Struttura e duplicazione del DNA

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Struttura e duplicazione del DNA
IV. STRUTTURA E DUPLICAZIONE DEL DNA
0) CONCETTI BASE
La doppia elica del DNA è composta da due filamenti polinucleotidici tenuti assieme
da legami a idrogeno.
Nella duplicazione di una molecola di DNA i due filamenti si separano e ciascuno fa
da stampo per una nuova molecola di DNA.
Una modifica della sequenza delle basi azotate del DNA determina un’alterazione
delle informazioni genetiche.
1) I COMPONENTI DEL DNA
Nel 1953, James Watson e Francis Crick presentarono al mondo una descrizione
esauriente della struttura del DNA, di quella che è oggi nota universalmente come
“doppia elica” del DNA (Figura 5.2).
La Figura 5.4a, sulla pagina seguente, rappresenta le varie parti che concorrono a
formare il DNA. Due di queste sono il gruppo fosfato e uno zucchero a cinque atomi di
carbonio chiamato desossiribosio.
Fissando ora l’attenzione, nella Figura 5.4b, sulle molecole a sinistra colorate in rosso,
si nota che i gruppi fosfato e le molecole di desossiribosio (contrassegnati rispettiva28/04/2006
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mente con P e Z) sono legati assieme a formare una catena zucchero-fosfatozucchero-fosfato-ecc.; osservando la Figura 5.4c e immaginando la doppia elica el
DNA come una scala a pioli attorcigliata su se stessa lungo l’asse maggiore, si vede che
ciascuno dei due montanti della scala è appunto costituito da questa catena. Per una
visione più approfondita della struttura chimica della molecola di DNA date anche
un’occhiata alla Figura 9.1.
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Il terzo componente della molecola di DNA,
situato nei “pioli” che collegano i due montanti, è
costituito dalle basi azotate adenina, guanina,
timina e citosina, di solito indicate più
semplicemente con le loro iniziali in maiuscolo: A,
G, T e C. I quattro nucleotidi differiscono per la
base azotata; l’adenina e la guanina sono purine,
mentre la citosina e la timina sono pirimidine
(Figura 9.2).
Ciascuna base azotata forma mezzo “piolo” della
doppia elica estendendosi verso l’interno di
questa a partire da uno dei due “montanti”;
questa base azotata è collegata ad una ad essa
complementare che forma l’altro mezzo “piolo” a
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partire dall’altro “montante” (le due basi sono legate tra loro da deboli legami a
idrogeno).
La figura mostra alcuni casi in cui una A è appaiata a una T e un caso in cui una C è
appaiata a una G. È qui racchiusa una regola fondamentale della struttura del DNA:
lungo tutta la doppia elica, A è sempre appaiata con T e G è sempre appaiata con C (un
fenomeno noto come appaiamento delle basi azotate). Si esprime questo fatto
dicendo che A e T, come pure G e C, sono basi complementari.
I due filamenti di una molecola di DNA sono uniti da legami a idrogeno, sono complementari e sono orientati in versi opposti
Di seguito sono elencati, in sintesi, alcuni dei principali punti del modello di DNA
proposto da Watson e Crick (per visualizzare le proprietà alle quali si farà riferimento
utilizzate la Figura 9.3 sulla pagina seguente):
Una molecola di DNA è formata da due catene di nucleotidi avvolte una attorno
all’altra a formare una doppia elica (duplex);
L’ossatura (- fosfato – zucchero – fosfato – zucchero -) di ogni catena si trova
nella parte più esterna della molecola, mentre le basi azotate si proiettano verso
l’interno e si dispongono di fronte a quelle dell’altro filamento, come i gradini di una
scala a chiocciola;
Le due catene sono tenute assieme dai legami a idrogeno che si formano tra le basi
azotate. Contrariamente ai legami covalenti che uniscono i nucleotidi di una catena,
i legami a idrogeno tra i nucleotidi di filamenti opposti sono relativamente deboli e
permettono la separazione dei due filamenti, necessaria per la trasmissione
ereditaria delle informazioni genetiche e per la loro espressione in caratteri
fenotipici;
All’adenina di una catena corrisponde sempre una timina sulla catena opposta,
mentre alla guanina corrisponde la citosina, un fenomeno noto come appaiamento
delle basi azotate e la corrispondenza, punto per punto, tra le due catene è
definita complementarietà.
