertura di tipo galleggiante a effetto schermante con teli impermeabili; - , copertura galleggiante con sistema di recupero delle acque meteoriche nonché del biogas prodotto (foto ECOMEMBRANE); d- coperture di tipo fisso ancorate ai bordi. a b c d 19 BIBLIOGRAFIA AIEL, 2007 Energia elettrica e calore dal biogas, a cura di Francescato V. e Antonini E. Cattaneo E., 2014 La gestione cooperativa degli effluenti: realtà operative Presentazione al convegno Sostenibilità ambientale ed economica nella gestione degli effluenti negli allevamenti di suini. Milano, 9 ottobre 2014. Decreto Interministeriale n. 5046 del 25 febbraio 2016 Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale dell'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue, nonche' per la produzione e l'utilizzazione agronomica del digestato. GU Serie Generale n.90 del 18-4-2016 - Suppl. Ordinario n. 9. Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico 6 luglio 2012 Attuazione dell’articolo 24 del Decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, recante incentivazione della produzione di energia elettrica da impianti a fonti rinnovabili diversi dal fotovoltaico (GU Serie Generale n.159 del 10-7-2012 Suppl. Ordinario n. 143). ENAMA, 2013 Le fonti di energia rinnovabile in ambito agricolo. Edizioni ENAMA. http://www.enama.it/it/pdf/biomasse/quaderni-delle-agroenergie.pdf GHGE, 2014 Modelli di gestione delle aziende zootecniche finalizzati alla riduzione delle emissioni di gas serra e al miglioramento della qualità dell’aria negli allevamenti. Relazione finale del Progetto GreenHouse Gas Emissions (GHGE), Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute (MAPS), Università di Padova. Guercini S, Bordin A., Rumor C., 2011 Il biogas in agricoltura - Impiantistica e dimensionamento Progetti Tecnologie Procedure 2/2011, Supplemento n. 10/2011 ad Ambiente e Sviluppo. Guercini S., Castelli G., Rumor C., 2014 Vacuum evaporation treatment of digestate: full exploitation of cogeneration heat to process the whole digestate production Water Science and technology 70(3), p. 479-485. Navarotto P., 2015 Inizia a emergere il problema della corrosione degli impianti, L’Informatore Agrario n. 29/2015, pp. 32-34. Proietti S., 2009 Il percorso al biometano Relazione al Convegno Biometano per il trasporto, Prospettive ed esperienze, 28/05/2009, Legnaro (PD). Ragazzoni A., 2011 Biogas. Normative e biomasse: le condizioni per fare reddito, edizioni L’ Informatore Agrario. Rodhe L., Ascue J., Tersmeden M., Willen A., Nordberg A., 2012 Greenhouse gas (methane and nitrous oxide) emissions during storage of digested and non-digested dairy cattle slurry. In Proceedings of the EMILI - International Symposium on emission of gas and dust from livestock, 10-13/06/2012, Saint-Malo, France, p. 25 20 Pubblicazione realizzata da: Veneto Agricoltura, Settore Bioenergie e Cambiamento Climatico - nell’ambito del Progetto Nitrant 2014 Responsabile del Progetto: Federico Correale Santacroce Veneto Agricoltura, Settore Bioenergie e Cambiamento Climatico Gruppo di Progetto: Loris Agostinetto, Fabiano Dalla Venezia, Clelia Rumor Veneto Agricoltura, Settore Bioenergie e Cambiamento Climatico Testi e foto (dove non diversamente citato): Clelia Rumor 21