Un nucleotide ha un’estremità 5’ (si legge “cinque primo”) e un’estremità 3’. I
nucleotidi di un filamento puntano tutti nella stessa direzione, come persone che
aspettano in fila. Nel caso di una fila, l’inizio termina con una faccia, mentre la coda
termina con la parte posteriore della testa. Per un filamento di DNA a un capo c’è
l’estremità 3’ (quella che finisce con una molecola di zucchero) e all’altro capo c’è
l’estremità 5’ (quella che finisce con un gruppo fosfato).
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Le due catene di una molecola di DNA sono orientate in modo opposto, come due
file di persone vicine una all’altra, ma con le persone che guardano in direzioni
opposte: l’estremità 3’ di un filamento è vicina all’estremità 5’ del filamento
complementare.
Per svolgere la sua funzione di materiale genetico, il DNA deve soddisfare tre
proprietà, che saranno approfondite in seguito:
1. Conservazione dell’informazione genetica. Il DNA è una registrazione molecolare
stabile delle precise istruzioni che determinano le caratteristiche ereditarie di un
organismo;
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2. Replicazione ed ereditarietà. Poiché il DNA contiene le informazioni genetiche di
un organismo, l’eredità dei corrispondenti caratteri dipende dalla capacità
dell’organismo di replicare le proprie molecole di DNA, per trasmettere una
dotazione completa di informazioni genetiche a ogni discendente. La replicazione di
DNA consente di fare delle copie delle istruzioni genetiche.
3. Espressione del messaggio genetico. I geni contengono le informazioni necessarie
per la formazione di specifiche proteine, come gli enzimi che presiedono alla
formazione di un particolare carattere ereditario (per esempio il colore della
pelle). L’informazione depositata nei geni determina quali polipeptidi vengono
sintetizzati e, di conseguenza, quali caratteri si manifestano in un organismo.
La struttura del DNA è la chiave della sua duplicazione
La struttura del DNA suggerì la risposta alla domanda che tanto aveva assillato gli
scienziati: come vengono trasmesse le informazioni genetiche da una generazione
all’altra? Come sappiamo, ogni cellula del nostro corpo contiene una copia completa del
nostro genoma e quando si divide, le cellule figlie ricevono le informazioni genetiche
dalla cellula madre; ciò significa che queste informazioni vengono trasmesse mediante
un’operazione di copiatura del DNA. Ma come avviene, in pratica, questo processo?
La struttura del DNA proposta da
Watson e Crick indicava una
possibile soluzione. Il fatto che,
lungo i “pioli” che collegano i due
filamenti della doppia elica, A si
appaia sempre con T e G con C
suggerisce, come rilevarono gli
stessi Watson e Crick, che
ciascuno dei due filamenti possa
servire da stampo per la sintesi di
uno nuovo (Figura 5.5).
Ogni A su ciascun filamento
specifica infatti per una T sul
corrispondente filamento nuovo,
ogni G del vecchio specifica per
una C del nuovo e così via. Basta a
tal fine che i due filamenti della
doppia elica si separino (cioè che
la nostra “scala” si rompa nel
mezzo, in corrispondenza dei
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legami a idrogeno che uniscono le due metà di ciascun “piolo”) e che vengano
sintetizzati due nuovi filamenti, ciascuno complementare a uno dei due vecchi.
I “mattoni” della duplicazione dei DNA: i nucleotidi
Vediamo ora più in dettaglio il processo di duplicazione del DNA. I “mattoni” di questa
molecola sono i nucleotidi; una di queste unità è riportata nel riquadro in alto a sinistra
della Figura 5.4b. Un nucleotide è formato da uno zucchero (il desossiribosio), da un
gruppo fosfato e da una delle quattro basi azotate.
Come mostra la Figura 5.5, durante il processo di duplicazione del DNA, la doppia elica
si srotola e si apre (un po’ come una cerniera lampo); di conseguenza, i nucleotidi dei
due filamenti della doppia elica rimangono esposti e a essi aderiscono – secondo la
regola della complementarietà delle basi azotate – nucleotidi liberi che, legandosi tra
loro, formano un nuovo filamento complementare al vecchio; in questo modo, a partire
dalla doppia elica originaria se ne formano due.
Il risultato della duplicazione del DNA: un insieme di vecchio e di nuovo
Ciascuna doppia elica è una combinazione di vecchio e di nuovo: essa è infatti formata
da un filamento della molecola originaria di DNA e da uno neosintetizzato (Figura 5.6).
Questa modalità di sintesi del DNA è detta replicazione semiconservativa, poiché
metà della vecchia molecola di DNA si conserva in ogni molecola “figlia”. In questo
modo le informazioni genetiche possono essere trasmesse da una generazione all’altra.
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Durante la mitosi, le due doppie eliche si separano e vanno a finire ciascuna in una
cellula figlia diversa; da quel momento ognuna funziona come una molecola di DNA
indipendente. A livello dei cromosomi, le due nuove eliche di DNA sono la componente
fondamentale dei due cromatidi di cui è composto ciascun cromosoma all’inizio della
meiosi.
Anche se, decritto così sinteticamente, il processo di duplicazione del DNA può
sembrare abbastanza semplice, il realtà è molto complicato. Per esempio, a
catalizzare i vari passaggi intervengono molti enzimi, di cui il gruppo più importante è
costituito dalle DNA polimerasi; queste procedono lungo la doppia elica, collocando i
nucleotidi liberi in corrispondenza
di
quelli
complementari
dei
filamenti originari. Altri enzimi, le
DNA ligasi, provvedono poi a
legare assieme i nuovi nucleotidi.
La DNA polimerasi è un enzima
che scorre lungo il filamento
stampo della doppia elica aperta e
forma un nuovo filamento unendo
in
successione
i
nucleotidi
appropriati.
Poiché
la
DNA
polimerasi può scorrere soltanto
in una direzione, dall’estremità 3’
all’estremità 5’, su uno dei due
filamenti l’enzima si sposta verso
la forcella di replicazione (il punto
in cui inizia la separazione del
DNA), formando il nuovo filamento
in modo continuo.
Invece sull’altro filamento, che è
orientato
in
senso
opposto,
l’enzima
si
allontanerà dalla
forcella di replicazione (Figura
9.5). In questo caso il filamento
viene
sintetizzato
in
modo
discontinuo, cioè si formano tanti
piccoli
frammenti
che,
successivamen-te, vengono uniti in
un filamento unico.
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La sintesi della DNA polimerasi è estremamente accurata e gli errori sono molto
improbabili
Nel corso della duplicazione della doppia elica l’operazione di appaiamento delle basi
azotate si ripete milioni di volte per ogni filamento di DNA. Dato l’enorme numero di
coppie di basi coinvolte, stupisce che alla fine del processo gli errori siano ben pochi.
Per esempio nel batterio E. coli si trova che, alla fine della duplicazione, solo una ogni
circa 10 milioni di basi azotate non è appaiata correttamente; eppure, la frequenza di
errori durante la duplicazione è 100 volte maggiore: una base azotata ogni circa
100'000. Ciò significa che il congegno ha una elevata capacità di correggere gli errori
commessi.
La DNA polimerasi è un enzima molto accurato, che commette soltanto un errore ogni
miliardo di nucleotidi incorporati in un filamento di DNA (nei batteri, viste le piccole
dimensioni del materiale genetico, ciò significa che viene fato meno di un errore ogni
100 cicli di replicazione).
Una delle ragioni di questa straordinaria precisione sta nel fatto che, in realtà, la
DNA polimerasi è due enzimi in uno. Essa contiene infatti un sito attivo in cui avviene
la polimerizzazione e un sito attivo in cui avviene la “correzione delle bozze”. Se il
primo sito incorpora un monomero non complementare, il secondo sito riconosce
l’errore e sostituisce il nucleotide sbagliato.
Se l’errore sfugge alla “correzione di bozze”, ne deriva una modificazione permanente
del contenuto informativo del DNA, o mutazione genica.
2) LA MUTAZIONE: UN’ALTERAZIONE PERMANENTE NELLA
STRUTTURA DEL DNA
Si chiama mutazione un’alterazione permanente della sequenza di basi azotate del
DNA di una cellula. Questo fenomeno può verificarsi in vari modi. Può capitare per
esempio che, durante la duplicazione, a una G si appai una T invece di una C. Oppure,
lungo i montanti della doppia elica, può venire inserita una coppia di basi errata (per
esempio, al posto di una coppia A-T viene collocata una copia C-G) (Figura 5.7, sulla
pagina seguente).
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Alterazioni permanenti di questo tipo sono chiamate mutazioni puntiformi in quanto
interessano un singolo punto del genoma. Di tutt’altra portata sono le alterazioni che
interessano un intero cromosoma e che vengono dette anche mutazioni cromosomiche.
Il cancro: una pericolosa mutazione trasmessa a una linea di cellule
Una mutazione puntiforme viene trasmessa a tutte le cellule che discendono da quella
in cui si è verificata: ogni volta che viene duplicato il DNA, anche l’errore viene
copiato. Anche se la maggior parte delle mutazioni puntiformi non ha effetti visibili su
un organismo, a volte le conseguenze sono disastrose.
Quasi tutte le forme di cancro iniziano in questo modo: esso è infatti il frutto di una
mutazione che fa sì che le cellule che ne sono affette proliferino in modo
incontrollato.
Per fortuna, per dare origine a un gruppo di cellule cancerose, occorre più di una
mutazione e quindi la frequenza del cancro non è così alta come ci potremmo
aspettare; per esempio, perché si generi un tumore maligno al colon occorre che in una
cellula di questa parte dell’organismo si verifichino da quattro a sette mutazioni.
Questo è anche uno dei motivi per cui in genere la frequenza dei casi di cancro
aumenta con l’età: ci vuole infatti tempo perché in una stessa cellula si accumulino
tutte le mutazioni necessarie a scatenare una proliferazione incontrollata; inoltre, tali
mutazioni sono spesso il risultato di anni di esposizione dell’organismo a certi fattori
ambientali, come il fumo, il Sole o altri agenti mutageni, cioè che “generano
mutazioni”.
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Le mutazioni che si verificano nelle cellule germinali possono essere ereditarie
La maggior parte delle mutazioni si verifica nelle cellule somatiche, ma alcune si
verificano nelle cellule germinali, cioè nelle cellule che danno origine ai gameti (cellule
uovo e spermatozoi); queste mutazioni sono ereditabili, cioè sono trasmesse da una
generazione all’altra.
Per esempio, la comparsa di una serie di mutazioni in un gruppo di cellule – supponiamo
– del pancreas fa sì che, a un certo momento, queste cellule comincino a proliferare in
modo incontrollato. Per quanto pericolosa sia, questa linea ereditaria di cellule è
separata da quelle che danno origine ai gameti, quindi queste mutazioni cancerose non
possono essere trasmesse alla generazione successiva.
Ciò che invece possono essere ereditati sono certi geni che predispongono una persona
a sviluppare un cancro. Spesso, una persona eredita un allele mutato per un dato
processo cellulare, ma ne eredita anche uno buono; una mutazione a carico di questo
può innescare il processo canceroso. Si pensa che un 10% dei casi di cancro che
insorgono negli esseri umani dipenda da una predisposizione genetica.
Un effetto positivo degli errori: l’adattamento evolutivo
Non ci si può neppure stupire che qualche errore genetico sfugga ai meccanismi di
correzione, e questo è molto importante. Infatti, le mutazioni sono un fattore
fondamentale dell’adattamento evolutivo degli organismi, poiché esse sono l’unico
meccanismo mediante il quale una specie può aggiungere, sotto forma di nuovi alleli
(cioè di nuove varianti dei geni) informazioni genetiche completamente nuove al
proprio genoma.
In assenza di mutazioni, gli organismi possono solo mescolare in innumerevoli modi gli
alleli già esistenti: basta pensare alla meiosi con il suo scambio di parti tra cromosomi
omologhi (crossing-over) e con il suo rimescolamento di cromosomi (assortimento
indipendente).
Ma, per quanto utili possono essere questi processi, nessuna ricombinazione genetica
avrebbe potuto per esempio produrre gli occhi di cui sono dotati certi organismi;
questo può essere avvenuto solo a seguito di qualche mutazione, cioè di un qualche
riordino accidentale delle sequenze del DNA, che ha portato alla produzione di
proteine del tutto nuove.
Va per altro ribadito che la maggior parte delle mutazioni non ha alcun effetto sugli
organismi (si parla allora di mutazioni neutre) e che, nei casi in cui esse ne hanno uno,
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si tratta in genere di un effetto negativo. Ma, di tanto in tanto, qualche mutazione
risulta utile; in una visione più ampia, queste mutazioni sono addirittura vitali per le
popolazioni di organismi, costantemente chiamati a sopravvivere e a perpetuarsi in
ambienti che vanno modificandosi nel tempo.
In altre parole, il mondo vivente si adatta all’ambiente anche grazie ai suoi stessi
errori.
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